sezione I civile; sentenza 17 febbraio 1987, n. 1693; Pres. Cusani, Est. A. Finocchiaro, P. M.Dettori (concl. conf.); Castellano (Avv. Insogna) c. Pari (Avv. Sigilli). Conferma App. Napoli 24marzo 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 5 (MAGGIO 1987), pp. 1437/1438-1443/1444Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178698 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quale risultava che erano idonei tre candidati dei quali il maggior
punteggio era assegnato al ricorrente ing. Alaimo. La commissio
ne amministratrice, considerato che «il procedimento seguito dal
la predetta commissione esaminatrice è riconosciuto regolare»
approvava la graduatoria e dichiarava vincitore l'ing. Alaimo primo classificato «sotto condizione dell'accertamento dell'idoneità fisi ca e dei requisiti tutti per l'ammissione all'impiego» nominando lo direttore dell'A.t.a.c. salvo il gradimento dell'assessorato
regionale dei trasporti. Successivamente, a seguito di esposti e
reclami, la commissione amministratrice sospendeva la efficacia della deliberazione anzidetta occorrendo accertare, con il parere di esperti appositamente nominati, la discordanza dei criteri per la attribuzione dei punteggi alle varie categorie di titoli, rispetto a quelli stabiliti nel bando di concorso.
Il 21 dicembre 1977 il T.A.R. Lazio, su ricorso degli interessa
ti, annullava gli atti della commissione esaminatrice, e il 10 mar zo 1978 la commissione amministratrice dell'A.t.a.c. deliberava di dare esecuzione a tale pronuncia, e ciò era approvato dalla
giunta municipale il 22 marzo successivo. Si addiveniva poi alla
nomina di una nuova commissione esaminatrice e, successivamente il 22 ottobre 1980 all'annullamento delle operazioni concorsuali e dello stesso bando.
Per quanto attiene alla difesa dell'A.t.a.c., innanzi al pretore,
questa era imperniata sull'accertamento della legittimità dell'an nullamento degli atti relativi al concorso, ma anche sull'annulla
mento di questi da parte dello stesso giudice; ed infatti, proprio nelle conclusioni della memoria di costituzione, è detto testual
mente «rigettare la domanda, previo se del caso annullamento, che peraltro espressamente si chiede, della procedura e degli atti,
compresa la graduatoria finale posti in essere dalla commissione
giudicatrice nominata ai sensi dell'art. 7 del bando di concorso
pubblicato in data 17 ottobre 1975 e degli atti ad esso connessi
e conseguenziali, ivi compresa se del caso la deliberazione azien
dale n. 1031 del 28 luglio 1976». Pertanto correttamente il tribu
nale, in ciò riformando la sentenza del pretore (che invece aveva ritenuto non aver l'A.t.a.c. eccepito alcun motivo di annullabili
tà, atteso che gli errori della commissione giudicatrice erano ri
masti una «mera enunciazione» dalla quale non si erano tratte
le possibili conseguenze «in ordine ad eventuali eccezioni non pro
poste»), ha ritenuto che, data la natura del rapporto instauratosi a seguito del bando di concorso, «anche l'ente pubblico economi
co, vincolato dalla procedura concorsuale, deve dedurre davanti
al giudice ordinario, in via di azione o di eccezione, l'invalidità degli atti di quella procedura derivante dalla violazione della nor
ma in esame, richiesta ritualmente proposta dall'A.t.a.c. in pri me cure... tanto nelle parti espositive, quanto nelle conclu
sioni». Come è noto, infatti, sono eccezioni in senso stretto, sulle qua
li, se ritualmente proposte, il giudice deve pronunciarsi per preci so obbligo di legge (art. 112 c.p.c.), oltre le eccezioni previste
espressamente dalla legge, quelle corrispondenti a controdiritti del
convenuto rivolti all'impugnazione del diritto dell'attore, che po trebbero essere fatti valere separatamente, in via di azione auto
noma, come la deduzione di annullabilità del contratto per vizio
del consenso a fronte della pretesa attrice di riconoscimento della
piena validità ed efficacia del contratto stesso, con riguardo alla
eccepibilità in via di eccezione della annullabilità di atti ammini
strativi o di contratti seguiti ad atti amministrativi (cfr. Cass. 11 marzo 1976, n. 855, id., Rep. 1976, voce Contratti della p.a., n. 18 e 16 dicembre 1974, n. 4290, id., Rep. 1974, voce cit., n. 32; con riguardo poi allo specifico interesse della p.a. cfr. sent.
24 febbraio 1972, n. 533, id., Rep. 1972, voce cit., n. 17; 14
febbraio 1964, n. 337, id., Rep. 1964, voce Amministrazione del
lo Stato, n. 68). D'altra parte, (Cass. 17 dicembre 1969, n. 3995, id., Rep. 1970,
voce Cassazione civile, n. 72) per proporre un'eccezione in senso
tecnico non occorrono formule solenni e tipiche, ma è sufficiente
allegare l'elemento di fatto che, nella sua rilevanza giuridica, opera
quale ragione di inefficacia, di estinzione e di modifica del fon damento giuridico della pretesa attrice.
Né è controvertibile che in materia processuale le domande del
le parti vanno individuate non secondo il solo esame delle conclu
sioni, ma secondo tutta la materia del contendere; ed è sotto tale
profilo che una determinata conclusione, se non ha altro intento
che quello di opporre una controdifesa alle richieste dell'attore, e non ha in sé la domanda per l'attribuzione di un bene della
vita (o, comunque, per il conseguimento di un determinato effet
II Foro Italiano — 1987.
to utile) diverso da quello inizialmente prospettato con la difesa, non assume il carattere di domanda, bensì di semplice ecce
zione.
Atteso che «il procedimento concorsuale, ivi compresa la gra duatoria erroneamente approvata, per le riscontrate irregolarità, non aveva adempiuto al suo scopo di selezionare il migliore can
didato, tenendo conto dei criteri del bando», il tribunale esatta mente ha concluso dichiarando l'invalidità di quel procedimento, nel senso che l'atto finale «non può conseguire gli effetti connessi alla sua funzione».
Consegue da quanto esposto il rigetto del ricorso principale restando cosi assorbito il ricorso incidentale. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 febbraio
1987, n. 1693; Pres. Cusani, Est. A. Finocchiaro, P. M. Det
tori (conci, conf.); Castellano (Avv. Insogna) c. Pari (Aw.
Sigilli). Conferma App. Napoli 24 marzo 1984.
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Giudizio di
ammissibilità — Intervento di terzi — Successivo giudizio di merito — Litisconsorzio processuale — Insussistenza (Cod. civ., art. 274, 276).
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Legittima zione passiva (Cod. civ., art. 276).
I terzi, privi della legittimazione ad agire e a contraddire, che siano intervenuti, deducendo un proprio interesse, nel giudizio preliminare per l'ammissibilità dell'azione di dichiarazione giu diziale di paternità naturale, non sono litisconsorti necessari
nel successivo giudizio di merito. (1) Legittimati passivi nel giudizio di dichiarazione giudiziale di pa
ternità naturale sono soltanto gli eredi del presunto padre de
funto e non i loro aventi causa; questi ultimi possono sem
pre intervenire nel giudizio ai sensi dell'art. 276, 2° comma, c.c. (2)
(1-2) Non risultano precedenti nei termini specifici della questione. In favore della legittimazione passiva dei parenti del de cuius, in mancanza
degli eredi, si sono pronunciate Cass. 7 giugno 1954, n. 1863, Foro it., 1954, I, 1249 e Trib. Messina 9 novembre 1954, id., Rep. 1955, voce
Filiazione, n. 60. Cass. 8 giugno 1968, n. 1754, id., 1968, I, 1744, ha invece affermato che ove l'azione abbia il solo scopo di conseguire l'ere dità dell'ascendente immediato del genitore naturale, legittimati passivi dell'azione sono gli eredi e i chiamati all'eredità dell'ascendente legittimo, essendo questi i veri interessati a resistere.
In dottrina, l'opinione attualmente dominante è conforme alla decisio ne riportata. Attenendosi strettamente alla lettera dell'art. 276 c.c., gli interpreti più autorevoli consentono l'intervento dei parenti del de cuius (cosi come chiunque altro vi abbia interesse) soltanto all'intervento vo lontario previsto dal 2° comma della norma in esame: v. Majello, Della
filiazione naturale, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna Roma, 1982, sub art. 276, 216, 218; Tamburrino, La filiazione, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1984, 154 s.; A. e M.
Finocchiaro, Diritto di famiglia, Milano, 1984, II, 1801. Contra, si era no espressi in passato Cicu, Filiazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1947, 449, 453 e Falco, in Giur. Cass. civ., 1954, XXXIII, 94.
Sulle (controverse) vicende giurisprudenziali del giudizio di ammissibili tà dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, v., da ultimo, Cass. 3 luglio 1986, n. 4376, Foro it., 1987, I, 140 con nota di richiami.
Sull'intervento adesivo dipendente degli eredi del presunto padre nel l'azione di disconoscimento di paternità in relazione all'interesse dei pri mi a contraddire alla (successiva) domanda di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, cfr. Cass. 23 ottobre 1980, n. 5704, id., 1981, I, 56, con nota di richiami.
Sull'esclusione del litisconsorzio necessario fra i presunti genitori nel l'azione ex art. 276 c.c., v. G. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, 403.
In merito al litisconsorzio c.d. processuale o «unitario», v., in partico lare, Civinini, Note per uno studio del litisconsorzio «unitario», con par ticolare riferimento al giudizio di primo grado, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1983, 431.
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1439 PARTE PRIMA 1440
Svolgimento del processo. — Con citazione del 10 dicembre
1979, Pari Annamaria, nata il 16 aprile 1930, esponeva di volere
conseguire il riconoscimento giudiziale di paternità naturale nei
confronti di Ciccotti Giuseppe, deceduto in Napoli il 24 gennaio
1958, e di avere ottenuto dal Tribunale di Napoli provvedimento di delibazione favorevole il 27 aprile 1979. Conveniva, pertanto, dinanzi allo stesso tribunale, alcuni parenti del defunto presunto
padre (morto senza lasciare figli legittimi o ascendenti) e cioè al
cuni cugini (Ciccotti Agostino, Lanzara Clara) e parenti del me
desimo (De Marco Filippo, De Marco Fausta, Ciampoli Luigi)
per la suddetta dichiarazione giudiziale.
Si costituivano Ciccotti Agostino, De Marco Filippo, De Mar
co Fausta e Ciampoli Luigi, che aderivano alla domanda, ricono
scendo i fatti posti a fondamento della stessa e già acclarati in
sede di delibazione preventiva.
Con sentenza 9 aprile 1981 il tribunale dichiarava il dedotto
rapporto di filiazione.
Avverso questa sentenza proponeva appello Castellano Rober
to, il quale, premesso di essere figlio ed erede della defunta Lan
zara Maria Giuseppina (cugina ex matre di Ciccotti Giuseppe), deduceva la propria qualità di litisconsorte necessario nell'azione
promossa dalla Pari e richiedeva la declaratoria di nullità dell'im
pugnata sentenza per violazione dell'integrità del contraddittorio.
La Corte d'appello di Napoli, con sentenza 24 marzo 1984,
rigettava l'appello sulla base del seguente iter argomentativo: il
Castellano, deducendo di essere stato pretermesso nel giudizio di
primo grado, attesa la propria asserita qualità di litisconsorte ne
cessario, aveva interesse all'impugnazione della sentenza proprio
per conseguire il ristabilimento del pieno contraddittorio, ma, nel
merito, la doglianza dedotta è infondata per l'insussistenza della
vantata qualità; l'art. 476 c.p.c. (rectius: 276 c.c.), nell'indivi
duare i soggetti legittimati passivamente all'azione per la dichia
razione giudiziale di paternità naturale, precisa che, in mancanza
del presunto padre, l'azione deve essere promossa nei confronti
dei suoi eredi; tale espressione è indicativa dell'intenzione del le
gislatore di limitare la necessaria partecipazione al giudizio ai soli
successori diretti e cioè a coloro che, titolari dello ius delationis, siano subentrati nel patrimonio del defunto, accettandone l'eredi
tà, ma esclude gli eventuali acquirenti dell'eredità, nonché gli aventi
causa — a titolo universale o particolare — degli eredi del pre sunto genitore, i quali, pur essendo interessati all'esclusione del
riconoscimento di paternità, non sono però eredi del presunto
genitore naturale; siffatta interpretazione oltre a derivare dalla
mancata menzione fra i soggetti legittimati passivamente degli aven
ti causa dagli eredi — espressione ben conosciuta dal legislatore — è avvalorata dall'ultimo comma dell'art. 276 c.c. che, a tutela
di controinteressati diversi dagli eredi, riconosce la facoltà di in
tervento a «chiunque vi abbia interesse»; nella specie, il Castella
no Roberto è erede, quale figlio, di Lanzara Maria Giuseppina
(morta il 27 luglio 1978, poco prima della proposizione della do
manda), a sua volta erede ab intestato della cugina Ciccotti Tere
sa (morta il 14 giugno 1971 senza discendenti od ascendenti), la
quale era stata istituita erede, per metà patrimonio, dal germano Ciccotti Giuseppe, presunto padre naturale della Pari; lo stesso
Castellano, quindi, era legittimato a contraddire alla domanda
proposta dalla Pari, ma non rientrava fra i legittimati passivi del
la domanda stessa, con la conseguenza che la pronuncia emessa
senza la di lui partecipazione al giudizio non era affetta da alcu
na nullità.
Avverso questa sentenza Castellano Roberto ha proposto ricor
so per cassazione sulla base di tre motivi illustrati da memoria, cui resiste con controricorso Pari Anna Maria. Il ricorrente prin
cipale ha presentato note d'udienza.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si deduce viola
zione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 276 c.c. in
relazione agli art. 101, 102, 354 c.p.c.), insufficiente e contrad
dittoria motivazione, per avere la corte, pur mostrando di ritene
re che l'azione giudiziaria di paternità instaurata dopo la morte
del presunto padre abbia finalità successorie, contraddittoriamente
negato — in contrasto con precedenti della Suprema corte — la
qualità di passivamente legittimato al ricorrente, il quale è il solo
e vero interessato a resistere all'azione per essere lo stesso pregiu dicato dalla dichiarazione giudiziale di paternità.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazio ne di norma di diritto (art. 274 e 276 c.c. in relazione agli art.
101, 102 e 354 c.p.c.), omesso esame su un punto decisivo della
Il Foro Italiano — 1987.
controversia per non avere la corte tenuto presente che costituen
do il giudizio preliminare per l'ammissibilità dell'azione ex art.
274 c.c. una fase dell'unico giudizio per la dichiarazione giudizia le di paternità ed essendo stato nella fase preliminare il ricorso
notificato a Lanzara Maria Giuseppina, dante causa del ricorren
te, anche nella successiva fase per la pronuncia di merito la cita
zione doveva essere notificata all'attuale ricorrente, quale erede
della parte originariamente convenuta. Per il Castellano, l'omes
so esame di tale punto, espressamente rilevato e comunque rile
vabile d'ufficio, inficia di nullità la sentenza impugnata.
Con il terzo motivo, infine, si deduce violazione e falsa appli
cazione, sotto altro profilo, dell'art. 276 c.c., in relazione agli art. 101, 102 e 354 c.p.c., nonché omesso esame di un punto decisivo della controversia per non avere la corte, una volta esclusa
l'esistenza di eredi diretti del defunto genitore naturale, procedu to all'individuazione dei parenti prossimi di quest'ultimo, passi vamente legittimati, allo scopo di accertare l'esistenza o meno
della dedotta violazione del contraddittorio.
Secondo il ricorrente, ove la corte avesse proceduto a tale ac
certamento avrebbe individuato in esso Castellano la qualità di
parente prossimo, con la conseguente necessaria pronuncia di nul
lità dell'impugnata sentenza.
Tutto ciò premesso, rileva il collegio che si presenta pregiudi ziale — rispetto al primo ed al terzo motivo di ricorso — l'esame
del secondo con il quale si deduce il difetto di integrità del con
traddittorio nel giudizio di merito per non avere la corte rilevato
l'esistenza di un litisconsorzio necessario di natura processuale che imponeva la obbligatoria partecipazione del ricorrente a tale
giudizio, in quanto successore a titolo universale della madre,
parte del giudizio di ammissibilità. Il motivo di ricorso è infondato. La questione sottoposta a
questa corte con la censura in esame consiste nello stabilire se, radicato il giudizio di ammissibilità dell'azione per la dichiarazio ne giudiziale di paternità o maternità naturale nei confronti di
alcuni soggetti, questi ultimi debbano necessariamente far parte anche del successivo giudizio di merito per il sorgere di un litis
consorzio necessario di ordine processuale, anche se non sussisto
no ragioni di ordine sostanziale che impongano la loro partecipa zione al giudizio, e si risolve nell'altra circa i rapporti fra i due
giudizi. Non ignora il collegio che la giurisprudenza di questa corte
è nel senso che il giudizio di ammissibilità e quello di merito
costituiscono due fasi dell'unico procedimento diretto alla dichia
razione giudiziale di paternità o maternità naturale, che ha inizio
con la proposizione del ricorso per l'ammissibilità dell'azione e
prosegue con l'ordinaria citazione, da ciò facendo derivare la con
seguenza che il decreto camerale di ammissibilità dell'azione, ove
non impugnato o comunque divenuto non più impugnabile, ha
portata decisoria in ordine ai presupposti processuali e di merito, con la conseguenza che gli stessi, quali la competenza e la giuris dizione del giudice adito, l'integrità del contraddittorio ed ogni altra questione collegata al giudizio di ammissibilità, ove accerta
ti, anche implicitamente, nel giudizio camerale, non possono più essere discussi nella successiva fase di cognizione ordinaria (Cass. 5 maggio 1983, n. 3078, Foro it., Rep. 1983, voce Filiazione, n. 81; 19 maggio 1981, n. 3286, id., Rep. 1981, voce cit., nn.
53, 73; 16 maggio 1977, n. 1967, id., Rep. 1977, voce cit., n.
52; 10 marzo 1971, n. 683, id., 1971, I, 853).
Tale giurisprudenza ritiene il collegio di dovere sottoporre a
revisione critica per le conseguenze cui giunge ed in considerazio
ne del fatto che le varie pronunce — non esclusa la prima citata
emessa dalle sezioni unite ed alla quale si riporta il ricorrente — lungi dal motivare le conclusioni cui giungono si limitano ad
invocare il precedente conforme, fino a Cass. n. 683 del 1971, la quale, dalla identità delle parti e dalla stretta connessione te
leologica fra i due procedimenti, fa derivare la esistenza di un
unico procedimento di giurisdizione con contenziosa, da cui di
scenderebbe, «come indefettibile corollario, che le due fasi in cui
esso si articola debbono svolgersi davanti allo stesso tribunale, che s'identifica con quello che ha emesso il decreto di ammissibi
lità, ove questo sia passato in giudicato» (Cass. n. 683 del 1971, in motivazione).
Questo indirizzo, elaborato inizialmente sulla base dell'origina ria formulazione dell'art. 274 c.c., non ancora radicalmente ri
strutturato dall'art. 2 1. 23 novembre 1971 n. 1047, dopo l'intervento demolitorio della Corte costituzionale con la senten
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
za n. 70 del 1965 (id., 1965, I, 1369), quando cioè il decreto di ammissibilità era dichiarato non reclamabile e la fase di merito
doveva essere proposta entro termini perentori (cfr. art. 271 c.c.
abrogato dall'art. 115 1. 19 maggio 1975 n. 151), era ed è privo di ogni base testuale, tanto vero che Cass. 16 dicembre 1950, n. 2768 (id., Rep. 1950, voce cit., n. 119), che per la prima aveva affermato l'unicità del procedimento articolato nelle due fasi per ritenere che, ai fini della determinazione della competenza, si aveva
riguardo allo stato di fatto esistente al momento della notifica zione del ricorso, anziché a quello esistente al momento della no tificazione della citazione, osservava testualmente: «l'esigenza che
sull'azione si pronunzi lo stesso giudice, che si è pronunziato sul la sua ammissione, ha consigliato di dare una interpretazione esten siva alla irrilevanza, ai fini della competenza, dei mutamenti dello stato di fatto sopravvenuti quale è configurata dall'art. 5 c.p.c.», ma la stessa sentenza, quando si è trattato di fissare il dies ad
quem entro il quale esercitare a pena di decadenza l'azione, di
menticando l'approvata tesi della unicità di procedimento, l'ha determinato con riferimento alla data della notificazione della ci tazione e non a quella della notificazione del ricorso.
L'indiscutibile rapporto di connessione che vincola i due mo menti giurisdizionali — e che si manifesta sia nell'identità dei
soggetti astrattamente legittimati all'azione, sia nella subordina zione della proponibilità del giudizio di merito all'esistenza del decreto di ammissibilità, salvo il contrasto privo di rilevanza in
questa sede se quest'ultimo costituisca condizione dell'azione (Cass. 15 gennaio 1975, n. 155, id., Rep. 1975 voce cit., nn. 73-78) o, invece, presupposto processuale (Cass. 10 luglio 1978, n. 3441, id., 1979, I, 409; 22 novembre 1980, n. 6217, id., Rep. 1980, voce cit., n. 60) del primo — non può far dimenticare che l'og getto ne è sostanzialmente diverso, perché nel giudizio che si con clude con il decreto si accerta la sussistenza di «specifiche circostanze» idonee ad iniziare il giudizio di merito, mentre in
quest'ultimo si accerta il rapporto di filiazione naturale, sicché
parlare di «unicità di procedimento distinto in due fasi» — utile, forse, da un punto di vista meramente descrittivo, quando si vo
glia evidenziare la connessione fra i due giudizi — è invece im
preciso soprattutto adesso che la fase preliminare ha assunto una sua sostanziale autonomia rispetto alla fase di merito, in conside razione della sua affermata impugnabilità anche in sede di legit timità.
La rilevata distinta esistenza di due procedimenti, sia pure te
leologicamente connessi, attesa la diversità dei rispettivi oggetti,
comporta che il giudicato prodottosi nel giudizio di ammissibilità
opera in quello di merito come giudicato esterno, con tutte le
caratteristiche e le conseguenze che ne derivano.
Al fine, poi, di accertare su cosa ed in che limiti si formi il
giudicato, non bisogna dimenticare che il giudizio di ammissibili tà — pur concludendosi con un provvedimento cui qualche pro nuncia attribuisce tout court configurazione sostanziale di sentenza
(cfr. Cass. 17 dicembre 1980, n. 6521, id., Rep. 1980, voce cit., n. 63) — è sorto ed è stato mantenuto nel nostro ordinamento
(con 1. n. 1047 del 1971) come procedimento per decreto al solo
fine di delibare l'esistenza di «specifiche circostanze» che giustifi cano la successiva azione di merito.
Da quanto precede deriva che tale decreto ha efficacia di giudi cato — se non impugnato o qualora le relative impugnazioni sia no state respinte — solo in quanto decida sull'ammissibilità della
successiva domanda, e cioè incida sull'interesse sostanziale delle
parti ad un bene della vita (Cass. 16 marzo 1981, n. 1480, id.,
1981, I, 1294), ma non anche quando, travalicando i limiti istitu
zionali del potere conferito dalla norma, decida su questioni che
non siano in rapporto di pregiudizialità necessaria con la pronun cia di ammissibilità, anche se sono pregiudiziali o preliminari ri
spetto alla successiva, autonoma, decisione di merito, senza che
possa in contrario invocarsi che questi ultimi accertamenti, in quan to contenuti in un provvedimento decisorio avente natura di sen
tenza, sono comunque suscettibili di passare in giudicato in quanto non impugnati con i mezzi propri.
Requisito indispensabile perché possa ravvisarsi l'esistenza di
una sentenza è che la stessa sia sottoscritta dal presidente e dal
l'estensore, mentre, nella specie, trattandosi di un decreto, il prov vedimento è sottoscritto dal solo presidente, con la conseguenza che il vizio che inficia il provvedimento è una nullità assoluta
ed insanabile, deducibile anche fuori dei limiti e delle regole del
l'appello e del ricorso per cassazione (Cass. 8 giugno 1981, n.
Il Foro Italiano — 1987.
3678, id., 1981, I, 2738; 9 marzo 1981, n. 1297, ibid., 639) e con l'ulteriore conseguenza che eventuali pronunce contenute in
tale decreto su questioni eccedenti i limiti del giudicato di ammis
sibilità sono inidonee a costituire giudicato opponibile nella suc cessiva azione di merito e non impediscono che sulle stesse si
pronunzi il collegio che delle stesse deve conoscere. Infatti il decreto ex art. 274 c.c., solo quando si mantiene nei
limiti che gli sono propri, e cioè provveda sull'ammissibilità della
azione, rientra fra i provvedimenti decisori e non altrimenti im
pugnabili in ordine ai quali è ammesso il ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, ed è idoneo ad acquistare efficacia di giudicato in tali limiti, se non impugnato, mentre, qualora lo stesso prov veda su materie diverse, non è riconducibile nello schema proprio del decreto ex art. 275 c.c. e non ha attitudine a produrre, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale nel successivo giudizio di merito, dal momento che, in quest'ulti ma ipotesi, non si è in presenza del decreto tipizzato dalla nor
ma, ma di una sentenza inesistente perché non ritualmente sottoscritta.
Da quanto precede deriva, quindi, innanzitutto, che la compe tenza o la giuridizione affermata — esplicitamente o implicita mente — nel provvedimento di ammissibilità non possono essere
poste in discussione nella fase di merito, quale competenza o giu risdizione del giudice dell'ammissibilità, ma non escludono il
potere-dovere del giudice del merito di individuare la sussistenza di tali presupposti sulla base della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda, tanto se la situazione di fatto sia mutata rispetto a quella precedente quanto se, pur es sendo identica, sia stata male interpretata dal primo giudice, sen za che ciò costituisca violazione del precedente giudicato, trattandosi di autonomo accertamento di un presupposto proces suale o di merito di un autonomo giudizio, che non può essere
pregiudicato da una pronuncia emessa ai limitati fini del giudizio di ammissibilità. Ciò permette altresì' di fare corretta applicazio ne dei principi generali che non consentono — ad eccezione dei casi eccezionali tassativamente indicati dalla legge e non esistenti nella specie — che il giudice investito da una domanda possa essere privato del potere riconosciutogli di accertare la propria competenza o giurisdizione in ordine alla domanda stessa, per il fatto che lo stesso giudice in un procedimento diverso ed in una situazione diversa abbia deciso tali questioni; per tacere poi del rilievo di ordine pratico per il quale il lungo tempo, normal mente intercorrente fra l'inizio del giudizio di ammissibilità e l'i
nizio di quello di merito, rende più conveniente per le parti adire il giudice competente in base alla situazione esistente in quest'ul timo momento.
Ed analogamente si deve ritenere che la pronuncia in punto di ammissibilità dell'azione nei confronti di alcuni determinati contraddittori non obbliga il giudice del merito a considerare gli stessi come unici legittimi contraddittori necessari nel giudizio con
tenzioso.
Due, infatti, sono le situazioni che possono concretamente ve rificarsi: o nel giudizio di ammissibilità non sono stati convenuti
tutti i contraddittori necessari o in tale giudizio sono stati conve nuti anche soggetti non passivamente legittimati.
Nella prima ipotesi il litisconsorte pretermesso può sempre far valere l'inopponibilità nei suoi confronti del giudizio preliminare, trattandosi di una pronuncia inutiliter data; nella seconda il giu dice del merito può limitare la partecipazione al giudizio ai sog getti effettivamente legittimati all'azione, senza che possa invocarsi l'esistenza di un litisconsorzio necessario di ordine processuale, trattandosi di concetto utilizzabile nell'ambito di un unico proce dimento e non anche in presenza di due distinti procedimenti,
pure se teleologicamente connessi, e ciò del resto in conformità ai principi generali, che demandano al giudice nella causa da de
cidere il potere di accertare la legittimazione delle parti a con
traddire, ed all'economia dei giudizi, essendo evidentemente
ultroneo far partecipare ad un giudizio soggetti non legittimati e senza che, anche in questa fattispecie, possa invocarsi il prece dente giudicato, attesa la sua limitata operatività in precedenza evidenziata.
Concludendo, su tale punto, si deve quindi ritenere che, in te
ma di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, il procedimento di ammissibilità e quello di merito, pur teleologi camente connessi, sono ontologicamente distinti ed essendo il primo diretto ad accertare, con efficacia di giudicato, solo la sussistenza
di «specifiche circostanze», che giustificano la successiva azione
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1443 PARTE PRIMA 1444
di merito per l'accertamento del rapporto di filiazione naturale,
eventuali diversi accertamenti nello stesso, implicitamente o espli citamente contenuti, sono idonei ad acquistare analoga efficacia
solo nei limiti in cui gli stessi sono presupposti necessari del giu dizio di ammissibilità, con la conseguenza che la presenza di al
cuni determinati contraddittori nel giudizio camerale non impone al giudice del procedimento contenzioso ordinario di integrare il
contraddittorio nei confronti di tali soggetti, ove questo giudice
ritenga che i soggetti pretermessi non siano passivamente legitti mati nel giudizio innanzi a lui proposto.
Sulla base delle precedenti osservazioni deve quindi rigettarsi il secondo motivo di ricorso, non essendo ravvisabile alcuna nul
lità nella sentenza impugnata per non avere rilevato che il giudi zio di primo grado non si era svolto nei confronti di tutti e degli stessi soggetti che erano stati parti del giudizio di ammissibilità,
mentre diverso problema è quello che sarà esaminato in prosie
guo e cioè se l'attuale ricorrente rientrasse fra i soggetti legittima ti passivamente nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di
paternità. Passando all'esame del primo e del terzo motivo di ricorso,
da esaminarsi congiuntamente, in quanto logicamente connessi,
si osserva che con gli stessi il ricorrente sostiene la propria legitti mazione passiva nell'azione per la dichiarazione giudiziale di pa ternità sotto un duplice profilo — pur se il secondo è proposto subordinatamente al mancato accoglimento del primo — e preci samente per essere interessato, nella sua qualità di erede della
madre, a sua volta erede dell'erede del presunto padre naturale
della attuale resistente, all'azione dalla stessa proposta e per esse
re comunque ricompreso fra i parenti prossimi entro il quinto
grado del defunto.
Anche tali censure, peraltro ottimamente argomentate invocan
do un non recente precedente di questa corte, sono infondate.
Il problema sottoposto al collegio è duplice e consiste innanzi
tutto nell'interpretare l'art. 276, 1° comma, c.c., nella parte in
cui indica quali legittimati passivi dell'azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità o maternità naturale, in caso di mancanza
del presunto genitore, i suoi eredi e, successivamente, nello stabi
lire contro chi vada proposta tale azione in caso di mancanza
anche degli eredi.
Ritiene il collegio che il riferimento agli «eredi» del presunto
genitore naturale mancante quali legittimati passivi debba inten
dersi come indicante i soli eredi del de cuius senza alcuna possibi lità di ricomprendere anche gli aventi causa degli stessi o qualsiasi altro soggetto che dall'accertamento dello stato di filiazione pos sa subire pregiudizi di ordine patrimoniale e cioè per la chiarezza
del termine tecnico usato, per la omessa indicazione fra i legitti mati degli «aventi causa», pur trattandosi di espressione — come
ben nota la sentenza impugnata — conosciuta dal legislatore ed
adoperata sovente accanto alla parola «eredi» ogni qualvolta si
sia voluta estendere a siffatti soggetti una determinata fattispecie
legale (cfr. art. 2908 e 2909 c.c.) e per la espressa previsione fra
i legittimati a contraddire alla domanda di «chiunque vi abbia
interesse» (art. 276, 2° comma, c.c.), il quale non per ciò solo
acquista la qualità di legittimato passivo. Tale scelta — operata dal legislatore del 1942 per risolvere il
problema sorto sotto il vigore (dell'art. 191) del codice civile del
1865 sulla proponibilità per la prima volta dell'azione in caso
di morte del presunto genitore — non si presenta incoerente od
eccezionale (come è stato sostenuto in dottrina) rispetto ai princi
pi che governano le azioni di stato, le quali sono per loro natura
strettamente personali e quindi intrasmissibili agli eredi, né deve
far ritenere — come è stato affermato da una non recente deci
sione invocata dal ricorrente e che il collegio non ritiene di condi
videre — che la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità
naturale, in caso di morte del presunto genitore, abbia solo fina
lità successorie, facendo da ciò derivare che quando tale azione
sia esercitata al solo scopo di conseguire l'eredità dell'ascendente
immediato del genitore naturale, legittimati passivi dell'azione sono
gli eredi ed i chiamati all'eredità dell'ascendente legittimo, essen
do questi i veri interessati a resistere (Cass. 8 giugno 1968, n.
1754, id., 1968, I, 1744). A tale proposito è infatti sufficiente rilevare — come è stato
osservato da autorevole dottrina — che il principio in base al
quale le azioni di stato sono per loro natura strettamente perso nali e quindi tali da poter essere fatte valere principalmente da
chi abbia un interesse personale all'azione, vale per il lato attivo, ma non anche per il lato passivo del rapporto e che benché negli
li Foro Italiano — 1987.
stati familiari non sia ravvisabile un lato attivo ed un lato passi
vo, alla stessa stregua di quanto avviene nei rapporti giuridici
patrimoniali, è innegabile che, rispetto all'accertamento della fi
liazione, la posizione del figlio nei confronti del genitore ha il
carattere di una pretesa, sia pure strettamente personale ed indi
sponibile, laddove la posizione del genitore si manifesta come
di soggezione alla pretesa del figlio e la soggezione, proprio per ché tale, non può configurarsi come personale ed indisponibile, con la conseguenza che la trasmissibilità della legittimazione agli eredi lungi dall'essere frutto di una incoerente scelta di politica
legislativa, si presenta come normale applicazione dei principi ge nerali del nostro sistema giuridico.
Né da tale legittimazione passiva si può arguire una finalità
esclusivamente successoria della dichiarazione giudiziale proposta in caso di morte del presunto genitore, facendo da ciò derivare
un ampliamento della categoria dei legittimati passivi in funzione
della loro qualità di soggetti aventi interessi (patrimoniali) con
trari all'accertamento della filiazione.
Contrastano tali conclusioni: il rilievo in precedenza formulato
circa la coerenza della scelta operata, la circostanza che la legitti mazione attiva alla relativa azione è riconosciuta oltre che al fi
glio, in caso di sua morte, anche ai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti dallo stesso a prescindere dalla loro quali tà di eredi, con la conseguenza che tale azione prescinde da qual siasi contenuto successorio quando è proposta da discendenti non
eredi, l'osservazione per la quale anche se il legislatore nel com
piere la scelta dei legittimati passivi non ha trascurato l'aspetto
successorio della questione, non da ciò solo può ricostruirsi un
sistema imperniato sull'elemento patrimoniale dell'azione di rile
vanza costituzionale e prendendo da ciò spunto per estendere,
pressoché illimitatamente, la categoria dei legittimati passivi. In realtà, ritiene il collegio che il legislatore del 1942, quando
ha individuato negli eredi del presunto genitore i legittimati passi vi dell'azione, ha voluto fornire all'attore una indicazione che
gli permettesse di individuare con la massima facilità i soggetti contro i quali proporre l'azione, sicché non è senza ragione la
mancata scelta fra i legittimati dei parenti prossimi del defunto,
trattandosi di indicazione che, per essere realizzata, avrebbe com
portato particolari indagini, con il pericolo di un litisconsorzio
difficilmente integro e attraverso la citazione in giudizio di sog
getti che, spesse volte, erano indifferenti all'accoglimento o alla
reiezione della domanda.
Si può, pertanto, concludere che in tema di dichiarazione giu diziale di paternità o maternità naturale, passivamente legittimati
sono, in mancanza del presunto genitore, i suoi soli eredi, senza
alcuna possibilità di estendere la legittimazione agli aventi causa
da questi ultimi o a soggetti che comunque abbiano un interesse
contrario all'accoglimento della domanda, avendo questi ultimi
la sola legittimazione a contraddire alla domanda ex art. 276, 2° comma, c.c. e non anche quella di essere citati in giudizio come legittimi contraddittori.
La sentenza della Corte d'appello di Napoli che, in applicazio ne degli esposti principi, ha respinto la domanda del Castellano,
non riconoscendo allo stesso la qualità di litisconsorte necessario
nel giudizio proposto da Pari Anna Maria, non merita quindi alcuna censura. (Omissis)
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