sezione I civile; sentenza 28 febbraio 1996, n. 1577; Pres. R. Sgroi, Est. Criscuolo, P.M. Iannelli(concl. diff.); Min. grazia e giustizia e Commissario straordinario per la formazione dell'albodegli psicologi della Campania (Avv. dello Stato Sclafani) c. Balzano. Cassa App. Napoli 9 gennaio1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2453/2454-2463/2464Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190088 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
guardo al giudizio conclusosi in primo grado con l'accertamen
to dell'illegittimità del licenziamento e la condanna al risarci
mento del danno in favore del lavoratore, non è precluso al
datore di lavoro di eccepire anche in grado di appello (al fine
di veder ridotto, fermo restando il limite legale delle cinque men
silità di retribuzione, il danno subito dal lavoratore prima del
l'ordine di reintegrazione) la compensatiti lucri cum damno per avere il suddetto lavoratore trovato un'altra occupazione, e per
avere percepito quindi un altro reddito, atteso che l'allegazione di tale circostanza di fatto non ha carattere della eccezione in
senso proprio e quindi non è soggetta alle preclusioni di cui
all'art. 437 c.p.c. (così Cass. 12 marzo 1986, n. 1677, Foro it.,
Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 495, cui
adde, più di recente, Cass. 15 gennaio 1990, n. 116, id., Rep.
1990, voce cit., n. 291). In senso contrario è stato però statuito
che l'affermazione fatta dal datore di lavoro di avere il lavora
tore licenziato svolto attività lavorativa formulata dal datore
di lavoro (ai fini della riduzione del risarcimento a detto lavora
tore spettante ai sensi della prima parte del 1° comma dell'art.
18 1. n. 300 del 1970) integra una eccezione in senso proprio — in quanto per suo tramite si oppone l'esistenza di un deter
minato fatto, impeditivo del diritto azionato, ed ulteriore ri
spetto a quelli appartenenti al thema decidendi introdotti dalla
domanda — sicché tale deduzione oltre a non potere essere sol
levata d'ufficio dal giudice è soggetta alle preclusioni previste
dagli art. 416 e 437 c.p.c. (cfr. Cass. 14 giugno 1994, n. 5766,
id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 1677 cui adde, in
precedenza, Cass. 6 febbraio 1982, n. 710, id., Rep. 1982, voce
Lavoro e previdenza (controversie), 506).
Quest'ultimo orientamento si basa soprattutto sul presuppo sto che nella fattispecie in esame debba farsi riferimento alla
previsione dell'art. 1227, 2° comma, c.c. (secondo la quale il
risarcimento del danno per inadempimento non spetta per i danni
che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria dili
genza) e sull'ulteriore assunto che detta disposizione, in quanto inerente ad un diritto che si contrappone a quello esercitato
in giudizio con l'azione, configuri una eccezione in senso pro
prio, come tale non rilevabile d'ufficio (in tali sensi: Cass. 14
giugno 1994, n. 5766, cit.; e per l'affermazione che l'esimente
contemplata nel 2° comma dell'art. 1227 c.c. configuri una ec
cezione in senso sostanziale, cfr., ex plurimis, Cass. 12 luglio
1993, n. 7672, id., Rep. 1993, voce Danni civili, n. 64; 16 no
vembre 1992, n. 12267, id., Rep. 1992, voce cit., n. 66; 28 apri
le 1988, n. 3209, id., Rep. 1988, voce cit., nn. 148, 203; 11
febbraio 1988, n. 1473, ibid., nn. 149, 150). Ritiene questo collegio di non potere condividere tali argo
mentazioni e di dovere aderire invece all'orientamento che con
sidera eccezione in senso lato, rientrante nell'attività difensiva,
come tale sottratta alle preclusioni di cui all'art. 437 c.c., l'ec
cezione con la quale il datore di lavoro assume — al fine di
limitare la propria responsabilità per inadempimento — che il
dipendente licenziato ha trovato un nuovo posto di lavoro. Tale
fattispecie infatti va più esattamente inquadrata nella previsione normativa dell'art. 1223 c.c., che regola la compensazione del
lucro con il danno. In questo caso non si oppone un nuovo
fatto a quello già introdotto dall'attore in giudizio come thema
decidendum ma ci si limita ad offrirne una diversa rappresen tazione.
In altri termini, mentre con la pretesa ex art. 18 statuto lavo
ratori al risarcimento dei danni subiti il lavoratore deduce un
inadempimento (causa del suo stato di disoccupazione protrat tosi per un certo tempo) per farne derivare la quantificazione dei danni in un determinato ammontare, il datore di lavoro dà
una diversa ricostruzione e rappresentazione dello stesso fatto
genetico, sostenendo una minore durata della disoccupazione
e, conseguentemente, profilando un danno di diverso e minore
importo per effetto della parziale elisione dei pregiudizi e dei
profitti, attraverso il principio della compensalo lucri cum da
mno (cfr., in tali sensi, Cass. 12 marzo 1986, n. 1677, cit.). Contrariamente a quanto accade per l'istituto della compensa zione dei crediti ex art. 1241 ss. c.c., che configura una eccezio
ne in senso sostanziale in quanto ad un credito se ne contrappo
ne un altro di diversa causale con diretto ampliamento dell'ini
ziale oggetto della controversia, nella fattispecie in esame tutto
si risolve all'interno dell'oggetto iniziale della controversia, in
linea con il generale principio del danno risarcibile, inteso nel
senso che tale danno costituisce il risultato di una valutazione
Il Foro Italiano — 1996.
globale delle conseguenze dirette dell'illecito nella sfera econo
mica del danneggiato (per la statuizione che l'applicabilità delle
disposizioni ex art. 1241 ss. c.c., riguardanti la compensazione in senso tecnico-giuridico, postuli l'autonomia dei rapporti da
cui nascono i contrapposti crediti delle parti e pertanto deve
escludersi allorché i rispettivi crediti abbiano origine da un uni
co rapporto, cfr., fra le innumerevoli, Cass. 19 marzo 1994, n. 2635, id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 1617; 7
ottobre 1991, n. 10447, id., Rep. 1991, voce Agenzia, n. 47; 16 gennaio 1988, n. 301, id., Rep. 1988, voce Mandato, n. 8).
Nell'operare una riduzione dell'ammontare del risarcimento
dei danni, il tribunale ha fatto, poi, un corretto uso dei suoi
poteri, ritenendo sulla base delle risultanze istruttorie (prova do
cumentale per giurisprudenza costante ammissibile in grado di
appello e giuramento decisorio) che i lavoratori dipendenti della
società «Il Vigile» abbiano solo dopo breve tempo dal licenzia
mento (e cioè nel maggio 1990) trovato una nuova occupazione.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 feb
braio 1996, n. 1577; Pres. R. Sgroi, Est. Criscuolo, P.M.
Ianneixi (conci, diff.); Min. grazia e giustizia e Commissario
straordinario per la formazione dell'albo degli psicologi della
Campania (Aw. dello Stato Sclafani) c. Balzano. Cassa App.
Napoli 9 gennaio 1993.
Professioni intellettuali — Psicologo — Albo — Iscrizione —
Regime transitorio — Requisiti — Svolgimento di attività di
dattica presso enti diversi da università e strutture di specifica rilevanza scientifica — Insufficienza (L. 18 febbraio 1989 n.
56, ordinamento della professione di psicologo, art. 32).
Posto che, in sede di prima applicazione della legge istitutiva,
l'attività didattica costituisce titolo per l'iscrizione negli albi
degli psicologi, soltanto se prestata nelle università o in strut
ture di specifica rilevanza scientifica, non è sufficiente l'inse
gnamento di psicologia e psicoanalisi svolto presso un centro
di ricerche e formazione e altri enti pubblici. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 feb
braio 1996, n. 1576; Pres. R. Sgroi, Est. Criscuolo, P.M.
Iannelli (conci, diff.); Min. grazia e giustizia e Commissario
straordinario per la formazione dell'albo degli psicologi della
Campania (Avv. dello Stato Sclafani) c. Bruno (Avv. Scar
petta, Soprano). Cassa App. Napoli 6 febbraio 1993.
Professioni intellettuali — Psicologo — Albo — Iscrizione —
Regime transitorio — Controversie — Rito camerale (L. 18
febbraio 1989 n. 56, art. 17, 19). Professioni intellettuali — Psicologo — Albo — Iscrizione —
. Regime transitorio — Requisiti — Prestazioni richiedenti sol
tanto buona attitudine didattica e valida esperienza pedagogi ca — Insufficienza (L. 18 febbraio 1989 n. 56, art. 32).
Nelle controversie relative all'iscrizione negli albi degli psicolo
gi, in sede di prima applicazione della legge istitutiva, si deve
procedere secondo lo speciale rito camerale previsto dalla stessa
legge per la fase «a regime». (2)
(1, 3, 7) Nelle tre massime sono riassunte le prime e finora uniche
decisioni, nella giurisprudenza di legittimità, in materia di requisiti ne
cessari per l'iscrizione negli albi degli psicologi, in sede di prima appli cazione della legge istitutiva.
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2455 PARTE PRIMA 2456
Nelle controversie relative all'iscrizione negli albi degli psicolo
gi, in sede di prima applicazione della legge istitutiva, occorre
verificare la continuità e la reale attinenza alla psicologia del
l'attività svolta dall'aspirante, la quale richiede la capacità
professionale propria dello psicologo e non semplicemente una
buona attitudine didattica e una valida esperienza peda
gogica. (3)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 gen naio 1996, n. 156; Pres. R. Sgroi, Est. Criscuolo, P.M. Tondi
(conci, conf.); Del Mastro (Avv. Marone) c. Min. grazia e
giustizia e Commissario straordinario per la formazione del
l'albo degli psicologi della Campania; Min. grazia e giustizia e Commissario straordinario per la formazione dell'albo degli
psicologi della Campania (Avv. dello Stato Sclafani) c. Del
Mastro. Conferma App. Napoli 21 novembre 1992.
Professioni intellettuali — Psicologo — Albo — Iscrizione —
Regime transitorio — Controversie — Parti necessarie — Com
missario straordinario preposto alla formazione dell'albo (L. 18 febbraio 1989 n. 56, art. 31).
Professioni intellettuali — Psicologo — Albo — Iscrizione —
Regime transitorio — Controversie — Rito camerale (L. 18
febbraio 1989 n. 56, art. 17, 19). Professioni intellettuali — Psicologo — Albo — Iscrizione —
Regime transitorio — Controversie — Ministero di un difen
sore — Necessità (Cod. proc. civ., art. 82).
Nelle controversie relative all'iscrizione negli albi degli psicolo
gi, in sede di prima applicazione della legge istitutiva, è parte necessaria il commissario straordinario preposto in ogni re
gione alla formazione dell'albo. (4)
La Corte di cassazione — che pure aveva considerato tali condizioni come oggetto di insindacabili accertamenti di mero fatto: Cass. 21 gen naio 1994, n. 564, Foro it., Rep. 1994, voce Professioni intellettuali, n. 50; 19 aprile 1994, n. 3716, ibid., n. 49 — sembra orientarsi nel senso di pretendere dai giudici di merito, sotto il profilo dell'adeguatez za della motivazione, un controllo particolarmente penetrante delle va lutazioni compiute dai commissari straordinari preposti alla formazione
degli albi in regime transitorio: valutazioni che peraltro dovrebbero con sistere nella semplice «individuazione di circostanze, senza alcun margi ne di discrezionalità», secondo quanto si è ritenuto nell'affermare che la cognizione delle relative controversie è riservata all'autorità giudizia ria ordinaria: oltre a Cass. 7 dicembre 1992, n. 12966, id., Rep. 1993, voce cit., n. 61, richiamata nella motivazione delle sentenze 156/96 e
1576/96, v. Cass. 20 marzo 1991, n. 2994, id., 1991, I, 1086; 21 gen naio 1992, n. 682, id., Rep. 1992, voce cit., n. 44; 20 febbraio 1992, n. 2096, ibid., n. 45; 7 dicembre 1992, n. 12982, ibid., n. 50; 15 luglio 1993, n. 7839, id., Rep. 1993, voce cit., n. 65; 2 maggio 1994, n. 4182, id., Rep. 1994, voce cit., n. 48; 25 maggio 1995, n. 5802, id., Mass., 688. La stessa soluzione, ugualmente nel presupposto che la legge ri chieda requisiti predeterminati in maniera rigorosa, tanto da non con sentire alcun margine di discrezionalità, è stata poi estesa da Cass. 25
maggio 1995, n. 5803, id., 1995, I, 2463, alle controversie relative al l'ammissione alla speciale sessione di esami di Stato, prevista come ul teriore modo di accesso alla professione, sempre in regime transitorio.
(2, 5) La motivazione della sentenza 156/96, nella parte omessa, è esattamente conforme, sul punto, a quella della sentenza 1576/96.
La questione, in precedenza, non era mai stata affrontata se non
indirettamente, sotto il più limitato profilo dell'applicabilità, nella fase
transitoria, di singole disposizioni della complessa disciplina dello spe ciale rito camerale previsto per l'impugnazione delle deliberazioni dei
consigli dell'ordine, per quando la legge istitutiva della professione di
psicologo avrebbe operato «a regime» e le soluzioni erano state contra stanti: negativa in Cass., ord. 28 maggio 1992, n. 479, Foro it., Rep. 1992, voce Professioni intellettuali, n. 46, e 7 dicembre 1992, n. 12966, ibid., n. 49, quanto all'intervento obbligatorio del pubblico ministero, prescritto dagli art. 17 e 19; positiva in Cass. 26 agosto 1994, n. 7515, id., Rep. 1994, voce cit., n. 46, quanto al termine per la proposizione dell'impugnazione, stabilito dall'art. 18.
Il principio della «indifferenza dei riti», richiamato nelle sentenze in
rassegna, è stato affermato con riferimento non solo al caso di adozio ne del procedimento ordinario in luogo di uno speciale (v., da ultimo, Cass. 30 agosto 1995, n. 9163, id., Mass., 1018, in tema di appello avverso sentenze di separazione o divorzio), ma anche all'ipotesi inver sa (v., da ultimo, Cass. 21 dicembre 1993, n. 12657, id., Rep. 1994, voce Matrimonio, n. 139, in tema di delibazione di sentenze ecclesiasti
II Foro Italiano — 1996.
Nelle controversie relative all'iscrizione negli albi degli psicolo
gi, in sede di prima applicazione della legge istitutiva, si deve
procedere secondo lo speciale rito camerale previsto dalla stessa
legge per la fase «a regime». (5) Nelle controversie relative all'iscrizione negli albi degli psicolo
gi, in sede di prima applicazione della legge istitutiva, l'aspi rante non può stare in giudizio personalmente, ma deve avva
lersi del ministero di un difensore. (6)
IV
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 17 gen naio 1995, n. 491; Pres. Girone, Est. Triola, P.M. Macca
rone (conci, conf.); Globo (Avv. Scarpetta) c. Min. grazia e giustizia e Commissario straordinario per la formazione del
l'albo degli psicologi della Campania (Aw. dello Stato Scla
fani). Conferma App. Napoli 9 gennaio 1993.
Professioni intellettuali — Psicologo — Albo — Iscrizione —
Regime transitorio — Requisiti — Insegnamento presso isti
tuto secondario — Insufficienza (L. 18 febbraio 1989 n. 56, art. 32).
Posto che, in sede di prima applicazione della legge istitutiva, l'attività didattica costituisce titolo per l'iscrizione negli albi
degli psicologi, soltanto se prestata nelle università o in strut
ture di specifica rilevanza scientifica, non è sufficiente l'inse
gnamento di psicologia sociale presso un istituto di istruzione
secondaria. (7)
I
Motivi della decisione. — Col primo mezzo di cassazione il
ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 32, lett. a) e e), 1. 18 febbraio 1989 n. 56, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. La Corte di appello di Napoli — sostiene il ricor
rente — avrebbe ravvisato il diritto del Balzano all'iscrizione
nell'albo degli psicologi, ai sensi dell'art. 32, lett. c, 1. cit., per ché dalla documentazione prodotta risulterebbe lo svolgimento
per almeno sette anni di attività di collaborazione attinente alla
psicologia, comprendendo in tale espressione anche l'attività di
dattica. Tale interpretazione sarebbe suffragata da due argo menti: 1) l'art. 1 1. 56/89, nel definire la professione di psicolo
go, indica, oltre all'attività di sperimentazione e ricerca, anche
l'attività didattica; 2) non rileva che l'art. 32, lett. a), contempli solo l'insegamento universitario o in strutture di particolare ri
levanza scientifica, perché le norme di cui alle lett. a) e c) del
citato art. 32 sono complementari. Tali argomentazioni sareb
bero erronee perché terrebbero in non cale le specifiche finalità
che la disciplina transitoria della 1. 56/89 (in cui l'art. 32 si
colloca) tende a realizzare. Il legislatore avrebbe ritenuto non
necessario, nella sola fase di prima applicazione della legge, l'e
same di abilitazione in quanto i requisiti di cui al menzionato
art. 32 sarebbero in grado di soddisfare l'esigenza di consentire
lo svolgimento della professione di psicologo a persone profes sionalmente e culturalmente preparate, in possesso della neces
saria capacità teorica e pratica. A tali effetti l'art. 32 già con
che in materia matrimoniale), purché non ne sia derivato un concreto
pregiudizio per alcuna delle parti. (4) Conf., oltre a Cass. 7 dicembre 1992, n. 12966, Foro it., Rep.
1992, voce Professioni intellettuali, n. 47, citata in motivazione, Cass. 2 maggio 1994, n. 4182, id., Rep. 1994, voce cit., n. 47.
(6) Non constano precedenti editi in termini. La necessità del patrocinio legale nei procedimenti camerali «conten
ziosi» è stata affermata, oltre che con le pronunce citate in motivazione
(Cass. 30 dicembre 1989, n. 5831, Foro it., 1990, I, 1238, con nota di Pazzi e Proto Pisani; 24 giugno 1989, n. 3099, id., 1989, I, 2138, entrambe in tema di delibazione di sentenze ecclesiastiche in materia
matrimoniale; 5 agosto 1988, n. 4847, id., Rep. 1989, voce Arbitrato, n. 84, in tema di liquidazione del compenso spettante ad arbitri), da ultimo da Cass. 29 maggio 1990, n. 5026, id., Rep. 1991, voce Matri
monio, n. 149, ugualmente in tema di delibazione di sentenze ecclesia stiche in materia matrimoniale, con riguardo a un procedimento inizia to su ricorso congiunto degli interessati. Invece Cass. 10 luglio 1991, n. 7640, ibid., voce Adozione, n. 74, ha escluso tale necessità, per i
genitori, nel procedimento di dichiarazione di adottabilità di minorenni.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tempia in modo specifico l'attività didattica nella lett. a), limi
tando l'iscrizione «di diritto» ai professori universitari e a quel li che abbiano insegnato in strutture di particolare rilevanza scien
tifica. Non sarebbe perciò corretto inserire l'attività didattica
anche nella lett. e), così recupernado un livello d'insegnamento escluso dalla lett. a). D'altro canto l'art. 32, per la sua natura
di norma transitoria ed eccezionale, non potrebbe essere inter
pretato estensivamente, stante la necessità di salvaguardare l'in
teresse pubblico a che una professione così delicata sia esercita
ta da persone competenti. Col secondo mezzo il ricorrente denunzia ulteriore violazione
dell'art. 32, lett. c), 1. 56/89, nonché omessa motivazione su
punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, nn.
3 e 5, c.p.c. Afferma che, a mente del citato art. 32, l'attività
di collaborazione o consulenza attinente alla psicologia deve es
sere svolta per sette anni «effettivamente in maniera continuati
va». La sentenza impugnata avrebbe omesso l'accertamento sul
punto senza motivare sui motivi di appello in cui si rilevava
che l'attività didattica documentata dal Balzano era limitata a
poche ore settimanali (onde non poteva avere la pienezza d'im
pegno caratterizzante l'esercizio effettivo di un'attività profes
sionale), e che non risultava documentato il settennio continua
tivo, considerata anche la diversità degli insegnamenti, alcuni
dei quali evidentemente non attinenti alla psicologia. Le censure così riassunte, che vanno esaminate congiuntamente
perché tra loro connesse, sono fondate nei termini in prosieguo indicati.
L'art. 32 1. 56/89, collocato tra le norme transitorie, discipli na l'iscrizione all'albo in sede di prima applicazione della legge. Esso — in deroga all'art. 7, lett. c), in regime ordinario, richie
de tra le condizioni per l'iscrizione all'albo il possesso dell'abili
tazione all'esercizio della professione — consente detta iscrizio
ne (su domanda da presentarsi entro sessanta giorni dalla nomi
na del commissario di cui all'art. 32):
a) ai professori ordinari, straordinari, associati, fuori ruolo
e in quiescenza, che insegnino o abbiano insegnato discipline
psicologiche nelle università italiane o in strutture di particolare rilevanza scientifica anche sul piano internazionale, nonché ai
ricercatori e assistenti universitari di ruolo in discipline psicolo
giche e ai laureati che ricoprano o abbiano ricoperto un posto di ruolo presso una istituzione pubblica in materia psicologica,
per il cui accesso sia attualmente richiesto il diploma di laurea
in psicologia;
b) a coloro che ricoprano o abbiano ricoperto un posto di
ruolo presso istituzioni pubbliche con una attività di servizio
attinente alla psicologia, per il cui accesso sia richiesto il diplo ma di laurea e che abbiano superato un pubblico concorso, ov
vero che abbiano fruito delle disposizioni in materia di sanatoria;
c) ai laureati che da almeno sette anni svolgano effettivamen
te in maniera continuativa attività di collaborazione o consulen
za attinenti alla psicologia, con enti o istituzioni pubbliche o
private;
d) a coloro che abbiano operato per almeno tre anni nelle
discipline psicologiche ottenendo riconoscimenti nel campo spe cifico a livello nazionale o internazionale.
Come si vede, il tenore testuale della disposizione normativa
definisce con una certa precisione le categorie di soggetti cui — in sede di prima applicazione della legge — è consentita l'i
scrizione all'albo senza essere in possesso dell'abilitazione all'e
sercizio della professione. In particolare, lo svolgimento di atti
vità didattica è previsto come titolo abilitativo nella lett. a) del
cennato art. 32, che però lo circoscrive ad un livello particolar
mente specificato (insegnamento universitario o in strutture di
specifica rilevanza scientifica). Sembra evidente che, se l'attività
didattica forma oggetto di apposita previsione normativa, essa
assume significato — ai fini della iscrizione nell'albo professio nale entro i limiti di detta previsione che resterebbe elusa e pri
va di contenuto ove un'attività didattica a livello diverso fosse
recuperata come titolo abilitativo collocandola in un'altra cate
goria tra quelle descritte nel medesimo art. 32. Non si compren
derebbe, infatti, perché il legislatore abbia circoscritto la rile
vanza dell'attività di insegnamento a quella indicata nella lett.
a), se poi qualsiasi attività didattica in materia psicologica, in
quanto qualificabile come attività attinente alla psicologia, po
tesse essere invocata per ottenere l'iscrizione all'albo profes
sionale.
Il Foro Italiano — 1996.
Né appare producente il riferimento, operato dalla sentenza
impugnata, al disposto dell'art. 1 1. 56/89 che, nel definire la
professione di psicologo, comprende tra i settori operativi an
che le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in ambito
psicologico. È ben vero che anche l'attività didattica nel campo
specifico appartiene a quel settore. Ma ciò non esclude che la
legge, al peculiare fine di identificare titoli abilitativi presunti
(quali nella sostanza sono quelli contemplati nell'art. 32), possa circoscrivere la rilevanza di detta attività, restringendola a livelli
particolarmente qualificati, nel quadro di una scelta legislativa che tende a garantire buoni profili di professionalità in chi è
abilitato a svolgere una professione senza dubbio delicata.
La corte di merito ha trascurato i suddetti profili, ricondu
cendo sic et simpliciter l'attività didattica svolta dal Balzano
nel concetto di attività attinente alla psicologia e così incorren
do nella denunziata violazione di legge. Per superare quest'ulti ma non giova addurre che, attribuendo alla lett. a) dell'art. 32
la portata limitativa dianzi indicata, si ridurrebbe ingiustificata mente il significato dell'art. 1 della medesima 1. 56/89, nella
parte in cui fa espresso riferimento proprio all'attività didatti
ca. Già si è detto che tale riferimento non esclude il potere del legislatore — nella specie positivamente esercitato — di cir
coscrivere l'ambito di rilevanza dell'attività didattica nel mo
mento in cui si tratta di attribuirle specifica valenza abiiitativa
ai fini dell'iscrizione all'albo. E si deve qui aggiungere che tale
restrizione appare coerente con le finalità perseguite dalla nor
mativa contenuta nell'art. 32 cit. il quale — nel momento in
cui ha ritenuto, in sede di prima applicazione della 1. n. 56, di non richiedere per l'iscrizione all'albo il possesso dell'abilita
zione all'esercizio della professione — ha contestualmente sta
bilito di consentire tale iscrizione soltanto a soggetti presumibili
portatori di una specifica professionalità. Si deve poi osservare che nessun accertamento risulta effet
tuato dalla corte territoriale al fine di verificare che l'attività
dedotta a sostegno della domanda d'iscrizione avesse i requisiti di effettività e continuità richiesti dalla legge.
Alla stregua delle esposte considerazioni la sentenza impu
gnata, in accoglimento del ricorso, deve esser cassata e la causa
va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che si uniformerà al seguente principio di diritto:
«Nel quadro dell'art. 32 1. 18 febbraio 1989 n. 56, che disci
plina la iscrizione nell'albo degli psicologi in sede di prima ap plicazione della detta legge, l'attività didattica costituente di per sé titolo idoneo abilitante per l'iscrizione è quella prevista nella
lett. a) del cennato art. 32, onde restano escluse altre attività
d'insegnamento non riconducibili a quella previsione normativa».
II
Motivi della decisione. — Col primo mezzo di cassazione il
ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 17
e 19 1. 18 febbraio 1989 n. 56 e dell'art. 742 bis c.p.c., in rela
zione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché nullità della sentenza
e del procedimento in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c. Afferma che l'accertamento del diritto dell'aspirante all'iscri
zione all'albo degli psicologi in regime transitorio deve avvenire
nelle forme del rito ordinario e non con quel rito camerale ed
eccezionale, azionato dalla Bruno, che sarebbe ristretto alla tas
sativa ipotesi di impugnazione di delibera del consiglio dell'or
dine, come previsto dagli art. 17 ss. 1. 56/89 a regime. Il motivo non ha fondamento. La 1. 18 febbraio 1989 n. 56
prevede, per i ricorsi avverso le deliberazioni del consiglio re
gionale o provinciale dell'ordine ed in materia elettorale, un
procedimento speciale (art. 17-19) il quale, ancorché modellato
sul rito previsto per i provvedimenti che devono essere pronun ciati in camera di consiglio (art. 737-742 bis c.p.c.), tuttavia
da esso si discosta sia per quanto riguarda i termini sia per
quanto riguarda l'atto terminale, che non è un decreto bensì
una sentenza (cfr. art. 19, 2° comma, 1. 56/89). Tale procedi mento d'impugnazione è specificamente contemplato per le ipo tesi d'iscrizione all'albo effettuate in via ordinaria, una volta
costituiti i normali organi previsti dalla legge. Nulla risulta in
vece previsto per la fase transitoria (art. 31 ss. 1. 56/89), nella
quale non è indicato il rito da applicare per l'impugnazione av
verso il provvedimento adottato dal commissario nominato dal
presidente del tribunale.
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2459 PARTE PRIMA 2460
Peraltro — una volta acclarato che anche la tutela giurisdi zionale delle ragioni di colui il quale chieda, in periodo transi
torio, l'iscrizione all'albo degli psicologi al commissario nomi
nato ai sensi dell'art. 31 1. cit., deve essere affidata al giudice
ordinario, istituzionalmente competente in tutte le controversie
su diritti soggettivi (così Cass., sez. un., 7 dicembre 1992, n.
12966, Foro it., Rep. 1993, voce Professioni intellettuali, n. 61) — quanto al rito applicabile per realizzare quella tutela giuris dizionale sembrano prospettabili soltanto le seguenti ipotesi: a) si applica anche al periodo transitorio il procedimento speciale
descritto, per la fase ordinaria, dagli art. 17-19 1. 56/89; b) si
fa luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, come rito pre visto in via generale per la tutela dei diritti; c) si applica il rito
camerale, come previsto negli art. 737-742 bis c.p.c.
Quest'ultima soluzione, ad avviso del collegio, è da scartare.
Infatti, se si valorizza il silenzio della normativa in parte qua, viene a mancare l'espresso richiamo ai «provvedimenti che deb
bono essere pronunciati in camera di consiglio», richiesto dal
l'art. 737 c.p.c. per dare ingresso alla disciplina ivi (e negli arti
coli successivi) contemplata. Se, invece, si fa leva sul disposto dell'art. 19, 1° comma, 1. 56/89 (che esplicitamente menziona
il procedimento camerale), si deve poi coerentemente utilizzare
tale richiamo per applicare anche alla fase transitoria il procedi mento speciale di cui àgli art. 17-19 1. cit.
L'alternativa, dunque, si restringe alle soluzioni sub a) e b). E alla corte appare più persuasiva la prima, per le seguenti con
siderazioni.
La 1. n. 56 del 1989 reca una disciplina tendenzialmente orga nica dell'ordinamento professionale per l'esercizio dell'attività
di psicologo. Nel contesto di quella disciplina il regime transito
rio (art. 31 ss.), diretto a regolare la fase di prima applicazione della legge, non può considerarsi avulso dal resto e in sé conclu
so, ma costituisce una parte del sistema normativo dalla legge medesima definito, le cui finalità è destinato a realizzare con
sentendo il passaggio dal periodo precedente (caratterizzato dal
l'assenza di regole) a quello di applicazione ordinaria. Se così
è, una ragione di coerenza interna di tale sistema induce a rite
nere che il modello procedimentale previsto per il regime ordi
nario possa essere esteso — in assenza di elementi di contraddi
zione — anche al regime transitorio.
L'argomento secondo cui la previsione del rito camerale avreb
be carattere eccezionale, onde esso sarebbe ristretto nella specie alla tassativa ipotesi d'impugnazione di delibere del consiglio
dell'ordine, come previsto dagli art. 17 ss. 1. 56/89, non appare convincente. Detto argomento, invero, muove dal presupposto che la fase transitoria sia un quid del tutto distinto e separato dal regime ordinario mentre, come ora si è notato, esso si inse
risce in un unico sistema normativo della cui logica complessi
va, dunque, non può non essere partecipe. D'altro canto, non
è dato comprendere i motivi per i quali — in presenza di una
tutela giurisdizionale affidata al giudice ordinario per situazioni
giuridiche del tutto simili (il diritto soggettivo all'iscrizione nel
l'albo professionale presenta connotati identici sia nella fase tran
sitoria sia nel periodo ordinario) — dovrebbe essere previsto un rito differenziato, quando il legislatore, nell'organizzare il
sistema complessivo dell'ordinamento professionale, ha compiuto una scelta precisa a favore del procedimento camerale (con gli elementi di specificità dianzi richiamati), per chiare esigenze di
speditezza che però sono comuni al regime ordinario come a
quello transitorio (semmai, in questo sono più accentuate).
Questi rilievi inducono a ritenere applicabile anche al regime transitorio il procedimento di cui agli art. 17-19 1. 56/89 (in tal senso appare anche orientata Cass. 26 agosto 1994, n. 7515,
id., Rep. 1994, voce cit., n. 46). Per completezza d'indagine, tuttavia, va rilevato che la scelta
di un rito in luogo dell'altro non comporta, di per sé, nullità
degli atti o del procedimento, quando siano osservati i termini
previsti a pena di decadenza, sia stato rispettato il contradditto
rio e gli atti del procedimento medesimo abbiano raggiunto gli
scopi cui sono destinati. Sono, infatti, applicabili i principi di
cui agli art. 156 ss. c.p.c., con la conseguenza che la denunzia
dell'inosservanza di un determinato rito processuale (non previ sto dalla legge a pena di nullità) non è rilevante se non ricorro
no i requisiti di cui agli articoli ora menzionati.
Alla stregua delle esposte considerazioni il primo motivo del
ricorso deve essere respinto. Col secondo mezzo il ricorrente deduce violazione e falsa ap
II Foro Italiano — 1996.
plicazione dell'art. 32, lett. c), 1. 18 febbraio 1989 n. 56, in
relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché insufficiente motiva
zione su punto decisivo in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c. Afferma che l'art. 32 1. cit., nel fissare i requisiti tassativa
mente richiesti per l'iscrizione nell'albo degli psicologi nella fa
se di prima applicazione della legge, attribuisce un valore abili
tante al possesso di tali requisiti, possesso attraverso il quale è possibile ottenere l'iscrizione nell'albo senza dover sostenere
l'esame di abilitazione, previsto invece in via ordinaria. Il legis latore avrebbe ritenuto non necessario l'esame di abilitazione, nella fase di prima applicazione della legge, perché i requisiti richiesti dall'art. 32 realizzerebbero l'esigenza di far svolgere la professione di psicologo a persone professionalmente e cultu
ralmente preparate. Di qui la necessità di un accertamento rigo roso della professionalità indispensabile per lo svolgimento del
la delicatissima attività di psicologo. Nel caso di specie i giudici di merito non avrebbero correttamente applicato la norma de
nunciata, avendo affermato il diritto della dr. Bruno all'iscri
zione nell'albo professionale attraverso una valutazione superfi ciale e immotivata dei titoli da essa documentati. In primo luo
go non sarebbe sussistente il requisito dell'attinenza alla psicologia dell'attività svolta dalla Bruno, più vicina alla pedagogia e non
caratterizzata dalle connotazioni idonee a distinguere la profes sionalità dello psicologo rispetto ad altri operatori nel campo delle scienze sociali. Inoltre, sarebbe mancato un adeguato ac
certamento sull'effettivo esercizio in maniera continuativa per il periodo previsto dalla legge di una attività di collaborazione
o consulenza attinente alla psicologia. Le suddette censure sono fondate nei termini in prosieguo
indicati. L'art. 32, lett. c), 1. 56/89 — ferme restando le disposizioni
di cui alle lett. a), b), d) dell'art. 7 — consente l'iscrizione al
l'albo, in sede di prima applicazione, «ai laureati che da alme
no sette anni svolgano effettivamente in maniera continuativa
attività di collaborazione o consulenza attinenti alla psicologia con enti o istituzioni pubbliche o private».
Come il testuale tenore della norma rivela, uno dei requisiti
per l'iscrizione è costituito dallo svolgimento effettivo e conti
nuativo, per almeno sette anni, di attività di collaborazione o
consulenza attinenti alla psicologia. La corte territoriale — adita dal ministero di grazia e giusti
zia che aveva contestato la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 32, lett. c) e d), per far luogo all'iscrizione (cfr. la
narrativa della sentenza impugnata) — avrebbe dovuto adegua tamente analizzare gli elementi da cui desumeva che invece quei
presupposti c'erano, indicando le ragioni che la inducevano a
ritenere osservato il menzionato disposto normativo. Il che non
è avvenuto.
Invero, l'attività svolta dalla dr. Bruno, a quanto emerge dal
la sentenza impugnata, è stata così ricostruita: a) «attività di
osservazione di bambini sia rispetto al rapporto individuale con
il gioco sia rispetto alla capacità di socializzazione con gli altri
bambini»; b) interessamento verso i «rapporti con le famiglie con eventuale sostegno psicologico, onde garantire al bambino
un ambiente favorevole allo sviluppo». I giudici di appello non
hanno in alcun modo fermato l'attenzione sul contenuto di queste
attività, per verificare se esse possano realmente considerarsi
attinenti alla psicologia, come il citato art. 32 richiede; non hanno
indicato i dati da cui hanno tratto il convincimento (peraltro soltanto implicito) che per lo svolgimento delle suddette attività
occorra la capacità professionale propria dello psicologo, e non
siano invece sufficienti una buona attitudine didattica e una va
lida esperienza pedagogica; non hanno considerato se le attività
in questione, come emergenti dalla documentazione prodotta,
presentassero un grado di determinatezza sufficiente per con
sentire l'accertamento richiesto dal citato art. 32, da compiere con il necessario rigore avuto riguardo al fatto che si tratta di
rilasciare un titolo abilitante all'esercizio di una professione de
licata.
Analoghe carenze si riscontrano per quanto riguarda il requi sito della continuità dell'esercizio, indicato dalla legge in alme
no sette anni. A quanto si desume dalla sentenza impugnata, tale continuità emerge da uno solo dei certificati prodotti dalla
Bruno, ma la corte territoriale ha ritenuto che, trattandosi di
attività da svolgere all'interno di una medesima struttura didati
ca, sarebbe logico dedurne che esse si siano svolte con identiche
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
modalità. Tale inferenza, però, è viziata sul piano logico e, nel
la sostanza, del tutto immotivata. Essa, infatti, potrebbe esser
condivisa, sul piano logico, se tra le due attività dianzi indicate
esistesse un collegamento così stretto da rendere impossibile l'e
sercizio solo dell'una e non dell'altra, il che non è o almeno
non è dimostrato nella sentenza impugnata. Né tale dimostra zione può evincersi dal rilievo della corte territoriale secondo
cui la materia della quale si discute, riguardando il delicato set
tore della psicologia infantile, richiederebbe continuità nei pro
grammi e nell'espletamento della didattica. Il rilievo è esatto
se con esso s'intende segnalare l'esigenza di mantenere una con
tinuità d'impegno per ottenere positivi risultati in quel delicato
settore. Non vale certo, però, a documentare una sorta di conti
nuità in re ipsa, giacché questa dev'essere invece provata nel
concreto dalla parte richiedente la iscrizione.
Alla stregua delle esposte considerazioni la sentenza impu
ganta deve, dunque, essere cassata in relazione al motivo accol
to e la causa va rinviata per nuovo esame ad altra sezione della
Corte d'appello di Napoli.
Ili
Motivi della decisione. — I due ricorsi, proposti avverso la
medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Col primo mezzo del ricorso principale il Del Mastro deduce
che la corte di appello avrebbe errato considerando il commis
sario straordinario (ex art. 31 1. 18 febbraio 1989 n. 56) legitti mato a proporre l'opposizione di terzo di cui all'art. 404 c.p.c., in quanto litisconsorte necessario nel giudizio di accertamento
del diritto all'iscrizione nell'albo professionale degli psicologi. Infatti — prosegue il ricorrente — la 1. n. 56 del 1989 (recan
te l'ordinamento della professione di psicologo) espressamente
prevede nell'art. 17 che le deliberazioni del consiglio dell'ordine
possono essere impugnate con ricorso al tribunale competente
per territorio dagli interessati o dal procuratore della repubblica
presso il tribunale stesso. La stessa legge, quindi, escluderebbe
che il consiglio dell'ordine possa partecipare al giudizio concer
nente l'impugnativa dei suoi provvedimenti. Perciò anche l'or
gano prodromico ai consigli degli ordini, previsto dall'art. 31
nella fase di prima applicazione della citata 1. n. 56, avrebbe
titolo per partecipare ai giudizi aventi ad oggetto l'impugnativa dei provvedimenti dal medesimo organo pronunciati e, men che
mai, per ricorrere avverso le decisioni rese in materia dal tribu
nale. Del pari, non avrebbe titolo per partecipare al procedi mento in sede di volontaria giurisdizione inizialmente proposto da esso Del Mastro davanti al tribunale.
Il motivo non ha fondamento. Questa corte ha più volte af
fermato il principio secondo il quale, in tema di iscrizione agli albi professionali, contraddittore necessario nei procedimenti
d'impugnazione del relativo provvedimento è sempre l'organo che ha provveduto sulla domanda d'iscrizione, cui spetta anche
il potere d'impugnare non già il provvedimento che lo stesso
ha emesso, bensì la pronuncia sull'impugnazione, in quanto è
proprio tale organo che è chiamato a difendere, in sede giuris dizionale, il provvedimento contro gli attacchi del controinte
ressato (Cass., sez. un., 23 febbraio 1990, n. 1399, Foro it.,
1990, I, 843; 29 gennaio 1988, n. 828, id., Rep. 1988, voce
Professioni intellettuali, n. 48; sez. un. 16 maggio 1973, n. 1382,
id., Rep. 1973, voce cit., n. 47). E tale principio è stato espres samente riconosciuto applicabile anche al commissario nomina
to — ai sensi dell'art. 31 1. 18 febbraio 1989 n. 56, in sede
di prima applicazione di questa — per la formazione dell'albo
degli psicologi (Cass. 7 dicembre 1992, n. 12966, id., Rep. 1992, voce cit., n. 47). Si tratta di un orientamento che merita di
essere senz'altro condiviso (e al quale, dunque, si deve qui dare
continuità), perché fondato sul rilievo — d'intuitiva esattezza — secondo cui ad un procedimento, diretto a contestare la vali
dità di un provvedimento emesso da un organo di amministra
zione attiva dello Stato, non può essere considerato estraneo
proprio il detto organo, cui va invece riconosciuta la veste di
contraddittore necessario.
Non giova al ricorrente il richiamo all'art. 17 1. 18 febbraio
1989 n. 56. Detta norma dispone che «le deliberazioni del con
siglio dell'ordine nonché i risultati elettorali possono essere im
pugnati, con ricorso al tribunale competente per territorio, da
gli interessati o dal procuratore della repubblica presso il tribu
II Foro Italiano — 1996.
naie stesso». Come il testuale tenore del precetto normativo
rivela, esso non esclude affatto che il consiglio dell'ordine (e, in regime transitorio, il commissario ex art. 31 ove si acceda
alla tesi dell'applicabilità degli art. 17-19 1. n. 56, cit., anche
alla fase transitoria) possa partecipare al giudizio concernente l'impugnativa dei suoi provvedimenti. La norma indica i sog
getti legittimati a proporre l'impugnativa, ma nulla dispone in
ordine al soggetto nei cui confronti questa deve essere formula
ta; e nulla dispone perché la previsione sarebbe stata superflua, atteso il principio generale di diritto alla stregua del quale l'or
gano che ha emesso l'atto impugnato è contraddittore necessa
rio nel relativo procedimento di impugnazione (arg. ex art. 21, 1° comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034).
La corte territoriale si è ben conformata all'orientamento ora
richiamato, sicché non merita le censure mosse dal ricorrente.
Quest'ultimo, col secondo mezzo di cassazione, sostiene che
la sentenza impugnata avrebbe errato nel confermare la decla
ratoria d'improcedibilità del ricorso introduttivo avanzato da
esso Del Mastro, perché proposto senza il ministero di un di
fensore. Così opinando la corte di merito avrebbe omesso di
considerare che la legge recante l'ordinamento della professione di psicologo consente, negli art. 17 ss., di adire il tribunale con
ricorso da parte degli interessati. Inoltre, non si tratterebbe af
fatto di giudizio con «parti contrapposte», sia perché la legge non conterrebbe tale previsione, sia perché la funzione del giu dice sarebbe quella di verificare l'esistenza dei requisiti di legge. Andrebbe infine valutata la natura camerale del procedimento. Dal complesso di questi dati dovrebbe trarsi la conclusione che, nel procedimento de quo, non sarebbe necessario il ministero
di un difensore.
Neppure questo motivo è fondato. (Omissis) Ciò posto, si osserva che la natura camerale del procedimen
to de quo, contrariamente a quanto assume il ricorrente, non
fa venir meno la necessità che il Del Mastro, nell'adìre il tribu
nale, stesse in giudizio col ministero di un difensore.
Invero l'esigenza della difesa tecnica — che è disposta innan
zitutto nell'interesse della parte, a tutela dell'effettività del suo
diritto di azione e di difesa — deve ravvisarsi tutte le volte in
cui il processo, ancorché modellato sul rito della camera di con
siglio (cui il legislatore ricorre con frequenza sempre maggiore,
per apprezzabili ragioni di speditezza), involga tuttavia la co
gnizione di vere e proprie controversie su diritti soggettivi o
status, la cui risoluzione costituisce attività di giurisdizione con
tenziosa (cfr. Cass. 30 dicembre 1989, n. 5831, id., 1990, I,
1238; 24 giugno 1989, n. 3099, id., 1989, I, 2138; 5 agosto 1988, n. 4847, id., Rep. 1989, voce Arbitrato, n. 84). In tali casi,
infatti, la parte ad ogni effetto «sta in giudizio», secondo la
formula adoperata dall'art. 82, 2° comma, c.p.c., con conse
guente applicabilità di tale disposizione e di quelle successive, le quali implicano che i soggetti, nei procedimenti davanti ai
tribunali e alle corti d'appello, non possono compiere personal mente alcun atto processuale ma devono essere rappresentati da un procuratore legalmente esercente.
Il procedimento de quo — destinato a svolgersi, in primo
grado, davanti al tribunale e, in secondo grado, davanti alla
corte d'appello — ha indubbia natura contenziosa, com'è reso
palese dal rilievo che esso ha per oggetto il diritto soggettivo all'iscrizione nell'albo professionale, si articola nel contraddit
torio tra le parti e si conclude col tipico provvedimento destina
to (di regola) alla risoluzione dei conflitti qual è la sentenza.
Né può condividersi il rilievo del ricorrente secondo cui il dato
normativo (art. 17 1. n. 56, cit.) attribuirebbe la legittimazione al ricorso all'interessato. È chiaro, infatti, che la norma si rife
risce all'interessato in quanto titolare della situazione giuridica
soggettiva dedotta in giudizio; ma ciò non esclude che l'interes
sato, per stare in giudizio, debba osservare le disposizioni sul
patrocinio legale di cui agli art. 82 ss. c.p.c. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso principale
si rivela infondato e deve, perciò, essere respinto. Resta quindi assorbito il ricorso incidentale, che era stato condizionato al
l'accoglimento del primo.
IV
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso il
Globo, premesso che l'intendimento del legislatore in sede di
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2463 PARTE PRIMA 2464
prima istituzione dell'albo professionale degli psicologi e di di
sciplina della relativa materia era quello di sanare in via transi
toria le situazioni pregresse sviluppatesi in assenza di una speci
fica normativa, equiparando ai titoli di cui all'art. 2 della legge
tutta una serie di situazioni di fatto ritenute, in presenza di ade
guati titoli di studio, significative di esperienze parimenti valide ai fini del legittimo esercizio di quella professione, sostiene che
l'attività di insegnamento posto a base della sua richiesta era
indubbiamente «attinente» alla psicologia ai sensi dell'art. 32,
lett. b), non dovendo interpretarsi tale espressione in base alle
più rigorose previsioni contenute nell'art. 1 della stessa legge.
D'altra parte, in base allo stesso art. 1, cit., la professione
di psicologo comprende la attività di didattica.
In relazione al rapporto tra la lett. a) e la let-t. b) dell'art.
32 cit., il ricorrente testualmente deduce: «Né per escludere la
fondatezza di quanto ora osservato può validamente opporsi
che la rilevanza dell'attività di insegnamento ai fini della iscri
zione all'albo degli psicologi nella fase transitoria, risulta dal
l'art. 32, lett. a), 1. 56/89 espressamente limitata dal legislatore
a quell'attività prestata nelle università o in strutture di partico
lare rilevanza scientifica. Ed infatti l'art. 32, formulato dal legis
latore nell'ottica innanzi evidenziata di recupero di una serie
infinita e variegata di situazioni ritenute meritevoli di eguale
considerazione, fornisce una serie di definizioni che devono es
sere lette come complementari fra loro, senza che, tenuto conto
anche delle imperfezioni alle quali ci ha abituato il legislatore,
dalla inapplicabilità ad una fattispecie di quelle tra le ipotesi
contemplatte dalla norma che pur sembrerebbe apparire la più
attinente, si possano trarre conclusioni definitive di segno nega
tivo, laddove la stessa fattispecie risulti comunque ricompresa in altra ipotesi prevista dalla stessa norma».
La complessa censura non merita accoglimento.
Va, innanzitutto, precisato che non può condividersi la tesi
del ricorrente secondo la quale l'art. 32, cit., rappresenterebbe
una norma di sanatoria, dal momento che l'attività svolta nel
campo della psicologia prima della istituzione dell'albo degli psi
cologi non era contra legem e quindi non aveva bisogno di esse
re regolarizzata.
Ciò, tra l'altro, porta ad escludere che le disposizioni di cui
consta l'art. 32, cit., debbano essere interpretate nello spirito
di un particolare favor nei confronti degli aspiranti alla iscrizio
ne all'albo degli psicologi. Per il resto ritiene il collegio che sia ininfluente, ai fini della
decisione della attuale controversia, individuare la esatta porta
ta della espressione «attività di servizio attinente alla psicolo
gia», di cui all'art. 32, lett. b), cit. È sufficiente osservare che l'interpretazione logico-sistematica
dell'art. 32, cit., porta ad escludere che in tale attività possa
essere ricompreso l'insegnamento di psicologia sociale in un isti
tuto di istruzione secondaria svolto dal ricorrente.
Se, infatti, la lett. a) di tale articolo consente la iscrizione
all'albo ai professori che insegnino o abbiano insegnato nelle
università italiane o in strutture di particolare rilevanza scienti
fica anche sul piano internazionale ed ai ricercatori ed assistenti
universitari di ruolo in discipline psicologiche, ciò significa a
contrario che ogni insegnamento è inidoneo allo scopo e non
può essere recuperata attraverso la generica previsione di cui
all'art. 32, lett. b), la quale deve necessariamente essere riferita
ad altra attività, a meno di tacciare il legislatore di incoerenza,
come prospetta il ricorrente, ma senza dedurre alcun argomento. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 19 feb
braio 1996, n. 1267; Pres. Maestripieri, Est. Cristarella
Orestano, P.M. Ianneixi (conci, conf.); Tomasina, Micotti
(Avv. Napoli) c. Monti (Avv. Bulgheroni, Sandri). Confer
ma App. Milano 15 settembre 1992.
Servitù — Vendita a lotti — Limitazioni contrattuali — Confi
gurabilità (Cod. civ., art. 1029). Emulazione — Estremi — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ.,
art. 833).
Al fine di accertare se nelle vendite di lotti di aree fabbricabili i contraenti abbiano inteso costituire una servitù prediale a
vantaggio o a carico di fondi esistenti, oppure di costruendi
edifici, è necessario fare ricorso al criterio dell'attualità del
/'utilitas in cui si concreta il contenuto della servitù. (1) Non si ha atto di emulazione allorché un proprietario domandi
in giudizio il rispetto di un obbligo contrattuale, a nulla rile
vando che la violazione di questo si sia tradotta in un danno
effettivo. (2)
(1) La sentenza conferma l'orientamento, consolidato in giurispru denza, secondo cui, qualora il vantaggio o l'onere inerenti un'area fab
bricabile siano indipendenti dalla realizzazione edificatoria, come nel
caso di specie, la servitù relativa è immediatamente costitutiva e ha
carattere ed effetti reali; diversamente, se Vutilitas in cui si sostanzia
la servitù, presuppone la suddetta realizzazione, il patto ha efficacia
meramente obbligatoria e la servitù sorge solo in seguito all'avvenuta
edificazione. In senso conforme, v. Cass. 21 maggio 1987, n. 4630, Foro it., Rep.
1988, voce Servitù, n. 6; 14 gennaio 1982, n. 235, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 18, e Giust. civ., 1983, I, 609, con nota di Zaccheo, Vendita
di aree fabbricabili e costituzione di servitù-, 9 maggio 1978, n. 2246, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 30; 10 novembre 1976, n. 4142, id.,
Rep. 1977, voce cit., n. 22; 2 giugno 1992, n. 6652, id., 1993, I, 148, secondo cui, in particolare, le limitazioni alla libertà di utilizzare i vari
lotti, disposte contrattualmente, per avere natura di servitù reciproche, sono efficaci se nei singoli atti di acquisto venga richiamato il piano di lottizzazione o di sviluppo.
La dottrina è divisa. In senso critico Branca, Servitù relativa a edifi ci futuri, id., 1981,1, 820, che propone di considerare la servitù relativa
ad edifici futuri come molto simile ad un negozio condizionato, nonché
Zaccheo, cit., secondo il quale, nell'ipotesi di servitù che vieta di co
struire ad una certa distanza dal confine, si è in presenza di una servitù
reciproca dal contenuto meramente negativo, con utilità attuale deri
vante dalla limitazione imposta al titolare del fondo dominante di com
piere quelle attività che in assenza della servitù gli sarebbero consentite, e non, invece, con utilità futura individuabile solo nell'ipotesi di viola
zione della servitù stessa. Lontana è la tesi sostenuta da Biondi, Le
servitù, Milano, 1967, che vede come attuale l'utilità della servitù per edificio futuro, benché ne venga rimandato l'esercizio. Sulla servitù per
vantaggio futuro, v. anche Palazzolo, Servitù (dir. civ.), voce dell'ÈV
ciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1992, XXVIII, 9.
(2) L'indirizzo giurisprudenzale, consolidato, fornisce una interpre tazione restrittiva, che esclude dall'ambito degli atti emulativi le azioni
giudiziali intraprese al fine di tutelare un proprio diritto: v. Cass. 3
maggio 1996, n. 4105, inedita; 22 aprile 1992, n. 4803, Foro it., Rep. 1993, voce Emulazione, n. 1; 16 maggio 1983, n. 3359, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1; 8 gennaio 1981, n. 164, id., Rep. 1982, voce cit., n.
1, e Giur. agr. il., 1981, 604, con nota di Serafini; 24 luglio 1976, n. 2971, Foro it., 1978, I, 740, con nota di richiami.
La dottrina non condivide questa chiusura giurisprudenziale, accu sandola di aver reso sterile e di fatto inoperativo il divieto dell'art. 833 c.c.: per Gambaro, Il diritto di proprietà, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1995, Vili, 482, l'interpretazione restrittiva fornita dalla giuris prudenza ha condotto ad una sostanziale cancellazione della norma.
Si è cercato di contrastare questa tendenza, ritenendo emulativa la con dotta che, pur realizzando un interesse del proprietario, arrechi oggetti vamente ad altri uno svantaggio sproporzionato e proponendo alcuni
correttivi, volti a sostituire il dolo specifico, richiesto per configurare un atto emulativo, con la semplice conoscenza, che risulterebbe presun ta una volta accertata la suddetta sproporzione. Recentemente, però, la stessa dottrina ha preso atto che la maggior parte dei problemi, teori camente riconducibili alla figura del divieto di atti emulativi, è oggi risolta mediante criteri di responsabilità civile. Sempre Gambaro, Emu
lazione, voce del Digesto civ., Torino, 1991, VII, 439, contesta la con vinzione delle corti che le azioni giudiziali intraprese per la tutela di un diritto non possano mai qualificarsi come emulative sulla base del fatto che rivolgersi al giudice non è mai una condotta da valutare nega tivamente, senza considerare, però, che, nel nostro sistema, l'esercizio dell'azione non è sottoposto ad alcun vaglio di meritevolezza preventi vo. Ancora, in particolare, v. Dossetti, Atti emulativi, voce dell 'Enci
clopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, III, 4, secondo la quale la
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