Sezione I civile; sentenza 29 gennaio 1960, n. 129; Pres. Fragali P., Est. Del Conte, P. M.Colonnese (concl. conf.); Soc. Cotonificio Valle Susa (Avv. Jemolo) c. Soc. Gor-Ray (Avv.Ungaro, Grassetti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 6 (1960), pp. 991/992-993/994Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175085 .
Accessed: 25/06/2014 05:03
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 195.34.79.228 on Wed, 25 Jun 2014 05:03:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
991 PARTE PRIMA 992
lo stesso marchio e si aiutano nello sfruttamento dei mercati, senza con ciò cagionare danno alla collettività, grazie ai rapporti correnti tra le medesime, che garantiscono della buona qualità della merce.
Nè può giovare alla tesi della ricorrente l'altro argo mento del preteso inganno che i marchi Hardtmuth, apposti ai prodotti non fabbricati dall'Impresa nazionale, costi
tuirebbe per i consumatori. La Corte del merito anche su
questo punto ha esaurientemente motivato, ponendo, tra l'altro, in evidenza che, stante la diffusione e il credito in tutti i Paesi dei prodotti Hardtmuth, fabbricati dalla
Casa inglese e da quella americana, doveva ragionevolmente escludersi ogni possibilità di inganno per il pubblico.
Questo è mero giudizio di fatto che non può essere
sindacato in sede di legittimità, anche per quanto concerne
la ritenuta irrilevanza dei mezzi di prova dedotti sul punto
dall'Impresa nazionale.
Nò sussiste il dedotto difetto di motivazione, sotto il
profilo che la Corte di merito si sarebbe contraddetta col
sostenere, dall'un canto, che il passaggio dei beni esistenti
all'estero e dei corrispondenti marchi stranieri si fosse
verificato nel 1950, per effetto dello scioglimento della
Collettiva e la contemporanea costituzione della Società
a resp. lim. francese, cui sia i beni sia i marchi medesimi
vennero conferiti, e col ritenere, dall'altro, che i soci della
ex Collettiva avevano continuato l'attività produttiva dal 1945 al 1950 con l'introdurre in Italia i prodotti contras
segnati dai marchi Hardtmuth provenienti dalle Case
inglesi ed americane.
È sufficiente qui osservare che il ragionamento della
Corte di merito è immune da vizi logici e giuridici, perchè, come già dedotto innanzi, una volta accertato che il prov vedimento di nazionalizzazione aveva lasciato sopravvivere i rami di azienda situati fuori della Cecoslovacchia, rami di
azienda che erano rimasti ai vecchi titolari della Collettiva
(e, ripetesi, l'autonomia patrimoniale di questa non implicava la personificazione), la conseguenza logica non poteva essere che quella cui sono pervenuti i Giudici di merito, col ritenere che il complesso patrimoniale della organizza zione Hardtmuth (non confiscato) si appartenesse fin
dal 1945, in comunione, a detti titolari.
Col quarto mezzo la ricorrente insiste nella tesi circa
la interpretazione dell'art. 6 della Convenzione di Parigi
(di cui al secondo motivo), deducendo inoltre che le norme
dell'Arrangement di Madrid del 14 aprile 1891 confortano
tale sua interpretazione, implicando esse il collegamento, anche per i trasferimenti, tra la sorte del marchio nel Paese
di origine e quella nel Paese di importazione, il quale non
potrebbe prendere atto di quanto avvenuto nel primo ;
donde, si dice, se in base alla legge del Paese d'origine si
opera il trasferimento del marchio, la cessazione della
protezione del marchio ili tale Paese comporta una eguale cessazione di protezione nel Paese unionista, ove il marchio stesso, è stato registrato « tei quel ».
Perciò, spiega la ricorrente, una volta riconosciuta
efficacia strettamente territoriale al provvedimento di
nazionalizzazione, doveva pure riconoscersi che il trasferi
mento dell'azienda cecoslovacca e dei marchi si era operato anche in applicazione dell'art. 22 delle preleggi, per il quale la proprietà e gli altri diritti sulle cose mobili e immobili sono regolati dalla lex rei sitae.
Ripetendo quanto già detto in relazione alla interpreta zione che deve darsi all'art. 6 della Convenzione di Parigi, che comporta soltanto l'obbligo per gli Stati unionisti
di proteggere il marchio di importazione nella stessa forma, ossia nei requisiti estrinseci con cui esso risulta registrato
originariamente, ma non già quello di accertarne la validità
sostanziale, anche secondo le norme dell'Arrangement di
Madrid, questo principio deve rimanere fermo ; perchè con tale Convenzione è stata disciplinata la possibilità,
per i cittadini degli Stati aderenti, di registrare il marchio
allo speciale Ufficio di Berna, ottenendo così dal giorno della registrazione e per venti anni, gli stessi benefici che
deriverebbero dalla registrazione in tutti gli Stati unionisti ; ma tutto ciò, come è ovvio, non pregiudica menomamente, becondo l'ordinamento giuridico italiano, l'esercizio della
azione giudiziaria circa l'appartenenza del marchio (art. 34 r. decreto 21 giugno 1942 n. 929). (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile; sentenza 29 gennaio I960, n. 129; Pres.
Fragali P., Est. Del Conte, P. M. Colonnese (conci,
conf.) ; Soc. Cotonificio Valle Susa (Avv. Jemolo) c. Soc. Gor-Ray (Avv. Ungaro, Grassetti).
(Gassa App. Milano 26 marzo 1957)
Vendita — Vizi — Utilizzazione « alienazione della
eosa — Legge inglese « Sale ol goods Aet » — Riso
luzione — Decadenza — Insussistenza (Cod. civ., art. 1492).
Vendita — Vizi — Legge inglese — Azione redibitoria
e « quanti minoris » — Revocabilità della scella
(Cod. civ., art. 1492).
Sia per il diritto italiano sia per la legge britannica, l'utilizza
zione o l'alienazione della cosa non importa la decadenza
dell'azione di risoluzione, ove non costituisca univoca
manifestazione che l'acquirente, mediante l'atto, abbia
inteso dare il suo benestare e la sua accettazione al modo
di adempimento del contratto ; la decadenza non sussiste
se gli atti siano compiuti al fine di evitare o ridurre il danno
o l'utilizzazione sia necessaria per accertare la difettosità della cosa. (1)
La norma di cui all'art. 1492 cod. civ., che sancisce l'irrevoca
bilità della scelta fra risoluzione del contratto e riduzione
del prezzo, ha natura sostanziale e non processuale, per cui il divieto deve ritenersi inoperante, qualora al rapporto debba applicarsi la legge inglese che non prevede l'irrevo
cabilità della scelta. (2)
La Corte, ecc. — Con la prima censura del primo motivo
del ricorso principale, si deduce la violazione dell'art. 35
della legge inglese « Sale of goods Act » del 1893 e si sostiene
che poiché tale norma stabilisce che « si ritiene aver il com
pratore accettato la merce quando la stessa sia stata a lui
consegnata ed abbia compiuto un atto incompatibile con
la proprietà del venditore » e poiché, nella specie, la Gor
Eay aveva utilizzato la maggior parte della stoffa, avrebbe
dovuto ritenersi la decadenza della stessa dal diritto di
eccepire la difettosità. La doglianza è infondata.
Questa Suprema corte nell'interpretazione dell'art. 1492
cod. civ. ha costantemente ritenuto che la utilizzazione
o l'alienazione della cosa non importa di per sè sola l'effetto
(1-2) In senso conforme alla prima massima, a norma del l'art. 14(12 cod. civ., v. Cass. 14 novembre 1959, n. 3366 e 9 ot tobre 1959, n. 2743, Foro it., Mass., col. 634, 518 ; 1(5 maggio 1958, n. 1598, id., Rep. 1958, voce Vendita, n. 133 ; 11 giugno 1957, n. 2166 e 26 marzo 1957, il. 1042, id., Rep. 1957, vocecit., nn. 148, 147 ; 31 ottobre 1955, n. 3564, id., Rep. 1955, voce cit., nn. 178, 179 ; 31 marzo 1954, n. 1007, id., Rep. 1954, voce cit., n. 181 ; 28 gennaio 1950, n. 237, id., 1950, I, 1270, con nota di richiami ; per qualche riferimento, v. anche Cass. 30 marzo
1951, n. 718, id., 1951, I, 706. Nel senso che l'alienazione inibisce l'esercizio dell'azione di
risoluzione : Cass. 7 aprile 1956, n. 1022, id., Rep. 1956, voce
cit., n. 177. In dottrina, v. Rubino, La compravendita, Milano, 1952,
pag. 632 e segg. Si veda anche Bigiavi, Risoluzione per inadem
pimento ed alienazione della cosa litigiosa, in Riv. trim. dir. e
proc. civ., 1954, 129. Sulla alternatività fra azione redibitoria e quanti minoris,
v. Cass. 17 maggio 1956, n. 1685, Foro it., Rep. 1956, voce Ven
dita, n. 125 ; 27 giugno 1953, n. 2011, id., Rep. 1953, voce cit., n. 176.
This content downloaded from 195.34.79.228 on Wed, 25 Jun 2014 05:03:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
993 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 994
della decadenza dall'azione di risoluzione, ma è necessario
a tal fine che costituisca univoca manifestazione che lo
acquirente, mediante l'atto, abbia inteso dare il suo benestare
e la sua accettazione al modo di adempimento del contratto.
È stato pertanto escluso che la predetta decadenza sussista
quando gli atti medesimi siano compiuti a fine di evitare
il danno, ovvero la utilizzazione sia necessaria per accertare
la difettosità della cosa.
Orbene, la norma dell'art. 35 della legge inglese, quando
parla di atti incompatibili con la proprietà del venditore,
esprime in sintesi lo stesso concetto della utilizzazione e
della alienazione della cosa, e dà alle stesse un valore di
rinunzia solo se abbiano il medesimo inequivoco carattere
di accettazione della cosa, così come essa è. Pertanto anche
nella applicazione della detta legge deve ritenersi che allorché
risulti accertato, come nella specie è stato insindacabilmente
accertato dalla Corte di merito, che la alienazione e la
utilizzazione siano avvenute unicamente per evitare o ridurre
il danno, non può considerarsi precluso l'esercizio delle
azioni di garanzia per i vizi della cosa venduta.
E non ha importanza il fatto che possa essere stata
utilizzata quasi completamente la fornitura, poiché in tal
caso il danno risulterà sempre più ridotto, nell'interesse
dello stesso venditore.
Con il secondo mezzo del ricorso incidentale, si deduce, fra l'altro, la violazione degli art. 1492 cod. civ. e 25-27
delle disp. prel. del cod. civ., e si sostiene che erroneamente
la Corte di appello ha ritenuto la natura processuale dell'art.
1492 e lo ha pertanto applicato nella specie, statuendo
che la Gk>r Ray non poteva, successivamente alla proposizione della domanda di risoluzione del contratto, chiedere la
riduzione del prezzo. La citata norma, invece, ha carattere
sostanziale ed il principio della irrevocabilità della scelta
tra risoluzione e riduzione, da essa previsto, non esiste
nella legge inglese, applicabile al rapporto sostanziale
de quo, secondo la sentenza non definitiva della Corte di
appello 16 agosto 1955, passata in giudicato. La doglianza è fondata.
Per distinguere se una norma abbia carattere processuale o sostanziale occorre esaminare l'oggetto e le ragioni della
norma stessa, ed accertare se essa sia ispirata da motivi
di diritto processuale e tenga a regolare la forma e l'ordine
delle attività processuali, ovvero sia stabilita per motivi
di diritto sostanziale ed intesa a regolare l'esistenza, i
limiti e l'esercizio di un diritto.
Orbene, alla stregua di tale principio, deve ritenersi
clie la norma in questione abbia carattere sostanziale, in quanto disciplina il diritto del compratore di ottenere la
risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo e non
il modo e la forma processuale dell'azione relativa. Essa
inoltre è ispirata a ragioni di natura esclusivamente sostan
ziale. L'ius variandi è infatti vietato, perchè, mentre esso
consentirebbe al compratore di speculare sui movimenti
contingenti intervenuti successivamente alla proposizione della domanda (a,d es. aumenti o diminuzioni del valore
della cosa), la posizione del venditore verrebbe ingiustamente
aggravata se, confidando nella scelta fatta dall'altra parte con la domanda di risoluzione, avesse già disposto altrimenti
della cosa, ovvero se, facendo affidamento sulla scelta
riduzione, avesse omesso di dare alla cosa una diversa
destinazione.
In conseguenza, poiché si tratta di una norma di diritto
sostanziale che non è prevista dalla legge inglese, e poiché tale legge è stata ritenuta, con giudicato irrevocabile,
applicabile al rapporto de quo, la Corte di merito non poteva dichiarare improponibile la domanda di riduzione del prezzo, in base al divieto dell'ics variandi stabilito dall'art. 1492
cod. civile. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SDPBEMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 10 novembre 1959, n. 3338 ; Pres. Oggioni P. P., Est. Vistoso, P. M. Pomodoro
(conci, conf.) ; Ferrerò (Avv. Menghini, Bodda, Lo
Vetere) c. Soc. forniture articoli chimici industriali
(Avv. Porto, Montel).
(Conferma Cons. Stato, Sez. V, 26 aprile 1958)
Commercio di vendita al pubblico — Esercizio di vendita — Trasferimento in altra zona del comune — Autorizzazione del sindaco — Necessità •—
Procedura — Esercenti della nuova zona — Inte resse legittimo — Sussistenza — Giurisdizione del
Consiglio di Stato (R. d. 1. 16 dicembre 1926 n. 2174,
disciplina del commercio di vendita al pubblico, art. 3).
Per il trasferimento di un esercizio di vendita al pubblico ad altra zona dello stesso comune, occorre una nuova
autorizzazione preceduta da una rivalutazione, da parte
dell'apposita commissione, per quanto riguarda l'ubica
zione, delle condizioni già esaminate al momento del
rilascio della originaria autorizzazione. (1) Di conseguenza, l'esercente della nuova zona ha un interesse
occasionalmente protetto a che non sia indebitamente aumentato il numero degli esercizi in essa esistenti e può, quindi, impugnare davanti al Consiglio di Stato il prov vedimento con il quale il sindaco abbia illegittimamente autorizzato il trasferimento suddetto. (2)
La Corte, ecc. — Sostiene il ricorrente che il Consiglio di Stato, con l'annullare l'atto 29 dicembre 1955, con il
quale il Sindaco di Torino lo aveva autorizzato a trasferire il proprio esercizio da Via Capano a Via Monginevro n. 80, abbia ecceduto dai suoi poteri giurisdizionali ed invaso le
attribuzioni del potere legislativo dello Stato. La giuris dizione generale amministrativa è invece limitata alla materia degli interessi legittimi ; ma perchè questi sussi stano è necessario che trovino indiretta protezione in una norma oggettiva di legge. Or il r. decreto legge 16 dicembre 1926 n. 2174, che subordina l'esercizio del commercio alla
autorizzazione amministrativa, nulla disporrebbe circa il
trasferimento del luogo di esercizio nell'ambito dello stesso comune ; e pertanto il privato, ottenuta la licenza, avrebbe un diritto soggettivo ad esplicare la propria attività com
merciale, illimitatamente nel tempo, nel territorio del
comune, senza necessità di ottenere una nuova autorizza zione nel caso di trasferimento. Conseguentemente, il
Consiglio di Stato, nel configurare una ipotesi non pre
(1-2) La decisione confermata del Cons. Stato, Sez. V, 26
aprile 1958, n. 273, è riassunta in Foro it., Rep. 1958, voce Commercio di vendita al pubblico, n. 49.
Il Cons. Stato, Sez. Y, 12 luglio 1957, n. 542 (id., Rep. 1957, voce cit., n. 56) precisa che il trasferimento di un eser cizio di vendita al pubblico da una località ad un'altra dello stesso comune non è soggetto alle disposizioni dell'art. 3 r. decreto 16 dicembre 1926 n. 2174, soltanto se esso non incida sulla situazione economica valutata dalla commissione comunale, in sede di autorizzazione ; ma deve essere invece autorizzato col procedimento previsto all'art. 3, se, per la distanza dei luoghi e per altre circostanze si possa ritenere che implichi sostanziale modificazione dell'azienda. Nello stesso senso : Sez. V 21 dicembre
1956, n. 1130, id., 1957, III, 85, con nota di richiami. Il Cons. Stato, Ad. gen., 27 giugno 1957, n. 311 (id., Rep.
1957, voce cit., n. 55) ha ritenuto che sussiste la figura del trasfe rimento di esercizio di commercio, quando l'esercizio viene spo stato da un punto all'altro della stessa strada o della stessa zona ; mentre è necessaria la concessione di una nuova licenza, me
diante il procedimento indicato nel r. decreto legge 16 dicembre
1926 il. 2174, quando venga richiesto lo spostamento da una
zona all'altra della città. Sull'eccesso di potere legislativo, che il ricorrente lamenta
sia perpetrato dal Consiglio di Stato, v., da ultimo, Cass.
18 settembre 1959, n. 2592, 24 settembre 1959, n. 2608, 25 feb
braio 1960, n. 396, retro, 579, con ampia nota di richiami,
This content downloaded from 195.34.79.228 on Wed, 25 Jun 2014 05:03:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions