Sezione II civile; sentenza 23 marzo 1963, n. 733; Pres. La Via P., Est. Cortesani E., P. M.Maccarone (concl. conf.); Soc. Breda elettromeccanica (Avv. Terra Abrami, Biondolillo) c.Ghioni (Avv. Ulgheri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 1983/1984-1985/1986Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152875 .
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1983 PARTE PRIMA 1984
Inoltre si deve tener presente che a norma dell'art. 56 del t. u. sulla Corte dei conti questa pronuncia, su istanza di parte, sul ricorso proposto contro il provvedimento defi nitivo col quale sia stato rifiutato il rimborso di quote d'im
posta o sovraimposta inesigibili. Il che conferma che la chiusura del conto dell'esattore
può ritenersi un presupposto necessario se l'oggetto del giu dizio concerne quote inesigibili o la concreta eventualità delle stesse. Nella specie deve escludersi che l'oggetto del giu dizio promosso dal Chiacchio concerne quote inesigibili o eventuali.
La censura in proposito di motivazione insufficiente non è ammissibile perchè le deduzioni come motivo di ri corso per cassazione di una questione riguardante la giuris dizione o la competenza non può farsi se non sotto il pro filo delle norme che regolano l'una o l'altra, posto che la Corte suprema può statuire in materia conoscendo del merito.
Ma la sussistenza o la eventualità concreta 3i quote inesigibili non è neppure affermata dal ricorrente.
Egli nell'erroneo convincimento che la giurisdizione della Corte dei conti sussista sempre che non sia chiuso il conto e sia accertato che i crediti dell'esattore riguardino residui di imposte esigibili, dà rilievo al fatto che nell'atto di citazione sono state ammesse non soltanto la esazione di residui di spettanze del Chiacchio, ma anche la compensa zione di tali crediti con debiti dello stesso per la passata ge stione, ma non considera che trattavasi di rapporti tra i due esattori, convenuti a prescindere da ogni eventuale
responsabilità in ordine a quote inesigibili e con la esplicita esclusione delle stesse.
Per la medesima considerazione è irrilevante l'assunto ohe contrariamente all'accertamento compiuto dal consu lente tecnico e all'affermazione contenuta nella sentenza
impugnata vi siano ancora rapporti non definiti della ge stione passata. (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile; sentenza 23 marzo 1963, n. 733 ; Pres. La Via P., Est. Cortesani E., P. M. Maccarone (conci, conf.) ; Soc. Breda elettromeccanica (Aw. Tessa
Àbrami, Biondolillo) c. Ghioni (Avv. Ulgheri).
(Oassa A'pp. Milano 5 febbraio 1960)
Lavoro (contratto collettivo) — Clausola del tratta
mento più favorevole — Criterio di applicazione -— Fattispecie.
Lavoro (rapporto) — Determinazione dell'indennità di anzianità —
Compenso aggiuntivo per lavoro straordinario — Computabilità — Limiti (Cod. civ., art. 2121).
Ove un contratto collettivo (nella specie, il contratto collettivo corporativo 5 agosto 1937 per gli impiegati dell'industria), nel regolare un determinato istituto contrattuale (nella specie, il trattamento spettante al lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro), faccia salve « le più favorevoli di
sposizioni » eventualmente dettate da fonti anteriori, deve trovare applicazione la disciplina che, in relazione a
quell'istituto, riservi al lavoratore il trattamento comples sivo più favorevole. (1)
Ai fini della determinazione dell'indennità di anzianità, il
compenso aggiuntivo per lavoro straordinario è da com
putare nella retribuzione globale solo quando tale lavoro sia, in concreto, espletato dal lavoratore in via continua tiva. (2)
(1-2) Conforme, in altra controversia di lavoro contro la Soc. Breda, Cass. 20 luglio 1960, n. 2021, Foro it., Rep. 1960, voce Lavoro (rapporto), nn. 631, 632, richiamata nella sentenza
La Corte, ecc. — Con i primi due mezzi del ricorso, che vanno esaminati congiuntamente in quanto investono sotto diversi profili e con vari argomenti la medesima questione, si denuncia la violazione degli art. 17, 20 r. decreto legge 13 novembre 1924 n. 1825, 24, lett. a, del contratto collettivo 5 agosto 1937, 4 decreto legge 9 febbraio 1919 n. 112 e 1363 cod. civ., nonché il vizio di omessa, insufficiente e con traddittoria motivazione, in riferimento agli art. 360, nn. 3, 5, e 454 cod. proc. civ., per avere la Corte del merito rite nuto che la indennità di anzianità e quella sostitutiva del
preavviso andavano liquidate alla stregua dei criteri fis sati dall'accordo 4 maggio 1919, più favorevoli per i presta tori d'opera del trattamento economico previsto dalla suc cessiva regolamentazione collettiva.
La censura è fondata.
La contestazione, alla quale si riferiscono i su indicati mezzi di annullamento, concerne in particolare la liquida zione della indennità di anzianità e di quella sostitutiva del
preavviso, dovute al Ghioni, impiegato addetto all'industria
metalmeccanica, assunto in servizio il 9 febbraio 1920 e licenziato per raggiunti limiti di età il 31 marzo 1947.
L'art. 24, lett. a, del contratto collettivo corporativo del 5 agosto 1937 per gli impiegati dell'industria testualmente
dispone che « per l'anzianità di servizio precedente al 1°
luglio 1937 l'indennità di licenziamento verrà, al momento del licenziamento stesso, liquidata in base alle norme del r. decreto legge 13 novembre 1924 n. 1825, oppure in base alle più favorevoli disposizioni eventualmente vigenti al 1° luglio 1937, e portate da usi, consuetudini o contratti individuali più favorevoli, anche se derivanti da regola menti, concordati o accordi stipulati precedentemente alla
legge 3 aprile 1926 n. 563, o non giuridicamente perfetti ai sensi della legge stessa e successive ». Analoghe disposizioni in materia contengono pure gli art. 27 e 29, rispettivamente, dei contratti nazionali 25 giugno 1948 e 21 giugno 1956. Con riguardo alla normativa anzidetta, ispirata al criterio
preferenziale del trattamento più favorevole per il presta tore d'opera, si pone il problema interpretativo della di
sciplina applicabile nella concreta fattispecie, considerando
che, all'epoca dell'assunzione in servizio del Ghioni, era in vigore da un lato il decreto legge 9 febbraio 1919 n. 112, il quale all'art. 20 introduceva per la prima volta nell'ordi namento positivo vigente l'istituto dell'indennità di licen ziamento in favore degli impiegati che avessero raggiunto il diritto al massimo del preavviso previsto dal precedente art. 3, determinandone l'ammontare nella misura di mezza
che si annota. Questa richiama pure Cass. 28 giugno 1954, n. 2227, resa in una controversia di lavoro contro la Soc. Marelli, ma non massimata allora dal competente Ufficio, nè, a quanto risulta, riportata poi in alcuna rivista.
La sentenza cassata ha, anch'essa, un precedente conforme in App. Milano 6 giugno 1958, id., Rep. 1958, voce cit., nn. 698 700, che subì la stessa sorte ad opera della succitata Oass. n. 2021 del 1960.
Per un'applicazione ai rapporti fra contratti collettivi cor porativi e contratti collettivi di diritto privato del criterio del raffronto non fra le singole clausole, ma fra i trattamenti com plessivi derivanti dalle due discipline in contrasto, Cass. 18 feb braio 1960, n. 279, id., Rep. 1960, voce Lavoro (contratto col lettivo), nn. 64, 65. Per una diversa applicazione del criterio del trattamento complessivo, cfr. Oass. 22 giugno 1962, n. 1631, id., 1962, I, 1940.
Sulla computabilità, agli effetti della determinazione del l'indennità di anzianità, delle ore di lavoro compiute oltre l'orario normale, fissato dalla disciplina collettiva in quarantaquattro ore settimanali (mentre il contratto individuale, come nella specie, prevedeva un'attività lavorativa di quarantotto ore settimanali), vedi, con riferimento al contratto collettivo nazionale per i metalmeccanici del 21 giugno 1956, Cass. 24 luglio 1962, n. 2069, id., Rep. 1962, voce Lavoro (rapporto), nn. 741, 742.
Anche l'indennità per il lavoro notturno è stata ritenuta computabile, se tale lavoro sia stato prestato in via continua tiva : Trib. Roma 13 luglio 1961, ibid., n. 733, e 30 luglio 1958, id., Rep. 1959, voce cit., n. 632 ; App. Torino 31 gennaio 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 721. Ugualmente si è ritenuto, alla medesima condizione, per l'incentivo di cottimo : App. Milano 15 dicembre 1956, id., Rep. 1957, voce cit., n. 527.
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1985 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1986
mensilità di stipendio per ogni anno di servizio prestato dopo aver maturato il massimo del preavviso, con il limite 11011 superabile in ogni caso di una annualità di stipendio (art. 4), e dall'altro l'accordo 4 maggio 1919 intervenuto tra
gli industriali metalmeccanici della Provincia di Milano e il personale dipendente.
Secondo l'art. 9 del citato accordo, a partire dalla data
anzidetta, l'indennità di licenziamento di cui all'art. 4 del decreto n. 112 del 1919 andava liquidata, anziché nella misura e con le decorrenze ivi determinate, « in ragione di
una mensilità di stipendio per ogni anno a decorrei ì dal
sesto anno di servizio continuativo prestato presso la ditta, ferma restando ogni altra disposizione dell'articolo citato ». Il decreto n. 112 del 1919 veniva infine abrogato dallo art. 20 r. decreto legge 13 novembre 1924 n. 1825, il quale all'art. 10 riconosceva a tutti gli impiegati un'indennità di
licenziamento non inferiore alla metà dell'importo di tante
mensilità di stipendio per ogni anno di servizio prestato, malgrado ogni patto in contrario, salvo il caso di particolari convenzioni o usi più favorevoli per il prestatore d'opera (art. 17). Di qui la necessità di accertare, ai fini della deter
minazione del sistema di calcolo della indennità di anzianità, se la disciplina predisposta dall'accordo 4 maggio 1919 fosse
più vantaggiosa per il dipendente, e quindi dovesse rite
nersi applicabile al rapporto de quo in luogo di quella pre vista dal decreto n. 1825 del 1924.
La Corte del merito ha dato soluzione positiva al que sito, fondando il proprio convincimento sul semplice ri
lievo che nell'accordo del 1919 era previsto un maggior numero di mensilità di preavviso, nonché un più elevato
coefficiente della retribuzione ultima, da computare ai fini
della determinazione dell'indennità di anzianità. Ora è
evidente la insufficienza e incompletezza dell'accolta inter
pretazione, ove si consideri che i Giudici di appello non hanno
tenuto conto dell'intera portata precettiva dell'art. 9 del
citato accordo del 1919, e quindi hanno omesso di esaminare
il trattamento complessivo desumibile da ciascuna nelle
due discipline anzidette, siccome invece necessario per una
razionale applicazione del principio della clausola più van
taggiosa, il quale impone appunto che sia riservato al lavo ratore il trattamento più favorevole nel suo complesso. Questa Suprema corte, in analoghe fattispecie, ha già avuto
occasione di rilevare che la indagine ermeneutica non po teva arrestarsi al semplice dato circa il numero della mensi
lità di preavviso e il coefficiente della retribuzione da cal
colare per la determinazione dell'indennità di anzianità, ma doveva altresì considerare che l'art. 9 dell'accordo 1919
faceva generico richiamo all'art. 4 del decreto n. 112 del
1919 e quindi anche al limite massimo di una annualità
di stipendio, e che l'art. 20 del decreto n. 1825 del 1924
aveva abrogato il decreto n. 112 del 1919, donde la neces
sità di risolvere l'ulteriore problema circa l'efficacia del
richiamo a disposizioni legislative vigenti al momento della
stipulazione dell'accordo 1919 e successivamente abrogate (sent. 28 giugno 1954, n. 2227, ined. ; 20 luglio 1960, n. 2021, Foro it., Rep. 1960, voce Lavoro (rapporto), nn. 631, 632). In definitiva, il quesito rivolto ad accertare se il trattamento assicurato all'impiegato con l'accordo del 1919 fosse più favorevole rispetto alla successiva normativa, che aveva
eliminato la restrizione del massimale di un anno, implicava necessariamente la soluzione del problema circa il carat
tere formale o recettizio del rinvio contenuto nell'art. 9
dell'accordo 1919 all'art. 4 del decreto n. 112 del 1919, nel
senso che, una volta abrogato tale complesso normativo
dalla legge sull'impiego privato del 1924, restava caducato
anche il rinvio fattone nel citato art. 9, o non piuttosto la
norma richiamata continuava a spiegare i suoi effetti per essere entrata a far parte dell'economia complessiva del
trattamento concesso con l'accordo del 1919. Ai fini di una
tale indagine occorreva quindi accertare la comune inten
zione delle parti contraenti, allorché da un lato avevano
modificato la « misura » dell'indennità e dall'altro ave
vano lasciato «ferma ogni disposizione dell'art. 4», ed in
particolare se con la espressione « misura » si era inteso aver
riguardo alla sola unità di misura (mensilità intera in luogo di mezza mensilità) o anche al limite massimo di ammontare
Il Foro Italiano — Volume LXXXV1 — Parti. I-127.
dell'indennit à di licenziamento. Ma, come già rilevato nelle
sentenze sopra citate, tale interpretazione esorbita dai
compiti istituzionali di questa Corte, giacché l'accordo 4
maggio 1919 è un contratto precorporativo, avente natura
privatistica. E neppure può disconoscersi che l'apprezza mento valutativo fatto al riguardo dal giudice del merito, ove sia, come nella specie, lacunoso, incompleto e insuffi
ciente, e quindi viziato da errori logici, ben può essere sin
dacato in sede di annullamento.
Con il terzo mezzo del ricorso si denuncia la violazione dell'art. 1 r. decreto legge 15 marzo 1923 n. 692, anche sotto
il riflesso della insufficiente e contraddittoria motivazione,
per avere i Giudici di appello ammesso la computabilità tra gli elementi costitutivi della retribuzione, ai fini della
determinazione dell'indennità di anzianità, del compenso
aggiuntivo per le ore prestate tra le 44 e le 48 settimanali. Al riguardo si deduce che l'affermazione contenuta in sen tenza circa il riconoscimento da parte della Società impren ditrice dell'effettiva prestazione di lavoro oltre le 44 ore
settimanali è In patente contrasto con quanto in prece denza affermato e con la documentazione acquisita al pro cesso, e in definitiva si fonda sull'erroneo presupposto che
il Ghioni avesse senz'altro diritto a pretendere la retribu
zione in ragione di 48 ore.
Ante tale censura si ravvisa fondata. Per vero la Corte del merito, dopo avere contradditto
riamente accennato ad un preteso riconoscimento da parte della Società imprenditrice, trascurando del tutto la esibita
documentazione, ha infine giustificato il suo convincimento
con il richiamo alla differenza di orario, stabilito in 42 ore
nell'accordo del 1919 e in 48 ore nel contratto individuale,
quasi a desumere l'obbligo convenzionale della Società im
prenditrice di retribuire senz'altro il personale dipendente in ragione di 48 ore settimanali.
Al contrario è ben noto che tale ultimo orario costituisce
il limite massimo cui può estendersi la prestazione normale
del prestatore d'opera, in guisa che ogni ulteriore attività
rientra nella nozione di lavoro straordinario, da compen sarsi con le prescritte maggiorazioni. E nella specie l'art. 8
del contratto collettivo 21 giugno 1956 testualmente di
spone che il compenso in aggiunta alla retribuzione normale
va corrisposto per ogni ora oltre le 44 e fino alle 48 setti
manali di lavoro effettivo, donde, in via normale, il carat
tere eccezionale e non continuativo dell'anzidetta eroga zione patrimoniale, e quindi la sua non computabilità ai
fini e per gli effetti dell'art. 2121 cod. civile. Sulla base di tali
principi di diritto, completamente disattesi in sentenza, i Giudici di appello avrebbero dovuto accertare se il lavoro
prestato oltre le 44 ore fosse stato in concreto espletato in
via continuativa e solamente in questo caso sarebbe stata
legittima la computabilità del relativo compenso aggiuntivo nella retribuzione globale. La contraddittorietà del generico accenno al preteso riconoscimento da parte della Società
Breda e la mancanza di una qualsiasi valutazione della
prova documentale rendono del tutto illogica la denunciata
motivazione e pongono in evidenza la mancanza di un ef
fettivo accertamento di fatto, di fronte al quale soltanto
resta precluso il sindacato della Corte regolatrice. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 21 marzo 1963, n. 685 ; Pres.
Marletta P., Est. Modigliani, P. M. Cutrupia (conci,
conf.) ; Sardellini (Avv. Ciotti) c. Mandolesi e Verdicchio
(Avv. Simon celli) .
(Oassa senza rinvio App. Ancona 21 febbraio 1959)
Cassazione in materia civile — Vizio di ultrapetizione ascritto al giudice di primo grado e non dedotto
coi motivi di appello —■ Deduzione col ricorso per cassazione — Inammissibilità.
Proprietà — Occupazione di porzione del tondo at
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