sezione II penale; sentenza 17 novembre 1992: Pres. De Nictolis, Est. Nardi, P.M. Ranieri (concl.conf.); ric. Berlingieri. Conferma App. Torino 23 marzo 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 11 (NOVEMBRE 1993), pp. 643/644-647/648Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188263 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II penale; sentenza 17 no
vembre 1992: Pres. De Nictolis, Est. Nardi, P.M. Ranieri
(conci, conf.); ric. Berlingieri. Conferma App. Torino 23 marzo
1992.
Estorsione — Consumazione — Fattispecie (Cod. pen., art. 56,
629). Estorsione — Aggravante delle più persone riunite — Fattispe
cie (Cod. pen., art. 628, 629).
Nel reato di estorsione, l'impossessamento ed il correlato spos sessamento sono eventi svincolati da qualsiasi criterio spazio
temporale, essendo sufficiente per la consumazione del reato
che l'estorsione abbia acquisito sia pure per breve tempo la
disponibilità della cosa indebitamente ottenuta (nella specie, si è ritenuto consumato il delitto de quo anche se gli autori
hanno rilasciato il bottino pochi attimi dopo l'apprensione
per sfuggire all'accerchiamento previamente disposto dalle forze dell'ordine in accordo con la vittima). (1)
(1) Alla luce della tendenza iper-rigoristica consolidatasi nella giuris prudenza nel corso degli ultimi anni in ordine alla determinazione del momento consumativo del reato di estorsione, e alla connessa questione della configurabilità del tentativo nel caso di subitaneo arresto degli estorsori per la previa disposizione delle forze dell'ordine di concerto con la vittima, aveva visto giusto quella dottrina che aveva preconizza to in questa materia una 'sterzata' repressiva negli orientamenti della Cassazione (Petrini, Tentativo di estorsione e predisposizione della forza pubblica: una svolta giurisprudenziale?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 370, nota a Cass. 7 dicembre 1978, Fazari, Foro it., Rep. 1981, voce Estorsione, nn. 11, 13). E in effetti, la sentenza in epigrafe non si discosta dall'orientamento ormai prevalente, che ritiene consumato il delitto anche quando ci si trovi di fronte ad una mera apprensione temporanea della cosa o del denaro estorto da parte dei malviventi, senza che ad essa consegua una disponibilità tale da determinare l'effet tivo ottenimento di un profitto con altrui danno (cfr., tra le più recenti, Cass. 25 maggio 1990, Berton, id., Rep. 1991, voce cit., n. 6 e, per esteso, Riv. pen., 1991, 813; 18 settembre 1989, Benigno, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 5; 7 gennaio 1988, La Rocca, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 8; 16 febbraio 1987, Balzano, id., Rep. 1988, voce cit., n. 3; 13 giugno 1985, Polese, id., Rep. 1986, voce cit., n. 4; 12 dicembre
1984, Braico, ibid., n. 9; 12 marzo 1982, Turco, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 12 e, per esteso, Giur it., 1983, II, 321; contra, nel senso cioè di ritenere degradato il delitto da consumato in tentato a cagione del
tempestivo intervento delle forze dell'ordine e della conseguente ridotta estensione temporale del possesso del denato estorto, vedi, ancorché senza coerente applicazione del principio al caso concreto, Cass. 28 ot
tobre 1988, Florio, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 6; con maggiore coerenza, invece, tra l'impostazione teorica e la soluzione data al caso di specie, Cass. 19 aprile 1983, Giangiacomo, id., Rep. 1984, voce cit., n. 22).
Probabilmente, all'origine di un siffatto indirizzo sta la ritenuta esi
genza di reagire con un rigoroso trattamento sanzionatorio alla recru descenza del fenomeno estorsivo di recente registratosi nel nostro paese (si vedano sul punto le considerazioni di Fiandaca-Musco, Diritto pe nale, parte speciale, Bologna, 1992, vol. II, tomo II, 117, e le indicative statistiche ivi riportate). Ciononostante, l'interpretazione dell'art. 629 c.p. effettuata dalla giurisprudenza attualmente maggioritaria va incon tro a rilievi critici. L'obiezione che anzitutto va mossa è che i requisiti del danno (per la vittima) e del profitto (per l'autore), richiesti dalla norma per poter considerare integrati gli estremi del reato, vengono dalla giurisprudenza valutati alla stregua di parametri formalistici e non invece come concreti risultati dell'azione: in tal modo, si sfigura il volto dell'estorsione trasformandola da reato di evento a reato di mera con dotta, in stridente contrasto con la struttura del delitto cosi come è descritta dalla fattispecie legale (Flandaca-Musco, cit., 123). A tal pro posito, giova poi ricordare che uno dei principali caratteri distintivi del l'art. 629 c.p. rispetto al previgente art. 409 del codice Zanardelli consi ste nel fatto che, mentre quest'ultimo considerava bastevole la semplice «messa a disposizione del colpevole» del denaro e delle altre cose estor
te, nella formulazione varata con il codice Rocco l'impianto della fatti
specie si regge proprio sul plurimo nesso di conseguenzialità intercor
rente, da un lato, tra violenza, minacce e l'azione o omissione imposta alla vittima, e, dall'altro, tra il predetto comportamento, il profitto conseguito e il danno arrecato. Il legislatore del '30 ha cioè voluto ag giungere un quid pluris alla fattispecie previgente, rappresentato dal
l'impossessamento da parte dell'agente del denaro estorto; per essere, però, tale impossessamento differenziato dalla semplice «messa a dispo sizione», esso non deve esaurirsi nella mera apprensione materiale, ben sì' «occorre che la cosa sia uscita dalla sfera giuridico-patrimoniale del
soggetto passivo, entrando in quella del soggetto attivo e permettendo cosi a questo di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno» (Ven ditti, In tema di momento consumativo del reato di estorsione, in
Il Foro Italiano — 1993.
In caso di minacce estorsive perpetrate in forma mediata attra
verso ripetute telefonate alla vittima, per ritenere sussistente
l'aggravante delle più persone riunite è decisivo accertare se
il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che la minac
cia a fini estorsivi provenga non solo dal singolo che la prof
ferisce, ma che costui manifesti le comuni criminali intenzio ni di una pluralità di persone di cui si faccia portavoce. (2)
Svolgimento del processo. — Nell'autunno 1989 Luciano Lo
dico ricevette telefonate minacciose con richiesta di versamento
della somma di lire 300.000.000; chiesto il blocco telefonico, le chiamate cessarono. Queste, tuttavia, ripresero circa un anno
dopo, nel settembre 1990, precedute dall'esplosione di una bomba
di carta. Si intimò al Lodico di pagare lire 300.000.000 se vole
va salvarsi la casa di abitazione. Con gli ignoti autori delle ri
chieste iniziarono trattative, condotte dal figlio del Lodico, San
dro; si concordò la consegna di 80.000.000, da effettuare in
un luogo isolato. Ivi, nel giorno stabilito, si appostarono i cara
Giur. it., 1950, II, 276, nota a Cass. 18 febbraio 1949, Serra, Foro
it., Rep. 1949, voce cit., n. 45). Infine, non è escluso, sotto un profilo special-preventivo, che l'appli
cazione delle pene previste per il reato consumato (in luogo del meno
grave trattamento sanzionatorio previsto per il tentativo) possa entrare in contraddizione con la reale pericolosità dei singoli colpevoli in carne ed ossa. Ed invero, i casi nei quali le forze dell'ordine riescono a coglie re in flagranza gli estorsori sono non di rado proprio quelli che, non vedendo protagonisti i professionisti dell'estorsione, finiscono per rap presentare maldestri tentativi di facile arricchimento rispetto ai quali, in realtà, sembra esagerato un accanimento sanzionatorio. Al contra
rio, per i fenomeni estorsivi collegati ad associazioni mafiose, i quali costituiscono la vera fonte di preoccupazione per il mondo del commer
cio e per l'ordine pubblico, rimane sempre la possibilità di infliggere
pene adeguate alla gravità dei fatti commessi grazie all'applicazione del
l'aggravante speciale prevista dall'art. 628, ultimo cpv., n. 3 e richia mata dall'ultimo comma dell'art. 629, che può essere contestata anche in presenza di delitto tentato (basti ricordare, infatti, che l'aggravante
comporta l'aumento del minimo edittale da cinque anni a sei, e, del
massimo, da dieci a venti anni). In dottrina, con riferimento a casi analoghi a quello riportato in mas
sima, escludono la consumazione del reato in favore della configurazio ne del solo tentativo: Venditti, In tema di momento consumativo, cit.; Conti, Estorsione, voce dell*Enciclopedia del diritto, Milano, 1966, XV, 1001; Antolisei, Diritto penale, parte speciale, Milano, 1992, 345, spec, nota 217; Manzini, Trattato di diritto penale, Torino, 1984, IX, 464;
Mantovani, Estorsione, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1989, XIII; Marini, Estorsione, voce del Digesto pen., Torino, 1990, IV, 387; Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., 123. Al contrario, propendono in tali casi per la perfezione del reato, sulla scorta dell'argomento se condo cui non si deve confondere la restituzione con la consumazione:
Vannini, Manuale di diritto penale, parte speciale, Milano, 1956, 348, e Angelotti, Delitti contro il patrimonio, in Trattato di diritto penale coordinato da Florian, Milano, 1934, 306.
(2) Il principio espresso in massima si ritrova costantemente nelle
pronunce della giurisprudenza di legittimità da un decennio a questa parte: Cass. 3 dicembre 1990, Silvestro, Foro it., Rep. 1992, voce Estor sione, n. 8 e, per esteso, Riv. pen., 1991, 1080; 20 settembre 1990, Cervi, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 9 e, per esteso, Riv. pen., 1992, 53; 17 gennaio 1990, Annacondia, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 11; 12 agosto 1987, Gaglioli, id., Rep. 1989, voce cit., n. 13 e, per esteso, Cass. pen., 1989, 53; 18 novembre 1987, Lo Dico, Foro it.,
Rep. 1989, voce cit., n. 6; 22 dicembre 1987, La Spada, ibid., n. 11; 11 marzo 1988, Fanuli, ibid., n. 14; 26 gennaio 1987, Franciosa, id., Rep. 1988, voce cit., n. 7; 3 ottobre 1986, Masella, id., Rep. 1987, voce cit., n. 13; 7 agosto 1984, Guzzi, id., Rep. 1985, voce cit., n.
9; 2 giugno 1983, Mauri, id., Rep. 1984, voce cit., n. 21; 5 aprile 1982, Gilio, id., Rep. 1983, voce cit., n. 32; 24 novembre 1981, La Rosa, ibid., n. 33; 26 giugno 1981, Minniti, ibid., n. 34; ha ritenuto non necessario che la vittima si renda conto che più persone si sono coaliz zate ai suoi danni, considerando addirittura sufficiente per contestare
l'aggravante de qua la sola sussistenza di una pluralità di autori, Cass. 27 marzo 1981, Rosa, id., Rep. 1982, voce cit., n. 24. Isolate, invece, le decisioni a favore dell'esclusione della configurabilità della circostan za aggravante in casi simili a quello oggetto della sentenza in epigrafe: Cass. 11 febbraio 1983, Stefanelli, id., Rep. 1984, voce cit., n. 20; 12 dicembre 1981, Sarà, id., Rep. 1982, voce cit., n. 21; 19 febbraio 1981, Latella, ibid., n. 23.
In dottrina, si vedano: Martina, L'aggravante delle più persone riu nite nell'estorsione, in Cass. pen., 1989, 54; Salazar, Osservazioni sul
l'aggravante delle «più persone riunite» nell'estorsione, in Legislazione pen., 1981, 1271. [C. Visconti]
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GIURISPRUDENZA PENALE
binieri, i quali videro sopraggiungere due persone, una più gio vane dell'altra: mentre quella più anziana restava alla guida, il compagno scendeva e raccoglieva una borsa entro la quale erano state messe due banconote da lire 100.000, fotocopie di
denaro e carta straccia. All'alt gli sconosciuti fuggirono, lasciando
a terra la borsa. Essi vennero arrestati più tardi ed identificati
per Berlingieri Giovanni e Berlingieri Tonino, rispettivamente zio e nipote.
Il secondo chiese di patteggiare la pena; nei confronti di Ber
lingieri Giovanni si procedette con il rito abbreviato.
Il g.i.p. presso il Tribunale di Torino affermò la penale re
sponsabilità dell'imputato in ordine al delitto di estorsione con
sumata, argomentando che, nonostante l'appostamento predi
sposto dalla polizia, l'apprensione materiale del corpo del reato
era avvenuta. Ravvisò, comunque, nei fatti l'attenuante ex art.
62, n. 4, c.p., che valutò equivalente all'aggravante contestata
ed alla recidiva; condannò il Berlingieri alla pena diminuita a
norma dell'art. 442 codice di rito di anni tre di reclusione e
lire 2.000.000 di multa, nonché alla pena accessoria della inter
dizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Avverso la sentenza interpose gravame l'imputato per ottene
re: la derubricazione da delitto consumato a delitto tentato; l'e
sclusione della aggravante della minaccia commessa con più per
sone riunite; la prevalenza della concessa attenuante di cui al
l'art. 62, n. 4, sulla aggravante e la recidiva, con conseguente
riduzione della pena. Il procuratore generale propose ricorso per cassazione, dolen
dosi della riconosciuta attenuante relativa alla lievità del danno.
La Corte d'appello di Torino con la sentenza in epigrafe indi
cata ed ora impugnata in questa sede, ritenuto ammissibile il
gravame del p.g., anche se convertito in appello ex art. 580
c.p.p., reputò lo stesso infondato nel merito ed ugualmente ri
tenne priva di fondamento giuridico l'impugnazione dell'im
putato.
Riguardo al gravame del prevenuto il collegio osservò, in mo
tivazione, che in ordine alla richiesta di derubricazione dell'im
putazione a delitto tentato, reputava di doversi adeguare all'o
rientamento giurisprudenziale notevolmente prevalente secondo
il quale l'appostamento della polizia non escludeva che si con
sumasse il reato di estorsione qualora fosse avvenuta, anche
per tempo limitato, la materiale apprensione del denaro versato
dal soggetto passivo; che il giudice di primo grado aveva già rettamente sottolineato che la vigilanza dei militi non poteva
costituire elemento atto ad escludere di per sé la consumazione
del reato, atteso che tale vigilanza poteva essere elusa dall'abili
tà degli estorsori o frustrata da circostanze accidentali; che pro
prio nella specie erano stati gli autori del reato a decidere di
lasciare cadere la borsa contenente il denaro, nel darsi alla fu
ga, fuga che era riuscita per un certo tempo, in quanto i due
Berlingieri erano stati tratti in arresto soltanto successivamente;
che la fuga, dunque, era riuscita, sia pure in un primo momen
to; e il denaro avrebbe potuto essere fatto sparire, prima del
l'arresto, ove chi se ne era impossessato non avesse preferito abbandonarlo immediatamente.
Né poteva, secondo la corte di merito, accedersi a richieste
di riduzione della pena, ricorrendo nella specie certamente l'ag
gravante della minaccia proveniente da più persone, posto che
i Lodico avevano riferito di aver telefonicamente parlato con
due persone diverse, apparentemente di età diversa, entrambe
le quali avevano profferito minacce; che le richieste estorsive
erano provenute, dunque, da più di un soggetto, ed erano ap
parse alle parti lese «riunite» da un unico proposito estorsivo
a loro danno e da una unica conduzione della vicenda estorsiva
medesima; che il giudice di prime cure aveva già ritenuto che
l'attenuante della lievità del danno potesse essere valutata come
equivalente alla detta aggravante nonché alla recidiva, e non
sembrava che questa valutazione potesse essere spinta oltre, aven
do il prevenuto non trascurabili precedenti penali (cinque con
danne per furto; condanne per ricettazione, violazione legge ar
mi, violazioni delle misure di prevenzione), ed essendosi reso
autore di un reato particolarmente odioso, con apprestamento
di mezzi (scoppio di una bomba carta) e con coinvolgimento di un giovanissimo congiunto (ed anche questa opera di nefasta
influenza sul nipote induceva a rilevare nell'imputato una spic
cata pericolosità sociale).
Il Foro Italiano — 1993.
Avverso detta sentenza il Berlingieri ha proposto ricorso per
cassazione, affidato a tre ordini di censure.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo il difensore — denunciando erronea applicazione della legge penale e moti
vazione carente ed illogica in ordine alla sussistenza del delitto
di estorsione consumata — assume che affermare, come ha fat
to la corte di merito, che gli autori del reato avrebbero potuto far sparire il denaro prima dell'arresto se non lo avessero ab
bandonato immediatamente nel darsi alla fuga subito dopo la
sorpresa in flagranza da parte dei militi, significa riconoscere
indirettamente che non vi era stato alcun profitto per il Berlin
gieri; che non può, infatti, parlarsi di estorsione consumata po sto che il conseguimento del profitto segna il perfezionamento
della fattispecie: diversamente dall'ipotesi del furto, il semplice
impossessamento può tutt'al più configurare il tentativo di estor
sione in quanto questa è delitto di danno, non di mera condot
ta; che, pertanto, il criterio in base al quale l'impossessamento
si trasforma in profitto è proprio quello temporale: la cosa deve
restare nel possesso del colpevole per il tempo necessario affin
ché questi ne possa disporre o comunque possa trarne qualsiasi
utilità; che il reo come non può procurare a sé o ad altri alcun
profitto, cosi non ha la possibilità di compiere rispetto alla cosa
alcun atto che si traduca in un danno per la vittima; che il
prevenuto aveva avuto la disponibilità materiale del denaro —
mai uscito dalla sfera giuridica della persona offesa — solo per
pochi istanti sotto il controllo della forza pubblica, appostato
per sorprenderlo in flagranza.
Con il secondo motivo — denunciando erronea applicazione
della legge penale e motivazione carente ed illogica in ordine
alla sussistenza dell'aggravante delle più persone riunite — il
deducente assume che le «più persone riunite» di cui all'art.
628, 3° comma, n. 1, c.p. sono un dato ulteriore che sembra
postulare un quid pluris, in grado di conferire all'aggravante
de qua carattere dì specialità rispetto alla disciplina generale
del concorso di persone nel reato; che la norma, cioè, configura
una forma di concorso nel quale l'apporto causale del singolo correo si esplicita necessariamente nella fase di esecuzione me
diante la presenza simultanea (riunione), all'atto e nel luogo
della consumazione del delitto, di tutti i partecipanti; che nell'i
potesi di violenza o minaccia attuata in forma mediata manca
quel maggiore effetto intimidatorio che dà fondamento giuridi
co all'aggravante delle «più persone riunite»; che ogni tentativo
di dilatare l'ambito di operatività della norma violerebbe, co
munque, il principio di frammentarietà della tutela penale, in
virtù del quale è vietata l'estensione della stessa a forme di ag
gressione del bene protetto non espressamente tipizzate nella fat
tispecie incriminatrice.
Con la terza doglianza — denunciando erronea applicazione della legge penale e motivazione carente in ordine al giudizio
di equivalenza delle «circostanze contestate» — si assume che
sarebbe stata omessa, nell'eseguire la comparazione, ogni consi
derazione circa l'atteggiamento di franca lealtà processuale del
Berlingieri e soprattutto ogni riferimento a talune modalità del
fatto, principalmente all'immediato abbandono del denaro, no
nostante che l'arresto sia avvenuto solo successivamente, ed «alla
formulazione di richieste telefoniche, facilmente intercettabili ed
individuabili quanto alla fonte»; circostanze tutte che avrebbe
ro potuto giustificare un giudizio di prevalenza dell'attenuante
di cui all'art. 62, n. 4, c.p. sulla contestata aggravante delle
«più persone riunite» e sulla recidiva.
Le censure ora esposte sono, ad avviso del collegio, tutte de
stituite di fondamento giuridico.
Invero, quanto alla doglianza di cui al primo motivo del ri
corso in esame è sufficiente osservare che, in tema di estorsio
ne, la giurisprudenza prevalente di questa corte ritiene verifica
ta la consumazione del reato allorché l'estortore, nonostante
il servizio di appostamento predisposto dalla polizia, riesca ad
impossessarsi, anche per un breve lasso di tempo, della somma
di denaro messa a sua disposizione dal soggetto passivo della
violenza o della minaccia (v., fra le ultime, sent. 7 gennaio 1988,
La Rocca, Foro it., Rep. 1989, voce Estorsione, n. 8; 18 set
tembre 1989, Benigno, id., Rep. 1991, voce cit., n. 5). E ciò
perché, in ordine a tale reato, l'impossessamento ed il correlato
spossessamento sono eventi svincolati da qualsiasi criterio
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PARTE SECONDA
spazio-temporale, essendo sufficiente che l'imputato abbia ac
quisito, sia pure per breve tempo, la disponibilità della cosa
indebitamente ottenuta.
Quindi, anche se la consegna del danaro si svolge sotto la
vigilanza della polizia e l'estorsore resti nel possesso del danaro
per pochi istanti, non si verte in tema di tentativo perché il
delitto deve ritenersi consumato, in quanto tale reato si realizza
nel momento e nel luogo in cui si verificano l'ingiusto profitto e il danno patrimoniale.
Pertanto, nel caso di specie, bene hanno fatto i giudici di
merito a ritenere avvenuta la consumazione del reato de quo, essendo riusciti i due malviventi ad impossessarsi del denaro
(anche se in cifra notevolmente minore a quella richiesta), sia
pure per alcuni attimi, nonostante l'intervento dei militi, con
cordato con la vittima. Conclusione, questa, vieppiù giustifica
ta nell'ipotesi in esame, tenuto conto delle modalità specifiche di svolgimento dell'accaduto, descritte in narrativa.
Quanto al secondo motivo di gravame giova premettere che, in tema di estorsione, l'aggravante delle più persone riunite nel
commettere la violenza e/o minaccia — elementi costitutivi di
tale delitto — si giustifica per la maggiore idoneità dell'azione
a produrre più gravi effetti fisici e/o psicologici in danno del
soggetto passivo, di cui tendono ad elidere o diminuire la capa cità di resistere. E secondo l'orientamento di gran lunga mag
gioritario nella giurisprudenza di questa Suprema corte (v., da
ultimo, sent. 3 dicembre 1990, Silvestro e altro, id., Rep. 1992,
voce cit., n. 8), l'aggravante de qua ricorre tutte le volte in
cui la violenza o minaccia sia percepita dal soggetto passivo come proveniente da più persone, anche se una sola di queste abbia fatto ricorso alla violenza o minaccia.
Per quanto poi riguarda la minaccia telefonica — a parte il caso in cui le minacce siano reiterate e provenienti da persone diverse — l'aggravante è da ritenersi sussistente ogniqualvolta il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che essa pro
venga non solo dal singolo che la profferisce, ma che costui
manifesti le comuni, perverse, intenzioni di più persone, inten
zioni di cui si faccia portavoce.
Orbene, nella specie — a parte la circostanza che i Lodico
hanno riferito di aver telefonicamente parlato con due persone
diverse, apparentemente di età diversa, entrambe le quali aveva
no profferito minacce, come puntualizzato nella gravata senten
za —, è decisiva la considerazione che le richieste estorsive «erano
apparse alle parti lese riunite da un unico proposito criminoso
a loro danno e da una unica conduzione della vicenda estorsiva
medesima».
Ed è quanto basta perché venga ritenuta — a giusta ragione — ricorrente, nel caso di cui trattasi, l'aggravante in questione.
Anche per quanto riguarda la denegata prevalenza della con
cessa attenuante della lievità del danno sulla contestata aggra vante e la recidiva, la decisione impugnata appare sorretta da
adeguata e logica motivazione, con riferimento ai precedenti pe nali dell'imputato, anche specifici, alle gravi modalità del fatto, al particolare disvalore del delitto commesso, ed alla pericolosi tà sociale del prevenuto scaturente anche dallo scarso livello
morale dimostrato con il coinvolgimento nell'azione delittuosa
di un giovanissimo congiunto. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Il Foro Italiano — 1993.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 21 gen naio 1992; Pres. Accinni, Est. Postiglione, P.M. Iuraci
(conci, conf.); ric. Valsecchi. Conferma App. Trieste 7 feb braio 1991.
Sanità pubblica — Rifiuti — Attività di trasporto a carattere
interregionale — Autorizzazione distinta e autonoma di ogni
regione — Necessità (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attua
zione delle direttive (Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policloro trifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 1, 6, 25).
Sanità pubblica — Rifiuti — Attività di trasporto — Iscrizione all'albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimen
to dei rifiuti — Effetti — Rinvio alla data di effettiva opera tività dell'albo (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 25; d.l.
31 agosto 1987 n. 361, disposizioni urgenti in materia di smal
timento dei rifiuti, art. 10; 1. 29 ottobre 1987 n. 441, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 31 agosto 1987 n.
361).
Per il trasporto da una regione all'altra di rifiuti è necessaria
un'autorizzazione autonoma e distinta di ogni regione, sicché
il reato formale di carenza di autorizzazione in una regione si realizza a prescindere dal fatto che il soggetto sia in regola
rispetto ad altre regioni. (1)
Per le imprese esercenti attività di trasporto di rifiuti, l'art. 10
d.l. 31 agosto 1987 n. 361, convertito nella l. 29 ottobre 1987
n. 441, che ha istituito l'albo nazionale delle imprese esercen
ti servizi di smaltimento dei rifiuti, prevede che l'iscrizione
all'albo sostituisce l'autorizzazione regionale di cui all'art. 6
d.p.r. 915/82: tale regime giuridico è però condizionato alla
operatività effettiva dell'albo da fissarsi con decreto del mini
stro dell'ambiente che ancora non è stato emanato. (2)
(1) La sentenza conferma l'indirizzo espresso da Cass. 12 gennaio
1989, Paulicelli, Foro it., 1989, II, 466; 16 aprile 1991, Guarino, id., Rep. 1992, voce Sanità pubblica, n. 357; 2 luglio 1991, Crepuscoli, ibid., n. 363: in particolare, si ribadisce la necessità che il trasportatore di
rifiuti si munisca di tante autorizzazioni per quante sono le regioni da
attraversare.
In argomento, una conferma di questo orientamento si è avuta anche
con Corte giust. 28 marzo 1990, causa 359/88, id., 1990, IV, 293: «L'at
tribuzione della competenza al rilascio delle autorizzazioni a trasportare rifiuti ad autorità non aventi competenza a livello nazionale è compati bile con l'art. 5 della direttiva del Consiglio 75/442». Ciò significa,
per l'appunto, che legittimamente il legislatore italiano ha previsto sin
gole autorizzazioni per il trasporto interregionale di rifiuti. In senso
contrario, v. Pret. Genova 7 luglio 1988, id., 1989, II, 263, con nota di richiami, e, da ultimo, Pret. Savona-Varazze 30 novembre 1992, Nuovo
dir., 1993, 599, secondo cui, in caso di trasporto di rifiuti attraverso
più regioni, non si rinviene un principio generale secondo cui occorra una sola autorizzazione ovvero occorrano più autorizzazioni rilasciate
da tutte le regioni interessate dal trasporto. In dottrina, aderisce senza tentennamenti all'opinione della Cassazio
ne, Amendola, Smaltimento dei rifiuti e legge penale, Napoli, 1985,
71, mentre dissentono F. e P. Giampietro, Lo smaltimento dei rifiuti. Commento al d.p.r. n. 915/82, Rimini, 218, i quali ritengono che «qua lora si tratti di attività di raccolta e trasporto regionale o interregionale, la domanda va presentata alla regione ove ha inizio la raccolta e il
trasporto e a tutte quelle, nel cui territorio il soggetto intende svolgere entrambe le attività. Pertanto, l'interessato non è tenuto ad inviare la
domanda alle regioni che verranno soltanto attraversate dal trasporta tore né a quelle in cui è sito l'impianto al quale intende conferire i
rifiuti trasportati». (2) Nello stesso senso della sentenza in epigrafe, Cass. 2 luglio 1991,
Crepuscoli, cit., si era già espressa sostenendo che «la semplificazione del regime autorizzatorio intervenuta con l'art. 10 1. 29 ottobre 1987
n. 441, secondo cui l'iscrizione all'albo nazionale delle imprese di tra
sporto dei rifiuti «sostituisce l'autorizzazione», è subordinata all'effet
tiva operatività dell'albo, fissata con decreto del ministro dell'ambiente
e alle relative prescrizioni e, comunque, ai fini penali non comporta il venir meno del regime autorizzatorio e delle relative sanzioni per le
imprese non iscritte all'albo nazionale».
In senso contrario, v. Pret. Firenze 24 marzo 1988, Foro it., 1989,
II, 263: «A seguito dell'entrata in vigore della 1. n. 441 del 1987, il
cui art. 10 prevede l'istituzione di un albo nazionale delle imprese che
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