sezione II; sentenza 17 giugno 1993, n. 250; Pres. ed est. Sinagra; Chiesa evangelica metodista diBologna ed altri (Avv. Virgilio) c. Circolo di Vergato, Ottavo circolo di Bologna e Min. pubblicaistruzione (Avv. dello Stato Zito)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 9 (SETTEMBRE 1993), pp. 461/462-465/466Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187782 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Discende da quanto sopra che il ricorso ad uno dei diversi
istituti che l'ordinamento ha approntato per fronteggiare situa
zioni di urgenza non può essere frutto di una valutazione di
screzionale ispirata a ragioni di opportunità, ma deve avvenire
invece in modo da limitare quanto più possibile lo scostamento
dalla regola della concorsualità: si vuol dire con ciò che può ritenersi consentita l'applicazione di uno tra i diversi istituti con
siderati solo quando risultasse intempestiva, per la maggiore com
plessità dei relativi adempimenti, l'utilizzazione dell'istituto cor
relato ad uno stato di urgenza di minor intensità rispetto a quello
prescelto. Cosi, a giudizio del collegio, l'esecuzione in econo
mia può essere legittimamente disposta solo se l'onere delle for
malità richieste per la trattativa privata ex art. 41 reg. n. 827
e i tempi necessari per osservarle rendessero questo istituto in
compatibile con l'esigenza di porre rimedio alla situazione che
si è determinata in concreto.
Il ricorso al cottimo fiduciario a norma dell'art. 69 r.d. cit.
presuppone dunque un grado di urgenza più pressante di quello richiesto per il ricorso all'ordinaria trattativa privata: deve cioè
versarsi in una situazione di emergenza in cui, pur non ricorren
do gli estremi della «somma urgenza» di cui all'art. 70 del me
desimo r.d., sussista comunque la necessità di adottare con im
mediatezza misure di pronto intervento per porre riparo a un
danno improvviso, che siano incompatibili con gli adempimenti occorrenti per la trattativa privata prevista dalla richiamata di
sposizione del regolamento di contabilità generale. Dalle considerazioni fin qui svolte emerge quindi che per po
ter fare ricorso all'istituto considerato occorre non soltanto che
si tratti di interventi di semplice realizzazione e resi necessari
da una situazione di urgenza che sia tale in senso tecnico, come
inizialmente rilevato, ma occorre altresì' che l'urgenza stessa si
ponga con carattere di immediatezza: tale istituto risulta perciò del tutto incompatibile con la realizzazione di interventi che ri
chiedano per loro natura una progettazione complessa e tempi di esecuzione non brevi, cui meglio si adattano fattispecie legali
diverse da quella qui considerata.
È dunque con riferimento al singolo caso concreto che deve
essere condotta l'indagine volta ad accertare la sussistenza o
meno delle condizioni necessarie per l'applicazione del ricorda
to art. 69.
Nella fattispecie portata all'esame del collegio, secondo quanto risulta dalla documentazione in atti, le opere autorizzate sono
inserite nel programma di interventi ex art. 3, lett. e), 1. 29
novembre 1984 n. 798, finalizzato al recupero del patrimonio architettonico della città di Venezia, e consistono nel «restauro
e risanamento statico delle coperture, recupero edilizio e ade
•guamento alle norme antincendio» di un immobile di interesse
storico e artistico. Più specificamente tali opere comprendono anche: la revisione della distribuzione interna del fabbricato «al
fine di migliorarne l'efficienza dal punto di vista operativo»,
il restauro di pavimenti, la completa sostituzione dell'impianto
elettrico, l'isolamento della centrale termica.
Si tratta quindi non della semplice riparazione di danni, ma
di un recupero edilizio di vasta portata, che presuppone una
progettazione ben più approfondita della perizia sommaria ri
chiesta dall'art. 69 e che comporta tempi di esecuzione incom
patibili che l'immediatezza delle misure previste da tale dispo
sizione.
D'altronde, neppure dalle argomentazioni svolte dall'organo
periferico del ministero dei lavori pubblici in risposta al rilievo
mosso dalla delegazione regionale della corte possono trarsi ele
menti idonei ad affermare la sussistenza nel caso concreto dello
stato di urgenza inteso nei termini precedentemente indicati.
Quanto al primo degli argomenti addotti dall'amministrazio
ne, l'opportunità cioè di evitare il formarsi di economie di bi
lancio, basti qui richiamare la deliberazione n. 1500 del 23 no
vembre 1984 con la quale questa sezione ha rilevato come tale
evenienza non costituisca comunque motivo di urgenza nel sen
so richiesto dalla legge. In ordine poi alla seconda controdeduzione, la quale faceva
riferimento agli eventi atmosferici che avrebbero aggravato lo
stato già precario dell'immobile, il collegio osserva che le circo
stanze invocate, per le considerazioni che precedono, non pos
II Foro Italiano — 1993.
sono ritenersi sufficienti a giustificare l'esecuzione in economia
dell'intero intervento di restauro, inserito, come più avanti rile
vato, in un ampio programma di recupero edilizio.
Ritiene quindi conclusivamente la sezione che nella fattispecie considerata non sussistano le condizioni necessarie per l'affida
mento di lavori in economia ai sensi del ricordato art. 69 del
regolamento n. 350.
Per le suesposte ragioni il provvedimento in esame risulta non
conforme a legge, restando in tal modo assorbito l'ulteriore ri
lievo formulato dall'ufficio di controllo in ordine alla circostan
za che parte dei lavori previsti non era compresa nel verbale
d'urgenza.
TRIBUNALE REGIONALE AMMINISTRATIVO PER L'E MILIA ROMAGNA; sezione II; sentenza 17 giugno 1993, n.
TRIBUNALE REGIONALE AMMINISTRATIVO PER L'E MILIA ROMAGNA; sezione II; sentenza 17 giugno 1993, n.
250; Pres. ed est. Sinagra; Chiesa evangelica metodista di
Bologna ed altri (Avv. Virgilio) c. Circolo di Vergato, Otta
vo circolo di Bologna e Min. pubblica istruzione (Avv. dello
Stato Zito).
Istruzione pubblica — Riti e cerimonie religiose — Attività ex
trascolastiche — Esclusione (D.p.r. 31 maggio 1974 n. 416, istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola
materna, elementare, secondaria ed artistica, art. 6; 1. 25 mag
gio 1985 n. 121, ratifica ed esecuzione dell'accordo firmato
in Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al
concordato lateranense dell'11 febbraio 1929 tra la Repubbli ca italiana e la Santa Sede: accordo, art. 9).
È illegittima la delibera del consiglio di circolo scolastico che
dispone la partecipazione degli alunni ad una celebrazione re
ligiosa d'inizio e/o fine anno scolastico e la benedizione pa
squale dell'edificio scolastico, quali attività extrascolastiche. (1)
(1) La questione è nuova, pur avendo fatto capolino nel corso del
l'intera vicenda giurisprudenziale sull'«ora di religione», a cominciare dal primo intervento della Corte costituzionale (ord. 21 dicembre 1985, n. 363, Foro it., 1986, I, 623, con ampia bibliografia e commento di
Colaianni, L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole elemen
tari: la Corte costituzionale prende tempo), che riguardava l'insegna mento «diffuso» della religione cattolica e quindi anche atti di culto
quali, all'inizio della giornata scolastica, la «preghiera seguita dall'ese
cuzione di un breve canto religioso o dall'ascolto di un semplice brano di musica sacra» (cosi i programmi didattici, approvati per le scuole
primarie con d.p.r. 14 giugno 1955 n. 503). Riferimenti sparsi alla que stione si rinvengono anche passim in Corte cost. 12 aprile 1989, n. 203,
id., 1989, I, 1333; 14 gennaio 1991, n. 13, id., 1991, I, 365; 22 giugno 1992, n. 290, id., 1992, I, 3226, alle cui ampie note di commento si
rinvia per richiami giurisprudenziali e bibliografici. Il Tar emiliano con decisione del 1° agosto 1992 (riportata in Co
scienza e libertà, 1992, fase. 19, 161) aveva accolto la domanda di so
spensione dell'efficacia (non solo delle delibere dei consigli di circolo, ma anche) della circ. min. p.i. 13 febbraio 1992, con cui si autorizzano
i consigli di circolo e 'di istituto a «far rientrare la partecipazione a
riti e cerimonie religiose tra le manifestazioni e attività extrascolasti
che». Nella decisione in epigrafe, invece, il Tar ha limitato l'annulla
mento alle sole delibere, sul presupposto che le posizioni soggettive dei
ricorrenti siano rimaste illese dalla detta circolare ministeriale, ritenuta
di carattere meramente interpretativo. Sta di fatto, però, che è proprio la circolare, sulla base della detta interpretazione, ad autorizzare i con
sigli di circolo e di istituto all'equiparazione, di cui i ricorrenti si dolgono.
Peraltro, l'ordinanza indicata era stata annullata da Cons. Stato, sez.
VI, 26 marzo 1993, nn. 391 e 392, che aveva cosi' ripristinato l'efficacia
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PARTE TERZA
Diritto. — La fattispecie, nella sua apparente complessità poi ché per qualche ambito riguardante i rapporti fra lo Stato ita
liano e la Chiesa cattolica si risolve tuttavia rapidamente con
la lettura e la corretta applicazione dell'art. 6, 11° comma, lett.
d) ed f), d.p.r. 31 maggio 1974 n. 416 sulla istituzione di organi collegiali nelle scuole statali.
Questa norma della legge delegata affida alla competenza dei
consigli di circolo o di istituto di deliberare sulla programma zione e sulla attuazione di attività extrascolastiche, facendo spe cifico e sostanzialmente escludente riferimento ai corsi di recu
pero e di sostegno, alle libere attività complementari, alle visite
guidate ed ai viaggi di istruzione. Nonché alle attività culturali,
sportive e ricreative, riconosciute di particolare interesse edu
cativo.
Deve riuscire evidente, se non si vogliano fare forzature al
dettato della legge, che in nessuna delle indicate attività potreb bero mai rientrare concettualmente, la celebrazione di liturgie o riti religiosi o il compimento di atti di culto o comunque le
pratiche religiose. Non è necessario alcun altro commento, tanto sono chiari
la significazione lessicale delle attività menzionate dalla legge e il concetto di atto di culto o di pratica religiosa.
Lo Stato italiano, pur se non indifferente rispetto al fenome
no religioso, riafferma la propria laicità nell'art. 7 Cost, laddo
ve «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio
ordine, indipendenti e sovrani».
I loro rapporti sono regolati dai patti lateranensi, cioè da
accordi internazionali che, come tali, entrano a far parte del
l'ordinamento interno italiano solo in virtù di leggi di esecuzio
ne. Leggi quindi ordinarie che come tali non possono porsi in
contrasto con i principi e i precetti della Costituzione dello Stato.
La legge ordinaria che ratifica e dà esecuzione alle modifiche
al concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, concordate il
18 febbraio 1984, è la 1. 25 marzo 1985 n. 121 che, all'art.
9, riafferma il principio fondamentale della libertà della scuola
e l'esigenza del rispetto delle previsioni costituzionali.
Assicura poi l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole
statali, muovendo dal riconoscimento del valore della cultura
religiosa e dalla considerazione che i principi della religione cat
tolica fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano.
della circolare sul presupposto che i non avvalentisi dell'insegnamento di religione cattolica possono astenersi dalla partecipazione. A fronte di questa argomentazione appare opportuna l'insistenza del Tar sul fat to che le celebrazioni di riti e pratiche religiose non sono assimilabili
all'insegnamento di religione cattolica, assicurato dagli accordi di villa Madama sulla base del riconoscimento del valore della cultura religiosa e non all'atto di fede, di cui sono espressione i riti e gli atti di culto. Ne consegue che la disciplina del «diritto di scelta di avvalersi o di non avvalersi» prevista dall'art. 9 dell'accordo in relazione specifica mente ed esclusivamente all'insegnamento di religione cattolica non è
applicabile — come invece ritenuto dal Consiglio di Stato — anche alle cerimonie religiose (a meno di non adoperare l'argomento a fortiori per salvare, una volta ammesse le cerimonie religiose come attività ex
trascolastiche, il salvabile in fatto di diritti costituzionalmente garantiti). L'inserimento delle cerimonie religiose tra le attività extrascolastiche,
senz'altro escluso dal Tar per il ritenuto «sostanzialmente escludente riferimento ai corsi di recupero e di sostegno, alle libere attività com
plementari, alle visite guidate ed ai viaggi di istruzione» (art. 6 d.p.r. 416/74) potrebbe argomentarsi con il fine proprio delle attività integra tive di agevolare la «promozione della piena formazione della persona lità degli alunni»: ciò che per gli alunni credenti, o che comunque opti no in tal senso, non può non comprendere anche la dimensione religio sa e quindi, eventualmente, la partecipazione ad atti di culto, compresi tra le libere attività complementari.
La decisione riportata evidenzia, tuttavia, la contraddittorietà dell'in serimento di attività libere e complementari nell'orario ordinario obbli
gatorio per tutti gli studenti: e quindi «in luogo ed in sostituzione delle normali ore di lezione». Più in generale, rileva il contrasto con il princi pio della laicità dello Stato, che desume solo dall'art. 7, 1° comma, Cost.: deve invece ricordarsi come Corte cost. 203/89 abbia desunto il detto principio dal complesso degli art. 2, 3, 7, 8, 19, 20 e ne abbia
peraltro individuato il carattere supremo. Secondo la corte, l'insegna mento di religione cattolica ben si accorda — se pienamente facoltativo nei termini indicati nella sentenza citata e in quella successiva 13/91
Il Foro Italiano — 1993.
Questa disposizione di legge giova sicuramente alla compren sione delle relazioni fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica
e perciò delle loro reciproche posizioni.
Intanto, se certamente l'insegnamento della religione è cultu
ra religiosa (e soltanto esso lo è), altrettanto certamente gli atti
di culto, le celebrazioni di riti e le pratiche religiose non sono
«cultura religiosa», ma essi sono esattamente il colloquio ritua
le che il credente ha con la propria divinità, un fatto di fede
individuale quindi e non un fatto culturale.
Ed infatti lo Stato italiano assicura l'insegnamento scolastico
della religione cattolica, proprio perché riconosce il valore della
cultura religiosa ed insieme che i principi in particolare della
religione cattolica sono parte del patrimonio storico del popolo italiano.
Al di là però dell'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole dello Stato, non è consentito andare: pertanto, ogni altra
attività, squisitamente religiosa (atti di culto, celebrazioni) non
è prevista e non è consentita nelle aule scolastiche e meno anco ra in orario di lezione e in luogo dell'insegnamento delle mate
rie di programma.
Immaginare che il compimento di atti di culto possa rientrare
nella categoria e nel quadro delle attività extrascolastiche, oltre
a configurare una evidente violazione della legge, significa voler
fare entrare dalla finestra ciò che non si può fare entrare dalla
porta. Del resto, la norma concordataria sull'insegnamento della re
ligione cattolica nelle scuole statali, divenuta norma del diritto
nazionale in virtù della legge di esecuzione, deve ritenersi nor
ma di carattere eccezionale rispetto al principio della laicità del
lo Stato italiano enunciato dal 1° comma dell'art. 7 Cost. E
perciò deve ritenersi norma di stretta interpretazione. Cosi da non consentire, per una pretesa analogia, di ricom
prendervi attività assolutamente ad esso non attinenti, quali il
compimento di atti di culto o la celebrazione di riti religiosi. Gli atti di culto e le celebrazioni religiose si compiono unica
mente nei luoghi ad essi naturalmente destinati, che sono le chiese
e i templi e non nelle sedi scolastiche, in sedi cioè improprie e destinate alle attività didattiche e culturali, finalità appunto della scuola (art. 9 1. n. 121) ed alla attività educativa di essa.
Diversamente ragionando, assisteremmo ad una vera interfe
— con tale principio, rispetto al quale invece, secondo la decisione ri
portata, esso costituirebbe un'eccezione: di stretta intepretazione, per ciò, e, non estensibile agli atti di culto.
Il Tar emiliano — benché adito da confessioni di minoranza forti di intese stipulate con lo Stato — non accenna alle disposizioni delle relative leggi di approvazione, che fanno divieto di svolgere pratiche religiose «in occasione dell'insegnamento di altre materie» (art. 9, 1°
comma, 1. 449/84; cfr. art. 11 1. 516/88, art. 8 1. 517/88, art. 11 1. 101/89: si tratta delle leggi di approvazione delle intese con le chiese diverse valdesi, con le comunità ebraiche, con le ecumeniste e con le assemblee di Dio; analoghe disposizioni si rinvengono nelle intese stipu late quest'anno con le chiese battiste e con la chiesa laterana, non anco ra approvate con legge).
A fronte di tali disposizioni sembra una «truffa delle etichette» la
qualificazione delle celebrazioni liturgiche come attività integrative al fine di collocarle nell'orario ordinario delle lezioni, sia pure assogget tandole alla stessa disciplina prevista per l'insegnamento di religione cattolica.
In realtà, le cerimonie religiose appaiono riconducibili piuttosto al concetto di religione cattolica come religione dello Stato e quindi come «fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica»: questo legame era esplicito nei citati programmi per la scuola elementare (d.p.r. 503/55) e ricavabile, comunque, dall'intero sistema fondato sul concordato late ranense. Ciò spiega perché l'applicazione del diritto di non avvalersi, stabilito dal nuovo accordo del 1984, non è idonea ad eliminare la lesi vità — sotto il profilo della laicità dello Stato e della scuola — delle cerimonie religiose: la benedizione, infatti, riguarda l'edificio scolastico di tutti cosi come la messa di inizio e/o fine anno riguarda l'anno sco lastico di tutti gli studenti. L'esercizio del diritto di non parteciparvi non attenua questo carattere di intrinseca non divisibilità delle cerimo nie religiose. Mettere il vino nuovo del diritto di non avvalersi nell'otre vecchio della religione cattolica come religione dello Stato non serve: la via maestra è quella di prendere atto — secondo la previsione del
protocollo addizionale tra Italia e Santa Sede — che quel principio non è più in vigore e tirarne le debite conseguenze. [N. Colaianni]
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
renza della Chiesa nell'attività dell'istruzione statale, esclusa e
non consentita dalla Costituzione.
Una interferenza che addirittura elimina l'insegnamento della
materia curriculare e la normale ora di lezione, ad essa sosti
tuendo un atto di culto o la celebrazione di un rito religioso 0 una visita pastorale, che nulla hanno a che fare con la forma
zione scolastica dello studente e con la didattica scolastica e
che nulla hanno a che fare neanche con l'insegnamento della
religione. La chiesa è libera di svolgere queste attività nelle scuole che
essa stessa istituisce, non può però svolgerle nelle scuole dello
Stato e nell'ambito di esse, e gli organi pubblici che questo con
sentano commettono senza dubbio una illegittimità. Ma il fatto più notevole e più antigiuridico è che le pratiche
religiose e gli atti di culto, a torto ritenuti attività extrascolasti
che (ma la erronea qualificazione è chiaramente strumentale) abbiano luogo e svolgimento in orario scolastico, cioè negli orari
destinati alle normali lezioni, all'insegnamento cioè delle mate
rie oggetto dei programmi della scuola statale. E vengano per ciò previsti in luogo ed in sostituzione delle normali ore di lezione.
Questo soprattutto è l'aspetto di illegittimità per violazione
e falsa interpretazione ed applicazione della legge (art. 6, 2°
comma, lett. d ed /, d.p.r. 31 maggio 1974 n. 416) delle impu
gnate deliberazioni dei consigli di circolo di Vergato e di Bologna. Il tribunale cosi perviene alla decisione di merito, negando
validità alle eccezioni pregiudiziali sollevate dall'avvocatura del
lo Stato: per riconoscere nei ricorrenti l'interesse all'impugna zione basterà considerare che in una situazione di adesione, an
che di un solo studente o anche di un solo docente alla celebra
zione del rito religioso o al compimento dell'atto di culto o
alla visita pastorale, durante le normali ore di lezione, avver
rebbe che lo studente aderente rinuncerebbe all'insegnamento di una materia curricolare — e non potrebbe neanche farlo —
oppure, nel caso di allontanamento dalla classe del docente,
si avrebbe lo stesso effetto per tutti gli studenti della classe,
1 quali verrebbero cosi privati dell'insegnamento della materia
per quell'orario prevista nel calendario scolastico.
E quand'anche il docente venga da altro docente non aderen
te sostituito, ne deriverebbe la lezione di una diversa disciplina e in ogni caso un fatto interruttivo del metodo normale di inse
gnamento o non in armonia con lo stato di svolgimento del
programma quale tenuto dal docente della classe.
In ogni caso un turbamento e un disordinamento, un intral
cio ed un pregiudizio all'ordinato e normale andamento dell'at
tività scolastica, formativa ed educativa, con ovvio, evidente
danno per la formazione culturale degli studenti, che è la pri maria finalità della scuola.
E non può certo dubitarsi che i genitori degli studenti abbia
no interesse a che i giovani, per questo fine appunto mandati
a scuola, ricevano dagli insegnanti, cioè dalle loro fonti istitu
zionali di istruzione, quella istruzione e quel bagaglio culturale
che servirà loro nella vita e nelle realizzazioni future. E non
ne siano invece distratti da attività e pratiche in nessun modo
attinenti alla vita e alle attività della scuola, anzi ad esse del
tutto estranee.
Certamente, anche il comitato bolognese «Scuola e Costitu
zione», le cui finalità si colgono immediatamente dalla stessa
sua denominazione, ha, come associazione al fine specifico di
retta, effettivo ed innegabile interesse alla impugnazione, per motivi sostanzialmente coincidenti con quelli dei genitori degli studenti.
Qui non si tratta di garantire agli studenti o ai professori la facoltà di non partecipare al compimento degli atti di culto
e alle pratiche religiose — facoltà dalle impugnate delibere assi
curata — il problema è a monte ed è un altro: la illegittimità
delle deliberazioni dei consigli di circolo sta, esattamente e fon
damentalmente, nell'avere consentito l'inserimento, al posto delle
normali ore di lezione, di attività del tutto estranee alla scuola
ed alle sue finalità istituzionali. Un fatto oggettivo, che resta
ovviamente tale nella sua antigiuridicità, anche se si prevede
la facoltà di studenti o docenti di non partecipazione.
L'assicurazione di questa facoltà non elimina, come è eviden
te, il fatto obiettivo del turbamento e dello sconvolgimento del
Il Foro Italiano — 1993.
normale e ordinato andamento della vita e dell'attività scolasti
ca conseguente e consistente nella soppressione, non importa se anche limitata ad una solta unità, dell'ora di ordinario inse
gnamento e nella previsione, in luogo di essa, della effettuazio
ne di una attività affatto estranea alle finalità e alla vita della
scuola statale. Di un atto di fede che si compie nei templi a ciò destinati o nel foro interno della propria coscienza e non
certo nelle sedi e negli ambiti scolastici.
Un'alterazione ed un sovvertimento del normale e previsto andamento scolastico e del funzionamento della scuola con rea
le nocumento per lo studio e la formazione degli studenti, nel
che appunto sta la illegittimità delle impugnate deliberazioni.
I ricorsi, infine, non andavano notificati alla Chiesa cattolica
la quale nella fattispecie processuale non è presente quale istitu
zione, bensì quale entità spirituale, come tale priva di una sog
gettività giuridica e di un non riconoscibile controinteresse.
Per quanto detto, le deliberazioni dei consigli di circolo im
pugnate coi ricorsi giurisdizionali, sono illegittime per violazio
ne della legge e vanno per conseguenza annullate.
Dall'annullamento va esclusa la impugnata circolare ministe
riale la quale, presentandosi come un atto dal contenuto e dalla
finalità soltanto interpretativi, non ha attitudine lesiva delle po sizioni soggettive dei ricorrenti.
I ricorsi giurisdizionali vanno dunque accolti, con l'annulla
mento delle impugnate deliberazioni dei consigli di circolo di
Vergato e di Bologna, siccome affette da illegittimità per viola
zione e falsa interpretazione ed applicazione della legge, preci samente dell'art. 6, 2° comma, lett. d) ed f), d.p.r. 31 maggio 1974 n. 416.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SI CILIA; sede di Catania; sezione I; sentenza 23 maggio 1993,
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SI CILIA; sede di Catania; sezione I; sentenza 23 maggio 1993,
n. 372; Pres. Trovato, Est. Passanisi; Natoli ed altri (Avv.
Merlo) c. Pres. cons, ministri, Min. interno, Prefetto di Mes
sina (Aw. dello Stato Genovese).
Sicilia — Consiglio comunale — Scioglimento in base alla legis lazione nazionale antimafia — Natura — Sindacabilità da parte del giudice amministrativo (R.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u.
sul Consiglio di Stato, art. 31; r.d. leg. 15 maggio 1946 n.
455, statuto della regione siciliana, art. 14, 15; 1. reg. sic.
15 marzo 1963 n. 16, ordinamento amministrativo degli enti
locali, art. 54; 1. 19 marzo 1990 n. 55, nuove disposizioni
per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre
gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, art.
15 bis; 1. 8 giugno 1990 n. 142, ordinamento delle autonomie
locali, art. 39; d.l. 31 maggio 1991 n. 164, misure urgenti
per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli
organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltra
zione e di condizionamento di tipo mafioso, art. 1; 1. 22 lu
glio 1991 n. 221, conversione in legge, con modificazioni, del
d.l. 31 maggio 1991 n. 164, art. 1). Sicilia — Consiglio comunale — Scioglimento in base alla legis
lazione nazionale antimafia — Legittimità (R.d. leg. 15 mag
gio 1946 n. 455, art. 14, 15; 1. reg. sic. 15 marzo 1963 n.
16, art. 54; 1. 19 marzo 1990 n. 55, art. 15 bis; 1. 8 giugno 1990 n. 142, art. 39; d.l. 31 maggio 1991 n. 164, art. 1; 1.
22 luglio 1991 n. 221, art. 1). Comune e provincia — Consiglio comunale — Scioglimento in
base alla legislazione antimafia — Questioni manifestamente
infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 27, 51; 1. 19
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