sezione III civile; sentenza 23 dicembre 2004, n. 23960; Pres. Nicastro, Est. Chiarini, P.M.Cafiero (concl. conf.); Di Nardo e altri (Avv. Iesu) c. Soc. Sarp assicurazioni e altri. ConfermaTrib. Napoli 7 dicembre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 3 (MARZO 2005), pp. 709/710-711/712Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200209 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Nei casi suddetti la notificazione nei confronti del destinata
rio dell'atto si ha per eseguita con il compimento dell'ultimo
degli adempimenti prescritti (spedizione della raccomandata con
avviso di ricevimento). Tuttavia, poiché tale adempimento per
segue lo scopo di consentire la verifica che l'atto sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario, l'avviso di ricevi
mento deve essere allegato all'atto notificato e la sua mancanza
provoca la nullità della notificazione, che resta sanata dalla co
stituzione dell'intimato o dalla rinnovazione della notifica ai
sensi dell'art. 291 c.p.c.». Nel caso in esame, pur risultando compiute le formalità di cui
al citato art. 140, l'avviso di ricevimento del plico raccoman
dato (inviato al contribuente il 15 marzo 1999) non si trova al
legato al ricorso né si rinviene negli atti, mentre l'intimato non
ha svolto difese in questa sede.
Pertanto deve essere disposta la nuova notifica del ricorso per cassazione all'intimato, nei sensi di cui al dispositivo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23 di cembre 2004, n. 23960; Pres. Nicastro, Est. Chiarini, P.M.
Cafiero (conci, conf.); Di Nardo e altri (Avv. Iesu) c. Soc.
Sarp assicurazioni e altri. Conferma Trib. Napoli 7 dicembre
1999.
Appello civile — Parte costituita in primo grado — Decesso — Impugnazione degli eredi — Legittimazione attiva —
Prova — Necessità (Cod. proc. civ., art. 75, 110).
Nella contumacia degli appellati, legittimamente il giudice di
secondo grado respinge, per difetto di legittimazione attiva
degli appellanti, l'impugnazione dagli stessi proposta senza
aver dimostrato la dedotta qualità di eredi della defunta parte costituita in primo grado. (1)
(1) L'affermazione riassunta nella massima si allinea alle analoghe enunciazioni formulate con riferimento alle corrispondenti situazioni
valutate pure con riguardo al ricorso in Cassazione, anche se in relazio
ne a tali situazioni si è ricollegata alla mancata dimostrazione delle
qualità di successori invocate dagli impugnanti l'inammissibilità (e non
la reiezione) dei gravami considerati (in aggiunta ai precedenti richia
mati nella presente, chiaramente in motivazione sez. un. 25 maggio 2001, n. 226/SU, parte non riprodotta in Foro it., 2001, I, 2810, con
nota di M. Iozzo). La rilevata corrispondenza della soluzione riassunta nella massima
ad un ben individuato orientamento giurisprudenziale non impedisce
però di fare qualche considerazione a proposito degli (ulteriori) rilievi
svolti in motivazione circa la necessità per il successore di parte costi
tuita nel precedente grado di giudizio, che ne impugni la sentenza con
clusiva. di dimostrare l'invocata qualità di successore, anche se la con
troparte non sollevi al riguardo alcuna contestazione. Le enunciazioni formulate sul punto dalla pronuncia in rassegna ap
paiono, anzitutto, ininfluenti ai fini della soluzione del caso controver
so. Come correttamente avvertito, infatti, pure dalla riportata sentenza,
quando, come nella specie, si verifichi la contumacia della parte desti
nataria dell'impugnazione, il carattere neutro del comportamento del
contumace impedisce di attribuire allo stesso (comportamento) la va
lenza della/icfa confessio e/o della non contestazione (fra le altre, Cass.
6 febbraio 1998, n. 1293, id.. Rep. 1998, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 229; e, per la dottrina, A. Proto Pisani, nota a Cass.
23 gennaio 2002, n. 761, id., 2003, I 604 ss.; nonché, più di recente, Del Core, Il principio di non contestazione nel processo civile: profili sistematici, riferimenti di dottrina e recenti acquisizioni giurispruden ziali, in Giust. civ., 2004, II, 111 ss., spec. 121), con conseguente su
perfluità, rispetto al thema decidendum, di ogni disquisizione (del tipo di quella articolata nel caso di specie), sulla rilevanza e/o irrilevanza
della non contestazione ad opera di quella stessa parte.
Il Foro Italiano — 2005.
Svolgimento del processo. — Con citazione del 20 e 22
aprile 1999 Formicola Paola e Cacciapuoti Vincenzo, nella ri
spettiva qualità di proprietaria e conducente dell'auto targata CE 434286, convenivano dinanzi al Giudice di pace di Marano
di Napoli la Sarp assicurazioni s.p.a., Palma Teresa e Iacolare
Antonio, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni
subiti a seguito della collisione, in data 8 aprile 1995, con
l'auto targata NA H08835, di proprietà della Palma, assicurata
con la compagnia convenuta, verificatasi per esclusiva respon sabilità del conducente Iacolare.
Iacolare e Palma non si costituivano, mentre la Sarp s.p.a. ve
niva posta in liquidazione coatta amministrativa ed il giudizio veniva riassunto nei confronti di essa e della Generali assicura
zioni s.p.a., quale impresa designata in nome e per conto del
fondo di garanzia per le vittime della strada.
Il giudice di pace, con sentenza del 27 ottobre 1997, dichiara
va l'esclusiva responsabilità dello Iacolare e condannava la
Sarp, in liquidazione coatta amministrativa, al risarcimento dei
danni nella somma di lire 1.300.000 a favore di Formicola Paola
e di lire 5.203.125 a favore di Cacciapuoti Vincenzo, oltre ac
cessori.
Di Nardo Vincenza, Cacciapuoti Maria, Giuseppe, Paolo e
Pasquale qualificandosi eredi legittimi di Cacciapuoti Vincenzo,
interponevano appello per l'erronea liquidazione dei danni al de
cuius. Gli appellati non si costituivano.
Con sentenza del 7 dicembre 1999 il Tribunale di Napoli, di
chiarata la contumacia di questi ultimi, rigettava l'appello per carenza di legittimazione attiva degli stessi all'impugnazione
Le medesime enunciazioni, non sembrano poi, neppure senz'altro
condivisibili come mostra di ritenere, invece, la riportata sentenza alla
stregua di una sommaria confutazione di qualche pronuncia della corte
diversamente orientata, prescindendo, però, da ogni valutazione della unilaterale impostazione delle statuizioni ritenute meritevoli di confer ma.
Nella parte motiva della decisione in rassegna si invocano, invero, come propugnatrici dell'orientamento qui ribadito, Cass. 12 febbraio
2004, n. 2702, 29 aprile 2003, n. 6649, e 27 febbraio 2002, n. 2889. Di tali pronunzie, Cass. n. 2702 del 2004. Foro it., 2004,1, 2148, con
osservazioni di G. Tombari Fabbrini, e 29 aprile 2003, n. 6649, id..
Rep. 2003. voce Procedimento civile, n. 159, hanno effettivamente af
fermato che l'impugnante, il quale proponga il gravame, in qualità di
successore (universale e/o particolare) ovvero di erede della parte co
stituita nel precedente grado di giudizio, deve, comunque, fornire la
prova della propria legittimazione (attraverso la dimostrazione — se del
caso mediante le produzioni documentali consentite dall'art. 372 c.p.c., — non solo dell'evento implicante la successione e/o del decesso del
de cuius ma anche della (dedotta) qualità di successore e/o di erede),
indipendentemente da ogni considerazione sulla circostanza che la
controparte abbia o non contestato siffatta legittimazione; Cass. 27 feb
braio 2002, n. 2889, id., Rep. 2002, voce Appello civile, n. 80, non si è
soffermata, invece, sulla pretesa irrilevanza della contestazione della
parte destinataria dell'impugnazione, anche perché, nel caso deciso
dalla ripetuta Cass. n. 2889 del 2002, quest'ultima parte aveva espres samente eccepito il difetto di legittimazione dell'impugnante, successo
re a titolo particolare nel diritto controverso del soggetto costituito in
primo grado. Ora, se è vero che nella motivazione di Cass. n. 2702 del 2004 sono
menzionati diversi precedenti conformi alla tesi nell'occasione ribadita
dalla corte, non è men vero, però, che la ripetuta sent. n. 2702 del 2004
e le altre dalla stessa richiamate non si sono affatto occupate delle nu
merose pronunzie della stessa corte (fra le quali, oltre a quelle ricordate
in motivazione, Cass. 13 aprile 2001, n. 5536, id., Rep. 2001, voce
Procedimento civile, n. 134; 30 gennaio 1998, n. 944, id.. Rep. 1998, voce Impugnazioni civili, n. 25; 12 maggio 1995, n. 5219, id., Rep. 1995, voce cit., n. 91) che, con riferimento alla (ininfluente) questione, enfatizzata nella motivazione della riportata sentenza, hanno seguito diversa impostazione, affermando, in modo netto e lineare, che l'impu
gnante (il quale dichiari di essere erede della parte costituita nel prece dente grado di giudizio), ai fini dell'ammissibilità della proposta impu
gnazione, non ha alcun obbligo di provare (nel modo dianzi indicato) la
propria legittimazione allorché la controparte si astenga dal contestare
la situazione evocata da esso impugnante ovvero la consideri espressa mente come verificatasi.
E tale orientamento — sbrigativamente disatteso dalla riportata sen
tenza (sia pure nell'ambito dell'ultronea adesione alla diversa tendenza
dianzi indicata) — non è né minoritario né illogico in quanto ha nel
principio di non contestazione (su cui, da ultimo, C.M. Cea, in nota a
Cass. 28 ottobre 2004, n. 20916, in questo fascicolo, I, 728) un solido
fondamento razionale, così come recentemente ribadito da Del Core,
op. cit., 123, con argomentati ed informati rilievi. [C.M. Barone]
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PARTE PRIMA
non avendo né provato, né dedotto di provare, di esser eredi di
Cacciapuoti Vincenzo.
Avverso questa sentenza proponevano ricorso per cassazione
i soccombenti nei confronti della liquidazione coatta ammini
strativa assicurazioni Sarp. Pertanto all'udienza del 9 febbraio
2004 veniva ordinata l'integrazione del contraddittorio nei con
fronti delle Assicurazioni generali quale impresa designata ai
sensi dell'art. 20 1. 24 dicembre 1969 n. 990 e di Palma Teresa,
ai sensi dell'art. 23 stessa legge. I ricorrenti ottemperavano al
l'ordinanza. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — 1. - Con un unico motivo di ricorso
i ricorrenti deducono: «violazione e falsa applicazione di legge
(art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. in relazione agli art. 110 c.p.c., 470,
474, 476 c.c.)». Ai sensi dell'art. 110 c.p.c. il successore a titolo universale ha
diritto a proseguire il processo, in qualsiasi grado. La qualità di
erede deriva dall'accettazione dell'eredità che può esser espres sa o tacita, come nel caso di specie con la proposizione dell'im
pugnazione della sentenza emessa nei confronti di Cacciapuoti Vincenzo. Peraltro la mancanza di qualsiasi eccezione di con
troparte nel giudizio di appello esonerava gli appellanti dal di
mostrare la loro qualità, comunque provata dai documenti pro dotti unitamente al ricorso.
Il motivo va respinto. 2. - Preliminarmente va disposto lo stralcio dei documenti
depositati in questa sede dai ricorrenti per provare la loro legit timazione a proporre appello in qualità di eredi di Cacciapuoti Vincenzo perché non rientrano tra quelli la cui produzione in
Cassazione è consentita dall'art. 372 c.p.c. non attenendo né
alla nullità della sentenza impugnata né all'ammissibilità del ri
corso o del controricorso.
3. - La sentenza impugnata è in linea con un indirizzo di que sta corte, anche recentemente riaffermato (Cass. 2889/02, Foro
it., Rep. 2002, voce Appello civile, n. 80; 6649/03, id., Rep. 2003, voce Procedimento civile, n. 159; 2702/04, id., 2004, I,
2148), e che questo collegio ribadisce, secondo il quale l'onere
di documentare la qualità del soggetto che, qualificandosi suc
cessore a titolo universale di una delle parti del giudizio di pri mo grado, impugni la sentenza emessa nei confronti di una di
esse, sussiste anche se la controparte non contesti il presupposto di fatto — e cioè la fattispecie successoria — in quanto tale one
re, non attenendo alla prova della titolarità del diritto sostanziale
di cui è chiesta la tutela giurisdizionale —
questa sì, soggetta al
potere dispositivo delle parti sia nell'allegazione che nella con
testazione di essa, con conseguente irrilevabilità d'ufficio in
ogni stato e grado del processo (salva la formazione di un giudi cato interno) della relativa questione, configurabile come di me
rito — e potendo anzi prescindere da essa (tant'è vero che anche
colui che è sfornito dell'effettiva titolarità del rapporto sostan
ziale è legittimato ad impugnare se parte soccombente del pre
gresso giudizio) — bensì all'esistenza del potere ad impugnare,
è rigorosamente formale. Infatti, al di fuori delle ipotesi disci
plinate (art. 81 e 404 c.p.c.), non è legittimato all'impugnazione un soggetto che non è stato parte nel giudizio al cui esito è stata
emessa la sentenza che impugna, secondo le risultanze della
medesima. E poiché tale principio, attenendo alla corretta in
staurazione di un successivo grado di giudizio, è di ordine pub blico e configura una questione processuale, il rispetto del me
desimo non può esser lasciato nella disponibilità delle parti, ri
mettendo la prova del presupposto per la titolarità di tale potere alla prospettazione di colui che lo esercita assumendo di esser
successore a titolo universale di una parte del processo di primo
grado — e quindi subentrato in tutte le situazioni giuridiche
soggettive del suo dante causa, attive e passive, sostanziali e
processuali — e alla non contestazione di controparte (come af
fermato invece da Cass. 5262/96, id., Rep. 1996, voce Appello civile, n. 43; 10022/97, id., Rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 25; 2655/01, id., Rep. 2001, voce Procedimento civile, n. 77).
È peraltro da rilevare che se colui nei cui confronti è proposta
l'impugnazione da chi non è stato parte del precedente giudizio, non si costituisce — come nel caso di specie
— essendo di
norma la contumacia un comportamento neutro, inidoneo a con
figurare un atteggiamento di non contestazione, o di riconosci
mento implicito, o di non assolvimento dell'onere di prendere
posizione sulle allegazioni di controparte, in ogni caso queste non possono esser espunte dal thema probandum.
Concludendo, il ricorso va respinto.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 13 di
cembre 2004, n. 23199; Pres. Vittoria, Est. Calabrese, P.M.
Ceniccola (conci, conf.); Cavaglià (Avv. Reineri) c. Nicola e
altro (Avv. Valensise, Bertello). Cassa App. Torino 31 lu
glio 2000.
Rappresentanza nei contratti — «Falsus procurator» — Re
sponsabilità — Affidamento incolpevole (Cod. civ., art.
1398). Rappresentanza nei contratti — Apparenza del diritto —
«Falsus procurator» — Concorso di colpa del terzo —
Inammissibilità (Cod. civ., art. 1227, 1398).
In tema di rappresentanza senza poteri, il terzo contraente, per
beneficiare del risarcimento del danno subito, deve provare di aver confidato senza colpa nella situazione apparente e,
quindi, nella validità del contratto concluso con il falsus pro curator. (1)
L'operatività del criterio del concorso del fatto colposo del
(1) I. - Con la decisione in epigrafe la Suprema corte afferma il prin
cipio secondo cui la responsabilità prevista dall'art. 1398 c.c. non ri
chiede l'accertamento del dolo o della colpa del falso rappresentante, essendo solo necessario che l'affidamento del terzo danneggiato sia in
colpevole. Di conseguenza, ove quest'ultimo abbia negligentemente confidato nella sussistenza dei poteri del falso rappresentante, non potrà vantare alcuna pretesa risarcitoria nei suoi confronti.
Dal tenore della decisione potrebbe sembrare che il principio espres so in massima risponda ad un orientamento pacifico. Eppure, passando in rassegna la pletora di pronunce che riconducono all'alveo della re
sponsabilità extracontrattuale la fattispecie di cui all'art. 1398 c.c. (fra le tante, Cass. 29 settembre 2000, n. 12969, Foro it., 2001,1, 1658, con
nota di P. Pardolesi, La responsabilità del «falsus procurator»: op
portunità perduta nell'ambito dell'interesse negativo), non si trovano massime in cui si enuncia che l'obbligo risarcitorio è subordinato al
l'accertamento del dolo e della colpa in capo al falsus procurator (ad un accertamento in concreto della colpa del rappresentante procede, pe raltro, Cass. 24 settembre 1999. n. 10493, id., Rep. 1999, voce Rappre sentanza nei contratti, n. 18, ma sembra che ciò sia funzionale all'af
fermazione di una vera e propria responsabilità extracontrattuale — non
già ai sensi dell'art. 1398, bensì dell'art. 2043 c.c. — derivante dal pre giudizio cagionato dal mandatario al terzo). Ma nemmeno se ne scova no di segno opposto, e cioè conformi a quella su riportata (sembrerebbe orientata in tal senso — ma solo leggendo la massima a contrario —
Cass. 12 novembre 1998, n. 11453, id., Rep. 1998, voce cit., n. 16); del
resto, questo era l'esito cui approdava la ricognizione operata da auto
revole dottrina (secondo cui «non si rinvengono casi in cui sia stata esclusa la responsabilità del falso rappresentante per difetto di colpa»: cfr. G. Visintini, Della rappresentanza, in Commentario Scialoja Branca, Roma-Bologna, 1993, 320). Nondimeno, si deve rammentare che (almeno in un'occasione) si è introdotto nella fattispecie un ele mento di stampo soggettivo, mediante l'affermazione a tenore della
quale «ulteriore presupposto della responsabilità del falso rappresen tante è che questi fosse — o dovesse essere — consapevole di agire senza averne il potere» (così G. De Nova, La rappresentanza, in R. Sacco-G. De Nova, Obbligazioni e contratti, in Trattato Rescigno, Milano, 1982, 440, ove si cita al riguardo Cass. 22 maggio 1963, n.
1348, Foro it., Rep. 1963, voce Obbligazioni e contratti, n. 345). II. - Quanto alla colpa del terzo, si sottolinea in giurisprudenza che
essa non è automaticamente integrata dalla mancata richiesta di giusti ficazione dei poteri (nel senso che il terzo «ha soltanto la facoltà, e non anche l'obbligo, di controllare se colui che si qualifichi rappresentante sia in realtà tale, sicché non basta il semplice comportamento omissivo del terzo stesso per costituirlo in colpa nel caso di mancanza della pro cura», Cass. 12 aprile 2001, n. 5468, id., Rep. 2002, voce Rappresen tanza nei contratti, n. 18; 9 luglio 2001, n. 9289, ibid., n. 17; 29 marzo
1995, n. 3691, id., Rep. 1995, voce cit., n. 8; 2 aprile 1993, n. 3974, id., 1993, I, 3445), rinviandosi sempre e comunque all'accertamento delle circostanze del caso concreto.
III. - La statuizione a tenore della quale (non solo la colpa ma anche) un contegno doloso dello stesso non rileva in alcun modo ai fini del
l'applicazione dell'art. 1398 c.c. si presta ad essere rimeditata e/o cir
costanziata, soprattutto alla luce della tesi secondo cui la disposizione in oggetto non esclude l'applicabilità dell'art. 2043 c.c. in alcune ipote si di concorso di responsabilità fra falsus procurator e falso rappresen tato, in particolare quando sia intervenuto fra i due un accordo fraudo
lento, il quale — ovviamente — presuppone un atteggiamento doloso del falso rappresentante (cfr. Visintini, op. cit., 325 s.).
Ad ulteriori riflessioni in ordine al rapporto fra contegno doloso del
falsus procurator e condotta negligente del terzo dovrebbero anche in durre le recenti elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali in materia di
ripartizione di responsabilità (per gli opportuni riferimenti, si rinvia a
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