sezione lavoro; sentenza 26 febbraio 1994, n. 1972; Pres. De Rosa, Est. Berni Canani, P.M. Lanni(concl. conf.); Inadel (Avv. Corrias) c. Agliata. Cassa Trib. Napoli 22 marzo 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 599/600-601/602Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188840 .
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PARTE PRIMA
rico» e, quindi, con l'equiparare due termini che hanno invece
un diverso significato, senza altresì considerare, come esatta
mente ora deduce il ricorrente, che nell'atto di appello erano
state formulate ben sei distinte censure. E il fatto stesso che
una sola di queste (la quinta) sia stata qualificata come comple tamente svincolata dalla concreta vicenda processuale dimostra
che le altre censure, a tale vicenda essendo attinenti, dovevano
essere esaminate nel merito. Di tal che si deve affermare che
il tribunale ha omesso di applicare i principi dettati da questa corte nella interpretazione dell'art. 342 c.p.c. (nella parte in cui
l'articolo richiede che l'atto di appello deve contenere i motivi
specifici dell'impugnazione), in base ai quali è stato sostenuto, in primo luogo, che il requisito stabilito dalla legge deve essere
collegato a quello della determinazione dell'oggetto della do
manda previsto dal n. 3 dell'art. 163 c.p.c. e a quello della espo sizione delle ragioni della domanda con le relative conclusioni
di cui al n. 4 del medesimo articolo e, in secondo luogo, che
l'onere della specificazione dei motivi di appello esige che la
manifetazione volitiva dell'appellante, indirizzata ad ottenere la
riforma della sentenza impugnata, trovi un supporto argomen tativo idoneo a contrastare la motivazione, con la conseguenza che i motivi debbono essere più o meno articolati a seconda
della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, della mo
tivazione (cfr., per tutte, la sentenza n. 4991 del 6 giugno 1987,
id., 1987, I, 3037, emessa dalle sezioni unite di questa corte, che ha fatto completa chiarezza sulla interpretazione della di
sposizione di legge). Tenuto conto delle argomentazioni che precedono, quindi, deve
ritenersi fondata anche la prima delle tre censure formulate nel
ricorso per cassazione (sopra indicata sub a), dovendosi condi
videre la tesi del ricorrente secondo cui, nonostante l'esposizio ne in sreie dei motivi di impugnazione, nell'atto di appello era
stato ottemperato all'onere della specificità dei motivi.
Infine, in relazione alla asserita nullità dell'atto di appello, stante la violazione dell'art. 414 c.p.c., per essere stata la con
venuta indicata non con le complete generalità ma con il solo
cognome («Giorgino»), anche ad ammettere che di vera e pro
pria nullità si sia trattato ai sensi dell'art. 164, 1° comma, c.p.c. — e a non considerare, viceversa, che l'appellata era stata rego larmente citata mediante la rituale notifica dell'atto di impu
gnazione, per il che si potrebbe fare riferimento a quella tesi
dottrinaria che è stata condivisa da questa corte in una non re
cente pronuncia (Cass. 7 gennaio 1980, n. 82, id., Rep. 1980, voce Citazione civile, n. 2), secondo cui per l'identificazione del
destinatario dell'atto di citazione occorre ricercare l'effettiva vo
lontà della parte istante, che deve essere desunta, senza che pos sa darsi rilievo alla letterale formulazione della vocatio in ius, da tutti gli elementi risultanti dal complessivo contenuto dell'at
to stesso nonché dalla sua notificazione in base alle disposizioni
impartite dalla suddetta parte istante all'ufficiale giudiziario —
resta il fatto che, ricorrendo un'ipotesi di nullità relativa e non
già di inesistenza, la stessa avrebbe dovuto essere eccepita dalla
parte interessata nella sua prima difesa e non già rilevata d'uffi
cio dal giudice. Debbono essere, al riguardo, richiamate le disposizioni conte
nute nei primi due commi dell'art. 157 c.p.c. e nel 1° comma
(ultimo alinea) dell'art. 164 stesso codice, in base alle quali è
stabilito, per un verso, che la nullità di un atto processuale può essere pronunciata soltanto su istanza di parte (mediante ecce
zione formulata nella prima difesa successiva all'atto o alla no tizia di esso), ammenoché la legge non disponga che possa esse
re rilevata anche d'ufficio e, per un altro verso, che la nullità
dell'atto di citazione può essere rilevata d'ufficio dal giudice solamente quando il convenuto non si è costituito in giudizio
(cfr. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11382, id., Rep. 1992, voce La
voro e previdenza (controversie) n. 217, secondo cui, a parte le conseguenze che ne derivano — sanatoria del vizio con effi
cacia ex nunc e non già ex tunc, ai sensi del 2° comma dell'art.
164 c.p.c. — in caso di nullità dell'atto di appello per l'assoluta
incertezza della persona dell'appellato e di costituzione in giudi zio di quest'ultimo, occorre che il vizio venga denunciato dal
l'appellato medesimo in sede di costituzione). Tenuto conto dei principi che si desumono dalle disposizioni
di legge indicate, quindi, il tribunale non aveva il potere di di
chiarare d'ufficio la nullità dell'atto di appello, posto che la
Giorgino si era regolarmente costituita in giudizio, difendendosi
Il Foro Italiano — 1995.
nel merito, senza eccepire alcunché circa la suddetta pretesa nul
lità (v. la comparsa di risposta della medesima). Anche sotto questo ulteriore profilo, per conseguenza, lungi
dal ritenere l'esistenza della nullità e lungi dall'affermare che
il ricorso in appello era privo dei requisiti indispensabili per po tere essere considerato come un atto di impugnazione, il tribu
nale avrebbe dovuto esaminare nel merito le censure esposte dal
l'appellante. Il ricorso deve essere dunque accolto e la sentenza impugnata
deve essere cassata, con rinvio della causa, per l'esame del me
rito della medesima, ad altro giudice, che si designa nel Tribu
nale di Latina e che dovrà uniformarsi ai seguenti principi di
diritto.
1) Poiché l'art. 342 c.p.c. usa il termine «sommaria», l'onere
che ha l'appellante di esporre i fatti della causa si riduce alla
esposizione nell'atto di impugnazione di una sintesi degli atti
di parte e delle pregresse vicende processuali, ivi compresa la
sintetica indicazione del contenuto della decisione impugnata e
deve ritenersi soddisfatto anche facendo riferimento alla parte
espositiva dei motivi dell'impugnazione medesima.
2) L'onere che ha la parte di indicare nell'atto di appello i
motivi specifici dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., è soddisfatto anche se l'atto sia contenuto in un modulo redatto
in serie per una pluralità di casi identici, purché la manifesta
zione volitiva dell'appellante, indirizzata ad ottenere la riforma
della sentenza impugnata, trovi un supporto argomentativo ido
neo a contrastarne la motivazione, con la conseguenza che i mo
tivi, pur avendo il carattere della serialità, debbono essere più o meno articolati a seconda della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, della suddetta motivazione.
3) Ai sensi del combinato disposto dei primi due commi del
l'art. 157 c.p.c. e del 1° comma (ultimo alinea) dell'art. 164
stesso codice (quest'ultimo applicabile anche all'atto di appello
per il generale richiamo contenuto nell'art. 359 c.p.c.), poiché la nullità di un atto processuale non può essere pronunciata senza
istanza di parte (mediante eccezione formulata nella prima dife sa successiva all'atto o alla notizia di esso) ammenoché la legge
espressamente non disponga che possa essere rilevata anche d'uf
ficio, la nullità dell'atto di citazione non può essere rilevata d'uf
ficio dal giudice quando il convenuto si sia costituito in giudizio
(e, costituendosi, si sia difeso nel merito senza eccepire il vizio
dell'atto).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 feb
braio 1994, n. 1972; Pres. De Rosa, Est. Berni Canani, P.M.
Lanni (conci, conf.); Inadel (Avv. Corrias) c. Agliata. Cas
sa Trib. Napoli 22 marzo 1990.
Impiegato dello Stato e degli enti pubblici in genere — Pregres so servizio presso enti locali — Ricongiunzione — Trattamento di fine rapporto — Indennità integrativa speciale — Esclusio
ne (L. 22 giugno 1954 n. 523, ricongiunzione ai fini del trat tamento di quiescenza dei servizi resi allo Stato con quelli
prestati presso enti locali, art. 13, 14, 15).
Al pensionato che sia stato dipendente dello Stato (o equipara
to) e di enti locali spetta per la fine del rapporto un unico
emolumento, qualificato dallo status al momento della cessa
zione definitiva dal servizio e determinato in base alle norme
che regolano a tale momento il trattamento previdenziale, te
nendo conto di tutti i servizi valutabili secondo le disposizioni dei relativi ordinamenti e secondo i criteri dettati dall'art. 14 l. 22 giugno 1954 n. 523 (nella specie, è stato negato al pen sionato cessato dal servizio quale dipendente dello Stato il
diritto al computo dell'indennità integrativa speciale). (1)
(1) In termini, con indicazione del giudice ordinario per la cognizione delle relative controversie, Cass. 1° ottobre 1991, n. 10213, Foro it.,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso si
denunzia violazione degli art. 12, 13, 14 e 15 1. n. 523 del 1954, nonché difetto di motivazione.
Premesso che gli importi complessivi considerati dall'art. 14
della legge del 1954 si attribuiscono per quote proporzionali nel
modo indicato al 2° comma dell'art. 5; che l'ultimo comma
dell'art. 5 prevede, sia pure per il trattamento di quiescenza, che le quote si calcolano prendendo a base l'importo del tratta
mento determinato ai sensi dei precedenti articoli; e che in pro
posito l'art. 3 stabilisce che il diritto al trattamento di quiescen za e la sua misura si determinano, tenendo conto della totalità
dei servizi, valutati secondo le norme dei rispettivi ordinamenti,
applicando le norme che regolano il trattamento medesimo presso l'ente alle cui dipendenze il pensionato prestava servizio o era
iscritto al momento della cessazione definitiva, si deduce che
nella specie, trovando applicazione la normativa che regolava il rapporto presso l'Enpas, al quale l'Agliata era iscritto al mo
mento della cessazione definitiva dal servizio, l'indennità inte
grativa speciale, istituita per il personale dello Stato come in
dennità non computabile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, non poteva essere inclusa nella base di calcolo
dei due importi complessivi contemplati dall'art. 14, necessaria
mente identica per entrambi i calcoli e coincidente con quella
computabile al momento della cessazione definitiva come espres samente previsto per il trattamento di quiescenza.
Si osserva inoltre che in ogni caso l'indennità integrativa spe
ciale, estesa al personale degli enti locali dalla 1. n. 440 del 1987,
è computabile ex art. 3 1. 299/80 ai fini dell'indennità premio di servizio solo dal 1° gennaio 1974 e a condizione che da tale
data sia stata sottoposta a contribuzione; sicché, neppure in ba
se alla normativa Inadel l'Agliata, divenuto impiegato dello Stato
nel 1961, avrebbe potuto pretenderne il computo ai fini dell'in
dennità premio di servizio.
Il motivo è fondato. L'art. 13 1. n. 523 del 1954 stabilisce
che «nei casi di ricongiunzione previsti dal precedente art. 12, il diritto all'indennità di buonuscita o all'indennità premio di
servizio si stabilisce, tenendo conto della totalità dei servizi va
lutabili, in base alle norme che regolano il trattamento di previ denza del dipendente al momento della sua cessazione definitiva
dal servizio con iscrizione agli enti di cui al citato art. 12».
L'art. 14 della stessa legge dispone: — al 1° comma che per stabilire la misura dell'indennità di
buonuscita e dell'indennità premio di servizio si determinano
i relativi due importi complessivi che risulterebbero dall'appli cazione delle norme dell'opera di previdenza per il personale
civile e militare dello Stato e di quelle dell'Inadel «in base al
l'intero servizio utile, applicando per la valutazione dei singoli
servizi le disposizioni dei rispettivi ordinamenti»; — al 2° comma che «ciascuno dei due importi complessivi
calcolati per l'opera e per l'istituto predetti si attribuiscono per
quote proporzionali alle durate dei rispettivi servizi nel modo
indicato al 2° comma del precedente art. 5»; — ed al 3° comma che «qualora anteriormente alla data della
cessazione definitiva dal servizio, l'opera di previdenza o l'isti
tuto abbia già provveduto a corrispondere l'indennità di buonu
scita o l'indennità premio di servizio, spetta all'interessato sol
tanto la quota proporzionale di cui al comma precedente relati
va ai servizi resi con iscrizione all'altro istituto od opera di
previdenza». L'art. 15 prevede, infine: — al 1° comma che «nei casi di cui ai precedenti art. 12,
13 e 14 l'opera di previdenza e l'istituto che concorrono alla
concessione dell'indennità di buonuscita e dell'indennità premio
di servizio si comunicano reciprocamente i dati relativi alla mi
sura delle retribuzioni base della liquidazione e ai servizi valuta
bili da parte di ciascuno degli enti predetti».
Rep. 1991, voce Impiegato degli enti locali, n. 256; 13 aprile 1991, n.
3923, ibid., n. 244; 24 ottobre 1991, n. 11317, ibid., n. 227; 5 giugno
1989, n. 2702, id., Rep. 1989, voce cit., n. 270; Corte conti, sez. Ili
pens, civ., 15 gennaio 1982, n. 48927, id., Rep. 1983, voce cit., n. 155.
Per riferimenti sulla disciplina della ricongiunzione dei servizi di cui
alla 1. 523/54, v. Corte cost. 21 luglio 1988, n. 838, id., 1989, I, 2350,
con nota di richiami; sull'indennità premio di servizio in generale e
circa la computabilità dell'indennità integrativa speciale, Cass. 5 feb
braio 1993, n. 1424, id., 1993, I, 2196, con nota di G. Albenzio, L'in
dennità premio di servizio per i dipendenti degli enti locali.
Il Foro Italiano — 1995.
— ed al 2° comma che «ciascun ente provvede poi al conferi
mento della quota a proprio carico ai sensi del precedente art.
14 e al relativo pagamento». L'art. 14 può astrattamente essere riferito sia ad un'unica
indennità — buonuscita o premio di servizio secondo il datore
di lavoro o l'ente di iscrizione al momento della definitiva ces
sazione dal servizio — gravante proporzionalmente sugli enti
interessati; sia ad entrambe le indennità — buonuscita e premio di servizio — anch'esse proporzionalmente ripartite.
Ma, intesa la norma nel secondo senso, la formulazione risul
ta inutilmente ridondante.
Escluso, siccome privo di qualsiasi ratio, il cumulo delle due
indennità, entrambe determinate in base all'insieme dei servizi
utili e ripartite proporzionalmente tra i due enti, e riferita di
conseguenza la norma ad una indennità di buonuscita ed una
indennità premio di servizio dovute rispettivamente dall'Enpas e dall'Inadel in misura corrispondente ai servizi utili secondo
i rispettivi ordinamenti, risulta infatti superfluo il computo di
due importi complessivi da dividersi successivamente per otte
nere lo stesso risultato conseguibile, con gli aggiustamenti pre visti dall'art. 5 per i periodi utili per entrambi gli enti, senza
tale computo. Mal si concilia inoltre il termine «quota» con una indennità
calcolata per una parte con i criteri della buonuscita e per un'altra
con quelli della indennità premio di servizio.
Deve perciò ritenersi contemplata nell'art. 14 un'unica inden
nità, e tale interpretazione trova conferma nel precedente art.
13 poiché, se il diritto si stabilisce in base alle norme che rego lano il trattamento di previdenza del dipendente al momento
della cessazione definitiva dal servizio, non sembra possibile at
tribuire alla congiunzione «o» altro specifico significato che quel lo di una alternativa.
Lo stesso significato deve, di conseguenza, attribuirsi alla con
giunzione «e» nel 1° comma dell'art. 15; il che equivale a ren
dere esplicito il riferimento ai casi previsti dall'art. 13: «l'opera di previdenza e l'istituto che concorrono alla concessione del
l'indennità di buonuscita (in caso di soggetti dipendenti dello
Stato al momento della cessazione definitiva dal servizio) e del
l'indennità premio di servizio (in caso di soggetti dipendenti di enti locali al momento della cessazione definitiva dal servizio)
si comunicano...».
Deve, in conclusione, ritenersi che, come già affermato in
precedenti decisioni di questa corte (v. Cass. n. 2702/89, Foro
it., Rep. 1989, voce Impiegato degli enti locali, n. 270; 3923/91, id., Rep. 1991, voce cit., n. 244; 10213/91, ibid., n. 256) spetta al pensionato che sia stato dipendente dello Stato (o equipara
to) e di enti locali un unico emolumento, qualificato dallo sta
tus del dipendente al momento della cessazione definitiva dal
servizio, e determinato: — in base alle norme che regolano a tale momento il tratta
mento previdenziale; — tenendo conto di tutti i servizi valutabili secondo le dispo
sizioni dei singoli ordinamenti (art. 5, 2° comma, 12, 1° e 2°
comma, 14 1° comma); — ed applicando i criteri dettati dall'art. 14.
Nella specie l'Agliata, alla cessazione definitiva dal servizio,
era pacificamente dipendente statale; aveva quindi diritto alla
sola indennità di buonuscita, da calcolarsi secondo le norme
ad esse relative, in riferimento all'insieme dei periodi di servizio
ricongiungibili, con riparto tra Enpas e Inadel secondo le mo
dalità fissate dall'art. 14.
La quantificazione dell'indennità e la determinazione della quo
ta a carico dell'Inadel (a priori non necessariamente inferiore
all'importo fissato dal tribunale per l'indennità premio di servi
zio) esulano dai limiti del giudizio di legittimità. Per le svolte considerazioni il ricorso deve essere accolto e,
annullata la sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata
per un nuovo esame, in applicazione dei principi innanzi enun
ciati, ad altro giudice, designato in dispositivo.
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