mensile di informazione in distribuzione gratuita
Settembre 2013
n. 91
VENANZO CROCETTIIN MOSTRAA ROMA
PIAZZA MARTIRIDELLA LIBERTÀpag. 12
SCUOLA, LA VALUTAZIONEpag. 22
“SÌ LA VITAÈ TUTTA UN QUIZ!”pag. 17
SOMM
ARIO 3 Hoc dicunt Homines
4 Giammario vive
5 Venanzo Crocetti a Palazzo Venezia
10 Teramo Culturale
12 Piazza Martiri della Libertà
16 Arco Consumatori informa
17 Sì, la vita è tutto un quiz
18 La Scuola, libro cartaceo o digitale?
20 Il libro del mese
22 Scuola, la valutazione
24 Musica, il Piper
25 Musica, Wilco
26 In giro
27 Coldiretti informa
28 Calcio
30 Pallamano
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio,Maria Gabriella Di Flaviano, Massimo Di Giacomantonio, Maria Cristina Marroni, Fabrizio Medori,Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone,Sirio Maria Pomante, Sergio Scacchia,Zapoj Tovaris, Massimiliano Volpone.
Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.
Progetto grafico ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
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n. 91
P remessa. Vivere in Italia e capire i
meccanismi che regolano la vita dei
suoi abitanti è stato veramente duro
per me che sono venuto dalla lontana Tbilisi
in Georgia. Ci sono riuscito? Non lo so. Forse
si può provare a capire ma non so fino a
quanto e quando.
Se c’è un uomo in questa regione che ha
il potere avvolgente e corroborante della
parola, questo è indubbiamente Luciano
D’Alfonso. Se ci sono due uomini in questa
landa desolata con molto equilibrismo, questi
sono innegabilmente Milton Di Sabatino e
Giuliano Gambacorta: il primo consigliere
comunale pronto a offrire una stampella
alla maggioranza del sindaco Brucchi, in
cambio di divine opportunità. Il secondo,
nella miglior tradizione degli intercettatori
di cariche italiani, pronto a occuparsi di
qualcosa, meglio se all’Arpa Sistemi. E
nell’intensità astrale di un karma favorevole
i tre non potevano che incontrarsi. Hoc
dicunt homines! Era tutto scritto nelle
stelle. E così è stato. Il Luciano d’Alfonso si
appesantisce, nella sua corsa alla rincorsa
al governatore Chiodi per buttarlo giù dalla
torre nelle prossime regionali, di due pesanti
zavorre. A questo punto bisogna anche
rivedere il giudizio politico sull’ex sindaco,
sulla sua lungimiranza politica visto che,
ad esempio, accollarsi uno come Giuliano
Gambacorta vuol dire proprio che si è a
corto di idee ma soprattutto di ricambi,
che si voglia provare con l’harakiri e che al
peggio non c’è mai fine. Ma ricordate chi
è Giuliano Gambacorta? Ex presidente di
Arpa Sistemi, nominato per volere e bontà di
sua maestà Chiodi che si era pure attivato,
attraverso l’azione di Lanfranco Venturoni,
per far entrare il genero in un’azienda
capitanata nientemeno che dai Di Zio (fa
fede un’intercettazione della procura di
Pescara). Chiodi invia un sms a Di Zio: “Caro
Rodolfo, Giuliano mi ha detto che vi siete
sentiti. Grazie e buona domenica”, asserisce
il gip Campli. Gambacorta è famoso per
essere stato definito l’uomo della brusca.
Viste le sue (in)competenze ora si capisce
perché non faccia più parte di Sistemi spa:
dove va non lascia il segno, anzi lo lascia e
pure pesante. Poi però molto italianamente
si scopre che la sua figliola lavora in Regione.
Cosa sono lo spirito di servizio, la collettività
cui fare riferimento, il danaro pubblico?
Sono solo mezzi per giungere al benessere
famigliare, alla faccia di chi tutti i giorni
cerca di avere un’etica del servizio. Lui,
Gambacorta, ci riprova sempre: siamo in
Italia, pare dire, questi sono gli usi e costumi.
Prima penso agli affari miei poi, forse, e con
crassa (in)competenza, al popolo italiano. n
3L’Editoriale
Hoc dicunt homines!
diZapoj Tovaris
Giammario Sgattoni (Garrufo di Sant’Omero, 5 maggio 1931
– Teramo, 23 agosto 2007) è stato un giornalista, scrittore e
poeta italiano. La neutra solfa che ci propina Wikipedia pare
più una mera incisione lapidaria che un ricordo partecipa-
to di un poeta e maestro di vita qual è stato l’uomo di lettere e di
sogni, che ogni dì trasfondeva il dna della sapienza. Ma riassume
l’essenza sardonica e beffarda di questa vita, in cui uno cerca di
togliersi di dosso lacci e laccioli per salpare verso i lidi della pura
conoscenza, restando inevitabilmente sbattuto da un vento nefasto
che ti ributta tra i flutti placidi del porto. Giammario Sgattoni, colui
che ti accarezzava le mani per instillarti le rime di poeti e santi, vive.
Ancora. Altrimenti come farebbe Teramo a sopravvivere al vuoto che
si è generato al momento del suo trapasso e a incrociare lo sguardo
di qualcuno in atto di verseggiare senza però nessuna favella? Come
farebbe una tribù senza il suo sciamano? Ecco: come fa?... Finora,
dal giorno della sua dipartita, nessuno, ancorché con i suoi occhi
liquidi, sbuffanti, roteanti, è riuscito a inforcare con severità, come
era solito fare lui, il bastone della sapienza. Nessun genio loci si
è manifestato tale. Nessuno più ha cercato di incoronarsi re delle
strofe. Nessuno. Giammario si è portato via il vuoto e le cose più
preziose di questa città: le scintille reali dell’arte letteraria, il verseg-
giare, il poetare, l’erudizione semplice, l’esempio soprattutto di come
si può diventare grandi in provincia e non essere mai stato a Roma,
nemmeno da secondo. Giammario Sgattoni è ora diventato l’uomo
più evocato da chi conosce profondamente le trame imperscrutabili
del divenire, del fiume delle cose che succedono e che poi inevitabil-
mente prendono la via del mare, e del morire. Giammario ci lasciò a
76 anni in un Agosto di cinque anni fa.
Né un concorso vinto alla Rai a soli 25 anni, né premi letterari
aggiudicati a iosa e nemmeno il mondialismo del suo più caro amico
Sandro, perso tra copertine di Vogue, hamburger sulla 70ma e buen
retiro a Pienza, lo convinsero a lasciare quello che aveva di più
prezioso nella vita: la sua città, la Teramo violentata da bassa politica
e dalla villania quotidiana. Nessuno l’ha mai sentito borbottare su
cosa andasse o no in quest’urbe maledetta, nessuno l’ha mai colto
a ingiuriare i propri concittadini, perché su di essa il poeta teramano
possedeva una sorta di religioso pudore che in genere si riserva a
madri e amori andati a male. Eppure era snobbato dall’elite culturale
del tempo, spesso emarginato, visto come un raggiante dotto inof-
fensivo che non conoscendo assolutamente le pratiche quotidiane
del male, non avrebbe mai arrecato fastidio al potere della supposta
intellighenzia di allora. Era confinato là dove si esiliano matti e geni.
Che ora manchi un’intellighenzia nella nostra città, questo non è
più un mistero. In una full immersion di villanie e oltraggiose offese,
Teramo chiede prepotentemente che Sgattoni resusciti riportando il
barlume del savio ad illuminare la pochezza di questa gens che infiniti
danni finora ha addotto. Teramo chiede si ricordi questo suo figliolo
che tanta luce ha donato tra il Vezzola e il Tordino. Iscritto all’Ordine
dei Giornalisti nel 1958, si è occupato nel tempo di critica letteraria,
di tradizioni popolari, di arte e di archeologia. Nel 1957 divenne condi-
rettore di “Dimensioni”, la rivista che contribuì non poco a rompere il
sostanziale isolamento in cui viveva la regione in quegli anni, aprendo
un canale di comunicazione fra i protagonisti della cultura nazionale,
Quasimodo, Montale, Flora, Sansone, Toschi e una schiera di intellet-
tuali abruzzesi: Pomilio, Bonanni, Rosa, Lelj, Scarpitti, Porto, Sablone.
Fu poeta acclamato, fondatore dell’Istituto Abruzzese di ricerche stori-
che, segretario del Premio internazionale “Silone” e ideatore nel 1959
del Premio “Teramo”. Sgattoni collaborò anche con la Rai di Pescara,
fu Console del Touring Club e vicesegretario dell’Accademia dei Lincei.
Ma la lista potrebbe continuare ancora a lungo.
Gianmario possedeva quella forza che solo gli eventi naturali hanno.
Non si sa da quale anfratto delle proprie viscere provenisse quel re-
spiro dionisiaco, quel verseggiare tamburellante, quell’accomiatarsi e
non accomiatarsi da te, quello scalpitio, quando Gianmario era solito
riversarti fonemi dolci e rime baciate.Non si sa da quale “stella che
danza” abbia partorito la sua vis celestiale, bizzarra ed incantata. So
solo che nella nostra angusta ed ispirata redazione di Via Carlo Forti,
il poeta scelse sin dal 2004, grazie anche alla datata amicizia con
Giancarlo, il nostro mensile Teramani quale nuovo luogo di nascita
dei suoi scritti: lui ci prendeva flebilmente/risolutamente per i polsi,
istillandoci giorno dopo giorno grani e grani di sapienza in quel suo
amore oceanico per il poetare.
Ancora ciao Giammario, da cinque anni. n
Il ricordo4n.91
Giammario vive
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
6n.91
1913-2013. Venanzo Crocetti compie cento anni e con lui la sua
arte, se è vero che fin da bambino, per le vie del centro storico
di Giulianova, disegnava sugli antichi masselli di pietra d’Ancona
che compongono il selciato di quei vicoli, e si esercitava a dar for-
ma a piccole statue da presepe nelle botteghe di poveri artigiani.
Per onorare il grande Maestro scultore nel centenario della nascita,
la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed
Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma diretta da
Daniela Porro, e la Fondazione Ve-
nanzo Crocetti, hanno desiderato e
realizzato presso il Museo Nazionale
di Palazzo Venezia un’importante
mostra dal titolo “Venanzo Crocetti e
il sentimento dell’antico. L’eleganza
del Novecento”. Per lo straordinario
evento, che ha aperto i battenti lo
scorso 2 settembre, occasione di
studio e riflessione sulla profondità
culturale, espressiva e umana dell’ar-
tista, abbiamo incontrato i principali
protagonisti. Prima fra tutti abbiamo
inteso proporvi le parole della pre-
sidente della Fondazione “Venanzo
Crocetti” Carla Ortolani, che prose-
gue l’attività di tutela e diffusione
dell’opera del maestro, iniziata dal
compianto Antonio Tancredi. Risale a
oltre mezzo secolo fa, esattamente
al 1951, il trasferimento dello studio
di Crocetti in via Cassia a Roma,
dove ha sede la Fondazione, quando
aveva da poco vinto il concorso
indetto per la Porta in bronzo della
Basilica Vaticana. Lavorò alla creazio-
ne della Porta dei Sacramenti - che
con alterne vicende portò a termine
dopo 15 anni e fu inaugurata da
Paolo VI nel 1965 - e contemporaneamente si dedicò alla realizzazione
del Monumento dei Caduti di Teramo, opera altrettanto impegnativa e
anch’essa di grandi dimensioni.
Le due opere crebbero insieme nello studio di via Cassia, che diventò
ben presto troppo angusto per contenerle entrambe e divennero lo
stimolo per ampliare gli spazi dedicati al laboratorio, costruire la sua
abitazione e realizzare il Museo, la casa dove avrebbe collocato i suoi
“figli”, come egli usava chiamare le sue opere. Il Museo Crocetti è stato
ufficialmente aperto al pubblico nel novembre del 2002, quando il
maestro era ancora in vita.
Presidente Ortolani, cosa ha spinto la Fondazione ad intrapren-
dere l’organizzazione di questa importante mostra sull’opera di
Crocetti? Qual è l’obiettivo che volete raggiungere attraverso
l’esposizione?
L’esposizione di Palazzo Venezia è il punto d’inizio di una seconda fase
per la Fondazione che presiedo. Dopo l’attività preziosa e inimitabile
del mio predecessore, l’on. Antonio Tancredi, oggi intendiamo portarla
Una mostra a Palazzo Venezia celebrai cent’anni dalla nascita dello scultoree ci conduce alle radici della sua arte
VenanzoCrocettie il sentimento dell’antico
La mostra
diSirio MariaPomante [email protected]
Amo le tecniche, le materie e le raffinatezzedei mestieri, certi antichi modi di fare le coseper le quali nasce l’opera d’arte: modi che non cambiano mai, che ritornano sempre,e si rendono attuali solo per le variazioni.Venanzo Crocetti, Autobiografia
Grandeallievadi danza(1982)
avanti rinnovando la lettura dell’opera di Venanzo Crocetti. Questa
è la motivazione principale che ci ha animato nell’ideare e realizza-
re questo evento e l’accoglienza prodigiosa che ha avuto la mostra
presso la critica ce lo conferma. Un artista che continua a sbalordire
per la linearità della sua opera, refrattaria alle mode, forte anche delle
sue origini. Anzi, a proposito di quest’ultimo aspetto, grazie all’amicizia
che mi ha stretto al maestro per lunghi anni, posso affermare che il
rapporto di Crocetti con la sua città deve essere finalmente visto come
un tratto della sua personalità e non come una repulsione riservata
esclusivamente ai suoi luoghi di provenienza.
Al fine di maturare una nuova visione dell’artista, affinché l’attività e
la vita dialoghino, ho chiesto alle due curatrici di lavorare sull’archivio
dello scultore. La ricerca ha permesso di arricchire l’allestimento e
completare la lettura delle opere con la proiezione di pensieri e testi-
monianze estratti da questi scritti.
E’ stata anche l’occasione per riscoprire il diario di Crocetti che presto
editeremo. Assieme a tutto questo, la mostra romana intende rivestire
il punto di partenza per la diffusione dell’opera del maestro fuori
dall’Italia dove è già in parte conosciuta. Non dimentichiamo infatti che
una delle sue opere più importanti e dense di significato, Il Cavaliere
della Pace, compì un lungo cammino da Hiroshima all’Ermitage di
San Pietroburgo, alla sede del Parlamento Europeo di Strasburgo, alla
Galleria d’Arte Contemporanea di Budapest, per giungere infine sulle
colline di Colignì a Ginevra. Così, la Fondazione è al lavoro sui prossimi
appuntamenti all’Ermitage, a Pechino e Shangai e a curare l’intenso
rapporto col Giappone, secondo paese dopo il nostro a custodire il
maggior numero di sculture di Crocetti.
Per introdurci alla scoperta delle sedimentazioni antiche che vivo-
no nelle sculture del Maestro, abbiamo incontrato la professoressa
Raffaella Morselli, ordinario di Storia dell’arte Moderna e direttore del
Dipartimento di Scienze della Comunicazione all’Università di Teramo, e
la dottoressa Paola Goretti, coautrice del catalogo.
La mostra, che si articola attraverso un corpus di circa ottanta
creazioni, titola: “Venanzo Crocetti e il sentimento dell’antico.
L’eleganza del Novecento”. Quali sono gli elementi fondamentali
di questo ‘sentimento’ nell’opera del nostro scultore?
Domanda complessa, che sostanzia l’intera cifra narrativa, plastica
e poetica del Nostro. E’ l’intera angolazione da cui Crocetti guarda
il mondo, accarezzandolo per via di cuciture temporali che non
si organizzano nell’esaltazione del progresso, dell’avanguardia,
della contemporaneità; come escludendo a priori tutti quegli
orientamenti internazionali (europei e americani) che andavano
costruendo le nuove mitologie della società di massa. Crocetti –
sorta di monaco laico che ripete i suoi gesti di liturgia rinnovandoli con
gioia ogni giorno- cura la finezza della materia con slancio infaticabile,
sedendo per tutta la vita in un altare interiore consacrato al magistero
degli antichi maestri, spigolati da tutte le epoche possibili. Eccolo, il suo
mai dismesso dialogo con l’antico, sostanziato dagli infiniti rimandi al
lessico figurativo della tradizione classica, sia essa aulica (Donatello,
Antelami, Michelangelo, Niccolò dell’Arca), italica o mediterranea; nelle
abbondanti suggestioni greche, picene, etrusche, egizie.
7n.91
continua sulle pagine seguenti
Fanciulla al fiume (1934)
La Maddalena
8n.91
segue da pag. 19
E’ l’antico -sviluppato in ogni sfumatura,
rimando, ispirazione – che in lui diviene a
poco a poco un dialogo sentimentale carico
di affetti e di memorie. Crocetti risale le onde
del tempo come un salmone, per appropriar-
si di tutti i passati e fonderli insieme in un
nuovo presente. Non era più interessante
per me scoprire Martini – dice nei suoi scritti
inediti- ma, eventualmente, mi sarei com-
piaciuto di guardare dove lui guardava. Mi
sarei cioè abbeverato, come lui, alle sorgenti
dei grandi cicli: dagli Egiziani ai Greci, dagli
Etruschi alla scultura Indiana o Gotica dove
la Chimera Trevigiana godeva intrattenersi
quali assimilatore che Egli era, non meno
verace di Picasso. Questo è il suo gesto, il suo
andamento, il suo variare note e partitura di
continuo senza variare lo strumento mai, il
suo sentimento inconsumabile. Questo ciò
che abbiamo voluto evidenziare.
Nonostante il complesso rapporto di Cro-
cetti con il suo luogo natìo, quanto c’é di
Giulianova, dell’Abruzzo, terra di scultori,
in questo ‘sentimento’?
immutabile e fiero di esserlo. Pensiamo a La
portinaia (1934) mani sui fianchi su corpo
smagrito, come avrebbe sancito certo indi-
menticabile neorealismo, a La gravida (1932),
maestà totemica simile alle statue votive
delle antiche dee madri; e più ancora a La
zingara (1937), antenata satura di arcaismi
in cui si rispecchiano le istanze di un lessico
figurativo remotissimo (evidenti i rimandi
alla Dea dei serpenti di Cnosso), temperato
da aspetto nobile e gentile. Nell’universo di
Crocetti non sono mai tramontati gli oracoli
(le dee e le maghe dell’Abruzzo, come la dea
Angizia); è piuttosto la civiltà tecnologica,
tecnocratica e industriale che non è mai
esaltata, che non appare mai. E’ di essa che
Crocetti non si cura. Fermandosi sull’uscio
di casa a pettinare l’antico, l’agreste, il
rurale. Senza per questo esser provinciale o
attardato. Semplicemente, indisponibile alle
forzature del progresso. Da queste opere
iniziali (La gallina, 1931) al Giovane Cavaliere
della Pace (1987), che lo colma di onorifi-
Moltissimo, anche se non crediamo che Cro-
cetti vada circoscritto ad una parlata locale
o ad una territorialità regionale. Tutti i grandi
artisti di tutte le discipline (di tutte le epoche)
appartengono al mondo ed è nel mondo
che vanno collocati: la Parigi di Modigliani,
la Venezia di Canaletto, la Rimini di Fellini -si
può continuare all’infinito- sono memoriali
universali e appartengono alla storia dell’u-
manità. Comunque, certo, la dimensione
arcaica è molto presente in Lui, specie nelle
opere degli esordi, come in una dottrina
di legamenti fortemente saldata all’epica
contadina, a quella degli animali da cortile,
alla repubblica dei tori e delle vacche, delle
galline e dei vitellini, dei pescatorelli, delle
bonarie strette di mano tra compari che oltre
alle transazioni economiche per siglare affari
si lanciano intense affettuosità. In un Paese
che ancora odorava d’aratro e di memorie
rusticane, Crocetti portava in scena l’opera
degli avi e delle ave, i filamenti di un universo
rupestre, millenario tanto quanto le grotte
della Valcamonica o della civiltà nuragica,
La mostra
Giovane Cavaliere della Pace (1987)
Pescatoriello con cappello (1935)
9n.91
cenze internazionali, il salto è brevissimo. In
entrambe le prove si conserva infatti il soffio
pacificato di un mondo armonico; un asse
di riconciliazione che sintetizza l’intento uni-
versale dell’opera del Maestro, nella nudità
di una cavalcata placida protesa al divenire
della storia, vicina al tempo stesso agli occhi
del bambino che Egli era stato un tempo:
quando si indignava perché i compagni di
scuola colpivano le rondini con le fionde,
quando raccoglieva amorevolmente ramo-
scelli di alghe dal bagnasciuga per studiarne
le venature e cogliere anche in essi l’opera
mirabile della Creazione umana.
L’esposizione romana ripercorre l’opera
del maestro. Quali sono stati i criteri
espositivi che hanno guidato la curatela?
Non abbiamo voluto calare le opere in una
cronologia troppo sorvegliata (a questo
provvederemo in futuri studi critici che avran-
no come obiettivo il catalogo generale delle
opere del Maestro, ordinato secondo i criteri
più ortodossi) prediligendo un orientamento
che fosse in grado di orchestrare alcune
tipologie tematiche, più ampie di un semplice
soggettario. Un modo per mettere in ordine
alcuni grandi amori, solcati da Crocetti lungo
l’arco dell’intera esistenza, modulando un
graduale affettivo capace di allacciare un
fittissimo rimando con le epoche prece-
denti secondo timbri emotivi differenti; tra
sobrietà, furori tortili, dolcezze. Ecco dunque
la scelta delle tre sezioni: Elegantiae (la
traccia classicheggiante: ballerine, modelle,
teste e busti all’eroica); Etternale Ardore (il
tragico dei soggetti epici: maddalene, fughe,
ratti, incendi, avvitamenti di leoni e leonesse);
Clementiae (il lessico dei memoriali rusticani:
pescatori, bagnanti, animali da cortile, frutti-
vendole, bacchini, cavalieri e maternità).
Per rendere ancora più stringente il dialogo
coi Maestri e la dimensione evocativa che
nutre l’intera cifra del Nostro, abbiamo fatto
ricorso ad un innovativo sistema di videopro-
iezioni messo a punto dalla sapienze tecni-
che di Mario Flandoli per proiettare in multivi-
sione l’abbondanza iconografica sedimentata
negli occhi di Crocetti, intercalandola ai suoi
pensieri. Scorre così sulle pareti l’officina
della storia: i Maestri del Trecento, Bellini,
Pollaiolo, Rodin, Donatello, busti romani,
tanagrine, teste all’eroica, volti di Modigliani,
urne etrusche, busti del Quattrocento, gesti
di Iside sovrana.
Un intenso percorso di stile, grazia e sensua-
lità, sostenuto dalle sapienze progettuali di
Cesare Mari che ne ha curato gli allestimenti,
e da quelle illuminotecniche di Giuseppe
Mestrangelo, che tutto ha vestito di luce:
nell’eleganza di un presente senza tempo
dove Crocetti, coagulando la scultura in un
progetto estetico accorpante i secoli, punta
alla sostanza dell’anima.
L’esposizione, che resterà aperta al pub-
blico fino al 20 ottobre, sarà visitabile dal
martedì alla domenica, dalle 10.00 alle
19.00. Il percorso della mostra occupa la
sala Regia, delle Battaglie e del Mappa-
mondo del Museo Nazionale di Palazzo
Venezia diretto da Andreina Draghi. n
Busto di soldato
Il ratto
Leonessa con serpente (1935)
Ritratto di donna
Teramo culturale10diSilvioPaolini Merlo [email protected]
n.91
GuidoMontautie l’avanguardia fauvistadel Pastore Bianco
D i un artista come Guido Montauti, a cui Ripattoni in Arte ha
dedicato una retrospettiva per il cinquantenario del manife-
sto del Pastore Bianco, è facile e insieme difficile dire. Facile,
perché di lui hanno detto e scritto firme autorevoli come Enrico
Crispolti, tra i massimi critici del futurismo. Di lui si conoscono le origini
modeste, a Pietracamela nel 1918, le esperienze in tempore belli per
mezza Europa, specie a Parigi, dove viene in contatto con le maggiori
avanguardie, e poi a Milano, dove conosce tra gli altri Carlo Carrà.
Difficile, perché la sua è una personalità complessa, stratificata, nei temi
e nei metodi pervasa da una certa insondabile doppiezza. Ma è forse
proprio nell’esperienza di pittura collettiva assieme agli amici Alberto
Chiarini, Diego Esposito, Pietro Marcattili e il pastore Bruno Bartolomei,
nei monumentali dipinti tracciati nelle Grotte di Segaturo, evocanti un
legame primitivo tra uomo e natura, che di Montauti può essere trovata
una chiave di lettura non stereotipica. Esperienza breve, durata solo un
settennio dal 1963 al 1969, nella quale giunge a compimento un’esalta-
zione delle “selve” e dei motivi agresti che molto ha a che vedere, certo
nel metodo se non nei temi, col fauvismo francese, il primo dei grandi
movimenti avanguardisti del Novecento pittorico europeo. Colori stesi
sulla tela in modo violento e sporco, senza apparenti preoccupazioni
estetiche. Le cui motivazioni immaginative non sono mai né figurative
né antifigurative, né didascaliche né naif. Lo stile, insomma, che sarà
sempre il suo. Uno stile in tutto e per tutto figlio del suo tempo, intimista
e insieme estraniante e alienante. Di certo nulla di simile si era mai vista
nell’arte pittorica abruzzese, salvo il caso dell’opera astrattista cui un
isolato pioniere come Giuseppe Misticoni aveva dato inizio nel 1950 con
la Composizione geometrica.
I fatti sono per lo più noti. Dopo il rientro definitivo da Parigi a Teramo,
Montauti sente l’urgenza di infondere un rinnovamento profondo nel
contesto delle attività artistiche cittadine. E non c’è dubbio che, proprio
con la nascita del gruppo denominato “Il Pastore Bianco”, egli vi riesca.
Ma questo sforzo di rinnovamento egli pretende inciderlo nella roccia,
eternizzarlo in quelle che crede le radici ataviche della sua stirpe e di
quella aprutina, affidandosi a temi tra l’ascetico e il bucolico come I
Pastori delle Montagne Rosse, Processione, Crocefissione, Il Giudizio
Universale. E intende affermarlo contro l’espressione a quel tempo
emergente della modernità: la pop art americana. Definita “postribolo
dell’arte”, nel 1966 Montauti e il gruppo del Pastore citano in giudizio la
Biennale di Venezia, sostenendo nientemeno che una violazione dello
statuto. Perderanno la causa, rovinosamente, e poco dopo ognuno tor-
nerà a calcare i propri passi. L’idea è la creazione collettiva, il rifiuto del
sé autoriale, simbolo di umiltà e di rinuncia all’individualismo. Non che
nell’operazione vi fosse nulla di nuovo: l’alea si era già insediata potente
in tutte le arti, dall’action painting pollockiano, al casualismo di Cage
fino all’happening del Living Theatre. Ma a parte questo, benché la loro
possa dirsi un’innovazione di una certa valenza storica per l’Abruzzo
del tempo, gli esiti programmatici dell’operazione - a differenza di quelli
artistici, indiscutibili - appaiono nel complesso fallimentari, e nel metodo
e nel merito. Nel metodo, perché l’intento spersonalizzante, il passaggio
dalla visione dell’opera d’arte come autogenesi più che come prodotto
volontario di una singola coscienza, vengono di fatto smentiti nei fatti
da uno stile montautiano rimasto preponderante al punto da annientare
quello degli altri, e si pensi all’ingenuo naturalismo che sarà poi sempre
tipico di Bartolomei. Nel merito, perché questa chimera salvifica del
ritorno alla pittura rupestre,
sognata evidentemente come
origine incontaminata di tutta
l’arte, non ebbe di fatto mai il
potere di ricapitolare e oltre-
passare l’intera storia passata
e presente dell’arte occiden-
tale, ma al contrario finì col
negarla a priori, farne oggetto
di un rifiuto tombale, antistori-
co, ai confini di un’inquisizione
purificante. E la fumosa diatriba
con la Biennale veneziana,
letta a più riprese come atto
coraggioso e lungimirante,
appare al contrario quantomai
infelice e maldestra. Cosa sia
stata nei suoi autori maggiori
la corrente artistica della pop
art, tra le più importanti e feconde del dopoguerra, lo si sa. Cosa sia
stato degli altri giovani componenti del Pastore Bianco lo sappiamo
altrettanto: gruppo nel quale, tranne - forse - Esposito, giunto ad esporre
entro e fuori l’Europa e con una docenza a Brera, non mi sembra essersi
evidenziata alcuna personalità di spicco, o comunque paragonabile a
quella largamente dominante di Montauti.
E sappiamo anche cosa la pop art abbia inteso rappresentare per
l’uomo moderno: la banalità del vivere urbano, il cinismo della merci-
ficazione universale, al fine di esternarne il senso di forte livellamento
del prodotto artistico. Nulla di diverso, in fondo, da ciò che Montauti e
gli altri cercavano. In realtà, era precisamente questa loro arte “povera”
- così spiccatamente condotta al matericismo e al divisionismo - ad
essere intimamente condotta all’iconoclastìa e alla dissacrazione, alla
smitizzazione dell’eternismo nell’opera d’arte. Al massimo verso un ani-
mismo di tipo certamente pagano. Ma questo passo nessuno tra loro,
e Montauti in testa, volle mai compierlo. Quale senso aveva dunque
quell’accusa puritana all’arte pop, oltre una certa invidia per quel passo
in avanti che i loro “pastori” non avevano avuto il coraggio di compiere?,
oltre un inconfessato rifiuto dell’autoscacco a cui quel certo percorso li
stava conducendo e non avrebbe potuto che condurli? n
Saliceti - busto al Pincio
La nostra città12n.91
Dalla corrida del 1530alla mucca del XXI secolo
Piazza Martiri della Libertà
P iazza Martiri della Libertà ha sem-
plicemente bisogno di un discipli-
nare, di un dispositivo che regola-
menti per bene cosa si può fare e
cosa non si può fare, cosa organizzare in
quest’alveo storico architettonico e per
quanti giorni, selezionando sin dall’inizio
dell’anno pochi eventi, ma buoni, senza
nemmeno tanto sfociare in un taglio snobistico che impedisca alla
pancia di Teramo di esibirsi nel salotto buono della città, di rifletter-
si sul palco. Di conseguenza, via libera anche a Vittorio il fenomeno,
ma cum judicio. Ok, okeissimo la lirica in piazza, bene anche Sport
sotto le stelle, con alcune revisioni, un successo il Capodanno, e
così via. Non si possono mettere in piedi imbarazzanti sceneggia-
te, irriverenti per la cittadinanza, solo perché fa gola la piazza più
contesa del contado. La sindrome della sagra perenne continua
purtroppo a contaminare i nostri amministratori, non coscienti che
questo sito rappresenta davvero il salotto di casa e non un fondaco
dove riporre un po’ di tutto. Purtroppo Piazza Martiri della Libertà,
nella sua longeva vita, deve ricordare dubbi episodi, come quello
ad esempio, tanto per cominciare, dei chiodi piantati nelle storiche
mura del Duomo da un dipendente comunale per legarci un tendo-
ne durante una Festa della Polizia (tanto con tutti questi buchi che
ci sono, uno in più che differenza fa? Fu la risposta a chi obiettava!)
o dell’albero di Natale, attraccato ad orribili grossi cubi di cemento,
circondati da paglia ovunque. Uno strazio! Eppure nel 1789 nella
piazza fu eretto l’albero della libertà. Come si fa a dimenticare la
mucca pubblicitaria dispensatrice di latte, che placida stava lì a
ricordare come il latte evochi davvero ancestrali pulsioni, soprat-
tutto verso i più piccoli, oppure le pecore, capre e vitellini legati
nei pressi della scalinata posteriore del Duomo durante una festa
di prodotti tipici locali di qualche anno fa. Va bene che la nostra
agorà ha visto nel passato anche corride: nel 1530 gli Spagnoli ne
organizzarono una, ma i Teramani non l’apprezzarono. Oramai non
fanno più notizie i duelli notturni tra bottiglie di vino e lattine di bir-
ra che trovano spazio sulle scale del Duomo, dove fino al mattino,
rimangono in ordine sparso. O anche le bestemmie e parolacce
inserite in una canzone natalizia di una band inglese. Parolacce che
provenivano dagli altoparlanti dei due porticati posti su Corso San
Giorgio? Per non parlare delle indubbie kermesse che si sono suc-
cedute in tutti questi anni. Fino all’ultima: quella Miss Italia che ha
fatto dire al nostro primo cittadino: “Basta, d’ora in poi creeremo
una zona di rispetto attorno al duomo”. Peccato che dopo qualche
giro di lancetta sono apparsi due bagni chimici orribilmente addos-
sati alle pietre millenarie della nostra cattedrale. Sì. Oriniamo tutti,
pisciamo sul monumento storico più rilevante della nostra storica
città, come nel 410 d.C. a Roma. Come definire, in occasione della
festa dell’agricoltura, l’alta concentrazione di mega gazebo in una
location, sempre quella, solo quella, come se la zona della Villeroy
& Boch, solo per fare un esempio, non potesse ospitare tali eventi.
Un mega tendone piazzato sotto il campanile ha ricordato per un
attimo l’Oktoberfest. Perché, poi, un palco deve essere sovrapposto
per settimane su un monumento storico cittadino che è la scalinata
del duomo? Dov’è il Vescovo, dov’è la soprintendenza ai beni archi-
tettonici, ma soprattutto dov’è l’indignazione dei Teramani?
Anche don Aldino, il parroco del duomo, ha dovuto più volte tirare le
orecchie ai nostri amministratori, che avevano esagerato nella folle
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
13n.91
da ogni tipo di volgarità. Da sempre si è
collocato in prima linea per denunciare gli
obbrobri che man mano si sono succeduti
nel sito lungo tutti questi anni. Eccone una
sintesi.
Teramani n.° 11 di Febbraio 2005.“La lunetta di Venanzo Crocetti, pagata dal-
la Banca Popolare Italiana, doveva essere
posizionata nello spazio semicircolare sopra
la scultura di bronzo raffigurante l’annuncia-
zione: purtroppo l’opera giace misteriosa-
mente abbandonata in un polveroso scan-
tinato comunale. Al suo posto è stata posta
una discutibile opera di Mastrodascio”.
Teramani n.° 23 di Marzo 2006.Walter Mazzitti: “Mi chiedo come si possa
pensare di ingombrare Piazza Martiri con
degli interventi che io, come cittadino,
giudico offensivi sotto tutti i punti di vista.
Il gazebone, la nuova edicola, la pista di
pattinaggio, il mercato del sabato: viene
da chiedersi perché tutto quello che si fa
in questa città deve per forza occupare il
centro storico”.
Teramani n.° 28 di Settembre 2006.“La piazza è offesa da affissioni selvagge
principalmente sui muri dell’ex Banco di
Napoli, tra cui quelle di Agena, Casa della
Libertà e qualche stemma di Rifondazione”.
Teramani n.° 36 di Luglio-Agosto 2007.Francesca Marrone. “Piazza Martiri: la vera
agorà teramana. Qui fu eretto nel 1799 l’al-
bero della libertà; qui nel 1530 gli Spagnoli
organizzarono una corrida, con tanto di toro
e torero, che però non sembrò incontrare
il parere favorevole dei locali. Nell’ambi-
to di una manifestazione di alta moda e
Agriservice una mucca appare accanto al
duomo: a questo punto bisogna capire quali
manifestazioni e quali prodotti possono tro-
riproduzione delle manifestazioni senza
alcun senso e senza alcun valore aggiun-
to e soprattutto con la musica “a palla”.
Ma in piazza c’è stato un po’ di tutto: la
nostra vita che scorre. La Juve che vince lo
scudetto, la Ferrari in mostra, le Topolino,
l’Italia campione del mondo, quotidiano e
pasta alla nocciola la domenica, le bandiere
rosse del sindacato, quelle verdi degli agri-
coltori, quelle biancorosse degli ultrà che
insistono con le loro sciarpe per il Davide
libero (a ben vedere l’unico vero tormen-
tone teramano, più delle virtù e di Topitti),
Brucchi in bici, l’apetta schioppettante di
Schillaci, il crocicchio di Massoni, i record
mondiali, Malavolta, la cabina fototessera
dove per un anno e mezzo Giovanni vi ha
dormito, il raduno delle Harley. Poi: uno
sguardo, un cuore che batte, uno che
smette di battere, un clochard, Bruno, Vin-
cenzo, la solitudine di Ferragosto, la neve,
l’olmo, Biancone, il brusio della fontanella,
gli anziani sulle panchine, la processione di
Cristo morto, la pioggia. Ecco, per queste
e per altre migliaia di ragioni, concittadini
per favore indignatevi quando qualcuno
violenta il nostro io collettivo, la nostra
storia. Incazzatevi e non permettete che
qualcuno scambi Piazza Martiri della Libertà
per lo scaffale di un centro commerciale,
dove la merce viene accatastata in modo
che s’inganni il consumatore. Riprendiamoci
il nostro salotto. I Teramani non amano le
corride.
Il nostro mensile, sin dall’inizio ha perorato
la causa di una Piazza Martiri sgombra
varsi asilo e quali invece è meglio portare
altrove”.
Teramani n.° 37 di Settembre 2007.Riconsegna del duomo restaurato. (Lasciate
due cabine Enel e cancellata di legno nei
pressi). Biagio Trimarelli: “E’ mai possibile
che i cittadini abbiano dovuto attende-
re tanto tempo per vedere completata
un’opera così importante per Teramo e
trovarsi poi di fronte a tali segni di inciviltà e
insensibilità?”.
Teramani n.° 39 di Novembre 2007.Mimmo Attanasii: “Il ragù alla bolognese,
la polenta è dell’area padana, i fritti ed i
saltimbocca sono romani, le olive all’a-
scolana, e potrei continuare. Il saluto della
Provincia di Teramo alla prima edizione
di Magna Teramo è del presidente Ernino
D’Agostino”.
Teramani n. 39 di Novembre 2007.Walter Mazzitti: “Tutto questo (degrado)
perché? Perché non ci sono idee. Manca
una strategia di fondo, manca la capacità di
attirare interessi”.
Teramani n.° 39 di Novembre 2007.In questo numero Chiodi, Rabbuffo e
Micheli assicurarono tolleranza zero per le
affissioni abusive. Ma da allora la situazione
è solo peggiorata.
Teramani n.° 41 di Gennaio 2008.“Abbiamo visto camion scaricare merce in
piena mattinata e spesso oltre, senza più un
orario da rispettare, in quel caos da Kasba
nordafricana”.
Teramani n.° 52 di Marzo 2009.“Anche se è vero che in fondo le brutture
14n.91
segue da pag. 13
della vita sono pratiche, perché col tempo
si trasformano in qualcosa di utile, come
il letame in humus, quelle teramane però
rasentano l’indolenza sciatta della trasanda-
tezza, un po’ in linea con il carattere pigro e
svogliato dei nostri concittadini”.
Teramani n.° 69 di Febbraio 2011.“Ok, un tir in retromarcia centra in pieno il
simbolo della teramanità e sbreccia una par-
te della scalinata: chi è mai quel pazzo che
fa depositare addosso alle mura del duomo
del capoluogo, saponi, detersivi, mozzarelle,
frutta fresca, così come capita tutte le volte,
almeno due giorni alla settimana, in attesa
che dopo ore gli addetti dell’ipermercato la
ritirino. Chi è quell’incosciente che permette
che bisonti simili solchino la porta del
santuario aprutino? Chi permette che per
il corso principale a mezzogiorno una fila
interminata di altrettanti tir si susseguano
come in una tappa del giro d’Italia: è l’isola
pedonale dov’è?”…”Dall’altro lato di Piazza
Martiri appaiono le mitiche sfere di Vitelli che
si susseguono come una collana infilate da
cinghie da rockettaro, facendo letteralmente
inciampare vecchiette e giovani. Oltre ai tir,
sfilano senza sosta i bus della linea urbana
tagliando la piazza con bambini e con il
traffico di autovetture senza permesso, o
se ce l’hanno sono illegittimamente usati
come quelli individuati nelle auto di alcuni
dipendenti della Prefettura, oggetto di inda-
gine della Procura di Teramo. E a proposito
di pass: continua il florilegio di tagliandi per
disabili intestati a parenti morti ma ancora
utilizzati da persone che la sera fanno
walking o acquagym”.
e d’ogni dove a prezzi stellari, ma non le
peculiarità teramane, niente sfujatelle,
caggiunitte, niente papatille, ma dolci che
troviamo in qualsiasi centro commerciale
preparati attraverso orripilanti procedimenti
chimici e conservati con poca attenzione
per la salute pubblica”. (…) “Gli alberi di
Natale sono posticci ma “a gratis” (non è
che tra le mura si fa entrare anche il cavallo
di Troia? tanto è un dono. Gli altoparlanti
della musica (Feliz Navidad il tormentone)
sono pericolosamente penzoloni su pedoni,
l’albero posticcio ha i doni di cemento
avvolti da cartaccia bianca e rossa e un
po’ di muschio buttato sul selciato senza
nessuna cura o inventiva, quando invece
c’era il tradizionale albero a ridosso della
torre campanaria. È finta anche la pista di
ghiaccio senza ghiaccio ma composta di
un materiale sintetico, anch’essa, guarda
un po’, acciambellata sulla scalinata del
duomo, strozzando il respiro degli elementi
architettonici degli ambienti e insidiando
le santità. Pare che Teramo, e la sua piazza
principale, debba essere riempita come
un piatto di virtù e farcita come timballo.
Teramo è pervasa dalla sindrome della
sagra perenne”.
Teramani n.° 80 di Aprile 2012.“Giorni contati per la Teramo-suk dei gaze-
boni, dei dehors che scimmiottano baite
alpine, degli ombrelloni da mare con i mar-
chi della birra sui lembi della stoffa e delle
sedie di plastica bianche. Il sindaco Brucchi
ha detto stop e ha varato un regolamento
che provvederà a ristabilire un po’ di ordine
tra le strutture più impattanti”. (Sic!).
Infine: forse l’unica apparizione che tra
l’altro ha entusiasmato i nostri piccoli, la
giostra, è stata tolta perché dopo un po’ ci
si era accorti che non aveva tutti i permessi
in regola. n
Teramani n.° 72 di Giugno 2011.
“Caos al caos. A tratti la nostra placida cit-
tadina sembra avere il volto della disastrata
Hill Valley di Ritorno al Futuro II quando il
cattivo Biff Tannen, una volta in possesso
del Grande almanacco sportivo, riuscì a
diventare sindaco della città, facendola
assurgere a capitale del vizio e del disordine
più completo”…. “Il volto in città è quello
abbruttito del laissez-faire o del vada-come-
vada che si è ingenerato con l’allentamento
del controllo del territorio”.
Teramani n.° 75 di Dicembre 2011. Oc-
cupy Piazza Martiri della Liberta. Don Aldino,
il parroco del duomo, ha dovuto beatamen-
te tirare le orecchie ai nostri amministratori
per le troppe e insulse manifestazioni in
piazza. Le ricotte sono pericolosamente
esposte per troppo tempo con rischio
della salute pubblica, in rassegna banali
cianfrusaglie e cineserie senza nessun
valore aggiunto. Nell’ultima manifestazione
di Art&Ciocc, compaiono specialità siciliane
La nostra città
Arco Consumatori informa16n.91
Obblighi degli istituti di credito versola clientela
diMassimoDi Giacomantonio [email protected]
P iù di La conoscenza delle caratteristiche e dei costi delle
operazioni e dei servizi bancari, la comparazione fra le diverse
offerte presenti nel mercato e la possibilità di effettuare scelte
consapevoli e coerenti con i bisogni da soddisfare, costituisco-
no per il cittadino e per le imprese strumenti importanti che, tuttavia,
dipendono dalle informazioni disponibili.
Tali informazioni sono spesso insufficienti, per cui è difficile compiere
valutazioni sulle operazioni e sui servizi offerti, sia sotto il profilo della
convenienza economica, sia sotto il profilo della funzionalità in rela-
zione ai bisogni del cliente ( sia esso semplice cittadino o impresa).
In questo ambito si colloca il concetto di trasparenza, intesa come
possibilità per il cliente di accedere alle informazioni relative alle
clausole contrattuali che disciplinano le relazioni con le banche; fra
queste assumono particolare rilevanza le condizioni economiche,
indispensabili per una corretta valutazione di convenienza delle
operazioni e dei servizi.
Per garantire la trasparenza e, più in generale, la correttezza nei rap-
porti fra banca e clientela, sono state emanate specifiche norme che
intervengono nelle diverse fasi in cui si articolano tali rapporti.
Le norme del Testo Unico Bancario impongono alla banca di rendere
note in modo chiaro al cliente tutte le condizioni economiche relative
alle operazioni e ai servizi offerti, stabilendo che tale obbligo non può
essere assolto mediante rinvio agli usi.
I contratti devono essere redatti per iscritto ed
un esemplare deve esser consegnato ai clienti.
I contratti devono altresì indicare il tasso
d’interesse, ogni prezzo e condizione praticati,
inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali
maggiori oneri in caso di mora.
Qualunque modifica unilaterale delle condi-
zioni contrattuali deve essere comunicata
espressamente al cliente secondo modalità
contenenti in modo evidenziato la formula:
“Proposta di modifica unilaterale del con-
tratto”, con preavviso minimo di due mesi, in
forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente
accettato dal cliente. Gli istituti di Credito devono, inoltre, fornire per
iscritto o mediante altro supporto durevole preventivamente accet-
tato dal cliente, alla scadenza del contratto, e comunque almeno una
volta all’anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento
del rapporto. Quelle appena richiamate sono soltanto alcune delle
prescrizioni che gli istituti di credito sono tenuti ad osservare nei
rapporti con i clienti. n
17Giochini e giochetti
diMimmoAttanasii [email protected]
Il mensile Teramani si è occupato già alcuni anni fa
ed anche di recente di alcuni “trabocchetti” occultati
sotto forma di telequiz, ribadendo il concetto della
necessità di tutela per il consumatore sprovvisto degli
strumenti adatti a una analisi approfondita dei meccani-
smi pubblicitari. Proprio in queste settimane, a intervalli
irregolari, sono stati trasmessi dalle televisioni commer-
ciali degli indovinelli così banali da indurre il telespettato-
re a scansare gli indugi e partecipare tranquillamente con
un semplice messaggio dal cellulare: “Il Colosseo si trova
a Roma oppure ad Atene?”. A SMS inviato, si attiva un abbonamento
a servizi non voluti. Anche il presidente del Corecom Abruzzo, Filippo
Lucci, coordinatore nazionale dei Corecom italiani, ha fatto sentire la
sua autorevole voce denunciando “questa tipologia di spot” che “va
ad aggiungersi a un’affollata selva di programmazioni televisive, che
fanno leva sull’ingenuità dei consumatori e la speranza di facili vincite”
n.91
e annuncia “un intervento immediato a tutela degli utenti” contro
quelle che definisce vere e proprie “trappole” (http://www.key4biz.it/
News/2013/09/02/Policy/Filippo_Lucci_CORECOM_AGCOM_telequiz_
spot_ingannevoli_219482.html).
Alcune persone credono ancora che le notizie diffuse attraverso i conte-
nitori televisivi, legittimati dalla notorietà, siano imparziali. L’informazione
percepita come un occhio nel cielo a riportare i fatti nudi e crudi ignoran-
do la manipolazione di quanto quegli stessi accadimenti si inseriscano
nella visione soggettiva del mondo. Riceviamo tutte le nostre informazio-
ni attraverso una qualche forma di media e la reazione
su opinioni che non condividiamo può essere intensa.
Chi scorge e si allarma per una presunta cospirazione
sovversiva e chi si rassicura accatastando responsabilità
sui soliti potenti, che cercano di controllare la società.
Ma c’è davvero una cospirazione? Alexander Solzhe-
nitsyn era famoso per avere detto: “Se solo le persone
cattive fossero tutte da una parte, che se commettono
atti maligni in modo insidioso basterebbe separarle dal
resto di noi e distruggerle. Ma la linea che divide il bene
e il male passa attraverso il cuore di ogni essere umano.
E chi è disposto a distruggere una parte del proprio cuo-
re?”. I mezzi di comunicazione hanno il dovere e il biso-
gno di esercitarsi nell’analisi e nell’impegno, ma troppo
spesso la paura è quella di ottenere solamente una rea-
zione acritica. Ed è così che a volte nasce il pregiudizio.
L’ideologia si basa su un insieme di idee, principi e pensieri influenti da
condividere. In una società capitalista, i prodotti culturali sono costruiti
per l’esecuzione di un business e non per fini artistici. In questo contesto,
gli imprenditori scelgono appunto di lasciarsi la considerazione di utilità
sociale alle spalle e la concezione di vita si è trasformata gradualmente
nel processo di prefiggersi impossibili cospicui profitti per tutti. n
“Sì la vita è tutta un quiz!”anzi di... telequiz
Per Parlare di E - book ormai risulta quasi scontato,
ma in realtà non lo è proprio, poiché dal mondo
della scuola giungono alle nostre orecchie, è
ormai provate, notizie alquanto contrastanti.
Entrando nel merito della questione possiamo
dire che sin dal 2008 si parlava di obbligatorietà
del cartaceo, infatti si annunciava, è il caso
di dirlo, con una certa baldanza ed una
relativa soddisfazione, che ci sarebbe
stata una grande novità nel mondo
della scuola. La nuova normativa,
anche retroattiva, precisava che i
testi adottati dagli istituti scolastici
nell’anno 2008-2009 (anno di entrata in vigore della legge n. 169/2008) e
disponibili in formato cartaceo, sarebbero stati sostituiti da testi digitali
scaricabili da Internet oppure rimpiazzati da materiale didattico diver-
so dove non era possibile attuare le nuove disposizioni. Il Miur forniva
anche chiare indicazioni ai dirigenti scolastici, esortandoli a effettuare la
programmazione per tempo per garantire la massima fruibilità dei testi da
parte degli studenti. Ribadiva quanto segue: “Coerentemente con quanto
previsto al punto 1.1, si richiama l’attenzione dei dirigenti scolastici sull’e-
sigenza di programmare con congruo anticipo tutte le attività ricognitive,
propedeutiche alla delibera del collegio dei docenti, soprattutto in ordine
alla verifica della forma (cartacea, mista o scaricabile da internet) dei testi
attualmente in uso, al fine di individuare quelli che potrebbero essere con-
fermati e quelli che necessariamente devono essere sostituiti in editoria.
Gli e-book introdotti nelle scuole dovranno, inoltre, essere realizzati in
modo da assicurare la totale coerenza con l’opera cartacea corrisponden-
te, subire aggiornamenti periodici, consultabili da qualsiasi tipo di compu-
Scuola18n.91
La domanda è legittima:libro digitaleo cartaceo?
diMaria Gabriella Del Papa [email protected]
La scuola ha ormai riaperto le sue porte, ma l’innovazione non è di casa
ter, anche off-line, e ottimizzati per Lavagne Interattive Multimediali.”.
Ma andiamo avanti, nel 2012 si parla ancora di Novità per la scuola:
arrivano nuove direttive dal Ministero dell’Istruzione in materia di libri di
testo, a partire dall’anno scolastico 2012-2013 dovranno essere disponibili
esclusivamente in duplice forma, quindi non solo cartacei ma obbligato-
riamente anche in formato elettronico. Il Miur stabilisce, quindi, l’obbligo
di adottare gli e-book nelle scuole come risorsa parificata ai testi cartacei.
La circolare ministeriale pubblicata il 9 febbraio 2012, “Adozione dei libri di
testo per l’anno scolastico 2012-2013 - Indicazioni operative” fa riferimen-
to alle linee guida già emanate nel 2009 ma aggiunge alcune normative
importanti e definitive. Con l’avvio dell’anno scolastico 2012-2013, infatti, i
docenti non potranno più adottare materiale scolastico disponibile solo ed
esclusivamente in formato cartaceo. Le adozioni da effettuare nel corrente
anno scolastico, a valere per il 2012/2013, presentano una novità di asso-
luto rilievo, in quanto, come è noto, i libri di testo devono essere redatti in
forma mista (parte cartacea e parte in formato digitale) ovvero debbono
essere interamente scaricabili da internet. Pertanto, per l’anno scolastico
2012/2013 non possono più essere adottati né mantenuti in adozione testi
scolastici esclusivamente cartacei.”.
Oggi, anno 2013 stiamo ancora disquisendo tra libro cartaceo, digitale,
misto, ma non riusciamo a muoverci di un millimetro, la situazione va
avanti a piccoli passi ma retrocede troppo velocemente inglobando
tutte le fatiche in men che non si dica. Il ministro Carrozza lancia il suo
messaggio : “ Stop agli Ebook scolastici”. L’accelerazione della digitaliz-
zazione del mondo scolastico subisce una brusca frenata
per l’intervento del Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara
Carrozza. Nella disputa tra Governo e editori, questa
volta la neo - Ministra si è schierata dalla parte di
quest’ultimi durante un incontro con loro avvenuto
la scorsa settimana. Proprio la Carrozza ha deciso
di favorire una linea di confronto e valutazioni
che sembrava, la scorsa primavera, giunta al
termine con Profumo. Gli editori esultano e
i ragazzi vedono allontanarsi, almeno per
il momento, la possibilità di sostituire
i classici manuali cartacei con gli
innovativi e-Book. Rallentare il per-
corso della digitalizzazione dei libri
scolastici, senza tuttavia uscirne.
Questa la posizione espressa dal Ministro Carrozza dopo l’incontro con
gli editori. La scuola, infatti, non sembra ancora pronta ad una rivoluzione
digitale di questo tipo a causa della mancanza di infrastrutture adeguate a
sostenerla. Così l’ingresso obbligatorio dei libri scolastici digitali viene con
buona probabilità posticipato alla stagione scolastica 2015-2016.
Gran parte degli editori tirano così un sospiro di sollievo. La loro lotta alla
digitalizzazione non carente di buone ragioni aveva trovato sfogo nel ricor-
so al Tar contro il decreto Profumo. Molti sono coloro già impegnati nella
pubblicazione di e-Book, ma altrettanti sono gli editori che mal digeriscono
il tramonto dei classici testi cartacei. Restano tuttavia tutti in attesa delle
comunicazioni relative alla possibile eliminazione del tetto sui costi dei
libri, stabilito dall’ex Ministro Profumo, che consentiva un risparmio del
20%-30%. L’epopea della digitalizzazione non sembra, insomma, giunta al
capolinea, sebbene l’Ocse si sia espressa negativamente rispetto alla lenta
progressione della digitalizzazione della scuola italiana, i nostri studenti
dovranno tenersi stretti i libri di carta per almeno un altro paio di anni. n
Luigi Bisignani. Basta la parola. Non occorrono presentazioni né
curriculum. Di lui Berlusconi ha detto che “è l’uomo più potente
d’Italia” e Gianni Letta ha dichiarato che “è l’uomo più conosciuto
che io conosca”. Dopo trenta anni di esercizio occulto del potere,
Bisignani finalmente si racconta con la fascinazione che può susci-
tare chi sa tutto o quasi dei meccanismi che governano le Istituzioni
repubblicane, schiave di una rete di relazioni che tiene per le palle la
democrazia, che in Italia non è mai stata tale.
Il libro “L’uomo che sussurra ai potenti”, edito da Chiarelettere nel
maggio 2013, oltre ad avere un titolo ruffiano ma azzeccatissimo, è un
sussidiario che dovrebbe essere studiato da tutti coloro che si occu-
pano di politica, per poterne suggere la linfa che attraversa i centri di
ogni genere e grado dove si esercita il potere in nome del popolo (cioè:
contro o a prescindere dal popolo). Una testimonianza straordinaria sui
meccanismi del potere “che agisce nell’ombra”.
Ma chi è davvero Bisignani? Lui detesta essere chiamato lobbista o fac-
cendiere, preferisce descriversi con locuzioni più eleganti: “mi piacciono
i grandi progetti da costruire attorno a persone intelligenti (…) Non ho
mai amato apparire, non vado quasi mai a cene cui partecipano più di
sei persone. E preferisco avere a che fare con un solo interlocutore così
da concentrarmi su di lui e prestargli la massima attenzione (…) Il mio
segreto è che rimango sempre a disposizione dei miei amici (…) Qualcu-
no mi chiama “triangolatore”, qualcun altro “coach”. Il giornalista Gianni
Barbacetto mi ha dipinto come “l’uomo dei collegamenti”. Mentre, per
il comico Maurizio Crozza, avrei addirittura “più amici di Facebook” (…)
Una volta un cardinale mi definì “uno stimolatore di intelligenze”. Defini-
zione che mi ha commosso”.
Bastano queste etichette a segnalare un aspetto niente affatto secon-
dario: il potere è il luogo dove si governa il linguaggio, lo si padroneggia
e manipola fino ad adattarlo agli usi più disparati; è il luogo dove gli
ossimori non esistono ed è l’orizzonte dove gli opposti si uniscono e le
differenze svaniscono.
Vengono in mente aforismi che hanno già chiarito l’arte di camuffarsi
da parte di chi gestisce il comando per evitare sempre e comunque lo
scontro diretto o l’indisposizione manifesta delle masse. Frasi come
“la serva è ladra, la padrona è cleptomane” (i politici infatti si accompa-
gnano con le escort, mentre gli operai vanno a puttane), oppure come
quella di Ennio Flaiano “in Italia la via più breve fra due punti è l’arabe-
sco” (ad indicare come sia necessario un estenuante calvario di trame
per poter abbindolare l’opinione pubblica). La sintesi di 300 pagine è
piuttosto banale: il mondo cambia
ma il potere no, è sempre uguale
a se stesso, non ha colore, non
conosce appartenenze né ideolo-
gie, persegue sempre indefetti-
bilmente il proprio interesse con
sovrana indifferenza.
Simbolo nazionale del potere è la
Gomorra politica per eccellenza,
centro mondiale della cristianità,
cartolina sfavillante di una civiltà
millenaria: Roma, trono dell’ultimo
Imperatore che vi ha regnato dal
1946 al 2013 per 67 anni conse-
cutivamente, Giulio Andreotti, di
cui Bisignani è stato l’allievo più
brillante, il suddito più fedele, il più
raffinato esegeta, il suggeritore
più ascoltato (“nella mia carriera
ho costruito giorno per giorno un
rapporto di fiducia con un uomo per me straordinario: Giulio Andreotti”).
All’intervistatore Paolo Madron che gliene chiede conto, Bisignani
incide nel marmo poche parole sulla capitale:“Mio caro, lei è veneto e
non può avere la piena percezione di quanto Roma sia un ventre molle
che smussa tutte le differenze. E che finisce per omologare anche gli
ambienti più antagonisti. Vedrà quanto poco tempo ci metteranno i
grillini ad esserne fagocitati”. Ma il faccendiere, pardon, lo “stimolatore
di intelligenze” con quali strumenti agisce? “Quando riconosco una per-
sona valida mi piace immaginare quale ruolo potrebbe ricoprire, come
potrebbe sfruttare al meglio le sue prerogative. E individuata la casella?
Suggerisco una strategia precisa, incoraggio, favorisco l’incontro con
persone capaci di creare il consenso necessario a occuparla”.
L’ufficio di Bisignani è stato per decenni una vera e propria meta di pel-
legrinaggio ecumenico e trasversale da parte di politici di centro, destra
e sinistra (“non ne ho mai fatto una questione ideologica. Ho sempre
Il libro del mese20 [email protected]
L’uomoche sussurra ai potenti
n.91
diMaria Cristina Marroni
privilegiato l’intelligenza all’appartenenza
politica”), come da parte di finanzieri, alti
prelati, giornalisti (cui ha regalato camionate
di notizie e scoop), servizi segreti e ufficiali
dell’esercito. Egli viene “unanimemente
riconosciuto come il capo indiscusso di un
network che condiziona la vita del Paese”,
facendo nomine delicate, girando poltrone,
scambiando notizie e favori, speculando su
operazioni finanziarie.
Bisignani svuota in poche righe l’idea che
il potere si trovi nelle Istituzioni, fornendo
l’impressione che la politica ne sia quasi una
vittima: “il potere si trasmette e funziona
anche in luoghi meno riconoscibili e control-
labili, si moltiplica e può riprodursi in maniera
nascosta e a volte ambigua e misteriosa”.
Quali luoghi? “L’ufficio legislativo del Quirinale,
quello di bilancio della Ragioneria generale
dello Stato e della Protezione civile. I fondi
riservati dei Servizi segreti, i centri spesa degli
enti locali. E poi alcune stanze delle Procure”.
L’intervistatore, desolato, rilancia: “Il Presi-
dente del Consiglio conterà pure qualcosa”.
Bisignani lo gela: “Solo per il suo carisma, ma
di solito dura poco. (…) Credo sarà così anche
per Enrico Letta che, abile tessitore di rapporti
politici, ha dimostrato poco carisma quando
è stato al governo da Ministro dell’Industria
(governi D’Alema e Amato) e sottosegretario
alla presidenza di Romano Prodi (2006-2008)”.
Il capitolo Berlusconi è illuminante: “Silvio
non è mai stato un uomo di potere. È solo
un uomo molto ricco che è stato capace di
vincere le elezioni. Mai, eccezion fatta per la
RAI, di imporre suoi candidati sulle poltrone
più delicate”.
Molto dettagliato il racconto della congiura
dei pidiellini contro il loro padrone: “pic-
coli uomini creati da Berlusconi dal nulla e
improvvisamente convinti di essere diventati
superuomini”. Si tratta di Renato Schifani,
Angelino Alfano (dipinto come un cretino vit-
tima dei social network, maniaco dei giochini
sul cellulare e dell’oroscopo), Roberto Maroni
(che avrebbe voluto Alfano successore di
Berlusconi), Maurizio Lupi, Gasparri, La Russa,
Mantovano, Augello, Beatrice Lorenzin (“la
favorita di Angelino, premiata con il Ministero
della Salute”), Raffaele Fitto ed altri ancora.
Dopo l’insediamento del governo Monti i
congiurati guidati da Alfano, con l’appoggio
della Chiesa (Arcivescovi Rino Fisichella e Giu-
seppe Betori, il Cardinale Angelo Bagnasco),
la sponda di Casini e l’aiuto di Franco Frattini,
coinvolsero Quagliariello, Sacconi e alcuni go-
vernatori del PDL (Formigoni, Caldoro, Chiodi,
Cappellacci e Scopelliti) nel tentativo di fare
fuori il Cavaliere.
La congiura fallì miseramente perché il
21n.91
tesoriere del PDL Rocco Crimi, “disgustato da
tanti voltagabbana, spiazzò tutti rassegnando
il suo incarico nelle mani di Berlusconi, come
prova di fedeltà assoluta, durante un dram-
matico ufficio di presidenza. Chiaro che da
quel momento la borsa si chiuse e non uscì
più un euro. Per continuare i sogni di gloria i
congiurati avrebbero dovuto metter mano ai
loro portafogli”. Poveracci.
Il libro è una miniera inesauribile di notizie e di
aneddoti sul potere della Chiesa, della finanza,
dei servizi segreti (“Perché in Italia i Servizi
sono per definizione deviati? Perché esiste
una forza frenante costituita da strati rocciosi
di centinaia e centinaia di dirigenti, funzionari
e impiegati incapaci, entrati grazie alla politica
e che per la politica continuano a lavorare”),
dei media, della magistratura (Tangentopoli)
e della massoneria (P2 e P4). A proposito
di massoneria, “ancora ci si chiede come
abbiano fatto Gelli e la P2 a impadronirsi di
pezzi importanti del sistema economico e
politico. Innanzitutto grazie alla scaltrezza nel
manipolare i rapporti personali e finanziari,
condendoli con il fascino che la massoneria
esercita in molti ambienti di tutto il mondo”.
Madron si ostina a voler chiarire l’evidenza
affermando “Quindi anche per lei comandare
è meglio che fottere”.
La risposta: “Su questo non ci piove”. n
Riceviamo e pubblichiamo integral-
mente la lettera di un nostro lettore
che auspica la speranza di indurre
una riflessione sulle modalità di inse-
gnamento e sulla valutazione degli studenti
da parte degli insegnanti.
Quando la scuola dimentica un’istanza fonda-
mentale dell’educazione, quella che richiede
il rispetto e la tutela dell’autenticità, dell’origi-
nalità e della valorizzazione della personalità
individuale.
Gli esami di maturità si sono conclusi da circa
due mesi, eppure le critiche e le polemiche
non accennano a diminuire: troppi sono gli
alunni e le famiglie fortemente delusi da una
valutazione troppo soggettiva, selettiva, mirata
soprattutto alla comparazione degli alunni.
Alla luce di alcuni fatti di cui sono venuta a
conoscenza, devo constatare con profondo
rammarico che i docenti non hanno ancora ben
compreso la funzione della valutazione.
È ora che si metta da parte l’idea che la valu-
tazione sia di per sé “una forma di selezione e
di emarginazione” e si capisca, una volta per
tutte, che essa è “uno strumento di promozio-
ne, di incoraggiamento e di valorizzazione delle
potenzialità che ogni discente possiede”.
Degli esami di maturità di quest’anno voglio
denunciare due fatti.
In una scuola sei alunni di una classe sono stati
ammessi a sostenere gli esami, benchè presen-
tassero notevoli lacune in tutte le discipline.
Ebbene, di questo gruppo uno solo è stato
considerato “immaturo”. Tutto questo non ha
senso: a parità di condizioni, infatti, i suddetti
alunni, una volta ammessi, dovevano o essere
tutti promossi (soluzione ottimale) o tutti boc-
ciati (soluzione deprecata ma almeno paritaria).
Non riesco proprio a capire con quale criterio
un “solo ragazzo” sia stato fermato. Forse ha
fatto, come si suol dire, “scena muta”? Non mi
risulta! Forse gli altri cinque hanno mostrato
una preparazione accettabile? Non mi risulta!
La Scuola
Mi risultano
invece (e tra
l’altro molto
chiaramente), la
superficialità dei docenti, la scarsa conoscenza
della psicologia dei ragazzi, gli atteggiamenti
discriminatori e selettivi. Spero ardentemente
che questo ragazzo non perda fiducia nelle
sue capacità, che raccolga tutte le sue forze
per andare avanti e completare il suo percorso
scolastico.
Protagonista dell’altro fatto è una ragazza
molto intelligente, sempre pronta ad appro-
fondire con passione ed entusiasmo le proprie
conoscenze, valutata “matura” con un voto non
corrispondente alle sue ottime capacità, solo
perché la sua partecipazione attiva alle lezioni,
il desiderio di primeggiare e la consuetudine di
esporre le discipline con dovizia di particolari
sono stati scambiati per “saccenteria, prolissità
e mancanza di capacità di sintesi”. Ma c’è
di più: nel corso del triennio è stata più volte
apostrofata con espressioni umilianti e di
cattivo gusto. Che scuola è questa? Non sanno
gli insegnanti che le parole, come recita un anti-
co adagio, possono fare più male degli schiaffi
e provocare reazioni sbagliate e scorrette da
parte degli alunni? I ragazzi vanno amati, curati
come dei figli, incoraggiati, gratificati, non mal-
trattati ed umiliati. Naturalmente, se sbagliano,
vanno rimproverati e corretti, ma con autorità,
non con autoritarismo e forme di persecuzio-
ne. Se i docenti si relazionano con gli alunni
in modo denigratorio ed autoritario rischiano,
infatti, di paralizzare la loro spontaneità ed
autenticità, di renderli inibiti, insicuri e infelici,
di creare in loro sensi di colpa oltremodo nocivi
per la conquista dell’indipendenza, in quanto
provocano l’nsorgere di un processo che oscilla
continuamente fra ribellione, pentimento, sot-
tomissione e ancora ribellione. Sic Neill et al…
Non sarebbe più costruttivo e più dignitoso
porre al centro della relazione pedagogica
la nozione di “amore” tanto auspicata da
pedagogisti e psicologi, ma così ferocemente
avversata?
Daniel Pennac, straordinario e prolifico scritto-
re, considerato anche lui “somaro” quando era
studente e per questo emarginato, in “Diario
di scuola” sostiene fermamente la necessità
dell’amore nel rapporto educativo, ricorrendo
ad una metafora “alata”, di cui riporto alcuni
stralci con la speranza che i docenti di cui sopra
possano trarne un qualche insegnamento.
“…Le rondini ogni anno…si apprestano a
migrare. Vengono da nord, dirette a sud. Ed è
esattamente l’orientazione della nostra camera
da letto: nord, sud. Un abbaino a nord, una dop-
pia finestra a sud. E ogni anno lo stesso dram-
ma. Tre o quattro di quelle scemotte vanno a
sbattere contro i vetri fissi! È la nostra percen-
tuale di somari. Le nostre devianti. Quelle che
non stanno in riga. Che non seguono la retta
via. E gozzovigliano ai margini. Risultato: vetro
fisso. Toc! Tramortita sul tappeto. Allora uno
di noi… prende la rondine stordita nel palmo
della mano, aspetta che si risvegli e la manda a
raggiungere le sue amiche. La resuscitata vola
via, ancora un po’ intontita, zigzagando nello
spazio ritrovato, dopodichè punta dritto a sud
e sparisce nel suo avvenire. Ecco, la mia meta-
fora vale quel che vale, ma è questo l’amore in
materia di insegnamento, quando gli studenti
volano come uccelli impazziti. A questo la pro-
fessoressa G. o Nicole H. hanno dedicato tutta
la loro esistenza: salvare dal coma scolastico
una sfilza di rondini sfracellate. Non sempre si
riesce, a volte non si trova una strada, alcune
non si ridestano, rimangono al tappeto, oppure
si rompono il collo contro il vetro successivo…
Ma ogni volta ci proviamo, ci abbiamo provato.
Sono i nostri studenti! Le questioni di simpatia
o di antipatia per l’uno o per l’altro (questioni
quanto mai reali, ci mancherebbe!) non c’en-
trano. Una rondine tramortita è una rondine da
rianimare, punto e basta”.
È come dire: un ragazzo che ha problemi di
apprendimento e di inserimento nel gruppo
classe non va umiliato ed emarginato, ma va
portato gradualmente, con amore e fermez-
za, ad “aprirsi al sapere” e a comportarsi
civilmente con i compagni e i docenti; mentre
una ragazza esuberante e volitiva che vuole
partecipare attivamente alla lezione anche con
osservazioni e critiche (perché no?, i docenti
non sono infallibili!) primeggiare e mostrare le
proprie capacità, non va mortificata ma accet-
tata, valorizzata e gratificata!
Un genitore deluso. n
22
La valutazionen.91
diMaria Gabriella Di FlavianoScuola [email protected]
Le conseguenze della valutazione
Prende il via con ritmo e brio una nuova realtà teramana che coro-
na i sogni di chi ama danzare. Assistita dalle migliori professiona-
lità, la scuola di ballo Indipendanza inizia i corsi il primo Ottobre
2013 ma segnala per chi vorrà che dal 23 al 30 Settembre c’è in
offerta una settimana di prova gratuita: tutto ciò per mettersi già in rela-
zione con un nuovo modo di fare danza che senza dubbio soddisferà le
vostre ambizioni. Inoltre sono a disposizione, oltre a sconti speciali per
gli universitari, anche corsi per adulti durante il mattino e nelle pause
pranzo. Le iscrizioni sono già aperte dal 15 Settembre e si possono
effettuare presso Indipendanza che è sito in Via Gammelli 1, angolo
Via Gammarana (info: Francesca 328 9180104 oppure Valentina 349
3565113, e-mail: [email protected]). La danza non è
solo uno sport ma il linguaggio nascosto dell’anima, una poesia quindi.
Questo è lo spirito che aleggia in Indipendanza e gli addetti assicurano
come quest’arte si possa trasmettere in diversi stili dalla classica al
modern jazz; dal contemporaneo all’hip hop; passando per la video
dance, le danze folkloristiche, il flamenco e sevillana, fino al repertorio di
musical e tip tap, danze caraibiche, latino americane e ancora zumba e
zumbatomic, la nuova disciplina rivolta ai più piccolini. Allora forza, cosa
aspettate? Indossate il vostro abbigliamento e raggiungete gli altri in un
mondo che danza, anzi che Indipendanza!!
Saranno in molti gli insegnanti che presiederanno i diversi corsi: ra-
gazze e ragazzi preparati ed affermati e professionali nello svolgere il
proprio compito.
A partire da Valentina Di Sabatino che sarà l’insegnante nei corsi
di modern jazz, jazz e lyrical jazz (per adulti e bambini dai 4 anni in su),
tecnica di passi a due, propedeutica, repertorio di musical, danza dolce
per adulti, sbarra a terra, istruttrice di zumba fitness. Tre borse di studio
per lei da Renato Greco Dance School e Aid di Giacomo Molinari, due
prestigiose scuole di Roma. Studia nel corso di avviamento professio-
nale per danzatori in entrambe le scuole e successivamente entra nella
compagnia di ballo Renato Greco Dance Company. Consegue il diploma
valido per l’insegnamento della danza moderna e quello per istruttrice
di zumba.
Francesca Voconi. Insegnante di danza classica, propedeutica,
modern dance, danze caraibiche e latino americane (bachata, salsa, me-
rengue, balli di gruppo, rueda, rumba, gestualità femminile, portamento)
repertorio di musical, zumba fitness, zumbatomic. Diploma in danze
caraibiche, coreografia e danza moderna. Diploma di Zumba instructor
di primo livello conseguito nel 2012. Diploma di Zumbatomic conseguito
nel 2013.
Carla Voconi. Corso di mambo New York uomo e donna, salsa,
introduzione al due, bachanga, cha cha, stile donna, coreografico, salsa.
Carla Voconi è al momento una delle principali ballerine di mambo, nota
per il suo stile classico e sensuale. Ha avuto il privilegio di imparare e
lavorare con alcuni dei più importanti artisti di salsa al mondo: Marco
Ferrigno, suo primo partner, con cui ha ballato per due anni nella
compagnia Fogaratè di Juan Matos; Tropical Jam, Adolfo Indacochea e
la sua compagnia Latin Soul Dancers, con cui si è esibita nei maggiori
congressi di tutto il mondo, come Australia, Canada; Cina Giappone,
Usa, America Latina e nelle principali città europee. Dall’inizio del 2012
Carla è diventata inoltre partner del Maestro dei maestri “The Mambo
King” Eddie Torres.
Manolo Perazzi. Corso di improvvisazione, floorwalk, contact, modern
contemporaneo, laboratorio e composizione coreografica.
Roberta Parmiggiani. Corso di danza e tecnica classica dal primo
all’ottavo corso. Corso di avviamento professionale.
Paolo Lepidi. Corso di hip hop (new style, L.A. style, house) e break
dance.
Fabrizio Ferri. Maestro in danze caraibiche e latino americane. Direttore
della scuola di ballo “Dale Dos Accademy”. Istruttore di Zumba fitness.
Pamela Pingiotti. Corso di pizzica e tarantella del sud. “Appassionata
di musica popolare fin da bambina è sempre alla scoperta di antiche
tradizioni.
Maruska Pecorale. Istruttrice di danze caraibiche e latino americane.
RedazionaledallaRedazione [email protected]
Indipendanza 23n.91
C’è stato un posto, a Roma, che ha concentrato su di sé tutta l’e-
nergia degli anni ’60 italiani, universalmente conosciuto come
la culla del beat italiano: il Piper Club. Un lungimirante avvo-
cato, Alberico Crocetta, nel 1965, in società con un esperto
uomo d’affari, Giancarlo Bornigia (recentemente scomparso), prese in
affitto un garage, lo riempì di luci colorate (mai viste prima di allora), fece
costruire due palchi, corredandoli di due potenti sistemi di amplificazio-
ne e creò così una leggenda che a distanza di oltre quarant’anni, molti
ricordano con orgoglio (chi c’è stato) o con rimpianto (chi per ragioni
d’età o di lon-
tananza non
è riuscito mai
ad entrarci). Il
successo del
locale crebbe
in poche
settimane, ed
il Piper diventò
velocemente
una sorta di
“zona franca”
interclassista,
all’interno
della quale
convivevano pacificamente ed amorevolmente “pariolini” e “borgatari”,
accomunati dalle stesse passioni musicali e dalla possibilità, per la prima
volta, di sentirsi protagonisti della propria vita, e soprattutto liberi. Il
primo gruppo a calcare le scene del locale di via Tagliamento fu quello
dei Rokes, ai quali si alternavano, durante le pause, i ragazzi dell’Equi-pe 84. Sulla scia del grande successo dei primi protagonisti delle notti
“beat”, Crocetta iniziò a scritturare altri gruppi, italiani e stranieri: gli
“Atomi”, guidati da Mike Liddell, Patrick Samson, i “Rokketti”, i
“Delfini”, i “New Dada”, guidati dall’eccentrico Maurizio Arceri. A
questi nomi, sicuramente poco conosciuti, si devono affiancare però,
quelli ben più noti, ancora oggi, di: Patty Pravo, regina incontrastata del
locale, Caterina Caselli, all’epoca soprannominata casco d’oro, i “Cor-vi”, i “Giganti”, i “Primitives”, i “Dik Dik”, e tanti altri. Nel giro di pochi
mesi il cast del locale cominciò ad essere impreziosito da numerosi
artisti stranieri di passaggio in Italia, suonarono così nello storico locale:
i “Pink Floyd” prima di diventare superstar internazionali, i “Byrds”
con David Crosby e Roger McGuinn, i “Procol Harum”, gli “Small Faces”, lo “Spencer Davis Group”, Donovan e tantissimi altri. Tra
il pubblico, durante i concerti, si vedevano sempre più spesso stars di
primissimo piano, come Ringo Starr, Mick Jagger e Keith Richards,
David Bowie. Fra gli habitué, intanto, si era formata una sorta di
“aristocrazia” beat della quale, partendo da Patty Pravo, prima vera “ani-
matrice” del locale, facevano parte alcuni nomi che sono rimasti noti:
Renato Zero, Loredana Bertè e sua sorella Mia Martini, Gabriella Ferri, Romina Power, Anita Pallemberg (fidanzata di Keith Richards
dei Rolling Stones), Giancarlo Magalli, Mita Medici, la regista televi-
siva Carla Vistarini. Questi ragazzi erano talmente di casa, al Piper, che
il coreografo Franco Estill, li organizzò e li fece diventare, con il nome
“Collettoni”, il corpo di ballo degli spettacoli di Rita Pavone. Altre inizia-
tive “interne” animavano il locale ed i suoi abituali frequentatori: nacque
un gruppo, chiamato senza grandi sforzi di fantasia “The Piper” con il
produttore cinematografico (ora) Achille Manzotti, alla batteria; Tito Schipa jr. mise in scena, utilizzando musiche di Dylan, uno spettacolo
intitolato ”Opera beat”. Nel frattempo erano nati, in Italia, altri “Piper”,
uno dei quali, quello di Viareggio, il “Piper 2000”, al momento dello scio-
glimento della società, nel 1968, rimase a Crocetta. La versione toscana
e quella romana andarono
avanti ancora per un po’ sulle
ali del beat, spostandosi poi
verso atmosfere musicali più
“black”, soprattutto per quan-
to riguarda la sede di Roma. Il
Piper originale doveva iniziare
a fare i conti con una serie di
locali concorrenti, soprattutto
il “Titan”, il quale contrap-
poneva alla programmazione
di via Tagliamento una serie
di superstars, da Wilson Pickett a Jimi Hendrix. A
partire dall’inizio degli anni 70
il Piper iniziò a spostare le sue
scelte musicali verso la nascente
musica “progressive”, aprendo le
sue porte a gruppi italiani, dal “Ban-co del Mutuo Soccorso” alla
“Premiata Forneria Marconi.”,
dal “Rovescio della medaglia”
ai “Delirium” e ai più noti gruppi
inglesi del periodo, Genesis, Van der Graaf Generator, Jethro Tull, Uriah Heep, Rory Gallagher, e tanti altri. Alla fine dell’epoca d’oro del
“Rock sinfonico” il locale non riuscì ad assorbire l’onda di riflusso che
allontanò per anni l’Italia dal circuito internazionale dei grandi concerti
dal vivo, bruciate le ultime energie fra una “contestazione giovanile”,
una “Controcanzonissima” e un ennesimo “festival” alternativo/sfigato, il
Piper cessò di essere il punto di ritrovo della Roma alla moda, e diventò
una specie di night-club, per poi essere trasformato in discoteca, alla
fine degli anni 70, e per tornare ad ospitare concerti rock nella seconda
metà degli anni 80. Oggi, seguendo l’ultimo ricorso storico, il Piper è
tornato ad essere una discoteca, in attesa di chissà quale altra trasfor-
mazione. Durante i primi lavori di ristrutturazione furono distrutte opere
di Andy Warhol, Raushenberg, Schifano, Manzoni e di altri grandi
artisti le cui opere avevano contribuito a creare la breve ed effimera
sensazione di vivere in un’epoca nuova ed irripetibile. O forse è stata
davvero un’epoca favolosa ed irripetibile. n
Musica24 [email protected]
n.91
diFabrizio Medori
Il PiperIl tempio del beat italiano
25
Una premes-
sa: questa
non è una
recensione...
obiettiva ma, di
parte! Anni ‘90,
sulla scena cosidetta
‘Alt Country’ e/o
Americana, irrompe
una band cardine
o capostipite (se
pereferite), di questo
genere musicale
particolare, sono gli
UNCLE TUPELO,
Al timone del gruppo, due straordinari musicisti: Jay Farrar e Jeff Tweddy. L’esordio si intitola emblematicamente No Depression, tutto
un programma. Dopo qualche anno, diverse incisioni ‘Still Feel Gone’
(Rockville - 1991), ‘March 16-20’ (Rockville - 1992) e, non grande suc-
cesso, i due leader, imboccano strade diverse con altrettante formazio-
ni: Son Volt per Farrar, dediti ad un suono classico, country oriented e,
Wilco per Tweddy, inizialmente tradizionalisti per virare decisamente
verso contaminazioni power-pop, sperimentazioni elettroniche e
indie-alternative. Ecco, da allora è iniziata la parabola ascendente dei
WILCO, una progressione costante, continua, inarrestabile, scandita
da episodi discografici significativi: ‘Being There’ doppio CD (Reprise,
1996) e ‘Sky Blue Sky’ (Nonesuch/WB, 2007, bellissimo!), così, tanto per
citare due titoli. Arriviamo al 2009, appunto, quando Jeff raduna i suoi
sodali (nel frattempo qualche avvicendamento e alcune new-entry)
sino all’attuale line-up: Jeff appunto, Patrick ‘Pat’ Sansone, Nels Cline, (Grande chitarra), John Stirratt, Glenn Kotche e Mikael Jorgensen. Il risultato di queste sessions, iniziate a Auckland (Nuova
Zelanda), rifinite nello studio della formazione, il “Loft” di Chicago, è
questo LP+CD version a dir poco straordinario. A Iniziare dalla simpa-
ticissima copertina: l’open-corner di un un bar, un tavolo (con tanto di
torta di compleanno!), sei sedie e, dietro un...cammello! Si, proprio il
divertente ruminante e, naturalmente il titolo “WILCO” (the album): 11
brani medio-lunghi (3/4/5 minuti, durata complessiva 42’ 54’’), scritti
e prodotti dallo stesso Jeff, con l’aiuto del fido Jim Scott. Domanda: si
intuisce dalle continue citazioni che ho un’altissima considerazione per
Mr. Jeff Tweddy? Autore, compositore, chitarrista geniale, arrangiatore
e produttore, vedi il recente lavoro per Mavis Staples ‘One True Vine’
(Anti, 2013), Musicista insomma a 360°. Non farò la solita, pedissequa
analisi dei singoli brani, il LP/CD parte con la title-track Wilco Song,
schitarrate, mossa, vivace, dal gradevole bridge “Wilco...will love you
baby”. La qualità delle composizioni inizia a prendere quota con la
succesiva “Deeper Down”, la melodia viene esaltata da inediti inserti
di tastiere e slide-cimbalon (Jason Tobias). Le ‘magiche dita’ di Jeff
annunciano la best song of the album: “One Wing”, intro soft, poi parte
il ritmo, accellera, rallenta, riparte, scandita magistralmente da basso e
batteria, l’ala del titolo vola letteralmente, sempre più in alto, le chitarre
(3, fuzz, slide e rhythm!) fanno un grandissimo lavoro, non mi stancherò
mai di ascoltarla, la magia si rinnova, anzi, cresce di ascolto in ascolto:
un capolavoro! Un invito, andate su YouTube e, guardate (e ascoltate)
la live-version tratta dal David Letterman Show! Memorabile! “Bull
Black Nova” si concede alla vena più sperimentale con insoliti elementi
di elettronica, ben inseriti nel contesto della song. Il ‘solito’ arpeggio di
chitarra acustica introduce l’altra ‘gemma’ del disco, “You And I”, splen-
dida perfect-song, cantata in maniera sublime da Jeff e doppiata me-
ravigliosamente da Miss Leslie Feist, cantautrice canadese in evidente
ascesa nel firmamento del Songwriting femminile, autrice di ottime
prove solistiche recenti, l’atmosfera sprigionata è contagiosa, solito
YouTube-video, sempre D. Letterman Show! Il Long Playing prosegue,
il livello si mantiene incredibilmente elevato, tra slow-song (“Count-
ry Disappeared”, piano in evidenza) e ballads (“Solitaire”, delicata,
melodica). 3 è il numero perfetto! Terza grande song, la numero 9 della
track-list: “I’ll Flight”, solita intro poi, il brano parte con il ritmo sincopa-
to, scandito da chitarre e tastiere, l’organo ‘cuce’ letteralmente il brano,
la voce particolare di Tweddy si esalta, conquista e commuove quando
canta “Like Jesus On The Cross”! Ancora due brani, “Sonny Feeling” e
“Everlasting Everything”, concludono degnamente l’album, tre-quattro
best songs, le altre ben al di sopra della media generale, di gran lunga
il mio disco al vertice dalla playlist from 2009. Infine, last, not but least,
la menzione speciale per l’edizione completa vinile + cd, apertura gate-
fold, booklet curatissimo, testi, foto e... Oh! Oh!... che bel... Cammello!!!
Voto: 8 1/2 n
n.91
Write about... the records!
diMaurizio Carbone [email protected]
Wilco (the album) The Wilco LP + CD - Nonesuch/Warner Bros 2009
In giro26diSergioScacchia [email protected]
n.91
La chiesina di San Salvatore
Il miracolo di Serra
Nel borgo antico di Serra a Rocca Santa Maria, immerso in bel-
lezze naturali, boschi e vallate, grazie all’impegno dell’asso-
ciazione “Il grido dei monti della Laga”, c’è stato il recupero
della chiesina
di San Salvatore che
versava in condizioni
critiche con parte del
tetto crollato e mura
ormai fatiscenti.
L’interno a unica aula
è impreziosito oggi da
una bella tela, opera
e regalo del valente
pittore teramano
Tommarelli.
“Senza aiuti istituzio-
nali e con un lodevole
autofinanziamento di
residenti e appassio-
nati, è stato possibile
rendere reale quella che anni fa sembrava follia o nella migliore
delle ipotesi, un sogno da coltivare”, queste le significative parole
del presidente dell’associazione, l’ingegnere teramano Goffredo Ro-
tili, visibilmente commosso nel giorno dei grandi festeggiamenti per
l’inaugurazione del tempio ormai recuperato dopo anni di sacrifici.
Il restauro di questo edificio religioso adornato da un bel portale
con ghiera decorativa, è certamente una goccia d’acqua nel mare
dell’abbandono che soffrono tanti piccoli paesi intorno. Un antico
patrimonio di cultura montanara sta scomparendo e piccoli abitati
secolari della zona come Martese e la chiesa diroccata di Santa Lu-
cia, Acquaratola con S. Egidio del XIV secolo, Santa Cecilia, Tavolero
con San Flaviano, Faiete con San Pietro del XIII secolo semi crollata,
sono ormai ridotti ad autentiche “ghost town “.
Qualche anno fa si era gridato al miracolo quando sembrava reale
che alcuni dei borghi abbandonati tornassero a vivere riconvertiti in
alberghi diffusi per rilanciare l’esangue turismo di questi luoghi.
L’esempio veniva allora dal magnifico e antico villaggio fortificato
di Santo Stefano da Sessanio, nell’entroterra aquilano, oggi uno
dei borghi più belli d’Italia divenuto famoso in tutta Europa per
la riconversione al turismo dell’albergo diffuso. Dei proprietari di
case ormai ridotte a poco più di ruderi svelarono allora di essere
stati contattati per un’eventuale vendita. La provincia ideò anche
un esempio di come si potesse rivitalizzare questi luoghi sperduti.
Tutto è naufragato nel nulla. Ora questa bella notizia che viene dal
paesino di Serra, può essere un esempio coinvolgente per le varie
comunità locali.
Se tutti si ponessero l’obiettivo del recupero delle tante oasi di fede
e cultura che punteggiano la parte più interna e alta della provincia
teramana, se molti si sentissero stimolati a queste imprese, in pochi
anni la gioia dell’appartenenza tornerebbe a essere il volano per il
ripopolamento della montagna.
L’Ente Parco, assieme alla Provincia, alle istituzioni nazionali e locali
da qualche tempo si chiama fuori dai giochi a causa delle casse
vuote e dell’impossibilità di trovare somme importanti.
Ecco che solo l’orgoglio montanaro può far gridare al miracolo. n
27n.91
Sono 9 milioni gli italiani che
quest’anno al rientro dalle vacanze
si mettono al lavoro tra pentole
e vasetti nella preparazione di
conserve fatte in casa per garantirsi una
alimentazione più genuina e naturale,
ridurre gli sprechi e risparmiare nel tempo
della crisi.
Nel 2013 si assiste al ritorno degli italiani
all’autoproduzione di alcuni cibi secondo
una tradizione che sembrava destinata
a perdersi ed è invece tornata di grande
attualità di fronte ai ripetuti scandali
alimentari e all’esigenza di ottimizzare i
bilanci familiari. Una maggiore attenzione
rispetto al passato viene riservata alla
scelta delle materie prima che spesso
vengono acquistate direttamente dai pro-
duttori agricoli in azienda, nelle botteghe
o nei mercati di Campagna Amica.
L’attività di trasformatori “fai da te”, co-
munque comporta l’osservanza di precise
regole in quanto la sicurezza degli alimen-
ti conservati parte dalla qualità e sanità
dei prodotti utilizzati, ma non può prescin-
dere da precise norme di lavorazione che
valgono per il settore agroindustriale, ma
che devono valere anche per i consuma-
tori casalinghi, soprattutto nella fase della
sterilizzazione.
La grande differenza è che nelle conserve
casalinghe si utilizzano frutta e ortaggi
di stagione provenienti dall’Italia che ha
conquistato il primato in Europa e nel
mondo della sicurezza alimentare con il
minor numero di prodotti agroalimentari
con residui chimici oltre il limite (0,4 per
cento) che sono risultati peraltro inferiori
di quasi quattro volte a quelli della media
europea (1,5 per cento di irregolarità) e
addirittura di circa 20 volte a quelli extra-
comunitari (7,9 per cento di irregolarità).
Nei prodotti industriali invece non è
obbligatorio indicare in etichetta la
provenienza della materie prima agricola
ed è facile mettere inconsapevolmente
nel carrello della spesa marmellate con
frutta proveniente dall’Europa dell’est,
sott’oli africani o concentrato di pomo-
doro cinese. n
Boom conserve per 9 milioni di italiani
Coldiretti informa
diMassimilianoVolpone Direttore Coldiretti Teramo
P ino Maselli torna a far parte dell’organigramma del Teramo
Calcio. Il settore giovanile è il prestigioso incarico che gli è
stato affidato per la sua specifica competenza acquisita in
passato, prima ancora di ricoprire l’incarico di Segretario
Generale nella vecchia Società. L’incarico è oltretutto importante
alla luce del nuovo orientamento degli organi federali che pongono
i giovani in primo piano con cospicui interventi di natura economica
per chi favorisce il loro utilizzo. Pertanto, il lavoro da svolgere non
sarà solo accademico, bensì di forte interesse nel ricercare giovani,
prevalentemente nel territorio, idonei per l’inserimento nella squa-
dra maggiore.
Affiancato da Vincenzo Feliciani con l’incarico di responsabile
tecnico, Maselli dovrà setacciare i campi della provincia alla ricerca
di giovani talenti da inserire nelle squadre giovanili. Con tre squadre
iscritte in competizioni a carattere nazionale (Berretti, Allievi, e
Giovanissimi) i giovani avranno la possibilità di cresce, formarsi e
soprattutto confrontarsi con i pari età di società blasonate. In cinque
anni molte cose sono cambiate per cui, nel rientrare in Società, ha
trovato novità importanti e facce nuove. Lo spirito di adattamento e
le capacità di sapersi rapportare con altri gli hanno consentito di ben
integrarsi nel nuovo ambiente.
Hai trovato una Società completamente nuova ?“Effettivamente ho trovato una Società nuova, una nuova imposta-
zione in armonia con i tempi in quanto dal 2008 molte cose sono
cambiate anche a livello federale. Gli stessi regolamenti federali oggi
prevedono figure obbligatorie che prima non erano tali. L’inevita-
bile evoluzione dei tempi ha costretto le società ad una maggiore
organizzazione, compresa quella del settore giovanile. Anche prima
veniva curato, ma non c’era l’obbligo di partecipazione ai campionati
giovanili cui adesso è costretto ad iscriversi. La tessera del tifoso, la
biglietteria nominativa ed altre novità hanno obbligato le società ad
affinare l’organizzazione. Di tutto ciò il Teramo è al passo con i tempi.
Come responsabile del Settore Giovanile, la tua memo-ria torna indietro nel tempo con l’incarico ricevuto dalla Società?“Sicuramente si. Come dirigente sono nato sul campo nel lontano
1969 occupandomi soprattutto dei ragazzi. Entrai nel Teramo Calcio
proprio come responsabile del settore giovanile. Ricordo che in
quegli anni vincemmo un campionato Interregionale con pochi con-
trattualizzati e con la maggior parte della rosa composta da giovani
cresciuti nel settore giovanile, molti dei quali approdati poi nelle
categorie superiori”.
Come hai trovato il settore giovanile rispetto a quello che hai lasciato qualche anno fa?“Era sicuramente migliore quando entrai in Società rispetto agli ulti-
mi tempi piuttosto travagliati. Inizialmente, infatti, era stato fatto un
ottimo lavoro con giovani provenienti dalla provincia, cosa che stia-
mo cercando di fare adesso. Stiamo cercando di riallacciare rapporti
con le società del nostro territorio per diventare un polo di attrazione
e anche di riferimento delle società della provincia.
Come responsabile del Settore Giovanile, puoi descriverci il programma di massima?“Riconquistare il territorio nel senso di riallacciare i rapporti con
le Società che operano nel circondario è la priorità, visto che la
nostra è la Società che disputa il campionato maggiore. Valorizzare
innanzitutto il lavoro delle Società a noi vicine e portare a Teramo i
migliori ragazzi della provincia. La strutturazione in modo efficiente
e funzionale di tutto l’apparato è una ulteriore priorità dalla quale
non si può prescindere. Si sa che i giovani per natura tendono alla
trasgressione e proprio per questo l’organizzazione deve essere un
modello da seguire e non da imporre”.
Le strutture come sono?“Forse sarò ripetitivo, ma non posso che ribadire l’annoso problema
della mancanza di strutture a Teramo. Le esigenze sono aumentate
con l’incremento di chi fa pratica sportiva, mentre le strutture di
base sono rimaste sempre le stesse, se si eccettua il nuovo stadio
comunale di Piano d’Accio. Per fare bene attività calcistica necessi-
tano impianti adeguati ed efficienti, mentre molti di quelli utilizzati
sono gli stessi di quarant’anni fa che non favoriscono il lavoro della
Società”.
Non poteva mancare un doveroso ringraziamento di Pino Maselli
a chi in questi anni gli ha permesso di continuare a svolgere il suo
lavoro: Salvatore Di Giovanni e Luciano Campitelli. Il primo per
avergli dato la possibilità di continuare nell’attività ormai diventata
professione nel San Nicolò, il secondo per avergli riaperto le porte
del Teramo dopo la tragica fine della vecchia Società. Ai massimi
dirigenti delle due Società, si unisce lo staff dirigenziale biancorosso
nel dargli il benvenuto o meglio il bentornato tra noi. n
28n.91
diAntonio Parnanzone [email protected]
Teramo calcioSport
Intervista a Pino Maselli
P arte la stagione 2013/2014 della Pallamano in
cui sono impegnate, nella massima serie, due
squadre teramane: la maschile Teknoelettro-
nica e la femminile Nuova H.F. Teramo, nata
dalle ceneri della vecchia squadra Campione d’Italia
2011/12, radiata per problemi amministrativi dal trascorso campionato.
La squadra maschile, inserita quest’anno nel Girone B di A1 (Centro
nord) esordisce in casa il 21 settembre contro il Carpi, squadra posta tra
le candidate ad occupare i primi posti della classifica. L’obiettivo della
Società è quello di raggiungere la quota salvezza. L’impegno preciso
è quello di far crescere il settore giovanile dal quale poi attingere per
la prima squadra. Le difficoltà economiche di un po’ tutte le società
non hanno permesso di allestire una squadra che almeno sulla carta
sembra non essere in grado di competere per posizioni di prestigio.
L’organico tecnico della Teknoelettronica presenta il riconfermato
Marcello Fonti come allenatore della prima squadra e dell’Under 20.
Poi, per quanto riguarda l0’Under 16 il compito di allenatore è affidato
Sport30 dallaRedazione [email protected]
n.91
Pallamanoall’allenatrice Nicole Pastor. Per quanto concerne i giocatori, l’organico
si è arricchito del portiere Collevecchio tornato a Teramo dopo quattro
anni giocati ad Ascoli Piceno e Città S. Angelo, del terzino italo argentino
Pagano Albertino che ha giocato lo scorso anno in A1 con la Lazio, del
centrale serbo Nicoceviv, del centrale Gabriele M.
proveniente dal Città S. Angelo, dei Pivot Bellia F
univesritario a Teramo e Luongo S. Fermo restando i
giocatori dello scorso anno.
Per quanto riguarda la Femminile, il campionato
inizierà il 28 settembre con la trasferta di Salerno
contro i Campioni d’Italia. L’obiettivo della squadra,
completamente rinnovata nell’organico ed anche
nell’allenatore, è quello di disputare un campionato
dignitoso. Fanno parte della squadra, rinnovata anche
a livello dirigenziale, Belardinelli Sofia, Bergallo costan-
za Soled, Cherchi Angela, Covaci Cristina Aurelia, Cozzi Melina Ximena,
Dovesi Daniela, Mazzieri Martina, Lampis Chiara, Benincasa Lorena e le
“vecchie” Delli Rocili Alessia, Fini Federica, Lampis Silvia e le straniere
Palarie Daniela e Laczo Anita. Ma a questo punto non si escludono nuovi
acquisti da parte della Società.
Resta ancora da definire il settore tecnico che con tutta probabilità sarà
affidato ad un nome famoso della pallamano ma che al momento non
siamo in grado di definire. n
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