Laboratorio di scienze Cognitivo Comportamentali Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
Sede di Alia (Pa)
Corso di Specializzazione in
Psicoterapia Cognitivo - Comportamentale
TESI DI SPECIALIZZAZIONE
Supervisore Specializzando Dott. A. Graziano Durgoni Dott. Francesco Greco
Supervisore in Itinere Dott. Marina Balbo
AIAMC Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento
e Terapia Comportamentale e Cognitiva
ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012
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INDICE
Capitolo I Mario, un caso di depressione 2 Capitolo II Sara, un caso di attacco di panico con agorafobia 22 Capitolo III Antonio, un caso di fobia specifica 44 Capitolo IV Vanessa, un caso di bulimia nervosa 64 Capitolo V Claudio, un caso di attacco di panico con agorafobia 89 Capitolo VI Matteo, un caso di fobia sociale 109 Capitolo VII Elvira, un caso di ipocondria 129 Capitolo VIII Ricerca: Qualità di vita e insorgenza di diagnosi psicopatologica nella donazione d’organo da vivente: il ruolo dell’ottimismo disposizionale 148 Bibliografia
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Capitolo I
MARIO: UN CASO DI DEPRESSIONE
1. CARATTERISTICHE CLINICHE DEL DISTURBO DEPRESSIVO
La depressione è inquadrabile al'interno dei disturbi dell'umore e può
assumere diverse forme, in funzione della frequenza e del grado di intensità
dei sintomi, in termini di impatto sulla vita del soggetto.
In presenza di singoli eventi transitori assume la forma di episodio depressivo,
mentre viene definito come disturbo depressivo nel caso in cui si assista ad un
aumento della frequenza dei singoli episodi. Se la sintomatologia presenta un
certo livello di intensità rispetto a una compromissione della qualità di vita o
dell'adattamento sociale la diagnosi potrà indicare un vero e proprio disturbo
depressivo maggiore.
Così come si evince da quanto indicato nel manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali (DSM-IV-TR) l'episodio depressivo maggiore deve essere
caratterizzato da sintomi che abbiano una durata pari ad almeno due settimane
con un impatto tale da determinare una compromissione significativa del
funzionamento sociale e lavorativo del soggetto.
I sintomi principali sono: agitazione e rallentamento psicomotorio quasi ogni
giorno; affaticabilità o mancanza di energia; umore depresso per la maggior
parte del giorno, quasi ogni giorno; marcata diminuzione di interesse per tutte
o quasi tutte le attività (che normalmente costituiscono una fonte di piacere)
per la maggior parte del giorno, ogni giorno; perdita di peso; insonnia;
sentimenti di autosvalutazione; ricorrenti pensieri di morte.
I sentimenti prevalenti sono tristezza, confusione, paura, senso di colpa,
vergogna, sensazione di inadeguatezza.
Da un punto di vista eziologico le cause della depressione possono essere
molteplici e nonostante il fatto che gli episodi depressivi possano essere
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favoriti da eventi e situazioni contingenti, vi sarebbe una predisposizione
imputabile a fattori genetici e ereditari. Sembra infatti che soggetti che hanno
avuto parenti con diagnosi di disturbo depressivo maggiore abbiano un
maggior rischio di incorrere a loro volta nello stesso disturbo.
E' possibile sostenere che i sintomi depressivi derivino in qualche modo da
aspettative di incontrollabilità da parte del soggetto.
Quest'ultimo infatti, nel momento in cui si trova in condizioni di incontrollabilità,
tende a formulare attribuzioni di carattere causale sugli eventi e proprio nel
momento in cui ipotizza per eventi negativi accaduti cause interne, tende a
sviluppare una sintomatologia depressiva. Questa è caratterizzata da una
bassa considerazione di se, idee di privazione, autocritica e autorimprovero,
sentimenti di perdita e distorsioni cognitive.
Da un punto di vista cognitivo risulta quindi fondamentale lo stile attribuzionale
del soggetto, ove caratteristiche sarebbero una interpretazione negativa
dell'esperienza, una valutazione negativa di se e aspettative negative per il
futuro (la cosiddetta triade cognitiva di Beck). Tale visione comporta un
restringimento del proprio dominio personale, caratterizzato spesso da un
sentimento di perdita totale e irreversibile.
Si può affermare quindi che l'organizzazione cognitiva di un soggetto depresso
sia caratterizzata da una serie di schemi depressogeni, attivatisi a seguito di
eventi stressanti e scatenanti, e che contengono generalizzazioni negative su
di se e sull'esperienza.
1.1 TRATTAMENTO
La terapia ha due aspetti principali e persegue da un lato un obiettivo di tipo
comportamentale e dall'altro una modificazione più propriamente cognitiva.
Il cambiamento comportamentale è un aspetto fondamentale della terapia, che
utilizza in questo caso specifici programmi di attività, come la creazione di liste
di attività piacevoli o l'assegnazione graduata di un compito (la cosiddetta
terapia del successo, la quale fornisce al paziente una serie di successi che
derivano dalla messa in atto di compiti di complessità e durata crescenti).
Attraverso l'esecuzione di questi compiti il soggetto comprende che può
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raggiungere un obiettivo da sé e ciò modifica il suo atteggiamento verso se
stesso, creando così aspettative positive che contribuiscono al miglioramento
dell'autostima e all'ampliamento del proprio dominio personale. La
ristrutturazione cognitiva consente di mettere in discussione gli assunti di base
e gli schemi depressogeni sottostanti, attraverso l'utilizzo di prove a supporto e
a sfavore delle credenze, così da far emergere spiegazioni alternative circa le
esperienze vissute.
2. OSSERVAZIONI DI PRIMO COLLOQUIO
Mario si presenta in studio con un po’ di anticipo. L’invio è avvenuto tramite il
medico di famiglia.
E’ vestito elegantemente, con una giacca di velluto e pantaloni di panno. La
barba è però incolta, la capigliatura disordinata.
Descrive la sua storia con apparente tranquillità, ha un tono molto pacato.
Il paziente evidenzia un rallentamento motorio, con coartazione emotiva e
comportamentale.
L’eloquio risulta poco espressivo e non ben modulato. L’espressione è
partecipe, l’atteggiamento comunque collaborativo, discrete le capacità
attentive.
3. ASSESSMENT
3.1 INTRODUZIONE
L'assessment è stato svolto durante 5 incontri settimanali della durata di 50
minuti ciascuno, compresa una seduta finale di restituzione, ove sono stati
definiti il contratto terapeutico e gli obiettivi dell'intervento. Durante tale fase è
stato possibile esplorare il caso, soprattutto per quel che concerne l'anamnesi
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personale e familiare, nonché la storia del problema e il funzionamento attuale.
Nella fase di assessment è stato somministrato il Beck Depression Inventory
(BDI-II), un questionario costituito da 21 gruppi di affermazioni (corrispondenti
a 21 aree di indagine) utile per avere maggiori informazioni circa l’intensità
della depressione e la batteria CBA 2.0 (Cognitive Behavioral Assessment
2.0):
SCHEDA SCALA PUNTEGGIO SCHEDA SCALA PUNTEGGIO
Scheda 2 STAI X1 Ansia di stato
78.7 IP 4 Viaggi 46.2
Scheda 3 STAI X2 Ansia di tratto
96.4 IP 5 Sangue 58.4
Scheda 5 EPQ/R Estroversione
33.4 Scheda 8 QD Sintomi depressivi
98.7
EPQ/R Nevroticismo
41.8 Scheda 9 MOCQ/R 20.1
EPQ/R Psicoticismo
39.5 MOCQ/R1 Checking
20.6
EPQ/R Lie 35.1 MOCQ/R2 Cleaning
31.2
Scheda 6 QPF/R Disturbi psicofisiologici
66.5 MOCQ/R3 Doubting
33.6
Scheda 7 IP F 44.5 Scheda 10 STAI X1 – R 53.6
IP PH 43.4 STAI DIFF App
IP 1 Calamità 51.7 STAI ACC App
IP 2 Eventi sociali 66.5 Indice IR App
IP 3 Animali 23.1 Protocollo valido
3.2 ANAMNESI PERSONALE E FAMILIARE
Mario è un uomo di 65 anni, nato a termine da parto eutocico. Non ha fratelli o
sorelle. Il padre è deceduto da cinque anni, mentre la madre è molto anziana
ed è descritta come una donna malata (le è stato diagnosticato il morbo di
Parkinson).
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E’ vedovo, in quanto la moglie è morta un anno fa a causa di un tumore ai
polmoni.
Mario ha un figlio, Andrea, che fa l’architetto e un nipotino, Davide, che ha da
poco compiuto tre anni. Quest’ultimo è molto legato al nonno, con il quale è
abituato a passare molto tempo.
Claudio è in pensione da qualche anno. Prima di allora ha ricoperto la
mansione di impiegato presso l’ufficio riscossione e tributi della sua zona,
svolgendo poi il ruolo di ispettore. L’ultimo periodo lavorativo è descritto come
pieno di tensioni, un ambiente carico di invidie e risentimenti, costellato da
rapporti incrinati fra i colleghi. La situazione fa valutare positivamente la
possibilità di andare in pensione. Successivamente però il nuovo scenario
inizia a pesare: lui che era abituato a una vita molto attiva, ai suoi viaggi di
lavoro e a certe sue abitudini si scontra tutto a un tratto con la nuova
dimensione da pensionato, una vita di “noioso ozio”.
Sua moglie era una biologa e lavorava presso una ditta farmaceutica.
Riferisce uno sviluppo somato-psichico nella norma, ne sono riferiti particolari
problemi di salute o disturbi psichiatrici nell'ambito familiare e in quello relativo
alle ascendenze prossime.
La sua famiglia d’origine è descritta come un “cerchio chiuso” e diffidente nei
confronti del mondo esterno. Descrive il padre come un uomo d’altri tempi,
rigorosissimo, tormentato da pregiudizi e sospetti.
Durante il periodo dell’infanzia ha frequentato le scuole dell’obbligo con un
buon rendimento e la storia di apprendimento riferita appare coerente e
adeguata alle corrispondenti conquiste evolutive.
Dopo aver completato la scuola media superiore si iscrive all’università e si
laurea in economia e commercio con una votazione che comunque lo delude,
in quanto considerata non adeguata alla sua preparazione. Avrebbe infatti
desiderato il massimo dei voti (gli viene assegnato il punteggio di 105/110) e
per il punteggio assegnatogli viene criticato dal padre.
Mario si descrive come una persona introversa, tendente a una forma di
isolamento che definisce meditativo: “non perché non ami stare con le
persone, solo che c’è gente che ha paura della solitudine, io ne ho sempre
tratto benessere, a parte per l’ultimo periodo della mia vita”.
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Riferisce di aver avuto pochi amici veri e che dalle amicizie in generale ha
spesso avuto grosse delusioni.
Tutta la sua vita, tutta la sua forza, così come riferisce il paziente, era
rappresentata e incarnata dalla moglie, una figura che Mario tende a
descrivere con commozione, ancora provato per la sua recente scomparsa:
“quando ho visto mia moglie per la prima volta ho capito subito che non l’avrei
lasciata andare facilmente, ma non avevo considerato allora quanto spietata
possa essere la vita e le malattie”.
Descrive l’ultimo anno vissuto come il più terribile della sua vita. Prima della
morte della moglie comincia già a stare male ma quella perdita complica la
situazione. Ammette di non riuscire più a trovare il senso della sua esistenza,
non nasconde di “sentirsi finito”.
3.3 STORIA DEL PROBLEMA E FUNZIONAMENTO ATTUALE
Il paziente decide di rivolgersi al terapeuta su suggerimento del suo medico di
base, perché da quasi un anno e poco dopo la scomparsa della moglie, soffre
di depressione.
Il paziente nega di aver mai sofferto, nel corso della sua vita, di disturbi
depressivi. Tuttavia ammette di essere una persona incline a un certo
temperamento che definisce “nostalgico”, tendente a umore depresso e
comunque a un certo pessimismo nel categorizzare e interpretare il mondo.
Nel corso degli anni riesce comunque a funzionare discretamente bene,
compensando questi aspetti con il lavoro, con la vita coniugale e soprattutto
con la gioia di giocare con Davide, il suo nipotino.
Ma il susseguirsi degli eventi tende a eludere i fattori protettivi e i meccanismi
compensatori: dopo il pensionamento comincia ad accusare repentini
abbassamenti del tono dell’umore, prima di lieve entità, poi sempre più
consistenti. Tende a irrigidirsi e a contenere le emozioni.
La morte della moglie ha poi un impatto profondo e sembra innescare una
serie peggioramenti che lo portano nella direzione della patologia.
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L’ultimo periodo è caratterizzato da un ritiro dal mondo e da un appiattimento
emotivo: il paziente riferisce di sentirsi molto stanco e spossato, dorme poco e
male e ha meno appetito del solito. Si sente triste, scoraggiato per il futuro,
non prova più alcun piacere per nulla. Ha una valutazione negativa su di se, è
molto autocritico.
Di rado esce di casa. Anche stare con il nipotino, fargli compagnia, giocare con
lui, non lo soddisfa più e tende a diminuire la frequenza degli incontri con il
bambino. Nega l’assunzione di psicofarmaci.
3.4 STRUMENTI DIAGNOSTICI UTILIZZATI
Complessivamente è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) e il Beck Depression Inventory (BDI-II), un
questionario costituito da 21 gruppi di affermazioni (corrispondenti a 21 aree di
indagine) utile per avere maggiori informazioni circa l’intensità della
depressione.
3.5 IPOTESI DIAGNOSTICA E CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO
Il paziente ha riferito di avere quasi continuamente umore depresso, per la
maggior parte del giorno, con significativa perdita di interesse per le situazioni
e l’ambiente circostante. Il paziente accusa inoltre insonnia, rallentamento
psicomotorio e faticabilità.
La batteria CBA 2.0 ha confermato la presenza di una elevata ansia di tratto
(STAI X2), nonché un punteggio elevato relativo alla scala sintomi depressivi
(QD).
Il punteggio riportato al BDI-II è stato pari a 42, indicante quindi una
depressione di grado profondo. Le informazioni raccolte nei 5 colloqui di
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assessment e i dati ricavati dalla somministrazione degli strumenti hanno
permesso pertanto di formulare la diagnosi di disturbo depressivo maggiore.
Dall'analisi dei dati in possesso risultano infatti soddisfatti i criteri indicati nel
DSM-IV-TR:
A. Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è costituito da 1) umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere. 1) umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto (per es., si sente triste o vuoto) o come osservato dagli altri (per es., appare lamentoso). Nota: nei bambini e negli adolescenti l’umore può essere irritabile 2) marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri) 3) significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento di peso (per es., un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese) oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno. Nota: nei bambini, considerare l’incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali 4) insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno 5) agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato) 6) faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno 7) sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato) 8) ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno (come impressione soggettiva o osservata dagli altri) 9) pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l’ideazione di un piano specifico per commettere suicidio. B. I sintomi non soddisfano i criteri per un Episodio Misto. C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. D. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un medicamento) o di una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo). E. I sintomi non sono meglio giustificati da Lutto, cioè, dopo la perdita di una persona amata, i sintomi persistono per più di 2 mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
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3.6 FATTORI PREDISPONENTI E PRECIPITANTI
Sulla base dei risultati degli strumenti somministrati e di quanto riferito durante
i colloqui di assessment è stato inoltre possibile individuare l'esistenza di
alcuni fattori predisponenti, perpetuanti e precipitanti del problema:
FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PERPETUANTI FATTORI PRECIPITANTI
Familiarità Contesto familiare inclusivo, caratterizzato da rigide regole,
ipercontrollo e inibizione delle emozioni Pensionamento
Bassa autostima nucleare Contesto lavorativo Morte della moglie
Tendenza all’abbassamento del tono dell’umore
3.7 CONTRATTO TERAPEUTICO E OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Durante il colloquio di restituzione viene spiegato al paziente che il problema è
diagnosticabile come un disturbo depressivo maggiore, ovvero un disturbo
dell’umore, trattabile con terapia cognitivo comportamentale.
Viene spiegato che sarà necessario ripristinare gradualmente le attività che
faceva in passato, cioè nel periodo precedente all’insorgenza del disturbo.
Dovrà impegnarsi in una serie di compiti e ridurre il tempo passato in casa. Per
tali evenienze sarà adeguatamente preparato e incoraggiato.
L'intervento terapeutico avrà quindi i seguenti obiettivi: ricominciare ad
apprezzare le semplici attività quotidiane, provare il piacere di fare certe cose,
aumentare la capacità di trarne soddisfazione, provare interesse nel coltivare
le relazioni sociali, diminuire le aspettative negative verso di se, sentirsi
maggiormente soddisfatto di ciò che lo circonda.
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Viene spiegato che il percorso terapeutico potrebbe richiedere diversi mesi e si
propone un trattamento di 15 sedute settimanali.
Viene precisato che tra una seduta e l'altra è di primaria importanza
l'esecuzione da parte del paziente di compiti terapeutici, necessari per la
buona riuscita del trattamento.
In questa fase è avvenuta la formalizzazione del rapporto.
4. PIANO TERAPEUTICO E TRATTAMENTO
Il trattamento presenta una struttura di base standardizzata. Il protocollo
consta infatti di tre fasi ben distinte distribuite su 15 sedute di trattamento in 15
settimane.
4.1 FASE 1 (3 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Introduzione del modello cognitivo della depressione e costruzione di un
quadro generale di riferimento che contempli gli elementi di base del
disturbo
• Introduzione e pianificazione di programmi di attività piacevoli
• Introduzione dell’automonitoraggio dei pensieri disfunzionali
• Identificazione delle convinzioni e delle interpretazioni errate
Per prima cosa è stata effettuata una valutazione circa l’eventuale presenza di
ideazione suicidaria e del rischio di suicidio conseguente. Considerato infatti
l’alto rischio di suicidio dei pazienti depressi questa analisi si è resa
necessaria all’inizio del percorso terapeutico ed è stata comunque attuata
durante tutta la terapia. Mario non presentava alcuna ideazione suicidaria.
Successivamente, sono state fornite al paziente alcune informazioni
riguardanti la depressione e sono state introdotte le nozioni di base del
modello cognitivo che concernono il suo disturbo.
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E’ stato spiegato al paziente che il disturbo è caratterizzato da una visione
negativa di sé, del mondo e del futuro. Tale visione comporta un restringimento
del proprio dominio personale, caratterizzato spesso da un sentimento di
perdita totale e irreversibile.
Questo processo può portare, il più delle volte, a una reazione a catena che fa
crescere i dubbi su di sé e le aspettative negative circa se stesso (intaccando
l’immagine di sé), il mondo e il futuro.
Una situazione simile non può che far peggiorare i sintomi, e questo potrà
essere interpretato in termini ancor più negativi, creando un vero e proprio
andamento circolare della depressione.
Al paziente è stato spiegato che questo circolo vizioso può essere stato
innescato da situazioni specifiche vissute come esperienze traumatiche: nella
fattispecie i problemi nell’ambito lavorativo, il pensionamento, la perdita di una
persona cara.
Una rete di schemi depressogeni che contengono generalizzazioni negative su
di sé e sull’esperienza e costituitisi nell’arco dello sviluppo si attiverebbero
proprio a seguito di eventi stressanti scatenanti.
Lo sviluppo della depressione è stato spiegato quindi nei termini di una
reazione a catena che viene attivata da una esperienza vissuta come una
perdita. La disperazione o la mancanza di motivazione sono tutti aspetti che
possono esserne una conseguenza diretta.
Successivamente è stata effettuata una pianificazione delle attività piacevoli. Prima di tutto il paziente è stato invitato a fare un elenco delle attività piacevoli
e che lui considerava tali anche nel periodo precedente all’insorgenza del
disturbo. Nonostante le iniziali difficoltà il paziente è riuscito a stilare un elenco
comprendente alcune attività che un tempo lo gratificavano: fare lunghe
passeggiate a piedi, giocare a bocce o a scacchi, andare a pescare, dipingere
paesaggi con i colori acrilici e soprattutto passare del tempo con Davide, suo
nipote.
La lista delle attività piacevoli è stata successivamente consegnata a Mario, il
quale è stato invitato a svolgere almeno una attività al giorno.
Nella fattispecie il paziente ha potuto compilare delle schede di
automonitoraggio specifiche ove è stato possibile registrare la data, l’ora, una
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breve descrizione dell’attività e dell’emozione provata. La messa in atto di
alcune delle attività piacevoli ha consentito al paziente di avere un
miglioramento dell’umore.
Mario ha potuto constatare in questo caso che è ancora possibile provare
piacere e gratificarsi per certe attività apparentemente semplici o banali.
Attraverso la messa in atto delle attività piacevoli il paziente ha potuto
sperimentare un lieve ottimismo, in virtù del quale provare la soddisfazione
nell’essere riuscito a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Si è provveduto inoltre a introdurre e compilare in seduta il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), così come specificato
nell’esempio seguente:
SITUAZIONE PENSIERO EMOZIONE COMPORTAMENTO
E’ pomeriggio. Sono a letto
Non ho voglia di far nulla, non c’è la faccio
Disperazione,Tristezza
Rimango a letto
Devo fare la spesa, mio figlio ha altri impegni e non può aiutarmi
Tanto non ho fame, non mangio nulla, non mi va di vedere nessuno
Senso di vuoto,
Sconforto
Rimango in casa. Mi siedo sul divano
Mi guardo allo specchio, mi accorgo di avere la barba lunga
Come sono cambiato, sono brutto e indesiderabile per chiunque
Tristezza Esco dal bagno, non mi faccio la barba
Tale diario altro non è che una tabella all’interno della quale è stato possibile
inserire dettagli inerenti gli eventi problematici: situazione, emozione e
intensità, pensiero automatico (senza risposte razionali all’interpretazione
erronea).
E’ stato chiesto al paziente, come compito a casa, di compilare giornalmente
questo diario, da utilizzare ogni volta che provava una emozione negativa e
che gli procurava disagio.
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Grazie a questo nuovo modo di guardare al suo disturbo, il paziente ha
cominciato a comprendere il modello cognitivo alla base del problema e la
natura circolare delle sue strutture di base (fig. 1).
Il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali ha consentito
inoltre al paziente di iniziare a identificare parte delle convinzioni e delle
interpretazioni errate.
Fig. 1 Concettualizzazione cognitiva del disturbo depressivo secondo il modello di
Beck (1987)
4.2 FASE 2 (7 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Generazione di risposte razionali e spiegazioni alternative ai pensieri
disfunzionali e alle assunzioni depressogene
• Modificazione delle cognizioni attraverso riattribuzione verbale
RESTRINGIMENTO DEL PROPRIO DOMINIO PERSONALE
SENTIMENTO DI PERDITA TOTALE E IRREVERSIBILE
ASPETTATIVE NEGATIVE CIRCA SE STESSO, IL MONDO E IL FUTURO
ACUTIZZAZIONE DELLA SINTOMATOLOGIA
DISPERAZIONE E/O PERDITA DI MOTIVAZIONE
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• Modificazione dei comportamenti coinvolti attraverso la messa in atto dei
programmi di attività: assegnazione graduata di un compito e terapia
dell’abilità e del piacere
• Analisi delle credenze sottostanti
Struttura della seduta:
1) analisi dei compiti svolti a casa (diario con l’aggiunta di risposte razionali,
messa in atto delle attività piacevoli, “terapia dell’abilità e del piacere” e
assegnazione graduata di un compito); 2) identificazione dei pensieri
automatici/credenze e impiego di riattribuzioni cognitive e comportamentali; 3)
descrizione del ruolo dei pensieri e dei comportamenti nella
concettualizzazione generale del caso.
L’obiettivo della terapia è a questo livello ottenere un cambiamento del
pensiero distorto, far comprendere al paziente quanto i pensieri che
mantengono il disturbo siano disadattivi.
Questa risulta essere la fase centrale del trattamento. La concettualizzazione
condivisa con il paziente è stata portata avanti e si è arricchita.
La registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), utilizzata nella prima fase
del trattamento, è divenuta più specifica, grazie a una maggiore
consapevolezza del paziente circa il legame che intercorre tra pensieri ed
emozioni. Pertanto, al modello presentato precedentemente sono state
aggiunte colonne per la registrazione delle interpretazioni alternative (ossia
delle risposte razionali, con grado di convinzione), della rivalutazione del grado
di convinzione dei pensieri automatici precedenti e delle emozioni.
In virtù della ristrutturazione cognitiva adottata è stata possibile una
progressione del trattamento.
Attraverso le tecniche cognitive (riattribuzione verbale) è stato infatti
possibile cambiare le convinzioni errate del paziente. Questo è avvenuto
mettendo in discussione i contenuti del pensiero e attivando strategie basate
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su un processo educativo tendente all’esame di contro evidenze e di
spiegazioni alternative.
L’obiettivo della terapia è stato, a questo livello, quello di mettere in
discussione le assunzioni depressogene di base.
Mario era convinto che criticare se stesso fosse giustificabile. E’ stato
necessario allora rendere il paziente consapevole del costante flusso
autocritico che indirizzava verso se stesso.
E’ stato possibile aumentare l’obiettività verso la cattiva visione che egli aveva
di se utilizzando ad esempio domande del tipo: “Immagini che io faccia gli
errori che fa lei. Proverebbe disprezzo nei miei riguardi?”. Riconoscendo che
non sarebbe stato in fin dei conti molto critico nei confronti del terapeuta si
rende conto allo stesso tempo di essere stato eccessivamente autocritico
verso se stesso.
Utilizzando un dialogo basato sul metodo socratico è stato possibile far
emergere l’inesattezza di alcune convinzioni (il suo immobilismo potrà fare
cambiare le cose? E’ improbabile che potrà farla sentire meglio. Se questo
atteggiamento in passato è servito a poco perché adesso dovrebbe esserle
utile? Quale potrebbe essere un altro modo di vedere il problema? Quale è la
prova a favore di un altro punto di vista?).
Il lavoro svolto ha permesso, gradualmente, di far comprendere a Mario quanto
gli atteggiamenti autodistruttivi lo abbiano ingabbiato, rendendolo in ultima
istanza più infelice.
Il lavoro svolto ha permesso quindi di modificare le convinzioni del paziente
rispetto alle conseguenze e ai significati dei sintomi e quest’ultimo è stato in
grado di fornire risposte razionali alle sue credenze (fig. 2).
In questa fase inoltre sono stati messi in atto programmi di attività,
comprendenti in particolare l’assegnazione graduata di un compito e la
cosiddetta terapia dell’abilità e del piacere.
Tali tecniche comportamentali si aggiungono alla messa in atto delle attività
piacevoli che il paziente ha elencato in precedenza.
In questo caso è stato chiesto a Mario di stilare una lista di cose e attività che
negli ultimi tempi aveva smesso di fare e di ordinarle in base a una gerarchia
che comprendesse inizialmente ciò che procurava meno disagio e
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successivamente le situazioni più problematiche, il tutto espresso in unità
soggettive di disagio (SUD da 0 a 100).
Il paziente è stato quindi invitato a mettere in atto le situazioni individuate,
partendo dapprima da quelle meno fastidiose. Man mano che le attività
venivano svolte Mario avrebbe dovuto apporre accanto al compito eseguito la
lettera A e/o la lettera P, ove con A venivano segnate le esperienze di abilità, e
con P le esperienze di piacere (autorinforzo esplicito).
Dopo i primi successi e aumentato il proprio senso di autoefficacia Mario ha
potuto costatare un netto miglioramento del tono dell’umore. Di seguito una
tabella che riporta alcuni esempi di compiti individuati:
SUD A/P
Prepararsi il cibo 85
Radersi 70
Prendersi cura della casa 65
Andare a fare la spesa 60 A
Fare la doccia 50 A P
Giocare con il nipotino 40 A P
Questi esercizi hanno avuto un ruolo molto importante, in quanto hanno
permesso al paziente di costatare da sé che può raggiungere un obiettivo
prefissato.
Ciò evidenzia agli occhi del paziente l’inesattezza della credenza per cui
debba sempre aspettarsi delle conseguenze negative da qualsiasi attività egli
intraprenda.
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Se l’atteggiamento verso se stesso viene modificato, allora migliora l’autostima
e la motivazione e questo facilita il raggiungimento di obiettivi e compiti
sempre più complessi.
SITUAZIONE EMOZIONE PENSIERO INTERPRETAZIONI ALTERNATIVE
RISULTATI
E’ pomeriggio. Sono a letto
Disperazione, Tristezza Intensità dell’emozione: 80 (0‐100) 80 (0‐100)
Non ho voglia di far nulla, non c’è la faccio Grado di convinzione: 90 (0‐100)
Ogni istante che passo in questo letto è un istante perso, voglio provare a vivere Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Leggera tristezza Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 50 (0‐100) 40 (0‐100)
Devo fare la spesa, mio figlio ha altri impegni e non può aiutarmi
Senso di vuoto, Sconforto Intensità dell’emozione: 90 (0‐100) 80 (0‐100)
Tanto non ho fame, non mangio nulla, non mi va di vedere nessuno Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Stare a casa non cambierà nulla, se esco potrei scoprire nuove cose, potrebbe aiutarmi Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Leggera tristezza Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 50 (0‐100) 40 (0‐100)
Mi guardo allo specchio, mi accorgo di avere la barba lunga
Tristezza Intensità dell’emozione: 90 (0‐100)
Come sono cambiato, sono brutto e indesiderabile per chiunque Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Se tengo la barba lunga e non ho cura di me stesso è normale che non abbia un bell’aspetto e poi chi lo dice che io sia così indesiderabile? Rivalutazione del grado di convinzione: 40 (0‐100)
Leggera tristezza Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 40 (0‐100)
Fig. 2 registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD) dopo Riattribuzione verbale
19
Il significato delle attività svolte è stato infine condiviso con il paziente e
soprattutto sono stati discussi i risultati nei termini della concettualizzazione
del disturbo, focalizzandosi principalmente sulle reazioni a catena che si
innescano e che mantengono il problema.
4.3 FASE 3 (5 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Analisi delle credenze rimaste
• Individuazione e messa in discussione degli schemi disadattivi precoci
• Prevenzione delle ricadute
• Training assertivo
Sono state trattate le eventuali credenze residue, facendo leva su quanto
appreso precedentemente e sulle tecniche di cui ci si è avvalsi nella fase
centrale della terapia.
Una volta identificati e messi in discussione i pensieri disfunzionali attraverso
una analisi razionale e l’esame delle contro evidenze, si è reso necessario
lavorare sugli schemi sottesi alle credenze. Tali schemi, o schemi disadattivi
precoci si svilupperebbero già in età infantile a seguito di frustrazione o
esperienze negative. Secondo Young (1990, 1991) uno schema è formato da
ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche.
Tali schemi vengono identificati a partire dai temi ricorrenti presenti a livello
dei pensieri automatici.
Nel caso specifico Mario presentava temi ricorrenti concernenti una attenzione
eccessiva agli aspetti negativi dell’esistenza, il volere sottoporsi a tutti i costi a
standard elevati al fine di non scontentare gli altri, una inibizione e coartazione
della spontaneità emotiva ed eccessiva attenzione a non voler perdere il
controllo delle emozioni.
Il dominio di riferimento individuato (si veda Young J.E., Klosko J.S.,
Weisharaar M.E., 2003. Schema Therapy. Eclipsi) è quello relativo
all’ipercontrollo e inibizione. Il paziente in questo caso ha imparato a
20
sopprimere le proprie emozioni sottoponendosi a regole molto rigide rispetto
alle prestazioni e al rapporto con gli altri.
Una volta individuati gli schemi del paziente (negatività/pessimismo, inibizione
emotiva, standard severi/ipercriticismo) sono state elencate tutte le prove a
favore e contrarie allo schema, provando così a valutare la sua validità in
termini logici. Una volta evidenziata l’irrazionalità degli schemi si sono messe
in rilievo le conseguenze negative che questi hanno sulla sua vita quotidiana.
Il lavoro sugli schemi è stato un lavoro complesso, un momento che non si è
esaurito in seduta o alla fine del percorso terapeutico.
Il paziente infatti, compresa l’irrazionalità degli schemi e i collegamenti che
questi hanno sulle credenze, sul disturbo e sulla vita, potrà lavorare e cogliere
risultati sempre più ampi nel medio e lungo termine.
Nell’ultima parte del trattamento è stato avviato un training per migliorare
l’assertività, in quanto il paziente si è mostrato fin dall’inizio poco assertivo,
situazione abbastanza comune nei pazienti depressi.
E’ stato spiegato il significato del termine assertività e che questa può essere
collocata lungo un continuum ai cui estremi sono individuabili la passività da
un lato e l’aggressività dall’altro.
Il paziente è stato in grado di comprendere le conseguenze negative della
passività e dell’aggressività, analizzandole in termini di conseguenze sui suoi
comportamenti.
E’ stato introdotto l’automonitoraggio e l’autovalutazione dell’assertività ed il
paziente è stato invitato a svolgere specifici esercizi di assertività, in
immaginazione e in vivo.
Grazie al training assertivo Mario ha appreso una modalità più costruttiva per
esprimere le proprie emozioni e i propri bisogni, rispettando se stesso e gli
altri.
A fine trattamento è stato effettuato un retest della batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) il quale ha confermato che i valori risultati
clinicamente significativi all’inizio del trattamento sono rientrati nella norma,
ovvero l’ansia di tratto e la scala QD. Anche il punteggio al BDI-II, pari a 13, è
risultato ben più basso rispetto alla somministrazione di inizio trattamento.
21
Tutto il lavoro ha permesso al paziente di riunire in un unico filo conduttore il
lavoro svolto, sottolineando i capisaldi del trattamento così da favorire un
prolungamento degli esiti dell’intervento a lungo termine e diminuire la
probabilità di eventuali ricadute.
5. FOLLOW-UP E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
A tre e sei mesi di distanza dall’ultima seduta di trattamento sono stati fissati
due incontri di follow-up.
Al paziente è stata somministrata nuovamente la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0), e il BDI-II riportando punteggi sovrapponibili a
quelli di fine trattamento.
Il paziente ha riportato un generale miglioramento del tono dell’umore, ha
continuato a tenersi impegnano con le attività individuate in precedenza,
prendendosi cura di sé ed essendo maggiormente soddisfatto della vita di ogni
giorno. Ha riferito di giocare instancabilmente con Davide, il suo nipotino.
22
Capitolo II
SARA: UN CASO DI ATTACCO DI PANICO CON AGORAFOBIA
1. CARATTERISTICHE CLINICHE DEL DISTURBO DI PANICO
Gli attacchi di panico possono essere considerati come una improvvisa
manifestazione di ansia, ove quattro o più sintomi somatici o cognitivi
aumentano progressivamente o si manifestano entro un periodo di 10 minuti.
Classicamente si ha la presenza di capogiri, sudorazione, tachicardia o tremori
per quel che concerne le risposte somatiche, mentre da un punto di vista più
propriamente cognitivo i sintomi riguardano la paura di perdere il controllo o di
diventare pazzo e più frequentemente la paura di soffocare o di morire.
Il disturbo di attacco di panico, affinché possa essere diagnosticato, deve
comprendere una presenza ricorrente e inaspettata della sintomatologia.
Successivamente, e per un periodo di almeno un mese, il soggetto deve
riportare un intenso timore di avere altri attacchi e devono comunque essersi
manifestati almeno due episodi spontanei.
Affinché la diagnosi possa essere corretta è necessario che si possa escludere
la presenza di fattori o patologie organiche che possano in qualche modo
determinare lo stato di attivazione ed il suo mantenimento, come nel caso
dell'intossicazione da sostanze (da caffeina, anfetamine, ecc.) o di disfunzioni
della tiroide (ipertiroidismo).
Da un punto di vista cognitivo risulta centrale il timore circa l'esperienza di
alcuni eventi specifici. Ciò si inquadra nel modello del disturbo di panico
proposto da Clark (1986), ove il disturbo stesso sarebbe il risultato di
catastrofiche interpretazioni circa gli eventi e dalle quali si originerebbe una
sequenza di pensieri, emozioni e sensazioni tali da innescare un vero e proprio
circolo vizioso. L'evento attivante verrebbe quindi interpretato in termini di
23
pericolo e tale minaccia attiverebbe lo stato di ansia, innescando i sintomi
somatici associati.
La presenza dei sintomi verrà così interpretata in termini catastrofici
segnalando ulteriore pericolo e ciò contribuirà ulteriormente all'incremento
dell'ansia e del livello di attivazione complessiva dell'individuo. Reazioni
emotive a specifici stimoli quindi, innescheranno sensazioni corporee e queste
ultime contribuiranno alla generazione di pensieri negativi circa le stesse
sensazioni corporee, generando così ulteriore ansia.
Tale circolo vizioso culminerà con l'attacco di panico, sostenuto da ulteriori
fattori di mantenimento, quali l'attenzione selettiva riguardo alle sensazioni
corporee, i comportamenti protettivi e l'evitamento.
I comportamenti protettivi in particolare, sono alla base del mantenimento del
disturbo, in quanto impediscono la disconferma delle convinzioni catastrofiche
erronee e fanno si che il mancato avverarsi delle conseguenze temute venga
imputato alle stesse condotte disfunzionali.
1.1 TRATTAMENTO
Il trattamento deve avvenire successivamente a un assessment approfondito
che consenta di giungere a una buona concettualizzazione del caso.
Questo deve fornire informazioni circa la natura delle interpretazioni
catastrofiche erronee e dei comportamenti protettivi e di evitamento, nonché
una descrizione delle situazioni temute. Tale analisi consente appunto di
individuare le componenti del circolo del panico.
E' utile inoltre una misura della frequenza e dell'intensità degli episodi (a tal
fine si possono utilizzare specifici questionari o anche il diario dell'attacco di
panico).
Una volta ricostruiti i meccanismi che sono alla base del disturbo è auspicabile
introdurre al paziente il modello ricavato dalle informazioni raccolte, con
l'obiettivo di mettere in evidenza l'esistenza del circolo vizioso e in ultima
istanza il legame tra le sue componenti e l'aumento dei sintomi.
24
Tale compito può essere facilitato attraverso l'utilizzo di metafore che facilitino
la comprensione dei legami reciproci appartenenti al circolo del panico, ma
anche manipolando i comportamenti protettivi durante le sedute terapeutiche,
così da chiarire quanto questi impediscano realmente la verifica delle
previsioni catastrofiche attese.
Alla luce di quanto evidenziato l'obiettivo principale del trattamento consiste
quindi nella riduzione delle credenze che sono associate alle interpretazioni
erronee degli stimoli in termini di pericolo incombente.
La messa in discussione delle credenze è necessaria per scardinare le
fondamenta che costituiscono la base del disturbo.
A tal fine vengono utilizzate strategie di riattribuzione. Le strategie di
riattribuzione comportamentale si basano su veri e propri esperimenti che
permettono l'induzione del sintomo (e delle sensazioni di panico) al fine di
modificare le credenze sottostanti e mettono in evidenza le interpretazioni
erronee. Fra i compiti più comuni vi è l'induzione di iperventilazione (che
facilita la comparsa di sintomi somatici quali l'aumento del battito cardiaco,
sensazioni di calore, di mancamento, di dissociazione ecc.) e i compiti di
esercizio fisico.
In generale l'esaltazione dei sintomi permette di dimostrare che le
conseguenze temute non si avverano e che le credenze possono essere
smentite. Tale evidenza ha come conseguenza diretta l'eliminazione delle
condotte di evitamento in associazione a una diminuzione dei comportamenti
protettivi.
Tra le tecniche comportamentali più utilizzate vi è l'esposizione allo stimolo
temuto, che può essere in vivo o in immaginazione.
In genere gli esercizi di esposizione vengono organizzati secondo una
gerarchia di difficoltà graduale e crescente. Un esempio è la
desensibilizzazione sistematica (Wolpe, 1958; Goldfried e Davison, 1976) in
cui si insegna al paziente una tecnica di rilassamento associata alla
costruzione di una gerarchia e alla rappresentazione graduale di situazioni che
generano ansia.
25
Tra le strategie di riattribuzione vi sono anche le tecniche di riattribuzione
verbale che si basano su procedure di confutazione delle prove che
sostengono l'interpretazione erronea.
Il paziente è invitato alla ricerca di tali prove e viene introdotto in una sorta di
"scoperta guidata" basata sull'educazione e sull'analisi razionale delle
controevidenze.
2. OSSERVAZIONI DI PRIMO COLLOQUIO
Sara arriva in studio con puntualità. E’ una ragazza alta e ben vestita. Appare
un po’ agitata, con una postura rigida.
Dopo i primi minuti caratterizzati da una sorta di incertezza comincia a parlare
apertamente e senza esitazioni del suo problema e delle motivazioni che
l’hanno spinta ad affrontare la situazione. Descrive la sua storia con un eloquio
fluente, spontaneo, ben modulato. L’espressione è partecipe, atteggiamento
collaborativo. Dall’esame di realtà appare lucida e ben orientata, con buone
capacità attentive.
3. ASSESSMENT
3.1 INTRODUZIONE
L'assessment è stato svolto durante 5 incontri settimanali della durata di 50
minuti ciascuno, compresa una seduta finale di restituzione, ove sono stati
definiti il contratto terapeutico e gli obiettivi dell'intervento. Durante tale fase è
stato possibile esplorare il caso, soprattutto per quel che concerne l'anamnesi
personale e familiare, nonché la storia del problema e il funzionamento attuale.
26
Nella fase di assessment è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0):
SCHEDA SCALA PUNTEGGIO SCHEDA SCALA PUNTEGGIO
Scheda 2 STAI X1 Ansia di stato
82.7 IP 4 Viaggi 96.5
Scheda 3 STAI X2 Ansia di tratto
97.8 IP 5 Sangue 47.1
Scheda 5 EPQ/R Estroversione
66.8 Scheda 8 QD Sintomi depressivi
72.3
EPQ/R Nevroticismo
50.5 Scheda 9 MOCQ/R 36.4
EPQ/R Psicoticismo
46.6 MOCQ/R1 Checking
24.5
EPQ/R Lie 21.3 MOCQ/R2 Cleaning
19.8
Scheda 6 QPF/R Disturbi psicofisiologici
84.4 MOCQ/R3 Doubting
85.5
Scheda 7 IP F 65.4 Scheda 10 STAI X1 – R 64.8
IP PH 29.7 STAI DIFF App
IP 1 Calamità 49.8 STAI ACC App
IP 2 Eventi sociali 36.7 Indice IR App
IP 3 Animali 44.2 Protocollo valido
3.2 ANAMNESI PERSONALE E FAMILIARE
Sara è una ragazza di 22 anni, nata a termine da parto eutocico.
Riferisce di non avere fratelli o sorelle. Vive con i genitori. Il padre è medico e
lavora presso una casa di cura privata che opera in convenzione con il SSN.
La madre è farmacista ma non esercita. A parte brevi periodi in cui è stata
impiegata in alcune farmacie della zona, si è occupata prevalentemente della
gestione domestica e dell'educazione della figlia.
Riferisce uno sviluppo somato-psichico nella norma, ne sono riferiti particolari
problemi di salute o disturbi psichiatrici nell'ambito familiare e in quello relativo
alle ascendenze prossime.
27
Durante il periodo dell'infanzia ha frequentato le scuole dell'obbligo con un
ottimo rendimento.
Sara a tal proposito non si descrive come la "prima della classe" ma riferisce di
essere sempre stata tra "le più studiose", e appartenente quindi al gruppo delle
più brave. Dopo il liceo si iscrive alla facoltà di Medicina. Attualmente
frequenta il terzo anno del corso di studi.
Sara si definisce una persona "mediamente estroversa" così come ama spesso
ripetere, enfatizzando alcuni aspetti del suo carattere un po’ più inclini
all'introspezione. Riferisce di avere avuto "pochi amici ma buoni". Durante
l'adolescenza intesse rapporti amicali stabili con un gruppo di coetanei. Ha due
amiche del cuore con le quali condivide la maggior parte dei vissuti
adolescenziali. Con una delle due, in particolare, continua a mantenere i
rapporti anche durante il periodo universitario, anche se attualmente frequenta
prevalentemente colleghi conosciuti nell’ambito universitario.
Sara riferisce di essersi innamorata per la prima volta durante gli anni del
liceo, quando aveva 15 anni. Tale evenienza però non si concretizza in alcun
rapporto in quanto in quel periodo non riesce a manifestare apertamente il suo
interesse per un compagno di scuola. Successivamente, intorno ai 17 anni, ha
il primo "flirt" con un ragazzo più grande di lei, ma questa simpatia si configura
esclusivamente come un rapporto di tipo platonico. Dura pochi mesi. Solo 2
anni più tardi conosce Claudio, un ragazzo con il quale intrattiene per 2 anni
un rapporto stabile.
Descrive la scoperta della sessualità come un avvenimento intenso e
gratificante, un incontro che arriva "in modo non improvvisato". La relazione si
interrompe in modo non traumatico, "naturalmente" come essa ripete più volte,
specificando che la rottura viene decisa da entrambi i partner. Attualmente
riferisce di non avere alcuna relazione sentimentale.
Sara si descrive come una persona che "ama tenersi impegnata" in attività che
definisce piacevoli. Ama partecipare a manifestazioni ambientaliste.
E' molto interessata al tema della salute e si impegna costantemente per uno
stile di vita sano. Non fuma. Beve poco e solo in occasioni particolari. Non
riferisce assunzione di farmaci o psicofarmaci.
28
Sara descrive suo padre come una persona gentile e affabile. Sottolinea il fatto
che lui non l'ha mai spinta ad intraprendere gli studi in medicina, ma che l'ha
spesso incoraggiata a impegnarsi nel sociale e ad aiutare le persone, e per
questo motivo Sara ha scelto di studiare proprio medicina, perché, come essa
stessa la definisce "la medicina non riguarda un mestiere ma una vocazione".
Descrive il padre come una figura centrale e positiva, un punto di riferimento
sicuro e su cui poter contare in caso di bisogno.
La madre viene descritta anch'essa come una figura importante, ma meno
centrale.
"Non pensi che voglio più bene a papa che a mamma" ripete diverse volte
"solo che mio padre mi ha sempre saputo capire meglio”.
Nei momenti di difficoltà infatti Sara ricorre al padre il quale adotta un
atteggiamento più tollerante e comprensivo nei confronti della figlia.
La madre di contro è descritta come una persona rigida e meno propensa a
tollerare il mancato rispetto delle regole. Sara riferisce che la madre le ha
sempre dato buoni consigli, ma che tuttavia in alcuni momenti l’ha sentita più
distante e più incline a giudicarla negativamente.
Dall'anamnesi peraltro si evidenzia la presenza di numerosi episodi in cui la
madre ha reagito in modo estremamente ansioso a certe situazioni.
Sara racconta che fin da quand'era piccola e suo padre era costretto a
percorrere ogni giorno un lungo tratto di strada in auto per andare a lavorare,
osservava le reazioni ansiose della madre. Iniziava infatti a passeggiare
nervosamente nel corridoio, su e giù, e quando il marito non era ancora
arrivato inscenava quella che Sara definisce "il solito rituale", costituito da
affermazioni del tipo: "come mai ancora non arriva?", “me lo sento sarà
successo qualcosa”, “adesso ci siamo, è la volta buona che abbia avuto un
incidente”.
La madre viene quindi definita come molto ansiosa, specie quando qualcuno si
trova fuori casa o magari in viaggio, tanto da manifestare frequentemente
paura per eventuali incidenti stradali. Sara nega che vi siano stati in passato
eventi negativi e/o tragici ricollegabili a incidenti di questo tipo.
29
3.3 STORIA DEL PROBLEMA E FUNZIONAMENTO ATTUALE
La paziente decide di rivolgersi al terapeuta incoraggiata dal padre, perché da
circa tre anni soffre di disturbi d'ansia, con ripetuti e frequenti attacchi di
panico. L’invio avviene tramite il medico di base.
L’esordio del primo attacco di panico avviene circa tre anni fa, dopo un breve
viaggio a Ustica con gli amici organizzato per festeggiare il superamento
dell'esame di maturità.
Per evitare un eventuale divieto dei genitori decide di nascondere la partenza,
dicendo che passerà la notte da una amica.
Successivamente i genitori vengono a conoscenza di ciò che è realmente
accaduto e della conseguente bugia della figlia. Ma mentre il padre adotta nei
confronti di Sara un atteggiamento più comprensivo, il comportamento della
madre viene descritto come ostile e privo di tolleranza.
La madre e la figlia interrompono ogni dialogo per due settimane, poi danno
inizio a una sorta di confronto serrato. Questo evento è descritto da Sara come
una sorta di rottura nel rapporto con la madre e come il fattore scatenante le
sue crisi. Dopo un mese dall’accaduto Sara sperimenta l’attacco di panico, che
è seguito da altri episodi in successione, come quando si trova fuori casa, alla
guida della sua auto. Percorre un percorso noto che la porta quasi
quotidianamente da casa verso l’università, per seguire le lezioni. L’evento
avviene quando la strada è piena di auto, c’è molto traffico e si procede a
rilento.
Comincia a provare molta ansia, sente le mani sudare, si innescano una serie
di sintomi che generano ulteriore ansia: capogiri, palpitazioni, crede di stare
per svenire. E’ costretta a interrompere la marcia e scende dall’auto. Accusa
l’istinto irrefrenabile di allontanarsi, vorrebbe trovarsi fuori da quel turbinio di
automobili. Molto confusamente chiama un amica, così viene raggiunta e poi
portata a casa.
Successivamente Sara comincia a rimuginare circa l’accaduto, ha paura di
guidare sola, pensa che ciò che ha provato potrebbe accadere ancora.
Progressivamente limita la sua autonomia, frequenta meno assiduamente le
lezioni e decide di andare solo se accompagnata da qualche amico.
30
Dopo una settimana sperimenta altri attacchi, sempre in luoghi pubblici e
sempre in condizioni generali di affollamento: in un supermercato e al centro
commerciale.
Sara inizia a effettuare generalizzazioni rispetto alle situazioni in cui si trova
fuori casa, interpretando tali esperienze come negative. Si sottrae
inesorabilmente da quelle situazioni che a suo giudizio la metterebbero a
rischio. Così evita luoghi dai quali sarebbe difficile allontanarsi, chiusi o molto
affollati, tunnel, strettoie, lontani dalle uscite di sicurezza o senza vie di fuga.
Questi comportamenti innescano un progressivo ritiro dalla vita sociale.
3.4 STRUMENTI DIAGNOSTICI UTILIZZATI
Complessivamente è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) e il Panic Rating Scale (PRS) (Wells, 1997), una
scala di valutazione costituita da 4 domande utili per avere maggiori
informazioni circa gli episodi di panico avvenuti nell’ultima settimana, la
frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
3.5 IPOTESI DIAGNOSTICA E CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO
La paziente ha riferito di aver avuto ricorrenti e inaspettati attacchi di panico.
Successivamente ha riportato, per almeno un mese, la preoccupazione di
avere altri attacchi.
E’ inoltre riportata e descritta ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai
quali sarebbe difficile allontanarsi o chiedere aiuto nel caso di attacco di
panico. La paziente riferisce che tali situazioni vengono opportunamente
evitate.
E’ stata esclusa la presenza di fattori organici, quali l’intossicazione da
caffeina o anfetamine e ipertiroidismo.
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La batteria CBA 2.0 ha confermato la presenza di una elevata ansia di tratto
(STAI X2), nonché una intensa paura per tutte quelle situazioni che
comportano un allontanamento da casa (IP 4).
Le informazioni raccolte nei 5 colloqui di assessment e i dati ricavati dalla
somministrazione degli strumenti hanno permesso pertanto di formulare la
diagnosi di attacco di panico con agorafobia.
Dall'analisi dei dati in possesso risultano infatti soddisfatti i criteri indicati nel
DSM-IV-TR:
A. Entrambi 1) e 2): 1) Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti 2) almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi: a) preoccupazione persistente di avere altri attacchi b) preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”) c) significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi. B. Presenza di Agorafobia:
A. Ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un Attacco di Panico inaspettato o sensibile alla situazione o di sintomi tipo panico. I timori agorafobici riguardano tipicamente situazioni caratteristiche che includono essere fuori casa da soli; essere in mezzo alla folla o in coda; essere su un ponte e il viaggiare in autobus, treno o automobile. B. Le situazioni vengono evitate (per es., gli spostamenti vengono ridotti) oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un Attacco di Panico o sintomi tipo panico, o viene richiesta la presenza di un compagno. C. L’ansia o l’evitamento fobico non sono meglio giustificabili da un disturbo mentale di altro tipo, come Fobia Sociale (per es., evitamento limitato alle situazioni sociali per timore di essere imbarazzato), Fobia Specifica (per es., evitamento limitato ad una singola situazione, come gli ascensori), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., evitamento dello sporco per gli individui con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., evitamento di stimoli associati con un grave fattore stressante) o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., evitamento della separazione dalla casa o dai familiari).
C. Gli Attacchi di Panico non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo). D. Gli Attacchi di Panico non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come Fobia Sociale (per es., si manifestano in seguito all’esposizione a situazioni sociali temute), Fobia Specifica (per es., in seguito all’esposizione ad una specifica situazione fobica), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., in
32
seguito all’esposizione allo sporco in soggetto con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., in risposta a stimoli associati con un grave evento stressante) o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., in risposta all’essere fuori casa o lontano da congiunti stretti). 3.6 FATTORI PREDISPONENTI E PRECIPITANTI
Sulla base dei risultati degli strumenti somministrati e di quanto riferito durante
i colloqui di assessment è stato inoltre possibile individuare l'esistenza di
alcuni fattori predisponenti e precipitanti del problema:
FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI
Frequente ansia della madre Viaggio ad Ustica e l’essere stata scoperta
Insicurezza Litigi e difficoltà nel rapporto con la madre
Contesto familiare
3.7 CONTRATTO TERAPEUTICO E OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Durante il colloquio di restituzione viene spiegato alla paziente che il problema
è diagnosticabile come un attacco di panico con agorafobia, ovvero un disturbo
d’ansia, trattabile con terapia cognitivo comportamentale.
Viene spiegato che sarà necessario esporsi gradualmente alle situazioni che
generano ansia, in modo da farle diminuire progressivamente. Per tali
evenienze sarà adeguatamente preparata e incoraggiata.
L'intervento terapeutico avrà quindi i seguenti obiettivi: ricominciare a
impegnarsi nelle attività che si facevano in passato, come recarsi al
supermercato, fare shopping presso luoghi affollati o centri commerciali,
guidare da sola, frequentare assiduamente l’università nonché migliorare le
relazioni sociali.
33
Viene spiegato che il percorso terapeutico potrebbe richiedere diversi mesi e si
propone un trattamento di 15 sedute settimanali.
Viene precisato che tra una seduta e l'altra è di primaria importanza
l'esecuzione da parte del paziente di compiti terapeutici, necessari per la
buona riuscita del trattamento.
In questa fase è avvenuta la formalizzazione del rapporto.
4. PIANO TERAPEUTICO E TRATTAMENTO
Il trattamento presenta una struttura di base standardizzata. Il protocollo
consta infatti di tre fasi ben distinte distribuite su 15 sedute di trattamento in 15
settimane.
4.1 FASE 1 (2 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Introduzione del modello cognitivo e costruzione del circolo vizioso partendo
dall’analisi dell’ultimo attacco di panico
• Identificazione delle convinzioni e delle interpretazioni errate
• Identificazione dei comportamenti protettivi e degli evitamenti
Per consentire una corretta analisi è stato chiesto alla paziente di formulare
dapprima un elenco delle situazioni temute (fig. 1) e successivamente si è
provveduto a introdurre e compilare in seduta il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), così come specificato nella
pagina seguente:
34
SITUAZIONE PENSIERO EMOZIONE COMPORTAMENTO
Con il gruppo di amici balena l’idea di andare in vacanza per il periodo Natalizio in Francia, partendo dal Piemonte e passando per il traforo del Fréjus
Non credo di poter passare all’interno del tunnel, mi mancherebbe il respiro. C’è il rischio di rimanere lì dentro, magari per un incidente con un camion
Ansia Se si dovesse decidere di partire non so se andrò
Si prospetta una serata al cinema. Era da tanto tempo che non si organizzava, perché i miei amici sanno che ultimamente non sono andata volentieri
Voglio sedermi vicino al corridoio, ma se è pieno ho paura di non trovare posto, mi sento già mancare
Ansia Paura
Non andrò, sicuramente
Entro in un negozio. E’ pieno
A volte capitano interruzioni di corrente. Se dovesse succedere come farei a uscire? Ci sarebbe una ressa e potrei finire schiacciata dalla folla
Ansia Esco via dal negozio
Sono al supermercato e ho fatto la spesa. Il carrello è pieno e sono in fila alla cassa
Non ce la faccio proprio ad aspettare. Devo andare via subito
Ansia Lascio la spesa ed esco
Mi trovo all’entrata del centro commerciale che hanno da poco inaugurato, vorrei entrare ma sento uno strano sudore tra le mani
Ho paura che si ripeta. Se entro rischio di fare un'altra brutta figura. Aspetterò ad entrare, meglio essere accompagnata
Ansia Rabbia
Non entro e mi allontano
Tale diario altro non è che una tabella all’interno della quale è stato possibile
inserire dettagli inerenti gli eventi problematici: situazione, emozione e
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intensità, pensiero automatico (senza risposte razionali all’interpretazione
erronea).
ELENCO DELLE SITUAZIONI TEMUTE
Recarsi in un centro commerciale
Andare a fare la spesa
Entrare nelle gallerie
Negozio affollato
Andare al cinema quando la sala è piena
Guidare da sola
Fig. 1 Elenco delle situazioni temute
E’ stato inoltre somministrato il Panic Rating Scale (PRS) (Wells, 1997), una
scala di valutazione costituita da 4 domande utili per avere maggiori
informazioni circa gli episodi di panico avvenuti nell’ultima settimana, la
frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
E’ stato chiesto alla paziente, come compito a casa, di compilare giornalmente
il diario dell’attacco di panico, così come evidenziato nella fig. 2.
Il diario dell’attacco di panico è uno strumento molto importante, in quanto ha
permesso di identificare con facilità le false interpretazioni, in relazione alle
sue risposte verbali e comportamentali. La paziente ha così potuto “osservare
con maggior nitidezza” la situazioni problematiche e soprattutto la mancanza di
correttezza dell’impianto di pensiero a sostegno delle sue interpretazioni.
Grazie a questo nuovo modo di guardare al suo disturbo, la paziente ha
cominciato a comprendere il modello cognitivo alla base dell’attacco di panico
e la natura circolare delle sue strutture di base (psicoeducazione al disturbo): a partire da fattori scatenanti interni/esterni giudicati pericolosi si
attiva uno stato d’ansia che innesca sintomi somatici e cognitivi specifici. Una
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ulteriore interpretazione erronea circa tale sintomatologia può generare
ulteriore ansia e una escalation tale da portare all’attacco di panico (fig. 3).
DATA SITUAZIONE PRINCIPALE SENSAZIONE
FISICA/MENTALE
PENSIERO NEGATIVO (Interpretazione
erronea)
RISPOSTA AL PENSIERO NEGATIVO
NUMERO TOTALE DEGLI
ATTACCHI DI PANICO
Lun
Mar Sto guidando, ma c’è molto traffico
Mi sento soffocare, ho
capogiri
Non c’è la posso fare, mi sento morire
1
Mer
Gio
Sono andata al cinema, non ho trovato posto vicino alle uscite di sicurezza
Mi sento svenire, sono confusa, ho le palpitazioni
Devo uscire, non potrò assistere alla proiezione, mi
vergogno per ciò che penseranno i miei
amici
1
Ven Sab Dom
Fig. 2 Esempio di diario giornaliero degli attacchi di panico
Il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali ha consentito
inoltre di meglio mettere in luce i comportamenti protettivi adottati da Sara e gli
evitamenti messi in atto per tutelarsi dalle situazioni temute. Purtroppo i
comportamenti protettivi impediscono una disconferma delle interpretazioni
erronee e mantengono il disturbo in forza del fatto che è a loro imputato il
mancato avverarsi delle conseguenze temute.
4.2 FASE 2 (8 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Generazione di risposte razionali ai pensieri disfunzionali grazie alle prove
di disconferma
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• Modificazione delle cognizioni e dei comportamenti coinvolti nel
mantenimento del disturbo attraverso riattribuzione verbale e modificazioni
comportamentali
• Analisi delle credenze sottostanti
Struttura della seduta:
1) analisi dei compiti svolti a casa (diario dell’attacco di panico con risposte
razionali, esercizi di esposizione, riduzione dei comportamenti protettivi); 2)
identificazione dei pensieri automatici/credenze e impiego di riattribuzioni
cognitive e comportamentali; 3) descrizione del ruolo dei pensieri e dei
comportamenti nella concettualizzazione generale del caso.
Fig. 3 Concettualizzazione del disturbo di panico secondo il modello di
Clark (1986), modificato da Wells (1999)
38
Questa risulta essere la fase centrale del trattamento. La concettualizzazione
condivisa con il paziente è stata portata avanti e si è arricchita.
La registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), utilizzata nella prima fase
del trattamento, è divenuta più specifica, grazie a una maggiore
consapevolezza del paziente circa il legame che intercorre tra pensieri ed
emozioni. Pertanto, al modello presentato precedentemente sono state
aggiunte colonne per la registrazione delle interpretazioni alternative (ossia
delle risposte razionali, con grado di convinzione), della rivalutazione del grado
di convinzione dei pensieri automatici precedenti e delle emozioni implicate (si
veda in proposito Wells A., 1997. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia,
McGraw-Hill).
In virtù della ristrutturazione cognitiva adottata è stata possibile una
progressione del trattamento.
Attraverso le tecniche cognitive (riattribuzione verbale) è stato infatti
possibile attaccare le convinzioni e le credenze sottostanti i pensieri automatici
negativi. Questo è avvenuto mettendo in discussione i contenuti del pensiero e
attivando strategie basate su un processo educativo tendente all’esame di
contro evidenze e di spiegazioni alternative.
Utilizzando un dialogo basato sul metodo socratico è stato possibile chiarire
con accuratezza dettagli importanti, a partire dalla descrizione di specifici
episodi e chiedendo ad esempio alla paziente di immaginare lo scenario delle
peggiori conseguenze possibili rispetto al verificarsi di quanto temuto (quale
sarebbe la cosa peggiore che potrebbe accadere? Cosa potrebbe accadere
nella peggiore delle ipotesi?).
Inoltre sono state poste domande a cascata relative alle implicazioni di
determinate situazioni, utilizzando la tecnica della “freccia discendente” (Burns, 1980). La ripetizione delle valutazioni circa le implicazioni di un
pensiero automatico consente di determinare i contenuti degli schemi
sottostanti (al punto finale, “bottom line”).
Per mettere in discussione le credenze è stato chiesto di ricercare e produrre
prove in grado di validare le sue convinzioni. Ciò ha permesso al paziente di
rendersi effettivamente conto che trovare prove a supporto dei propri pensieri
39
disfunzionali non è poi così semplice e che comunque spesso non vi sono
elementi realmente validi di conferma.
Anzi, attraverso questi ragionamenti, la paziente ha compreso che esistono
semmai delle contro evidenze, ossia delle prove a sfavore circa le convinzioni
e i pensieri disfunzionali. Le domande proposte sono state del tipo: “Quale
potrebbe essere un altro modo di vedere il problema? Quale è la prova a
favore di un altro punto di vista?”.
Il lavoro svolto ha permesso quindi di modificare le convinzioni della paziente
rispetto alle conseguenze e ai significati dei sintomi e quest’ultima è stata in
grado, in ultima istanza, di fornire risposte razionali alle sue credenze (si veda
fig. 4).
Il progresso del lavoro svolto è evidenziato dalla riduzione della frequenza e
dell’intensità degli episodi di panico riportati nel diario dell’attacco di panico.
Con il procedere della terapia e man mano che la paziente ha gradualmente
compreso l’inesattezza delle sue credenze, è stato possibile provare a
diminuire la frequenza dei comportamenti protettivi e degli evitamenti circa le
situazioni problematiche.
La gestione e l’eliminazione delle condotte di evitamento è stata elicitata dalla
messa in atto degli esperimenti di esposizione. Solo esponendosi agli stimoli
ansiogeni infatti la paziente ha potuto sospendere gli evitamenti.
In particolare è stata predisposta una esposizione graduale alle situazioni
temute. Partendo da una analisi approfondita dell’elenco delle situazioni
temute elaborato in precedenza sono state costruite gerarchie relative alle
situazioni ansiogene sperimentate dalla paziente, espresse in unità soggettive
di disagio (SUD).
La paziente si è quindi sottoposta a una esposizione graduale in vivo alle
situazioni individuate, partendo dapprima da quelle meno ansiogene. Dopo i
primi successi e aumentato il proprio senso di autoefficacia Sara ha potuto
esercitarsi costantemente nel corso delle settimane. Nella pagina seguente
una tabella comparativa che riporta il grado di disagio attribuito prima e dopo
le esposizioni in vivo, a dimostrazione dei progressi fatti:
40
DA SOLA CON UNA AMICA
SUD SUD
T1 T2 T1 T2
70 30 Grande ipermercato 50 20 Grande ipermercato
60 20 Supermercato di medie dimensioni il sabato
40 10 Supermercato di medie dimensioni il sabato
40 10 Supermercato di medie dimensioni durante la settimana
20 5 Supermercato di medie dimensioni durante la settimana
30 5 Supermercato di dimensioni medio piccole
‐ ‐ Supermercato di dimensioni medio piccole
10 2 Piccolo market di quartiere ‐ ‐ Piccolo market di quartiere
Allo stesso tempo si è lavorato sul rilassamento, mettendo in atto la tecnica del
rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, sull’immaginazione di
situazioni rilassanti e sulla respirazione controllata.
Questo per fornire alla paziente gli strumenti utili per aiutarla a superare i
momenti più difficili e per attuare migliori strategie di problem solving e di
gestione dell’ansia.
Le riattribuzioni comportamentali hanno permesso così di confutare le
credenze relative ai sintomi che comparivano in determinate e specifiche
situazioni, cioè è stato possibile modificare direttamente i sintomi, mettendo
materialmente alla prova le credenze della paziente rispetto ai suoi pensieri e
schemi.
Ciò ha consentito di testare le previsioni circa i pericoli temuti.
La paziente ha compreso che in ultima istanza le situazioni temute non si sono
verificate, pur non mettendo in atto condotte protettive e di evitamento.
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SITUAZIONE EMOZIONE PENSIERO INTERPRETAZIONI ALTERNATIVE
RISULTATI
Con il gruppo di amici balena l’idea di andare in vacanza per il periodo Natalizio in Francia, partendo dal Piemonte e passando per il traforo del Fréjus
Ansia Intensità dell’emozione: 80 (0‐100)
Non credo di poter passare all’interno del tunnel, mi mancherebbe il respiro. Potremmo rimanere lì dentro, magari per un incidente con un camion Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Ogni giorno ci sono tante persone che attraversano il tunnel e non succede niente, è improbabile che accada qualcosa Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Leggera ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 40 (0‐100)
Si prospetta una serata al cinema. Era da tanto tempo che non si organizzava, perché i miei amici sanno che ultimamente non sono andata volentieri
Ansia, Paura Intensità dell’emozione: 70 (0‐100) 60 (0‐100)
Voglio sedermi vicino al corridoio, ma se è pieno ho paura di non riuscire, e mi sento già mancare Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Ci si può sedere in qualsiasi zona della platea, è altamente improbabile che il posto possa determinare conseguenze sulla propria vita Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Leggera ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 30 (0‐100)
Mi trovo all’entrata del centro commerciale che hanno da poco inaugurato, vorrei entrare ma sento uno strano sudore tra le mani
Ansia, Rabbia Intensità dell’emozione: 90 (0‐100) 60 (0‐100)
Ho paura che si ripeta. Se entro rischio di fare un'altra brutta figura. Aspetterò ad entrare, meglio essere accompagnata Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Se mi faccio bloccare da questi pensieri non riuscirò mai, sono i miei pensieri infondati la causa dei miei problemi Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Rabbia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 40 (0‐100)
Fig. 4 registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD) dopo Riattribuzione verbale
42
Il significato dell’esperimento è stato quindi condiviso con la paziente e
soprattutto sono stati discussi i risultati nei termini della concettualizzazione
del disturbo, focalizzandosi principalmente sui circoli viziosi che si innescano e
che invariabilmente mantengono il problema.
4.3 FASE 3 (5 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Analisi delle credenze rimaste
• Eliminazione dei comportamenti protettivi residui
• Prevenzione delle ricadute
Alla fine del trattamento, come ultimo compito, è stato chiesto a Sara di
scrivere una sorta di breve riassunto del percorso terapeutico, che
comprendesse una descrizione di ciò che ha appreso durante il periodo di
trattamento.
In particolare è stato chiesto che all’interno del suo lavoro fossero presi in
considerazione e descritti il circolo vizioso (concettualizzazione), i
comportamenti protettivi e di evitamento, le false interpretazioni, le credenze
sottostanti, le prove a sfavore.
Sono state trattate le eventuali credenze rimaste e i comportamenti protettivi
residui, facendo leva su quanto appreso precedentemente e sulle tecniche di
cui ci si è avvalsi nella fase centrale della terapia.
A fine trattamento è stato effettuato un retest della batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) il quale ha confermato che i valori risultati
clinicamente significativi all’inizio del trattamento sono rientrati nella norma,
ovvero l’ansia di tratto e la scala IP 4.
Tutto il lavoro ha permesso alla paziente di riunire in un unico filo conduttore il
lavoro svolto, sottolineando i capisaldi del trattamento così da favorire un
prolungamento degli esiti dell’intervento a lungo termine e diminuire la
probabilità di eventuali ricadute.
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5. FOLLOW-UP E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
A tre e sei mesi di distanza dall’ultima seduta di trattamento sono stati fissati
due incontri di follow-up.
Alla paziente è stata somministrata nuovamente la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0), riportando punteggi sovrapponibili a quelli di fine
trattamento.
La paziente non ha più riportato attacchi di panico, ha frequentato
assiduamente le lezioni all’università recandosi senza problemi e senza timori
in luoghi affollati o sola in autostrada. Negli ultimi mesi ha riferito di aver
viaggiato molto e di aver accresciuto la sua rete di amicizie.
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Capitolo III
ANTONIO: UN CASO DI FOBIA SPECIFICA
1. CARATTERISTICHE CLINICHE DELLA FOBIA SPECIFICA
Per fobia si intende in genere una paura marcata e persistente che è
irragionevole o sproporzionata rispetto a stimoli e situazioni specifiche.
Fra le caratteristiche principali è possibile considerare la presenza di una
reazione di paura collegata a uno stimolo. Tale stimolo crea una sorta di
tensione e di attivazione tale da facilitare una serie di disturbi emotivi, sociali e
lavorativi.
Le fobie specifiche possono essere suddivise in diversi sottotipi: per gli
animali, per l’ambiente naturale, il sangue o le ferite, situazioni particolari
(aerei, ascensori, luoghi chiusi).
Anche se la reazione di paura viene di solito riconosciuta come eccessiva o
irrazionale, questa conduce comunque a comportamenti di evitamento. Quando
tali comportamenti protettivi non vengono messi in atto e si ha quindi una
esposizione allo stimolo temuto, il soggetto esperisce un intensa ansia che
aumenta la reazione di paura iniziale.
Da un punto di vista diagnostico e clinico la fobia specifica deve rappresentare
per il soggetto una evidente menomazione, così che possa essere definita
disturbo fobico e differenziarsi quindi dalle semplici paure, che in genere sono
normali (specie in certe fasi dello sviluppo evolutivo) e comunque transitorie.
La specificità delle fobie può essere inquadrata come una reazione di attacco o
fuga inappropriata o eccessiva rispetto alla presenza di oggetti e situazioni
specifiche.
Sebbene sia stato dimostrato che le fobie hanno una componente ereditaria
(Torgersen, 1979; Phillips et al., 1987) non è da sottovalutare l'influenza di
45
specifici fattori ambientali nell'attivazione e nell'eziologia di alcune fobie
specifiche (Kendler et al., 1992).
Da ciò si evince che una generale predisposizione all'ansia potrebbe facilitare
nell'individuo l'attivazione di fobie specifiche (considerando quindi l'influenza
dei fattori genetici) e che determinati fattori ambientali potrebbero contribuire
all'eziologia (si pensi alla familiarità e agli atteggiamenti educativi, nonché ai
meccanismi di trasmissione della paura da parte dei genitori).
Tra i meccanismi che contribuiscono all'acquisizione di una fobia è possibile
annoverare il condizionamento diretto, l'osservazione e la trasmissione
verbale.
Da un punto di vista cognitivo, alla base di tali meccanismi vi sarebbe una
falsa reazione di allarme, correlata a una eccessiva attivazione con
conseguente messa in atto di una risposta di attacco o fuga.
Da un punto di vista clinico è stato evidenziato che le paure diminuiscono con
il passare dell'età, dall'infanzia all'adolescenza, anche se si assiste poi ad un
nuovo aumento durante il passaggio alla prima età adulta (Sanavio, 1988)
In genere la maggior parte delle fobie infantili si sviluppano prima dei 14 anni,
mente la claustrofobia tende a svilupparsi dopo l'adolescenza (così come la
maggior parte delle paure sociali).
La prevalenza del disturbo si aggira intorno all'8% della popolazione, con una
lieve prevalenza nei soggetti di sesso femminile.
1.1 TRATTAMENTO
Il trattamento deve avvenire successivamente a un assessment approfondito
che consenta di giungere a una buona concettualizzazione del caso.
Questo deve fornire informazioni circa la natura delle credenze e dei
comportamenti protettivi e di evitamento, nonché una descrizione delle
situazioni temute. Tale analisi consente appunto di individuare le componenti
del circolo che mantiene la fobia specifica. In ogni caso è necessaria una analisi comportamentale che permetta di individuare con esattezza gli antecedenti all'ansia e al comportamento fobico.
46
E' utile inoltre una misura della frequenza e dell'intensità degli episodi (a tal
fine si possono utilizzare specifici questionari o anche schede di monitoraggio).
Una volta ricostruiti i meccanismi che sono alla base del disturbo è auspicabile
introdurre al paziente il modello ricavato dalle informazioni raccolte, con
l'obiettivo di mettere in evidenza l'esistenza del circolo vizioso e in ultima
istanza del legame tra le sue componenti e l'aumento dei sintomi.
Fra gli obiettivi fondamentali del trattamento vi è sicuramente l'attenuazione
dei comportamenti protettivi e di evitamento dello stimolo fobico e quindi la
riduzione delle credenze che sono associate alle interpretazioni erronee degli
stimoli fobici in termini di pericolo incombente e degli evitamenti.
In generale le strategie di riattribuzione comportamentale e l’esposizione allo
stimolo fobico permettono di dimostrare che le conseguenze temute non si
avverano e che le credenze sottostanti possono essere smentite. Tale
evidenza ha come conseguenza diretta l'eliminazione delle condotte di
evitamento in associazione a una diminuzione dei comportamenti protettivi.
Da un punto di vista comportamentale il trattamento comprende l'estinzione e
l'esposizione allo stimolo che genera la risposta non adattiva in assenza delle
conseguenze temute.
Tra le tecniche comportamentali più utilizzate vi è l'esposizione allo stimolo
fobico temuto, che può essere in vivo o in immaginazione.
In genere gli esercizi di esposizione vengono organizzati secondo una
gerarchia di difficoltà graduale e crescente. Un esempio è la
desensibilizzazione sistematica (Wolpe, 1958; Goldfried e Davison, 1976) in
cui si insegna al paziente una tecnica di rilassamento associata alla
costruzione di una gerarchia e alla rappresentazione graduale di situazioni che
generano ansia.
Tra le strategie di riattribuzione vi sono anche le tecniche di riattribuzione
verbale che si basano su procedure di confutazione delle prove che
sostengono l'interpretazione erronea.
Il paziente è invitato alla ricerca di tali prove e viene introdotto in una sorta di
"scoperta guidata" basata sull'educazione e sull'analisi razionale delle
controevidenze.
47
Il trattamento farmacologico non appare a tutt'oggi il trattamento elettivo nelle
fobie specifiche, anche se si possono annoverare interventi con
somministrazione di diazepam (che contribuirebbe alla diminuzione dell'ansia
anticipatoria e dell'evitamento) o di farmaci beta-bloccanti.
2. OSSERVAZIONI DI PRIMO COLLOQUIO
Antonio arriva in studio con qualche minuto di ritardo.
L’invio è avvenuto tramite il suo medico di base che gli ha consigliato di
provare a risolvere il suo problema con un trattamento psicoterapeutico. E’ lui
stesso che mi chiama e con tono deciso prenota un appuntamento per la
settimana successiva.
Si presenta vestito in modo informale, indossa un paio di jeans e una t-shirt
color panna. Descrive la sua storia con un eloquio fluente a tratti e inceppato
in altre occasioni, come quando parla più specificatamente del suo disturbo.
Il tono è comunque spontaneo, espressivo, ben modulato. Espressione
partecipe, atteggiamento collaborativo.
Dall’esame di realtà appare lucido e ben orientato, con discrete capacità
attentive.
3. ASSESSMENT
3.1 INTRODUZIONE
L'assessment è stato svolto durante 5 incontri settimanali della durata di 50
minuti ciascuno, compresa una seduta finale di restituzione, ove sono stati
definiti il contratto terapeutico e gli obiettivi dell'intervento.
Durante tale fase è stato possibile esplorare il caso, soprattutto per quel che
concerne l'anamnesi personale e familiare, nonché la storia del problema e il
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funzionamento attuale. Nella fase di assessment è stata somministrata la
batteria CBA 2.0 (Cognitive Behavioral Assessment 2.0):
SCHEDA SCALA PUNTEGGIO SCHEDA SCALA PUNTEGGIO
Scheda 2 STAI X1 Ansia di stato
80.5 IP 4 Viaggi 56.3
Scheda 3 STAI X2 Ansia di tratto
96.7 IP 5 Sangue 60.1
Scheda 5 EPQ/R Estroversione
65.2 Scheda 8 QD Sintomi depressivi
34.8
EPQ/R Nevroticismo
44.3 Scheda 9 MOCQ/R 33.2
EPQ/R Psicoticismo
48.6 MOCQ/R1 Checking
18.6
EPQ/R Lie 26.2 MOCQ/R2 Cleaning
21.9
Scheda 6 QPF/R Disturbi psicofisiologici
79.5 MOCQ/R3 Doubting
54.4
Scheda 7 IP F 95.4 Scheda 10 STAI X1 – R 61.7
IP PH 53.4 STAI DIFF App
IP 1 Calamità 67.8 STAI ACC App
IP 2 Eventi sociali 41.4 Indice IR App
IP 3 Animali 63.1 Protocollo valido
3.2 ANAMNESI PERSONALE E FAMILIARE
Antonio è un ragazzo di 28 anni, nato a termine da parto eutocico.
Riferisce di avere due fratelli più grandi di lui, entrambi sposati, di cui uno vive
da qualche anno in centro Italia per motivi di lavoro.
Attualmente vive con i genitori.
La madre è casalinga, mentre il padre è impiegato presso l'ufficio contabile del
suo comune.
49
Riferisce uno sviluppo somato-psichico nella norma, ne sono riferiti particolari
problemi di salute o disturbi psichiatrici nell'ambito familiare e in quello relativo
alle ascendenze prossime.
Viene inserito all'asilo a partire dai tre anni. Durante il periodo dell'infanzia
frequenta le scuole dell'obbligo con un discreto rendimento. Riferisce di non
aver mai ottenuto voti molto alti, e senza eccellere particolarmente riusciva a
ottenere comunque la sufficienza.
Dopo aver frequentato l’istituto tecnico commerciale si iscrive al corso di
laurea in economia e amministrazione delle imprese. Attualmente frequenta
ancora l’università.
Il paziente descrive i genitori come figure connotate positivamente: “sono
sempre stati presenti durante la mia vita e mi hanno sempre sostenuto”,
riferisce più volte.
Il padre in particolare è sempre al centro dei racconti familiari, nella
descrizione delle gite che facevano durante le estati della sua infanzia, quando
andavano al mare e lui faceva fare il bagno ai figli. La madre li osservava da
lontano, sorridendo. Ma era il padre a divertirsi con loro, giocando con l’acqua
o facendo a gara durante qualche nuotata.
Entrambe le figure genitoriali sono descritte come supportive, specie durante il
delicato periodo adolescenziale (Antonio riferisce di aver avuto non poche
difficoltà legate all’approssimarsi dei profondi cambiamenti evolutivi di quel
periodo). I genitori gli sono stati vicini ad esempio durante il passaggio dal
periodo prescolare a quello dell'inserimento scolastico e durante la pubertà e
l'adolescenza, quando ha dovuto affrontare alcune criticità. Difficoltà che si
sono concretizzate nel difficile rapporto con i coetanei e nei primi turbolenti
innamoramenti, finiti spesso in cocenti delusioni.
Il paziente riferisce sorridendo di essere uno “sfigato” con le ragazze, in
quanto non ne va mai bene una. Si innamora a 14 anni di una sua compagna
di scuola, ma non ha il coraggio di dirglielo.
Negli anni successivi il copione si ripete fino a quando, intorno ai 17 anni ha
una prima relazione sentimentale, con una ragazza conosciuta sull’autobus e
con la quale ha il primo rapporto sessuale. Il quel frangente sottolinea di non
50
avere fatto una bella figura, in quanto lei si era dimostrata molto più esperta di
lui, che era stato invece goffo e impacciato.
Si definisce piuttosto timido, e a questa timidezza vengono imputate le
difficoltà a costruire relazioni amicali, sociali e affettive.
Da qualche anno comunque riferisce di poter contare su un gruppo di amicizie
stabili. Attualmente non si definisce impegnato sentimentalmente.
3.3 STORIA DEL PROBLEMA E FUNZIONAMENTO ATTUALE
Il paziente soffre di una intensa ansia che si attiva quando deve servirsi
dell’ascensore. Lo stato ansioso è presente anche alla sola vista dello stimolo
fobico. L’invio avviene tramite il suo medico di base.
A parte qualche pensiero avuto in passato circa la possibilità di poter rimanere
chiuso all’interno dell’ascensore, il paziente nega ogni tipo di reazione
ansiogena che l’abbia portato all’evitamento dello stimolo fobico.
Ammette comunque di aver sempre provato un certo disagio nel trovarsi in
luoghi stretti o angusti, già fin da bambino. Antonio riferisce che anche il padre
ha una paura incredibile, fobia che riguarda invece gli aerei e l’esperienza del
volare.
Dopo essere rimasto chiuso nell’ascensore bloccato dell’università per circa
due minuti, il paziente afferma di essersi sentito mancare, di aver cominciato a
respirare affannosamente e di aver sentito il cuore battere molto velocemente.
Da quel momento comincia a evitare sistematicamente ogni ascensore e
predilige le scale, anche se deve affrontare molte rampe prima di arrivare.
La vista dell’ascensore pare procurargli un insieme di sintomi cognitivi e
somatici simili a quelli provati in precedenza e tipici dell’attacco di panico.
Ultimamente, considerato che molte lezioni vengono tenute al quinto e sesto
piano della facoltà, tende a frequentare meno assiduamente l’università e
questo interferisce significativamente con la resa e la qualità dei suoi studi.
E’ una situazione che comincia a stancarlo, questi evitamenti sono impegnativi
ed ammette di sentirsi spesso limitato.
51
3.4 STRUMENTI DIAGNOSTICI UTILIZZATI
Complessivamente è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) e il Panic Rating Scale (PRS) (Wells, 1997), una
scala di valutazione costituita da 4 domande utili per avere maggiori
informazioni circa gli episodi di panico avvenuti nell’ultima settimana, la
frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
3.5 IPOTESI DIAGNOSTICA E CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO
Il paziente ha riferito di avere una paura marcata e persistente di prendere
l’ascensore. L’esposizione allo stimolo fobico ha provocato e provoca una
risposta ansiosa immediata, tanto che lo stimolo viene sistematicamente
evitato. Il paziente riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole.
La batteria CBA 2.0 ha confermato la presenza di una elevata ansia di tratto
(STAI X2), nonché di un elevato punteggio relativo all’esistenza di paure (IP
F).
Le informazioni raccolte nei 5 colloqui di assessment e i dati ricavati dalla
somministrazione degli strumenti hanno permesso pertanto di formulare la
diagnosi di fobia specifica.
Dall'analisi dei dati in possesso risultano infatti soddisfatti i criteri indicati nel
DSM-IV-TR:
A. Paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (per es., volare, altezze, animali, ricevere un’iniezione, vedere il sangue). B. L’esposizione allo stimolo fobico quasi invariabilmente provoca una risposta ansiosa immediata, che può prendere forma di Attacco di Panico situazionale o sensibile alla situazione. Nota: nei bambini l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con l’irrigidimento o con l’aggrapparsi a qualcuno. C. La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole. Nota: nei bambini questa caratteristica può essere assente. D. La situazione (le situazioni) fobica viene evitata oppure sopportata con intensa ansia o disagio. E. L’evitamento, l’ansia anticipatoria o il disagio nella situazione (situazioni) temuta interferiscono in modo significativo con la normale routine della
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persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico), o con le attività o le relazioni sociali, oppure è presente disagio marcato per il fatto di avere la fobia. F. Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi. G. L’ansia, gli Attacchi di Panico o l’evitamento fobico associati con l’oggetto o situazione specifici non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., paura dello sporco in un individuo con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., evitamento degli stimoli associati con un grave evento stressante), Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., evitamento della scuola), Fobia Sociale (per es., evitamento di situazioni sociali per paura di rimanere imbarazzati), Disturbo di Panico con Agorafobia o Agorafobia senza Anamnesi di Disturbo di Panico. 3.6 FATTORI PREDISPONENTI E PRECIPITANTI
Sulla base dei risultati degli strumenti somministrati e di quanto riferito durante
i colloqui di assessment è stato inoltre possibile individuare l'esistenza di
alcuni fattori predisponenti e precipitanti del problema:
FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI
Familiarità Rimane chiuso per la prima volta nell’ascensore
Insicurezza
Tendenze claustrofobiche
3.7 CONTRATTO TERAPEUTICO E OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Durante il colloquio di restituzione viene spiegato al paziente che il problema è
diagnosticabile come una fobia specifica, ovvero un disturbo d’ansia, trattabile
con terapia cognitivo comportamentale. Viene spiegato che sarà necessario
esporsi gradualmente alla situazione che genera ansia, in modo da farla
53
diminuire progressivamente. Per tali evenienze sarà adeguatamente preparato
e incoraggiato.
L'intervento terapeutico avrà quindi i seguenti obiettivi: ricominciare a prendere
l’ascensore, frequentare assiduamente le lezioni all’università nonché
migliorare le relazioni sociali ed essere maggiormente assertivo.
Viene spiegato che il percorso terapeutico potrebbe richiedere diversi mesi e si
propone un trattamento di 15 sedute settimanali.
Viene precisato che tra una seduta e l'altra è di primaria importanza
l'esecuzione da parte del paziente di compiti terapeutici, necessari per la
buona riuscita del trattamento.
In questa fase è avvenuta la formalizzazione del rapporto.
4. PIANO TERAPEUTICO E TRATTAMENTO
Il trattamento presenta una struttura di base standardizzata. Il protocollo
consta infatti di tre fasi ben distinte distribuite su 15 sedute di trattamento in 15
settimane.
4.1 FASE 1 (2 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Introduzione del modello cognitivo e costruzione del circolo vizioso partendo
dall’analisi dell’evento scatenante iniziale e dell’ultima reazione ansiosa nei
confronti dello stimolo fobico
• Identificazione delle convinzioni e delle interpretazioni errate
• Identificazione dei comportamenti protettivi e degli evitamenti
Per consentire una corretta analisi si è provveduto a introdurre e compilare in
seduta il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), così come specificato nella pagina seguente:
54
SITUAZIONE PENSIERO EMOZIONE COMPORTAMENTO
La lezione di economia aziendale si terrà al sesto piano
Non credo di poter prendere l’ascensore
Ansia Utilizzo le scale per recarmi alla lezione
Devo accompagnare mia madre dal medico, il suo studio si trova nell’attico di un grosso edificio
Ho paura di rendermi ridicolo nei confronti di mia madre, ma non riesco proprio a pensare di poter salire con lei in ascensore
Ansia Paura
Vergogna
Dico a mia madre che sto male e che non posso accompagnarla. Chiedo a mio fratello di farlo al mio posto
Gli amici mi propongono un weekend presso un villaggio turistico che già conosco. Per raggiungere la spiaggia è necessario prendere un ascensore
Come potrei raggiungere la spiaggia? Forse a nuoto? Non posso prendere quell’ascensore il cui vano è ricavato all’interno della montagna!
Ansia Troverò una scusa per non andare
Vorrei partecipare a un seminario a cui sono interessato ma l’aula magna dell’università si trova al quinto piano
Sono già in ritardo e considerato che non prenderò l’ascensore rischio di non trovare un posto a sedere
Ansia Rabbia
Utilizzo le scale per salire. I posti sono tutti occupati e sono costretto a stare in piedi
Tale diario altro non è che una tabella all’interno della quale è stato possibile
inserire dettagli inerenti gli eventi problematici: situazione, emozione e
intensità, pensiero automatico (senza risposte razionali all’interpretazione
erronea). E’ stato inoltre somministrato il Panic Rating Scale (PRS) (Wells,
1997), una scala di valutazione costituita da 4 domande utili per avere
maggiori informazioni circa gli episodi di panico avvenuti nell’ultima settimana,
la frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
E’ stato chiesto al paziente, come compito a casa, di compilare giornalmente
un diario, da utilizzare per descrivere eventuali situazioni che si dovessero
presentare contemplanti lo stimolo fobico o altre situazioni di disagio. Il diario è
uno strumento molto importante, in quanto ha permesso di identificare con
55
facilità le false interpretazioni, in relazione alle sue risposte verbali e
comportamentali.
Grazie a questo nuovo modo di guardare al suo disturbo, il paziente ha
cominciato a comprendere il modello cognitivo alla base del problema e la
natura circolare delle sue strutture di base (psicoeducazione al disturbo): a
partire da fattori scatenanti interni/esterni giudicati pericolosi si attiva uno stato
d’ansia che innesca sintomi somatici e cognitivi specifici. Una ulteriore
interpretazione erronea circa tale sintomatologia può generare ulteriore ansia e
una escalation tale da portare anche all’attacco di panico (fig. 2).
DATA SITUAZIONE PRINCIPALE SENSAZIONE
FISICA/MENTALE
PENSIERO NEGATIVO (Interpretazione
erronea)
NUMERO EPISODI
Lun Mar
Mer
All’università ho incontrato il prof. a cui vorrei chiedere la tesi. Mi invita a visitare il dipartimento, sono costretto a prendere l’ascensore con lui per non fare brutte figure
Mi sento soffocare, ho
capogiri, credo di stare per
svenire, ho le mani sudate
Forse sto per morire, non c’è la faccio, non
respiro 1
Gio Ven
Sab
Al centro commerciale assisto al blocco di un ascensore e sento le urla della donna che è lì dentro
Mi sudano le mani, ho la vista annebbiata
Ecco, un'altra volta, meno male che non ero io a trovarmi lì
dentro, devo sempre evitarli
1
Dom
Fig. 1 Esempio di diario giornaliero degli episodi di tipo fobico
Il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali ha consentito
inoltre di meglio mettere in luce i comportamenti protettivi adottati da Antonio e
gli evitamenti messi in atto per tutelarsi dallo stimolo fobico temuto. Purtroppo i
comportamenti protettivi (non prendere l’ascensore, usare le scale, il tenersi a
distanza, trovare scuse) impediscono una disconferma delle interpretazioni
erronee e mantengono il disturbo in forza del fatto che è a loro imputato il
mancato avverarsi delle conseguenze temute.
56
4.2 FASE 2 (8 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Generazione di risposte razionali ai pensieri disfunzionali grazie alle prove
di disconferma
• Modificazione delle cognizioni e dei comportamenti coinvolti attraverso
riattribuzione verbale e modificazioni comportamentali
• Analisi delle credenze sottostanti
Struttura della seduta:
1) analisi dei compiti svolti a casa (diario con l’aggiunta di risposte razionali,
esercizi di esposizione, riduzione dei comportamenti protettivi e degli
evitamenti); 2) identificazione dei pensieri automatici/credenze e impiego di
riattribuzioni cognitive e comportamentali; 3) descrizione del ruolo dei pensieri
e dei comportamenti nella concettualizzazione generale del caso.
Fig. 2 Concettualizzazione del disturbo di panico secondo il modello di
Clark (1986), modificato da Wells (1999)
57
Questa risulta essere la fase centrale del trattamento. La concettualizzazione
condivisa con il paziente è stata portata avanti e si è arricchita.
La registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), utilizzata nella prima fase
del trattamento, è divenuta più specifica, grazie a una maggiore
consapevolezza del paziente circa il legame che intercorre tra pensieri ed
emozioni. Pertanto, al modello presentato precedentemente sono state
aggiunte colonne per la registrazione delle interpretazioni alternative (ossia
delle risposte razionali, con grado di convinzione), della rivalutazione del grado
di convinzione dei pensieri automatici precedenti e delle emozioni implicate (si
veda in proposito Wells A., 1997. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia,
McGraw-Hill).
In virtù della ristrutturazione cognitiva adottata è stata possibile una
progressione del trattamento. Attraverso le tecniche cognitive (riattribuzione verbale) è stato infatti possibile attaccare le convinzioni e le credenze
sottostanti i pensieri automatici negativi. Questo è avvenuto mettendo in
discussione i contenuti del pensiero e attivando strategie basate su un
processo educativo tendente all’esame di contro evidenze e di spiegazioni
alternative. Antonio era convinto che vi fosse un alta probabilità che
l’ascensore si bloccasse ogni qualvolta vi si trovasse all’interno, pensava
inoltre che in caso di interruzione dell’energia elettrica o peggio ancora in caso
di terremoto non vi sarebbe stata alcuna speranza per lui e che nessuno lo
avrebbe potuto soccorrere. Il paziente considerava più sicuri gli ascensori di
ospedali e luoghi “controllati” ove sono più frequenti le procedure di
manutenzione, mentre era terrorizzato dagli ascensori di vecchi edifici o di
strutture che giudicava fatiscenti. Nelle rare occasioni in cui si trovava in
ascensore e prima di salirvi controllava se all’interno era chiaramente indicato
il numero di telefono degli addetti all’assistenza, controllava se il bottone di
allarme fosse presente e vi fosse disponibilità di copertura della rete telefonica
per eventuali chiamate di emergenza. Utilizzando un dialogo basato sul
metodo socratico è stato possibile chiarire con accuratezza dettagli importanti,
a partire dalla descrizione di specifici episodi e chiedendo ad esempio al
paziente di immaginare lo scenario delle peggiori conseguenze possibili
rispetto al verificarsi di quanto temuto (quale sarebbe la cosa peggiore che
58
potrebbe accadere? Cosa potrebbe accadere nella peggiore delle ipotesi?).
Inoltre sono state poste domande a cascata relative alle implicazioni di
determinate situazioni, utilizzando la tecnica della “freccia discendente” (Burns 1980). La ripetizione delle valutazioni circa le implicazioni di un
pensiero automatico consente di determinare i contenuti degli schemi
sottostanti (al punto finale, “bottom line”).
Per mettere in discussione le credenze è stato chiesto di ricercare e produrre
prove in grado di validare le sue convinzioni. Ciò ha permesso al paziente di
rendersi effettivamente conto che trovare prove a supporto dei propri pensieri
disfunzionali non è poi così semplice e che comunque spesso non vi sono
elementi realmente validi di conferma.
CONVINZIONI E PENSIERI DISFUNZIONALI
RISPOSTA RAZIONALE
Esiste una alta probabilità che l’ascensore si blocchi
Il fatto che un ascensore possa bloccarsi fa parte dell’andamento naturale delle cose, ma è comunque un evento poco probabile
Quando sono in ascensore potrebbe esserci una scossa sismica
Ogni momento si registrano continue scosse sismiche, anche se non sempre vengono avvertite. Stare in ascensore non aumenta la probabilità che si verifichi un terremoto
Se salgo in ascensore ho paura che vi sia una interruzione della corrente elettrica
Attualmente le interruzioni d energia elettrica sono molto improbabili e sempre più rare. Se pure dovesse capitare gli ascensori sono dotati di sistemi di allarme che funzionano ugualmente
Solo gli ascensori di edifici nuovi mi danno maggiore sicurezza
Non è razionale pensare che un edificio di nuova costruzione abbia ascensori più sicuri, così come non è detto che gli ascensori degli edifici più vecchi ma per i quali viene effettuata una manutenzione corretta siano meno sicuri. Oggi tutti gli ascensori sono sicuri e viene sempre fornita la manutenzione necessaria da parte di ditte specializzate
Se si rimane bloccati in ascensore è probabile che si soffochi per mancanza di ossigeno
E’ improbabile che si possa morire per mancanza di ossigeno in ascensore. Una volta dato l’allarme i soccorsi arrivano in tempi brevi e questo fa si che non vi sia alcun tipo di conseguenza per l’individuo
Fig. 3 Alcune convinzioni e pensieri disfunzionali del paziente e risposte
razionali dopo ristrutturazione cognitiva
59
Anzi, attraverso questi ragionamenti, il paziente ha compreso che esistono
semmai delle contro evidenze, ossia delle prove a sfavore circa le convinzioni
e i pensieri disfunzionali. Le domande proposte sono state del tipo: “Quale
potrebbe essere un altro modo di vedere il problema? Quale è la prova a
favore di un altro punto di vista?”.
Il lavoro svolto ha permesso quindi di modificare le convinzioni del paziente
rispetto alle conseguenze e ai significati dei sintomi e quest’ultimo è stato in
grado, in ultima istanza, di fornire risposte razionali alle sue credenze (si
vedano fig. 3 e 4).
Con il procedere della terapia e man mano che Antonio ha gradualmente
compreso l’inesattezza delle sue credenze, è stato possibile provare a
diminuire la frequenza dei comportamenti protettivi e degli evitamenti circa le
situazioni problematiche.
La gestione e l’eliminazione delle condotte di evitamento è stata elicitata dalla
messa in atto degli esperimenti di esposizione. Solo esponendosi agli stimoli
ansiogeni infatti il paziente ha potuto sospendere gli evitamenti.
In particolare è stata predisposta una esposizione graduale alle situazioni
temute. Partendo da una analisi approfondita dell’elenco delle situazioni
temute elaborato in precedenza sono state costruite gerarchie relative alle
situazioni fobiche sperimentate dal paziente, espresse in unità soggettive di
disagio (SUD).
Il paziente si è quindi sottoposto a una esposizione graduale in vivo alle
situazioni individuate, partendo dapprima da quelle meno ansiogene. Dopo i
primi successi e aumentato il proprio senso di autoefficacia Antonio ha potuto
esercitarsi costantemente, servendosi dell’ascensore nel corso delle
settimane. Nella pagina seguente una tabella comparativa che riporta il grado
di disagio attribuito prima e dopo le esposizioni in vivo, a dimostrazione dei
progressi fatti:
60
SUD SUD
T1 T2 T1 T2
90 55 Salire quattro piani in ascensore senza telefono cellulare e da solo
45 15 Salire un piano in ascensore da solo
85 50 Salire tre piani in ascensore senza telefono cellulare e da solo
40 10 Salire due piani in ascensore accompagnato
80 45 Salire quattro piani in ascensore da solo
35 10 Salire un piano in ascensore accompagnato
75 35 Salire tre piani in ascensore da solo
30 10 Pigiare il bottone per la richiesta del piano
65 30 Salire due piani in ascensore da solo
25 5 Aprire la porta dell’ascensore
60 25 Salire quattro piani in ascensore accompagnato
20 5 Osservare un ascensore
55 20 Salire tre piani in ascensore accompagnato
Allo stesso tempo si è lavorato sul rilassamento, mettendo in atto la tecnica del
rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, sull’immaginazione di
situazioni rilassanti e sulla respirazione controllata.
Questo per fornire al paziente gli strumenti utili per aiutarlo a superare i
momenti più difficili e per attuare migliori strategie di problem solving e di
gestione dell’ansia.
Le riattribuzioni comportamentali hanno permesso così di confutare le
credenze relative ai sintomi che comparivano in determinate e specifiche
situazioni, cioè è stato possibile modificare direttamente i sintomi, mettendo
materialmente alla prova le credenze del paziente rispetto ai suoi pensieri e
schemi. Ciò ha consentito di testare le previsioni circa i pericoli temuti.
Il paziente ha compreso che in ultima istanza le situazioni temute non si sono
verificate, pur non mettendo in atto condotte protettive e di evitamento.
61
SITUAZIONE EMOZIONE PENSIERO INTERPRETAZIONI ALTERNATIVE
RISULTATI
La lezione di economia aziendale si terrà al sesto piano
Ansia Intensità dell’emozione: 70 (0‐100)
Non credo di poter prendere l’ascensore Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Ogni istante un numero enorme di persone prende l’ascensore e non accade nulla, andrà tutto ok Rivalutazione del grado di convinzione: 55 (0‐100)
Leggera ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 40 (0‐100)
Devo accompagnare mia madre dal medico, il suo studio si trova nell’attico di un grosso edificio
Ansia, Paura, Vergogna Intensità dell’emozione: 70 (0‐100) 60 (0‐100) 80 (0‐100)
Ho paura di rendermi ridicolo nei confronti di mia madre, ma non riesco proprio a pensare di poter salire con lei in ascensore Grado di convinzione: 90 (0‐100)
Posso farcela, tutto andrà per il verso giusto, si sale e si scende con comodità Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Leggera ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 40 (0‐100)
Gli amici mi propongono un weekend presso un villaggio turistico che già conosco. Per raggiungere la spiaggia è necessario prendere un ascensore
Ansia Intensità dell’emozione: 70 (0‐100)
Come potrei raggiungere la spiaggia? Forse a nuoto? Non posso prendere quell’ascensore il cui vano è ricavato all’interno della montagna! Grado di convinzione: 70 (0‐100)
Non posso dare retta ai miei pensieri sbagliati, voglio godermi la vita con allegria Rivalutazione del grado di convinzione: 40 (0‐100)
Ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 40 (0‐100)
Vorrei partecipare a un seminario a cui sono interessato ma l’aula magna dell’università si trova al quinto piano
Ansia, Rabbia Intensità dell’emozione: 70 (0‐100) 80 (0‐100)
Sono già in ritardo e considerato che non prenderò l’ascensore rischio di non trovare un posto a sedere Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Ho visto tanti colleghi servirsi dell’ascensore e prendere posto in aula comodamente Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 30 (0‐100)
Fig. 4 registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD) dopo Riattribuzione verbale
62
Il significato dell’esperimento è stato quindi condiviso con il paziente e
soprattutto sono stati discussi i risultati nei termini della concettualizzazione
del disturbo, focalizzandosi principalmente sui circoli viziosi che si innescano e
che invariabilmente mantengono il problema.
4.3 FASE 3 (5 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Analisi delle credenze rimaste
• Eliminazione dei comportamenti protettivi residui
• Prevenzione delle ricadute
Alla fine del trattamento, come ultimo compito, è stato chiesto ad Antonio di
scrivere una sorta di breve riassunto del percorso terapeutico, che
comprendesse una descrizione di ciò che ha appreso durante il periodo di
trattamento.
In particolare è stato chiesto che all’interno del suo lavoro fossero presi in
considerazione e descritti il circolo vizioso (concettualizzazione), i
comportamenti protettivi e di evitamento, le false interpretazioni, le credenze
sottostanti, le prove a sfavore.
Sono state trattate le eventuali credenze rimaste e i comportamenti protettivi
residui, facendo leva su quanto appreso precedentemente e sulle tecniche di
cui ci si è avvalsi nella fase centrale della terapia.
A fine trattamento è stato effettuato un retest della batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) il quale ha confermato che i valori risultati
clinicamente significativi all’inizio del trattamento sono rientrati nella norma,
ovvero l’ansia di tratto e la scala IP F.
Tutto il lavoro ha permesso al paziente di riunire in un unico filo conduttore
tutto il lavoro svolto, sottolineando i capisaldi del trattamento così da favorire
un prolungamento degli esiti dell’intervento a lungo termine e diminuire la
probabilità di eventuali ricadute.
63
5. FOLLOW-UP E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
A tre e sei mesi di distanza dall’ultima seduta di trattamento sono stati fissati
due incontri di follow-up.
Al paziente è stata somministrata nuovamente la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0), riportando punteggi sovrapponibili a quelli di fine
trattamento.
Il paziente non ha più riportato episodi fobici, ha frequentato assiduamente le
lezioni all’università, anche quelle che si tenevano al quinto e sesto piano della
facoltà, servendosi dell’ascensore senza problemi e senza timori. Negli ultimi
mesi ha riferito di non poter più fare a meno dell’ascensore.
64
Capitolo IV
VANESSA, UN CASO DI DISTURBO DELL’ALIMENTAZIONE: BULIMIA NERVOSA
1. CARATTERISTICHE CLINICHE DELLA BULIMIA NERVOSA
Da un punto di vista strettamente clinico sono necessarie tre caratteristiche
principali affinché si possa fare una diagnosi di bulimia nervosa: 1) una
eccessiva valutazione della forma del corpo, del peso e del loro controllo; 2)
presenza di abbuffate ricorrenti, ove per abbuffata si intende un episodio di
alimentazione ove viene ingerita una grande quantità di cibo e caratterizzato
da un senso di perdita di controllo; 3) attività di controllo del peso estrema,
attuata attraverso una sostenuta restrizione dietetica e condotte di
eliminazione (purging), quali vomito auto-indotto e uso improprio di lassativi o
diuretici.
Alla luce di questi dati si può quindi sostenere che esiste un vero e proprio
nucleo psicopatologico, ove i soggetti presentano una valutazione di sé
centrata principalmente su peso e forma del corpo e sulla propria capacità di
controllarli. Da ciò derivano comportamenti quali il pesarsi frequentemente, il
controllare ripetutamente il proprio corpo confrontandolo con quello delle altre.
Questo genera e attiva una serie di pensieri e sensazioni negative circa il
sentirsi grasse e il credere di esserlo realmente.
Considerati questi aspetti è facile immaginare difficoltà di interazione sociale e
la messa in atto di pattern di socializzazione non adeguati.
La restrizione dietetica concerne il tentativo di mettere in atto pretese e regole
alimentari specifiche (relative a quando, quanto e cosa mangiare), le quali
hanno lo scopo di limitare la quantità di cibo ingerita. Frequentemente le
pazienti pesano il cibo ed effettuano il conteggio delle calorie ingerite.
65
Come detto in precedenza sono frequenti gli episodi alimentari che comportano
abbuffate. La loro frequenza varia da una o due volte alla settimana fino a
molte volte al giorno. Durante questi episodi viene ingerita una notevole
quantità di cibo e di calorie (di solito tra 1000 e 2000 kcal) e ciò innesca la
messa in atto di comportamenti eliminativi successivi, quali appunto il vomito
auto-indotto e l’uso improprio di lassativi.
Tali modalità di purging compensatorio possono peraltro avere effetti sulla
modulazione dell’umore.
Anche l’esercizio fisico eccessivo può essere inquadrato all’interno di queste
condotte e può assumere in taluni casi forme estreme, quali quelle
dell’esercizio compulsivo.
Queste modalità di comportamento, considerate globalmente, comportano
spesso una perdita di peso. Ciò ha sicuramente conseguenze importanti che
riguardano da un lato i danni per la salute fisica (si pensi agli effetti
cardiovascolari o a quelli sulle ossa), e dall’altro importanti fattori di
mantenimento del disturbo.
Da un punto di vista cognitivo i pazienti hanno continui pensieri e persistenti
preoccupazioni che riguardano il cibo e l’alimentazione. Aumento
dell’ossessività quindi, ma anche riduzione della concentrazione.
La teoria cognitivo comportamentale della bulimia nervosa considera centrale il
trattamento del nucleo psicopatologico precedentemente descritto, qui inteso
come uno schema disfunzionale di autovalutazione.
Le pazienti, dovendo rispettare le numerose rigide regole alimentari
autoimpostesi (alle volte difficili da seguire), tendono a reagire in modo
disadattivo alla loro trasgressione e attivano così gli episodi alimentari con
frequente perdita di controllo. Il significato delle abbuffate potrebbe essere
quindi l’estremo impulso alla trasgressione delle specifiche prescrizioni
alimentari.
Nella bulimia nervosa vi sarebbe quindi l’alternanza di tentativi di restrizione
alimentare seguiti in modo alterno dalle abbuffate. Queste ultime tuttavia,
come in un circolo vizioso, intensificherebbero le preoccupazioni delle pazienti
sulla forma del corpo e sul peso. Tale situazione aumenterebbe ulteriormente
66
una maggiore restrizione dietetica e così pure la frequenza di maggiori
abbuffate.
La diagnosi di bulimia nervosa compare nel 30% circa dei casi di disturbo
dell’alimentazione e avviene di solito nella tarda adolescenza o nella prima età
adulta. Nella maggior parte dei casi le pazienti con diagnosi di bulimia nervosa
hanno un indice di massa corporea (IMC) nella soglia dei valori normali
(compreso fra 20.0 e 24.9) perché ipoalimentazione e sovralimentazione si
compensano a vicenda.
Fig. 1 La Teoria Cognitivo Comportamentale della Bulimia Nervosa. Tratto da Cognitive Behavior Therapy and Eating Disorders di C. G. Fairburn (2008).
67
Frequentemente si riscontra una comorbilità con i disturbi dell’umore. Nella
fattispecie le caratteristiche depressive appaiono più frequenti nei casi in cui si
faccia maggior ricorso ad episodi di abbuffate. Queste pazienti tendono spesso
a modificare l’alimentazione in risposta ad eventi della vita giudicati
negativamente o giudicati eccessivamente stressanti (con inadeguata
regolazione delle emozioni). Tratti di personalità comuni nei soggetti che
presentano diagnosi di disturbo alimentare riguardano il perfezionismo clinico
e la bassa autostima nucleare.
1.1 TRATTAMENTO
Per quel che concerne il trattamento si è scelto di avvalersi della CBT-E, ossia
una versione migliorata dei protocolli terapeutici precedenti, ove rimangono
centrali gli aspetti di base della terapia cognitivo comportamentale (si veda
Fairburn C.G., 2010. La Terapia Cognitivo Comportamentale dei disturbi
dell'alimentazione. Eclipsi).
La CBT-E utilizza quindi procedure cognitive e comportamentali, ove strategico
risulta l'aspetto psicoeducativo rispetto al disturbo e ai suoi fattori di
mantenimento.
La CBT-E è pertanto un trattamento per la psicopatologia dei disturbi
dell'alimentazione che considera necessaria e preziosa la costruzione di una
buona formulazione circa i processi di mantenimento della psicopatologia.
Anche se è possibile costruire una formulazione personalizzata rispetto al
paziente il trattamento presenta una struttura di base standardizzata.
Il protocollo consta infatti di quattro fasi ben distinte distribuite su 20 sedute di
trattamento in 20 settimane. E' stato chiesto alla paziente di non assentarsi per
più di due settimane durante il trattamento e di non assentarsi nelle prime sei
settimane.
La fase uno ha come obiettivo principale quello di ingaggiare la paziente e di
motivarla al cambiamento. E' necessario inoltre fornire a questo livello una
68
formulazione personalizzata e implementare procedure specifiche, quali il
"pesarsi in seduta" e il "mangiare regolarmente".
La fase due è una fase di transizione ove viene per lo più svolto un lavoro di
revisione circa il lavoro svolto e gli eventuali ostacoli al cambiamento.
Nella fase tre gli appuntamenti, che durante la fase 1 avvenivano due volte
alla settimana, divengono settimanali ed il trattamento viene considerato nella
sua fase centrale. E' a questo livello che vengono affrontati i meccanismi
principali di mantenimento del disturbo.
La fase quattro è la fase finale e gli appuntamenti vengono ulteriormente
dilazionati nel tempo (uno ogni due settimane). Questa è una fase conclusiva
quindi, ove viene svolto un lavoro che consente al paziente di mantenere a
lungo i cambiamenti acquisiti nel corso della terapia.
Il protocollo contempla infine una seduta di follow-up a 20 settimane dalla fine
del trattamento.
Da un punto di vista clinico risulta fondamentale una buona compliance da
parte del paziente. Solo una relazione terapeutica basata un rapporto
collaborativo potrà infatti facilitare il completamento dei compiti assegnati e le
procedure di automonitoraggio.
2. OSSERVAZIONI DI PRIMO COLLOQUIO
Vanessa si presenta in studio vestita elegantemente. Appare timida e
riservata, ha un tono di voce pacato, un atteggiamento che incuriosisce
l’interlocutore.
Dotata di una produzione espressiva ben modulata, è partecipe ed ha un
atteggiamento collaborativo. L’esame di realtà è congruo, con buone capacità
attentive. Appare lucida e ben orientata.
Afferma di voler lottare a tutti i costi per risolvere il suo disturbo alimentare.
69
3. ASSESSMENT
3.1 INTRODUZIONE
Sono stati concordati cinque incontri iniziali della durata di 50 minuti ciascuno
per raccogliere le informazioni necessarie per l'assessment, compresa una
seduta finale di restituzione, ove sono stati definiti il contratto terapeutico e gli
obiettivi dell'intervento.
Alla fine della prima seduta la paziente è stata pesata e ne è stata misurata
l'altezza.
Gli ambiti di interesse che sono stati approfonditi durante le sedute di
valutazione iniziale hanno riguardato da un lato le problematiche connesse
all'alimentazione: abitudini alimentari e modalità di controllo della forma e del
peso corporeo, e dall’altro eventuali danni connessi: fisici e psicosociali.
E’ stata inoltre raccolta la storia personale della paziente e le indicazioni circa
l'evoluzione del problema alimentare (storia del peso ed eventuali precedenti
trattamenti), comprese le informazioni mediche ed eventuale storia psichiatrica
personale e familiare. In particolare si è cercato di raccogliere informazioni
relative all’esordio del problema alimentare e a probabili fattori scatenanti,
sulla sequenza successiva degli eventi e in particolare sull’evoluzione del
problema nei primi 6 mesi. Fondamentale è stata inoltre l’analisi della storia
del peso, comprendente le diverse successioni temporali rispetto all’insorgere
del problema e la raccolta dei valori di peso più basso e più elevato mai
raggiunti.
In questa fase si è considerato inoltre se vi sia stata la presenza di un evento o
circostanza che può averla sensibilizzata nei confronti della propria forma del
corpo, del suo peso e più in generale verso quegli aspetti legati alle
preoccupazioni alimentari.
Durante gli incontri di assessment è stato chiesto alla paziente se fosse
seguita e monitorata da un medico per valutare il suo stato di salute. Il medico
in questo caso si è assunto la responsabilità della gestione medica della
paziente.
70
Altre situazioni monitorate in questa fase e su cui si è focalizzata l'attenzione
sono state l'eventuale rischio di suicidio, la presenza di depressione, l'abuso di
sostanze e la concomitanza di situazioni ed eventi altamente stressanti
intercorsi in quel determinato periodo di vita, variabili la cui presenza non è
stata comunque rilevata nella storia della paziente in trattamento.
Durante la fase di assessment è stata somministrata la batteria CBA 2.0
(Cognitive Behavioral Assessment 2.0) e l’EDE-Q 6.0 (Fairburn & Beglin,
1994), una versione auto-somministrata dell’Eating Disorder Examination
(EDE). Il questionario fornisce dati di frequenza rispetto a specifici episodi del
comportamento alimentare. E’ costituito da 28 items che esplorano un arco
temporale di 28 giorni precedenti alla data di compilazione e genera un
punteggio globale e quattro punteggi relativi alle sottoscale: restrizione,
preoccupazione per l’alimentazione, preoccupazione per la forma del corpo e
preoccupazione per il peso (si veda fig.1).
3.2 ANAMNESI PERSONALE E FAMILIARE
Vanessa è una ragazza di 26 anni, nata a termine da parto eutocico.
Ha un fratello maggiore, arruolato nell’esercito. Non vive con i genitori, da
circa tre anni ha deciso di andare a vivere da sola.
Il padre, deceduto, è stato titolare di una piccola ditta specializzata nella
lavorazione del cartone per la fornitura di imballaggi. La madre era una
ballerina di danza classica. Da giovane ha lavorato in diverse città europee,
ma poi, dopo aver conosciuto il marito si è ritirata dalle scene e si è dedicata
alla famiglia.
Riferisce uno sviluppo somato-psichico nella norma, ne sono riferiti particolari
problemi di salute o disturbi psichiatrici nell'ambito familiare e in quello relativo
alle ascendenze prossime.
Ha frequentato l'asilo a partire dai tre anni. Durante il periodo dell'infanzia
frequenta le scuole dell'obbligo con un ottimo rendimento, anche se spesso è
costretta a rimanere a casa, assenza dovute a frequenti malanni influenzali,
71
come febbri e lievi problemi respiratori, tanto da essere definita dalla madre
come la “gracilina di famiglia”.
Durante l’infanzia la madre la iscrive a scuola di danza e Vanessa mostra
precocemente il suo talento e le sue doti, probabilmente ereditate proprio dalla
madre.
Dopo aver conseguito il diploma magistrale e nonostante i buoni risultati
scolastici decide di non continuare gli studi e di dedicarsi interamente alla
danza e a considerarla come una vera e propria professione. Ottiene discreti
risultati. Di recente viene chiamata nel corpo di ballo di un piccolo teatro della
sua città.
Vanessa si definisce introversa e riservata. Ha pochi amici. Durante il periodo
adolescenziale ha diverse amiche del cuore, amiche che finiscono
inesorabilmente col deluderla o con il tradirla come ripete più volte. Una le
ruba il fidanzato, l’altra si dimostra egoista e non l’aiuta quando iniziano ad
emergere chiaramente i primi problemi circa il rapporto con il cibo. I rapporti
amicali sono altalenanti, presentano una alternanza di situazioni caratterizzate
ora da maggiore socievolezza, ora da momenti di maggiore introspezione.
Tale tendenza viene ripetuta anche nelle relazioni affettive. Vanessa cambia
spesso partner, salta da una relazione all’altra, arriva a sovrapporre più
relazioni contemporaneamente.
Riferisce di non essere mai stata a lungo con un ragazzo: “le storie finiscono
perché è così che mi capita”.
Attualmente riferisce di non avere alcuna relazione sentimentale seria. Si vede
saltuariamente con un ragazzo, ma è un rapporto “senza impegni reciproci”.
Non fuma. Beve poco e di rado, solo in occasioni particolari. Non riferisce
assunzione di psicofarmaci. Assume lassativi e diuretici.
Il rapporto con la madre viene più volte messo in luce negativamente (la figura
paterna è descritta invece positivamente, anche se comunque non appare
centrale). La madre viene descritta come una donna che l’ha ossessionata fin
da bambina (avrebbe avuto anch’essa in passato problemi nel rapporto con il
cibo). Desiderava avere una figlia perfetta e Vanessa era l’opposto di ciò che
desiderava: fragile, fallace.
72
All’età di 20 anni interrompe ogni rapporto con la madre. Attualmente si
sentono di rado, solo telefonicamente.
3.3 STORIA DEL PROBLEMA E FUNZIONAMENTO ATTUALE
La paziente contatta il terapeuta su suggerimento del suo medico, perché
decisa ad affrontare il disturbo alimentare con il quale convive da diversi anni.
Il problema affonda le sue radici nel passato, in seguito alla scoperta del
mondo della danza che la voleva a tutti i costi magra e perfetta, e al tentativo
da parte della madre di plasmare la figlia a sua immagine e somiglianza, “tanto
da creare il clone di ciò che lei stessa avrebbe voluto essere” come riferisce.
Da qui l’emergere del problematico rapporto con il cibo, il vedersi sempre
grassa, il dover conquistare a tutti i costi un aspetto fisico in linea con i canoni
richiesti dal mondo della danza e soprattutto da sua madre.
E’ la madre che la mette a dieta ferrea quando ha circa 14 anni, ed è la madre
che la giudica goffa e grassa, che le ripete quanto lei fosse più magra e
ingraziata alla sua stessa età.
Dopo qualche anno viene a mancare il padre. Vanessa inizia a criticare se
stessa, si vede ancora più grassa, mette in atto le prime restrizioni alimentari
che la portano inesorabilmente alle abbuffate compensatorie e al check della
forma del corpo.
Attualmente il disturbo alimentare è caratterizzato da episodi di restrizione
dietetica calorica, da frequenti abbuffate e conseguenti condotte
compensatorie (vomito auto-indotto e uso di lassativi e diuretici).
3.4 STRUMENTI DIAGNOSTICI UTILIZZATI
Complessivamente è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) e l’EDE-Q 6.0 (Fairburn & Beglin, 1994), una
versione auto-somministrata dell’Eating Disorder Examination (EDE).
73
Il questionario fornisce dati di frequenza rispetto a specifici episodi del
comportamento alimentare. E’ costituito da 28 items che esplorano un arco
temporale di 28 giorni precedenti alla data di compilazione e genera un
punteggio globale e quattro punteggi relativi alle sottoscale: restrizione,
preoccupazione per l’alimentazione, preoccupazione per la forma del corpo e
preoccupazione per il peso.
EDE‐Q 6.0
PUNTEGGI ASSESSMENT E FINE TERAPIA
T1 T2
3.20 0.80 RESTRIZIONE
2.80 1.00 PREOCCUPAZIONE PER L’ALIMENTAZIONE
3.75 1.40 PREOCCUPAZIONE PER LA FORMA DEL CORPO
4.20 1.20 PREOCCUPAZIONE PER IL PESO
3.49 1.10 PUNTEGGIO TOTALE
Fig. 2 EDE-Q 6.0: punteggi all’assessment e a fine trattamento
3.5 IPOTESI DIAGNOSTICA E CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO
La paziente ha riferito di aver avuto ricorrenti episodi di abbuffate
caratterizzate dall’ingestione di una quantità di cibo significativamente elevata
unita alla sensazione di perdere il controllo.
Sono inoltre riportate condotte compensatorie, quali vomito auto-indotto e uso
improprio di lassativi. Abbuffate e condotte compensatorie si sono verificate in
media due volte alla settimana
74
Le informazioni raccolte nei 5 colloqui di assessment e i dati ricavati dalla
somministrazione degli strumenti hanno permesso pertanto di formulare la
diagnosi di bulimia nervosa.
Dall'analisi dei dati in possesso risultano infatti soddisfatti i criteri indicati nel
DSM-IV-TR:
A. Ricorrenti abbuffate. Una abbuffata è caratterizzata da entrambi i seguenti: 1) mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili. 2) sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando). B. Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito auto-indotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo. C. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi. D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei. E. L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.
3.6 FATTORI PREDISPONENTI E PRECIPITANTI
Sulla base dei risultati degli strumenti somministrati e di quanto riferito durante
i colloqui di assessment è stato inoltre possibile individuare l'esistenza di
alcuni fattori predisponenti e precipitanti del problema:
FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI
Familiarità Introduzione nel mondo della danza
Insicurezza Morte del padre
Contesto familiare
75
3.7 CONTRATTO TERAPEUTICO E OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Durante il colloquio di restituzione viene spiegato alla paziente che il problema
è diagnosticabile come bulimia nervosa, ovvero un disturbo del comportamento
alimentare, trattabile con terapia cognitivo comportamentale.
L'intervento terapeutico avrà quindi i seguenti obiettivi: acquisire una
regolarizzazione dell’alimentazione, promuovere l’importanza di altri domini di
autovalutazione affrontando il check della forma del corpo, l’evitamento
dell’esposizione del corpo ed il sentirsi grassa, nonché concentrarsi sul
miglioramento delle relazioni sociali.
E’ stato spiegato alla paziente il significato della CBT-E, sottolineando che la
terapia cognitivo comportamentale è oggi il principale trattamento basato
sull'evidenza per pazienti con disturbo dell'alimentazione. I risultati attuali
dimostrano che la maggior parte dei soggetti che completano il percorso
terapeutico hanno risultati ottimi e traggono beneficio dal trattamento.
E' stato inoltre spiegato che la durata del trattamento sarà di 20 sedute in 20
settimane (oltre le sedute iniziali di assessment).
Viene precisato che tra una seduta e l'altra è di primaria importanza
l'esecuzione da parte del paziente di compiti terapeutici, necessari per la
buona riuscita del trattamento.
In questa fase è avvenuta la formalizzazione del rapporto.
4. PIANO TERAPEUTICO E TRATTAMENTO
Il trattamento presenta una struttura di base standardizzata. Il protocollo
consta infatti di quattro fasi ben distinte distribuite su 20 sedute di trattamento
in 20 settimane.
76
4.1 FASE 1 (7 sedute)
La prima seduta di trattamento ha avuto una durata di circa 50 minuti.
Gli obiettivi principali sono stati quelli di coinvolgere la paziente nel
trattamento e considerare attentamente le specifiche caratteristiche della
psicopatologia presente.
Nella fattispecie sono stati approfonditi con la paziente i seguenti ambiti, così
come specificato dal protocollo della CBT-E (si veda Fairburn Christopher G.,
2010. La terapia cognitivo comportamentale per i disturbi dell'alimentazione.
Eclipsi, 70-71): • Valutare lo stato attuale del problema alimentare nel periodo compreso
tra le ultime 4 settimane e gli ultimi 3 mesi.
Si è quindi proceduto con il chiedere a Vanessa di fornire una descrizione del
proprio problema e di cosa vorrebbe cambiare. Sono state reperite
informazioni circa le abitudini alimentari di una giornata tipica. Si è inoltre
valutata la presenza di:
1) restrizione dietetica cognitiva (che contempla regole alimentari, conteggio e
limitazione delle calorie); 2) vera e propria restrizione dietetica calorica; 3)
altre modalità di controllo del peso (vomito auto-indotto e/o uso improprio di
diuretici e lassativi, esercizio fisico eccessivo); 4) abbuffate; 5) abitudini
alimentari peculiari (spiluccare, ruminare, mangiare in modo ritualistico); 6)
abitudini relative al bere e al fumare; 7) capacità di mangiare in presenza di
altri; 8) preoccupazioni e importanza relativa alla forma corporea e al peso; 9)
check del proprio corpo o evitamento; 10) confronto con gli altri; 11) impatto
del problema alimentare sul funzionamento psicologico e sociale (conseguenze
sull'umore, sul lavoro, sulla famiglia, sulle attività in genere e su altri interessi). • Sviluppo del problema alimentare.
Si è chiesto alla paziente di descrivere i dettagli dell'esordio e i probabili fattori
scatenanti. Si è proceduto quindi ad una analisi degli antecedenti e
conseguenti le specifiche situazioni (ABC situazionale).
77
Vanessa ha descritto una serie di situazioni che ha connotato come
responsabili dei suoi problemi: la tendenza della madre a criticare
continuamente la forma del suo corpo, specie nel confronto con se stessa e
relativamente alla sua passata carriera di ballerina, la perdita del padre,
avvenuta nel momento in cui lo scontro con la madre diveniva più duro, ha
accentuato il momento di crisi ed il “senso di vuoto" (come lo ha definito più
volte).
Queste informazioni hanno consentito di ricostruire la storia del peso
(precedentemente e da quando è iniziato il problema alimentare, con il peso
più basso e più alto mai raggiunto). • Atteggiamento verso il problema alimentare e il suo trattamento.
In questa fase si è cercato di capire quale fosse l'opinione della paziente circa
il suo problema e su ciò che in qualche modo lo mantiene.
E' stato importante inoltre comprendere le aspettative e le speranze nei
confronti del trattamento e i suoi obiettivi futuri. Tutto questo ha consentito di
creare una formulazione dei processi di mantenimento insieme alla paziente.
E' stato quindi creato un diagramma dei processi di mantenimento che è
servito per far comprendere alla paziente quanto il disturbo si basi su un
meccanismo che genera un circolo vizioso tra elementi che sono in
correlazione tra loro. Soltanto affrontando i circoli viziosi si potranno
conseguire i risultati sperati.
Grazie alla formulazione personalizzata è stato possibile per Vanessa
comprendere cosa debba essere preso di mira per avere successo nel
trattamento ed è stata fornita alla paziente una copia del diagramma costruito.
Da un punto di vista pratico è stato spiegato cosa implicherà il percorso di
terapia (natura del trattamento, aspetti pratici circa cosa avviene in seduta
ecc.) e sono stati introdotti l'automonitoraggio in tempo reale e l'assegnazione
di compiti a casa.
L'automonitoraggio è semplicemente una registrazione continua di
comportamenti, pensieri ed emozioni. Avviene attraverso la compilazione di
schede di monitoraggio (ne sono state consegnate una ventina alla fine della
seduta), tali da consentire una registrazione dettagliata delle informazioni. Si
78
richiede quindi di registrare tutto ciò che mangia o che beve. Il foglio, diviso in
colonne, consente di inserire le informazioni rispettivamente a orario, cibo e
bevande consumate, luogo, indicazione di episodi che in quel momento
percepisce come eccessivi e quindi come abbuffate, presenza o meno
comportamenti compensatori (vomito auto-indotto, uso di lassativi e/o
diuretici), ulteriore colonna per registrazioni di pensieri ed emozioni (fig.3).
E' stata spiegata alla paziente l'importanza di questa tecnica, in quanto utile
per avere un quadro più chiaro circa gli eventi e facilitante il cambiamento.
Per quel che concerne i compiti a casa, (sono stati definiti in un foglio
consegnato alla paziente e intitolato "i prossimi passi") oltre a iniziare il
monitoraggio in tempo reale, la paziente è stata invitata a rivedere la
formulazione creata in seduta, così da poter apportare eventuali modifiche
nella seduta successiva.
Nella fase finale sono stati riassunti i contenuti della seduta e si è
programmato il prossimo incontro.
La seduta successiva è avvenuta a 4 giorni di distanza dalla precedente.
Si è seguito il seguente ordine del giorno: 1) misurazione del peso in seduta;
2) analisi delle schede di monitoraggio; 3) analisi della formulazione; 4)
psicoeducazione rispetto al peso e alla sua misurazione.
Il peso è stato controllato insieme a Vanessa, letto ad alta voce e riportato su
un grafico predisposto allo scopo.
Ciò ha permesso alla paziente di guardare globalmente alle fluttuazioni del suo
peso rispetto al tempo, evitando così di concentrarsi esclusivamente su una
singola misurazione.
Per quanto concerne l'analisi delle schede di automonitoraggio l'obiettivo è
stato quello di far prendere dimestichezza alla paziente con il monitoraggio in
tempo reale. E' questa infatti una attività molto importante, proprio perché
consente di avere informazioni dettagliate circa i singoli episodi alimentari.
Vanessa è apparsa da subito ben motivata e ha completato le schede di
automonitoraggio richieste alla fine della prima seduta. La verifica ha
consentito di sondare l'atteggiamento della paziente e di verificare a che
distanza dall'episodio alimentare è stata fatta la registrazione
79
Fig. 3 Una scheda di monitoraggio di Vanessa
Dopo aver analizzato le informazioni fornite attraverso le schede di
monitoraggio si è chiesto alla paziente di rivedere la formulazione del caso e di
commentare il grafico costruito nella seduta precedente. Ciò ha permesso di
Data 24 Febbraio
ORARIO CIBO E BEVANDE CONSUMATE
LUOGO * V/L CONTESTO E COMMENTI
7.00
Yogurt Caffè Cornetto
Bar
Proverò a non abbuffarmi
12.00
Insalata con petto di pollo Maionese Bevanda dietetica
Bar Pranzo
Dalle 18.30 alle 19.20
3 fette di pane con marmellata 1 panino al latte con cioccolato 1 pezzo di torta all’arancia Bevanda dietetica 3 cucchiai di burro di arachidi ½ vaschetta di gelato 1 barretta energetica Bevanda dietetica
Cucina
* * * * *
V V
Non riesco a smettere, non mi controllo, ci risiamo, ho tradito me stessa.
21.15 1 mozzarella ½ panino Cucina
Anche oggi non sono riuscita a controllarmi, mi odio, non ce la farò mai.
80
verificare l'esistenza di eventuali avvenute variazioni circa le caratteristiche di
base del disturbo.
Vanessa non ha trovato variazioni di rilievo, ne ha fornito nuovi aspetti relativi
ai fattori di mantenimento del suo disturbo.
Come detto precedentemente nel corso della seduta è stata effettuata una
psicoeducazione concernente il peso e la sua misurazione. In particolare è
stato chiarito alla paziente il fatto che il peso può subire diverse fluttuazioni nel
corso del tempo.
Anche all'interno di una singola giornata può variare e ciò dipende da una serie
di innumerevoli fattori, quali ad esempio lo stato dell'intestino o i livelli di
idratazione corporea. Frequenti misurazioni nell'arco della giornata possono
portare così a conclusioni errate, proprio perché indicano variazioni ponderali
insignificanti, innescando un regime di restrizione calorica.
E' stato spiegato quindi alla paziente che è improbabile poter influenzare a
lungo termine il proprio peso corporeo, proprio perché quest'ultimo è sotto
stretto controllo fisiologico.
In quest'ottica è stato spiegato a Vanessa che è meglio non avere fin da subito
un obiettivo relativo a uno specifico intervallo di peso, quanto piuttosto quello
di concentrarsi su una stabilizzazione delle sue abitudini alimentari.
La parte finale della seduta è stata destinata alla discussione di eventuali
aspetti che la paziente ha voluto approfondire, come la richiesta di
delucidazioni circa la nozione di BMI (Indice di Massa Corporea). E' stato in
questo caso spiegato a Vanessa che l'indice permette di rappresentare il peso
in base all'altezza ed è dato dal peso in kg diviso per il quadrato dell'altezza
espressa in metri.
Alla fine della seduta sono stati riassunti i concetti affrontati e sono stati
assegnati i compiti da svolgere a casa: migliorare le registrazioni relative
all'automonitoraggio e resistere dal pesarsi.
Le restanti 5 sedute della fase 1 hanno seguito una struttura standard, del tipo:
misurazione del peso in seduta, discussione dei compiti a casa e delle schede
di automonitoraggio, creazione di un ordine del giorno, conclusione con sintesi
dei concetti affrontati e assegnazione dei compiti a casa.
81
In questa fase la paziente è stata istruita circa i suoi problemi alimentari.
E’ stato inoltre fornito alla paziente il libro "Come vincere le abbuffate"
(Fairburn, 2008. Positive Press) e le è stato chiesto di leggerlo, come compito
a casa. Attraverso la psicoeducazione infatti viene facilitato il compito di
istruire la paziente circa i suoi problemi alimentari ed è importante che ciò
venga affrontato a questo punto del trattamento.
Durante le sedute successive è stato possibile fornire alla paziente
informazioni aggiuntive circa il disturbo alimentare e le sue caratteristiche
cliniche, le modalità specifiche del suo stare a dieta (considerando le
innumerevoli regole difficili da rispettare), le abbuffate e le relative pratiche
compensatorie (vomito auto-indotto e uso improprio di lassativi e diuretici),
eventuale presenza di esercizio fisico eccessivo.
Oltre agli aspetti psicoeducativi, durante queste sedute si è sottolineato quanto
sia necessario e fondamentale per Vanessa iniziare a implementare una
alimentazione regolare.
Attuando infatti una regolarizzazione dell'alimentazione è stato possibile infatti
diminuire gli episodi di abbuffate. L’attenzione si è focalizzata quindi sulla
possibilità per la paziente di eliminare le condotte errate, quali il mangiare di
rado o il rimandare i pasti.
Vanessa ha accettato positivamente le nuove prescrizioni. In particolare è
stata fornita la seguente consegna: fare tre pasti pianificati al giorno, più due
spuntini pianificati (colazione, pranzo, spuntino a metà pomeriggio, cena,
spuntino serale), durante i quali vigeva il divieto di purging (vomito, uso di
lassativi, diuretici) e di conteggio delle calorie.
A vanessa è stato dato il consiglio di programmare in anticipo i pasti e gli
spuntini della giornata. Inoltre avrebbe dovuto evitare un intervallo di più di
quattro ore tra i pasti e gli spuntini pianificati. L'enfasi è stata posta pertanto
rispetto a quando la paziente mangia e non a cosa mangia.
Attraverso una attenta pianificazione Vanessa è stata in grado di meglio
gestire la distribuzione dei suoi episodi alimentari, comprendendo in questo
senso quanto erronea possa essere stata una valutazione basata sulle
sensazioni di fame o pienezza.
82
E' stato spiegato quanto sia importante che i pasti abbiano un inizio e una fine
(formalizzazione dei pasti). Si deve evitare di mangiare direttamente dalle
confezioni e mentre si svolgono altre attività.
In particolare è stata contrastata l'abitudine della paziente a "piluccare" il cibo
durante l'arco della giornata, magari aiutandosi masticando una gomma da
masticare.
Per quel che concerne il purging, l'uso improprio di diuretici e lassativi è stato
affrontato attraverso un programma di riduzione pianificata.
Da un punto di vista cognitivo è stata affrontata la paura di Vanessa di avere
un addome molto sporgente. E' infatti nota la percezione di un addome
sporgente nelle pazienti con disturbo dell'alimentazione. La paziente in
particolare, passava molto tempo a guardarsi allo specchio di profilo, subito
dopo aver mangiato, per constatare se si fossero evidenziate differenze
significative fra il prima e il dopo.
Per far comprendere a Vanessa quanto sia improbabile una variazione
dell'addome è stato chiesto, come compito, di verificare se riusciva a notare
una differenza nella forma del corpo delle altre persone dopo che avevano
mangiato. Una volta messo in pratica l'esercizio Vanessa si è resa conto di
quanto improbabile possa essere tale variazione.
4.2 FASE 2-3 (10 sedute)
Da questo punto in poi del trattamento sono stati affrontati i principali
meccanismi di mantenimento del disturbo.
Nella fattispecie l’eccessiva valutazione della forma del corpo, del peso e il
loro controllo occupano un posto strategico nella maggior parte delle
formulazioni delle pazienti, ed in particolare nella formulazione di questo caso
clinico.
A questo punto del trattamento sono stati formulati alcuni obiettivi
fondamentali:
1) promuovere l’importanza di altri domini di autovalutazione;
2) affrontare il check della forma del corpo;
83
3) affrontare l’evitamento dell’esposizione del corpo;
4) affrontare il sentirsi grassa.
A tal proposito Vanessa è stata istruita circa i suoi meccanismi di
autovalutazione, specificando quanto eccessiva sia la sua valutazione rispetto
alla forma del corpo e al suo aspetto fisico. L’obiettivo è stato quello di far
rendere conto alla paziente di quanto siano sovradimensionati questi aspetti
della sua vita rispetto agli altri.
E’ stata pertanto compilata una lista delle aree di vita importanti per la sua
autovalutazione (famiglia, lavoro, amici, forma del corpo, peso e alimentazione
ecc.) e a partire da questa è stato creato un grafico a torta provvisorio, avente
una parte largamente predominante relativa proprio alla valutazione eccessiva
di forma, peso e alimentazione. Come compito a casa, alla paziente è stato
chiesto di considerare le implicazioni del proprio schema di autovalutazione.
La conseguenza naturale è stata il rendersi conto, da parte di Vanessa, delle
conseguenze negative di una sua valutazione eccessiva circa gli aspetti legati
alla forma, peso e alimentazione. Avere un grafico a torta con una fetta
predominante restringe infatti la propria dimensione di vita, marginalizzando
altri aspetti importanti (si pensi ai deficit interpersonali secondari e all’impatto
sulla socializzazione). Conseguenza è quindi un impoverimento generale
dell’esperienza di vita.
Inoltre la paziente ha potuto comprendere che è impossibile gestire
interamente forma e peso corporeo, visto che tali dimensioni sono
specificatamente sotto controllo fisiologico. Tali attività semmai, messe in atto
in risposta a queste specifiche preoccupazioni, intensificheranno
l’insoddisfazione e le stesse preoccupazioni, generando quindi innumerevoli
circoli viziosi.
Nel momento in cui la paziente desidera ridurre l’ampiezza degli aspetti
sovradimensionati nel suo grafico a torta, comprende che è necessario
coinvolgersi negli altri aspetti della vita fino a quel momento messi da parte.
Vanessa decide di impegnarsi in due attività che la interessavano prima
dell’insorgenza del disturbo: la passione per la fotografia e la collaborazione
con una ludoteca per far giocare i bambini.
84
Per affrontare il check della forma del corpo è stato dapprima chiesto alla
paziente di registrare ogni occasione in cui si controlla e di specificare cosa
faccia (si guarda allo specchio, utilizza il metro a nastro per misurare vita e
cosce, cerca di vedere se è possibile “sentire le ossa”) e successivamente le è
stato chiesto perché si controlli e quali possano essere le conseguenze di tale
comportamento. Tali considerazioni sono state molto utili per far comprendere
a Vanessa che i ripetuti controlli, focalizzandosi sulle parti del proprio corpo e
del proprio aspetto che non piacciono e che non vengono apprezzate, finiscono
invariabilmente per mantenere l’insoddisfazione e le preoccupazioni.
A partire da queste evidenze si è chiesto di interrompere le misurazioni con il
metro a nastro e i tentativi di provare a sentire le ossa in alcune parti
specifiche del corpo.
Per quel che concerne il guardarsi allo specchio è stato fatto notare alla
paziente che il guardarsi minuziosamente non fa altro che mantenere
l’insoddisfazione per il proprio corpo. Inoltre questo amplifica i difetti percepiti.
Da un lato la paziente tendeva a concentrare l’attenzione su alcune sue
specifiche parti del corpo e dall’altro era riluttante a osservare certe zone
senza vestiti. L’ideale è non focalizzare prevalentemente la propria attenzione
solo sulle parti del corpo che non piacciono e pertanto è stato chiesto a
Vanessa di osservare anche il resto del suo corpo, compresi i capelli, le mani o
i piedi.
E’ stata avviata in proposito una esposizione graduale al proprio corpo, basata
sulla “scoperta” da parte della paziente di tutte le parti che lo compongono.
La paziente inoltre impiegava molto tempo a provare i vestiti di fronte allo
specchio. Ciò accadeva prima di uscire e spesso l’insoddisfazione che ne
derivava poteva portarla a non uscire più. Per ovviare a questa modalità di
comportamento è stata data alla paziente la prescrizione di decidere cosa
indossare prima di provarlo e comunque di non farlo di fronte allo specchio.
La paziente inoltre, così come spesso accade nei casi di disturbo alimentare,
tendeva a confrontarsi ripetutamente con le altre persone. Il modello di
confronto era di solito rappresentato da persone magre e di bell’aspetto.
Per affrontare questa forma di check le è stato chiesto di non scegliere le
persone con cui confrontarsi, bensì di effettuare il confronto con ogni persona
85
che quel determinato giorno avesse incontrato. Tale compito ha permesso a
Vanessa di comprendere che la forma del corpo è ampiamente variabile da una
persona all’altra e soprattutto che il fatto di essere desiderabili e attraenti non
è direttamente connesso alla magrezza. Vi sono semmai altre caratteristiche
personali che possono essere ritenute più o meno apprezzabili, come
particolari attitudini, un certo tipo di carattere o l’intelligenza.
Una volta intaccato il check e l’evitamento della forma del corpo è stato
affrontato il trattamento del sentirsi grassa.
La paziente ha potuto comprendere che vi sono differenze tra il sentirsi grassa
e l’essere oggettivamente grassa e che nel primo caso vi sono fluttuazioni
quotidiane anche intense, conseguenti a situazioni specifiche e al modo di
reagire ad esse.
E’ stato utile per Vanessa monitorare, durante l’arco della giornata, i momenti
in cui più intensa è stata la sensazione del sentirsi grassa, così da cogliere
eventuali emozioni mascherate.
Una volta intaccate le preoccupazioni per la forma e peso del corpo, il check
ed il sentirsi grassa, il trattamento ha preso di mira la restrizione dietetica
cognitiva, comprese le regole dietetiche ed il controllo dell’alimentazione.
La restrizione dietetica cognitiva, come è noto, non sempre comporta una
ipoalimentazione meramente fisiologica (dovuta a restrizione dietetica
calorica), nel senso che spesso i tentativi di ridurre il cibo possono avere più o
meno successo.
Vanessa considerava lo stare a dieta come un fattore positivo, nel senso che
vedeva in tale attività la rappresentazione della sua forza di volontà e del fatto
che fosse molto brava a mantenere il controllo.
Scopo dell’attività clinica è stato quello di far comprendere alla paziente che lo
stare a dieta rappresentasse una delle maggiori cause di preoccupazione sul
cibo, creasse ansia e tendesse di fatto a impoverire lo stile alimentare ed il
modo in cui Vanessa si approcciava al cibo.
La dieta inoltre può essere considerata come uno dei fattori predisponenti
all’innescarsi delle abbuffate e ne è peraltro una delle modalità compensatorie.
86
Da un punto di vista cognitivo ci si è concentrati sull’analisi e sulla messa in
discussione delle rigide e inflessibili regole alimentari, cercando di smantellare
progressivamente le credenze sottostanti.
Per identificare con chiarezza le regole alimentari è stato chiesto a Vanessa di
specificare: 1) cosa mangiasse (o non mangiasse); 2) quando mangiasse; 3)
quanto mangiasse (con conteggio delle calorie).
Una volta elencate su un foglio le regole alimentari presenti è stato chiesto di
immaginare una violazione delle regole. Infrangere le regole comporta
l’attivazione di molteplici preoccupazioni, legate all’aumento di peso, al
diventare grassa ecc.
E’ stato pertanto ideato un programma pianificato per infrangere le regole
specificate precedentemente e questo ha consentito di verificare che in fin dei
conti ciò non comporta alcuna delle conseguenze temute e immaginate.
Infrangere le regole in modo pianificato ha consentito a Vanessa di godere dei
vantaggi insiti nel liberarsi di tali regole.
Alcune delle regole a cui si sottoponeva la paziente: evitava di mangiare nei
locali pubblici, nei self-service o nelle mense, dove cioè non era in grado di
stabilire e “controllare” accuratamente la composizione del cibo. Inoltre evitava
deliberatamente alcuni cibi, in quanto questi erano considerati causa di facile
aumento di peso. In particolare non mangiava alcuni tipi di cioccolatini,
patatine speziate, gelati, burro di arachidi.
Fu chiesto pertanto di stilare una lista di cibi evitati e di creare una sorta di
graduatoria che comprendesse da un lato i cibi più facilmente accettati e
dall’altro quelli considerati più “difficili” e verso cui era particolarmente
riluttante. Fu chiesto poi, nelle settimane successive, di introdurre
progressivamente i cibi dell’elenco nella dieta, partendo da quelli più graditi e
fino a quelli verso i quali mostrava maggiori timori.
Gradualmente l’esposizione ai cibi evitati ha contribuito a smantellare le regole
alimentari che sostenevano il disturbo. La paziente ha potuto constatare che
non esistono cibi ingrassanti in assoluto, in quanto le conseguenze dipendono
semmai dal contributo energetico e calorico di cibo ingerito.
87
Inoltre decidere di non mangiare cibi nei locali o nei ristoranti contribuisce
sicuramente a una forma di impoverimento e di isolamento sociale.
Nel momento in cui le regole dapprima inflessibili hanno cominciato a
indebolirsi, è venuta meno l’impalcatura di base della restrizione dietetica
cognitiva e con essa sono diminuite le abbuffate.
4.3 FASE 4 (3 sedute)
L'ultima fase del trattamento è consistita in 3 sedute con cadenza
bisettimanale.
L'obiettivo finale del trattamento è stato quello di far si che i miglioramenti
ottenuti da Vanessa fossero mantenuti a lungo termine.
A tal fine si è reso necessario verificare quanto i meccanismi di mantenimento
siano stati resi inoffensivi e quanto abbiano perso influenza nella fisiologia del
disturbo.
E’ stata interrotta la misurazione del peso della paziente in seduta e questa è
stata invitata ad effettuare la stessa procedura a casa, a intervalli regolari e in
giorni prestabiliti.
Si è cercato in questa fase di minimizzare i rischi di ricadute, trattando le
preoccupazioni nei confronti della fine del trattamento e adottando uno stile
terapeutico più orientato al futuro.
E’ stato spiegato alla paziente che eventuali piccole ricadute possono essere
messe in conto e a tale scopo sono state insegnate tecniche di problem solving
proattivo (che contemplano identificazione e specificazione del problema,
analisi delle soluzioni possibili, scelta della migliore soluzione) al fine di
fronteggiare eventuali eventi scatenanti.
Al fine di verificare i progressi di Vanessa è stato somministrato nuovamente
l'Eating Disorder Examination Questionnaire (EDE-Q 6.0) per il quale è stato
riportato un punteggio pari a 1.10 e quindi significativamente più basso rispetto
a quello riportato nella fase di assessment (si veda fig. 2). Questo ha
consentito a Vanessa di sperimentare quantitativamente quanto fosse
progredita, verificando i suoi risultati.
88
Alla paziente sono stati consegnati infine due programmi personalizzati di
mantenimento, a breve termine e a lungo termine. Il primo comprendente
prescrizioni e consigli utili per gestire gli aspetti trattati durante la terapia, quali
la restrizione dietetica cognitiva e calorica, l’eccessiva valutazione della forma
del corpo e del peso, le abbuffate e le condotte compensatorie, compresa
perdita e controllo del peso. Il secondo comprendente consigli su come
minimizzare il rischio di ricadute, cogliere precocemente eventuali segni di
allarme e far fronte agli eventi scatenanti.
5. FOLLOW-UP E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
In accordo a quanto prescritto dal protocollo è stato fissato un incontro di
follow-up a 20 settimane di distanza dall’ultima seduta di trattamento.
Alla paziente è stato somministrato nuovamente l'Eating Disorder Examination
Questionnaire (EDE-Q 6.0). La paziente ha riportato un punteggio stabile, in
linea con quello ottenuto a fine trattamento e ha mantenuto i progressi acquisiti
in precedenza.
89
Capitolo V
CLAUDIO: UN CASO DI ATTACCO DI PANICO CON AGORAFOBIA
1. CARATTERISTICHE CLINICHE DEL DISTURBO DI PANICO
Gli attacchi di panico possono essere considerati come una improvvisa
manifestazione di ansia, ove quattro o più sintomi somatici o cognitivi
aumentano progressivamente o si manifestano entro un periodo di 10 minuti.
Classicamente si ha la presenza di capogiri, sudorazione, tachicardia o tremori
per quel che concerne le risposte somatiche, mentre da un punto di vista più
propriamente cognitivo i sintomi riguardano la paura di perdere il controllo o di
diventare pazzo e più frequentemente la paura di soffocare o di morire.
Il disturbo di attacco di panico, affinché possa essere diagnosticato, deve
comprendere una presenza ricorrente e inaspettata della sintomatologia.
Successivamente, e per un periodo di almeno un mese, il soggetto deve
riportare un intenso timore di avere altri attacchi e devono comunque essersi
manifestati almeno due episodi spontanei.
Affinché la diagnosi possa essere corretta è necessario che si possa escludere
la presenza di fattori o patologie organiche che possano in qualche modo
determinare lo stato di attivazione ed il suo mantenimento, come nel caso
dell'intossicazione da sostanze (da caffeina, anfetamine, ecc.) o di disfunzioni
della tiroide (ipertiroidismo).
Da un punto di vista cognitivo risulta centrale il timore circa l'esperienza di
alcuni eventi specifici. Ciò si inquadra nel modello del disturbo di panico
proposto da Clark (1986), ove il disturbo stesso sarebbe il risultato di
catastrofiche interpretazioni circa gli eventi e dalle quali si originerebbe una
sequenza di pensieri, emozioni e sensazioni tali da innescare un vero e proprio
circolo vizioso. L'evento attivante verrebbe quindi interpretato in termini di
90
pericolo e tale minaccia attiverebbe lo stato di ansia, innescando i sintomi
somatici associati.
La presenza dei sintomi verrà così interpretata in termini catastrofici
segnalando ulteriore pericolo e ciò contribuirà ulteriormente all'incremento
dell'ansia e del livello di attivazione complessiva dell'individuo. Reazioni
emotive a specifici stimoli quindi, innescheranno sensazioni corporee e queste
ultime contribuiranno alla generazione di pensieri negativi circa le stesse
sensazioni corporee, generando così ulteriore ansia.
Tale circolo vizioso culminerà con l'attacco di panico, sostenuto da ulteriori
fattori di mantenimento, quali l'attenzione selettiva riguardo alle sensazioni
corporee, i comportamenti protettivi e l'evitamento.
I comportamenti protettivi in particolare, sono alla base del mantenimento del
disturbo, in quanto impediscono la disconferma delle convinzioni catastrofiche
erronee e fanno si che il mancato avverarsi delle conseguenze temute venga
imputato alle stesse condotte disfunzionali.
1.1 TRATTAMENTO
Il trattamento deve avvenire successivamente a un assessment approfondito
che consenta di giungere a una buona concettualizzazione del caso.
Questo deve fornire informazioni circa la natura delle interpretazioni
catastrofiche erronee e dei comportamenti protettivi e di evitamento, nonché
una descrizione delle situazioni temute. Tale analisi consente appunto di
individuare le componenti del circolo del panico.
E' utile inoltre una misura della frequenza e dell'intensità degli episodi (a tal
fine si possono utilizzare specifici questionari o anche il diario dell'attacco di
panico).
Una volta ricostruiti i meccanismi che sono alla base del disturbo è auspicabile
introdurre al paziente il modello ricavato dalle informazioni raccolte, con
l'obiettivo di mettere in evidenza l'esistenza del circolo vizioso e in ultima
istanza il legame tra le sue componenti e l'aumento dei sintomi.
91
Tale compito può essere facilitato attraverso l'utilizzo di metafore che facilitino
la comprensione dei legami reciproci appartenenti al circolo del panico, ma
anche manipolando i comportamenti protettivi durante le sedute terapeutiche,
così da chiarire quanto questi impediscano realmente la verifica delle
previsioni catastrofiche attese.
Alla luce di quanto evidenziato l'obiettivo principale del trattamento consiste
quindi nella riduzione delle credenze che sono associate alle interpretazioni
erronee degli stimoli in termini di pericolo incombente.
La messa in discussione delle credenze è necessaria per scardinare le
fondamenta che costituiscono la base del disturbo.
A tal fine vengono utilizzate strategie di riattribuzione. Le strategie di
riattribuzione comportamentale si basano su veri e propri esperimenti che
permettono l'induzione del sintomo (e delle sensazioni di panico) al fine di
modificare le credenze sottostanti e mettono in evidenza le interpretazioni
erronee. Fra i compiti più comuni vi è l'induzione di iperventilazione (che
facilita la comparsa di sintomi somatici quali l'aumento del battito cardiaco,
sensazioni di calore, di mancamento, di dissociazione ecc.) e i compiti di
esercizio fisico.
In generale l'esaltazione dei sintomi permette di dimostrare che le
conseguenze temute non si avverano e che le credenze possono essere
smentite. Tale evidenza ha come conseguenza diretta l'eliminazione delle
condotte di evitamento in associazione a una diminuzione dei comportamenti
protettivi.
Tra le tecniche comportamentali più utilizzate vi è l'esposizione allo stimolo
temuto, che può essere in vivo o in immaginazione.
In genere gli esercizi di esposizione vengono organizzati secondo una
gerarchia di difficoltà graduale e crescente. Un esempio è la
desensibilizzazione sistematica (Wolpe, 1958; Goldfried e Davison, 1976) in
cui si insegna al paziente una tecnica di rilassamento associata alla
costruzione di una gerarchia e alla rappresentazione graduale di situazioni che
generano ansia.
92
Tra le strategie di riattribuzione vi sono anche le tecniche di riattribuzione
verbale che si basano su procedure di confutazione delle prove che
sostengono l'interpretazione erronea.
Il paziente è invitato alla ricerca di tali prove e viene introdotto in una sorta di
"scoperta guidata" basata sull'educazione e sull'analisi razionale delle
controevidenze.
2. OSSERVAZIONI DI PRIMO COLLOQUIO
Claudio si presenta in studio in anticipo. Mi riferisce che ha aspettato con
ansia in sala d’attesa, avrebbe voluto cominciare la seduta il prima possibile.
Appare molto agitato, osserva con attenzione i quadri appesi alle pareti.
Una volta iniziato il colloquio però si blocca, l’eloquio si inceppa, poi riprende a
raccontare ciò che ha anticipato per telefono. Utilizza una produzione
espressiva poco modulata. E’ comunque partecipe ed ha un atteggiamento
collaborativo. L’esame di realtà è congruo, con discrete capacità attentive.
Sottolinea più volte di voler risolvere i suoi problemi e di poter far fronte senza
difficoltà alle situazioni nelle quali manifesta il disturbo.
3. ASSESSMENT
3.1 INTRODUZIONE
L'assessment è stato svolto durante 5 incontri settimanali della durata di 50
minuti ciascuno, compresa una seduta finale di restituzione, ove sono stati
definiti il contratto terapeutico e gli obiettivi dell'intervento.
Durante tale fase è stato possibile esplorare il caso, soprattutto per quel che
concerne l'anamnesi personale e familiare, nonché la storia del problema e il
funzionamento attuale.
93
Nella fase di assessment è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0):
SCHEDA SCALA PUNTEGGIO SCHEDA SCALA PUNTEGGIO
Scheda 2 STAI X1 Ansia di stato
90.9 IP 4 Viaggi 97.4
Scheda 3 STAI X2 Ansia di tratto
95.4 IP 5 Sangue 37.2
Scheda 5 EPQ/R Estroversione
60.8 Scheda 8 QD Sintomi depressivi
70.1
EPQ/R Nevroticismo
61.5 Scheda 9 MOCQ/R 31.8
EPQ/R Psicoticismo
56.8 MOCQ/R1 Checking
21.3
EPQ/R Lie 13.4 MOCQ/R2 Cleaning
18.9
Scheda 6 QPF/R Disturbi psicofisiologici
73.3 MOCQ/R3 Doubting
78.2
Scheda 7 IP F 42.4 Scheda 10 STAI X1 – R 76.7
IP PH 27.7 STAI DIFF App
IP 1 Calamità 43.6 STAI ACC App
IP 2 Eventi sociali 31.5 Indice IR App
IP 3 Animali 34.2 Protocollo valido
3.2 ANAMNESI PERSONALE E FAMILIARE
Claudio ha 24 anni, nato a termine da parto eutocico. Frequenta l'ultimo anno
del corso di laurea in ingegneria gestionale.
E' figlio unico. Suo padre è un architetto e svolge un incarico presso una
amministrazione pubblica presente sul territorio. La madre è anch'essa un
architetto ma attualmente non svolge alcuna attività lavorativa. In passato ha
lavorato presso uno studio di design, ma ha poi lasciato a causa di
incomprensioni con il socio dello studio.
Fin da piccolo vive a contatto con la nonna materna, in quanto i genitori non
sono presenti quasi mai a casa per motivi di lavoro.
94
Riferisce uno sviluppo somato-psichico nella norma, ne sono riferiti particolari
problemi di salute, a parte una allergia stagionale che lo accompagna da
diversi anni e a un intervento chirurgico subito all’età di 8 anni per curare un
ernia scrotale
Assenza di disturbi psichiatrici nell'ambito familiare e in quello relativo alle
ascendenze prossime. La madre tuttavia è descritta come persona ansiosa, ed
in passato ha sofferto anch’essa di attacchi di panico.
Non fuma ne beve. Non assume farmaci, a parte qualche antinfiammatorio in
caso di mal di testa o mal di denti.
Riferisce di essere stato un bambino giocoso ed estroverso. Frequenta con
profitto la scuola elementare e media e le maestre informano i genitori che il
figlio è portato per le materie scientifiche e la matematica.
Si iscrive al liceo scientifico e partecipa alle olimpiadi della matematica,
classificandosi fra i primi posti a livello nazionale.
Durante gli anni del liceo matura la decisione di diventare ingegnere,
assecondato dai genitori (soprattutto dal padre).
Da un punto di vista relazionale e affettivo, Claudio riferisce di aver coltivato
da sempre le amicizie, e di essersi circondato di persone allegre e divertenti.
Primo innamoramento a 15 anni. Prende una cotta per una sua compagna, ma
viene respinto. Una storia qualche anno più tardi, con una coetanea sua vicina
di casa. Dopo un lungo corteggiamento lei accetta di uscire con lui.
Claudio riferisce di aver avuto le prime esperienze sessuali nell’ambito di
questo rapporto, e queste sono descritte come una "scoperta gratificante":
Claudio timido e insicuro, Daniela molto più esperta e "spregiudicata" così
come lui la definisce.
Una storia durata parecchi anni, e finita nel modo peggiore: Claudio scopre
che Daniela lo tradisce e la vede mentre si incontra con l’altro.
La fine della storia ha rappresentato per Claudio una profonda delusione e una
ferita molto dolorosa.
Claudio ha avuto qualche altra storia, ma nulla di serio e di impegnativo.
Attualmente riferisce di non avere alcuna storia e di frequentare meno gli
amici, in conseguenza dei suoi problemi di ansia.
95
Sottolinea l’importanza che ha avuto per lui la nonna materna, con la quale ha
condiviso buona parte della sua infanzia, visto che i genitori erano spesso
assenti per motivi di lavoro, una importanza tale da considerare la nonna come
la sua seconda madre. La sua scomparsa, avvenuta di recente segna un
momento destabilizzante, la perdita di un punto di riferimento e l’inizio di un
periodo che Claudio descrive come difficile, periodo in cui avviene l’esordio del
primo attacco di panico.
3.3 STORIA DEL PROBLEMA E FUNZIONAMENTO ATTUALE
Il paziente decide di rivolgersi al terapeuta su suggerimento della madre e del
suo medico di base, perché da circa un anno e poco dopo la scomparsa della
nonna, soffre di disturbi d'ansia, con ripetuti e frequenti attacchi di panico.
Claudio decide di affrontare il disturbo in considerazione del forte disagio che
questi episodi hanno comportato e della conseguente limitazione della sua
qualità di vita.
Gli episodi d'ansia si verificano quando il paziente si trova fuori casa e in
luoghi pubblici.
Claudio riferisce di essersi sentito male diverse volte. La prima volta quando si
trovava all'interno di un ufficio postale, poi dopo qualche giorno anche in
banca. Successivamente gli è capitato di avere un attacco di panico al
ristorante ed infine, circa una settimana prima dell'appuntamento, anche in
palestra, con conseguente disagio sociale e senso di vergogna nei confronti
delle persone e degli amici che hanno assistito all’episodio.
In tutti casi è riportata intensa tachicardia, palpitazioni, senso di vuoto,
capogiri, derealizzazione.
In conseguenza di tali episodi decide progressivamente di allontanarsi dai
luoghi pubblici e affollati, diminuisce le interazioni con gli amici, aumenta il
tempo in cui sta in casa e diminuiscono quindi le occasioni di interazione
sociale.
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3.4 STRUMENTI DIAGNOSTICI UTILIZZATI
Complessivamente è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) e il Panic Rating Scale (PRS) (Wells, 1997), una
scala di valutazione costituita da 4 domande utili per avere maggiori
informazioni circa gli episodi di panico avvenuti nell’ultima settimana, la
frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
3.5 IPOTESI DIAGNOSTICA E CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO
Il paziente ha riferito di aver avuto ricorrenti e inaspettati attacchi di panico.
Successivamente ha riportato, per almeno un mese, la preoccupazione di
avere altri attacchi.
E’ inoltre riportata e descritta ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai
quali sarebbe difficile allontanarsi o chiedere aiuto nel caso di attacco di
panico. Il paziente riferisce che tali situazioni vengono opportunamente evitate.
E’ stata esclusa la presenza di fattori organici, quali l’intossicazione da
caffeina o anfetamine e ipertiroidismo.
La batteria CBA 2.0 ha confermato la presenza di una elevata ansia di tratto
(STAI X2), nonché una intensa paura per tutte quelle situazioni che
comportano un allontanamento da casa (IP 4).
Le informazioni raccolte nei 5 colloqui di assessment e i dati ricavati dalla
somministrazione degli strumenti hanno permesso pertanto di formulare la
diagnosi di attacco di panico con agorafobia.
Dall'analisi dei dati in possesso risultano infatti soddisfatti i criteri indicati nel
DSM-IV-TR:
A. Entrambi 1) e 2): 1) Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti 2) almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi: a) preoccupazione persistente di avere altri attacchi b) preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”) c) significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.
97
B. Presenza di Agorafobia:
A. Ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un Attacco di Panico inaspettato o sensibile alla situazione o di sintomi tipo panico. I timori agorafobici riguardano tipicamente situazioni caratteristiche che includono essere fuori casa da soli; essere in mezzo alla folla o in coda; essere su un ponte e il viaggiare in autobus, treno o automobile. B. Le situazioni vengono evitate (per es., gli spostamenti vengono ridotti) oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un Attacco di Panico o sintomi tipo panico, o viene richiesta la presenza di un compagno. C. L’ansia o l’evitamento fobico non sono meglio giustificabili da un disturbo mentale di altro tipo, come Fobia Sociale (per es., evitamento limitato alle situazioni sociali per timore di essere imbarazzato), Fobia Specifica (per es., evitamento limitato ad una singola situazione, come gli ascensori), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., evitamento dello sporco per gli individui con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., evitamento di stimoli associati con un grave fattore stressante) o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., evitamento della separazione dalla casa o dai familiari).
C. Gli Attacchi di Panico non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo). D. Gli Attacchi di Panico non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come Fobia Sociale (per es., si manifestano in seguito all’esposizione a situazioni sociali temute), Fobia Specifica (per es., in seguito all’esposizione ad una specifica situazione fobica), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., in seguito all’esposizione allo sporco in soggetto con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., in risposta a stimoli associati con un grave evento stressante) o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., in risposta all’essere fuori casa o lontano da congiunti stretti).
3.6 FATTORI PREDISPONENTI E PRECIPITANTI
Sulla base dei risultati degli strumenti somministrati e di quanto riferito durante
i colloqui di assessment è stato inoltre possibile individuare l'esistenza di
alcuni fattori predisponenti e precipitanti del problema:
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FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI
Attacchi di panico della madre Fine della storia d’amore con Daniela
Insicurezza Morte della nonna materna
Contesto familiare
3.7 CONTRATTO TERAPEUTICO E OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Durante il colloquio di restituzione viene spiegato al paziente che il problema è
diagnosticabile come un attacco di panico con agorafobia, ovvero un disturbo
d’ansia, trattabile con terapia cognitivo comportamentale.
Viene spiegato che sarà necessario esporsi gradualmente alle situazioni che
generano ansia, in modo da farle diminuire progressivamente. Per tali
evenienze sarà adeguatamente preparato e incoraggiato.
L'intervento terapeutico avrà quindi i seguenti obiettivi: ricominciare a
impegnarsi nelle attività che si facevano in passato, come recarsi con gli amici
nei luoghi di ritrovo, nei locali e in palestra, andare in banca o presso l’ufficio
postale, anche se molto affollato, frequentare assiduamente l’università e
concentrarsi sul miglioramento delle relazioni sociali.
Viene spiegato che il percorso terapeutico potrebbe richiedere diversi mesi e si
propone un trattamento di 15 sedute settimanali. Viene precisato che tra una
seduta e l'altra è di primaria importanza l'esecuzione da parte del paziente di
compiti terapeutici, necessari per la buona riuscita del trattamento.
In questa fase è avvenuta la formalizzazione del rapporto.
4. PIANO TERAPEUTICO E TRATTAMENTO
Il trattamento presenta una struttura di base standardizzata. Il protocollo
consta infatti di tre fasi ben distinte distribuite su 15 sedute di trattamento in 15
settimane.
99
4.1 FASE 1 (2 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Introduzione del modello cognitivo e costruzione del circolo vizioso partendo
dall’analisi dell’ultimo attacco di panico
• Identificazione delle convinzioni e delle interpretazioni errate
• Identificazione dei comportamenti protettivi e degli evitamenti
Per consentire una corretta analisi è stato chiesto al paziente di formulare
dapprima un elenco delle situazioni temute (fig. 1) e successivamente si è
provveduto a introdurre e compilare in seduta il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), così come specificato di
seguito:
SITUAZIONE PENSIERO EMOZIONE COMPORTAMENTO
Mi trovo all’interno dell’ufficio postale. E’ pieno di gente
Non credo di poter aspettare il mio turno, mi manca l’aria, mi gira la testa
Ansia Esco fuori, vado via
Sono in banca, la porta di accesso si guasta e non è più possibile uscire
Se succede qualcosa, tipo un incendio morirò qui dentro, non ci sono vie di fuga
Ansia Paura
Chiedo insistentemente di uscire, dichiaro che sto per svenire
Nello spogliatoio in palestra, qualcuno chiude la porta, c’è molto caldo
C’è poca aria, mi sento soffocare. Forse sto per sentirmi di nuovo male, non voglio che mi vedano in quello stato
Ansia Non mi cambio, esco immediatamente
Al ristorante con degli amici, siamo in attesa che ci assegnino un posto al tavolo
Con tutta questa gente, il locale sarà a norma? Dove sono gli estintori e le uscite di sicurezza?
Ansia Paura
Esco un attimo a prendere una boccata d’aria, poi trovo una scusa per andare via
100
Tale diario altro non è che una tabella caratterizzata dall’analisi funzionale
all’interno della quale è stato possibile inserire dettagli inerenti gli eventi
problematici: situazione, emozione e intensità, pensiero automatico (senza
risposte razionali all’interpretazione erronea).
ELENCO DELLE SITUAZIONI TEMUTE
Recarsi in luoghi chiusi o affollati
Andare all’ufficio postale
Andare in uffici pubblici o in banca
Negozio affollato
Pizzeria o ristorante pieno di gente
Palestra
Fig. 1 Elenco delle situazioni temute
E’ stato inoltre somministrato il Panic Rating Scale (PRS) (Wells, 1997), una
scala di valutazione costituita da 4 domande utili per avere maggiori
informazioni circa gli episodi di panico avvenuti nell’ultima settimana, la
frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
E’ stato chiesto al paziente, come compito a casa, di compilare giornalmente il
diario dell’attacco di panico, così come evidenziato nella fig. 2.
Il diario dell’attacco di panico è uno strumento molto importante, in quanto ha
permesso di identificare con facilità le false interpretazioni, in relazione alle
sue risposte verbali e comportamentali.
Il paziente ha così potuto “osservare con maggior nitidezza” le situazioni
problematiche e soprattutto la mancanza di correttezza dell’impianto di
pensiero a sostegno delle sue interpretazioni.
Grazie a questo nuovo modo di guardare al suo disturbo, il paziente ha
cominciato a comprendere il modello cognitivo alla base dell’attacco di panico
e la natura circolare delle sue strutture di base (psicoeducazione al disturbo): a partire da fattori scatenanti interni/esterni giudicati pericolosi si
101
attiva uno stato d’ansia che innesca sintomi somatici e cognitivi specifici. Una
ulteriore interpretazione erronea circa tale sintomatologia può generare
ulteriore ansia e una escalation tale da portare all’attacco di panico (fig. 3).
DATA SITUAZIONE PRINCIPALE SENSAZIONE
FISICA/MENTALE
PENSIERO NEGATIVO (Interpretazione
erronea)
RISPOSTA AL PENSIERO NEGATIVO
NUMERO TOTALE DEGLI
ATTACCHI DI PANICO
Lun Vado alla posta per pagare la bolletta
Mi manca l’aria, mi sudano le
mani
Mi sento morire, moriro?
1
Mar Mer Gio Ven
Sab In pizzeria con gli amici
Tachicardia, derealizzazione
Sto per impazzire, non volevo venire qui di sabato, c’è sempre
troppa gente
1
Dom
Fig. 2 Esempio di diario giornaliero degli attacchi di panico
Il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali ha consentito
inoltre di meglio mettere in luce i comportamenti protettivi adottati da Claudio e
gli evitamenti messi in atto per tutelarsi dalle situazioni temute. Purtroppo i
comportamenti protettivi impediscono una disconferma delle interpretazioni
erronee e mantengono il disturbo in forza del fatto che è a loro imputato il
mancato avverarsi delle conseguenze temute.
4.2 FASE 2 (8 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Generazione di risposte razionali ai pensieri disfunzionali grazie alle prove
di disconferma
102
• Modificazione delle cognizioni e dei comportamenti coinvolti nel
mantenimento del disturbo attraverso riattribuzione verbale e modificazioni
comportamentali
• Analisi delle credenze sottostanti
Struttura della seduta:
1) analisi dei compiti svolti a casa (diario dell’attacco di panico con risposte
razionali, esercizi di esposizione, riduzione dei comportamenti protettivi); 2)
identificazione dei pensieri automatici/credenze e impiego di riattribuzioni
cognitive e comportamentali; 3) descrizione del ruolo dei pensieri e dei
comportamenti nella concettualizzazione generale del caso.
Fig. 3 Concettualizzazione del disturbo di panico secondo il modello di
Clark (1986), modificato da Wells (1999)
103
Questa risulta essere la fase centrale del trattamento. La concettualizzazione
condivisa con il paziente è stata portata avanti e si è arricchita.
La registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), utilizzata nella prima fase
del trattamento, è divenuta più specifica, grazie a una maggiore
consapevolezza del paziente circa il legame che intercorre tra pensieri ed
emozioni. Pertanto, al modello presentato precedentemente sono state
aggiunte colonne per la registrazione delle interpretazioni alternative (ossia
delle risposte razionali, con grado di convinzione), della rivalutazione del grado
di convinzione dei pensieri automatici precedenti e delle emozioni implicate (si
veda in proposito Wells A., 1997. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia,
McGraw-Hill). In virtù della ristrutturazione cognitiva adottata è stata possibile
una progressione del trattamento. Attraverso le tecniche cognitive
(riattribuzione verbale) è stato infatti possibile attaccare le convinzioni e le
credenze sottostanti i pensieri automatici negativi. Questo è avvenuto
mettendo in discussione i contenuti del pensiero e attivando strategie basate
su un processo educativo tendente all’esame di contro evidenze e di
spiegazioni alternative.
Utilizzando un dialogo basato sul metodo socratico è stato possibile chiarire
con accuratezza dettagli importanti, a partire dalla descrizione di specifici
episodi e chiedendo ad esempio al paziente di immaginare lo scenario delle
peggiori conseguenze possibili rispetto al verificarsi di quanto temuto (quale
sarebbe la cosa peggiore che potrebbe accadere? Cosa potrebbe accadere
nella peggiore delle ipotesi?).
Inoltre sono state poste domande a cascata relative alle implicazioni di
determinate situazioni, utilizzando la tecnica della “freccia discendente” (Burns, 1980). La ripetizione delle valutazioni circa le implicazioni di un
pensiero automatico (Fig. 4) consente di determinare i contenuti degli schemi
sottostanti (al punto finale, “bottom line”).
Per mettere in discussione le credenze è stato chiesto di ricercare e produrre
prove in grado di validare le sue convinzioni. Ciò ha permesso al paziente di
rendersi effettivamente conto che trovare prove a supporto dei propri pensieri
disfunzionali non è poi così semplice e che comunque spesso non vi sono
elementi realmente validi di conferma.
104
Anzi, attraverso questi ragionamenti, il paziente ha compreso che esistono
semmai delle contro evidenze, ossia delle prove a sfavore circa le convinzioni
e i pensieri disfunzionali. Le domande proposte sono state del tipo: “Quale
potrebbe essere un altro modo di vedere il problema? Quale è la prova a
favore di un altro punto di vista?”.
Il lavoro svolto ha permesso quindi di modificare le convinzioni del paziente
rispetto alle conseguenze e ai significati dei sintomi e quest’ultimo è stato in
grado, in ultima istanza, di fornire risposte razionali alle sue credenze (si veda
fig. 5).
Fig. 4 Esempio della tecnica della “freccia discendente” relativo al
caso clinico di Claudio
Il progresso del lavoro svolto è evidenziato dalla riduzione della frequenza e
dell’intensità degli episodi di panico riportati nel diario dell’attacco di panico.
Con il procedere della terapia e man mano che il paziente ha gradualmente
compreso l’inesattezza delle sue credenze, è stato possibile provare a
diminuire la frequenza dei comportamenti protettivi e degli evitamenti circa le
situazioni problematiche.
Cosa può accadere se mi trovo all'interno di un luogo chiuso?
Potrebbe scarseggiare l'ossigeno
Potrei sentirmi male, aumenterebbe il battito cardiaco
Mi succederebbe qualcosa di brutto, potrei impazzire
impazzendo perderei il controllo
105
La gestione e l’eliminazione delle condotte di evitamento è stata elicitata dalla
messa in atto degli esperimenti di esposizione. Solo esponendosi agli stimoli
ansiogeni infatti il paziente ha potuto sospendere gli evitamenti.
In particolare è stata predisposta una esposizione graduale alle situazioni
temute. Partendo da una analisi approfondita dell’elenco delle situazioni
temute elaborato in precedenza sono state costruite gerarchie relative alle
situazioni ansiogene sperimentate dalla paziente, espresse in unità soggettive
di disagio (SUD).
Il paziente si è quindi sottoposto a una esposizione graduale in vivo alle
situazioni individuate, partendo dapprima da quelle meno ansiogene. Dopo i
primi successi e aumentato il proprio senso di autoefficacia Claudio ha potuto
esercitarsi costantemente nel corso delle settimane. Di seguito una tabella
comparativa che riporta il grado di disagio attribuito prima e dopo le
esposizioni in vivo, a dimostrazione dei progressi fatti:
SUD
T1 T2
80 40 Ufficio postale pieno di gente
70 30 Pizzeria il sabato
50 20 Pizzeria durante la settimana
40 15 Banca
30 10 Palestra
Allo stesso tempo si è lavorato sul rilassamento, mettendo in atto la tecnica del
rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, sull’immaginazione di
situazioni rilassanti e sulla respirazione controllata. Questo per fornire al
paziente gli strumenti utili per aiutarlo a superare i momenti più difficili e per
attuare migliori strategie di problem solving e di gestione dell’ansia.
Le riattribuzioni comportamentali hanno permesso così di confutare le
credenze relative ai sintomi che comparivano in determinate e specifiche
situazioni, cioè è stato possibile modificare direttamente i sintomi, mettendo
106
materialmente alla prova le credenze del paziente rispetto ai suoi pensieri e
schemi. Ciò ha consentito di testare le previsioni circa i pericoli temuti.
Claudio ha compreso che in ultima istanza le situazioni temute non si sono
verificate, pur non mettendo in atto condotte protettive e di evitamento.
SITUAZIONE EMOZIONE PENSIERO INTERPRETAZIONI ALTERNATIVE
RISULTATI
Mi trovo all’interno dell’ufficio postale. E’ pieno di gente
Ansia Intensità dell’emozione: 70 (0‐100)
Non credo di poter aspettare il mio turno, mi manca l’aria, mi gira la testa Grado di convinzione: 90 (0‐100)
Se tutti riescono non vedo perché io non ce la debba fare. C’è un continuo ricambio d’aria Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Leggera ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 30 (0‐100)
Sono in banca, la porta di accesso si guasta e non è più possibile uscire
Ansia, Paura Intensità dell’emozione: 80 (0‐100) 80 (0‐100)
Se succede qualcosa, tipo un incendio morirò qui dentro, non ci sono vie di fuga Grado di convinzione: 80 (0‐100)
Un incendio è altamente improbabile e in ogni caso c’è sempre l’uscita di emergenza o la porta allarmata Rivalutazione del grado di convinzione: 50 (0‐100)
Leggera ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 40 (0‐100)
Nello spogliatoio in palestra, qualcuno chiude la porta, c’è molto caldo
Ansia Intensità dell’emozione: 70 (0‐100)
C’è poca aria, mi sento soffocare. Forse sto per sentirmi di nuovo male, non voglio che mi vedano in quello stato Grado di convinzione: 70 (0‐100)
Il fatto che si chiuda la porta è assolutamente normale e ciò non ostacola il ricambio di ossigeno Rivalutazione del grado di convinzione: 40 (0‐100)
Leggera ansia Rivalutazione dell’intensità dell’emozione: 30 (0‐100)
Fig. 5 registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD) dopo Riattribuzione verbale
107
Il significato dell’esperimento è stato quindi condiviso con il paziente e
soprattutto sono stati discussi i risultati nei termini della concettualizzazione
del disturbo, focalizzandosi principalmente sui circoli viziosi che si innescano e
che invariabilmente mantengono il problema.
4.3 FASE 3 (5 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Analisi delle credenze rimaste
• Eliminazione dei comportamenti protettivi residui
• Prevenzione delle ricadute
Alla fine del trattamento, come ultimo compito, è stato chiesto al paziente di
scrivere una sorta di breve riassunto del percorso terapeutico, che
comprendesse una descrizione di ciò che ha appreso durante il periodo di
trattamento.
In particolare è stato chiesto che all’interno del suo lavoro fossero presi in
considerazione e descritti il circolo vizioso (concettualizzazione), i
comportamenti protettivi e di evitamento, le false interpretazioni, le credenze
sottostanti, le prove a sfavore.
Sono state trattate le eventuali credenze rimaste e i comportamenti protettivi
residui, facendo leva su quanto appreso precedentemente e sulle tecniche di
cui ci si è avvalsi nella fase centrale della terapia.
A fine trattamento è stato effettuato un retest della batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) il quale ha confermato che i valori risultati
clinicamente significativi all’inizio del trattamento sono rientrati nella norma,
ovvero l’ansia di tratto e la scala IP 4.
Tutto il lavoro ha permesso al paziente di riunire in un unico filo conduttore il
lavoro svolto, sottolineando i capisaldi del trattamento così da favorire un
prolungamento degli esiti dell’intervento a lungo termine e diminuire la
probabilità di eventuali ricadute.
108
5. FOLLOW-UP E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
A tre e sei mesi di distanza dall’ultima seduta di trattamento sono stati fissati
due incontri di follow-up.
Al paziente è stata somministrata nuovamente la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0), riportando punteggi sovrapponibili a quelli di fine
trattamento.
Il paziente non ha più riportato attacchi di panico, ha frequentato assiduamente
i luoghi di ritrovo con i suoi amici, recandosi senza problemi e senza timori in
ambienti e uffici affollati, in banca, in palestra, all’ufficio postale e
all’università.
Negli ultimi mesi ha riferito di aver conosciuto nuovi amici e una nuova ragazza
con cui forse sta iniziando qualcosa di impegnativo.
109
Capitolo VI
MATTEO: UN CASO DI FOBIA SOCIALE
1. CARATTERISTICHE CLINICHE DELLA FOBIA SOCIALE
La fobia sociale concerne una paura marcata e persistente di una o più
situazioni sociali, nelle quali il soggetto è esposto a persone non familiari o al
possibile giudizio degli altri.
Ciò che il soggetto teme particolarmente è che le proprie prestazioni lo
possano esporre a una qualche forma di valutazione o giudizio negativo.
Situazioni fobiche classiche sono quelle riferibili a compiti quotidiani, quali il
mangiare in pubblico, il firmare, il parlare a uno sconosciuto.
Il soggetto pensa che il suo comportamento possa essere considerato
negativamente dagli altri, e a partire da tale considerazione ritiene di poter
essere rifiutato. Centrale è a tal proposito la paura del giudizio altrui, che
diviene un fattore di mantenimento del disturbo e che può innescare un
aumento dell’ansia e la conseguente chiusura dell’individuo al mondo esterno.
Ciò ha un impatto notevole, specie se si considerano le conseguenze sulla vita
sociale.
Da un punto di vista cognitivo è possibile riscontrare un cluster di
preoccupazioni tipiche, che si focalizzano principalmente sul desiderio di dare
una buona impressione di se agli altri.
Parallelamente, i soggetti vivono una intensa incertezza rispetto alla riuscita
delle loro performance. Questa insicurezza, unita alla paura di perdere il
proprio status sociale e di intaccare negativamente l’opinione degli altri,
genera una attivazione dell’ansia che invischia l’individuo in un vero e proprio
circolo vizioso.
A partire da questo processo l’attenzione dell’individuo è costantemente rivolta
alle sensazioni somatiche e ai feedback che potrebbero ricevere dagli altri,
110
categorizzati in termini di valutazione negativa. Ponendosi in una prospettiva di
osservazione e concentrando eccessivamente l’attenzione su di sé mettono in
atto dei comportamenti che interferiscono effettivamente con le loro
prestazioni.
Nella concettualizzazione del disturbo giocano un ruolo primario i
comportamenti protettivi e gli evitamenti, che perpetuano l’ansia e le credenze
sottostanti, divenendo un importante fattore di mantenimento.
1.1 TRATTAMENTO
Il trattamento deve avvenire successivamente a un assessment approfondito
che consenta di giungere a una buona concettualizzazione del caso.
Questo deve fornire informazioni circa la natura delle situazioni temute, dei
comportamenti protettivi e di evitamento (che privano della possibilità di
smentire le proprie credenze e i propri giudizi negativi).
E' utile inoltre una misura della frequenza e dell'intensità degli episodi (a tal
fine si possono utilizzare specifici questionari o anche diari o schede di
automonitoraggio).
Il punto centrale del trattamento è rappresentato dal cambiamento
dell’immagine distorta che il paziente ha di sé, compreso ciò che crede
rappresenti il giudizio altrui, nei termini delle conseguenze di ipotetiche
prestazioni sociali fallite.
E’ di primaria importanza eliminare le preoccupazioni di natura anticipatoria
che di fatto interferiscono con la prestazione sociale.
La sintomatologia è alimentata dai giudizi negativi, i quali a loro volta si
basano sui sintomi stessi. Le opinioni relative al concetto di sé, le strategie
attentive e i comportamenti protettivi contribuiscono al mantenimento della
fobia attraverso diversi cicli di risposta, ove il paziente attinge dalle situazioni
endogene informazioni per determinare rappresentazioni sociali ed estrapolare
errati giudizi e la percezione degli altri.
Una volta ricostruiti i meccanismi che sono alla base del disturbo è auspicabile
introdurre al paziente il modello ricavato dalle informazioni raccolte, con
111
l'obiettivo di mettere in evidenza l'esistenza del circolo vizioso e in ultima
istanza il legame tra le sue componenti e l'aumento dei sintomi.
Tale compito può essere facilitato mettendo in evidenza quanto i
comportamenti protettivi interferiscano realmente sulle prestazioni sociali e
sulla consapevolezza di sé.
La messa in discussione delle credenze è necessaria per scardinare le
fondamenta che costituiscono la base del disturbo.
A tal fine vengono utilizzate strategie di riattribuzione. Le strategie di
riattribuzione comportamentale si basano su veri e propri esperimenti che
permettono l’esposizione alle situazioni sociali temute al fine di modificare le
credenze sottostanti, mettendo in evidenza le interpretazioni erronee.
Tra le tecniche comportamentali più utilizzate vi sono le strategie di indagine
sull’ambiente circostante, nonché l'esposizione allo stimolo e la successiva
reale osservazione di sé tramite ausili audio o video.
Tra le strategie di riattribuzione vi sono anche le tecniche di riattribuzione
verbale che si basano su procedure di confutazione delle prove che
sostengono l'interpretazione erronea. Il paziente è invitato alla ricerca di tali
prove e viene introdotto in una sorta di "scoperta guidata" basata
sull'educazione e sull'analisi razionale delle controevidenze.
2. OSSERVAZIONI DI PRIMO COLLOQUIO
Matteo si presenta in studio dopo due rinvii, il primo per motivi di lavoro, il
secondo per l’insorgenza di febbre alta.
E’ un giovane di media altezza, si presenta accuratamente vestito, sfoggia un
abbigliamento sportivo: un paio di jeans e una polo beige.
L’espressione è partecipe, l’atteggiamento collaborativo. L’eloquio appare
spontaneo, privo di risposte inceppate e ben modulato. Mimica normale, buone
le capacità attentive e l’ideazione. Dall’esame di realtà appare lucido e ben
orientato.
112
3. ASSESSMENT
3.1 INTRODUZIONE
L'assessment è stato svolto durante 5 incontri settimanali della durata di 50
minuti ciascuno, compresa una seduta finale di restituzione, ove sono stati
definiti il contratto terapeutico e gli obiettivi dell'intervento.
Durante tale fase è stato possibile esplorare il caso, soprattutto per quel che
concerne l'anamnesi personale e familiare, nonché la storia del problema e il
funzionamento attuale.
Nella fase di assessment è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0):
SCHEDA SCALA PUNTEGGIO SCHEDA SCALA PUNTEGGIO
Scheda 2 STAI X1 Ansia di stato
74.3 IP 4 Viaggi 66.4
Scheda 3 STAI X2 Ansia di tratto
96.5 IP 5 Sangue 57.1
Scheda 5 EPQ/R Estroversione
50.3 Scheda 8 QD Sintomi depressivi
48.8
EPQ/R Nevroticismo
44.6 Scheda 9 MOCQ/R 36.7
EPQ/R Psicoticismo
61.7 MOCQ/R1 Checking
31.2
EPQ/R Lie 23.8 MOCQ/R2 Cleaning
35.9
Scheda 6 QPF/R Disturbi psicofisiologici
63.2 MOCQ/R3 Doubting
58.8
Scheda 7 IP F 81.2 Scheda 10 STAI X1 – R 53.6
IP PH 43.6 STAI DIFF App
IP 1 Calamità 54.5 STAI ACC App
IP 2 Eventi sociali 97.1 Indice IR App
IP 3 Animali 44.1 Protocollo valido
113
3.2 ANAMNESI PERSONALE E FAMILIARE
Matteo ha 36 anni, nato a termine da parto eutocico. Giornalista, lavora presso
una emittente televisiva nazionale.
Ha una sorella, poco più piccola di lui trasferitasi al Nord per motivi di lavoro.
Suo padre è in pensione. Anche lui in passato è stato un giornalista. La madre
è impiegata presso il tribunale amministrativo regionale della sua città.
Riferisce uno sviluppo somato-psichico nella norma, ne sono riferiti particolari
problemi di salute, a parte un intervento subito per suturare una ferita al capo
a seguito di una caduta in chiesa. Soffre di allergie stagionali.
Assenza di disturbi psichiatrici nell'ambito familiare (eccetto alcuni episodi
fobico sociali che hanno visto coinvolta la madre, da giovane) e in quello
relativo alle ascendenze prossime. Non fuma. Beve ogni tanto un bicchiere di
vino ai pasti, quando è a casa.
Fin da bambino mostra un temperamento introverso, che in qualche modo lo
ostacola nel coltivare le amicizie e i rapporti con il gruppo dei pari. Si definisce
un insicuro.
Frequenta con profitto la scuola elementare e media. Si iscrive al liceo
classico. Durante gli anni del liceo matura la decisione di diventare giornalista.
Nel giro di pochi anni, a seguito di una carriera universitaria brillante, si iscrive
all’albo dei giornalisti ed inizia a collaborare con alcuni quotidiani. Dopo circa
un anno partecipa al concorso bandito da una emittente televisiva nazionale e
lo vince, classificandosi al terzo posto.
Da un punto di vista relazionale e affettivo, Matteo non nasconde certe sue
difficoltà nell’istaurare le relazioni sociali: “colpa della mia timidezza” riferisce
più volte “e del mio carattere riservato”.
Primo flirt a 16 anni con una compagna del liceo. Descrive l’esperienza come
molto gratificante, piena di coccole romantiche e bacetti.
Matteo nega tuttavia di aver avuto le prime esperienze sessuali nell’ambito di
questo rapporto. Queste arriveranno qualche anno più tardi, durante gli studi
universitari. Due sole storie che descrive con superficialità, e che bolla come
“niente di importante”.
114
Attualmente riferisce di essere impegnato sentimentalmente con Marica, una
ragazza di 32 anni con la quale ha una storia da circa sei anni. Da due anni
convivono assieme.
Matteo sottolinea l’importanza che Marica ha per lui, una donna dolcissima e
comprensiva, “un punto fermo nella mia vita e che non mi giudica mai male”
riferendosi ai suoi problemi attuali, al disagio provocato dal disturbo e al suo
convincimento circa il giudizio negativo degli altri rispetto a certe situazioni
sociali.
3.3 STORIA DEL PROBLEMA E FUNZIONAMENTO ATTUALE
Il paziente decide di rivolgersi al terapeuta su suggerimento della fidanzata,
perché da circa due anni, soffre di disturbi d'ansia che insorgono quando si
trova in specifiche situazioni sociali, ove è esposto a persone non familiari e
nelle quali è sottoposto al giudizio degli altri.
Matteo decide di affrontare il disturbo motivato dal disagio e dalle
conseguenze di questo sulla sua vita lavorativa e di relazione.
Gli episodi fobici concernono situazioni specifiche, come mangiare in pubblico,
trovarsi a mensa con i colleghi di lavoro, chiedere informazioni a uno
sconosciuto, discutere sul prezzo di un articolo esposto in vetrina, entrare in
un negozio e decidere di uscire senza comprare nulla.
Matteo riferisce che anche la madre avrebbe evitato più volte di mangiare in
pubblico. Racconta episodi accaduti durante l’infanzia in cui a fronte della
richiesta dei figli di rimanere a pranzare fuori viene messo in atto il diniego
della madre, supportato sempre da motivazioni inconsistenti.
Attualmente il soggetto prova vergogna a mangiare in pubblico e pertanto,
quando si trova al lavoro, mangia da solo in auto.
Nonostante l’ufficio sia dotato di una mensa comoda e funzionale il soggetto
evita di servirsene.
115
E’ convinto, trattandosi di un self service, che farà cadere il vassoio durante i
suoi spostamenti per scegliere le varie portate.
E’ convinto di perdere facilmente l’equilibrio, di cadere rovinosamente, di
versare le minestre o le bevande sui colleghi e che questi possano deriderlo
inesorabilmente.
Se si trova in un luogo pubblico evita i pasti perché crede che le persone
possano accorgersi del cibo che esce dalla bocca, sporcandosi o che qualcuno
possa notare i suoi denti ingialliti o rimasugli di cibo.
Matteo riferisce di non avere mai avuto questo tipo di paure in passato e che il
disagio è cominciato dopo essere scivolato sul pavimento bagnato della mensa
e conseguentemente dopo aver rovesciato la zuppa su una sua collega.
A causa di quell’evento, che è descritto come molto umiliante, decide di non
frequentare più la mensa e di mangiare da solo, portandosi il cibo da casa.
In conseguenza di tali episodi diminuisce le interazioni con i colleghi e gli
amici, innescando una serie di profonde frustrazioni per l’isolamento sociale
conseguente.
3.4 STRUMENTI DIAGNOSTICI UTILIZZATI
Complessivamente è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) e il Social Phobia Rating Scale (SPRS) (Wells,
1997), una scala di valutazione costituita da 5 domande utili per avere
maggiori informazioni circa gli episodi fobici avvenuti nell’ultima settimana, la
frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
3.5 IPOTESI DIAGNOSTICA E CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO
Il paziente ha riferito di aver provato una paura marcata e persistente di
situazioni sociali specifiche (mangiare in pubblico, nella mensa dell’ufficio,
parlare con sconosciuti) nell’ambito delle quali si è sentito giudicato
negativamente circa l’esito delle sue prestazioni sociali.
116
Queste situazioni hanno procurato ansia (anche intensa) e imbarazzo.
Molte tra le situazioni sociali temute vengono evitate, o vengono messi in atto
particolari accorgimenti e/o comportamenti protettivi.
La batteria CBA 2.0 ha confermato la presenza di una elevata ansia di tratto
(STAI X2), nonché paure riferite a eventi sociali e situazioni che comportano
critica o rifiuto sociale (IP 2).
Le informazioni raccolte nei 5 colloqui di assessment e i dati ricavati dalla
somministrazione degli strumenti hanno permesso pertanto di formulare la
diagnosi di fobia sociale.
Dall'analisi dei dati in possesso risultano infatti soddisfatti i criteri indicati nel
DSM-IV-TR:
A. Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri. L’individuo teme di agire (o di mostrare sintomi di ansia) in modo umiliante o imbarazzante. Nota: nei bambini deve essere evidente la capacità di stabilire rapporti sociali appropriati all’età con persone familiari e l’ansia deve manifestarsi con i coetanei, e non solo nell’interazione con gli adulti. B. L’esposizione alla situazione temuta quasi invariabilmente provoca l’ansia, che può assumere le caratteristiche di un Attacco di Panico causato dalla situazione o sensibile alla situazione. Nota Nei bambini, l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con l’irrigidimento, o con l’evitamento delle situazioni sociali con persone non familiari. C. La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole. Nota: nei bambini questa caratteristica può essere assente. D. Le situazioni temute sociali o prestazionali sono evitate o sopportate con intensa ansia o disagio. E. L’evitamento, l’ansia anticipatoria o il disagio nella/e situazione/i sociale o prestazionale interferiscono significativamente con le abitudini normali della persona, con il funzionamento lavorativo (scolastico) o con le attività o relazioni sociali, oppure è presente marcato disagio per il fatto di avere la fobia. F. Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi. G. La paura o l’evitamento non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale, e non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale (per es., Disturbo di Panico Con Agorafobia o Senza Agorafobia, Disturbo d’Ansia di Separazione, Disturbo da Dismorfismo Corporeo, un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo o il Disturbo Schizoide di Personalità). H. Se sono presenti una condizione medica generale o un altro disturbo mentale, la paura di cui al Criterio A non è ad essi correlabile, per es., la paura non riguarda la Balbuzie, il tremore nella malattia di Parkinson o il mostrare un
117
comportamento alimentare abnorme nell’Anoressia Nervosa o nella Bulimia Nervosa.
3.6 FATTORI PREDISPONENTI E PRECIPITANTI
Sulla base dei risultati degli strumenti somministrati e di quanto riferito durante
i colloqui di assessment è stato inoltre possibile individuare l'esistenza di
alcuni fattori predisponenti e precipitanti del problema:
FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI
Familiarità Incidente accaduto alla mensa dell’ufficio
Insicurezza
Timidezza
3.7 CONTRATTO TERAPEUTICO E OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Durante il colloquio di restituzione viene spiegato al paziente che il problema è
diagnosticabile come fobia sociale, ovvero un disturbo d’ansia, trattabile con
terapia cognitivo comportamentale.
Viene spiegato che sarà necessario esporsi gradualmente alle situazioni che
generano ansia, in modo da farle diminuire progressivamente. Per tali
evenienze sarà adeguatamente preparato e incoraggiato.
L'intervento terapeutico avrà quindi i seguenti obiettivi: ricominciare a
impegnarsi nelle attività sociali temute, come recarsi alla mensa dell’ufficio,
mangiare nei locali pubblici e nei self-service, chiedere informazioni a uno
118
sconosciuto, informarsi e discutere sul prezzo di un articolo in un negozio e
concentrarsi sul miglioramento delle relazioni sociali.
Viene spiegato che il percorso terapeutico potrebbe richiedere diversi mesi e si
propone un trattamento di 15 sedute settimanali. Viene precisato che tra una
seduta e l'altra è di primaria importanza l'esecuzione da parte del paziente di
compiti terapeutici, necessari per la buona riuscita del trattamento.
In questa fase è avvenuta la formalizzazione del rapporto.
4. PIANO TERAPEUTICO E TRATTAMENTO
Il trattamento presenta una struttura di base standardizzata. Il protocollo
consta infatti di tre fasi ben distinte distribuite su 15 sedute di trattamento in 15
settimane.
4.1 FASE 1 (2 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Introduzione del modello cognitivo e costruzione del circolo vizioso partendo
dall’analisi degli ultimi episodi fobici
• Identificazione delle convinzioni e delle interpretazioni errate
• Identificazione dei comportamenti protettivi e degli evitamenti
Per consentire una corretta analisi è stato chiesto al paziente di formulare
dapprima un elenco delle situazioni temute (fig. 1) e successivamente si è
provveduto a introdurre e compilare in seduta il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), così come specificato nella
pagina seguente:
119
SITUAZIONE PENSIERO EMOZIONE COMPORTAMENTO
Sono in fila al self service della mensa. Ho in mano il vassoio con un piatto e della carne
Probabilmente non riuscirò a tenere in equilibrio il vassoio. Forse scivolerà il piatto con la carne. Mi sento gli occhi di tutti addosso
Ansia Paura
Mi concentro su di me, trattengo il fiato. Cammino lentamente e osservo la mia mano che tiene il vassoio
Sono al bar e mangio un cornetto prima del caffè
Non riesco a mangiare. Penso alle briciole del cornetto che potrebbero attaccarsi alle labbra e la signorina del bar potrebbe accorgersene. Sarei ridicolo
Ansia Vergogna
Mangio in maniera goffa, apro la bocca quando la signorina si gira e deglutisco quasi senza masticare
Sono seduto al tavolo della pizzeria con la mia ragazza e gli amici
I miei amici sono seduti vicino a me. Se apro troppo la bocca potrebbero accorgersi dei miei denti ingialliti
Ansia Vergogna
Provo a mangiare con la bocca socchiusa, lentamente, taglio la pizza a piccoli pezzetti
Mi trovo all’interno di un negozio di abbigliamento. Ho chiesto il prezzo di diversi articoli alla commessa
Ho esagerato chiedendo i prezzi di tutti questi articoli. Adesso come faccio ad andare via senza comprare nulla?
Ansia Paura
Compro una maglietta
Tale diario altro non è che una tabella all’interno della quale è stato possibile
inserire dettagli inerenti gli eventi problematici: situazione, emozione, pensiero
automatico (senza risposte razionali all’interpretazione erronea).
E’ stato inoltre somministrato il Social Phobia Rating Scale (SPRS) (Wells,
1997), una scala di valutazione costituita da 5 domande utili per avere
maggiori informazioni circa gli episodi fobici avvenuti nell’ultima settimana, la
frequenza, la sintomatologia e i comportamenti protettivi.
Il paziente adotta in particolare alcuni comportamenti protettivi specifici, quali
parlare poco, evitare di incrociare lo sguardo, respirare lentamente o trattenere
il fiato mentre è in piedi con il vassoio della mensa, camminare lentamente,
concentrarsi su se stesso o provare a controllare i propri pensieri, osservare
continuamente le proprie mani o i piatti per verificare che non fuoriesca del
120
cibo, ingoiare i bocconi quasi senza masticare, deglutire a bocca chiusa per
evitare che qualcuno si accorga del cibo masticato o fuoriuscito
inavvertitamente.
E’ stato chiesto al paziente, come compito a casa, di compilare giornalmente
un diario, da utilizzare per descrivere eventuali situazioni che si dovessero
presentare e inerenti alla situazione fobico sociale o ad altre situazioni di
disagio.
ELENCO DELLE SITUAZIONI TEMUTE
Servirsi della mensa dell’ufficio
Mangiare in pubblico
Sedere al bar e consumare in presenza di sconosciuti
Chiedere informazioni ripetute rispetto ad articoli o prodotti in vendita
Fig. 1 Elenco delle situazioni temute
Il diario è uno strumento molto utile, in quanto ha permesso di identificare con
facilità le credenze disfunzionali, e sulla base delle risposte verbali e
comportamentali, gli evitamenti e i comportamenti protettivi.
Considerato che al centro della concettualizzazione vi è la percezione che il
paziente ha di se stesso come oggetto sociale è risultato utile trarre maggiori
informazioni rispetto a questo aspetto.
Le domande proposte sono state del tipo: “Quando si è trovato in quella
situazione su quali aspetti di se stesso si è maggiormente concentrato? Di
quali sintomi ha avuto maggiore consapevolezza? All’interno della mensa come
pensa sia apparso agli occhi dei suoi colleghi? Se non avesse adottato i suoi
comportamenti protettivi sarebbe cambiato qualcosa agli occhi degli altri?”.
121
Per aiutare Matteo a riconoscere l’elaborazione delle percezioni del sé è stato
invitato a immaginare la scena di come lui pensa sia apparso in quel momento
e a descriverla. Ciò è stato molto utile per il proseguo del percorso terapeutico.
Grazie a questo nuovo modo di guardare al suo disturbo, il paziente ha
cominciato a comprendere il modello cognitivo alla base del problema e la
natura circolare delle sue strutture di base (psicoeducazione al disturbo): a
partire da una situazione sociale i soggetti vivono una intensa incertezza
rispetto alla riuscita delle loro performance. Questa insicurezza, unita alla
paura di perdere il proprio status sociale e di intaccare negativamente
l’opinione degli altri, genera una attivazione dell’ansia che invischia l’individuo
in un vero e proprio circolo vizioso.
A partire da questo processo l’attenzione dell’individuo è costantemente rivolta
alle sensazioni somatiche e ai feedback che potrebbero ricevere dagli altri
(elaborazione del sé come oggetto sociale), categorizzati in termini di
valutazione negativa. Ponendosi in una prospettiva di osservazione e
concentrando eccessivamente l’attenzione su di sé mettono in atto dei
comportamenti che interferiscono effettivamente con le loro prestazioni (fig. 2).
Il diario giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali ha consentito
inoltre di meglio mettere in luce i comportamenti protettivi adottati da Matteo e
gli evitamenti messi in atto per tutelarsi dalle situazioni temute. Purtroppo i
comportamenti protettivi impediscono una disconferma delle interpretazioni
erronee e mantengono il disturbo in forza del fatto che è a loro imputato il
mancato avverarsi delle conseguenze temute.
4.2 FASE 2 (8 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Generazione di risposte razionali ai pensieri disfunzionali grazie alle prove
di disconferma
• Modificazione delle cognizioni attraverso riattribuzione verbale
122
• Modificazione dei comportamenti coinvolti attraverso l’osservazione di sé
tramite ausili audio o video e la messa in atto delle strategie di indagine
sull’ambiente circostante
• Analisi delle credenze sottostanti
Struttura della seduta:
1) analisi dei compiti svolti a casa (diario con l’aggiunta di risposte razionali,
messa in atto delle strategie di indagine sull’ambiente circostante); 2)
identificazione dei pensieri automatici/credenze e impiego di riattribuzioni
cognitive e comportamentali; 3) descrizione del ruolo dei pensieri e dei
comportamenti nella concettualizzazione generale del caso.
Fig. 2 Concettualizzazione della fobia sociale secondo il modello
cognitivo di Clark e Wells (1995; Wells e Clark, 1997)
123
Questa risulta essere la fase centrale del trattamento. La concettualizzazione
condivisa con il paziente è stata portata avanti e si è arricchita.
La registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), utilizzata nella prima fase
del trattamento, è divenuta più specifica, grazie a una maggiore
consapevolezza del paziente circa il legame che intercorre tra pensieri ed
emozioni.
Pertanto, al modello presentato precedentemente sono state aggiunte colonne
per la registrazione delle interpretazioni alternative (ossia delle risposte
razionali, con grado di convinzione), della rivalutazione del grado di
convinzione dei pensieri automatici precedenti e delle emozioni implicate (si
veda in proposito Wells A., 1997. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia.
McGraw-Hill).
In virtù della ristrutturazione cognitiva adottata è stata possibile una
progressione del trattamento.
Attraverso le tecniche cognitive (riattribuzione verbale) è stato infatti
possibile attaccare le convinzioni e le credenze sottostanti i pensieri automatici
negativi.
Questo è avvenuto mettendo in discussione i contenuti del pensiero (si pensi a
errori del tipo lettura del pensiero o previsione del futuro) e attivando strategie
basate su un processo educativo tendente all’esame di contro evidenze e di
spiegazioni alternative.
Utilizzando un dialogo basato sul metodo socratico è stato possibile chiarire
con accuratezza dettagli importanti, a partire dalla descrizione di specifici
episodi e chiedendo ad esempio al paziente di immaginare lo scenario delle
peggiori conseguenze possibili rispetto al verificarsi di quanto temuto (quale
sarebbe la cosa peggiore che potrebbe accadere? Cosa potrebbe accadere
nella peggiore delle ipotesi?).
Per mettere in discussione le credenze è stato chiesto di ricercare e produrre
prove in grado di validare le sue convinzioni.
Ciò ha permesso al paziente di rendersi effettivamente conto che trovare prove
a supporto dei propri pensieri disfunzionali non è poi così semplice e che
comunque spesso non vi sono elementi realmente validi di conferma.
124
CONVINZIONI E PENSIERI DISFUNZIONALI
RISPOSTA RAZIONALE
Tutti mi guardano, mi sento gli occhi addosso
Non ci sono prove che supportino questa convinzione, io non mi sono mai guardato intorno e non so cosa effettivamente gli altri guardino
Quando sono in fila con quel vassoio non sembro normale
La mia postura e i miei movimenti non hanno nulla di diverso da quelli degli altri colleghi
I miei colleghi si accorgono che sono ansioso
Se sono sereno e rilassato, così come devo essere, non avrò alcuna ansia, nessuno penserà a me
Farò cadere il piatto e rovescerò tutto
Tutti riescono tranquillamente a usare vassoi e piatti senza farli cadere, io non sono da meno, anche se questa evenienza potrebbe capitare e non ci sarebbe in fin dei conti nulla di male
Sono inadeguato e non piaccio ai miei colleghi
E’ improbabile che i miei colleghi pensino che sia inadeguato a servirmi della mensa e questo comunque non è un fattore che influisce sul fatto che io possa piacere o meno alle persone
Fig. 3 Alcune credenze negative del paziente rispetto alla situazione fobica del
trovarsi a mensa e risposte razionali dopo ristrutturazione cognitiva
Anzi, attraverso questi ragionamenti, il paziente ha compreso che esistono
semmai delle contro evidenze, ossia delle prove a sfavore circa le convinzioni
e i pensieri disfunzionali. Le domande proposte sono state del tipo: “Quale
potrebbe essere un altro modo di vedere il problema? Quale è la prova a
favore di un altro punto di vista?”.
Il lavoro svolto ha permesso quindi di modificare le convinzioni del paziente
rispetto alle conseguenze e ai significati dei sintomi e quest’ultimo è stato in
grado, in ultima istanza, di fornire risposte razionali alle sue credenze (si veda
fig. 3).
Con il procedere della terapia e man mano che il paziente ha gradualmente
compreso l’inesattezza delle sue credenze, è stato possibile provare a
diminuire la frequenza dei comportamenti protettivi e degli evitamenti circa le
situazioni problematiche.
125
La gestione e l’eliminazione delle condotte di evitamento è stata elicitata dalla
messa in atto degli esperimenti di esposizione.
Solo esponendosi agli stimoli ansiogeni infatti il paziente ha potuto sospendere
gli evitamenti.
A questo punto del trattamento ci si è serviti delle cosiddette strategie di indagine sull’ambiente circostante, che hanno avuto lo scopo di verificare la
reazione delle persone nell’ambito della situazione fobica.
Per modificare efficacemente i processi di elaborazione del paziente si è
provveduto a costruire una esposizione che contemplasse una reale
osservazione di sé.
Questo è stato possibile chiedendo al paziente di pranzare in un self-service e
utilizzando successivamente un feedback audio video dell’intera performance,
in modo tale che lui potesse vedersi.
Grazie a questa esperienza Matteo ha cominciato ad avere una percezione di
sé più attinente alla realtà, rivalutando l’importanza data precedentemente ai
sintomi e ai comportamenti protettivi.
Concentrarsi eccessivamente su di sé infatti, così come trattenere il respiro o
camminare lentamente, riduce la possibilità di verificare cosa sta accadendo
realmente attorno, ed interferisce semmai con l’esito finale della specifica
prestazione sociale.
Sono state predisposte ulteriori esposizioni graduali alle situazioni temute.
Alla fine del programma il paziente è stato preparato ad affrontare la peggiore
conseguenza temuta, ossia il rovesciamento del vassoio in un self-service
pieno di gente, e a verificare le reali reazioni degli osservatori.
Facendo cadere deliberatamente il vassoio Matteo ha potuto constatare che le
previsioni negative non si sono avverate. Nessuno dei presenti ha assunto
atteggiamenti critici o di derisione. Una persona che si trovava lì vicino ha
addirittura offerto il suo aiuto per raccogliere quanto finito per terra.
Grazie al lavoro svolto il paziente ha compreso l’inefficacia dei suoi
comportamenti protettivi e le reali conseguenze di questi sulle sue prestazioni
sociali.
126
Il paziente non si è più sentito ridicolo e ha osservato che la reazione della
gente non è stata affatto quella paventata.
Dopo i primi successi e aumentato il proprio senso di autoefficacia Matteo ha
potuto esercitarsi costantemente nel corso delle settimane.
Grazie alle riattribuzioni comportamentali Matteo ha compreso che in ultima
istanza le situazioni temute non si sono verificate, pur non mettendo in atto
condotte protettive e di evitamento.
Il significato dell’esperimento è stato quindi condiviso con il paziente e
soprattutto sono stati discussi i risultati nei termini della concettualizzazione
del disturbo, focalizzandosi principalmente sui circoli viziosi che si innescano e
che invariabilmente mantengono il problema.
4.3 FASE 3 (5 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Analisi delle credenze rimaste
• Eliminazione di eventuali comportamenti protettivi residui
• Prevenzione delle ricadute
• Training assertivo
Sono state trattate le eventuali credenze residue, facendo leva su quanto
appreso precedentemente e sulle tecniche di cui ci si è avvalsi nella fase
centrale della terapia.
Il lavoro si è concentrato sul trattamento delle credenze rimaste, quali “sono
diverso dagli altri”, “le persone non mi accetteranno”, “io non piaccio agli altri”.
Per intaccare tali credenze l’obiettivo che ci si è prefissati è stato quello di
aumentare la flessibilità degli standard di eccellenza e di accettabilità nelle
prestazioni sociali di Matteo.
Attraverso il lavoro di riattribuzione sono venute meno, in ultima istanza, le
rigide regole che regolavano i limiti di accettabilità dei comportamenti in
127
pubblico. E’ stata ampliata pertanto la gamma dei comportamenti considerati
accettabili.
Nell’ultima parte del trattamento è stato avviato un training per migliorare
l’assertività, in quanto il paziente si è mostrato fin dall’inizio poco assertivo,
specie nelle situazioni sociali che comportavano il richiedere informazioni
(come nel caso degli articoli in vendita nei negozi) o il sostenere delle
discussioni.
E’ stato spiegato il significato del termine assertività, che consiste nella
capacità di esprimere efficacemente le proprie emozioni e le proprie idee pur
mantenendo un atteggiamento non aggressivo, e che questa può essere
collocata lungo un continuum ai cui estremi sono individuabili la passività da
un lato e l’aggressività dall’altro.
Il paziente è stato in grado di comprendere le conseguenze negative della
passività e dell’aggressività, analizzandole in termini di conseguenze sui suoi
comportamenti.
E’ stato introdotto l’automonitoraggio e l’autovalutazione dell’assertività ed il
paziente è stato invitato a svolgere specifici esercizi di assertività, in
immaginazione e in vivo.
Grazie al training proposto il paziente è stato in grado di fronteggiare con
maggiore sicurezza alcune situazioni sociali che in precedenza avrebbero
procurato ansia, come parlare a uno sconosciuto o chiedere informazioni a una
commessa su un articolo di suo interesse in un negozio, senza per questo
essere obbligato all’acquisto.
Grazie al training assertivo Matteo ha appreso una modalità più costruttiva per
esprimere le proprie emozioni e i propri bisogni, rispettando se stesso e gli
altri.
A fine trattamento è stato effettuato un retest della batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) il quale ha confermato che i valori risultati
clinicamente significativi all’inizio del trattamento sono rientrati nella norma,
ovvero l’ansia di tratto e la scala IP 2.
Tutto il lavoro ha permesso al paziente di riunire in un unico filo conduttore
tutto il lavoro svolto, sottolineando i capisaldi del trattamento così da favorire
128
un prolungamento degli esiti dell’intervento a lungo termine e diminuire la
probabilità di eventuali ricadute.
5. FOLLOW-UP E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
A tre e sei mesi di distanza dall’ultima seduta di trattamento sono stati fissati
due incontri di follow-up.
Al paziente è stata somministrata nuovamente la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0), riportando punteggi sovrapponibili a quelli di fine
trattamento.
Il paziente non ha più riportato ansia significativa nelle situazioni critiche, si è
servito assiduamente e per un lungo periodo della mensa aziendale,
esponendosi ai colleghi, mangiando e condividendo con loro tale esperienza.
Nell’ultimo periodo ha riferito di aver rovesciato inavvertitamente il vassoio
delle vivande sul suo capo: si sono molto divertiti e ridendo qualcuno ha
commentato che forse lo aveva fatto di proposito.
129
Capitolo VII
ELVIRA: UN CASO DI IPOCONDRIA
1. CARATTERISTICHE CLINICHE DELLA IPOCONDRIA
L’ipocondria concerne una errata interpretazione di segni e sintomi fisici, tale
da pensare di avere contratto o stare sviluppando una grave malattia.
Concerne quindi una esperienza ansiosa rispetto al proprio stato di salute,
esperienza che può talora sfociare in veri e propri attacchi di panico.
Il soggetto muta il significato di segni e/o sintomi che sono del tutto normali, i
quali vengono interpretati come indici di gravi malattie.
E’ possibile che nell’arco della vita del paziente possano verificarsi situazioni o
avvenimenti critici. Questi possono attivare una costellazione di convinzioni
disfunzionali che concernono temi legati alla salute e al benessere, tali da
concentrare l’attenzione del soggetto su segni o sintomi che fino a quel
momento venivano ignorati (Salkovskis, 1989; Warwick e Salkovskis, 1989,
1990). E’ pertanto possibile registrare la presenza di una attenzione focalizzata
su di sé, specificatamente centrata su processi fisici endogeni, come il battito
cardiaco, la frequenza respiratoria, l’attività gastrica, la presenza di segni sulla
pelle.
Da ciò discende che i comportamenti protettivi più comuni riguardano da un
lato i ripetuti controlli del corpo e dall’altro una costante ricerca di
rassicurazioni.
1.1 TRATTAMENTO
Il trattamento deve avvenire successivamente a un assessment approfondito
che consenta di giungere a una buona concettualizzazione del caso.
130
Questo deve fornire informazioni circa la natura delle preoccupazioni, dei
comportamenti protettivi e di evitamento (che privano della possibilità di
smentire le proprie credenze).
E' utile inoltre una misura della frequenza e dell'intensità degli episodi di ansia
(a tal fine si possono utilizzare specifici questionari o anche diari o schede di
automonitoraggio).
Da un punto di vista cognitivo al centro del disturbo vi sarebbero errate
interpretazioni circa i segni o una specifica sintomatologia interpretata come il
campanello di allarme rispetto al proprio stato di salute.
Le componenti affettive, fisiologiche, cognitive e comportamentali che ne
deriverebbero avrebbero un ruolo nel mantenimento del disturbo.
E’ possibile registrare la presenza di frequenti rimuginazioni e preoccupazioni,
le quali favorirebbero l’attenzione centrata sul proprio corpo, l’accentuarsi dei
sintomi e in ultima istanza il rinforzo delle false interpretazioni.
Il punto centrale del trattamento è rappresentato dalla corretta interpretazione
dei sintomi, che diventa possibile qualora il paziente sia messo nella
condizione di costruire un modello alternativo, ossia di comprendere
l’inesattezza delle credenze e delle convinzioni sottostanti al significato
attribuito agli eventi corporei.
In generale nella prima fase del trattamento ci si concentra sulla riduzione
delle preoccupazioni circa lo stato di salute, lavorando sulle interpretazioni
erronee e sui meccanismi di mantenimento.
Successivamente il paziente viene messo nella condizione di comprendere le
conseguenze negative della ricerca di rassicurazioni e dei comportamenti di
automonitoraggio.
A questo proposito vengono utilizzati esperimenti di attenzione selettiva o
strategie educative.
Per testare le previsioni errate del paziente, nell’ambito delle strategie di
riattribuzione comportamentale, è talora possibile ricorrere all’esasperazione
dei sintomi.
131
2. OSSERVAZIONI DI PRIMO COLLOQUIO
Elvira si presenta in studio con mezz’ora di ritardo rispetto a quanto
concordato telefonicamente. Riferisce di avere avuto un contrattempo
imprevisto.
Si presenta come una donna robusta di mezza età, con una andatura incerta e
un abbigliamento appariscente: lunga gonna dai colori accessi, maglione a
strisce orizzontali, acconciatura arricchita da due grossi fermagli a forma di
farfalla.
L’espressione è partecipe, ma l’atteggiamento appare poco collaborativo.
L’eloquio risulta poco modulato ed il parlato è fitto di errori grammaticali e di
inceppature. Mimica accentuata, discrete le capacità attentive e l’ideazione.
3. ASSESSMENT
3.1 INTRODUZIONE
L'assessment è stato svolto durante 5 incontri settimanali della durata di 50
minuti ciascuno, compresa una seduta finale di restituzione, ove sono stati
definiti il contratto terapeutico e gli obiettivi dell'intervento.
Durante tale fase è stato possibile esplorare il caso, soprattutto per quel che
concerne l'anamnesi personale e familiare, nonché la storia del problema e il
funzionamento attuale.
Nella fase di assessment è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0).
132
3.2 ANAMNESI PERSONALE E FAMILIARE
Elvira ha 45 anni, nata a termine da parto eutocico. Lavora come impiegata
presso l’ufficio postale della sua città.
Non ha fratelli o sorelle. Suo padre è morto, per tanti anni ha lavorato come
operaio specializzato presso numerosi cantieri edili, prima di riuscire ad
ottenere il pensionamento. La madre si è sempre occupata delle faccende
domestiche.
Riferisce uno sviluppo somato-psichico nella norma. La paziente è in
sovrappeso (BMI pari a 27), soffre di ipertensione e iperglicemia.
Periodicamente si sottopone a un regime dietetico specifico, per il quale è
tenuta sotto controllo medico e monitorata da una dietista.
Assenza di disturbi psichiatrici nell'ambito familiare e in quello relativo alle
ascendenze prossime.
Non fuma. Sporadicamente e solo ai pasti beve vino o birra.
Riferisce di essere una persona estroversa e di aver avuto, specie nell’arco
della giovinezza, diverse amiche del cuore, con le quali è cresciuta e ha
condiviso le sue esperienze. Le amicizie maschili però sono sempre state
ostacolate dal padre, in quanto quest’ultimo non ha mai accettato la possibilità
che la figlia si sarebbe fatta vedere in “compagnia di maschi”: qualcuno
avrebbe potuto dire che era una ragazza poco seria.
Proprio per questi motivi la paziente sottolinea quanto l’atteggiamento del
padre l’avrebbe fatta crescere insicura e a suo dire priva di esperienze.
Frequenta la scuola elementare e media. Si iscrive all’istituto d’arte, ma poi
abbandona gli studi. Viene assunta alle poste ed inizia a lavorare a 19 anni.
Riferisce di aver avuto qualche fidanzatino, ma niente di più. In questo caso la
paziente assume un atteggiamento diffidente e mostra una certa difficoltà a
parlare di questi argomenti. Lascia intendere di aver avuto qualche esperienza
sessuale ma non entra chiaramente nel merito dell’argomento.
Elvira si descrive come una donna “fedele alla madre” e si dice fiera di poterla
accudire e ospitare in casa sua. La paziente infatti vive con la madre e
attualmente nega l’esistenza di una relazione sentimentale.
133
3.3 STORIA DEL PROBLEMA E FUNZIONAMENTO ATTUALE
La paziente decide di rivolgersi al terapeuta in seguito al consiglio datole da
una sua collega, perché da circa un anno soffre di intensa ansia connessa al
suo stato di salute.
In particolare la paziente accusa una paura quasi continua di potere o stare
per contrarre un tumore della pelle e specificatamente un melanoma.
L’attivazione dell’ansia e l’escalation che ne è seguita ha portato
frequentemente alla comparsa di veri e propri attacchi di panico.
Dopo una serie di dubbi e rimostranze Elvira decide di affrontare il disturbo e
cercare di capire quale è il vero problema che la affligge.
Considerato che la paziente ha una estrema paura di contrarre un melanoma, i
nei e le macchie della pelle sono costantemente al centro della sua attenzione.
Pertanto monitora costantemente ogni centimetro della superficie del corpo,
alla ricerca di una qualche variazione o segnale di un imminente
peggioramento delle sue condizioni di salute e quindi dell’insorgenza di un
tumore maligno.
La paziente manifesta un pressante bisogno di controllarsi in modo da
accorgersi per tempo dell’insorgenza della malattia, e con l’aiuto di uno
specchio, effettua accurati controlli della pelle almeno tre volte al giorno, in
genere al mattino prima di andare al lavoro, al pomeriggio e alla sera, prima di
dormire.
Se per caso, durante l’attività di automonitoraggio dovesse accorgersi della
comparsa di nuove macchie o di impercettibili variazioni del volume dei nei, del
colore o della forma, inizia una meticolosa ricerca di rassicurazioni tendente a
scongiurare la possibilità di aver contratto il tumore.
La ricerca di rassicurazioni si basa sulla lettura di libri di medicina o di articoli
di riviste che trattano l’argomento, o ancora sull’utilizzo di internet, leggendo
blog e forum dedicati alla malattia e ai suoi sintomi.
Al fine di confermare le sue teorie la paziente è inoltre ricorsa più volte a una
valutazione medica, anche di tipo specialistico, che ha sempre escluso la
presenza della malattia.
134
Come detto precedentemente, questa situazione genera una escalation
dell’ansia che porta alla comparsa di frequenti attacchi di panico.
Elvira riferisce che la madre ha sempre avuto paura della morte in generale e
nello specifico di contrarre gravi malattie, con un cluster tipico delle fobie
sanitarie (sangue, ferite, iniezioni, interventi chirurgici).
Tuttavia le sue paure sono cominciate quando ha scoperto che una cliente
dell’ufficio postale era morta a causa di un male incurabile della pelle.
Da quel momento iniziano i dubbi circa il suo stato di salute, l’esigenza
impellente di escludere, attraverso l’automonitoraggio, di stare sviluppando la
malattia e tutta una serie di attività che l’aiutano a sentirsi maggiormente
rassicurata.
Attualmente riferisce di essere impaurita e “ingabbiata” da questa sua paura,
timore che pare divenire ogni giorno più presente e ingombrante.
3.4 STRUMENTI DIAGNOSTICI UTILIZZATI
Complessivamente è stata somministrata la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0).
3.5 IPOTESI DIAGNOSTICA E CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO
La paziente ha riferito di aver provato una intensa paura di avere o stare
sviluppando una grave malattia. La paura è basata sull’interpretazione erronea
di sintomi somatici e questa persiste nonostante la specifica ricerca di
rassicurazione medica. Queste situazioni hanno procurato ansia, anche
intensa.
La batteria CBA 2.0 ha confermato la presenza di una elevata ansia di tratto
(STAI X2), nonché paure riferite al cluster delle fobie sanitarie (IP 5).
Le informazioni raccolte nei 5 colloqui di assessment e i dati ricavati dalla
somministrazione degli strumenti hanno permesso pertanto di formulare la
diagnosi di ipocondria.
135
Dall'analisi dei dati in possesso risultano infatti soddisfatti i criteri indicati nel
DSM-IV-TR: A. La preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una malattia grave, basate sulla erronea interpretazione di sintomi somatici da parte del soggetto. B. La preoccupazione persiste nonostante la valutazione e la rassicurazione medica appropriate. C. La convinzione di cui al Criterio A non risulta di intensità delirante (come nel Disturbo Delirante, Tipo Somatico) e non è limitata a una preoccupazione circoscritta all’aspetto fisico (come nel Disturbo di Dismorfismo Corporeo). D. La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti. E. La durata dell’alterazione è di almeno 6 mesi. F. La preoccupazione non è meglio attribuibile a Disturbo d’Ansia Generalizzato, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e Con Agorafobia), Episodio Depressivo Maggiore, Ansia di Separazione, o un altro Disturbo Somatoforme.
3.6 FATTORI PREDISPONENTI E PRECIPITANTI
Sulla base dei risultati degli strumenti somministrati e di quanto riferito durante
i colloqui di assessment è stato inoltre possibile individuare l'esistenza di
alcuni fattori predisponenti e precipitanti del problema:
FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI
Contesto familiare inclusivo L’aver saputo della morte di una persona a
causa di un tumore della pelle
Fobia della madre per il sangue e le malattie
136
3.7 CONTRATTO TERAPEUTICO E OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Durante il colloquio di restituzione viene spiegato alla paziente che il problema
è diagnosticabile come ipocondria, ovvero un disturbo trattabile con terapia
cognitivo comportamentale.
Viene spiegato che sarà necessario impegnarsi rispetto alle situazioni che
generano ansia, in modo da farla diminuire gradualmente. Per tali evenienze
sarà adeguatamente preparata e incoraggiata.
L'intervento terapeutico avrà quindi l’obiettivo di far comprendere alla paziente
l’inesattezza delle credenza relative all’essere gravemente malata, offrendo
una spiegazione alternativa. Questo potrà essere ottenuto rinforzando le
credenze basate su risposte razionali.
Viene spiegato che il percorso terapeutico potrebbe richiedere diversi mesi e si
propone un trattamento di 15 sedute settimanali.
Viene precisato che tra una seduta e l'altra è di primaria importanza
l'esecuzione da parte del paziente di compiti terapeutici, necessari per la
buona riuscita del trattamento.
In questa fase è avvenuta la formalizzazione del rapporto.
4. PIANO TERAPEUTICO E TRATTAMENTO
Il trattamento presenta una struttura di base standardizzata. Il protocollo
consta infatti di tre fasi ben distinte distribuite su 15 sedute di trattamento in 15
settimane.
4.1 FASE 1 (2 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Introduzione del modello cognitivo partendo dall’analisi degli ultimi episodi
problematici
137
• Identificazione delle convinzioni e delle interpretazioni errate
• Identificazione dei comportamenti protettivi e degli evitamenti
In linee generali è possibile sostenere che il trattamento si è basato sulla
verifica diretta delle credenze della paziente e sulla costruzione di un modello
alternativo.
All’inizio del trattamento è risultato utile e opportuno introdurre la
concettualizzazione del modello del panico, in quanto si sono verificati diversi
attacchi di panico a seguito dell’escalation dell’ansia che si è innescata in
conseguenza delle preoccupazioni per lo stato di salute.
Il trattamento degli attacchi di panico, prima ancora delle preoccupazioni, ha
consentito di alleviare i sintomi.
In tal modo le risposte al trattamento del panico sono state utilizzate come
supporto per la concettualizzazione complessiva del disturbo.
La paziente ha cominciato a comprendere il modello cognitivo alla base
dell’attacco di panico e la natura circolare delle sue strutture di base: a partire
da fattori scatenanti interni/esterni giudicati pericolosi si attiva uno stato
d’ansia che innesca sintomi somatici e cognitivi specifici.
Una ulteriore interpretazione erronea circa tale sintomatologia può generare
ulteriore ansia e una escalation tale da portare all’attacco di panico (fig. 1).
Successivamente si è provveduto a introdurre e compilare in seduta il diario
giornaliero di registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), adattato con
l’aggiunta di una colonna per annotare i fattori scatenanti l’ansia, così come
specificato nella pagina seguente:
138
SITUAZIONE FATTORI
SCATENANTI PENSIERO EMOZIONE COMPORTAMENTO
Sono al lavoro, allo sportello per la spedizione delle raccomandate
Qualcuno in sala asserisce che oggi le malattie gravi e i tumori sono in aumento
E’ ormai noto a tutti che le probabilità di ammalarsi sono aumentate, forse anch’io ho già contratto una grave malattia
Ansia Paura
Ho bisogno di rassicurazioni, mi allontano un attimo e prenoto un consulto specialistico
A casa, mentre sono sul divano, mi accorgo di una macchia sul braccio che non avevo notato prima
Poco prima una rubrica televisiva sulla salute aveva trattato il tema dei tumori della pelle
Ho paura che quella macchia possa indicare un grave sintomo, forse anch’io sono malata
Ansia Paura
Mi collego a internet e cerco di comprendere quali siano i sintomi e le caratteristiche delle macchie che indicano l’insorgenza della malattia
Sto per uscire di casa, devo fare la spesa
In una rivista ho letto di quanto siano pericolosi i raggi UV in quanto causa di melanomi
La mia pelle è piena di nei, sono predisposta ai tumori della pelle, devo assolutamente proteggermi
Ansia
Metto una gran quantità di crema protettiva, anche nelle zone coperte dai vestiti
Tale diario altro non è che una tabella all’interno della quale è stato possibile
inserire dettagli inerenti gli eventi problematici: situazione, fattore scatenante,
emozione, pensiero automatico (senza risposte razionali all’interpretazione
erronea).
In questa fase l’obiettivo del trattamento è stato quello di spostare l’attenzione
della paziente dalla sintomatologia e dai segnali somatici ai pensieri e alle loro
conseguenze sui suoi comportamenti.
Visto che la paziente presentava una paura quasi continua di potere o stare
per contrarre un tumore della pelle, adottava una serie di comportamenti
protettivi specifici: attività di controllo e monitoraggio sul corpo, ricerca di
rassicurazioni, uso di creme solari ad alto fattore di protezione. Evitava inoltre
139
l’esposizione diretta ai raggi solari e copriva ogni parte del corpo anche in
piena estate.
Elvira poneva molta attenzione durante l’applicazione delle creme solari, che
venivano utilizzate principalmente sulle zone più delicate, sui nei e sulle
macchie scure.
La paziente usualmente adottava un automonitoraggio e un controllo toccando
i nei con la punta delle dita, facendo particolare attenzione alla forma e alla
consistenza.
Questo tipo di automonitoraggio era molto meticoloso e la sua eventuale
omissione contribuiva ad aumentare i livelli di ansia.
Un ulteriore comportamento protettivo di Elvira consisteva nel tentativo di voler
controllare i propri pensieri.
Cercava di distrarsi a tutti i costi, ma tuttavia il tentativo di sopprimere i
pensieri comportava, paradossalmente, un aumento degli stessi e delle
preoccupazioni.
E’ stato chiesto alla paziente, come compito a casa, di compilare giornalmente
un diario, da utilizzare per descrivere eventuali situazioni che si dovessero
presentare inerenti l’ansia connessa allo stato di salute.
Il diario è uno strumento molto utile, in quanto ha permesso di identificare con
maggiore facilità le credenze disfunzionali, e sulla base delle risposte verbali e
comportamentali, di confermare i comportamenti protettivi e gli evitamenti (che
includono l’evitare di esporsi al sole o di andare al mare).
Considerato che al centro della concettualizzazione vi è l’errata interpretazione
di segni o sintomi e la concomitante paura di contrarre una malattia è risultato
utile raccogliere maggiori informazioni rispetto a questi aspetti, specie per quel
che concerne le continue rimuginazioni sulle proprie preoccupazioni.
Rimuginare infatti non contribuisce ad alleviare il disturbo, in quanto le
preoccupazioni aumentano l’attenzione della paziente focalizzata su particolari
e sintomi del tutto trascurabili.
Le domande proposte sono state del tipo: “Quali sono i pensieri che le
vengono in mente in quel momento? Di quali sintomi ha avuto maggiore
consapevolezza? Quale è la sua preoccupazione più grande? Concentrarsi
sulle sue preoccupazioni l’aiuta a stare meglio?”.
140
Grazie a questo nuovo modo di guardare al suo disturbo, la paziente ha
cominciato a comprendere il modello cognitivo alla base del problema e la
natura circolare delle sue strutture di base (psicoeducazione al disturbo): a
partire da avvenimenti critici vengono attivate convinzioni disfunzionali che
concernono il tema della salute. Queste interferiscono con la capacità di
valutazione della paziente, tanto da favorire le false interpretazioni di sintomi
quali indici di grave patologia.
4.2 FASE 2 (8 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Generazione di risposte razionali ai pensieri disfunzionali grazie alle prove
di disconferma e modificazione delle cognizioni attraverso riattribuzione
verbale
• Riduzione della ricerca di rassicurazione e delle rimuginazioni
• Modificazione dei comportamenti coinvolti attraverso la strategia del duplice
modello
• Analisi delle credenze sottostanti
Struttura della seduta:
1) analisi dei compiti svolti a casa (diario con l’aggiunta di risposte razionali,
riduzione dei comportamenti protettivi e degli evitamenti, limitazione delle
rassicurazioni e delle rimuginazioni, abolizione dei controlli sul corpo); 2)
identificazione dei pensieri automatici/credenze e impiego di riattribuzioni
cognitive e comportamentali; 3) descrizione del ruolo dei pensieri e dei
comportamenti nella concettualizzazione generale del caso.
141
Fig. 1 Concettualizzazione del disturbo di panico secondo il modello di
Clark (1986), modificato da Wells (1999)
Questa risulta essere la fase centrale del trattamento. La concettualizzazione
condivisa con la paziente è stata portata avanti e si è arricchita.
La registrazione dei pensieri disfunzionali (RPD), utilizzata nella prima fase
del trattamento, è divenuta più specifica, grazie a una maggiore
consapevolezza della paziente circa il legame che intercorre tra pensieri ed
emozioni.
Pertanto, al modello presentato precedentemente sono state aggiunte colonne
per la registrazione delle interpretazioni alternative (ossia delle risposte
razionali, con grado di convinzione), della rivalutazione del grado di
142
convinzione dei pensieri automatici precedenti e delle emozioni implicate (si
veda in proposito Wells A., 1997. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia.
McGraw-Hill).
In virtù della ristrutturazione cognitiva adottata è stata possibile una
progressione del trattamento.
Attraverso le schede monitoraggio e l’uso dei diari è stato possibile verificare
che gli stati d’ansia e l’aumento della sintomatologia avviene in genere nella
fascia serale, e in particolare prima che la paziente vada a dormire.
Nell’ambito del trattamento la definizione del contesto in cui si manifesta il
disagio è stata molto importante, in quanto questo ha permesso di fare notare
alla paziente quanto sia improbabile che un disturbo così grave come quello
paventato possa manifestarsi solo alla sera o comunque in certe fasce orarie.
Come detto in precedenza la paziente faceva ricorso costantemente alla
ricerca di rassicurazioni. Partendo dal presupposto che effettivamente dopo
avere messo in atto tali comportamenti la paziente manifestava una graduale
diminuzione dell’ansia e della sintomatologia, si è proceduto a una spiegazione
alternativa del fenomeno, facendo notare che le conseguenze della
rassicurazione indicano una possibile spiegazione psicologica del problema.
In questo senso sono state proposte domande del tipo: “Se la rassicurazione
ha il potere di alleviare i sintomi questo cosa può significare? Ogni volta che il
dermatologo esclude l’insorgenza della malattia cosa accade ai sintomi? Se lei
è realmente malata come è possibile che la rassicurazione possa farla stare
meglio? Un tumore della pelle può comprendere che lei è stata rassicurata?”.
La paziente richiedeva periodicamente consulti medici specialistici e si
sottoponeva con regolarità al prelievo ematico e a una serie di esami di
laboratorio, per verificare che i valori principali fossero nella norma e/o per
scongiurare una diagnosi nefasta.
E’ stato pertanto predisposto un programma di diminuzione graduale di questo
tipo di comportamenti, mettendone in luce, attraverso una analisi approfondita,
gli svantaggi.
Alla paziente è stato chiesto inoltre di sospendere i controlli e
l’automonitoraggio sul corpo, annotando su un taccuino la presenza di
eventuali sintomi e di effettuare le verifiche al massimo solo una volta alla
143
settimana, ricorrendo a un eventuale consulto medico solo dopo due
settimane.
Per quel che concerne le frequenti rimuginazioni della paziente è sembrato
utile mettere in atto delle strategie per distoglierla dai suoi pensieri, così da
ottenere una diminuzione delle preoccupazioni. Le rimuginazioni spingono
infatti il soggetto a concentrarsi eccessivamente su di sé e sul proprio corpo.
Il fatto che il corpo permanga a lungo al centro dell’attenzione della paziente
contribuisce all’acuirsi dei sintomi e al rafforzamento delle interpretazioni
errate.
Sono stati evidenziati quindi gli svantaggi dell’essere preoccupati, anche
attraverso affermazioni del tipo: “Questa preoccupazione non ha significato,
basta ignorarla”, o ”Preoccuparmi di certo non mi aiuterà”.
A tal proposito alla paziente è stato fatto notare che l’eccessiva concentrazione
sugli aspetti fisici fa aumentare la consapevolezza di ciò che in realtà è già
presente normalmente, e tende quindi a far notare erroneamente la presenza
di sintomi, come nuove macchie, nei, o la modificazione della loro struttura.
Attraverso le tecniche cognitive (riattribuzione verbale) è stato così possibile
attaccare le convinzioni e le credenze sottostanti i pensieri automatici negativi.
Questo è avvenuto mettendo in discussione i contenuti del pensiero (si pensi a
errori del tipo drammatizzazione, pensiero dicotomico e astrazione selettiva) e
attivando strategie basate su un processo educativo tendente all’esame di
contro evidenze e di spiegazioni alternative.
I melanomi, ossia i tumori della pelle più pericolosi, sono piuttosto rari e in
Italia si manifestano ogni anno tra i 6 e i 9 casi ogni 100.000 abitanti.
Partendo da questi dati è stata costruita, insieme alla paziente, una piramide
capovolta, con l’obiettivo di mettere in evidenza e dimostrare quanto
effettivamente il rischio sia sovrastimato.
Pertanto è stato chiesto a Elvira di indicare quante persone nella sua città
potrebbero manifestare in un dato giorno i sintomi di un melanoma, e di
stabilire successivamente per quante di queste persone il sintomo persisterà,
quante avranno necessità di richiedere un consulto medico e quante verranno
inviate da uno specialista (fig. 2).
144
Successivamente, per mettere in discussione le credenze è stato chiesto di
ricercare e produrre prove in grado di validare le sue convinzioni.
In particolare, attraverso la strategia del duplice modello è stato possibile far
acquisire alla paziente spiegazioni alternative e fornire prove a supporto di una
spiegazione psicologica del disagio.
Ciò ha permesso ad Elvira di rendersi effettivamente conto che trovare prove a
supporto dei propri pensieri disfunzionali non è poi così semplice e che
comunque spesso non vi sono elementi realmente validi di conferma:
PROVE CHE IL MIO PROBLEMA E’
UN TUMORE DELLA PELLE UNA CREDENZA DI AVERE UN TUMORE DELLA PELLE
La macchia è piuttosto strana, scura o bruna
E’ molto difficile, se non si è esperti individuare con esattezza la tonalità di una macchia. Ci sono macchie scure assolutamente benigne
Se la tocco mi fa male I melanomi o altre tipologie di tumori della pelle difficilmente danno questo tipo di disturbo
Il neo ha i bordi irregolari Non tutti i nei con bordi irregolari indicano una patologia, così come esistono tumori della pelle caratterizzati nelle fasi iniziali da macchie i cui bordi sono regolari (basaliomi)
Il neo ha probabilmente diverse sfumature di colore
E’ improbabile che si possa fare una diagnosi osservando sfumature di colore anche impercettibili. Solo un occhio esperto può individuare una eventuale situazione di allarme
Attraverso questi ragionamenti, la paziente ha compreso che esistono semmai
delle contro evidenze, ossia delle prove a sfavore circa le convinzioni e i
pensieri disfunzionali. Le domande proposte sono state del tipo: “Quale
potrebbe essere un altro modo di vedere il problema? Quale è la prova a
favore di un altro punto di vista?”.
145
Il lavoro svolto ha permesso quindi di modificare le convinzioni della paziente
rispetto alle conseguenze e ai significati dei sintomi e quest’ultima è stata in
grado, in ultima istanza, di fornire risposte razionali alle sue credenze.
Fig. 2 Risultati ottenuti utilizzando la procedura della piramide capovolta
Con il procedere della terapia e man mano che la paziente ha gradualmente
compreso l’inesattezza delle sue credenze, è stato possibile provare a
diminuire la frequenza dei comportamenti protettivi e degli evitamenti circa le
situazioni problematiche. In particolare è stato sospeso l’uso di creme solari ad
alto fattore di protezione ed è stato avviato un programma graduale di
esposizione al sole.
Alla fine del programma la paziente è stata preparata ad affrontare una
esposizione al sole completa, recandosi al mare per due ore.
Grazie al lavoro svolto Elvira ha compreso l’inefficacia degli evitamenti e le
reali conseguenze di questi sulla sua vita.
La paziente si è recata al mare diverse volte, si è esposta con una certa
tranquillità ai raggi solari e ha anche fatto il bagno.
NUMERO DI PERSONE CHE VIVONO IN CITTA' E CHE HANNO NOTATO UNA PARTE SCURA SU UN NEO, TRA IL BRUNO E IL BLUASTRO: 100
NUMERO DI PERSONE CHE ALLA SERA CONTINUANO AD AVERE QUALLE SPECIFICA SINTOMATOLOGIA: 50
AVRANNO ANCORA UNA MACCHIA SCURA IL GIORNO DOPO: 25
DOPO 3 GIORNI: 10
RICHIESTA DI UN CONSULTO SPECIALISTICO: 5
RISCONTRO DELLA PATOLOGIA: 1
146
Dopo i primi successi Elvira ha potuto esercitarsi costantemente nel corso
delle settimane.
Il significato di tutte le attività svolte è stato quindi condiviso con la paziente e
soprattutto sono stati discussi i risultati nei termini della concettualizzazione
del disturbo.
4.3 FASE 3 (5 sedute)
Attività concernenti questa fase:
• Analisi delle credenze rimaste
• Eliminazione di eventuali comportamenti protettivi residui
• Prevenzione delle ricadute
Sono state trattate le eventuali credenze residue, facendo leva su quanto
appreso precedentemente e sulle tecniche di cui ci si è avvalsi nella fase
centrale della terapia.
Il lavoro si è concentrato sul trattamento delle credenze rimaste, quali quelle
relative al tema più profondo della malattia e della morte.
Si è proceduto a una decatastrofizzazione dell’idea di malattia e di morte,
modificando il significato della malattia che era intesa come una sorta di
punizione divina e che si sarebbe concretizzata nel caso in cui la paziente
avesse smesso di preoccuparsi per la sua salute.
L’esito finale della terapia è stata la messa in atto di un modello alternativo di
interpretazione della realtà prima intesa in termini di segni e sintomi indicanti
l’insorgenza di una grave malattia.
A fine trattamento è stato effettuato un retest della batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0) il quale ha confermato che i valori risultati
clinicamente significativi all’inizio del trattamento sono rientrati nella norma,
ovvero l’ansia di tratto e la scala IP 5.
147
Tutto il lavoro ha permesso alla paziente di riunire in un unico filo conduttore
tutto il lavoro svolto, sottolineando i capisaldi del trattamento così da favorire
un prolungamento degli esiti dell’intervento a lungo termine e diminuire la
probabilità di eventuali ricadute.
5. FOLLOW-UP E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
A tre e sei mesi di distanza dall’ultima seduta di trattamento sono stati fissati
due incontri di follow-up.
Alla paziente è stata somministrata nuovamente la batteria CBA 2.0 (Cognitive
Behavioral Assessment 2.0), riportando punteggi sovrapponibili a quelli di fine
trattamento.
La paziente non ha più riportato ansia significativa connessa allo stato di
salute, non ha più effettuato monitoraggi e controlli sul corpo, ne è ricorsa alla
richiesta di rassicurazione.
Nell’ultimo periodo ha riferito di essersi esposta ai raggi solari senza temere
l’insorgenza di malattie.
148
Capitolo VIII RICERCA: Qualità di vita e insorgenza di diagnosi psicopatologica nella donazione d’organo da vivente: il ruolo dell’ottimismo disposizionale
1. INTRODUZIONE
Le conoscenze e i progressi scientifici fatti registrare negli ultimi anni
relativamente all'area trapianti d'organo sono stati sicuramente rilevanti.
Parallelamente é cresciuta la sensibilità dell'opinione pubblica nei confronti
della donazione, specialmente per quel che concerne l'assenso al trapianto nel
caso di donazione da cadavere.
Oggi é effettivamente aumentata rispetto agli anni passati la disponibilità alla
donazione da cadavere. L'Italia si attesta a 19.6 donatori per milione di
abitanti, con un maggiore tasso di donazioni nelle regioni del Nord Italia e del
Centro rispetto a quelle di Sud e Isole e con un numero di donatori comunque
in flessione del 3.4% nel primo trimestre 2010 rispetto all'analogo periodo del
2009.
Tuttavia a fronte dei buoni risultati ottenuti negli ultimi anni circa il consenso
alla donazione da cadavere rimane ancora basso il numero di trapianti
effettuati da donatore vivente. Parte dell’opinione pubblica infatti ha ancora
molti dubbi e perplessità che concernono la donazione di parte di un organo a
una persona cara. Tale possibilità permetterebbe di aumentare il numero di
trapianti anche del 30-40% e sarebbe sicuramente un vantaggio visto che di
tutti i potenziali donatori solo circa la metà è ritenuta idonea e di questa circa il
30% decide spontaneamente di ritirare la propria disponibilità alla donazione.
149
Sarebbe pertanto auspicabile eliminare le diffidenze rispetto al trapianto da
vivente, spesso basate proprio su opinioni ingiustificate e pregiudizi.
Quando un paziente esprime la disponibilità a donare un organo ad un
familiare è necessario che vengano messe in atto valutazioni approfondite
circa lo stato di salute del soggetto e la sua motivazione alla donazione.
Al pari della valutazione medica è necessario che il donatore venga sottoposto
a una attenta valutazione psicologica che consenta di stabilire l’idoneità al
trapianto stesso. L’assessment psicologico è praticamente indispensabile e
rappresenta un momento strategico della valutazione del trapianto da donatore
vivente.
Lo stress che vive il donatore e la sua famiglia, i cambiamenti che investono gli
aspetti sociali legati al lavoro e quelli relativi all’immagine corporea, sono
sicuramente fattori che non possono essere trascurati. E sono proprio le
problematiche di tipo psicosociale (nel 36% dei casi) che sono spesso alla
base della non accettazione del trapianto, ove ci si trovi a dover gestire un
forte livello di stress, magari accompagnato dalla presenza di diagnosi
psichiatrica o dalla mancanza di un adeguato supporto sociale. Risulta
evidente in questo senso che l’incapacità di mantenere un adeguata aderenza
terapeutica può vanificare l’esito del trapianto.
Diventa pertanto necessario comprendere pienamente quali siano le
conseguenze della donazione e quale impatto esse abbiano sulla vita dei
pazienti, in termini di insorgenza di eventuale diagnosi psichiatrica e di
conseguenze sulla qualità della vita dei soggetti.
Alcune ricerche hanno dimostrato che la probabilità di incorrere in complicanze
psichiatriche risulta piuttosto bassa nel campione di pazienti donatori.
In generale é possibile affermare che vi é una maggiore incidenza di tale
diagnosi nei donatori di fegato rispetto ai donatori di rene. In particolare é stata
messa in evidenza una certa frequenza di diagnosi nei primi giorni dopo
l'intervento.
Fukunishi e al. (Fukunishi e al., 2001. Psychiatric disorders before and after
living-related transplantation. Psychosomatics, 42) hanno trovato ad esempio
che il 10% circa dei donatori di fegato hanno sviluppato complicazioni
psichiatriche (nella fattispecie disturbo depressivo maggiore, pensieri
150
ossessivi, disturbi d'ansia, disturbi dell'umore in genere) entro 1 mese
dall'intervento, mentre nello stesso intervallo di tempo si erano registrate
complicanze psichiatriche solo nell' 1% del campione di donatori renali.
Anche durante il follow-up il gruppo di donatori epatici risultava maggiormente
compromesso, con una percentuale di diagnosi a media e lunga scadenza che
si attestava intorno al 5%.
In un altra ricerca Kita e al. hanno trovato che circa il 7% dei donatori
riportavano una diagnosi di disturbo depressivo maggiore entro 1 anno
dall'intervento.
Alla luce dei risultati raccolti finora é possibile affermare che buona parte dei
donatori riporta in genere un livello di qualità di vita che si attesta sui livelli
precedenti all'intervento. In alcuni casi si é addirittura trovato un miglioramento
della qualità di vita.
Secondo una ricerca condotta da Trotter e al. la maggior parte dei donatori
(96%) hanno ritenuto positiva l’esperienza della donazione e ne hanno tratto
beneficio. I dati hanno evidenziato che il 75% dei donatori recupera
pienamente il livello di benessere psicofisico precedente alla donazione in
circa 3 mesi e che il 96% ritorna al lavoro dopo circa 2 mesi dall’intervento.
Walter e al. hanno condotto uno studio pilota per valutare gli effetti di tipo
psicosociale su un campione di soggetti donatori di fegato successivamente
all’intervento. La maggior parte (il 65%) ha mostrato un miglioramento della
qualità di vita mentre il 26% ha riportato stanchezza, faticabilità, disturbi
d’ansia.
Anche Beavers in uno studio condotto su un campione di 27 donatori non
evidenzia particolari differenze nel livello di qualità di vita rispetto al resto della
popolazione non clinica di riferimento. Circa l’80% del gruppo di pazienti ai
quali è stato somministrato il test SF-12 (forma breve dell’SF-36) per misurare
il livello di qualità di vita, evidenzia un grado di benessere psicosociale del
tutto simile a quello misurato precedentemente alla donazione, mentre la quasi
totalità (92%) ritorna a svolgere appieno l’attività lavorativa.
Nonostante questi dati incoraggianti il numero di ricerche utili a chiarire le
conseguenze della donazione da vivente, gli eventuali rischi a lungo termine e
151
l’impatto in termini di qualità di vita e di benessere biopsicosociale sono ancora
esigue e molti aspetti risultano ancora poco chiari.
Lo scopo della presente ricerca è stato quello di verificare, in un arco
temporale medio, lo stato di salute e il benessere complessivo dei pazienti che
si sono sottoposti volontariamente a donazione di fegato nei confronti di un
loro familiare. Nella fattispecie si è cercato di fare chiarezza circa la qualità di
vita dei pazienti e di valutare il grado di benessere percepito, qui inteso come
salute biopsicosociale, nonché di verificare che non si fossero evidenziate
condizioni di diagnosi psicopatologica, specificatamente per quel che concerne
la presenza di eventuali quote depressive.
Da un punto di vista psicologico è necessario comprendere come il paziente
giudichi il suo stato di salute, anche in virtù del benessere che gli deriva tra
l'altro, dal percepirsi capaci di poter far fronte adeguatamente alle attività della
vita quotidiana.
L'obiettivo è stato quindi duplice: da un lato monitorare l'andamento di
eventuali quote depressogene successive alla donazione e dall'altro verificare
lo stato di salute percepito dal soggetto.
La ricerca è stata realizzata presso l’ISMETT (Istituto Mediterraneo Trapianti e
Terapie ad Alta Specializzazione) di Palermo, nell’ambito delle attività
didattiche concernenti il tirocinio del quadriennio di specializzazione in
psicoterapia cognitivo comportamentale.
2. METODO 2.1 PARTECIPANTI
Il campione è costituito da 18 pazienti candidati e ritenuti idonei alla donazione
di fegato da vivente nei confronti di un loro familiare di età media pari a 32,16
anni (DS = 8,88). Più della metà del campione (55%) ha un’età inferiore o
uguale a 30 anni. Rispetto al genere, 11 sono maschi (61%) e 7 femmine
(39%). Per quanto concerne il grado di parentela del campione di donatori
152
rispetto ai riceventi, la maggior parte è rappresentato dai figli (72%) ed in
numero minore dai coniugi (11%) e dai fratelli (6%). Nessuno dei soggetti
appartenenti al campione ha riportato una diagnosi psichiatrica.
2.2 PROCEDURA
La ricerca è stata strutturata in due fasi principali: a) una fase di valutazione
psicologica precedente alla donazione; b) una fase di follow-up successiva
all’intervento
Durante la valutazione iniziale, eseguita mediamente 3 mesi prima
dell’intervento, ci si è avvalsi del colloquio clinico e sono stati somministrati
alcuni strumenti testologici. Questo ha consentito di valutare l’idoneità dei
candidati e di escludere la presenza di controindicazioni alla donazione. In
particolare una accurata valutazione psicologica del candidato alla donazione
ha consentito di: 1) escludere l'eventuale presenza di disturbi psichiatrici che
avrebbero precluso la donazione; 2) effettuare una valutazione della stabilità
psicosociale; 3) verificare che il donatore abbia compreso appieno i
rischi/benefici (concernenti le reali possibilità del trapianto in termini di
sopravvivenza dell'organo e del paziente) e che sia stato capace di fornire il
proprio consenso informato; 4) verificare che la decisione di donare sia stata
153
totalmente volontaria e che non vi siano state pressioni o coercizioni, nonché
incentivazioni economiche; 5) valutare attentamente il legame ed il rapporto di
relazione con il destinatario e le dinamiche esistenti all'interno del contesto
familiare (esplicitando la qualità delle relazioni familiari in cui la donazione si
inserisce); 6) escludere l'eventuale abuso di sostanze, tipo alcool, droghe o
psicofarmaci.
Inoltre, attraverso il colloquio clinico è stato possibile effettuare un breve
assessment del paziente, necessario per acquisire le informazioni
anamnestiche e quelle concernenti l’esame psichico. I questionari utilizzati
sono stati: il Beck Depression Inventory (Beck, 1961) per la rilevazione del
rischio di depressione, il Life Orientation Test (Scheier et al., 1985) per la
valutazione dell’ottimismo disposizionale, lo State-Trait Anxiety Inventory
(Spielberger et al., 1970) per la misura dell’ansia di stato (forma Y1) ed infine il
Mini International Neuropsychiatric Interview (Sheehan et al., 1998) per
valutare la presenza di eventuale diagnosi psichiatrica.
Il BDI è stato scelto per diversi motivi, primo fra tutti l’attendibilità dello
strumento, visto che è oggi uno dei questionari più utilizzati e validati per la
misura della depressione, caratterizzato da facilità e velocità di
154
somministrazione. Lo strumento è costituito da 21 gruppi di affermazioni
(corrispondenti a 21 aree di indagine) utile per avere maggiori informazioni
circa l’intensità della depressione. E’ possibile interpretare il punteggio
ottenuto secondo il seguente schema: 5-9 punteggio normale; 10-18
depressione lieve; 19-29 depressione moderata; 30-63 depressione grave; cut-
off per allarme clinico >16.
Il Life Orientation Test (LOT) è stato scelto in considerazione dell’interesse
primario che ci si era prefissato inerente una misura delle aspettative positive
e una valutazione della predisposizione all’ottimismo. Sheier (Sheier et al.,
1985) ha definito l’ottimismo disposizionale delle persone come la positività
delle aspettative che un individuo ripone sui risultati delle proprie azioni. Ciò fa
si che gli individui ottimisti tendano ad avere aspettative positive sul futuro e
questo è sicuramente un fattore protettivo per i pazienti che si candidano alla
donazione d’organi da vivente. Lo strumento, che è caratterizzato da buone
proprietà psicometriche, è costituito da 13 item su una scala tipo likert (0 - In
forte disaccordo, 1 - In disaccordo, 2 - Neutrale, 3 - D’accordo, 4 - Pienamente
d’accordo) posti in prima persona sotto forma di affermazioni.
Lo STAI-Y1 è fra i più utilizzati questionari di autovalutazione per la misura
dell’ansia di stato. L'ansia di stato si manifesta come una sorta di rottura del
continuum emozionale e dell’equilibrio emotivo dei soggetti ed è caratterizzata
da una specifica sensazione soggettiva che concerne uno stato di eccessiva
preoccupazione, di intenso nervosismo, senso di inquietudine e tensione
generalizzata. Lo strumento è costituito da 20 item per i quali è possibile
segnare il proprio grado di accordo secondo una scala a 4 livelli di intensità e
basata sul seguente schema: 1 - Per nulla, 2 - Un po’, 3 - Abbastanza, 4 -
Moltissimo. Alcuni item sono formulati in forma invertita in quanto indicano
l’assenza di ansia e i punteggi vengono ricodificati in sede di analisi. Il
punteggio finale si ottiene dalla somma delle risposte ai singoli item, può
variare da un minimo di 2 ad un massimo di 80 ed il punteggio ottenuto dai
soggetti può essere rapportato con il punteggio del campione normativo per
genere ed età.
Per quel che concerne la fase di follow-up, eseguito a 26 mesi dall’intervento,
ci si è avvalsi del colloquio clinico ed al campione di donatori è stato
155
somministrato il Beck Depression Inventory (BDI) per monitorare la presenza di
eventuali quote depressoggene. E’ stato chiesto inoltre di esprimere un
giudizio circa il proprio stato di salute percepito, rispetto alla dimensione fisica
e psichica e relativamente alla capacità di far fronte adeguatamente alle
attività quotidiane. Si è chiesto ai pazienti come giudicassero la loro salute in
termini generali, specificando una risposta secondo una scala tipo likert (1 -
Scadente, 2 - Passabile, 3 - Buona, 4 - Molto buona, 5 - Eccellente).
3. RISULTATI
L'analisi dei dati preliminare ha messo in evidenza alcune considerazioni
interessanti. Innanzitutto i soggetti appartenenti al campione totale hanno
ottenuto durante il follow-up punteggi al BDI sovrapponibili a quelli ottenuti
durante la valutazione "before donation" (campione totale valutazione iniziale:
M=4,33 DS=3,98; campione totale follow-up: M=4,77 DS=3,76; d di Cohen=
.10). Non è stato riscontrato quindi un aumento delle quote depressogene nel
campione complessivo di donatori durante il follow-up. Nessuno dei pazienti ha
riportato infatti un punteggio al BDI definito di allarme clinico. Solo 2 pazienti
hanno riportato un punteggio pari a 12 ed inquadrabile all’interno della
classificazione “depressione lieve” (10-18) ma sempre ben al di sotto del cut
off di allarme clinico (<16). Tuttavia, per quanto concerne le differenze di
genere, i dati hanno evidenziato punteggi più alti riportati al BDI durante il
follow-up per il campione di sesso femminile rispetto alla fase di valutazione
precedente alla donazione, con d di Cohen= -.78 (un valore superiore a .50 è
indicativo di una moderata dimensione dell’effetto).
Per quel che concerne i punteggi medi ottenuti durante la valutazione
preliminare dal campione relativamente all’ansia di stato questi hanno indicato
livelli più bassi rispetto a quelli riportati dal campione normativo (Pedrabissi,
Santiniello, 1989) con un punteggio z medio pari a -.45.
Il confronto per genere nel nostro gruppo ha mostrato una differenza fra
maschi e femmine, in quanto queste ultime hanno riportato durante la fase
156
iniziale della ricerca livelli più alti di ansia di stato (M=35,42 DS=3,10) rispetto
al campione maschile (M=31,20 DS=3,63).
Punteggio totale al Beck Depression Inventory (BDI) - before donation
Punteggio totale al Beck Depression Inventory (BDI) - post donation
Punteggio totale al Life Orientation Test (LOT)
Si è potuta registrare peraltro una moderata correlazione tra ansia iniziale e
punteggio BDI al follow-up (coefficiente di correlazione .37). Inoltre l’analisi dei
dati ha evidenziato una moderata correlazione tra i punteggi riportati allo
State-Trait Anxiety Inventory (STAI) durante la fase precedente alla donazione
e la valutazione dei pazienti durante il follow-up circa l’interferenza del proprio
stato di salute per lo svolgimento delle attività quotidiane (coefficiente di
correlazione -.40).
Ciò ha indicato che i soggetti con un più alto livello di ansia iniziale hanno
espresso con maggior frequenza una valutazione del proprio stato di salute
come un ostacolo per lo svolgimento delle attività sociali, familiari o amicali.
Un altro dato interessante è che l’età dei soggetti si è dimostrata inversamente
correlata ai punteggi ottenuti al BDI (coefficiente di correlazione -.43). Ciò
potrebbe indicare che più il donatore è giovane più probabilità ci sono che
riporti maggiori quote depressive (fig.1).
MASCHI FEMMINE TOTALE MEDIA 3,45 6,85 4,77
DEV. STAND. 3,01 4,09 3,76
MASCHI FEMMINE TOTALE MEDIA 3,45 6,85 4,77
DEV. STAND. 3,01 4,09 3,76
MASCHI FEMMINE TOTALE MEDIA 37,10 40,00 38,29
DEV. STAND. 7,68 4,00 6,43
157
Fig. 1 Correlazioni dei punteggi ottenuti al Beck Depression Inventory (BDI)
somministrato dopo la donazione con i punteggi ottenuti ai test STAI-Y1 e LOT
somministrati prima dell’intervento e rispetto alla variabile età (p< 0,01)
Fig. 2 Correlazione dei punteggi ottenuti al Life Orientation Test (LOT) e la qualità
della salute percepita dai pazienti
Tale correlazione aumenta se si prendono in considerazione i punteggi al BDI
del sottogruppo che ha riportato i punteggi più alti durante il follow-up. I
punteggi al BDI di tale gruppo infatti (M=10,25 DS=2,06) appaiono
maggiormente correlati all’età dei soggetti (coefficiente di correlazione -.60).
Al follow-up il 43% del campione dichiara di godere di salute eccellente e solo
il 17% si sente parzialmente limitato nello svolgimento delle attività quotidiane.
Solo il 6% del campione dichiara di provare a volte scoraggiamento o tristezza
al follow-up. Chi ha dichiarato di sentirsi scoraggiato o triste aveva ottenuto un
punteggio elevato più del doppio al BDI rispetto alla media del campione prima
dell'intervento.
Durante l’analisi dei dati è stato inoltre possibile registrare una moderata
correlazione tra i punteggi ottenuti al Life Orientation Test (LOT) e la
valutazione circa il proprio stato di salute (coefficiente di correlazione -.54).
Questo sembrerebbe indicare che i pazienti con un più elevato livello di
ottimismo disposizionale siano più inclini a giudicare positivamente il loro stato
di salute (fig. 2).
STAI-Y1 LOT ETA’
BDI (after donation)
Coefficiente di correlazione 0,372 0,209 -0,436
Giudizi circa il proprio stato di salute
LOT (after donation)
Coefficiente di correlazione 0,540
N 18
158
4. DISCUSSIONE
Alla luce dei dati raccolti è possibile sostenere che il campione di donatori di
cui si è avvalso lo studio non ha riportato al follow-up diagnosi di depressione
ne un aumento significativo delle quote di tratti depressogeni.
Si è evidenziato inoltre che i punteggi riportati al BDI durante il follow-up, se
pur bassi, sono risultati moderatamente correlati al livello d’ansia iniziale
(coefficiente di correlazione .37) e inversamente correlati all’età (coefficiente di
correlazione -.43).
Inoltre si è potuto constatare che il campione di sesso femminile ha riportato,
rispetto al campione maschile, un livello più elevato di ansia di stato in fase
preliminare e punteggi più alti al BDI durante il follow-up.
Tuttavia oltre il 43% del campione sentito al follow-up ha giudicato la propria
salute come eccellente. Rispetto il giudizio positivo espresso dai pazienti circa
lo stato di salute si è potuta riscontrare una moderata correlazione fra i
punteggi ottenuti al Life Orientation Test (LOT) e la frequenza dei giudizi
positivi sulla propria salute. Questo dato potrebbe aprire scenari molto
159
interessanti, da verificare ulteriormente anche attraverso successive ricerche
sostenute da un campione più numeroso di pazienti.
Alla luce dei dati ottenuti è possibile ipotizzare che i soggetti giovani e di sesso
femminile che si propongono come candidati alla donazione di fegato siano in
qualche modo portatori di diverse aree critiche e che rappresentino una quota
di popolazione leggermente più a rischio per l’esito dell’intervento e per le
ricadute in termini di salute percepita e qualità di vita.
Inoltre è risultato evidente che soggetti caratterizzati da un maggior grado di
ottimismo disposizionale siano più inclini a giudicare positivamente il proprio
stato di salute.
Ciò evidentemente comprenderebbe la capacità di gestire adeguatamente le
problematiche connesse alla vita di tutti i giorni e il poter contare su uno stile
cognitivo improntato all’efficacia.
Tale evidenza avrebbe un duplice significato: la disposizione all’ottimismo è
sicuramente un fattore protettivo per il paziente e rappresenta un aspetto
predittivo circa un ottimale condizione di salute successiva alla donazione. Gli
160
ottimisti insomma avrebbero maggiori probabilità di percepire positivamente il
proprio stato di salute.
Per tale motivo diventa rilevante monitorare quei soggetti che, durante la fase
preliminare alla donazione, esprimano un minor grado di ottimismo, riportando
punteggi più bassi al Life Orientation Test (LOT). Identificare questi soggetti
consentirebbe di poter lavorare più a lungo per migliorare le aree critiche e le
risposte di coping, al fine di aumentare le probabilità complessive di successo
dell’intervento.
5. CONCLUSIONI
I dati raccolti non consentono ancora di avere un quadro clinico circa il pieno
recupero di questi pazienti e la qualità di vita che concerne il periodo
successivo alla donazione.
I pazienti hanno sicuramente bisogno di assistenza e di supporto, anche nei
termini di una psicoeducazione che consenta loro di sviluppare pienamente le
abilità di coping e di recuperare il benessere qui inteso in termini
biopsicosociali.
Per ottenere questi risultati sarebbe auspicabile poter disporre di strumenti
dedicati che consentano di cogliere una misura il più possibile accurata della
qualità di vita dei pazienti, magari basandosi sull’implementazione di nuove
linee guida e di programmi di follow-up costruiti su misura per monitorare
attentamente tutti gli aspetti di ordine psicofisico in gioco nella donazione
d’organo da vivente.
161
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