SOFONISBA ANGUISSOLA 1535 ca – 1625 Autoritratto, 1554, olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum
L’esatta data di nascita non è nota e non c’è alcun documento che riporti la notizia del suo battesimo (prima dell’applicazione
dei decreti tridentini non era obbligatorio tenere i registri).Si può circostanziare la data di nascita dell’artista =
1. Il matrimonio tra Amilcare Anguissola e Bianca Ponzoni venne celebrato intorno al 1532-1533
2. La nascita dei lori 7 figli (quelli di cui si abbia documentata la notizia) si scala in un arco cronologico di oltre vent’anni.
Sofonisba fu la primogenita, Asdrubale nacque nel 1551 e Anna Maria, l’ultima nata, qualche tempo dopo.
3. Molti autoritratti dipinti da Sofonisba negli anni ’ 50 costituiscono una testimonianza preziosa per determinare,
almeno approssimativamente l’età , segnando il passaggio da un viso e uno stile ancora da “adolescente” a espressioni via via più
mature
Sofonisba nasce nel 1535 (probabilmente) a Cremona.
Non fu facile per il capofamiglia mantenere un decoroso tenore di vita per sé e per i suoi famigliari, confacente almeno allo
status di patrizio che comunque spettava sia agli Anguissola sia ai Ponzoni.
Amilcare esercitò attività diplomatica sostenuta da una inesauribile prolificità epistolare , grazie alla quale si promosse in prima persona e costruì la fortuna della primogenita Sofonisba, coltivando le virtù delle proprie figliole avviandole non solo allo studio della letteratura e della musica ma anche della pittura e
accendendo soprattutto intorno a Sofonisba grandi attese. Le due sorelle più grandi, Sofonisba e Elena, vengono mandate a
bottega dal pittore Bernardino Campi.
1546 – 1549 Educazione artistica presso Bernardino Campi che le fornì i rudimenti dell’arte, in particolar modo per quel che riguarda lo studio dei ritratti “dal naturale”, senza soffermarsi sull’invenzione di
soggetti religiosi.Dal 1549 la sua formazione artistica passa al pavese Bernardino Gatti,
detto Il Sojaro, ben radicato nella cultura cremonese.La cultura artistica di Sofonisba viene ulteriormente sollecitata dal
padre, che provvede a stabilire contatti con Mantova, Ferrara, Parma, Urbino e Roma per completare l’educazione della figlia e
promuoverla in quelle corti.Durante gli anni ‘50 del Cinquecento qualcuno propose di sposare Sofonisba ma dovette rinunciare sia a causa dell’impossibilità del padre di far fronte alla dote e sia perché la fama della cremonese
stava ormai oltrepassando i confini cittadini e regionali, giungendo fino alle orecchie di Filippo II che la chiamò a corte nel 1559, come
dama di corte della nuova regina, la francese Isabella di Valois.
Prima della partenza, Sofonisba si reca a Milano e questa è l’ultima presenza attestata dell’artista in Lombardia.
Durante il suo soggiorno in Spagna, l’artista non è mai menzionata o ricordata come ritrattista, anche se di fatto in
questo periodo realizzò molti ritratti, come testimonia la presenza del suo nome nelle maggiori collezioni spagnole.
Alla morte di Isabella di Valois (per parto) tutte le dame del suo seguito tornarono alle famiglie d’origine e solo Sofonisba rimase
presso la famiglia reale probabilmente perche il rientro a Cremona , a un’età ormai matura e dopo dieci anni di assenza trascorsi a corte, sarebbe sembrato inadeguato al rango e alla
fama acquisiti.
Partita a scacchi, 1555, Poznàn, Museo Nazionale
Ritratto di famiglia (Minerva, Annibale e Asbrubale Anguissola), 1558, Nivaa, Nivaagaards Malerisamling
Bambino (Asdrubale) morso da un granchio (o da un gambero), 1555 circa Napoli, Gallerie di Capodimonte
Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, 1594-95, Fondazione Longhi, Firenze
Ritratto di Minerva Anguissola, intorno al 1560-1564, Milano, Pinacoteca di Brera
Autoritratto alla spinetta, 1554 – 1555, Napoli, Gallerie di Capodimonte
Al maggio 1573 risalgono le nozze col cadetto siciliano appartenente a una casata titolata dell’isola, Don Fabrizio
Moncada.Nell’autunno del 1573 raggiunse il marito e visse per i successivi cinque anni tra Palermo e Paternò, feudo dei Moncada dove il
marito risiedeva abitualmente e curava gli interessi della propria famiglia.
La produzione deve essere stata piuttosto scarsa, interrotta dagli spostamenti, dalla peste che imperversò nell’isola e dalle dispute
legali che opposero Fabrizio al resto della famiglia Moncada.Per ora in Sicilia non è emersa alcuna traccia della produzione
artistica di Sofonisba che dovrebbe comprendere non solo ritratti ma anche quadretti religiosi, probabilmente destinati alla
devozione privata.
Nel 1578 Fabrizio Moncada si prepara per recarsi a corte da Filippo II ma non arrivò mai in Spagna perché affogò in circostanze
misteriose durante un attacco sferrato dai pirati barbareschi al largo di Capri ai due velieri che trasportavano a corte il presidente e
il suo seguito.Sofonisba ricorse all’aiuto del fratello Asdrubale , ormai divenuto
un membro stimato della nobiltà cittadina, dove occupava le cariche che erano state di suo padre, che raggiunse la sorella in
Sicilia, divenendone amministratore e procuratore, e aiutandola a dirimere le questioni più importanti per poter lasciare l’isola.
La corte spagnola propose di riaccogliere Sofonisba presso di sé, ma tutto fu predisposto per favorire un rapido ritorno dell’artista a
casa propria in Lombardia.Nel 1579 Sofonisba e il fratello si imbarcano da Palermo alla volta della Liguria, ma a causa del maltempo sono costretti a sbarcare
con tutti i beni a Livorno.
Nel giro di tre mesi (entro Natale 1579) a Pisa, dove si era provvisoriamente trasferita da Livorno, Sofonisba si sposò una seconda volta, contro il volere del fratello e della corte
spagnola, unendosi a un giovane capitano di nave, il genovese Orazio Lomellini.
Dopo pochi mesi trascorsi a Pisa la nuova coppia si trasferì in Liguria.
Orazio Lomellini apparteneva a una importante casata genovese, ma era un figlio naturale fortemente legato alla propria attività marinara e mercantile che lo costrinse per
tutta la vita a fare la spola tra Genova e la Sicilia.Poiché Genova era un importante punto di transito nei
collegamenti marittimi tra l’Italia e la Spagna, Sofonisba ebbe modo di incontrare ancora numerosi membri della corte.
Poche testimonianze sulla produzione artistica anguissoliana nei trentacinque anni genovesi durante i quali sono accertati gli
interessi che l’artista rivolse alla produzione di Luca Cambiaso e il legame di amicizia stretto con Bernardo Castello, mentre le fonti riferiscono che un misterioso Pietro Francesco Piuola fu avviato
da Sofonisba all’arte della miniatura. Sofonisba inoltre intrattenne relazioni anche con Giovanni
Battista Castello detto Il Genovese, miniatore, confermando di coltivare sempre interessi legati alla cultura tardo rinascimentale,
senza che sia invece possibile avanzare ipotesi circa l’apertura verso i pittori delle nuove generazioni, genovesi o fiamminghi.
Nel 1615 Sofonisba lasciò Genova per fare ritorno a Palermo, dove Orazio Lomellini aveva accumulato cariche e impegni.
Cessò di dipingere a causa del progressivo indebolimento della vista, anche se probabilmente fu consultata ancora quando si commissionarono a Genova i dipinti per la chiesa di S. Giorgio
retta dalla nazione dei genovesi.Nel luglio 1624 poche settimane dopo lo scoppio di una
tremenda epidemia di peste che sconvolse Palermo, Sofonisba ricevette la visita del giovane Anton Van Dyck, chiamato in città a
dipingere il ritratto del vicerè Emanuele Filiberto di Savoia che redige una memorabile pagina di appunti promemoria nel
proprio album italiano in cui compare un ritratto schizzato di Sofonisba e dove si legge un vivo ricordo di lei vecchissima, quasi
cieca, ma con un ottima memoria e un interesse ancora molto forte per la pittura.
Morì il 16 novembre 1625 e venne sepolta nella chiesa di S. Giorgio, dove sette anni dopo Orazio Lomellini fece apporre in
suo ricordo una commossa lapide commemorativa.
Anthony van Dyck, Ritratto di Sofonisba Anguissola, 1624, Londra, British Museum.
Anthony van Dyck, Ritratto di Sofonisba Anguissola, 1624, Knole House, Sackville Collection.
Artemisia Lomi Gentileschi (1593 – 1653)Autoritratto come allegoria della Pittura, 1638-39, Royal Collection, Windsor
Nacque a Roma , primogenita del pittore toscano Orazio Gentileschi (esponente di primo piano del caravaggismo romano) e di Prudenzia Montone, che morì prematuramente. Suo padre aveva assunto a Roma il cognome "Gentileschi" anziché Lomi,
per distinguersi dal fratellastro Aurelio, pure attivo pittore. Presso la bottega paterna, assieme ai fratelli, ma dimostrando,
rispetto ad essi, maggior talento, Artemisia ebbe il suo apprendistato artistico, imparando il disegno, il modo di
impastare i colori e di dar lucentezza ai dipinti (come sappiamo dalla testimonianza di un apprendista di Orazio.
Susanna e i vecchioni, 1610, collezione Schönborn, Pommersfelden
La tela lascia intravedere come, sotto la guida paterna, Artemisia, oltre ad assimilare il realismo del Caravaggio, non sia indifferente al linguaggio della scuola bolognese, che aveva preso le mosse da Annibale Carracci.
Per la critica è stato impossibile non associare la pressione esercitata dai due vecchioni su Susanna al complesso rapporto di Artemisia con il
padre e con Agostino Tassi, il pittore che nel maggio 1611 la stuprò: tra l'altro, uno dei due Vecchioni è particolarmente giovane e presenta una
barba nera come quella che, secondo alcune fonti, sembra avesse; l'altro Vecchione ha fattezze simili a quelle ritratte da Antoon van Dyck in un'incisione raffigurante Orazio Gentileschi. In molti hanno pensato
che Artemisia avesse volutamente retrodatato il quadro al 1610 per alludere, attraverso esso, all'inizio dell'oppressione subita da figure
troppo ingombranti per la sua esistenza di donna e di pittrice. Durante il processo, Tassi affermò che Artemisia si era spesso lamentata con lui della morbosità del padre, svelandogli che egli la trattava come
fosse sua moglie. La datazione dell'opera in passato è risultata controversa anche a causa di fonti discordanti sulla data di nascita di Artemisia: si è scoperto recentemente che Orazio, per impietosire il
giudice al processo, mentì sull'età di Artemisia al momento della violenza, attribuendole appena quindici anni (e collocandone la nascita,
quindi, nel 1597)
Era frequente che Agostino si trattenesse nella dimora dei Gentileschi dopo il lavoro; secondo alcune fonti, fu lo stesso Orazio a introdurlo ad Artemisia.
Il padre denunciò il Tassi che dopo la violenza, non aveva potuto "rimediare" con un matrimonio riparatore. Il problema è che il pittore era già sposato (e nel
frattempo manteneva anche una relazione incestuosa con la sorella della moglie).
Del processo che ne seguì è rimasta esauriente testimonianza documentale, che colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia e per i metodi inquisitori del
tribunale. Gli atti del processo (conclusosi con una lieve condanna del Tassi) hanno avuto grande influenza sulla lettura in chiave femminista, data nella
seconda metà del XX secolo, alla figura di Artemisia Gentileschi. È da sottolineare il fatto che Artemisia accettò di deporre le accuse sotto
tortura, consistite queste nello schiacciamento dei pollici, che per una pittrice era un danno ancora peggiore, con uno strumento usato ampiamente all'epoca.
[Una lettura del processo basata sul concetto di stuprum inteso come nella normativa del Seicento si intendeva, e dunque come deflorazione di donna
vergine o come rapporto sessuale dietro promessa di matrimonio non mantenuta, è il risultato degli studi più recenti]
Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613), Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli
La tela, impressionante per la violenza della scena che raffigura, è stata interpretata in chiave psicologica e psicoanalitica, come desiderio di rivalsa rispetto alla violenza subita.
Dopo la conclusione del processo, Orazio combinò per Artemisia un matrimonio con Pierantonio Stiattesi, modesto artista fiorentino, che servì a restituire ad Artemisia, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente
"onorabilità". Poco dopo la coppia si trasferì a Firenze poiché l'abbandono di Roma fu quasi obbligato: la pittrice aveva ormai perso il favore
acquisito e i riconoscimenti ottenuti da altri artisti, messa in ombra dallo scandalo suscitato, che fece fatica a far dimenticare
A Firenze Artemisia conobbe un lusinghiero successo. Nel 1616 venne accettata nell'Accademia delle Arti del Disegno, prima donna a godere di tale privilegio;
dimostrò di saper tenere buoni rapporti con i più reputati artisti del tempo, come Cristofano Allori, e di saper
conquistare i favori e la protezione di persone influenti, a cominciare dal Granduca Cosimo II de' Medici e, in special modo, della granduchessa-madre Cristina.
Questi primi anni successivi allo stupro e al processo sembrano cercare un distacco dalla vita romana:
inizialmente la pittrice assunse il cognome Lomi e fu in buoni rapporti con Galileo Galilei, con il quale rimase in
contatto epistolare anche in seguito al suo periodo fiorentino.
Capita spesso, nelle tele di Artemisia, che le sembianze delle formose ed energiche eroine che vi compaiono abbiano fattezze del volto che ritroviamo nei suoi ritratti o autoritratti: spesso chi
commissionava le sue tele doveva desiderare di avere una immagine che ricordasse visivamente l'autrice, la cui fama
andava crescendo. Nonostante il successo, a causa di spese eccessive, sue e di suo
marito, il periodo fiorentino fu tormentato da problemi con i creditori. Si può ragionevolmente collegare al desiderio di
sfuggire all'assillo dei debiti e alla non facile convivenza con lo Stiattesi, il suo ritorno a Roma che si realizzò in maniera
definitiva nel 1621.
Giuditta con la sua ancella, Galleria Palatina, , 1618- 1619 Palazzo Pitti, Firenze
Danae, ca 1612, Saint Louis Art Museum, St. Louis (Missouri)
Giuditta con la sua ancella, 1625 –1627, The Detroit Institute of Arts.
Ester e Assuero, ca. 1628 – 1635, Metropolitan Museum of Art, New York.
Nel 1630 Artemisia si recò a Napoli, valutando che vi potessero essere, in quella città fiorente di cantieri e di appassionati di belle arti, nuove e più ricche possibilità di lavoro (va ricordato che, tra gli altri, erano già passati da Napoli Caravaggio, Annibale Carracci, Simon Vouet, vi lavoravano in quegli anni José de Ribera, Massimo
Stanzione, e, di lì a poco, vi sarebbero approdati il Domenichino, Giovanni Lanfranco e altri ancora).
L'esordio artistico di Artemisia a Napoli è rappresentato forse dalla Annunciazione del Museo di Capodimonte.
Napoli fu dunque per Artemisia una sorta di seconda patria nella quale curò la propria famiglia e ricevette
attestati di grande stima. A Napoli, per la prima volta, Artemisia si trovò a dipingere tre tele per una chiesa, la cattedrale di Pozzuoli: San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli,
l'Adorazione dei Magi e Santi Procolo e Nicea.
Nel 1638 Artemisia raggiunse il padre a Londra, presso la corte di Carlo I, dove Orazio era diventato pittore di corte e aveva
ricevuto l'incarico della decorazione di un soffitto nella Casa delle Delizie della regina Enrichetta Maria a Greenwich. Dopo tanto
tempo padre e figlia si ritrovarono legati da un rapporto di collaborazione artistica, ma nulla lascia pensare che il motivo del
viaggio londinese fosse solo quello di venire in soccorso all'anziano genitore. Certo è che Carlo I la reclamava alla sua corte e un rifiuto non era possibile. Orazio inaspettatamente
morì, assistito dalla figlia, nel 1639. Sappiamo che nel 1642, alle prime avvisaglie della guerra civile, Artemisia aveva già lasciato l'Inghilterra. Poco o nulla si sa degli
spostamenti successivi. È un fatto che nel 1649 fosse nuovamente a Napoli.
Max Ernst, Attirement of the Bride (La Toilette de la mariée), 1940
Alexander Calder, Arc of Petals, 1941
Pablo Picasso, On the Beach (La Baignade), February 12, 1937
Renè Magritte, Voice of Space (La Voix des airs), 1931
Salvador Dalí, Birth of Liquid Desires (La naissance des désirs liquides), 1931–32
Vasily Kandinsky, Landscape with Red Spots, No. 2, 1913