FIG. 4 E 5 - OCCHIEPPO INFERIORE - ORATORIO DI S. CLEMENTE: AFFRESCHI
fattura molto primitiva delineata a puro contorno con -piatta modellazione e qualche tentativo di chiaroscuro sul vestito, con motivi e lettere gotizzanti; e attraverso sondaggi fatti nella parete di fondo e in una laterale, s'intravedono altri affreschi di siffatto carattere.
Dato l'interesse e il valore di tali affreschi, mi auguro di portare a termine quanto ho iniziato, dimodochè venendo alla luce quelli ancor sotto intonaco possa completare gli studi sul valore storico ed artistico di
questo interessante oratorio intitolato a S. Clemente, e di altri affreschi qua e là dispersi nelle antiche chiese, tuttora aperte al culto o abbandonate.
In riferimento a quanto sopra, si può dire, come il biellese sia una delle poche regioni che possieda un considerevole numero di affreschi antichi notevoli per bellezza e varietà, i quali risalgono persino al periodo romanico. Ma di ciò parlerò prossimamente, dimostrando con documentazione e fotografie le mie asserzioni. STEFANO VIGNA
UN IGNOTO AUTORITRATTO DI LUIGI VANVITELLI
La R. Soprintendenza all'arte medioevale e moderna di Napoli ha fatto recentemente un importante acquisto mettendo sollecitamente le mani su un notevole ritratto che altrimenti sarebbe sfuggito alle collezioni artistiche napoletane. È un ritratto ovale ad olio su tela di m. 1,25 x I del celebre architetto Luigi Vanvitelli, il cui nome non è legato soltanto alla costruzione del Real Palazzo di Caserta e di numerose chiese monumentali di Napoli, ma allo splendore architettonico che la capitale borbonica raggiunse sotto Carlo III.
Il figlio dell 'ambiziosa Elisabetta Farnese ed erede del lusso e del fasto dei Farnesi, il quale aveva lasciato le delizie delle Reggie farnesiane di Parma e Colorno, che aveva spogliato delle sue immense ricchezze artistiche l'avito ducato Farnesiano e aveva abbandonato per sempre il superbo palazzo Sangalliano di Roma, asportandone le famose statue di Ercole e della Flora, di Venere Callipige e del Toro Farnese, che fino al 1739 adornava il cortile di quel palazzo, chiamò il celebre architetto per costruirgli una nuova Reggia.
©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte
Ed è per consiglio del suo architetto, il quale additava l'esempio del Granduca di Toscana Cosimo III che aveva trasportato a Firenze le statue dei Niobidi ed altre che si trovavano nella villa Medicea di Roma, che il monarca Carlo III Borbone spogliava il palazzo Farnese di Roma .. per decorare il Real nuovo palazzo di Caserta con le antichità cospicue che appartengono alla Casa Farnese" (lettera del Vanvitelli al Tanucci del 19 luglio 1720).
L 'architetto del Re di Napoli è raffigurato di prospetto, seduto su di una poltrona ad alta spalliera dorata, rivestita di velluto rosso. Veste corti calzoni di velluto verde come la giubba terminante alle maniche con pizzo di merletto e panciotto di seta bianca ricamata. Poggia il braccio sinistro su due volumi e stringe nella mano sollevata un compasso, mentre la destra è poggiata al fianco su di un drappo di seta rossa. Alla sua sinistra il cavalletto sul quale è un ovale con figura di Minerva. Il ritrattato porta sul capo la bianca parrucca.
Il ritratto che oggi entra nelle collezioni dello Stato proviene dalla stessa famiglia Vanvitelli. Il volume sulla vita del celebre architetto stampato nel 1823 e scritto dal nipote Luigi Vanvitelli, è preceduto dal nostro ritratto disegnato da Gennaro Maldarelli e inciso da Raffaele Esterven. Il ritratto passò poi dagli eredi Vanvitelli alla Galleria Vanvitelli di Napoli e da questa alla raccolta dell'on. Gualtieri andata recentemente dispersa.
Molto interessa agli studiosi ed ai critici d'arte conoscere il nome dell'autore del quadro.
Nel Catalogo della Galleria Vanvitelli pubblicato sotto il nome di Collezione Haegmann, Napoli 1920, il ritratto (n. 571 del Catalogo) è attribuito a Francesco Solimena. L 'attribuzione, se non fosse contradetta dall'età del ritrattato che rivela un uomo più vicino ai 60 che ai 40 anni (il Solimena morì nel 1744), potrebbe sembrare attendibile ad un esame superficiale del dipinto. I rossi e i bleu derivano si dal Solimena, ma sono alquanto convenzionali: non hanno la vivacità dei colori a riflessi azzurri e verdi, nè i forti contrasti di luce e d'ombra propri del maestro napoletano, la cui scienza e bellezza cromatica, oltre la facilità dell'esecuzione, formano il fascino della sua pittura. Ritrattista del Re e della Regina e di Filippo V di Spagna, il Solimena tenne a Napoli, sotto Carlo III Borbone, il campo nell'arte del ritratto.
Ma nella forma esterna il nostro ritratto ricorda però più la maniera del Bonito che del Solimena. L'uso di dipingere i personaggi di fronte e non di profilo è proprio del Bonito. E fra gli allievi del Solimena il Bonito (t 1789) è certamente il più celebre ritrattista.
I suoi ritratti sono ammirevoli più che per disegno per freschezza di colore luminoso.
Il nostro ritratto se rivela influenze della pittura napoletana contemporanea, rivela altresì influssi di quella nuova tendenza esercitata dal Mengs sui pittori della capitale del Mezzogiorno d'Italia.
Le nuove teorie estetiche di Raffaele Mengs trovarono un mecenate nel Re Carlo III, tanto che quando questo Sovrano lasciava il Trono di Napoli per quello di Spagna conduceva seco nella nuova capitale il suo pittore di Corte.
L'esempio del monarca trascinava all'ammirazione anche gli artisti che vivevano alla Corte, fra i quali il Bonito, il quale si piegò al nuovo riformatore della pittura.
Se l'arte napoletana del '700 decadde per la reazione neo- classica, non può negarsi al Mengs come ritrattista notevole importanza. Anche se egli è secco e minuzioso, sa ottenere un colorito brillante, signorilità di posa e ricchezza di smaglianti costumi.
Questa duplice influenza bonitiana e mengsiana rivela il nostro ritratto. Minuzioso ma senza il virtuosismo di un pittore di qualità e senza lo splendore di un ritrattista come il Solimena o il Bonito, l'autore del nostro ritratto si rivela non un colorista ma un fine disegnatore che si preoccupa di rendere fedelmente, minuziosamente il modello. Questa accuratezza è evidente specialmente nella riproduzione del panciotto bianco ricamato sotto la giubba di velluto verde e nella meticolosa acconciatura del vestito. Ma il ritratto è già accademico, freddo, anche se l'esecuzione non manca di bravura. Nella faccia e nelle mani la tecnica appare alquanto superficiale.
La stessa composizione è ispirata dall'autoritratto del Solimena della Galleria degli Uffizi: quasi la medesima posa, il medesimo effetto del mantello rosso gettato sulle spalle, e perfino l'introduzione del cavalletto con un quadro ovale a destra del ritratto.
Per tutte queste particolarità credo che il nostro sia un autoritratto.
Il maestro che in gioventù aveva studiato pittura alla scuola paterna di Gaspare van Witel e ventenne dipinse in Roma ad affresco la Cappella delle Reliquie di S. Cecilia e ad olio il quadro della Santa, quasi sessantenne ritrasse sè stesso e nel cavalletto sostenente un quadro ovale volle forse adombrare la sua qualità di pittore.
Questa opinione è avvalorata dal fatto che sotto il ritratto che precede la vita scritta dal nipote, mentre è indicato il nome del disegnatore e dell' incisore, è taciuto quello del pittore.
Se il nostro è dunque un autoritratto, esso acquista maggiore interesse storico, ha il valore di una scoperta.
ANTONINO SORRENTINO
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RITRATTO DI LUIGI VANVITELLl (Fot. Cascianelli)
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