UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di Laurea in Scienze Filosofiche
Una metafisica alla prova: la
teoria dei tropi applicata alla
teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di:
Costanza BREVINI Matr. N. 773093
Relatore: Chiar.mo Prof. Paolo VALORE
Anno Accademico 2010/2011
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
2
INDICE
OSSERVAZIONI PRELIMINARI………………………...5
Capitolo primo: LA TEORIA DEI TROPI
1. Cos’è la teoria dei tropi ……………………………………15
2. Principali caratteristiche di un'ontologia dei tropi…………18
3. Il divenire nella teoria dei tropi: cambiamento, eventi,
cause…………………………………………………………………29
4. Possibili obiezioni alla teoria dei tropi: eventuali soluzioni e
questioni ancora aperte......…………………………………….…….32
5. Tirando le somme: costi e vantaggi della teoria dei
tropi………………………………………………………………….39
Capitolo secondo: LA TEORIA DEI TROPI COME
ONTOLOGIA DEGLI ENTI MATEMATICI
1. Ontologie degli enti matematici……………………………42
2. Che cosa sono gli enti matematici………………………….47
3. Proprietà e relazioni degli enti matematici…………………51
Capitolo terzo: LA TEORIA DEGLI INSIEMI
1. La teoria ingenua di Cantor………………………………...57
2. I paradossi della teoria degli insiemi……………………….61
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3. Le teorie assiomatiche degli insiemi……………………….67
4. La teoria dei tipi……………………………………………83
5. La teoria predicativista di Weyl……………………………87
6. Per un bilancio della teoria degli insiemi…………………..90
Capitolo quarto: I FASCI DI TROPI COME INSIEMI DI
ELEMENTI
1. Le proprietà sono gli elementi costitutivi dell’essere: elementi
e tropi………………………………………………………………...92
2. Il problema dell’insieme vuoto…………………………….99
3. Quattro possibili soluzioni………………………………..101
4. Gli insiemi vuoti di tropi………………………………….108
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE…………...……………...114
RINGRAZIAMENTI…………..………………………………117
BIBLIOGRAFIA………………………………………………..118
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«La verità è una cosa troppo complicata perché permetta qualcosa di differente dalle approssimazioni»
JOHN VON NEUMANN
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OSSERVAZIONI PRELIMINARI
Questo lavoro si propone di mettere alla prova un tipo di
metafisica, che ha conosciuto una fortuna piuttosto recente: la teoria
dei tropi. A tal fine è opportuno fissare alcune fondamentali questioni
terminologiche. L’ontologia è quella parte della filosofia che mira a
isolare e a categorizzare gli elementi ultimi dell’essere. Ciò non
significa semplicemente risalire nella classificazione di tutto ciò che
c’è fino a raggiungere gli enti non ulteriormente divisibili. Vuol dire
anche assicurarsi che questi individui, oltre a essere ultimi, siano in
grado di descrivere esaustivamente l’intera pluralità dell’essere.
Definiamo invece metafisica la disciplina che classifica gli enti
ultimi, assegnando ciascuno a uno dei tipi ammessi da ogni diversa
teoria1. Ecco perché sono molteplici le metafisiche che si sono
avvicendate nel corso della storia della filosofia. Per un lungo periodo
i pensatori hanno costruito le loro teorie sulla solida base della
distinzione ontologica tra individui e proprietà. Questo tipo di
metafisica fonda l’essere su un sostrato materiale piuttosto misterioso,
al quale si appoggiano le proprietà. Esse hanno la funzione di
informare il sostrato, creando in tal modo l’illusione della molteplicità
dell’essere: un velo variegato che si adagia però su una materialità
omogenea.
1 Questa concezione del rapporto tra metafisica e ontologia è presente in letteratura, in particolare si veda VALORE, PAOLO, L’inventario del mondo. Guida allo studio
dell’ontologia, Utet, Torino 2008.
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Le singole proprietà che sono possedute dagli enti concreti si
radunano per somiglianza a formare gli universali. Gli universali
possono essere ante rem, godere quindi di una realtà precedente le
cose individuali; in re, quelli che cioè sono nelle cose stesse; o post
rem, in altre parole derivanti dagli oggetti materiali successivamente,
tramite un processo astrattivo di tipo conoscitivo. Da questa analisi
derivano principalmente tre teorie degli universali, quindi tre
metafisiche differenti. La prima è la metafisica realista, che assicura
l’esistenza degli universali indipendentemente dalla mente che li
pensa. Essa inoltre garantisce a questi un solido statuto ontologico. La
seconda metafisica è chiamata concettualismo. Gli universali secondo
questa prospettiva sono categorie della mente e sono generati
dall’attività conoscitiva e categorizzante della realtà. Per quanto più
debole del realismo, il concettualismo quindi garantisce un qualche
tipo di realtà agli universali. Infine, il nominalismo nega
assolutamente ogni esistenza agli universali: essi sono convenzioni,
flatus vocis, semplici nomi. Non vi è dunque per gli universali nessun
tipo di impegno ontologico. Quest’ultima prospettiva è stata
recuperata recentemente ed è stata difesa in modi nuovi, in particolare
dagli esponenti della filosofia analitica. Bertrand Russell, Donald Cary
Williams, David Lewis e Donald Davidson, ma anche David Malet
Armstrong, Peter Strawson e George Frederik Stout, sono gli iniziatori
di alcuni tra gli spunti più originali della filosofia del XX secolo.
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Gli stimoli che hanno portato alla rinnovata attenzione dei filosofi
nei confronti della metafisica sono numerosi. Si possono rintracciare
in particolare nel tentativo di trovare una risposta al problema dei
fondamenti posto dalla matematica, alle domande che provenivano
dagli studi di filosofia analitica circa i fondamenti dell’essere, nelle
questioni relative la validità del linguaggio e, conseguentemente, della
logica. Inoltre, l’indagine filosofica ha evidenziato i limiti della
metafisica che prevede individui e proprietà. È proprio attraverso i
tentativi di superamento di questi limiti che hanno visto la luce nuove
e originali teorie metafisiche.
Una delle prospettive moderne che ha goduto di maggior fortuna è
quella nota col nome di tridimensionalismo2. Questa filosofia nasce
come risposta alle difficoltà che si trova ad affrontare ogni metafisica
impegnata a spiegare il fenomeno del cambiamento. Gli ostacoli da
superare sono ancora maggiori per sistemi che prevedono individui, da
una parte, e attributi, dall’altra. Se infatti un oggetto concreto è
costituito dalle sue proprietà e da un sostrato che le regge, allora nel
momento in cui una di queste proprietà è persa o sostituita, sembra
che si assista alla creazione di un nuovo oggetto. Il tridimensionalismo
dunque colloca i suoi enti in uno spazio tridimensionale immerso nel
2 La bibliografia sul tridimensionalismo comprende STRAWSON, PETER FREDERIK,
Individui. Saggio di metafisica descrittiva, Feltrinelli- Bocca, Milano 1978;
WIGGINS, DAVID, Sul trovarsi nello stesso luogo allo stesso tempo, in Metafisica.
Classici contemporanei, a cura di Achille Varzi, Laterza, Roma-Bari 2008;
ARMSTRONG, DAVID MALET, Universals. An Opinionated Introduction, Westview,
Boulder 1989.
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continuum temporale. Il tridimensionalismo tradizionalmente riesce a
garantire l’identità nel tempo di oggetti concreti in mutamento grazie
all’introduzione del concetto di tipo. Il tipo di un oggetto indica che
cos’è quell’oggetto, mentre le proprietà si limitano a indicare com’è
fatto o come viene percepito. Gli oggetti concreti sono quindi
esaustivamente costituiti dalle proprietà di cui godono e dal tipo cui
appartengono. Inoltre, sono estesi tridimensionalmente nello spazio e
sono in grado di mantenere identità nel tempo grazie al conservarsi del
tipo nonostante il mutamento delle proprietà.
Un particolare esempio di tridimensionalismo è costituito dalla
teoria dei tropi. Tale teoria assume sempre oggetti tridimensionali
calati nel flusso temporale, ma riesce a rinunciare sia al sostrato
materiale, sia alla nozione di tipo. Sono proprio questi due concetti a
costituire i punti deboli delle teorie tridimensionaliste, perché
entrambi, se sottoposti a un’attenta analisi, si rivelano piuttosto oscuri
e problematici. La caratteristica principale della teoria dei tropi, come
si vedrà nello specifico più avanti, è che le proprietà non vengono
considerate esemplificazioni di entità universali. Esse stesse sono
entità particolari ma sempre astratte, come gli universali. Si
presentano comunque alcune difficoltà relative sempre al mutamento,
che fanno del tridimensionalismo una teoria non del tutto
soddisfacente. In particolare, è di cocente importanza la questione
della persistenza nel tempo delle entità concrete, definite come
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«continuanti». I teorici del sequenzialismo3, un altro tipo di filosofia
tridimensionalista, hanno tentato una strada alternativa, definendo gli
oggetti concreti come «persistenti». Essi sono cioè enti momentanei
che si susseguono incessantemente, dando l’impressione della
continuità. A ben vedere invece, ogni cambiamento provoca la
distruzione di un oggetto materiale e la creazione di un altro oggetto.
Purtroppo, anche in questo caso non ci si può ritenere completamente
soddisfatti. Assegnare a enti concreti, soprattutto se persone o
comunque esseri viventi4, uno statuto ontologico così fragile è
decisamente controverso. Poi, il continuo processo di distruzione e
creazione al quale vengono sottoposte le entità genera molti sospetti.
In ultimo, sembra che il sequenzialismo non spieghi veramente il
cambiamento, in quanto non affronta davvero ciò che succede a un
oggetto quando questo subisce un cambiamento. Sembra infatti che
esso preveda invece la creazione di un numero altissimo di
controparti, che hanno sicuramente qualche tipo di relazione con
l’oggetto che soggiace al cambiamento, ma non sembra che intreccino
con esso una relazione di identità.
In risposta alle difficoltà del sequenzialismo e del
tridimensionalismo in genere, si è provato a identificare un oggetto
materiale con il contenuto di una porzione di spazio-tempo. La
3 SIDER, THEODORE Il mondo è uno stadio, in Metafisica. Classici contemporanei a
cura di Achille Varzi, Laterza, Roma-Bari 2008.
4 LOWE, JONATHAN The possibility of Metaphysics: Substance, Identity and Time,
Clarendon, Oxford 1998.
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prospettiva che ha tentato questa soluzione prende il nome di
quadridimensionalismo5. La caratteristica fondante di questa dottrina è
di assegnare all’estensione nel tempo le stesse caratteristica assegnate
all’estensione nello spazio: anche il tempo è quindi annoverato tra le
dimensioni, come suggerisce il nome della teoria. Gli oggetti materiali
sono dunque occorrenti, nel senso che avvengono nel tempo, ma non
vi si protraggono, come invece facevano gli enti continuanti del
tridimensionalismo. Il cambiamento nel senso quadridimensionalista
dunque si spiega facendo ricorso al concetto di parte temporale. Nella
prospettiva quadridimensionali sta infatti, un oggetto che subisce un
mutamento si divide nelle sue parti temporali, porzioni di materia
assegnate a uno specifico momento. In questo modo, un oggetto che si
modifica è in grado di conservare identità, perché rimane
sostanzialmente lo stesso, ma appare diversamente a seconda della
parte temporali che si decide di prendere in esame.
Si può ora arrivare alla questione principale che mi ha spinto a
intraprendere questo lavoro. La metafisica è una disciplina preliminare
non solo a ogni indagine filosofica, ma anche a ogni indagine
scientifica. Preliminare non va qui inteso come superiore per
importanza. Piuttosto, si consideri come propedeutico. Infatti,
qualunque indagine sul mondo che pretenda di essere coerente,
dall’etica alla sociologia, dalla matematica all’arte, si trova
necessariamente a dover assumere un iniziale impegno ontologico sui
5 SIDER, THEODORE, Four-dimensionalism. An Ontology of Persistence and Time,
Oxford University Press, Oxford 2001.
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tipi di enti che sceglie di includere all’interno della teoria. Ora, poiché
il sistema metafisico che contrappone la sostanza alle proprietà ha
permeato a lungo tutti i campi del sapere, con maggiore o minore
consapevolezza da parte degli scienziati, necessariamente molti degli
strumenti e dei paradigmi culturali e sociali di cui ci serviamo si
fondano su questo modello metafisico. L’analisi filosofica del secolo
scorso ha però, come anticipato, rivelato i limiti del sistema metafisico
tradizionale e proposto modelli più coerenti e completi. Soprattutto,
ciò che alcuni dei più recenti modelli metafisici offrono in più è
un’elegante traduzione del paradigma fisico contemporaneo. Non è
necessario sottolineare quanto sia importante per una teoria metafisica
offrire una buona resa della teoria fisica che le è contemporanea. Cosa
dire però della traduzione degli altri paradigmi e strumenti di cui la
nostra società si serve quotidianamente? È possibile abitare in un
mondo popolato da enti creati fondamentalmente basandosi sull’idea
di una sostanza materiale informata da proprietà che esemplificano
enti universali, rifiutando però questa metafisica e adottandone
un’altra? Infatti, per quanto una metafisica possa esporsi a limiti e
contraddizioni, è evidente che se essa si rivelasse l’unica metafisica
che permette di avvalersi dei nostri modelli matematici e scientifici,
allora difetti e incoerenza si mostrerebbero sotto un altro aspetto. Si
rivelerebbero cioè niente più che un male necessario allo scopo di
continuare a usufruire degli strumenti e dei paradigmi di cui fino ad
oggi si è servita l’impresa conoscitiva.
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Ritengo dunque che sia necessario superare la valutazione formale
e squisitamente filosofica delle nuove teorie metafisiche, per provare
la loro efficacia nel supporto ontologico e nell’applicazione di quei
metodi conoscitivi di cui tradizionalmente si servono il filosofo e lo
scienziato.
In questo lavoro ho scelto di mettere alla prova in particolare la
teoria dei tropi e verificare se sia possibile utilizzare uno strumento
matematico, ma soprattutto concettuale, che vanta grande applicabilità
e impatto: la teoria degli insiemi. Ho scelto nello specifico questa
teoria matematica perché ritengo che sia forse quella che più si presta
a questo compito. Le ragioni che rendono la teoria degli insiemi la più
adatta, tra tutte le teorie matematiche, sono diverse. Innanzitutto,
benché vi siano a oggi punti non cristallini, la teoria può godere di una
generale solidità. Inoltre, la teoria degli insiemi è un modello che ha
saputo rappresentare buona parte dei concetti della matematica e che
senza dubbio offre una base di partenza privilegiata per l’analisi della
matematica in generale. Se si riuscisse quindi a dimostrare che la
teoria degli insiemi è compatibile con un’ontologia dei tropi, si
potrebbe ampliare il risultato a tutta la matematica. Infine, la teoria
degli insiemi si costruisce tradizionalmente proprio sugli universali.
Di conseguenza, formulare una versione della teoria degli insiemi
basata sui tropi costituisce una vera sfida. Si tratta infatti di provare se
è possibile creare insiemi con una teoria metafisica che non prevede
universali come costituenti di base, ma solo enti universali costruiti
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per composizione. Gli universali nella teoria dei tropi possono quindi
essere costruiti, ma solo a partire dagli elementi di base che
l’ontologia dà a disposizione. Questi elementi sono proprio i tropi. È
importante ricordare che anche proprietà come «non appartenere a se
stessi» o «senza parti proprie» generano universali.
Mi accingo quindi, nel primo capitolo di questo lavoro, a
presentare la teoria dei tropi, ponendo l’accento su cosa comporti
adottare un’ontologia di questo tipo, che tipo di enti siano gli individui
ultimi previsti dalla teoria, quali proprietà possiedano e che tipo di
relazioni intreccino tra di loro. In seguito, intendo esporre le strategie
di cui i teorici dei tropi si sono serviti per fornire una spiegazione di
fenomeni come gli eventi, le cause e il divenire. Sarà utile infine
riportare le tradizionali obiezioni alla teoria dei tropi e le soluzioni che
la letteratura ha saputo fornire, tratteggiando brevemente il dibattito
scientifico a cui si è assistito negli ultimi anni.
Il secondo capitolo tratterà argomenti più squisitamente
matematici, allo scopo di tentare una filosofia della matematica,
ricorrendo però a una metafisica dei tropi. Prima di chiedersi cosa sia
un insieme infatti risulta necessario rispondere alla domanda riguardo
l’essenza di un numero, delle sue proprietà e del tipo di relazione che
può instaurarsi tra più numeri.
Il terzo capitolo sarà invece dedicato all’esposizione della teoria
degli insiemi e della sua genesi storica e ideologica. Si tratterà di
argomenti che appartengono decisamente al campo della logica
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matematica, la cui esposizione risulta necessaria per arrivare a
comprendere il lavoro svolto sui tropi. Ampio spazio verrà poi
dedicato all’esposizione delle ontologie finora proposte per la teoria
degli insiemi e alle loro implicazioni.
Una volta poste tali premesse, sarà possibile entrare finalmente nel
vivo della questione con il capitolo quarto. In questo capitolo infatti si
tenterà di creare insiemi di tropi coerenti e in possesso di tutte le
proprietà di cui godono gli insiemi tradizionali.
Infine, intendo analizzare quali conseguenze metafisiche per la
teoria dei tropi derivino dalle contraddizioni matematiche della teoria
degli insiemi e, viceversa, le conseguenze sulla teoria degli insiemi dei
difetti e dei limiti della teoria dei tropi.
In conclusione, voglio sottolineare che, se non si rivelasse possibile
servirsi della teoria degli insiemi adottando una metafisica dei tropi,
allora chiaramente la teoria dei tropi risulterebbe indebolita,
soprattutto per quanto riguarda l’indagine degli enti matematici. Un
tale risultato però non confuterebbe in toto la validità della teoria dei
tropi, per quanto indubbiamente ne limiterebbe il raggio d’azione.
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CAPITOLO PRIMO
LA TEORIA DEI TROPI
1. GENESI E FORMULAZIONE DELLA TEORIA
DEI TROPI
La teoria dei tropi ha assistito alla sua formulazione sistematica a
partire dalla seconda metà del secolo scorso. Tra i principali filosofi
che si occuparono di questo tipo di metafisica, il più famoso e
influente fu certamente Donald Cary Williams, professore e direttore
del dipartimento di Filosofia di Harvard. Si deve alla sua penna quello
che può essere considerato il manifesto del nominalismo dei tropi, il
saggio On the Elements of Being6, pubblicato nel 1953. È in questo
testo che compare per la prima volta il termine tropo con il significato
di «occorrenza di un’essenza». La scelta del termine da parte di
Donald Williams è ancora oggi controversa, poiché la parola «tropo»
possiede già un gran numero di significati, che spaziano dalla retorica,
alla botanica, alla musica. Per questa ragione, numerosi studiosi
preferiscono riferirsi ai tropi con il termine qualiton, per tropi a un
posto, come la rossezza di un fiore, e di relaton per tropi a due posti,
6 WILLIAMS, DONALD CARY, On the Elements of Being, Review of Metaphysics,
Philosophy Education Society, Inc. 7:3-18, 1953.
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come l’amore di Dante per Beatrice. Tuttavia, il nome alternativo a
«tropo» che ha avuto più successo è «particolare astratto».
Il più illustre fra gli studiosi che hanno adottato questa
terminologia è senz’altro Keith Campbell, professore emerito di
Filosofia all’Università di Sidney nonché autore di uno dei volumi
fondamentali per la teoria dei tropi, Abstract Particulars7, pubblicato
nel 1990. La scuola australiana, grande promotrice della teoria dei
tropi, comprende, oltre a Campbell, un altro illustre filosofo che si è
occupato di tropi, John Bacon, professore dell’Università di Sidney. Il
filosofo è autore del volume Universal and Property Istances: The
Alphabet of Being8. L’argomentazione del filosofo si articola al fine di
costituire una strenua difesa delle potenzialità della teoria dei tropi,
che passa attraverso una successiva sofisticazione. Tale sofisticazione
dunque è capace di accentuarne semplicità e economicità,
contribuendo così allo sviluppo della prospettiva.
Non va infine dimenticato l’apporto con cui hanno contribuito alla
formulazione contemporanea della teoria dei tropi molti filosofi tra cui
Pawel Rojek, della Jagiellonian University di Cracovia, con il suo
articolo Three Trope Theories9, e Frederik Moltmann, autore di
Properties and Kinds of Tropes: New Linguistic Facts and Old
7 CAMPBELL, KEITH, Abstract Particulars, Basil Blackwell, Oxford 1990.
8 BACON, JOHN, Universals and Property Instances. The Alphabet of Being,
Aristotelian Society Series, Vol. 15, Londra 1998.
9 ROJEK, PAWEL, Three Trope Theories, in «Axiomathes», 18. 2008.
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Philosophical Insight10. Inoltre, l’attuale formulazione della teoria dei
tropi ha subito forti influenze da parte delle tesi esposte nell’articolo
dal titolo Tropes11 di Christopher Daly, dell’Università di Cambridge.
Per quanto concerne invece la produzione italiana di saggi sulla
teoria dei tropi, il più importante lavoro monografico sull’argomento
si deve al filosofo trentino Achille Varzi, attualmente professore e
direttore del dipartimento di Filosofia dell’Università Columbia di
New York. È suo infatti il saggio La natura e l’identità degli oggetti
materiali, all’interno del volume Filosofia analitica. Temi e
Problemi12, curato da Annalisa Coliva.
Il lavoro dei filosofi che sono stati ricordati, per quanto
sostanzialmente omogeneo, presenta dei punti di originalità.
Nonostante la teoria dei tropi sia una teoria metafisica contemporanea,
essa può vantare una formulazione sia completa ed esaustiva, sia
ingegnosa e continuamente arricchita dalle molte prospettive di ricerca
che offre.
10
MOLTMANN, FRIEDERIKE, Properties and Kinds of Tropes: New Linguistic Facts
and Old Philosophical Insights, in «Mind», volume 113, Oxford 2004.
11 DALY, CHRISTOPHER, Tropes, «Proceedings of the Aristotelian Society», New
Series, volume 94, Londra 1994.
12 VARZI, ACHILLE, La natura e l’identità degli oggetti materiali, pubblicato in
Filosofia analitica. Temi e problemi, a cura di Annalisa Coliva, Carocci, Roma
2007.
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2. PRINCIPALI CARATTERISTICHE DI
UN’ONTOLOGIA DEI TROPI
In accordo con Pawel Rojek, mi sembra opportuno esplicitare che
si possono riconoscere due tipi di teoria dei tropi. Il primo tipo di
teoria ha come oggetto esclusivamente il campo delle proprietà. Esse
sono designate semplicemente come particolari astratti. Di
conseguenza, la trattazione delle proprietà come universali astratti o,
semplicemente universali, viene rigettata.
Il secondo tipo di teoria è decisamente più ambizioso e può essere
proposto come alternativa ai sistemi metafisici che richiedono una
sostanza che funga da sostrato per le proprietà. Questo tipo di teoria
può essere chiamato «teoria dei soli tropi», o «trope-only theory», in
quanto si pone l’obiettivo di dimostrare come l’intera struttura del
mondo consista esclusivamente ed esaustivamente di tropi. Si tratta di
una vera e propria ontologia a una categoria. Quest’ultimo tipo di
teoria dei tropi è chiaramente quello di interesse per l’obiettivo di
questo lavoro.
La formulazione della teoria dei tropi nasce come un tentativo di
trovare risposta al problema dell’unità di entità particolari differenti.
Nello specifico, la soluzione a cui mira la teoria dei tropi impone che
non vi sia la necessità di postulare l’esistenza di enti universali.
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Tradizionalmente, le proprietà sono considerate universali astratti,
mentre gli oggetti materiali sono concreti e particolari. La principale
caratteristica del concetto di tropo va ritrovata proprio nella
giustapposizione tra particolare e universale, tra astratto e concreto. La
riflessione filosofica si è soffermata a lungo sulla distinzione tra entità
astratte ed entità concrete, enti universali ed enti particolari.
L’opposizione tra particolare e universale è strettamente ontologica, in
quanto afferma l’esistenza di un universale e di un particolare, il quale
partecipa più o meno perfettamente alla natura dell’universale.
L’opposizione tra concreto e astratto invece si può considerare più
metafisica, in quanto definisce a che tipo appartengono gli enti che
esistono. Il modo in cui ogni filosofo decide di articolare il quadrato
2x2 formato dai rapporti tra questi quattro concetti è di fondamentale
importanza. Il motivo è che il problema degli universali si articola
proprio entro questa doppia contrapposizione.
Un filosofo dei tropi costruisce la propria teoria basandosi sui
concetti di astrattezza e di particolarità. Con «astrattezza» si intende la
caratteristica di un ente che si trova a essere ontologicamente
dipendente dal concreto in senso fisico, ma indipendente in senso
concettuale. In altre parole, un oggetto è astratto se inerisce in un altro
oggetto diverso da se stesso. Per fare un esempio, si può notare che un
oggetto è più concreto di una sua proprietà, perché questa proprietà
non potrebbe esistere senza che esistesse proprio quell’oggetto a
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possederla. Un tropo dunque è un oggetto assolutamente astratto, la
cui esistenza però dipende in qualche modo da un oggetto concreto.
Con «particolarità» invece ci si riferisce a entità di qualsiasi tipo,
con la caratteristica di essere ancorate a un solo oggetto concreto.
Questo tipo di ente è evidentemente contrapposto agli universali, i
quali sono ancorati a molti oggetti concreti. Un tropo è un ente
particolare perché è legato a un solo ente concreto attraverso una
relazione di inerenza. Questa relazione di inerenza sussiste anche tra il
tropo e tutti gli oggetti concreti che a loro volta contengono l’oggetto
con il quale il tropo è in relazione di inerenza.
In poche parole, dunque, si può dire che un tropo è semplicemente
l’istanza di una proprietà o di una relazione. Un oggetto concreto
nasce quindi quando un certo numero di tropi o particolari astratti
vanno a comporre un fascio e a condividere una porzione determinata
di spazio-tempo. In questo modo, si crea un oggetto concreto
individuale e irripetibile, formato semplicemente dalle proprietà
individuali e irripetibili che costituzionalmente gli appartengono. Il
processo è messo in atto grazie alla relazione di compresenza. Questa
relazione infatti permette l’individuazione di un oggetto concreto, in
quanto esso si costituisce di un fascio di tropi compresenti, che
determinano le qualità e le relazioni di cui è in possesso l’oggetto
concreto.
Come si è detto, il fondatore della teoria dei tropi è senza dubbio
Donald Williams, che ne delinea le basi nel famoso articolo
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summenzionato On the Elements of Being. Fin dall’introduzione,
scritta per altro da Keith Campbell, è evidente che la semplicità
caratterizza la teoria dei tropi, sia per quanto riguarda la sua
formulazione, sia per quanto riguarda i modi attraverso i quali
un’ontologia di questo tipo assolve il compito di spiegare quali tipi di
enti popolino il mondo. Inoltre, si legge chiaramente tra le righe del
testo di Williams un continuo invito a mantenersi fedeli alla realtà
dell’essere, evitando qualunque aspetto ultrasensibile. Le ragioni che
spingono il filosofo a questo ripetuto memento vanno ritrovate nello
spirito attualista e riduzionista, che lo portano a sostenere che ciò che
non è la realtà completa non è completamente reale.
L’argomentazione di On the Elements of Being prende le mosse da
alcune osservazioni di carattere quotidiano, come la riflessione sugli
oggetti diversi che si presentano ai sensi come se condividessero
alcuni particolari, ma non tutti. A questo proposito, Williams sceglie
come esempio il caso di tre lecca-lecca: il numero 1 è rosso, rotondo e
aromatizzato alla menta; il numero 2 è marrone, rotondo e al gusto di
cioccolato; il numero 3 infine è rosso, quadrato e alla menta. Il
bastoncino del lecca-lecca è un oggetto concreto, così come il lecca-
lecca stesso, mentre il colore o la forma sono componenti astratte.
Ogni lecca-lecca è simile a ognuno degli altri sotto alcuni aspetti e
diverso sotto altri aspetti. La proposta di Williams è di trattare ognuno
di questi aspetti attribuendogli lo stesso valore ontologico assegnato
agli oggetti concreti, benché siano astratti. Egli infatti ritiene che siano
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proprio le componenti astratte a svolgere il ruolo di elementi primari
nella costituzione della realtà. La ragione è che queste parti non si
compongono di null’altro, sono prime, mentre gli oggetti concreti
hanno parti proprie, ovvero le proprietà.
Detto ciò, Williams si accinge a spiegare i processi attraverso i
quali i tropi si combinano per formare oggetti particolari, universali,
astratti e concreti. Egli sostiene che i tropi intrecciano tra loro rapporti
in due modi. Il primo è la localizzazione, o meglio la compresenza. La
localizzazione di un tropo, ovvero la porzione di spazio-tempo che
occupa, non è rilevante di per sé né lo è in rapporto ad altri tropi. La
compresenza invece determina l’appartenenza di due o più tropi allo
stesso particolare concreto. I tropi infatti, in quanto particolari astratti,
possono occupare la stessa porzione di spazio-tempo e così arricchire,
con un numero di proprietà potenzialmente infinito, l’unico oggetto
concreto con il quale condividono una porzione di spazio-tempo. Gli
oggetti concreti ovviamente non possono condividere porzioni di
spazio-tempo, per cui a ogni porzione di spazio-tempo corrisponde
uno e un solo individuo concreto. Gli individui astratti invece possono
essere innumerevoli. Gli oggetti concreti dunque sono semplicemente
fasci di tropi compresenti, ognuno corrispondente a una delle proprietà
che caratterizzano l’oggetto stesso.
Il secondo tipo di rapporti tra tropi è la somiglianza. Una qualsiasi
coppia di tropi, logicamente, intreccia o non intreccia una relazione di
somiglianza. Le relazioni di somiglianza possono essere di diversi tipi,
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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23
in quanto necessariamente con «somiglianza» si intende «gradi di
somiglianza», da più a meno perfetta. È bene precisare che per la teoria
dei tropi non è esatto parlare di somiglianza perfetta, poiché ogni tropo si
costituisce come essenzialmente diverso da ogni altro tropo. Essi possono
però essere percepiti come simili. Può essere utile fare un piccolo
esperimento mentale. Supponiamo di voler dipingere una parete con una
vernice di un particolare rosso, lo stesso ad esempio con il quale abbiamo
dipinto anni prima un’altra parete nella stessa stanza. Ci rechiamo dunque in
un colorificio, dove il venditore ci mette a disposizione un intero
campionario di vernici catalogate come vernici rosse. Ci troveremo davanti
una vastissima scelta di sfumature di rosso, le quali appariranno ai nostri
occhi più o meno simili tra loro e al nostro campione. Nonostante i nostri
sforzi, la ricerca dello stesso colore è destinata al fallimento,
metafisicamente parlando. Non solo non è possibile trovare in nessun
modo una vernice costituita da un fascio che comprenda lo stesso
tropo della vernice di riferimento, ma anche se riuscissimo a scovarne
una molto simile, il colore della vernice e quello del muro sarebbero
diversi sia dal punto di vista metafisico, sia dal punto di vista della
nostra percezione visiva. Il supporto su cui è stata applicata la vernice
ne ha infatti cambiato le caratteristiche cromatiche, così come il
tempo, l’inquinamento e molti altri fattori. Rassegnati dunque
all’impossibilità di trovare vernici esattamente identiche,
dipingeremmo la parete della vernice più simile in commercio. Il
risultato del nostro lavoro potrebbe allora soddisfarci, in quanto ci
sembrerebbe comunque di essere davanti a due pareti dello stesso
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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24
colore. Non è finita. Anche se trovassimo esattamente la stessa vernice
e, soddisfatti, dipingessimo il nostro muro, ebbene i due muri
comunque non avrebbero lo stesso tropo. Il massimo che possiamo
ottenere è che entrambi i tropi corrispondenti al colore dei due muri
vadano a comporre lo stesso colore universale. Ciò non è affatto
soddisfacente, in quanto i due tropi non creerebbero un universale di
quel particolare rosso, ma contribuirebbero a formare il fascio di tropi
compresenti di tutti i particolari rossi, in compagnia del rosso corallo,
del magenta o del rosso di Persia.
In questo senso, riprendendo l’esempio dei lecca-lecca, si può dire
che tra il tropo del colore di N1 e quello del colore di N3 c’è
somiglianza, ma di un tipo differente da quella che può instaurarsi non
solo tra tropi diversi, ma tra sottoinsiemi di categorie universali,
costituite sempre ovviamente da tropi.
Si può quindi sostenere che ogni tropo intrattiene relazioni
privilegiate con l’insieme o la somma dei tropi con cui è concorrente,
cioè localizzato esattamente nello stesso punto, e con cui ha
somiglianza esatta. L’insieme di tropi concorrenti definisce il
particolare concreto a cui i tropi si riferiscono. L’insieme di tropi
simili delineano l’universale di quel tropo, seguendo il criterio che
predica che meno esatta è la somiglianza, meno definito sarà
l’universale.
Un mondo di tropi quindi risulta popolato da particolari concreti, i
cui elementi ultimi sono di tipo particolare astratto: la rosa del mio
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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25
giardino è un particolare concreto, mentre il suo colore è un
particolare astratto. Questo particolare astratto concorre alla
costituzione dell’oggetto concreto «rosa del mio giardino», insieme
agli altri particolari astratti con cui è in relazione di compresenza.
Inoltre, insieme alla totalità dei tropi che sono in una relazione di
somiglianza col tropo del colore della rosa del mio giardino, il
particolare astratto forma l’universale astratto, mentre la totalità degli
oggetti concreti «rosa» va a formare l’universale concreto
corrispondente alla rosa. In una prospettiva di questo tipo, un oggetto
consiste semplicemente delle sue proprietà, non di entità universali o
delle impressioni che trasmettono i sensi.
L’esposizione di Williams è volta a porre le basi per uno sviluppo
completo della teoria dei tropi, sviluppo che verrà poi realizzato da
due autori in particolare: Keith Campbell e John Bacon.
La formulazione di Keith Campbell, esposta in Abstract
Particulars, prende le mosse dai concetti delineati da Williams e li
analizza al fine di delineare un’ontologia decisamente elegante ed
economica. Anche per Campbell gli oggetti concreti sono particolari
costituiti da tropi, astratti e particolari, con cui si trovano in relazione
di compresenza. La realtà si costituisce di tropi indipendentemente
dall’esistenza di esseri che pensino i tropi o che pensino la realtà in
termini di tropi.
I tropi dunque sono strutturalmente semplici e non richiedono
sostrati materiali. Inoltre, sono categorialmente semplici, poiché non
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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26
sono costituiti dall’unione di enti appartenenti a categorie differente,
come un particolare, un universale e una sostanza. Infine, sono
qualitativamente semplici, in quanto una sola proprietà può costituire
l’intero ente in modo esaustivo. Per quanto riguarda le relazioni tra
tropi, Campbell, in accordo con Williams, indica la somiglianza e la
compresenza. Campbell sottolinea come sia l’aspetto graduale della
somiglianza a permettere a ogni tropo di appartenere a gruppi o
universali diversi, senza intaccare la semplicità essenziale del tropo.
Come si è visto infatti, le caratteristiche sfumano all’interno della
stessa dimensione, richiamandosi l’una con l’altra.
Lo sforzo più consistente che ha impegnato Keith Campbell però è
senza dubbio la ricerca di una risposta alle numerose obiezioni mosse
alla teoria dei tropi. Alcune di queste obiezioni sono state confutate
facilmente, soprattutto grazie al fatto che la teoria dei tropi è libera da
valenze semantiche e ambizioni epistemologiche. Altre obiezioni
costituiscono accuse più gravi e sono oggetto della quarta sezione di
questo capitolo.
Un apporto veramente originale è quello portato da John Bacon,
che nel suo Universals and Property Istances: The Alphabet of Being,
giunge a una sofisticazione della teoria dei tropi. Secondo l’autore
infatti, non solo gli oggetti concreti, ma anche le proprietà e le
relazioni sarebbero costituite da fasci di tropi compresenti.
L’intuizione prende spunto dalla riflessione sul modo attraverso cui
avviene il processo conoscitivo della realtà. Secondo John Bacon,
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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27
oggetto della conoscenza non sono direttamente gli enti o le proprietà
di questi, bensì le relazioni particolarizzate che intercorrono tra gli
oggetti materiali. Una relazione particolarizzata si compone della
relazione tra due particolari e dei due particolari, chiamati relata. Ciò
che caratterizza essenzialmente una relazione particolarizzata è la sua
unicità, determinata dalle relazioni intrecciate con le altre relazioni e
dall’inseparabilità delle sue parti interne (la relazione tra i due
particolari e i particolari stessi). È evidente, a causa dei numerosi
punti d’incontro, che una relazione particolarizzata è un tipo di tropo.
Ecco allora che un tropo passa dall’essere la semplice occorrenza di
una proprietà, all’essere una proprietà localizzata nell’oggetto che la
possiede. Inoltre, esso è anche uno stato di cose, in quanto determina
una porzione di spazio-tempo, e un universale. Questo universale è
particolarizzato, così come sono particolari le proprietà e le relazioni
attraverso le quali si conosce il mondo.
Per quanto riguarda il procedimento di creazione dell’universale,
Bacon propone un procedimento di tipo sintetico che, unificando le
molteplici esperienze di singoli oggetti o stati di cose belli, ottiene
l’idea di Bellezza come insieme di singole bellezze.
Tra le innovazioni introdotte da Bacon, vi sono i concetti di tropo
monadico, politropo e ipertropo. Come si è detto, un tropo è costituito
da una proprietà o relazioni e dal particolare o dai particolari
corrispondenti. Un tropo monadico dunque è unicamente determinato
dall’individuo e dalla proprietà che occorrono in esso, un ente cioè che
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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non intreccia alcuna relazione esterna. Un politropo invece è un tropo
che non può essere scomposto in tropi monadici, poiché richiede
l’esistenza di più di un ente. Si tratta cioè di una relazione a cui spesso
deve essere associato un ordine. Le relazioni sono di primo livello se
connettono un tropo con uno o più altri tropi. Le relazioni di secondo
livello o ipertropi sono concorrenza, somiglianza e precedenza
temporale. Pur essendo tropi, esse non sono indipendenti e necessitano
perciò di altri tropi.
Di grande interesse è anche l’apertura della teoria dei tropi nei
confronti dei mondi possibili operata da John Bacon. Se Donald
Williams ne aveva precedentemente escluso l’esistenza,
coerentemente con lo spirito attualista e riduzionista che lo
contraddistingue, l’autore di Universals and Property Istances: The
Alphabet of Being riesce a conciliare le due prospettive metafisiche.
Se il mondo attuale è l’insieme dei tropi che esistono, un mondo
possibile non è altro che un insieme di tropi possibili. Lo scopo
dell’introduzione dei mondi possibili è fondamentale per rispondere
ad alcune obiezioni, soprattutto di carattere logico. Le proprietà vuote,
cioè non esemplificate, costituivano una facile critica alla teoria dei
tropi. Far corrispondere queste proprietà a tropi esistenti in mondi
possibili risolve le obiezioni, ma rischia di rendere la teoria
vulnerabile a tutti quei problemi che affliggono qualsiasi metafisica
che accetti mondi possibili.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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29
A conclusione di questa panoramica sulle caratteristiche degli
elementi ultimi dell’essere, rimane da delineare brevemente in che
modo i teorici dei tropi si riferiscono al reticolato dello spazio-tempo.
La concezione del tempo e dello spazio trova d’accordo i maggiori
teorici dei tropi. Si ritiene unanimemente che i tropi siano calati
all’interno di un flusso temporale continuo. Per quanto riguarda lo
spazio invece, sembra che convivano due concezioni, una matematica
e una fisica. La prima è relativa al modo in cui occupano spazio gli
oggetti astratti. Essi sono come un punto, che può essere attraversato
da un numero infinito di linee e contenere al suo interno infiniti punti,
senza la minima problematicità. La seconda concezione invece si
riferisce agli oggetti concreti, costituiti dai tropi, la cui determinazione
spazio-temporale segue rigidamente le leggi della fisica e non
permette alcun tipo di compenetrazione dei solidi o compresenza di
oggetti concreti nella medesima porzione di spazio-tempo.
3. IL DIVENIRE NELLA TEORIA DEI TROPI:
CAMBIAMENTO, EVENTI, CAUSE
Una volta definiti i «mattoncini» dell’essere, è utile vedere come
questi si combinino e diano forma alla realtà estremamente variegata e
in continuo divenire su cui si affacciano i sensi umani.
Sono tre gli elementi da prendere in analisi al fine di spiegare il
fenomeno del divenire. Innanzitutto troviamo il cambiamento. La
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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teoria dei tropi non comprende un’autentica spiegazione del
cambiamento, in quanto si tratta di un fenomeno non coerente con una
realtà esclusivamente composta da tropi. La ragione è molto semplice.
Un tropo non può modificare la sua natura, in quanto i tropi sono
immutabili. Ciò che un tropo può fare è semplicemente iniziare o
finire di essere attuale. Questo significa che i tropi per loro stessi non
possono cambiare e conservare identità ed esistenza. Ciò che può
cambiare invece è la composizione del fascio di tropi che costituisce
un oggetto concreto. Introduco un esempio, al fine di evidenziare
come avvenga il cambiamento per la teoria dei tropi. Immaginiamo di
comprare un filoncino di pane. Abbiamo comprato un oggetto
concreto costituito da tropi come «questo sapore qua», «questa
morbidezza qua», «questo colore qua» e così via. Immaginiamo ora di
tagliarne una fetta, sempre con i suoi tropi, e di metterla su un piatto al
centro del tavolo. Il giorno dopo, potremo trovare ancora tropi come
questo colore qua, ma il tropo del sapore e della morbidezza non ci
saranno più. Sono infatti stati sostituiti da altri tropi, momento dopo
momento, fino a raggiungere «quel grado di durezza lì» e «quel sapore
stantio lì» che i nostri sensi riconoscono. Che ne è stato dei tropi che
costituivano la nostra fetta di pane il giorno prima? Semplicemente,
hanno cessato di esistere, così come i tropi che la costituiscono oggi
hanno cominciato a esistere. La teoria dei tropi quindi offre una teoria
del cambiamento che riguarda stati di cose reali, costituiti da
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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31
complessi di tropi che cambiano forma, garantendo tuttavia la
persistenza nel tempo dell’oggetto.
Inoltre, un tipo di cambiamento tradizionalmente piuttosto
problematico, ovvero il cambiamento «di Cambridge»13
, prende posto
agilmente all’interno della teoria dei tropi. Il cambiamento di
Cambridge è quel cambiamento che avviene in seguito ad alterazioni
consequenziali nell’applicazione dei predicati. In poche parole, se il
predicato A è vero di un oggetto al tempo 1 e falso dello stesso
oggetto al tempo 2, allora si assiste a un cambiamento di Cambridge.
L’introduzione di questo concetto è di grande utilità per distinguere le
proprietà essenziali da quelle non essenziali. Solo quest’ultime infatti
sono coinvolte in cambiamenti del tipo di Cambridge, in quanto sono
principalmente relazionali e non intaccano l’integrità dell’oggetto
concreto. Si può concludere notando come la teoria dei tropi sia stata
capace di spiegare coerentemente il divenire come la semplice
occorrenza di fatti particolari in un flusso spaziale e temporale
omogeneo, affidandosi a un solo tipo di enti.
Il secondo elemento sono gli eventi. In accordo con la teoria dei
tropi, ogni evento è un tropo. Eventi complessi, come funzioni umane,
pensieri, sensazioni, sono tropi, così come tutte le componenti della
coscienza e tutti i processi conoscitivi. Gli eventi dunque sono oggetti
particolari, composti da successioni indipendenti ma coerenti di tropi
organizzati in flussi costanti.
13
GEACH, PETER, God and the Soul, Routledge, Londra 1969.
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32
L’ultimo elemento che contribuisce al fenomeno del divenire è il
concetto di causa e, di conseguenza, il concetto di effetto. Come tutte
le relazioni, anche quelle di causa ed effetto sono tropi. Ciò che
provoca un’azione infatti è un ente semplice con caratteristiche
qualitative. Per quanto abbiano senso le regole e leggi, esse si
riferiscono all’universale creato dai particolari astratti. Sono i singoli
atti particolari a scatenare effetti e reazioni, non i giudizi universali.
Non è il sole in generale o la temperatura alta in generale che scottano
la mia pelle d’estate. Sono «questo sole qui», «questa pelle qui» a
provocarmi «questo dolore qui». È la compresenza di tropi a generare
una causa e quindi un effetto. Si noti che, poiché fasci di tropi
compresenti generano oggetti particolari, anche cause ed effetti sono
oggetti particolari, nella forma però di stati di cose.
4. POSSIBILI OBIEZIONI ALLA TEORIA DEI
TROPI: EVENTUALI SOLUZIONI E QUESTIONI
ANCORA APERTE
La teoria dei tropi è semplice ed economica. Può vantarsi di
riuscire elegantemente nel compito di includere la varietà dell’essere
entro l’unica categoria costituita dai particolari astratti. Tuttavia,
l’atteggiamento riduzionista che la contraddistingue, porta con sé una
generale rigidità, che la espone a numerose obiezioni. Sono
principalmente tre i filosofi che hanno criticato la teoria dei tropi:
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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33
David Malet Armstrong e Keith Campbell hanno messo in luce
contraddizioni e problemi interni alla teoria, nel tentativo di pervenire
a una formulazione meno vulnerabile e più coerente. Herbert
Hochberg, dell’Università di Austin, Texas, si è concentrato
principalmente su una critica di nominalismo e teoria dei tropi, in
difesa del realismo.
Una delle obiezioni più significative si deve a David Malet
Armstrong. Il filosofo, nell’articolo A theory of Universals:
Universals and Scientific Realism14, sostiene che se i tropi che
costituiscono i fasci sono astratti, allora non è possibile che essi
occupino le regioni di spazio-tempo in cui vengono collocati. La
compresenza tuttavia è un carattere necessario affinché i tropi formino
gli oggetti concreti. La teoria dei tropi quindi sembra ammettere che
infiniti tropi spazio-temporalmente indistinguibili occupino la stessa
porzione di spazio-tempo. Ne deriva di conseguenza l’impossibilità di
spiegare i processi che permetterebbero ai tropi che compongono un
fascio di creare un oggetto concreto. Certamente la compresenza di
oggetti astratti non genera problemi. Se però questi oggetti astratti
fossero in grado di concretizzarsi misteriosamente in un oggetto
materiale, allora ci troveremmo davanti a una bella questione.
Purtroppo, è esattamente il caso della teoria dei tropi.
14
ARMSTRONG, DAVID MALET, A theory of Universals: Universals and Scientific
Realism, Cambridge University Press, Cambridge 1978.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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34
Ancora David Malet Armstrong scopre un’ulteriore obiezione,
contenuta nel volume Universals15. Il filosofo mostra che, se le
proprietà sono particolari, allora ogni istanza di proprietà è
essenzialmente diversa, per quanto simile. Inoltre, se la localizzazione
di un tropo è ciò che lo distingue, e se ci fossero due tropi identici,
allora questi potrebbero scambiarsi le coordinate spazio-temporali
senza che nessuno se ne rendesse conto. Una via di fuga percorribile è
quella di considerare la differenza tra due tropi perfettamente simili
come una differenziazione esclusivamente orientata alla
localizzazione. Non è una soluzione del tutto soddisfacente,
considerato che, anche se non avviene nessun cambiamento nel
mondo dal punto di vista della percezione del tropo, un cambiamento
nella disposizione geografica è certamente avvenuto e non è possibile
darne conto.
È sempre Armstrong, in What is a Law of Nature?16, ad affrontare
la questione della validità delle leggi di natura all’interno del sistema
dei tropi, rilevandone questa volta un aspetto di grande importanza dal
punto di vista scientifico e avvantaggiandone la posizione, in
confronto alle altre metafisiche. Le leggi di qualunque tipo, in
particolar modo le leggi fisiche, esprimono relazioni che avvengono
necessariamente tra universali. Tuttavia, le leggi ammettono eccezioni
15
ARMSTRONG, DAVID MALET, Universals. An Opinionated Introduction, Westview
Press, Boulder 1989.
16 ARMSTRONG, DAVID MALET, What is a Law of Nature, Cambridge University Press,
Cambridge 1983.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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35
e interpretazioni. Non solo. All’interno di una corrente nota con il
nome di Falsificazionismo, alcuni nomi illustri della filosofia17
hanno
sostenuto che una legge scientifica è proprio quella legge che può, in
via teorica, essere confutata. Affermare la veridicità di una legge fisica
può portare a definire come le cose devono accadere, piuttosto di
osservare come queste accadono, con spirito pronto a modificare e
perfezionare i propri paradigmi una volta entrati in possesso di nuovi
dati. Questo significa che imporre legami necessari tra enti universali
può non essere un buon modo del procedere scientifico. Detto ciò, la
teoria dei tropi non si mostra più economica delle metafisiche che si
impegnano nell’esistenza degli universali, ma formula assiomi sulla
natura con una percentuale di correttezza maggiore, in quanto non li
asserisce né in senso assoluto né in senso necessario.
Keith Campbell, da grande teorico dei tropi, ha impegnato molte
energie nell’evidenziare e superare i limiti della teoria, soprattutto nel
volume Abstract Particulars. L’autore inizia la sua analisi delle
obiezioni alla teoria dei tropi partendo dai problemi scatenati
dall’impossibilità di definire gli oggetti in termini di spazio-tempo. Il
filosofo riporta dunque un’osservazione di Donald Williams18
. Il
filosofo infatti aveva sostenuto che essere un particolare è un fatto che
non permette successive analisi e non dipende da alcuna
17
Si veda POPPER, KARL Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970.
Riguardo la confutazione della teorie scientifiche, POPPER, KARL, Congetture e
confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972.
18 WILLIAMS, DONALD CARY, On the Elements of Being, Review of Metaphysics,
Philosophy Education Society, Inc. 7:3-18, 1953.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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localizzazione. Di conseguenza, i problemi della realtà in termini di
determinazione spazio-temporale non sussistono.
Un altro dei grandi problemi interni alla teoria si ritrova nella
sensazione di circolarità che deriva dalla sua formulazione. Sembra
infatti che la teoria dei tropi pretenda di costruire gli oggetti concreti
attraverso i tropi e di localizzare e raggruppare i tropi sulla base degli
oggetti concreti. Una delle difese più largamente sostenute dai teorici
dei tropi è l’introduzione del criterio della «questità». Il metodo
attraverso il quale è possibile riferirsi a un tropo infatti è quello di
indicarlo come questo aspetto qui, questa proprietà qui. È evidente
come il criterio della questità sia costruito ad hoc19 e, nonostante ciò,
sia oscuro e poco potente. Una delle conseguenze del criterio della
questità infatti è che diventa possibile parlare di tropi solo con persone
fisicamente presenti, alle quali sia possibile indicare il tropo e che ne
abbiano percezione.
Di più difficile soluzione è il problema dei limiti, sollevato sempre
da Keith Campbell. Una teoria che pone alla base dell’essere enti
determinati per questità e inseriti in un ciclo di variazione continuo,
incontra grossi problemi nel determinare i confini tra un ente e l’altro.
La compresenza dei tropi non ne permette l’individuazione spazio-
temporale e anche conoscendo l’esatto numero di tropi compresenti in
una porzione di spazio-tempo, non sarebbe possibile isolarli. I confini
19
Si veda VARZI, ACHILLE, La natura e l’identità degli oggetti materiali, pubblicato in
Filosofia analitica. Temi e problemi, a cura di Annalisa Coliva, Carocci, Roma
2007.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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che separano i tropi sono infatti arbitrari e per gran parte dipendenti da
chi li osserva. Inoltre, essi sono sfumati. Così come la tavola
cromatica procede per sfumature e il passaggio dal caldo al freddo
avviene gradualmente, anche il tempo segue la continuità. Si è visto
però che la filosofia dei tropi tratta i cambiamenti ex-abrupto: essi
cioè determinano la cessazione dell’esistenza del tropo precedente in
favore della creazione del tropo successivo. Questo processo che vede
la sostituzione continua di un tropo con un altro è chiaramente oscuro
e insoddisfacente. Alla luce di queste considerazione, un’ontologia dei
tropi non problematica dovrebbe individuare tropi non soggetti al
mutamento e senza limiti spazio-temporali.
Sia Campbell sia Armstrong credono nella validità della teoria dei
tropi, criticandone alcuni aspetti e lavorando per migliorarli. Vi sono
alcuni filosofi invece che assolutamente sono contrari all’adozione di
una teoria di questo tipo. Uno dei casi più illustri è rappresentato
dall’articolo A Refutation of Moderate Nominalism20 di Herbert
Hochberg. Si tratta di un’argomentazione in quattro punti contro
l’ontologia dei particolari astratti. Nel primo punto Hochberg vuole
confutare l’idea che la teoria dei tropi sia più semplice del realismo. Il
realismo infatti necessita di entità particolari, di entità universali e di
un procedimento esemplificativo. Richiede cioè due componenti in
più della teoria dei tropi. Il filosofo però sostiene che il rapporto di
somiglianza e quello di compresenza nella teoria dei tropi agiscono da
20
HOCHBERG, HERBERT, A Refutation of Moderate Nominalism, Australasian Journal
of Philosophy, 66, Sidney 1988.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
38
universali «mascherati». Dunque, all’esemplificazione dell’universale
sul particolare voluta dal realista, corrispondono la compresenza e la
somiglianza richiesti del teorico dei tropi.
Il secondo punto si sofferma poi sulla difficoltà incontrata da ogni
tipo di nominalismo riguardo le relazioni. Riconoscere esclusivamente
enti particolari e localizzati può non essere problematico per le
qualità, ma nel caso delle relazioni lascia sorgere numerosi quesiti.
Non è infatti sensato localizzare un relaton in nessuno degli enti che
esso lega, né tantomeno in un ipotetico terzo ente intermedio, in
quanto ne scaturirebbe una versione del problema platonico detto del
terzo uomo.
Nel terzo attacco alla teoria dei tropi Hochberg mostra che
chiunque rifiuti statuto ontologico per gli universali, si trova in seguito
a dover includere nella sua metafisica entità che svolgono le stesse
funzioni degli universali del realista. Questo perché, sostiene
Hochberg, «x è un’istanza di rosso è vero» e «x è esattamente simile a
x» hanno lo stesso valore informativo. Se però il rosso si costruisce
come insieme delle istanze di rosso, allora rosso è di nuovo un
universale. La differenza in realtà c’è, ed è fondamentale. L’universale
realista si costruisce a priori ed è presente in ogni esemplificazione
dello stesso. L’universale nominalista invece è costituito a posteriori
per mezzo di un procedimento che raggruppa proprietà di oggetti
concreti, grazie a un aspetto categorizzabile come appartenente
all’insieme universale. È dunque evidente il diverso statuto ontologico
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
39
e il tipo di processo mentale attraverso cui si conoscono i due
universali.
Infine, Hochberg sfrutta il problema dell’ordine relazionale per
sferrare un ultimo attacco alle teorie che rifiutano il realismo. In una
prospettiva priva di universali, non sembra possibile trattare l’ordine
della relazioni, per via del regresso all’infinito in caso di relazioni tra
istanze relazionali di livello diverso. Prendendo in analisi relazioni i
cui termini appartengano a livelli diversi, è possibile elaborare una
struttura gerarchica, che ponga le relazioni più semplici a livello zero.
Si possono dunque costruire fatti relazionali che la riguardano,
ottenendo relazioni di secondo livello. Il problema però è che, se le
relazioni di secondo livello possono avere dei termini al primo livello,
le relazioni di primo livello non possono avere termini di livello
inferiore.
5. I COSTI E I VANTAGGI DELLA TEORIA DEI
TROPI
In chiusura di questo primo capitolo, una volta chiarite le proprietà
degli enti che la teoria dei tropi pone come ultime componenti della
realtà, aver esaminato come la teoria spiega fenomeni, divenire, eventi
e cause, e dopo aver affrontato le obiezioni alle quali è stata data o
ancora si deve trovare una risposta, ritengo utile ribadire quello che è
l’aspetto di maggiore rilevanza alla luce di questo lavoro.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
40
Il concetto di universale per i teorici dei tropi è ridotto a fenomeno
puramente mentale, la cui esistenza va necessariamente ricondotta alla
manifestazione del particolare. Sono proprio le proprietà fenomeniche
degli oggetti concreti dunque a essere indicate come elementi ultimi
dell’essere. Le qualità e le relazioni che riguardano oggetti particolari
sono esse stesse particolari, ma non derivano questa particolarità dalla
contrapposizione con qualche misteriosa sostanza.
Nonostante l’apparente semplicità ed economicità, la teoria fatica a
spiegare alcuni aspetti, a causa della sua eccessiva rigidità. Inoltre, il
problema più cocente dal punto di vista della formazione
dell’universale, è l’impossibilità di rintracciare gli esatti particolari
che vanno a costituire l’ente universale. Sembra infatti che essi siano
in continuo divenire e che la combinazione di particolari componenti
l’universale cambi a seconda di chi percepisce il particolare. Restano
da chiarire i processi mentali che attendono alla creazione
dell’universale. Infine, le nozioni di somiglianza e di compresenza
sollevano problematiche che minano la semplicità della teoria dei
tropi e che, secondo l’opinione di alcuni filosofi, svelano la sua natura
tutt’altro che unitaria.
Rimangono dalla parte dei tropi alcune considerazioni. Ogni teoria
umana non può esimersi dal presentare imperfezioni e passaggi oscuri.
Soprattutto nel caso di una prospettiva di così recente sviluppo. La
chiarezza, economia, coerenza e linearità di tale teoria continuano a
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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41
testimoniarne il valore e a garantirle un posto tra le opzioni
metafisiche che l’uomo è stato in grado di formulare.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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42
CAPITOLO SECONDO
LA TEORIA DEI TROPI COME
ONTOLOGIA DEGLI ENTI
MATEMATICI
1. ONTOLOGIE PER GLI ENTI MATEMATICI
Un’ontologia che abbia la pretesa di essere coerente e completa
deve impegnarsi a trattare soddisfacentemente anche gli enti
matematici. Tra questi vi sono i numeri, o più in generale le entità
numeriche, e gli oggetti geometrici. Inoltre, è necessario definire quale
tipo di entità debba essere assegnato ai rapporti tra questi due tipi di
enti, cioè sia ai rapporti interni alle due tipologie, sia a quelli che
intercorrono tra le tipologie. Se infatti gli enti numerici e quelli
geometrici sono per così dire i «mattoncini» della matematica,
teoremi, assiomi e dimostrazioni sono la vera e propria essenza del
sapere matematico.
Il dibattito21
sulla natura del sapere matematico si sviluppa nei
primi anni del Novecento e si articola nella contrapposizione tra due
21
Confronta in particolare CASARI, ETTORE, Questioni di filosofia della matematica,
Feltrinelli, Milano 1964.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
43
concezioni fondamentali. La prima è la concezione contenutistica.
Tale prospettiva assegna significato autonomo al discorso matematico
in quanto ritiene che questo verta intorno a entità particolari. La
seconda concezione è quella formalistica, secondo la quale il discorso
matematico non gode di significato specifico, ma si compone di uno
schema di discorso sensibile al contesto. Ognuna di queste prospettive
ha punti di forza e debolezze. La validità della concezione
contenutistica però vacilla fortemente, sotto il peso della mancanza di
una teorizzazione in grado di giustificare la corrispondenza tra enti
matematici ed enti particolari.
Oltre alle questioni sulla natura del sapere matematico, è necessario
affrontare il problema della natura degli enti matematici. Assegnare
agli enti matematici determinate qualità, significa possedere
concezioni della matematica estremamente divergenti. Si isolano
principalmente tre concezioni. La prima è quella che corrisponde alla
matematica predicativa. Se la matematica viene intesa come una
scienza descrittiva, allora saranno le definizioni a plasmare gli enti
matematici. Le definizioni cioè determinano un universo matematico,
materia di base per formulare assiomi. Poi, a partire da tali assiomi, è
possibile, secondo regole specifiche, costruire delle dimostrazioni. È
una matematica che procede sul terreno delle ipotesi, del
procedimento per assurdo, del teorema del terzo escluso. Questo tipo
di enti matematici non può esistere prima della formulazione di
giudizi matematici e ha una natura astratta, a posteriori.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
44
Una concezione della matematica come scienza costruttiva invece
prevede che le definizioni costruiscano le entità. Ogni ente cioè deve
godere di una valida dimostrazione costruttiva della sua esistenza,
prima di ottenere un posto tra le entità matematiche. Non è possibile
dedurre nessun tipo di ente o nessuna proprietà senza fornirne una
efficace dimostrazione, per cui i procedimenti di dimostrazione
indiretta vengono scartati. Questa matematica vuole essere svincolata
da ogni presupposto metafisico extra-matematico e basarsi su
un’interpretazione rigorosamente e coerentemente costruttivista.
Questa concezione corrisponde ad alcuni modelli matematici e in
particolare alla matematica intuizionista. Il principale esponente della
matematica intuizionista fu il matematico olandese Luitzen Brouwer.
Egli sostenne che il pensare matematico si sviluppi in un processo
costruttivo di un universo indipendente dalla nostra esperienza. Nella
prospettiva intuizionista infatti le idee matematiche si trovano
immerse nella mente umana prima del linguaggio, della logica o
dell’esperienza.
Ettore Casari22
ha saputo riassumere la differenza tra queste due
concezioni completando un’affermazione di Leopold Kronecker, uno
dei precursori dell’intuizionismo matematico, contenuta nel celebre
trattato Sulla natura del numero, pubblicato nel 1881. Il matematico
tedesco infatti, riferendosi alla matematica predicativista, afferma che
dio ha creato i numeri naturali, mentre il resto è opera dell’uomo.
22 In CASARI, ETTORE, Questioni di filosofia della matematica, Feltrinelli, Milano
1964.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
45
Casari porta avanti la metafora, sostenendo che invece per la
matematica intuizionista è tutto opera dell’uomo.
Infine, una delle prospettiva più moderne è quella che assegna alla
matematica lo statuto di scienza puramente formale. I formalisti
sostengono inoltre che la logica vada trattata contemporaneamente alla
matematica. La ragione va ritrovata nella concezione della logica
come un linguaggio dei segni che esprime ragionamenti attraverso
processi formali. Allo stesso modo infatti, gli assiomi della
matematica sono processi formali attraverso i quali si esprimono le
regole di derivazione delle formule. Questa prospettiva fu fondata da
Hilbert e prende il nome di matematica formalista. Secondo quello che
viene chiamato Programma di Hilbert23
, ogni disciplina matematica
deve disporre di una fondazione assiomatica, costituita da concetti e
23
È necessario precisare che i teoremi di non dimostrabilità della coerenza, con certi
strumenti, e incompletezza della matematica formulati da Kurt Gödel nel 1931
segnarono per sempre i limiti del programma di Hilbert. Il matematico austriaco
dimostrò infatti che la coerenza di un sistema che abbraccia la logica usuale e la
teoria dei numeri non può essere stabilita se ci si limita a quei concetti e a quei
metodi che possono essere rappresentati formalmente nel sistema della teoria dei
numeri. La coerenza della teoria dei numeri cioè non può essere dimostrata
all’interno di una metamatematica finitista. Inoltre, Kurt Gödel riuscì a dimostrare
che, se una qualsiasi teoria formale T adatta ad abbracciare la teoria dei numeri è
coerente e se gli assiomi del sistema formale dell’aritmetica sono assiomi o teoremi
T, allora T è incompleto. Cioè, c’è un enunciato S di teoria dei numeri tale che né S
né non-S è un teorema della teoria. Questa dimostrazione ha delle conseguenze
devastanti per la teoria dei numeri, in quanto afferma che, siccome uno tra S o non-S
deve essere vero, c’è un enunciato vero della teoria dei numeri che non è
dimostrabile. In conclusione quindi, la non contraddittorietà di un sistema formale
capace di esprimere la teoria elementare dei numeri non può mai essere dimostrata
attraverso mezzi formalizzabili nel sistema stesso.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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46
principi logici e matematici. Questi assiomi esprimono le regole di
derivazione delle formule, ovvero le regole di manipolazione dei
simboli delle formule ottenute in precedenza. L’oggetto del lavoro
matematico sono dunque i simboli. Una volta svuotati di ogni
significato, essi sono l’essenza, non la rappresentazione, degli oggetti
fisici sottoposti a un processo mentale di idealizzazione. Un giudizio
matematico è vero quindi se può essere ottenuto a conclusione di una
successione di proposizioni derivate dalle precedenti o assiomatiche.
Questi tre punti di vista sono connessi con i tre tradizionali punti di
vista sulla natura delle entità astratte: rispettivamente, realismo,
concettualismo, nominalismo. Il nominalismo si trova però legato sia
alla concezione contenutista, quando punta a costruire una tecnica di
traduzione che permetta di evitare il riferimento a entità astratte, sia al
formalismo di Hilbert, in quanto elimina il riferimento a entità astratte
considerando la matematica come un complesso di simboli. La teoria
dei tropi è sicuramente in accordo con una concezione formalista della
matematica, grazie alla condivisione dello sforzo riduzionista in
direzione delle entità astratte. Tuttavia, si noti che un’ontologia che
preveda un solo tipo di entità, come la teoria dei tropi, più che trovarsi
di fronte al compito di individuare un tipo di essenza per gli enti
matematici, deve cercare la strada attraverso la quale mostrare come
questi enti siano tropi.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
47
2. CHE COSA SONO GLI ENTI MATEMATICI
Nel corso dell’analisi ontologica degli enti matematici, emerge
chiaramente la distinzione tra oggetti astratti e oggetti concreti. Gli
enti numerici infatti sono prevalentemente astratti. Costituiscono
un’eccezione le concezioni della matematica come manipolazione dei
simboli, per cui un numero è un oggetto concreto, cioè proprio il
simbolo. Tale concezione quindi non assegna al simbolo il compito di
rimandare a entità astratte. Una concezione del numero di questo tipo
è presente ad esempio nella matematica formalista. Eccezion fatta
dunque per prospettive di questo genere, si può affermare che non ha
senso parlare di numero concreto, in quanto nominare un numero
significa riferirsi a una proprietà astratta. Questa proprietà viene
associata a un gruppo di oggetti determinato e numerabile24
con la
quale il numero intrattiene una relazione di corrispondenza biunivoca.
Gli enti geometrici invece possono essere sia astratti sia concreti. A
ben vedere, ogni oggetto concreto corrisponde, più o meno
perfettamente, a un ente geometrico. Questo perché, necessariamente,
ogni ente concreto ha un’estensione nello spazio. Il modo in cui ogni
oggetto ha un’estensione, determina una figura geometrica ed è quindi
oggetto di indagine della geometria. Oltre agli enti geometrici concreti
24
Un certo numero di oggetti forma un insieme numerabile se e solo se esiste una
corrispondenza biunivoca tra i suoi elementi e l’insieme dei numeri naturali. Dalla
definizione fornita dunque si deduce che quest’analisi si impegna a fornire una
descrizione esclusivamente dei numeri naturali e reali.
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48
vi sono però anche enti geometrici astratti. Definire le proprietà di un
triangolo, così come dimostrare il teorema di Pitagora, richiede il
riferimento a un ente astratto e perfetto, un ente tale da soddisfare
perfettamente i criteri che definiscono ogni figura geometrica. In
generale infatti si può dire che questo non avvenga per gli enti
geometrici concreti.
La letteratura sulla teoria dei tropi ad oggi non ha affrontato
l’argomento degli enti numerici. Per quanto riguarda gli enti
geometrici invece si può contare su una breve ma autorevole
argomentazione. È proprio Donald Williams infatti, nel suo On the
Elements of Being, a trattare l’argomento dell’ontologia da assegnare
agli enti con cui lavora la geometria. Lo scopo dell’autore è quello di
rafforzare ulteriormente la teoria dei tropi, mostrando come essa sia
capace di risolvere elegantemente e semplicemente la lunga questione
riguardo al tipo di ontologia più adatta per gli enti geometrici. Al
contrario delle ontologie di stampo platonico, la teoria dei tropi non
richiede di postulare un ente universale che esemplifichi perfettamente
le proprietà degli enti geometrici, come il triangolo perfetto, o il
cerchio perfetto. Non è necessario prevedere una relazione di
esemplificazione, decisamente misteriosa, tra figura perfetta e oggetto
che la esemplifica. Circolarità e triangolarità, per la teoria dei tropi,
sono semplicemente universali astratti, in quanto proprietà possedute
da più particolari concreti. Un oggetto triangolare o circolare dunque è
un particolare concreto, un semplice oggetto che annovera, tra i tropi
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
49
che lo compongono, il tropo della triangolarità. Invece, un cerchio o
un triangolo sono particolari astratti, cioè tropi. La ragione è che essi
sono oggetti di cui si considera una sola proprietà, ovvero proprio la
triangolarità o la circolarità. Riassumendo: la triangolarità è un
universale astratto costituito, come ogni universale, da fasci di tropi
compresenti. Questi tropi provengono da due tipi di oggetti. Di primo
tipo sono i tropi che contribuiscono alla formazione di un oggetto
concreto. Ad esempio, il fascio di tropi compresenti che costituisce un
segnale stradale di precedenza, comprende un tropo che ne indica la
particolare forma, la particolare triangolarità. Questo tropo
contribuisce alla creazione dell’universale della triangolarità. Di
secondo tipo invece sono i tropi che provengono dall’oggetto astratto
con tre linee e tre angoli, quell’oggetto che, se ha uno dei tre angoli
retto, allora l'area del quadrato costruito sull' ipotenusa è pari alla
somma dell'area dei quadrati costruiti sui cateti, ovvero la figura
geometrica del triangolo. Per cui, se dalla combinazione tra astratto e
universale si costruisce la triangolarità, e da quella tra concreto e
particolare otteniamo oggetti triangolari, allora dalla combinazione tra
astratto e particolare si ricava l’ente puramente geometrico del
triangolo.
Come già anticipato, i teorici dei tropi non si sono occupati degli
enti numerici. Ciò nonostante, lo studio degli enti geometrici
effettuato da Williams lascia spazio di manovra per un’analoga
trattazione degli enti numerici. Anche nel caso dei numeri infatti
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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50
possiamo isolare sostanzialmente tre modi nei quali individuare l’ente
numerico. Il primo modo corrisponde all’universale ed è analogo alla
proprietà della triangolarità, ma in questo caso si riferisce alla
proprietà comune a più enti di essere composti da diverse parti o avere
aspetti con caratteristiche numerabili. In questo senso, è evidente che
si tratti di un universale di una proprietà di secondo livello, in quanto
si riferisce a proprietà primarie. Intendendo con unicità la proprietà
condivisa dagli elementi che sono in numero di uno, si isola la
proprietà di avere un unico elemento o un unico aspetto di un certo
tipo. Si tratta quindi di una proprietà secondaria e vincolata a proprietà
indipendenti. È in questo senso quindi che questa pagina ha la
caratteristica di avere esattamente quattro lati e quattro angoli. Cioè, la
proprietà di avere lati e angoli si applica quattro volte.
Il secondo modo in cui si può trovare l’ente numerico corrisponde
all’oggetto concreto o a quantità numerabili di oggetti concreti. In
conseguenza all’esistenza di un universale astratto per la numerazione,
esistono oggetti concreti che possiedono quei tropi che vanno a
costituire l’universale corrispondente. Così come a ogni oggetto
concreto corrisponde una forma, a ogni tropo appartenente a un
oggetto concreto corrisponde anche un numero.
Rimane da affrontare il problema del tipo di enti numerici che sono
oggetto della matematica. Insistendo nella fedeltà alla trattazione degli
enti geometrici, possiamo dire che l’ente numerico astratto e
manipolato dalla matematica è un semplice tropo, cioè un ente
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
51
particolare astratto. Vale la pena di soffermarsi su queste due
caratteristiche. In primo luogo, gli enti matematici sono particolari
perché utilizzare un numero in una dimostrazione o in un calcolo, non
significa servirsi dell’esemplificazione di un universale. Ogni numero
è un ente di un certo tipo. Dunque, il singolo numero scritto sul mio
foglio o pensato dalla mia mente si costituisce come l’occorrenza di
un’essenza, di un tipo di essere. L’ente matematico è un dunque un
simbolo il cui significato va rintracciato nelle relazioni che intrattiene
con gli altri simboli previsti dal sistema entro cui opera. In secondo
luogo, un ente numerico è astratto perché non occupa regioni di
spazio-tempo, non ha forma ed è frutto della creazione da parte
dell’uomo di un sistema formale. Ciò rende esplicito il parallelismo
tra enti algebrici ed enti numerici e fa della matematica un insieme di
sistemi formali e deduttivi, lo sviluppo dei quali è compito del
matematico.
3. PROPRIETÀ E RELAZIONI DEGLI ENTI
MATEMATICI
Il numero, insieme all’attività del contare, costituisce un importante
caso tra i processi di astrazione attraverso i quali opera la mente
umana. Nel numero infatti l’astrazione raggiunge uno dei massimi
gradi, in quanto contare oggetti significa prescindere da ogni loro
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
52
proprietà e considerarli unicamente come termini di un processo
simbolico.
Ogni numero è seguito e preceduto da una serie finita o infinita di
altri numeri, la cui grandezza varia al variare della successione dei
numeri preso in considerazione. I rapporti con gli altri numeri e con le
operazioni algebriche definiscono le proprietà di un numero. La serie
dei numeri naturali, oltre a costituirsi come il più semplice, primitivo e
diffuso tra i sistemi dei numeri, ha anche un posto di rilievo nella
formulazione della teoria degli insiemi. Georg Cantor, fondatore della
teoria degli insiemi, si affidò all’assiomatizzazione dei numeri naturali
formulata da Richard Dedekind e da Giuseppe Peano per definire i
numeri ordinali. Gli assiomi di Dedekind e di Peano25
sono dunque
molto utili allo scopo di questo lavoro, in quanto evidenziano le
proprietà dei numeri naturali e aprono la strada alla teoria degli
insiemi. Si tratta di cinque assiomi il cui obiettivo è esplicitare le
proprietà fondamentali dei numeri naturali. Prima di formulare gli
assiomi, il matematico torinese dunque definisce con N la successione
numerica dei numeri naturali e con 0 il numero zero. A questo punto,
introduce la funzione S, che fa corrispondere a ciascun numero
naturale n il suo successore. Con queste premesse, Peano può
enunciare i cinque assiomi. Il primo assioma asserisce che il numero 0
25
La ragione per cui ci si riferisce a questi assiomi come assiomi di Dedekind-Peano è
che Peano gli espose compiutamente e li pubblicò nel 1889, nell’opera interamente
in latino Arithmetices Principia nova methodo exposita. Dedekind però riuscì a
isolarli l’anno prima, nel 1888. Il lavoro di Dedekind si può consultare nella lettera
che il matematico inviò a Keferstein nel 1890.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
53
appartiene alla successione dei numeri naturali. Il secondo assioma
invece è relativo al campo d’azione della funzione S. L’azione di
questa funzione infatti scaturisce dalla successione numerica N e
opera nei confronti della successione numerica N. In questo modo,
Peano può asserire non solo che ogni numero naturale appartiene a N,
ma anche che il successore di ogni numero naturale appartiene a N. Il
terzo assioma precisa che non esiste nessun numero naturale il cui
successore sia 0. In questo modo, il numero 0 si costituisce come
punto di partenza della serie dei numeri naturali. Il quarto assioma
determina che tipo di funzione è S. Si tratta infatti di una funzione
iniettiva, cioè una funzione che associa ad argomenti diversi valori
diversi. Questo significa che ogni numero naturale n avrà un
successore diverso da quello che S associa a ogni altro numero
naturale. Infine, il quinto assioma afferma che una serie numerica A
contiene tutti i numeri naturali se soddisfa due condizioni. La prima
condizione è che A contenga 0. La seconda condizione è che A sia
chiusa rispetto al successore, cioè che A contenga il successore di
qualsiasi numero naturale che gli appartiene. Ciò significa che la serie
numerica A, e di conseguenza la serie N, risultano seguire all’infinito
attraverso un procedimento induttivo.
Ecco dunque i cinque assiomi di Peano:
1) 0 N;
2) S è una funzione da N in N;
3) Non esiste alcun n N tale che S(n) = 0;
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
54
4) S è una funzione iniettiva;
5) Sia a una qualunque serie numerica tale che 0 a e per ogni
n N, se n a, anche S(n) a, allora N a.
Il quinto assioma è di fondamentale importanza, in quanto contiene
la formulazione del principio di induzione e di conseguenza la
giustificazione della dimostrazione per induzione. La prima
condizione del quinto assioma infatti si chiama base dell’induzione,
mentre la seconda si chiama passo dell’induzione. Il principio di
induzione dunque afferma che se A è un successione di numeri tale
che, per ogni n N, se m A per ogni m < n, allora n A, allora N
A. Il principio autorizza a inferire che tutti i numeri naturali
possiedono una proprietà P dal fatto che, se P è posseduta dai numeri
naturali minori di n, allora P è posseduta anche da n.
Inoltre, Peano introdusse gli assiomi relativi alle operazioni
fondamentali tra numeri naturali. Le operazioni prese in
considerazione da Peano sono tre: somma, prodotto, esponenziazione.
Per ogni operazione il matematico torinese formulò due assiomi:
Assiomi di Peano sulla somma:
1) per ogni m N, m + 0 = m
2) per ogni m, n N, m + s(n) = s(m + n)
Assiomi di Peano sul prodotto:
1) per ogni m N, m 0 = m
2) per ogni m, n N, m s(n) = (m n) + m
Assiomi di Peano sull’esponenziazione:
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
55
1) per ogni m N, m 0
= 1
2) per ogni m, n N, m s(n) = mn m
Peano introdusse anche le relazioni di minore () e di minore o
uguale ().
Relazione di e di : dati m, n N, m è minore di n se n = m + p
per qualche p N tale che p 0, m è minore uguale a n, se m n o m
= n. Si noti che m < n equivale a m n e a m n.
Una volta chiarite quali sono le proprietà dei numeri naturali, è
necessario specificare che queste proprietà non si riferiscono a un
numero preso singolarmente, ma hanno significato solo nel momento
in cui si considera l’intera serie dei numeri naturali. Per questa
ragione, se si considera un ente numerico isolato e indipendentemente
dalla serie di cui fa parte, allora questo numero è un tropo semplice,
privo di proprietà o relazioni. Quando però si inserisce questo ente nel
posto che occupa nella successioni di numeri, esso intreccia
immediatamente relazioni di minore e uguale. Ecco che allora,
volendo assegnare uno statuto ontologico agli enti della matematica, è
necessario scegliere che tipo di ente assegnare alla successione dei
numeri naturali considerata nella sua interezza e complessità.
Possiamo definire ontologicamente la successione numerica N
come il fascio costituito dai tropi corrispondenti ai particolari astratti
ai quali ci riferiamo quando compiamo operazioni di tipo matematico
o quando osserviamo le relazioni che intercorrono tra i numeri. Un
numero infatti rende possibile l’operazioni di contare solo se intreccia
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
56
la relazione di successore con il numero che lo precede e la relazione
di predecessore con il numero che lo segue. Per questa ragione, gli
enti di cui si occupa la matematica non possono essere considerati
singolarmente dall’ontologia, ma devono essere calati nel sistema di
cui fanno parte.
Infine, vorrei notare che Ludwig Wittgenstein, nella parte finale del
suo Tractatus Logicus Philosophicus26, nell’asserzione 6.022 afferma
che: « il concetto di numero è solo ciò che è comune a tutti i numeri,
la forma generale del numero. Il concetto di numero è il numero
variabile. E il concetto d’eguaglianza numerica è la forma generale di
tutte le eguaglianze numeriche speciali». Assegnare uno statuto
ontologico al numero quindi, a maggior ragione, è una questione che
necessariamente riguarda il concetto di numero, cioè, nelle parole di
Wittgenstein, una questione che riguarda ciò che è comune a tutti i
numeri e che generalmente si può predicare di ognuno di essi. Se il
concetto è ciò che è comune a tutti gli enti di un tipo, cioè ciò che li
accomuna in quanto enti di un tipo, allora è evidente la coincidenza tra
concetto ed essenza.
26 WITTEGENSTEIN, LUDWIG, Tractatus Logico-philosophicus, Einaudi, Torino 1964.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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57
CAPITOLO TERZO
LA TEORIA DEGLI INSIEMI
1. LA TEORIA INGENUA DI CANTOR
La teoria degli insiemi nasce grazie al lavoro del matematico
tedesco Georg Cantor, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Dopo di lui, numerosissimi matematici si sono interessati alla teoria
degli insiemi e hanno lavorato per renderla sempre più coerente e
priva di antinomie. La ragione è che la teoria degli insiemi, grazie alla
sua capacità di rendere su base insiemistica l’intero apparato
matematico, costituisce un eccellente strumento di verifica delle teorie
matematiche27
.
Il primo scritto sulla teoria degli insiemi è Über eine Eigenschaft
des Inbegriffes aller reellen algebraischen Zahlen, pubblicato nel
1874 dal Journal für die reine und angewandte Mathematik. Il
matematico tedesco prese spunto da questioni filosofiche e
matematiche per approfondire i concetti alla base della teoria degli
insiemi di punti. Dagli insiemi di punti dunque, Cantor arrivò a
27
La letteratura a cui farò riferimento nelle prossime pagine è principalmente
costituita dal manuale CASALEGNO, PAOLO, MARIANI, MAURO, Teoria degli insiemi,
un’introduzione, Carocci, Roma 2004 e dal volume CASARI, ETTORE, Questioni di
filosofia della matematica, Feltrinelli, Milano 1964.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
58
formulare la teoria degli insiemi astratti e in seguito la teoria dei
numeri cardinali e ordinali.
Le posizioni metafisiche sostenute da Cantor riguardo la natura del
numero hanno influenzato profondamente la sua formulazione della
teoria degli insiemi. Cantor infatti distingue due tipi di esistenza dei
numeri. Il primo è di tipo intrasoggettiva o immanente, in quanto i
numeri prendono posto nell’intelletto. In questo tipo di realtà i numeri
sono differenziati e intrattengono relazioni con altri concetti e altri
numeri. Il secondo tipo di realtà è transoggettiva o transiente. In tal
senso, i numeri sono considerati come l’espressione di processi e
relazioni che avvengono nel mondo esterno, contrapposto
all’intelletto. Questi due tipi di realtà sono per Cantor necessariamente
compresenti. Proprio la loro compresenza infatti garantisce l’assoluta
libertà della matematica: solo ad essa fra le scienze infatti è concesso
operare tenendo unicamente conto della realtà immanente dei suoi enti
e trascurandone la realtà transiente.
Si può dunque delineare la concezione cantoriana della matematica
affermando che essa trae gran parte della sua materia e della sua
ispirazione dalla riflessione sui fenomeni naturali. A partire dunque da
modelli naturali, la matematica costruisce liberamente i suoi enti e non
soffre di alcuna preoccupazione relativa all’applicazione pratica delle
teorie che produce. In qualche modo però le teorie matematiche pure
trovano sempre o quasi un’applicazione nell’analisi e nella descrizione
del mondo esterno.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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59
Poste queste importanti premesse metafisiche, Cantor definì il
concetto di insieme all’interno dello scritto Contributi, del 1895.
L’insieme dunque è la riunione M di un tutto di oggetti m che
appartengono all’intuizione o al pensiero. A ogni insieme M spetta
una potenza o numero cardinale. Il numero cardinale è quel concetto
generale che si ottiene dall’insieme M astraendo dalla natura
particolare dei suoi elementi e dall’ordine nel quale essi sono dati. Fra
i cardinali si possono definire relazione di uguaglianza, maggiore e
minore o uguale (=, , ).
Dopo aver definito il concetto di insieme, Cantor gli attribuì alcune
caratteristiche. La prima asserisce che esiste un insieme in
corrispondenza a ogni molteplicità di enti distinti che possa essere
caratterizzata da una condizione. La seconda proprietà invece assicura
che l’insieme sia completamente determinato da tutti gli elementi
della molteplicità corrispondente all’insieme. Tale principio separa e
distingue la nozione estensionale di insieme dalla nozione intensionale
di proprietà.
Infine, Cantor afferma la sostanzialità dell’insieme nel duplice
aspetto dell’individualità, cioè della capacità di godere di attributi e di
essere quindi elemento di una molteplicità, e dell’assolutezza.
Quest’ultimo aspetto garantisce l’indipendenza dell’insieme dal
linguaggio e da ogni possibile caratterizzazione linguistico-teoretica
degli insiemi e delle proprietà.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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60
Volendo analizzare più approfonditamente queste quattro
condizioni, si può innanzitutto notare che alla base si ritrova
un’evidente concezione platonistica della matematica. In particolare,
Il platonismo logico si manifesta nell’assunzione che l’universale
possieda un’esistenza extralogica affine in qualche modo a quella
delle componenti del mondo reale. Inoltre, ciò che la prima condizione
afferma è che ogni qualvolta sia possibile determinare una
molteplicità tramite una legge o una proprietà, necessariamente per
ogni entità sarà univocamente determinato il suo appartenere,
sottostare, soddisfare o no la legge o la proprietà. Esiste cioè l’insieme
corrispondente a ogni molteplicità determinata.
La seconda condizione ha un significato apparentemente molto
elementare, in quanto ciò che afferma è che due insiemi con gli stessi
elementi coincidono. Ciò che influisce nella determinazione
dell’uguaglianza tra insiemi dunque è esclusivamente l’estensione. La
terza condizione vuole specificare più chiaramente il tipo di esistenza
assegnato all’insieme determinato da ogni molteplicità.
In accordo dunque con la prospettiva platonistica della matematica
di Cantor, egli attribuisce all’universale corrispondente all’insieme i
caratteri logici delle sostanze individuali. Infine, la quarta
caratteristica arricchisce ulteriormente l’universale, assegnandogli non
solo i caratteri primari delle sostanze, ma anche quelli secondari. Le
proprietà dell’insieme sono cioè necessariamente connesse con
l’insieme stesso.
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61
Furono numerose le critiche mosse alla concezione cantoriana della
teoria degli insiemi. Fondamentalmente però è possibile evidenziarne
di due tipi. Le obiezioni di carattere logico accusano la teoria di essere
intrinsecamente inconsistente, mentre le obiezioni di carattere
filosofico-epistemico ne evidenziano l’incapacità di costituire una
piattaforma armonica e adeguata per l’interpretazione dei molteplici
aspetti e della natura della ricerca matematica.
2. I PARADOSSI DELLA TEORIA DEGLI INSIEMI
Le difficoltà a cui va incontro la teoria degli insiemi possono essere
rappresentate da tre casi. La prima complicazione è dovuta alla
scoperta delle antinomie logiche generate dall’incompatibilità della
prima e della terza caratteristica attribuite alla teoria degli insiemi28
. È
infatti la sinergia delle due condizioni a generare il principio di
comprensione, il quale, se applicato senza alcuna restrizione, genera
contraddizioni. Tale principio di comprensione ha lo scopo di
garantire che tutte le proprietà siano in grado di generare molteplicità
tali da definire insiemi. Il principio di comprensione era infatti
ritenuto valido agli albori della teoria degli insiemi, ma il matematico
28 In FREGE, GOTTLOB, Grundegesetze der Artimetik, Verlag Hermann Pohle, Jena
1893, è presentato un sistema che assumeva il principio di comprensione. Nella
versione fregeana dunque il principio asserisce che data una proprietà, è sempre
possibile può assumere l'esistenza di un insieme ben determinato che corrisponde a
questa proprietà. Bertrand Russell rivelò l’inaffidabilità di tale principio, attraverso
il suo famoso paradosso dell’insieme delle classi che non appartengono a se stesse.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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62
torinese Cesare Burali-Forti nel 1897 e Bertrand Russell nel 1901,
hanno prodotto alcuni paradossi che ne hanno svelato l’incoerenza. Il
paradosso di Burali-Forti prende le mosse dall’assunzione che esiste
l’insieme di tutti gli ordinali. Tale insieme dovrebbe a sua volta essere
un ordinale, in quanto in possesso di tutte le proprietà dei numeri
ordinali: chiamiamo questo ordinale A questo punto però sarebbe
possibile costruire l’ordinale + 1, maggiore di . Per definizione
dello stesso però, + 1 dovrebbe appartenere a , quindi si giunge
al risultato paradossale per cui: < +1 .
Il problema deriva dalla possibilità di costruire insiemi con formule
di comprensione che non prevedono alcuna restrizione, in particolare
riguardo agli elementi che non sono insiemi. Ad esempio, la classe di
tutti gli uomini non è un uomo, ma la classe di tutte le idee è un’idea,
così come la classe di tutti gli insiemi con cardinalità maggiore di 1 è
un insieme con cardinalità maggiore di 1. Dunque, dato che alcune
classi sono elemento di se stesse e altre non lo sono, è necessario
imporre delle restrizioni che agiscano allo scopo di evitare le
antinomie.
Bertrand Russell invece scoprì nel 1901 l’antinomia dell’insieme
che contiene tutti gli insiemi che contengono se stesso tra gli elementi.
La contraddizione sta nel fatto che l’insieme che contiene tutti gli
insiemi che contengono se stessi contiene se stesso se e solo se non
contiene se stesso. Se infatti l’insieme contiene se stesso, deve
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63
appartenere all’insieme degli insiemi che non contengono se stessi tra
gli elementi.
Poiché il principio di comprensione è responsabile del tratto logico-
platonistico che caratterizza la concezione cantoriana della teoria degli
insiemi, è evidente come la dimostrazione della sua inconsistenza
logica sia un duro colpo per questa formulazione.
Questi paradossi hanno evidenziato la necessità di formulare
principi più affidabili che indichino di che tipo di insiemi si può
ammettere l’esistenza. Vi sono numerose teorie assiomatiche, a partire
da quella di Zermelo-Fraenkel, attraverso le quali sono state tentate
diverse soluzioni. Secondo Russell, Zermelo e Quine infatti l’errore si
trova nell’ammissione dell’esistenza dell’insieme in corrispondenza a
ogni condizione. La soluzione quindi è quella di eliminare
l’indiscriminata possibilità di costruire insiemi in corrispondenza a
ogni condizione. Per Russell la limitazione deve riguardare la natura
delle sostanze che intervengono come elementi nella molteplicità,
elaborando una gerarchia delle sostanze. Fu questa idea a portare
Russell alla formulazione della teoria dei tipi. Zermelo invece ritiene
che la limitazione debba operare sulla natura delle molteplicità capaci
di formare un insieme non contraddittorio. Vi è però un’altra
prospettiva, a cui corrispondono le teorie assiomatiche di Von
Neumann, che riscontra la radice delle antinomie nell’ammissione che
ogni insieme sia una sostanza, cioè nella terza caratteristica degli
insiemi secondo Cantor.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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64
Veniamo ora alla seconda obiezione mossa alla teoria di Cantor.
Essa si sviluppa successivamente alla prima obiezione, in quanto
afferma che il principio di comprensione, anche quando sia stato
riformulato in modo da sottrarsi alla prima obiezione, presenta un
circolo vizioso. La ragione è che il principio di comprensione assicura
l’esistenza di insiemi comunque definiti, ma questi insiemi sono
implicati direttamente dalla condizione che li definisce. Il principio di
comprensione cioè si avvale di una definizione impredicativa. Le
definizioni impredicative sono quelle definizioni che determinano un
ente facendo riferimento a una totalità che contiene come elemento
l’ente da definire. Finché infatti l’universale viene concepito
distributivamente, cioè come aggregato di tutti i suoi elementi, riferirsi
alla totalità significa riferirsi distributivamente a ogni suo elemento.
Definire un ente con riferimento a una totalità di cui esso è elemento
equivale perciò a definirlo riferendosi all’ente stesso e questo è
circolare. Tuttavia, questo ragionamento non è necessariamente
implicato dalle presupposizioni fondamentali del platonismo logico.
La ragione è da riscontrarsi nell’elemento distintivo della concezione
platonistica, la quale afferma che le definizioni matematiche sono
proprio costitutive degli enti. Per quanto riguarda la matematica
platonistica quindi questa critica non ha alcuna consistenza, ma
rappresenta un grosso ostacolo teorico per le altre concezioni della
matematica.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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65
Infine, la formulazione di Cantor presenta una terza difficoltà,
causata dall’insostenibilità della condizione che afferma che gli
insiemi e le loro proprietà sono assoluti nel senso che sono
indipendenti da ogni possibile caratterizzazione linguistico-teoretica.
Questo problema è evidenziato dal paradosso formulato dal
matematico norvegese Albert Thoralf Skolem. Ai fini della
comprensione del paradosso, è necessario introdurre alcuni concetti
matematici. Innanzitutto, un insieme è numerabile se e solo se esiste
una corrispondenza biunivoca tra i suoi elementi e l’insieme dei
numeri naturali. Invece, è più che numerabile se e solo se esiste una
corrispondenza biunivoca tra gli elementi di un suo sottoinsieme e
l’insieme dei numeri naturali ma non esiste nessuna corrispondenza
biunivoca tra i suoi elementi e l’insieme dei numeri naturali. Inoltre,
nel paradosso si fa riferimento al teorema di Cantor, che afferma che
non c’è una corrispondenza biunivoca tra l’insieme dei numeri
naturali e il suo insieme potenza.
Detto ciò, il paradosso di Skolem può essere formulato: sia M un
insieme qualunque di espressioni della logica dei predicati che
supponiamo in una particolare forma chiamata «forma normale
totalmente prenessa skolemiana». Skolem riesce a dimostrare che se
M possiede un modello, questo modello sarà al massimo numerabile.
Infatti, ogni modello della teoria degli insiemi, ad esempio il modello
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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66
assiomatico proposto da Zermelo-Fraenkel29
, soddisfacendo tutti gli
assiomi dovrebbe soddisfare anche ogni teorema, compreso quello di
Cantor, che afferma che in ogni possibile modello della teoria degli
insiemi sono sempre mancanti quegli insiemi che potrebbero
rappresentare una corrispondenza biunivoca tra quello che nel modello
rappresenta l’insieme dei numeri naturali e quello che nel modello ne
rappresenta l’insieme potenza. In sostanza, la non-numerabilità
dell’insieme di tutti i sottoinsiemi dell’insieme dei numeri naturali,
cioè la non numerabilità dell’insieme potenza di N. Il modello quindi
contiene un’infinità più che numerabile di elementi. Ogni eventuale
modello della teoria dovrebbe essere in conclusione più che
numerabile. Invece, la dimostrazione di Skolem rivela che la teoria ha
un modello numerabile. A meno che quindi la teoria sia
contraddittoria e non possieda alcun modello, l’insieme potenza
dell’insieme dei numeri naturali è e non è allo stesso tempo
numerabile. Ecco dunque il paradosso.
Skolem propone una soluzione del paradosso di grande interesse. Il
matematico norvegese infatti introduce un nuovo linguaggio
attraverso il quale provare a riformulare il paradosso: il linguaggio
metamatematico. Ciò che fa scaturire il paradosso infatti è che nel
linguaggio della teoria degli insiemi è possibile dimostrare la non-
esistenza di un certo insieme, mentre nel metalinguaggio è possibile
dimostrarne l’esistenza. Così argomentando, l’esistenza o la non
29
La presentazione delle teorie assiomatiche, tra cui quella formulata da Zermelo e da
Fraenkel, è oggetto del prossimo paragrafo.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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67
esistenza di un insieme diventano una questione relativa al linguaggio
e al sistema entro il quale si sta operando, una questione priva cioè di
carattere assoluto. In quest’ottica ad esempio, il teorema di Cantor non
afferma in assoluto la non-esistenza dell’insieme istituente una
corrispondenza biunivoca tra l’insieme dei numeri naturali e l’insieme
potenza di questo, ma semplicemente la non esistenza di un tale
insieme all’interno dei suoi possibili modelli. Più esattamente, il
teorema di Cantor dice che in ogni possibile modello della teoria
mancano sempre quegli insiemi che potrebbero rappresentare una
corrispondenza biunivoca tra quello che nel modello rappresenta
l’insieme dei numeri naturali e quello che nel modello ne rappresenta
l’insieme potenza.
3. LE TEORIE ASSIOMATICHE DEGLI INSIEMI
Il processo che portò alla formulazione della moderna teoria degli
insiemi fu molto lungo e aprì la strada a moltissime altre teorie
matematiche. La scoperta di alcune antinomie all’interno della
formulazione cantoriana della teoria degli insiemi inoltre stuzzicò
l’ingegno di molti matematici e filosofi che, nel tentativo di risolverle,
apportarono importanti modifiche alla teoria degli insiemi, rendendola
sempre più completa e coerente.
Nel 1908 il matematico e filosofo tedesco Ernst Zermelo pubblicò,
sul numero 65 dei Mathematische Annalen, un saggio dal titolo
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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68
Untersuchungen über die Grundlagen der Mengenlehre, destinato a
suscitare grande interesse. In quest’opera infatti Zermelo offrì una
sistematizzazione della teoria degli insiemi, il cui fine è eliminare le
antinomie e i paradossi che erano stati scoperti fino a quel momento.
Il matematico era convinto che la radice delle antinomie risiedesse
nell’ammissione dell’esistenza di insiemi in corrispondenza a
condizioni arbitrarie. Non è infatti la natura delle sostanze che
formano la molteplicità a rivelarsi problematica per Zermelo, ma è la
natura della molteplicità stessa. È possibile infatti per Zermelo che
determinate molteplicità risultino troppo grandi per non essere
problematiche all’interno della teoria degli insiemi. Per questa
ragione, Zermelo decise di sostituire il principio di comprensione,
colpevole a suo avviso di permettere la creazione di insiemi troppo
grandi. Al suo posto, formulò alcuni principi che consentissero di
costruire insiemi abbastanza grandi da soddisfare i bisogni della teoria
cantoriana del transfinito, ma non tanto grandi da permettere che si
presentassero antinomie.
Zermelo dunque propose un sistema di assiomatizzazione della
teoria degli insiemi. Gli elementi su cui operano gli assiomi
appartengono a un dominio D di oggetti, i quali intrecciano tra di loro
relazioni fondamentali. Il dominio D non è un insieme, bensì è una
classe. Inoltre, è chiuso, nel senso che comprende tutti gli insiemi che
si ottengono da altri insiemi applicando a questi i processi previsti
della teoria. Questi processi possono essere di tipo matematico o
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69
logico. I processi matematici sono la potenza, per cui se esiste in D un
insieme x allora esiste anche l’insieme potenza di x, cioè l’insieme di
tutti i sottoinsiemi di x; la riunione, che prevede che se esiste in D un
insieme i cui elementi sono a loro volta insiemi, allora esiste in D
anche l’insieme riunione di x, cioè di tutte quelle cose che sono
elemento di almeno un elemento di x; e la selezione, per la quale se
esiste in D un insieme di insiemi non vuoti e disgiunti, allora esiste in
D anche un insieme-selezione di x che ha esattamente un elemento in
comune con ogni elemento di x.
Il processo logico invece è chiamato isolamento. Grazie
all’applicazione di questo processo, è possibile isolare, all’interno di
un dato insieme, un suo sottoinsieme attraverso l’imposizione agli
elementi dell’insieme di partenza di una condizione che sia per essi
definita. Una proprietà è definita se le relazioni fondamentali del
dominio, mediante assiomi e leggi logiche universalmente valide,
decidono completamente della sua applicazione o non applicazione.
Il matematico tedesco definisce quindi l’insieme come
quell’oggetto astratto che possiede almeno un elemento e gli assegna
il ruolo di elemento primitivo della teoria. In seguito, postula che la
condizione che fa sì che due insiemi siano uguali è che abbiano gli
stessi elementi. Vi sono poi altri assiomi, il cui obiettivo è quello di
porre condizioni sull’esistenza di particolari insiemi e di chiudere il
dominio. Zermelo dunque include nel dominio insiemi cosiddetti
elementari. Questi sono l’insieme vuoto, l’insieme unità (x) di x, cioè
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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70
l’insieme il cui unico elemento è x, e l’insieme coppia per ogni coppia
di elementi. Inoltre, Zermelo introduce l’insieme infinito,
quell’insieme cioè che contiene l’insieme vuoto e tutti gli insiemi
ottenuti reiterando un numero finito di volte l’applicazione della
costituzione dell’insieme unità a partire dall’insieme vuoto.
I processi logici e matematici, l’assioma di estensionalità,
l’assioma dell’insieme infinito e gli assiomi sugli insiemi elementari
costituiscono i sette assiomi di Zermelo:
A1 o di determinatezza (estensionalità):
Se ogni elemento di un insieme x è contemporaneamente elemento
di un insieme y e viceversa, allora x=y.
A2 o degli insiemi elementari:
Esiste un insieme improprio () che non contiene alcun elemento.
Se x è qualsiasi cosa del dominio allora esiste l’insieme (x) che
contiene come elemento solo x (cioè l’insieme unità di x).
Se x e y sono due cose qualsiasi del dominio, allora esiste sempre un
insieme (x, y) (insieme coppia), che contiene come elementi sia x sia y
ma nessuna cosa z che sia diversa da entrambi.
A3 o dell’isolamento:
Se il predicato (x) è definito per tutti gli elementi di un insieme y,
allora y possiede sempre un sottoinsieme z che contiene come
elementi tutti e soli quegli elementi di y per i quali è vero (x). Se non
vi è nessun elemento di y per cui è vero (x), z è un sottoinsieme
vuoto.
A4 o dell’insieme potenza:
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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71
A ogni insieme x corrisponde un secondo insieme P(x) che contiene
come elementi tutti e soli i sottoinsiemi di x.
A5 o della riunione:
A ogni insieme x corrisponde un secondo insieme S(x) che contiene
come elementi tutti e soli i sottoinsiemi di x.
A6 o della scelta:
Se x è un insieme i cui elementi sono tutti insiemi diversi da e tra
loro disgiunti, allora la sua riunione S(x) contiene almeno un
sottoinsieme y che ha in comune con ogni elemento di x uno e un solo
elemento.
A7 o dell’infinito:
Il dominio contiene almeno un insieme z che contiene come
elemento l’insieme nullo ed è fatto in modo che a ogni suo
elemento x corrisponde un altro elemento della forma (x) ovvero che
con ogni suo elemento x contiene anche come elemento il
corrispondente (x).
Zermelo dunque afferma che la sua assiomatizzazione è non-
contraddittoria, ma non riesce a dimostrarlo. Per questa ragione, si
limita a mostrare che tutte le antinomie conosciute fino ad allora in
prima istanza non si presentano. Inoltre osserva che tutti gli assiomi
sembrano essere indipendenti, tranne quello degli insiemi elementari.
Il matematico tedesco Adolf Abraham Fraenkel infatti dimostrò che
questo assioma è parzialmente dipendente dagli altri. Inoltre, Fraenkel
operò numerose altre migliorie al sistema assiomatico di Zermelo,
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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72
tanto che ci si riferisce a questo sistema chiamandolo con il nome di
entrambi i matematici.
Nonostante gli sforzi dei due autori dunque, sono state sollevate
numerose questioni sull’adeguatezza dell’assiomatizzazione di
Zermelo-Fraenkel nel rendere la teoria degli insiemi.
Innanzitutto, il sistema fu accusato di essere metodologicamente
inadeguato a causa del concetto di predicato definito contenuto
nell’assioma di isolamento. Questo concetto non sarebbe utilizzabile
innocentemente in quanto sembra non sia sufficientemente preciso. In
particolare riguardo la dimostrazione che D non è un insieme.
Affermando infatti che ogni insieme ha almeno un sottoinsieme che
non è suo elemento, si conclude che non tutto ciò che appartiene al
dominio è elemento di uno stesso insieme. Quindi D non è un insieme.
È proprio grazie al fatto che D non è un insieme che è possibile evitare
l’antinomia di Russell, un risultato molto importante raggiunto però
attraverso strumenti che non convincono.
Per questa ragione dunque sia Skolem sia Fraenkel si impegnaroso
a trovare una soluzione al problema. Il matematico norvegese provò la
strada metamatematica, asserendo che un predicato definito è
un’espressione della logica dei predicati del primo ordine che contiene
una variabile libera e risulta costituito dai connettivi e dai
quantificatori a partire da espressioni atomiche della forma x y o x =
y. L’assioma di isolamento non risulta dunque più come un singolo
assioma, ma si costituisce come uno schema di assiomi.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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73
Il matematico tedesco invece tentò la strada della precisazione del
criterio della definitezza, attraverso l’introduzione del concetto
generale di funzione la riformulazione dell’assioma della scelta30
.
Un’altra critica che fu mossa al sistema di Zermelo fu quella di
risultare troppo debole, per due ragioni. La prima era che esso non
permetteva di assicurare l’esistenza di molti insiemi fondamentali per
la teoria del transfinito. Nello specifico, erano ammessi troppi pochi
cardinali e ordinali transfiniti. La soluzione trovata dai fondatori della
teoria fu dunque quella di annettere un altro assioma che permettesse
di creare infiniti insiemi partendo dagli insiemi la cui non
problematicità era già stata dimostrata. Infatti, se x è un insieme e ogni
suo elemento viene rimpiazzato con una cosa del dominio D, allora x
trapassa ancora in un insieme, e così all’infinito.
A8 o di rimpiazzamento: se M è un insieme e f una funzione,
allora esiste un insieme M’ di tutti e solo i valori di f su M, di tutti e
soli cioè gli f(x) per x M.
La seconda ragione per cui il sistema fu accusato di eccessiva
debolezza è diametralmente opposta alla prima. La ragione infatti è
30 Il ragionamento è il seguente: se x è un insieme variabile, sono funzioni di x ogni
insieme costante, ogni insieme coppia in cui x intervenga come elemento, l’insieme
potenza di x, l’insieme riunione di x e ogni funzione di x. Siano (x) e (x) due
funzioni di x, ° sia una delle operazioni =, , , . Siano poi M e N due insiemi tali
che N contenga tutti e soli quegli elementi y di M per cui vale (x) ° (x); allora N è
detto l’insieme isolato da ° in M e si scrive N=M ° . Si riformula dunque l’A3 o
di isolamento: per ogni insieme M e date due funzioni di x, e , esiste un insieme
di isolamento M ° .
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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che esso non permette di assicurare la non esistenza di insiemi non
desiderabili, come quelli al cui interno esiste una catena infinita di
insiemi legati dalla relazione di appartenenza. Fraenkel tentò diverse
soluzioni, ma la categoricità dell’ampia e generale teoria degli insiemi
pare destinata a rimanere irrealizzabile. È tuttavia possibile attraverso
opportuni assiomi escludere gli insiemi indesiderabili finora
riconosciuti. A questo scopo, Zermelo formulò nel 1930 un nuovo
assioma:
A9 o di fondazione: ogni insieme non vuoto x contiene un
elemento y che non ha con x alcun elemento in comune.
Infine, la piattaforma ontologica del sistema zermeliano fu ritenuta
eccessivamente ampia ed eterogenea, in quanto essa consente di
dedurre dagli assiomi l’esistenza di oggetti che non sono né
matematici né concettuali. L’ammissione nel dominio di oggetti che
non sono insiemi è dovuta alla non categoricità della teoria. Una
soluzione possibile quindi è quella di trattare gli enti singolarmente,
seguendo una strategia affine a quella di cui i due matematici si sono
serviti per gli insiemi straordinari. La caratteristica fondamentale delle
sostanze individuali dalla quale è possibile generare insiemi è la loro
atomicità. Questi enti cioè non hanno elementi, così come non ne ha
l’insieme vuoto. Ampliando la validità dell’assioma di estensionalità,
dai soli insiemi a ogni altro ente, si esclude qualsiasi altra sostanza:
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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A1* o di determinatezza (estensionalità): se due cose sono tali
che ogni cosa che è elemento della prima è anche elemento della
seconda, allora le due cose sono uguali.
È interessante notare che adottare questa soluzione equivale ad
ammettere che l’intera descrizione razionale dell’universo possa
effettuarsi senza materiale di partenza, purché si accetti l’idea che non
si dispone di alcun materiale di partenza.
Riepilogando, gli assiomi di Zermelo arricchiti dagli apporti di
Fraenkel e Skolem e scritti nel linguaggio della logica del primo
ordine quantificata si presentano nel seguente modo:
ZF1 o di estensionalità: z(zxzy) x = y
ZF2 o dell’insieme coppia: x = y zw(wzw = x w = y)
ZF3 o dell’insieme riunione: y(yx)zw(wz u(wu
ux)
ZF4 o dell’insieme potenza: yz(zy w(wz wx))
ZF5 o schema di assiomi di isolamento: ogni espressione della
forma yz(zy zx a(z)) è un assioma se a non contiene la
variabile y libera.
ZF6 o di scelta: yz((yx zx y = z) (w(wy)
w(wy wz) uy(yx wv(v = w vu uy))
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76
ZF7 o dell’infinito: z(x(y yx xz) xy ((xz w
(wy w = x)) yz))
ZF8 o schema di assiomi di rimpiazzamento: espressioni della
forma yzw (a(y,z) a(y,w) z = w) uz (zu y (yx
a(y,z)) sono assiomi se a non contiene la variabile y libera.
ZF9 o di fondazione: y(yx) z(zx w(wz wz)
L’assiomatizzazione di Zermelo-Fraenkel fu seguita da numerosi
altri modelli assiomatici sulla teoria degli insiemi. In particolare, vi si
cimento il matematico ungherese, naturalizzato statunitense, John Von
Neumann31
, nel tentativo di trovare una strategia che permettesse di
evitare le antinomie. Egli riteneva che le antinomie dovute alla
molteplicità fossero causate dall’assunzione che ogni insieme possa
entrare a far parte di altri insiemi. Tale assunzione è chiamata carattere
sostanziale primario. Von Neumann dunque opera una distinzione tra
due tipi di aggregati: quelli che godono del carattere sono insiemi,
mentre quelli che non ne godono sono classi. Detto ciò, il matematico
assegna all’insieme lo statuto di oggetto matematico, mentre a lla
classe lo statuto di estensione di un predicato. Questa operazione
permette di teorizzare i concetti di oggetto matematico e di estensione
di un predicato, al fine di distinguere tra molteplicità assolutamente
infinite o inconsistenti e molteplicità consistenti. Se le prime infatti
31
VON NEUMANN, JOHN, An Axiomatization of Set Theory, reperibile in inglese in
VAN HEIJENOORT, JEAN, From Frege to Gödel: A Source Book in Mathematical
Logic, 1879-1931, Harvard University Press, 1967.
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hanno elementi che portano a una contraddizione e non rientrano
quindi nell’assiomatizzazione della teoria degli insiemi, le seconde
sono innocenti e costituiscono il terreno adatto a costruire oggetti
matematici.
Oltre a ciò, Von Neumann definisce i concetti astratti di insieme e
di funzione: partendo dal concetto di insieme, introduce il concetto di
relazione e, come caso speciale di quest’ultimo, il concetto di
funzione; viceversa, dal concetto di funzione, introduce il concetto di
funzione caratteristica, il cui scopo è determinare un insieme.
Von Neumann impone dunque due domini distinti A e F:
argomenti, a cui assegna il tipo 1, e funzioni, a cui assegna il tipo 2. I
due domini condividono l’estensione delle funzioni-argomento,
funzioni che sono a loro volta argomento di altre funzioni. A esse
viene assegnato il tipo 1-2. Tra gli argomenti hanno particolare
importanza a e b, che corrispondono a vero e falso. Detto ciò, si può
concludere che le classi sono quelle funzioni i cui argomenti sono
soltanto a o b, cioè vero e falso, mentre gli insiemi sono le classi che
sono funzioni-argomento.
Poste tali premesse, Von Neumann può dettare la sua
assiomatizzazione. Essa si compone di assiomi ripartiti in 5 gruppi:
Primo gruppo o introduttivi: garantisce l’esistenza di a e b e
precisa le condizioni di significanza delle due operazioni primitive
fondamentali. Queste sono l’applicazione di una funzione f a un
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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78
argomento x e l’accoppiamento ordinato degli argomenti x e y. Chiude
il gruppo l’assioma di estensionalità.
1. a e b sono cose di tipo 1;
2. [x, y] ha senso se e solo se x è una cosa di tipo 2 e y è una
cosa di tipo 1; essa stessa è una cosa di tipo 1;
3. <x, y> ha senso se e solo se sia x sia y sono di tipo 1; essa
stessa è una cosa di tipo 1;
4. f e g siano cose di tipo 2. Se per ogni cosa x di tipo 1 vale [f,
x] = [g, x], allora f = g.
Secondo gruppo o aritmetici di costruzione: assicurano la
chiusura dell’universo del discorso rispetto a certi elementari processi
combinatori sia matematici sia logici. Inoltre, affermano l’esistenza di
certe funzioni elementari come l’identità, le funzioni costanti
corrispondenti a ogni argomento, la decomposizione, l’applicazione,
l’accoppiamento e la moltiplicazione funzionale.
1. Esiste una cosa f di tipo 2 tale che [f, x] = x vale sempre;
2. u sia una cosa di tipo 1. Allora esiste una cosa f di tipo 2 tale
che [f, x] = u vale sempre;
3. Esiste una cosa f di tipo 2 per cui [f <x, y>] = x vale sempre;
4. Esiste una cosa f di tipo 2 per cui [f <x, y>] = y vale sempre;
5. Esiste una cosa f di tipo 2 per cui se x è una cosa di tipo 1-2,
[f <x, y>] = [x, y] vale sempre;
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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79
6. f e g siano cose di tipo 2. Esiste allora una cosa h di tipo 2 per
cui <h, x> = < [f, x], [g, x]> vale sempre;
7. f e g siano cose di tipo 2. Esiste allora una cosa h di tipo 2 per
cui [h, x] = [f [g, x] ] vale sempre;
Terzo gruppo o logici di costruzione: assicurano l’esistenza della
funzione corrispondente al predicato logico dell’identità, la chiusura
del sistema rispetto alle definizioni di funzioni-predicati mediante
quantificazione e rispetto alle definizioni di funzione mediante
esplicitazione di predicati univoci in una certa sede.
1. Esiste una cosa f di tipo 2 tale che x = y è equivalente a [f <x,
y>] a;
2. f sia una cosa di tipo 2. Esiste allora una cosa g di tipo 2 tale
che [g, x] a vale se e solo se per ogni y vale [f <x, y>] = a;
3. f sia una cosa di tipo 2. Esiste allora una cosa g di tipo 2 tale
che per ogni x, quando un unico y vale [f <x, y>] a, [g, x] = y.
Quarto gruppo o delle cose di tipo 1-2: il primo precisa quali
argomenti siano anche funzioni, mentre il secondo dice quali funzioni
siano argomenti. Il secondo ha un’importanza fondamentale, in quanto
mira a evitare che funzioni troppo grandi siano anche argomenti,
proteggendo quindi il sistema dalle antinomie. Il secondo assioma di
questo gruppo dunque afferma che ragione necessaria e sufficiente
affinché una classe sia un insieme è che essa risulti rappresentabile
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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80
sulla classe totale. Inoltre, sempre il secondo assioma è adatto a
svolgere il ruolo svolto, nel sistema di Zermelo-Fraenkel, dagli
assiomi di rimpiazzamento, dell’isolamento e della scelta.
1. esiste una cosa f di tipo 2 tale che una cosa x di tipo 1 è una
cosa di tipo 1-2 se e solo se [f, x] a;
2. una cosa f di tipo 2 non è una cosa di tipo 1-2 sse esiste una
cosa g di tipo 2 tale che per ogni cosa x di tipo 1 esiste una cosa y di
tipo 1 per cui valgono sia [f, y] a sia [g, y] = x.
Quinto gruppo o dell’infinito: è costituito da tre assiomi, ma solo
il primo è un vero assioma dell’infinito, mentre gli altri sono
adattamenti dell’insieme riunione e dell’insieme potenza. È necessario
introdurre questo gruppo esclusivamente ai fini della costruzione della
teoria del transfinito.
1. Esiste una cosa f di tipo 1-2 con le proprietà: esistono cose x
di tipo 1-2 per cui x f; se per una cosa x di tipo 1-2 vale x f, allora
esiste una cosa y di tipo 1-2 per cui y f e x < y valgono;
2. f sia una cosa di tipo 1-2. Esiste allora anche una cosa g di
tipo 1-2 per cui da x y e y f, dove anche y è una cosa di tipo 1-2,
segue che x g;
3. f sia una cosa di tipo 1-2. Esiste allora anche una cosa g di
tipo 1-2 tale che se per una cosa x di tipo 1-2 vale x f allora esiste
una cosa y di tipo 1-2 per cui valgono x y e y g.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
81
Al fine di contenere l’eccessiva liberalità del sistema, Von
Neumann aggiunge un sesto gruppo.
Sesto gruppo: esso opera escludendo l’esistenza di elementi
primitivi, fissando l’interpretazione di a e b, identificati con la classe
vuota (a) e la classe unità della classe vuota (b) e fissando
l’interpretazione di <x,y> con il sistema di insiemi x e y di
Kuratowski32
. Infine, fonda ogni classe.
1. Tutte le cose di tipo 1 sono anche cose di tipo 1-2;
2. Vale a = e b =();
3. Vale <u,v> = ((u,v), (u));
4. Non esiste alcuna cosa z di tipo 2 con z 0 tale che per ogni x
per cui valga x f, esiste un y f per cui y x e y b (dove y x sta
per y è un predecessore di x).
L’elemento distintivo del sistema di Von Neumann in conclusione
è la distinzione tra esistenza e sostanzialità degli universali. Gli
universali infatti esistono in corrispondenza a una molteplicità
determinata ma non sempre possono essere a loro volta elementi di
una molteplicità. Questo significa che non ogni insieme è una
sostanza. Inoltre, l’assiomatizzazione di Von Neumann si distingue
32
KURATOWSKI, KAZIMIERZ, A Half Century of Polish Mathematics: Remebrances
and Reflections, Oxford Pergamon Press, 1980.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
82
per l’assunzione del concetto di funzione quale concetto basilare di
tutta la matematica, in luogo di quello tradizionale di insieme.
Oltre ai sistemi assiomatici di Zermelo-Fraenkel e di Von
Neumann, vanno ricordati quelli formulati da Paul Bernays33
, da Kurt
Gödel34
e da Willard Van Orman Quine35
. Questi sistemi, pur
presentando elementi di originalità, sono sostanzialmente riconducibili
ai modelli di Zermelo-Fraenkel e di Von Neumann. La ragione è che il
sistema di Von Neumann riesce a superare molte delle difficoltà
dell’assiomatizzazione di Zermelo-Fraenkel, rendendo la sua teoria
sufficientemente completa e innocente. La distinzione neumanniana
tra insieme e classe, cioè ente definito da una condizione ma non
necessariamente costituente un insieme, è in grado di garantire che
non tutte le classi siano elementi di altre classi. Tale strategia porta a
evitare le antinomie riscontrate nel sistema di Zermelo-Fraenkel.
Si può concludere affermando che i sistemi assiomatici della teoria
degli insiemi che sono stati formulati consentono di ricostruire
praticamente tutta la matematica conosciuta, ma non sembra che
consentano di ricostruire le antinomie conosciute.
33
BERNAYS, PAUL, Axiomatic Set Theory, Dover Publications, 1991.
34 GÖDEL, KURT, The Consistency of the Axiom of Choice and of the Generalized
Continuum Hypothesis with the Axioms of Set Theory, Princeton University Press,
Princeton 1940.
35 QUINE, WILLARD VAN ORMAN, New Foundations for Mathematical Logic,
American Mathematics Monthly numero 44, 1937, incorporato in QUINE, WILLARD
VAN ORMAN, From a Logical Point of View, Harvard University Press, Cambridge
1953.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
83
4. LA TEORIA DEI TIPI
I sistemi assiomatici degli insiemi dunque operano sulla natura
delle molteplicità autorizzate a creare insiemi, per quanto riguarda la
teoria di Zermelo-Fraenkel, e sull’ammissione che ogni insieme sia
una sostanza, nel caso dell’assiomatizzazione di Von Neumann. Come
è stato anticipato nel capitolo relativo ai paradossi della teoria degli
insiemi però, il filosofo Bertrand Russell riteneva che la limitazione
dovesse intervenire sulla natura delle sostanze che sono elementi nella
molteplicità. La radice delle antinomie risiederebbe cioè
nell’ammissione dell’esistenza dell’universale corrispondente a
molteplicità disomogenee. Russell prese le mosse da queste basi
concettuali per edificare la sua teoria dei tipi36
.
Russell dunque realizzò il suo modello insiemistico su una data
quantità di individui e su tutte le successive potenze di questi. Egli
ipotizzò che gli individui di partenza fossero infiniti, tramite la
formulazione del principio dell’infinito. Tale principio afferma che
esistono infinite sostanze individuali e ognuna di esse ha il tipo 0. A
ogni tipo corrisponde una successione finita crescente di numeri
naturali che comincia con 0. La composizione dei singoli insiemi
avviene all’interno di ogni tipo, condizione garantita dal principio di
36
RUSSELL, BERTRAND, WHITEHEAD, ALFRED NORTH, Principia mathematica,
Cambridge University Press, Cambridge, 1913. Si veda anche RUSSELL, BERTRAND,
Mathematical Logic as based on the Theory of Types, American Journal of
Mathematics, numero 30, 1908.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
84
comprensione. In accordo a questo principio infatti, se x è una certa
molteplicità di sostanze di tipo i, allora esiste un universale
corrispondente, tale cioè che i suoi elementi siano tutte quelle sostanze
i che appartengono a x. A questo universale è assegnato il tipo i+1.
Infine, gli insiemi dovranno venir ancora considerati
estensionalmente, come espresso dal principio di estensionalità, per
cui un universale è univocamente determinato dai suoi elementi.
In poche parole dunque, una volta assunta l’esistenza di oggetti non
rappresentabili nella teoria degli insiemi, è possibile avvalersene nel
ruolo di individui elementi di un insieme. Tutti i sottoinsiemi di questo
insieme costituiscono dunque un insieme che varrà come il primo tipo
di insiemi. I sottoinsiemi del primo tipo di insiemi costituiscono il
secondo tipo di insiemi. Riferendosi a tutti gli insiemi s’intende quindi
riferirsi ai sottoinsiemi di un certo tipo, poiché elementi di un insieme
possono essere o individui o insiemi di un certo tipo.
È proprio questa gerarchizzazione a mettere il sistema di Russell al
riparo dall’antinomia scoperta da lui stesso e da quella dovuta a
Burali-Forti.
I principi formulati da Russell però sono evidentemente più deboli
di quelli di Cantor. Se infatti il principio di estensionalità rimane
intatto, il principio di comprensione subisce un notevole
ridimensionamento. L’elemento problematico è soprattutto che tale
ridimensionamento impedisce di dimostrare l’esistenza di un insieme
infinito. Immaginiamo di considerare un certo ente e. La successione
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
85
degli insiemi (e), ((e)), (((e))), eccetera è infinita, così come
l’universale corrispondente alla proprietà di appartenere a questo
insieme. Nella teoria dei tipi però tale successione è considerata
illegittima, in quanto non si presenta come omogenea dal punto di
vista della gerarchia dei tipi. Per questa ragione, è necessario postulare
l’esistenza di infiniti individui.
Un ulteriore complicazione deriva dal fatto che un sistema formale
per la teoria dei tipi è più complesso e necessità di un maggior numero
di simboli, in quanto deve saper esprimere le operazioni logiche, i
quantificatori e le sostanze dei diversi tipi.
In conclusione quindi la teoria dei tipi non è convincente. Inoltre, si
rivela decisamente poco economica, in quanto richiede l’introduzione
di un certo numero di simboli per ogni tipo ammesso dalla teoria.
Russell provò a sviluppare ulteriormente tale teoria, proponendone
una versione a tipi ramificati. Il presupposto di tale versione è quello
di avere a disposizione una certa totalità infinita di enti. La teoria
ramificata assegna dunque il tipo 0 a tali enti, a partire dai quali
definisce una serie di classi di enti, ai quali assegna il tipo 0,1. A
questo punto, a ogni classe di enti di tipo 0 viene assegnato il tipo 0,2,
mentre a ogni classe di enti di tipo 0,1 si assegna il tipo 0,1,2.
All’interno di questa gerarchizzazione ramificata ogni classe di tipo
0,1 costituisce il primo ordine, mentre ogni classe di tipo 0,2
costituisce il secondo ordine e via costruendo. Per fare un esempio,
prendiamo una classe del tipo 0,2,6,8. Si tratta di una classe
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
86
dell’ottavo ordine, definita riferendosi a una totalità del settimo
ordine. I suoi elementi saranno quelle classi del sesto ordine definibili
mediante riferimento ad almeno una totalità di classe del quinto
ordine, i cui elementi sono classi di tipo 0,2, definibili mediante
riferimento a una totalità di primo ordine.
Assegnare il tipo in questo modo permette come si vede di
comprendere sia qual è il grado di complessità insiemistica della
classe attraverso l’ordinamento dei tipi, sia qual è il grado di
complessità concettuale involto dalla classe, dai suoi elementi, dagli
elementi dei suoi elementi. L’ordinamento degli ordini infatti rende
possibile risalire a queste informazioni.
La versione ramificata è inoltre arricchita dalla formulazione
dell’assioma di riducibilità, il cui compito è ridurre l’ordine di una
classe al minimo compatibile con l’ordine dei suoi argomenti. Sono
necessarie alcune precisazioni. Innanzitutto, per la teoria ramificata un
tipo il cui ultimo numero è il successore aritmetico del suo penultimo
numero si dice predicativo. Inoltre, ogni classe di enti di un
determinato tipo è equiestensiva a una classe predicativa degli stessi
elementi. Ecco che allora ciò che l’assioma afferma è l’esistenza, per
ogni classe, di una classe predicativa avente gli stessi elementi. Queste
due classi però non sono identiche, ma coestensive, poiché l’assioma
di estensionalità della teoria ramificata postula la coincidenza di classi
equiestensive solo se appartengono allo stesso tipo. Operando in tal
modo, l’assioma di riducibilità elimina ogni differenza pratica tra
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
87
teoria semplice e teoria ramificata, che distinguono quindi solo
notazionalmente.
Il carattere costruttivista e concettualista della teoria dei tipi
ramificati però, insieme con le rinunce a cui richiedeva di far fronte,
furono avvertite con disagio da Russell, il cui atteggiamento era e
rimase sostanzialmente platonista. Inoltre, l’assioma di riducibilità, se
da un verso permette la soluzione di problematiche altrimenti letali per
la teoria, rilegittima certi processi definitori impredicativi, che
rendono la teoria vulnerabile a critiche insidiose.
5. LA TEORIA PREDICATIVISTA DI WEYL
In alternativa alla teoria dei tipi è possibile rivolgersi ad altri
sistemi di matematica predicativista. Il più famoso ed efficace di
questi sistemi è quello formulato dal matematico tedesco Hermann
Weyl. Egli pubblicò nel 1918 un’opera dal titolo Das Kontinuum37
,
nella quale sono esposti i risultati che raggiunse indipendentemente,
ma che costituiscono una valida opzione alle precedenti teorie degli
insiemi.
In particolare, ciò che suscita maggiore interesse nel lavoro
weyliano è il metodo di costruzione dell’ambito operativo e dei
37
Disponibile nella traduzione inglese: WEYL, HERMANN, The continuum: a critical
examination of the foundation of analysis, Dover books on advanced mathematics,
New York 1964.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
88
processi che intervengono nella costruzione di assiomi ed entità
matematiche. Per questa ragione, mi limiterò a esporre il processo
generativo ideato da Weyl, trascurando il sistema assiomatico, anche
perché non presenta rilevanti differenze rispetto ai sistemi già
analizzati.
Alla base della teoria presentata nel Kontinuum dunque vi è un
ambito operativo costituito da un dato numero di categorie
fondamentali di enti. Tali enti possiedono determinate proprietà o
relazioni primitive. L’edificio teorico si costruisce quindi applicando a
tali enti processi generativi di tipo logico e di tipo matematico. I
processi di tipo logico sono le definizioni combinatorie, le quali
generano relazioni derivate a partire da proprietà e relazioni primitive
riferite a enti appartenenti a categorie iniziali. La generazione delle
relazioni derivate avviene attraverso la reiterazione di processi quali la
negazione, la congiunzione, la disgiunzione, le due quantificazioni,
esistenziale e universale, l’identificazione di sedi libere e il
riempimento di tali sedi con l’inserimento di un individuo. I processi
di tipo matematico invece sono le definizioni creative, le quali
generano nuove entità ideali a partire da proprietà e relazioni iniziali e
derivate.
Questi processi agiscono sulla base operativa nel seguente modo.
Innanzitutto, si applicano i processi logici che generano le relazioni
derivate. Applicando alle relazioni derivate ottenute il processo
matematico, si generano gli insiemi corrispondenti a queste relazioni.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
89
Le nuove entità ideali vengono a questo punto classificate in nuove
categorie. Le relazioni e le proprietà primitive e derivate e le nuove
entità sono dette di 1° ordine o gradino. Applicando il processo logico
alle relazioni, alle proprietà e agli enti di 1° gradino, si ottengono
relazioni, proprietà ed enti di 2° gradino.
Il processo generativo dunque funziona nel seguente modo. A
partire da enti che appartengono a categorie iniziali, si ottengono
proprietà e relazioni riferite agli enti tramite il processo generativo. Da
queste proprietà e relazioni, si ottengono proprietà e relazioni derivate.
Successivamente, si generano gli insiemi corrispondenti alle relazioni
derivate. Tali insiemi corrispondono a nuove entità ideali che
appartengono a nuove categorie. Si generano dunque nuove proprietà
e relazioni riferite a nuove entità, dalle quali si generano proprietà e
relazioni derivate e via dicendo.
Questo processo prende il nome di processo allargato. Accanto a
tale processo interviene il processo limitato, che si ottiene dal
processo allargato applicando la quantificazione esistenziale e il
riempimento di una sede libera con un individuo solo a categorie
primitive. In termini pratici, questo significa che è possibile
quantificare solo le variabili dell’ordine zero, cioè gli individui.
Weyl introduce inoltre la distinzione tra simboli predicativi e
simboli insiemistici. Se i primi infatti costituiscono predicati a partire
da predicati, i secondi costituiscono enti a partire da predicati.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
90
Tutto il processo weyliano è volto al fine di assicurare una rapida
controllabilità intuitiva dell’ambito esaminato per il problema
dell’ammissione di certi strumenti logici e matematici. La creazione di
enti quindi si muove all’interno di un atteggiamento costruttivista
senza dubbio coerente. Ciò che invece lascia sorgere perplessità è
l’appello continuo e indiscriminato a molteplicità sempre più
complesse e il più delle volte sconosciute. Inoltre, la tendenza a
formulare a priori un quadro massimale dei possibili riferimenti della
teoria, può intaccarne la validità. Ciò che senza dubbio conserva
ragionevolezza e affidabilità è il metodo di costruzione della base
operativa. La sua continua controllabilità infatti sta a garanzia della
non problematicità quanto meno degli individui che sono manipolati
dalla teoria. Questo aspetto non è assolutamente da sottovalutare, in
quanto permette di avvalersi di solidi elementi e così di evitare le
antinomie conosciute. In aggiunta, si noti che l’analisi approfondita
dei processi logici e matematici che intervengono sugli individui è una
promessa di validità anche per ciò che può essere costruito mediante
la loro applicazione.
6. PER UN BILANCIO DELLA TEORIA DEGLI INSIEMI
Nelle pagine precedenti si ritrovano le formulazioni più originali e
complete della teoria degli insiemi. Sicuramente, l’idea che vi è alla
base dunque apre spunti di grande interesse e offre un paradigma
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
91
adeguato per la discussione delle questioni matematiche. Ciò che
concerne lo scopo di questo lavoro però non è tanto lo sviluppo
dell’apparato concettuale logico e matematico. Preme piuttosto
individuare che tipo di essere sia possibile assegnare alle entità che
entrano in gioco nella teoria degli insiemi. Da questo punto di vista
dunque si distinguono due atteggiamenti interni alle teorie che sono
state presentate. Nei sistemi di Zermelo-Fraenkel e di Von Neumann
infatti le entità elementari da cui si formano insiemi sono date, nel
senso che non vi è alcuno sforzo di giustificazione della loro esistenza.
Nelle teorie predicativiste invece esse vengono costruite attraverso
processi successivi. È evidente dunque che in una prospettiva
filosofica, vi è maggior riguardo per una concezione matematica che
richiede di impegnarsi su un certo numero di enti costruiti attraverso
operazioni sempre controllabili, piuttosto che per una concezione che
ammette l’esistenza di infinite sostanza, ben prima di definire a che
tipo esse appartengano.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
92
CAPITOLO QUARTO
FASCI DI TROPI COME INSIEMI DI
ELEMENTI
1. LE PROPRIETÀ SONO GLI ELEMENTI
COSTITUTIVI DELL’ESSERE: ELEMENTI E TROPI
Come abbiamo visto, la teoria degli insiemi ha vissuto numerosi
sviluppi e subito notevoli modifiche. Si può addirittura parlare di
teorie degli insiemi, per quanto sono originali le prospettive formulate
a partire dal Über eine Eigenschaft des Inbegriffes aller reellen
algebraischen Zahlen di Cantor. È proprio la fedeltà ai principi
formulati da Cantor all’atto di nascita di tale sistema ciò che fa
confluire queste diverse teorie matematiche sotto il nome di teoria
degli insiemi. Per questa ragione, ritengo sia sufficiente provare la
conciliabilità di tali principi all’interno della teoria dei tropi, per
verificare se tale teoria possa essere utilizzata coerentemente con
l’adozione di una metafisica dei tropi.
Prima però di osservare il funzionamento dei principi, è necessario
analizzare il dominio su cui opera la teoria degli insiemi e quindi il
concetto di insieme e gli elementi ritenuti fondamentali e adottati dalle
diverse teorie. Per Cantor l’insieme è la riunione di un tutto di oggetti
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
93
che appartengono all’intuizione o al pensiero. Zermelo poi definisce
l’insieme come quell’oggetto astratto che possiede almeno un
elemento e gli assegna il ruolo di elemento primitivo della teoria.
Russell presuppone un’infinita quantità di oggetti individuali, a partire
dai quali è possibile costruire gli insiemi, mentre Weyl postula un dato
numero di categorie fondamentali di enti in possesso di proprietà e
relazioni primitive.
Dato il dominio, si sviluppano i cardini sui quali sono fondate sia la
teoria ingenua degli insiemi sia tutte le successive raffinazioni. Il
primo è il cosiddetto principio di comprensione. Si ricordi che tale
principio afferma che, data una qualunque proprietà, esiste sempre
l’insieme di tutti e soli gli oggetti che godono di quella proprietà. È
proprio questo principio a causare l’antinomia scoperta da Russell.
Infatti, nonostante l’atteggiamento fondazionale di tale affermazione,
essa è incompleta e ambigua. La ragione è che un concetto siffatto non
fornisce un criterio che discrimini le proprietà e definisca quali siano
adatte a formare un insieme e quali non lo siano. Molti degli sforzi dei
successivi pensatori che si sono occupati di teoria degli insiemi infatti
sono stati volti proprio a fornire una limitazione per tale principio.
Il secondo cardine della teoria degli insiemi è il principio di
estensionalità, che impone che due insiemi che hanno gli stessi
elementi siano uguali. Non sono dunque rilevanti né l’ordine in cui si
presentano gli elementi, né il modo attraverso cui gli elementi
caratterizzano gli insiemi. Una delle conseguenze di tale principio è
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
94
che non è possibile costituire due insiemi diversi a partire dagli stessi
elementi. È interessante notare che questo principio determina
l’unicità dell’insieme vuoto. Questo perché, naturalmente, se un
insieme è univocamente determinato dai suoi elementi, e se due
principi che contano gli stessi elementi sono identici, allora l’insieme
determinato da nessun elemento è solamente uno.
Infine, Cantor assegnò al concetto di insieme la capacità di godere
di proprietà e ne sancì l’indipendenza dal linguaggio e dalla
caratterizzazione e comprensione dell’uomo. Ciò significa che insiemi
e elementi esistono, godono di determinate proprietà e intrecciano
relazioni particolari indipendentemente dall’attività del matematico o
del filosofo.
Chiariti i principi alla base della teoria degli insiemi, resta da
vedere se questi siano conciliabili con la teoria dei tropi. Innanzitutto,
la teoria dei tropi ammette l’esistenza di infiniti enti astratti e
particolari. A tali enti viene assegnato un tipo ontologico
assolutamente conciliabile dunque con quello assegnato dalla teoria
degli insiemi agli elementi. Gli elementi infatti, oltre che infiniti e
particolari, devono essere anche semplici, ovvero non ulteriormente
scomponibili. Anche i tropi sono infiniti, particolari e non
ulteriormente scomponibili. A prima vista quindi sembra accettabile
assegnare agli elementi lo statuto ontologico dei tropi semplici.
Vediamo ora come è possibile che tali elementi-tropi costituiscano
insiemi. Per il principio di comprensione, un insieme esiste in
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
95
corrispondenza a ogni agglomerato di elementi. Tale agglomerato si
forma grazie a una condizione. Poiché ogni agglomerato di tropi, o
meglio, ogni fascio di tropi, è un oggetto, si può ipotizzare che gli
elementi-tropi, aggregandosi, formino un insieme. C’è però qualcosa
di discordante. La teoria degli insiemi afferma che gli elementi
possono essere astratti o concreti, ma l’insieme che essi formano è
sempre un oggetto astratto. I tropi invece sono assolutamente ed
esclusivamente oggetti astratti, ma sono in grado di costituire sia
entità concrete, come gli oggetti materiali, sia entità astratte, come gli
universali. Una soluzione possibile è quella di definire gli elementi
astratti come tropi e gli elementi concreti come aggregati di tropi, cioè
enti astratti che, organizzatisi in fasci, compongono oggetti concreti.
Gli insiemi invece saranno solo oggetti astratti, i cui elementi
potranno essere o tropi oppure oggetti concreti, costituiti a loro volta
da tropi.
Vi è un secondo elemento discordante. Per il principio di
estensionalità infatti, gli elementi determinano l’insieme ma non lo
caratterizzano. Sembra invece che i tropi caratterizzino eccome
l’oggetto concreto che costituiscono. In realtà, credo che sia solo una
caratterizzazione apparente. I tropi infatti non compiono nessuna
azione di caratterizzazione dell’oggetto a cui appartengono. L’oggetto
è caratterizzato dalla proprietà che i tropi manifestano, ma solo
«inconsapevolmente». Non c’è infatti nessun oggetto che i tropi
possono caratterizzare, non c’è una dicotomia tra sostanza da
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
96
informare e proprietà che la informa. Le proprietà dell’oggetto si
percepiscono grazie al fatto che i tropi corrispondenti alle proprietà
costituiscono il fascio che costituisce quell’oggetto.
A supporto di questa strategia si possono portare alcuni esempi.
Vediamone due. Consideriamo gli insiemi che si creano
dall’astrazione di una proprietà, come la proprietà di essere di colore
rosso o trovarsi nella porzione di spazio-tempo che corrisponde alla
mia stanza. È possibile creare dunque l’insieme di tutte le cose rosse
nella mia stanza, per il principio di comprensione. Tale insieme è
chiaramente un oggetto astratto ed è composto da elementi astratti: i
tropi di rosso che appartengono ai fasci degli oggetti concreti nella
mia stanza. Un insieme di questo tipo è definibile come un
sottoinsieme dell’entità astratta universale «rosso», cioè l’oggetto
astratto costituito da tutti i tropi del rosso.
Sono astratti anche gli insiemi che si formano definendo una
coordinata spazio-temporale. Ad esempio, è astratto l’insieme di tutti
gli oggetti che occupano la porzione di spazio-tempo coincidente con
la mia scrivania alle 16:32 del 29 aprile 2011. Tale insieme infatti non
occupa nessuna coordinata spazio-temporale, è un oggetto astratto
costruito dalla mente e si articola in un fascio che comprende i singoli
oggetti concreti sulla mia scrivania, oltre ai singoli oggetti astratti che
compongono i fasci a cui corrispondono tali oggetti concreti.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
97
Poste alcune condizioni dunque, sembra sia possibile conciliare il
dominio di individui richiesto dalla teoria degli insiemi e il principio
di comprensione con la metafisica dei tropi.
Anche il principio di estensionalità si rivela in accordo con la teoria
dei tropi. Come il lettore ricorderà, tale principio afferma che un
insieme è determinato univocamente dai suoi elementi,
indipendentemente dall’ordine. Per la teoria dei tropi, un oggetto è
determinato esclusivamente dai tropi che lo compongono,
invariabilmente dall’ordine. Approfondendo l’analisi, si trovano altri
punti in comune tra i due sistemi. Ad esempio, per la teoria dei tropi
due oggetti distinti non possono essere costituiti dagli stessi tropi, ma
un tropo può appartenere a due oggetti distinti. Per la teoria degli
insiemi, due insiemi distinti non possono essere costituiti dagli stessi
elementi, ma un elemento può appartenere a due insiemi distinti.
Infatti, un elemento che appartiene a due insiemi è, ad esempio, come
un tropo che appartiene all’insieme astratto del suo universale e
all’insieme concreto dell’oggetto che costituisce.
Infine, rimane da verificare se la teoria dei tropi consente di
rispettare la terza caratteristica assegnata al concetto di insieme da
Cantor e dai teorici degli insiemi in generale. Tale caratteristica è di
importanza fondamentale, poiché definisce proprio quali proprietà
ontologiche devono essere assegnate all’insieme. In accordo dunque
con la terza caratteristica, un insieme gode di sostanzialità nel duplice
aspetto di individualità e di assolutezza.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
98
Tale condizione necessita di alcuni chiarimenti. Per quanto
riguarda l’individualità, ciò che la suddetta caratteristica richiede è che
l’insieme abbia la capacità di godere di attributi. Come si è visto
precedentemente, l’oggetto astratto che è l’insieme gode
assolutamente di attributi. Non solo ne gode, ma ne è sostanzialmente
costituito. Un attributo infatti altro non è che una proprietà, cioè un
tropo. Anche in questo ambito, sembra che la teoria dei tropi possa
offrire un’ontologia che risponde alle caratteristiche richieste dai
teorici degli insiemi.
Per quanto riguarda invece l’assolutezza, si è visto che ciò che tale
caratteristica reclama per il concetto di insieme è la sua indipendenza
dal linguaggio e da ogni caratterizzazione dell’insieme, delle sue
proprietà e dei suoi elementi. Ebbene, i teorici dei tropi avanzano le
stesse richieste di indipendenza per la realtà. Essi infatti affermano
che la realtà si costituisce di tropi indipendentemente dall’esistenza di
esseri che pensino i tropi, che pensino la realtà in termini di tropi o
che attribuiscano alla realtà tale conformazione.
Dall’analisi portata avanti nelle pagine precedenti dunque, sembra
sia possibile assegnare alla teoria degli insiemi un’ontologia del tipo
proposto dai teorici dei tropi. La realtà che essi ipotizzano infatti è
costituita da individui ultimi, semplici e senza limitazioni quantitative.
Tali elementi dell’essere si aggregano e costituiscono entità diverse da
essi stessi non problematicamente. Anzi, proprio da tale aggregazione
si originano gli oggetti materiali e gli enti astratti che abitano il
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
99
mondo. Una realtà così caratterizzata costituisce terreno fertile per
l’applicazione della teoria degli insiemi. Mi sembra che la ragione
principale sia da ritrovarsi nel fatto che la teoria dei tropi non prevede
gerarchie tra le sostanze. Si tratta infatti di un paradigma ontologico
riduzionista, in quanto richiede che l’essere sia di un solo tipo. La
sostanza si costituisce di elementi semplici in grado di costruire
oggetti proprio come i mattoni costituiscono le mura.
Ecco allora che l’atteggiamento riduzionista e semplificatore della
teoria dei tropi mostra la propria forza ed efficacia, nella forma della
stupefacente adattabilità di tale teoria a un paradigma essenziale per
l’analisi delle entità matematiche come quello della teoria degli
insiemi.
Detto ciò, sarebbe scorretto negare che un passo fondamentale è
rimasto finora escluso da questo studio. L’analisi di tale passo è
oggetto del prossimo paragrafo.
2. IL PROBLEMA DELL’INSIEME VUOTO
Tra gli assiomi formulati dalle teorie assiomatiche degli insiemi, è
sempre annoverato l’assioma dell’insieme vuoto. Tale assioma ha la
funzione di affermare l’esistenza dell’insieme vuoto e di assegnargli la
proprietà di essere unico. Tra le sue caratteristiche inoltre vi è quella
di non avere sottoinsiemi diversi da esso stesso. Un ulteriore elemento
distintivo dell’insieme vuoto è che esso è sempre presente come
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
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sottoinsieme in ogni qualunque altro insieme. L’insieme vuoto viene
dunque utilizzato nello sviluppo della teoria degli insiemi per definire
gli altri insiemi finiti.
Per quanto ormai tale insieme sia stato accettato dalla comunità
matematica, esso desta ancora alcuni sospetti. Già intuitivamente
risulta difficile capire come sia possibile costruire un insieme, cioè
una collezione, senza contare elementi. L’insieme vuoto infatti,
secondo i teorici degli insiemi, pur non avendo elementi, è
assolutamente un insieme e non va dunque considerato come «nulla»
o «non essere». Esso si costituisce secondo i dettami del principio di
comprensione, con l’applicazione di una condizione che non viene
soddisfatta da nessun elemento, in quanto generalmente definisce
caratteri impossibili per definizione.
Decisamente più disarmante però è un altro tipo di considerazione.
A un’attenta analisi appare come l’insieme vuoto non rispetti le
definizioni basilari del concetto di insieme. Infatti, nella formulazione
di Cantor, l’insieme è la riunione di un tutto di oggetti. Nel caso
dell’insieme vuoto, la pretesa sarebbe quella di ammettere un tutto
privo di oggetti. Ancora, per Zermelo l’insieme è definito come
quell’oggetto astratto che possiede almeno un elemento. L’insieme
vuoto però per definizione non ha elementi. Com’è possibile dunque
che l’insieme vuoto sia un insieme? Sarà pure un entità, ma non
possiede elementi e dunque non è un insieme.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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101
Nonostante queste osservazioni, l’insieme vuoto è necessario per
ottenere e spiegare molti risultati della teoria degli insiemi che sono
stati dimostrati essere validi. Dunque, è necessario trovare una
soluzione che permetta di servirsi della teoria degli insiemi e
assegnarle un’ontologia, senza incorrere in contraddizioni.
3. QUATTRO POSSIBILI SOLUZIONI
Vi sono alcune opzioni, l’adozione di ciascuna delle quali deve
essere ponderata alla luce della sua validità, della sua coerenza e
dell’uso che si intende fare della teoria degli insiemi.
La prima opzione è quella di considerare non valida l’assunzione
dell’insieme vuoto, in quanto in contraddizione con la definizione di
insieme, ed eliminare senza indugi tale entità dall’assiomatizzazione.
Ci sono ovviamente delle conseguenze negative. Innanzitutto, la teoria
degli insiemi perderebbe così una delle sue più potenti armi di calcolo
e molti risultati non potrebbero essere dimostrati. Inoltre, non sarebbe
più possibile costruire alcuni insiemi finiti e non varrebbero più le
rappresentazioni dei numeri naturali che prendono spunto proprio
dall’insieme vuoto per generare la serie infinita dei numeri naturali38
.
38
Si tratta delle rappresentazioni proposte da Gottlob Frege e Bertrand Russell, ma
anche da John Von Neumann. Frege e Russell sostenevano che ciascun numero
naturale n dovesse essere identificato con l’insieme degli insiemi contenenti n
elementi. Von Neumann suggeriva invece di identificare n con un particolare
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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102
Tuttavia, vi sono anche conseguenze positive: la teoria degli insiemi
acquisterebbe in coerenza e assegnarle un’ontologia si rivelerebbe
forse un compito più semplice ed economico. Da un punto di vista
ontologico infatti l’insieme vuoto è assolutamente sospetto per
l’indefinitezza della sua natura, causata dalla peculiarità di essere un
insieme ma non avere elementi. Uno degli assiomi del sistema, da una
parte, definisce indubbiamente l’insieme vuoto come appunto un
insieme. Dall’altra parte, l’assioma afferma che tale insieme non
possiede elementi. Non è chiaro dunque che tipo di entità gli vada
assegnata, se quella dell’insieme, rispettando quindi l’assioma
dell’insieme vuoto, o quella dell’elemento, in accordo invece con la
definizione del concetto di insieme. Si potrebbe considerare l’insieme
vuoto invece come un elemento fisso di ogni insieme, una sorta di
«elemento zero», servendosene solo sotto questo aspetto e per quanto
possibile.
La seconda opzione è quella di accettare l’assioma dell’insieme
vuoto, senza però far veramente corrispondere all’entità «insieme
vuoto» un qualche oggetto della teoria. L’insieme vuoto dunque
potrebbe essere semplicemente un oggetto fittizio, introdotto
unicamente in quanto utile strumento per il calcolo. Questa soluzione
è apparentemente la più semplice ed efficace, ma sembra riflettere un
atteggiamento semplicista piuttosto che semplificatore. Inoltre,
affermare che l’insieme vuoto non esiste e non ha significato, ma è un
insieme contenente n elementi e precisamente con l’insieme dei numeri naturali
minori di n, cioè i numeri da 0 a n-1. Tale insieme perciò ha n elementi.
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concetto utile e perciò viene introdotto, è espressione di confusione.
Così argomentando infatti non si prende una vera posizione
sull’argomento. Sembra piuttosto che l’insieme vuoto sia assunto, ma
non sia assunto del tutto.
Dal punto di vista dell’analisi ontologica, cedere una simile
ammissione parziale è una grave complicanza, in quanto comporta
l’assunzione di diversi modi di esistenza per gli enti, i quali quindi
parteciperebbero all’essere in gradazioni diverse. A onore del vero va
detto però che questa seconda soluzione, pur complicando
orrendamente le cose dal punto di vista ontologico, le rende piuttosto
semplici dal punto di vista matematico. Può quindi essere adottata da
una ricerca sulla teoria degli insiemi che si disinteressi della sua
componente ontologica. Alla luce del fatto che questa tesi mira
proprio a fornire una spiegazione ontologica della teoria degli insiemi,
è evidente che una soluzione di questo tipo non è adatta allo scopo.
Le due soluzioni proposte fino a questo punto sono di carattere
principalmente matematico. In esse, l’analisi ontologica interviene a
posteriori, cercando di adeguarsi alle strategie adottate dalla
matematica. Poiché però stabilire se un certo ente è esistente o meno
è una questione squisitamente ontologica, proprio l’ontologia è in
grado di offrire delle soluzioni interessanti per il problema
dell’insieme vuoto.
La prima soluzione ontologica che mi sento di avanzare si basa sul
fatto logico secondo cui esistono proprietà autocontraddittorie, che si
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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possono pensare agevolmente ma che non si possono predicare di
alcun ente. Simili proprietà sono ad esempio la proprietà «essere
diverso da se stesso», oppure la proprietà «godere di un attributo e
contemporaneamente godere anche dell’attributo contrario», oppure
ancora «essere un numero primo pari diverso da 2», o ancora «essere
un numero dispari divisibile per 4». Tali proprietà possono, in accordo
con il principio di comprensione, generare insiemi. Tali insiemi però
non possono possedere elementi perché, per soddisfare la condizione
definente l’insieme, essi dovrebbero essere enti autocontraddittori. È
evidente come enti di questo tipo non possano esistere. Anche se
potessero esistere, la loro introduzione sarebbe un ulteriore
complicazione ontologica. Credo però che sia più semplicemente
possibile spiegare l’insieme vuoto come la porzione di spazio-tempo
resa vuota dai principi logici. Per chiarire tale idea, è utile un breve
esperimento mentale. Immagino di voler costruire l’insieme il cui
unico elemento è il numero naturale compreso tra 23 e 24. Percorro
allora la successione dei numeri naturali fino a incontrare il numero
23. Questo numero è separato dal numero 24 da un intervallo vuoto.
Posso immaginare dunque che l’insieme, ovviamente vuoto, che
contiene il numero naturale compreso tra 23 e 24 stia proprio in
quell’intervallo, «svuotato» dai criteri che determinano i numeri
naturali. L’inconciliabilità di tali criteri con la condizione definente
prerequisito dell’insieme dei numeri naturali tra 23 e 24, è la ragione
della non esistenza di elementi che soddisfino la condizione. Di
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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conseguenza, dato che non ci sono elementi, l’insieme vuoto è,
tautologicamente, vuoto. Ciononostante, l’insieme esiste in quanto è
possibile definirlo. Credo comunque che esso appartenga a un tipo
ontologico diverso da quello a cui appartiene l’insieme dei numeri
naturali tra 22 e 24.
Una proposta simile richiederebbe perciò una riformulazione
dell’assioma dell’insieme vuoto. La versione riveduta asserirebbe che
esiste un tipo di insieme la cui condizione definente è
autocontraddittoria e perciò tale insieme non contiene elementi39
. Una
soluzione di questo tipo sembra riesca a conservare lo statuto
ontologico dell’insieme vuoto, complicando leggermente la teoria
degli insiemi con l’introduzione di un concetto debole di insieme,
accanto al concetto forte della tradizione. In realtà, mi sembra che tale
concetto debole di insieme sia già presente, seppur in forma latente,
nei sistemi assiomatici. È curioso infatti che Zermelo, nella
formulazione dell’assioma dell’insieme vuoto, scelga di definire tale
insieme con la parola improprio. L’inconciliabilità degli elementi
distintivi dell’insieme vuoto con i criteri che definiscono il concetto di
insieme non deve essergli sfuggita. Per quanto questa soluzione
sembri soddisfacente, ritengo siano necessari ulteriori studi volti a
39
Una soluzione di questo tipo è adottata in FREGE, GOTTLOB, Über Sinn un
Bedeutung, Zeitschrift für Philosophie und Philosophische Kritik, Lipsia 1892.
Gottlob Frege sostiene che le descrizioni definite denotino oggetti, le descrizioni
indefinite denotino insiemi e le descrizioni improprie, ovvero contraddittorie,
denotino l’insieme vuoto.
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verificare se l’ammissione di predicati autocontraddittori non generi
molteplicità che a loro volta possano produrre antinomie.
Mi sento di avanzare una seconda soluzione ontologica. Ammettere
proprietà autocontraddittorie e tentare di creare un insieme, per quanto
debole, utilizzando simili proprietà come criteri definenti, può non
essere del tutto soddisfacente. Infatti, si è discusso a lungo 40
riguardo
l’opportunità di servirsi delle proprietà autocontraddittorie, sia in
tempi antichi, con Gorgia, Platone e Aristotele, sia in tempi moderni,
come testimonia il dibattito capeggiato dai filosofi Bertrand Russell,
da una parte, e Alexius Von Meinong, dall’altra.
Volendo dunque escludere l’introduzione delle proprietà
autocontraddittorie, con tutte le penose conseguenze, si può provare a
percorrere la strada dei mondi possibili. Tale prospettiva risale almeno
a Leibniz41
, ma vede la sua formulazione moderna nel lavoro del
filosofo David Lewis42
. Con «mondo possibile» si intendono quindi
tradizionalmente tutte le collezioni di stati di cose che non sono
necessari, ma nemmeno impossibili. Della nozione di mondo possibile
40
Un’interessante raccolta di tali obiezioni, nonché uno stimolante testo critico
sull’argomento, è rappresentato da BERTO, FRANCESCO, L’esistenza non è logica.
Dal quadrato rotondo ai mondi possibili, Laterza, Roma-Bari 2010.
41 In particolare, LEIBNIZ, GOTTFRIED WILHELM, Saggi di teodicea, disponibili nella
traduzione italiana in MUGNAI, MASSIMO, PASINI, ENRICO, Scritti filosofici, a cura
di, UTET, Torino 2000.
42 Si vedano LEWIS, DAVID, Teoria delle controparti e logica modale quantificata, in
SILVESTRINI, DANIELA, Individui e mondi possibili, a cura di, Feltrinelli, Milano
1976, LEWIS, DAVID, Counterfactuals, Blackwell, Oxford 1973 e LEWIS, DAVID, On
the Plurality of Worlds, Blackwell, Oxford 1986.
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si danno due interpretazioni. L’interpretazione attualista attribuisce
alla nozione di mondo possibile l’unico compito di costituire un utile
strumento per immaginare come avrebbero potuto ipoteticamente
presentarsi gli stati di cose attuali del mondo.
L’interpretazione che invece corrisponde al realismo modale
prevede un serio impegno ontologico nei confronti dei mondi possibili
e introduce dunque, accanto agli enti che popolano il mondo attuale,
anche enti che potrebbero popolare mondi possibili, accanto al mondo
attuale, un numero infinito di mondi possibili. Il mondo attuale infatti,
secondo tale prospettiva, è il modo in cui le cose stanno, mentre i
mondi possibili sono i modi in cui le cose avrebbero potuto stare.
Invece, le leggi logiche della necessità e dell’impossibilità sono
condivise dal mondo attuale e da tutti i mondi possibili.
Arrivando all’insieme vuoto quindi, una soluzione possibile è
quella di far corrispondere le condizioni definenti insiemi vuoti con
proprietà possibili, ma non attuali. Per fare un esempio, l’insieme
degli esseri umani con sei occhi è vuoto in questo mondo. Siccome
però non è logicamente contraddittorio che un essere umano abbia sei
occhi, tale insieme potrebbe avere elementi in un mondo possibile,
esattamente uguale al mondo attuale tranne che per questa
caratteristica. E forse anche per il fatto che i produttori di lenti a
contatto sarebbero sicuramente più ricchi.
Attraverso l’utilizzo di siffatta strategia, gli insiemi vuoti avrebbero
caratteristiche ontologiche del tutto identiche a quelle degli insiemi
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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con elementi. Sia i primi sia i secondi sarebbero definiti da una
proprietà, ma per un caso, ovvero l’attualità o meno della proprietà in
questione, alcuni insiemi rimarrebbero vuoti. L’adozione di questa
strategia dunque riesce elegantemente a ricondurre l’insieme vuoto al
concetto di insieme, per quanto complichi non poco l’impegno
ontologico preso dalla teoria degli insiemi. Una soluzione c’è ed è
quella di considerare i mondi possibili solo in funzione euristica,
senza veramente impegnarsi sulla loro esistenza. Anche in questo
caso, ritengo che siano necessari studi successivi per accertarsi che
l’introduzione di proprietà soddisfatte da enti dei mondi possibili non
generi antinomie.
4. GLI INSIEMI VUOTI DI TROPI
Alla luce del fatto che lo scopo di questo lavoro è proprio quello di
verificare la conciliabilità della teoria degli insiemi con un’ontologia
dei tropi, è utile vedere quali delle soluzioni offerte possa essere
adottata dalla teoria dei tropi. Come si è detto, le prime due soluzioni
non intervengono sull’ontologia dell’insieme vuoto, in quanto la
prima lo nega mentre la seconda lo assume esclusivamente in quanto
ente fittizio. Tali soluzioni mi sembrano conciliabili con l’ontologia
proposta dai tropi. Il motivo è che ritengo che tale ontologia non
venga in nessun modo intaccata o modificata dall’adozione di una
delle due soluzioni, indiscriminatamente.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
109
Ciò che resta da provare dunque è la conciliabilità della teoria degli
insiemi con l’adozione delle proprietà autocontraddittorie, richieste
dalla terza soluzione, e delle proprietà non attuali, previste dalla quarta
soluzione. Poiché si tratta di due prospettive molto diverse, è
necessario analizzarle separatamente.
La prima proposta ontologica dunque prevede l’ammissione
nell’ontologia di proprietà autocontraddittorie, al fine di determinare
enti che necessariamente non possano vantare alcun tipo di esistenza
reale. Per quanto privi di esistenza reale, tali proprietà possono però
costituirsi come strumenti del pensiero e definire una condizione. Tale
condizione può allora indicare l’insieme vuoto, in quanto non può
essere rispettata da alcun elemento.
Per la teoria dei tropi, come è ormai chiaro, le proprietà sono
particolari astratti, che aggregandosi si concretizzano negli oggetti
materiali, da un lato, e formano gli oggetti astratti, dall’altro lato. Ciò
che compone l’essere a livello elementare dunque sono solo le
proprietà. Mi sembra allora che non sia possibile riferirsi a proprietà
autocontraddittorie, perché siffatte proprietà necessariamente non
esistono e non esistendo non possono aggregarsi e costituire un
insieme. Può essere tentata allora un’altra strada, cioè quella di
assumere oggetti auto contraddittori. Siffatti oggetti potrebbero
annoverare tra i fasci che ipoteticamente li compongono proprietà in
contraddizione tra loro. Ad esempio, posso immaginare un oggetto
concreto costituito da due tropi: il primo è un tropo come «questo
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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110
rosso qui», mentre il secondo è un tropo come «questo verde qui».
Ovviamente, per quanto esistano oggetti colorati con sfumature
diverse, una determinata porzione di spazio-tempo non può
contemporaneamente essere denotata da due differenti proprietà
percepite dallo stesso senso. Quindi, un fascio così costituito sarebbe
contraddittorio e non potrebbe portare a compimento il processo di
aggregazione e di costituzione dell’ente. L’insieme vuoto infatti, in
quanto insieme improprio, si costituisce attraverso un processo che si
sviluppa fino a un certo punto, per poi bloccarsi a causa
dell’inconciliabilità dei principi che fondano il sistema a cui tale ente
appartiene.
Esattamente nello stesso modo quindi, il procedimento di
costituzione di un oggetto concreto che si basi su un fascio di tropi in
contraddizione tra loro, subisce a un certo punto un arresto, che non
gli permette di concludersi.
Un insieme vuoto dunque può essere chiamato improprio perché,
pur iniziando a costituirsi da un fascio di oggetti, tale fascio non riesce
a creare l’oggetto-insieme a causa della contraddittorietà dei tropi che
lo compongono. L’insieme vuoto non si determinerebbe quindi a
partire da elementi autocontradditori, ma a partire da insiemi
autocontraddittori. Ritengo però che tale soluzione non possa
funzionare innanzitutto perché è in aperta contraddizione con
l’assioma di estensionalità. Tale assioma infatti precisa che l’insieme
non è caratterizzato dal modo in cui i suoi elementi lo compongono.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
111
Per queste ragioni, definire un insieme autocontraddittorio in virtù
della contraddittorietà dei suoi elementi non ha assolutamente senso
per la teoria degli insiemi.
La soluzione dunque non convince. Oltre alla confutazione del
tentativo di utilizzare insieme autocontraddittori, va ricordato che la
prima proposta ontologica in origine prevedeva l’assunzione di
proprietà autocontraddittorie. Simili proprietà non possono essere
ammesse all’interno di un’ontologia dei tropi, dunque questa
soluzione deve essere rigettata senza indugio.
La seconda proposta ontologica invece proponeva di far
corrispondere all’insieme vuoto l’oggetto costituito da tropi non
attuali, grazie all’introduzione del concetto di mondo possibile.
Nonostante la resistenza di Donald Williams, un altro grande teorico
dei tropi, John Bacon, nel suo Universals and Property Istances: the
Alphabet of Being, ha ammesso i mondo possibili all’interno della
metafisica dei tropi. Secondo il filosofo australiano infatti le
prospettive sono molto facilmente conciliabili: il mondo attuale è
costituito dai tropi che esistono e, allo stesso modo, i mondi possibili
sono costituiti da tropi la cui esistenza, se pur non realizzata, è però
possibile. È interessante a questo punto ricordare che una delle ragioni
che hanno spinto John Bacon ha includere tropi possibili è proprio
quella di fornire un’adeguata trattazione delle proprietà non
esemplificate. Il filosofo infatti assegna a tali proprietà un tipo di
esistenza non realizzata nel mondo attuale, ma realizzabile in mondi
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
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possibili. Poiché, come è ormai chiaro, i tropi si aggregano in oggetti,
allora gli oggetti possibili ma non realizzati esistono nei mondi
possibili.
«Oggetto possibile ma non realizzato» è un’espressione che può
essere di difficile comprensione, in quanto non è chiaro a cosa si
riferisca. Un chiarimento può venire da esempi come l’oggetto astratto
possibile ma non realizzato che è «la mia amicizia con Socrate». Il
personaggio storico non esiste in questo mondo in questo momento,
ma posso immaginare un mondo possibile dove io e Socrate siamo
contemporanei e intrecciamo una relazione di amicizia. Un esempio di
oggetto concreto non realizzato può essere invece qualcosa di molto
semplice come «il volume della mia tesi di laurea». Oggi, 6 maggio
2011, nel mondo attuale, il volume della mia tesi non esiste, ma presto
queste pagine, stampate e rilegate, si comporranno a formare il
volume della mia tesi di laurea.
Ciò detto quindi, sembra che la soluzione ontologica dei mondi
possibili sia non solo realizzabile ma bene accetta. Resta da vedere se
sia una scelta sensata. Infatti, così facendo la teoria dei tropi si
renderebbe vittima delle obiezioni avanzate nei confronti delle
metafisiche che scelgono di adottare mondi possibili. Ammettere
mondi possibili dunque potrebbe comportare quindi un indebolimento
della teoria, piuttosto che un rafforzamento in termini di ampiezza
dell’applicazione.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
113
Inoltre, non costituisce assolutamente una manovra economica per
la teoria dei tropi introdurre i mondi possibili al solo fine di fornire
una soluzione per il problema dell’insieme vuoto. Questa osservazioni
vale in particolar modo se sono adottabili le due soluzioni
matematiche. L’applicabilità delle due soluzioni matematiche però
non è assolutamente scontata, per quanto possa apparire meno
complessa.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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114
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
In questo lavoro ho cercato di applicare il sistema metafisico
proposto dalla teoria dei tropi al sistema matematico della teoria degli
insiemi. La verifica si rende necessaria perché la teoria degli insiemi è
stata elaborata all’interno di un sistema metafisico differente. Ecco
perché non è scontato che essa sia utilizzabile coerentemente con
l’adozione della metafisica dei tropi.
Armonizzare un sistema metafisico che rifiuti gli universali, come
la teoria dei tropi, con un sistema matematico che se ne serve, poteva
inizialmente sembrare un’ardua impresa. L’analisi che ho condotto ha
invece rivelato che, per quanto di sicuro la teoria degli insiemi utilizzi
gli universali, ciò che conta dal punto di vista metafisico è che a tali
universali non sia riconosciuto alcun tipo di statuto ontologico. Il
dominio da cui parte la fondazione della teoria degli insiemi infatti
non assume nessun tipo di impegno ontologico nei confronti degli
universali. Nient’altro è ammesso all’interno del dominio se non enti
semplici e individuali, a partire dai quali si possono costruire insiemi.
Di conseguenza, appare chiaro che, se una teoria matematica
ammette solo entità semplici e individuali, gli universali di cui si serve
non sono universali in senso forte, come ad esempio quelli ammessi
dalla metafisica realista. Per la teoria degli insiemi, gli universali non
esistono nella realtà, ma hanno un’esistenza esclusivamente
concettuale o nominale. Sono cioè enti che l’ontologia ammette solo
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
115
all’interno della mente come utili concetti, oppure sono
semplicemente nomi di cui la mente si serve per riferirsi a gruppi di
elementi individuali.
Mi pare che questa analisi abbia evidenziato chiaramente che una
metafisica che voglia candidarsi al suolo di supporto ontologico per la
teoria degli insiemi deve rispondere a due criteri fondamentali. Il
primo criterio è che la metafisica preveda una trattazione degli
universali in senso concettualista o nominalista. Il secondo criterio, a
mio avviso più importante, è che si tratti di una metafisica che riduca
l’essere a entità di un solo tipo.
Nella teoria dei tropi, così come nella teoria degli insiemi, gli
universali sono ammessi esclusivamente in quanto concetti mentali
originati dalle manifestazioni dei particolari. Inoltre, la teoria ammette
un solo tipo di essere, offrendosi dunque come candidata ideale al
ruolo di supporto ontologico per la teoria degli insiemi.
È indiscutibilmente vero che la teoria dei tropi non sia l’unica
metafisica che ammette un solo tipo di essere, né che tratti gli
universali in senso debole. Dunque potrebbe non rivelarsi la più
consona a sostenere metafisicamente la teoria degli insiemi.
Quantunque prive di atteggiamento riduzionista, altre metafisiche
potrebbero anche rivelarsi più idonee a svolgere questo ruolo.
L’obiettivo di questo lavoro d’altronde non era quello di evidenziare
la metafisica più adatta per la teoria degli insiemi, ma di verificare la
coerenza del suo utilizzo da parte di chi affidi il suo impegno
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
Tesi di Laurea di Costanza Brevini
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ontologico alla teoria dei tropi. Tale obiettivo può dirsi raggiunto,
anche se alcune questioni che ho sollevato restano ancora
fecondamente aperte. Ulteriori studi potrebbero approfondire questo
tema, appurando ad esempio se la teoria dei tropi sia innocente in
relazione ai paradossi della teoria degli insiemi e, viceversa,
controllando se le obiezioni mosse alla teoria dei tropi non comportino
conseguenze, metafisiche o matematiche, per la teoria degli insiemi.
La teoria dei tropi ha mostrato la sua forza in termini di semplicità
ed economicità. La potenza espressiva che la contraddistingue le
consente di farsi carico delle complesse esigenze ontologiche della
teoria degli insiemi. Inoltre l’atteggiamento riduzionista, piuttosto che
essere colpevole di attribuire rigidità al sistema, si rivela un punto di
forza per l’analisi della teoria degli insiemi.
Ho provato a verificare la coerenza della teoria dei tropi con la
teoria degli insiemi. Concludendo questa ricerca, mi avvedo come
molti altri siano i paradigmi metafisici che, di là dalla coerenza
formale, andrebbero sottoposti a ulteriori verifiche, con l’intento di
accertarne la conciliabilità con i paradigmi utilizzati dall’impresa
conoscitiva. Mi riferisco fra gli altri alle teorie della fisica moderna,
alle dottrine economiche e sociali o ai modelli epistemologici. Mi
auguro che questa agenda possa costituire il mio programma di ricerca
per i prossimi anni.
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RINGRAZIAMENTI
Vorrei ringraziare il professor Paolo Valore, per l’impegno e la
disponibilità che ha mostrato negli ultimi cinque anni. La sua passione
e la sua professionalità mi sono stati di grande esempio.
Desidero ringraziare anche a tutte le menti geniali che hanno
formulato le meravigliose teorie e i sistemi straordinari che mi hanno
incantata in questi anni di Università e hanno modificato
invariabilmente ciò che sono.
Ringrazio i miei meravigliosi amici Carolina Marsico, Fabio Prolo,
Daria Pitacco, Diederik Pierani, Eleonora Pinna, Alessandro Mezzetti
Federica Biotti, Marco Berretta e Nelson Haxhija. Ognuno di loro mi
ha regalato grandi momenti di divertimento, spontaneità, calore,
solidarietà e affetto sincero. La spensieratezza e la serenità che
abbiamo condiviso restano nel mio cuore, imprescindibilmente da
dove ci porterà il futuro.
Infine, dedico questo lavoro a mio padre Franco, che mi è stato
vicino in ogni momento della mia vita, aiutandomi davanti alle
difficoltà con infinita pazienza e spronandomi a dare sempre il meglio
di me. Non ha mai lasciato vacillare la mia fiducia nel mondo e nella
possibilità di raggiungere i miei obiettivi, per quanto ambiziosi.
Voglio ringraziarlo soprattutto per avermi trasmesso buona parte di
ciò che sono e per tutto quello che mi trasmetterà ancora da oggi fino
alla fine della nostra vita insieme.
Una metafisica alla prova: la teoria dei tropi applicata alla teoria degli insiemi
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