UNIVERSITÀ DEGLI STUDI GUGLIELMO MARCONI
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
« SINDROME DI ALIENAZIONE GENITORIALE: LA FAMIGLIA DI
FRONTE ALLA SEPARAZIONE »
Relatore: Candidato: Chiar.ma Prof.ssa ALESSIA VEGLIA ATTILIO ANZIVINO Matr. N°: SFO01803/L24
ANNO ACCADEMICO
2014/2015
3
INDICE.
INTRODUZIONE pag. 5
CAPITOLO 1. La fine conflittuale del rapporto di coppia:
dalla parte dei figli. “ “ 9
§ 1.1 Separazione e divorzio in Italia:
Leggi e prassi. “ “ 13
§ 1.2 Le dimensioni psicologico
relazionali nella famiglia di fronte
alla separazione: la situazione psicologica
dei diversi attori “ “ 16
§ 1.3 Il nocciolo della questione: all’affido
congiunto corrisponda un’equa
distribuzione dei tempi di affido
bigenitoriale “ “ 27
CAPITOLO 2. La sindrome della vendetta coniugale:
la trasmissione dell’odio patologico.
Il sorgere della “questione PAS”: la proposta
di Richard Gardner alla comunità
scientifica internazionale. “ “ 34
CAPITOLO 3. La sindrome oltre il generico disturbo
e le difficoltà del discernimento medico. “ “ 41
§ 3.1 Identificazione della malattia “ “ 42
§ 3.2 Criteri diagnostici e fenomenologia “ “ 48
§ 3.3 Livelli di gravità “ “ 52
§ 3.4 L’ipotesi epigenetica complessa
di Marisa Malagoli Togliatti e Marta Franci “ “ 57
CAPITOLO 4. Le tecniche di programmazione della PAS
e le responsabilità oggettive delle parti in causa. “ “ 64
§ 4.1 La PAS e il minore “ “ 69
§ 4.2 Le caratteristiche delle famiglie separate
con PAS e le indicazioni della consulenza
tecnica d’ufficio (CTU): lo studio di Lubrano
4
Lavadera, Marasco pag. 72
§ 4.3 Lo studio pilota di Anna Lubrano Lavadera
e Maurizio Marasco “ “ 73
CAPITOLO 5. La sindrome di alienazione parentale
come mistificazione. “ “ 78
§ 5.1 La sindrome di alienazione parentale
tra educazione e induzione ipnotica “ “ 85
CAPITOLO 6. Un caso concreto: la storia di Gabriele. “ “ 96
CAPITOLO 7. Focus. Dalla sindrome di Medea al canto
delle Sirene: tra vocalità materna
e melodie di morte. “ “ 107
CAPITOLO 8. Uscire dalla PAS. “ “ 112
§ 8.1 La proposta di R. Gardner “ “ 112
§ 8. 2 Due possibili terapie: i Family Bridges
di Richard A. Warshak e Matthew Sullivan “ “ 116
CAPITOLO 9. La definizione della complessità della sindrome
al di là delle ristrettezze nosografiche
standardizzanti: Il versante giuridico e il
riferimento al DSM 5 e ICD 11. “ “ 141
CAPITOLO 10. Conclusioni. “ “ 150
BIBLIOGRAFIA “ “ 152
SITOGRAFIA “ “ 157
ABBREVIAZIONI “ “ 158
5
INTRODUZIONE
La dissertazione che propongo illustra la complessità di una
sindrome che interseca e coinvolge diversi campi dell’esperienza
umana.
La cifra sintetica che riassume il lavoro gravita attorno alla
nozione di complessità, non per via delle specifiche trattazioni, che
risulteranno essere certamente comprensibili, e spero sufficientemente
chiare per tutti, ma perché ogni parte richiama il tutto. Risulta dunque
impossibile, pena la disgregazione della comprensione dell’insieme,
estrapolare dal contesto un elemento per trattarlo come se fosse a sé
stante. Siamo di fronte, per analogia, alla figura retorica della sineddoche
(ricevere insieme), cioè alla necessità di comprendere l’insieme
attraverso il dettaglio, e tratteggiare il particolare solo alla luce
dell’insieme, dove il tutto è la parte, e la parte è il tutto.
Fuori di metafora, la dissertazione abbraccia e incrocia tanti
campi dell’agire umano: la Psicologia, la Medicina, la Giurisprudenza,
l’agire sociale, le prassi culturali e quant’altro. E questo avviene
quando una famiglia decide di porre fine all’unione coniugale: si apre
ad un ventaglio di realtà che la misureranno sulla sua capacità di
gestione psicologica del passaggio esistenziale, sulla maturità
genitoriale, sulla resilienza personale, sui compiti di sviluppo e sulle
attese di felicità che ognuno deve nutrire per sé e per i figli che ha
generato.
Tuttavia, questo passaggio, come spesso accade, è segnato dal
conflitto, a volte duro e aspro, che, in determinate condizioni, può
generare una sindrome, nota in Italia come Sindrome di alienazione
genitoriale (PAS, Parental Alienation Syndrome).
Si tratta di una malattia relazionale che coinvolge l’intera
famiglia, in cui un genitore (definito alienante) dispone una campagna
denigratoria verso l’altro coniuge (definito alienato), agita sul figlio.
Questi è condizionato al punto tale da estraniarsi dal genitore alienato,
6
odiandolo e assumendo come proprie le emozioni e gli atteggiamenti
del genitore alienante.
E quando un figlio è conteso in sede di separazione, entrano
in gioco le tutele legali per il bene del minore, e l’autorità giudiziaria
interviene dall’alto del Diritto e delle prassi giurisprudenziali. La
decisione del Giudice avverrà con la dovuta conoscenza del caso, che
richiederà l’intervento di una consulenza psicologica (Consulenza
tecnica di ufficio), per mettere il giudice nelle condizioni di scegliere il
meglio a favore del minore.
La Legge italiana dà indicazioni e dispone la materia matrimoniale, ed
è chiamata anch’essa ad aggiornarsi in base agli sviluppi della cultura e
della società, e tuttavia, le scelte del Tribunale possono essere
influenzate da fattori di carattere culturale, secondo consuetudini
stratificate da anni, come, ad esempio quella di assegnare il bambino
conteso alla madre, come unica affidataria, anche quando ci sarebbero
ragioni opportune per andare oltre il già noto.
Il quadro si articola perché occorre conoscere le leggi in
materia di separazione matrimoniale, le prassi giuridiche e i filoni
culturali che le giustificano; è necessario essere competenti sulla natura
della PAS e su tutto ciò che concerne ad essa (sintomatologia, livelli di
gravità, ecc); occorrerà essere sufficientemente avveduti e scaltri nel
riconoscere i vuoti giuridici e le falle del sistema giudiziario,
evidenziando, e se è il caso anche denunciando, tutti i soprusi cui
alcuni minori sono sottoposti.
La dissertazione dovrà anche saper indicare qualche strada
percorribile per uscire dalla sindrome e per offrire una speranza a chi
si trovasse invischiato negli ingranaggi del sistema. Il taglio clinico
della dissertazione dovrà focalizzarsi anche sulle dinamiche relazionali
che si sviluppano nel corso della separazione e sulla necessità di gestire
i passaggi esistenziali che la vita richiede. Come spesso accade, coloro
che subiscono danni maggiori sono i poveri, poveri di potere e di
risorse; nel nostro caso le vittime del sistema che andrò a tratteggiare
7
sono i bambini contesi, e, con loro, i genitori alienati, esautorati del
loro compito fondamentale di essere padre o madre.
Per disciplinare una materia, che si presenta sfuggente e a
tratti refrattaria, desidero strutturare la dissertazione partendo dalla
presentazione delle prassi di separazione e divorzio in Italia e le
relative normative in relazione all’affido dei minori, cui farò seguire
l’analisi delle dimensioni psicologico relazionali nella famiglia di fronte
alla separazione. Fin dall’inizio evidenzierò quello che credo essere un
elemento centrale della questione PAS, il nocciolo della questione:
l’affido congiunto, al quale deve corrispondere un’equa distribuzione
dei tempi di affido bigenitoriale.
Il secondo capitolo, ancora in chiave introduttiva, sarà
dedicato alla presentazione del sorgere della questione PAS, sostenuta
con forza da Richard Gardner (psichiatra forense statunitense) e
proposta alla comunità scientifica internazionale.
I successivi due capitoli saranno fondamentali in quanto
spiegheranno la natura della sindrome: struttura, criteri diagnostici,
livelli di gravità, ipotesi epigenetica complessa (di Marisa Malagoli
Togliatti e Marta Franci). Un passaggio essenziale riguarderà le
tecniche di programmazione della PAS e le caratteristiche psico-
emozionali dei soggetti coinvolti nella sindrome, con l’indicazione
degli elementi essenziali della consulenza tecnica d’ufficio (CTU).
Chiederemo questa parte centrale con l’analisi di uno studio
importante di Anna Lubrano Lavadera e Maurizio Marasco, che cerca
di dare spessore statistico ai primi dati PAS emergenti anche in Italia.
Il capitolo 5 vuole essere un approfondimento attorno alle
modalità attraverso le quali si strutturano le relazioni di
condizionamento/dipendenza tra i soggetti all’interno della sindrome,
infatti un tratto caratteristico della PAS è la mistificazione. Essa si
sviluppa tra educazione e induzione ipnotica, così come un autorevole
psicologo forense italiano, Guglielmo Gulotta, ha intuito e
comunicato.
8
In sede di preparazione del materiale ho avuto la fortuna di
contattare il dottor Vittorio Vezzetti, medico pediatra varesino che da
anni promuove una campagna di informazione e formazione sulla
PAS e sulle storture del sistema giudiziario italiano. Il dott. Vezzetti mi
ha gentilmente indicato un caso eclatante di PAS, quello di Gabriele,
che propongo nel mio lavoro al capitolo 6.
Per dare lunghezza d’onda più ampia al lavoro e una certa
piacevolezza letteraria, trovo utile offrire quelli che mi sono sembrati i
più interessanti parallelismi tra la PAS e la vicenda eroica di Ulisse che
affronta le Sirene, così come Omero ci ha raccontato nel canto XII
dell’Odissea. Accanto al Mito di Medea, utilizzato per alludere alla
nostra sindrome, propongo il Canto delle Sirene.
Lo sviluppo della dissertazione avrà anche uno sbocco
terapeutico nelle terapie familiari di R. Warshak e M. Sullivan, che
illustrerò con la dovuta dovizia di particolari.
Chiudo il lavoro chiarendo il punto della situazione sul
faticoso cammino del riconoscimento ufficiale della PAS e del relativo
inserimento nei manuali nosografici internazionali.
9
SINDROME DI ALIENAZIONE GENITORIALE:
LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA SEPARAZIONE
CAPITOLO 1
LA FINE CONFLITTUALE DEL RAPPORTO DI COPPIA: DALLA
PARTE DEI FIGLI
Appare ovvio dal titolo stesso della dissertazione che il campo di
indagine che ci apprestiamo a percorrere è immediatamente segnato dal
dolore e dalla delusione per una fondamentale esperienza della vita che va a
chiudersi. La famiglia di fronte alla separazione immerge nello strazio di una
lacerazione che, non solo coinvolge gli immediati attori della separazione – i
coniugi (conviventi o sposati che siano)- ma anche i figli, frutto della loro
unione. Dietro alla famiglia in rotta, poi, ci sono altre persone o interi nuclei
familiari dei rispettivi partner che, come vedremo più avanti, entrano a pieno
titolo nel gioco delle parti.
Il quadro relazionale complesso e strappato, che intreccia storie e
vissuti di più famiglie e di altri ampi spazi intergenerazionali, comunque si
configuri dal punto di vista giuridico, anche nel migliore degli esiti (cioè con
una separazione consensuale e un affidamento congiunto dei figli ad entrambi
i genitori), è generatore di sofferenza in tutti i protagonisti della separazione.
Tra questi, i più esposti e fragili sono i figli minorenni che, in determinate
condizioni, possono entrare in un circolo relazionale vizioso che conduce a
quella che Richard Gardner chiama Parental Alienation Syndrome (PAS). Si tratta
di una vera e propria sindrome, che si presenta quando il genitore affidatario
(di solito la madre), consapevolmente o meno, intenzionalmente o meno,
dispone delle strategie relazionali volte ad indurre nel figlio l’avversione,
l’astio e l’odio nei confronti del genitore non affidatario (in genere il padre),
che viene alienato ed esautorato nei fatti della potestà paterna. È, questa, una
strategia di azione che, nelle sue forme più gravi, conduce il figlio a sentire
come propri gli stessi stati d’animo del genitore alienante, e a desiderare di
10
rifiutare sistematicamente il genitore alienato, ormai percepito come
l’incarnazione del male.
Nel corso della spiegazione avrò modo di illustrare nel dettaglio le
strategie induttive e gli atteggiamenti psicologici di tutti gli attori della
sindrome, ma sin dall’inizio si intuisce che il campo della comprensione del
problema non può rimanere circoscritto alla semplice dimensione psicologica
e clinica, infatti, con la sindrome della PAS si abbracciano molti campi
dell’azione umana che, a diverso titolo, entrano nella definizione della
complessità della patologia. Tra questi, una nota importante spetta
all’inquadramento nosografico della malattia, che ad oggi suscita ancora molti
dibattiti.
Vittorio Vezzetti1, nel 2012, scriveva:
“Un aspro dibattito imperversa da anni sulla possibilità che il
fenomeno possa o meno essere formalmente classificato come un disturbo di salute
mentale da parte dell'associazione psichiatrica che sta aggiornando il suo
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, per la prima volta dal
1994: la nuova edizione, nota come DSM-V (Diagnostic and statistical manual
of mental disorders), non sarà completata fino al prossimo anno, ma la decisione
contro la classificazione dell’alienazione genitoriale come una malattia o una
sindrome definita è stata definitivamente presa.”2
E, come preconizzato, avvenne, infatti il DSM 5, edito nel maggio
del 2013, non contempla la PAS.
Credo che con la questione PAS si apra anche lo scenario sulla sub
cultura sessista diffusa in Italia, (ma non solo nel Bel Paese), che misconosce
la pari dignità e il pari valore di uomo e donna, esibendo di volta in volta, in
base all’opportunità e al qualunquismo imperante, vantaggi ingiustificati
all’uno o all’altro genere. La cultura occidentale di stampo maschilista ha di 1 Pediatra ASL Varese, Responsabile Medico Scientifico Associazione Nazionale Familiaristi Italiani
(ANFI) 2 V. VEZZETTI, Ottobre 2012, DSM-V: l’alienazione genitoriale non entra nel novero delle malattie mentali
vere e proprie, ma viene considerato disturbo relazionale, Pediatria preventiva & sociale, 2012, ANNO VII - Numero 4
11
fatto relegato la donna a ruoli di inferiore prestigio e potere in quasi tutti i
campi dell’agire politico, sociale ed economico, ma nei recessi della propria
coscienza (se in questi termini analogici posso esprimermi) ha coltivato una
sorta di complesso di colpa che, trovando terreno fertile nella tradizione di
alcuni Paesi mediterranei - tra cui l’Italia - (anche qui sarebbe interessante
indagare la natura di questa prospettiva), ha creato una “bolla di immunità”
nella quale la donna potesse avere ogni sorta di vantaggio a scapito dell’uomo.
Mi riferisco esplicitamente all’affido giudiziario dei figli in caso di separazioni
giudiziali che, fino al 2006 in via ordinaria ha privilegiato la donna, ed ora
continua a perpetrare l’ingiustizia mediante la difformità della ripartizione
della presenza del figlio ai due ex coniugi, a vantaggio della madre. Sono
poste così le condizioni della eliminazione della bigenitorialità.
Esito drammatico dell’espressione concreta di questo senso di colpa
maschilistico è il sequestro del diritto/dovere dell’esercizio della genitorialità
paterna, con l’avallo miope di gran parte del mondo femminile.
Lo stato delle cose ha condotto dunque, non solo alla sofferenza dei
figli contesi, che a determinate condizioni possono ammalarsi di PAS, ma ha
generato dei padri amputati del diritto di essere se stessi in quella funzione
genitoriale che, nel matrimonio in forma ufficiale e nella convivenza in forma
ufficiosa, è stata pubblicamente dichiarata e contestualmente ratificata dallo
stesso Stato e dal suo Codice di diritto civile.
Nella gestione della separazione, la coppia che non tenesse conto del
diritto/dovere di entrambi i genitori di continuare ad esercitare la fattiva
maternità e paternità, generando la PAS nel figlio conteso, compirebbe un
abuso sul minore. Richard Gardner, suggerisce al giudice molta severità
perché “instillare la PAS in un bambino è una forma di abuso; più precisamente, si
tratta di violenza emotiva”.3
La PAS, è da ricordare, non si scatena solo in contesti segnati dalle
problematiche psichiche dei genitori, ma anche dal desiderio di rivalsa
dell’uno sull’altro. Scrive Isabella Buzzi:
3 R. GARDNER, Recommendations for Dealing with Parents Who Induce a Parental Alienation Syndrome in
Their Children, Journal of Divorce & Remarriage, Volume 28(3/4), 1998, pp. 1-21
12
“Le motivazioni dei genitori programmanti nascono dal loro bisogno di
vendicarsi dell’altro o dal profondo rifiuto che sentono nei confronti dell’altro
genitore (peggiore se a causa di un tradimento o una profonda umiliazione
personale. ma accade anche quando l’annuncio della separazione non ha repliche
ed è definitivo, in quanto getta nella disperazione).”4
Infine, la PAS genera deformazioni della identità del minore alienato
e una serie di altri disturbi, che, nel loro lavoro di presentazione della
sindrome, Ritucci, Orsi e Grattagliano illustrano con queste parole:
“Gardner e altri autori tendono a distinguere effetti a breve e a lungo
termine sul minore: tali effetti possono dipendere non solo da variabili quali le
tecniche di programming utilizzate, la loro intensità e durata, l’età del figlio, la
possibilità di intrattenere sane relazioni extra familiari non allineate né
invischiate, ma, soprattutto, dalla valenza, dal livello di significatività e dalla
considerazione della situazione da parte dello stesso minore. In generale, tra gli
effetti osservati e riportati si evidenziano:
aggressività;
scarso controllo e tendenza all’acting-out;
comportamento ostile generalizzato verso amici, parenti e colleghi
del genitore bersaglio;
disorientamento, confusione emotiva e intellettiva;
disordini alimentari, del sonno, dell’attenzione e psicosomatici in
generale;
alto livello di dipendenza emotiva, passività e bassa autonomia;
bassa autostima, tendenza alla depressione e alla regressione;
disturbi psicosomatici;
disturbi dell’identità, tendenza a sviluppare problemi sessuali, di
identità di genere, relazionali, emotivi;
difficoltà di decentramento cognitivo, eccesso di razionalizzazione;
4 I. BUZZI, Sindrome di alienazione genitoriale, in Cigoli V., Gulotta G. & Santi G. (a cura di),
Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Milano, Giuffré, II , 1997, pp. 177-188.
13
futuro carattere manipolatorio e/o materialistico;
comportamenti autodistruttivi e/o ossessivo-compulsivi;
tossicodipendenza e alcoldipendenza;
egocentrismo, narcisismo e Falso Sé;
problemi scolastici;
presenza di sindromi di tipo psichiatrico nei casi di severe PAS.” 5
§ 1.1 Separazione e divorzio in Italia: Leggi e prassi
Per dare ordine alla dissertazione e collocare la sindrome nell’alveo
culturale in cui si sviluppa, è necessario dare una scorsa veloce all’attuale
prassi di separazione e divorzio in Italia, e illustrare il quadro psicologico che
si viene a comporre, sia nei singoli attori della separazione, sia nelle relazione
che essi intessono.
In questa parte del mio lavoro faccio esplicito riferimento a quanto
Adele Cavedon propone in Separazione e divorzio in Italia6.
Il sistema giuridico italiano prevede che qualora una coppia sposata
decidesse di interrompere formalmente il matrimonio, abbia un tempo
adeguato per riflettere (definisce questo periodo separazione) e, se possibile,
recedere dalla scelta. Tuttavia, il giudice non ha potere di opporsi alla
decisione consensuale dei coniugi e, in assenza accertata di contenzioso per
l’affidamento dei figli e di separazione conflittuale, avalla ed omologa la loro
richiesta. Il Codice civile all’art. 158 recita:
“La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza
l'omologazione del giudice. Quando l'accordo dei coniugi relativamente
all'affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l'interesse di questi
il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare
5 A. RITUCCI, V. ORSI , I. GRATTAGLIANO, La sindrome di alienazione genitoriale (PAS): fattori
eziologici, criteri di identificazione e proposte di intervento, Jura Medica - 2008, N. 2- Anno XXI 6 A. CAVEDON, Separazione e divorzio in Italia, in La sindrome da alienazione parentale (PAS): Lavaggio del
cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, G. GULOTTA, A. CAVEDON, M. LIBERATORE, Milano, Giuffrè ed., 2008, pag. 15-25
14
nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato
l'omologazione.”7
A questa prima forma di separazione, cui segue normalmente il
divorzio, conosciuta come separazione consensuale, se ne accosta una seconda,
caratterizzata dal contrasto e dalla conflittualità dei coniugi in ordine alle più
diverse problematiche, tra cui molto spesso l’affidamento dei figli. Questa è
nota come separazione giudiziale.
Lasciando sullo sfondo le questioni non immediatamente
riconducibili al minore, mi concentro sulla disciplina vigente in caso di
conflittualità per l’affidamento dei figli.
Un punto di svolta, almeno sulla carta, si ha nel 2006 con la legge
54/06, entrata in vigore dal 16 marzo dello stesso anno. Questa, modificando
parte del precedente Codice Civile, ha introdotto rilevanti novità rispetto alla
precedente disciplina (Cap. V, Titolo VI, del Libro I del Codice civile) e ha
modificato tutta la materia relativa ai rapporti tra i figli ed i genitori nella
cause di separazione e divorzio.
Viene superata la prassi ordinaria di affidare in forma esclusiva il
minore alla madre, e si sceglie l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori.
Sino ad allora avevamo una triplice disposizione di affidamento:
esclusivo, congiunto e alternato.
1. Affidamento esclusivo
L’art. 155 c.c., prima dell’introduzione dell’affido condiviso,
prevedeva che: “Il giudice che pronuncia la separazione dichiara a quale dei coniugi i
figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo
riferimento all’interesse morale e materiale di essa. In particolare, il giudice stabilisce la
misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e
all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suo diritti nei rapporti con essi”.
2. L’affidamento congiunto
Questo modello di affidamento era introdotto con l’art. 6, comma 2
della legge 898/1970 che recitava: “Ove il tribunale lo ritenga utile all’interesse dei
7 Codice Civile, Libro Primo, Titolo VI, Capo V Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei
coniugi
15
minori, anche in relazione all’età degli stessi, può essere disposto l’affidamento congiunto o
alternato”. Questo tipo di affidamento è stato poco utilizzato.
3. L’affidamento alternato
In sostanza, questa tipologia di affidamento altro non è che un
affidamento esclusivo doppio, alternando un periodo per il padre e uno per la
madre. Anche questa forma di affidamento non ha attecchito in Italia.
Con la nuova legge 54 del 2006 il giudice ha la facoltà di affidare
congiuntamente il minore ad entrambi i genitori, optando per l’affidamento
esclusivo solo nel caso in cui rilevi che uno dei due genitori sia inadatto o
interdetto all’esercizio della potestà genitoriale. Per valutare le qualità
genitoriali e il rapporto che intercorre all’interno del sistema famiglia, il
giudice normalmente richiede una perizia tecnica, affidando al Consulente
tecnico di ufficio (CTU) il compito di valutare la situazione e fornirgli consigli
super partes affinché possa proceda per la scelta più attenta ai bisogni del
minore, come recita l’art 155 del c.c. comma 1:
“Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha
il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi,
di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti
significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che
pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla
prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.”
È da ricordare, infine, anche che non è solo prerogativa del giudice
chiedere l’opinione del CTU ma anche delle parti, che potranno chiedere
consulenza tecnica, che confermi o smentisca i dati emersi dalla prima perizia.
Per fortuna la Cavedon riesce ad uscire dal tecnicismo della Legge e,
con una semplice nota, riporta il discorso all’elemento essenziale – spesso
dimenticato – che partecipa a determinare la filosofia strutturante la nuova
legge citata:
16
“La fine della convivenza o del matrimonio non dovrebbe mai essere la
fine della relazione con i figli: si separano i coniugi, non i genitori. La
separazione è in ogni caso un profondo cambiamento della identità da parte di
entrambi i genitori, ed è tanto più difficile quanto più l’affidamento dei figli
avviene in un contesto dove le problematiche sono acuite dai conflitti…
L’educazione dei figli dovrebbe restare comunque una responsabilità
congiunta dopo la separazione o il divorzio”8
§1.2 Le dimensioni psicologico relazionali nella
famiglia di fronte alla separazione.
L’istruzione del quadro relazionale della famiglia di fronte alla
separazione, richiede una breve sosta sull’interpretazione data al nascere,
crescere e morire dalla Psicologica, o almeno da quella branca della Psicologia
che fa riferimento alla prospettiva sistemico relazionale.
I pionieri della materia, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso,
descrivevano lo sviluppo della persona sulla scansione di tappe evolutive. Il
più noto tra questi è certamente Eric Erikson, il quale dimostra che le fasi
dello sviluppo di ogni persona sono segnate da un conflitto psicosociale
legato ad un bisogno emotivo.9 Il superamento della crisi permette l’ingresso
nello stadio di vita successivo: dalla fase orale degli inizi della vita passando
per otto stadi, sino alla fase della vecchiaia, che ne chiude il ciclo. Il mancato
superamento della crisi pregiudica l’ingresso nel successivo stadio e blocca lo
sviluppo, preludendo alla regressione nello stadio precedente.
Ogni fase della vita è segnata da un compito di sviluppo che mobilita
le risorse personali in vista del raggiungimento della meta. Così, ad esempio,
l’adolescente che vive il conflitto psicosociale della ricerca di identità e di
8 CAVEDON op. cit. pag. 17-18
9 E. ERIKSON, Infanzia e società, Roma , Armando ed.,1950
17
individuazione di sè, vivrà sentimenti di confusione e smarrimento, e troverà
nel gruppo dei pari un aiuto fondamentale per approdare alla tappa
esistenziale successiva della giovinezza. Se fallisse questo compito di sviluppo,
rimarrebbe legato alle logiche conflittuali della adolescenza, bloccato nella
dipendenza dalla famiglia, da cui reclamerebbe continuamente il distacco
senza tuttavia volersene definitivamente affrancare.
Il compito psicosociale di sviluppo della propria identità nell’arco
dell’esistenza è strettamente collegato al ciclo di vita della famiglia. Anch’essa,
infatti, deve attraversare diverse fasi di sviluppo, ognuno delle quali richiederà
ai suoi componenti un ben determinato compito di sviluppo.
Quindi, siamo in presenza di almeno due cicli di sviluppo che si
intersecano, sovrappongono e condizionano vicendevolmente in chiave
evolutiva: il ciclo di vita della persona e quello della famiglia. Per la nostra
trattazione sembra essere più interessante il secondo cespite.
Illustrando l’argomento, il prof. Paolo Gambini (cui faccio
riferimento nello sviluppo di questa porzione di dissertazione) mostra, ad un
tempo, linearità e complessità dell’approccio evolutivo, “all’interno del quale ha
origine il concetto di ciclo di vita della famiglia. Il compito che tale orientamento si propone è
proprio quello di definire, grazie all’apporto interdisciplinare di sociologi, economisti,
demografi e psicologi, i processi attraverso i quali la famiglia si sviluppa dalla nascita alla
morte”.10
Qui non possiamo trattare con la dovuta ampiezza quanto enunciato,
ci limitiamo ad adottare la prospettiva sistemico relazionale e illustrare un
passaggio dell’evoluzione della famiglia, colta nella fase della separazione.
Il merito della ricerca scientifica in questo settore è da attribuire a
molti autori, tra cui spicca R. Hill, il quale vede lo sviluppo della famiglia
cadenzato su nove stadi, valutati non solo nella declinazione del tempo
10
P. GAMBINI, Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico relazionale, Milano, Franco Angeli Ed., 2007
18
presente, ma anche nel collegamento alle generazioni passate che
compongono la famiglia.11 Hill struttura la sua analisi considerando i
componenti della famiglia impegnati nella relazione orizzontale del presente
(come coniuge, fratello ecc) e in quella verticale del passato (come figlio,
genitore ecc), nel quadro della influenza reciproca tra contesto familiare e
contesto sociale. La famiglia vive le tappe del suo sviluppo confrontandosi e
adattandosi alle esigenze del contesto sia familiare sia sociale, e avviando
compiti di sviluppo finalizzati all’adattamento e quindi all’equilibrio generale.
Ogni persona sarà impegnata a individuare il proprio ruolo, le proprie
mansioni e le proprie responsabilità in funzione delle proprie aspirazioni,
delle aspettative familiari e sociali.
Un altro autore, J. Haley, illustra la necessita dei compiti evolutivi
delle famiglia per passare da una fase all’altra della vita,12 in funzione
dell’adattamento. Si tratta di compiti non sempre facilmente assolvibili, tanto
che molte famiglie rimangono incagliate nella fase di crisi, col conseguente
blocco della evoluzione. In questa fase nascono tutti i sintoni relazionali della
situazione di sofferenza, che necessita la riattivazione del processo di
sviluppo.
Infine, è da ricordare l’importante contributo della Teoria del Family
stress di Cabini–Iafrate13, ottimo contributo per integrare l’impostazione dello
sviluppo della famiglia, infatti, vengono considerati i momenti di
cambiamento imprevedibili. Questi, generando stress non preventivato,
mobilitano risorse più efficaci per individuare soluzioni di adattamento alla
nuova situazione e facilitare così il passaggio ad una fase di maggior
equilibrio, e poter gestire lo stress correlato. La teoria dello stress familiare, fa
notare P. Gambini, “sposta l’attenzione dagli elementi descrittivo strutturali a quelli del
processo familiare. Grazie a questa visione, il ciclo di vita familiare acquista una
11
R. HILL, Social theory and family development, in J. Cuisenier (a cura di) The family life cycle in european societies, Parigi, Mouton, 1977 12
J. HALEY, Terapie non comuni, Roma, Astrolabio ed., 1975 13
E. SCABINI, S. IAFRATE, Psicologia dei legami familiari, Bologna, Il Mulino ed., 2003.
19
prospettiva più dinamica e meno focalizzata sull’organizzazione strutturale delle singole
fasi evolutive”.14
In poche righe ho voluto concentrare i dati fondamentali, utili per
percorrere i successivi passi immediatamente inerenti al tema della mia tesi. Il
quadro si può sinteticamente dipingere in questi termini: la vita delle persone
e quella della famiglia sono scandite da cicli, che conducono da un inizio ad
una fine. Diversi autorevoli studiosi ne hanno tracciato le fasi e gli snodi in
una prospettiva sistemico relazionale, nella quale l’aspetto dinamico delle
relazioni occupa un ruolo centrale. In particolare, la famiglia è soggetta ad
una evoluzione, dove i suoi membri sono chiamati a compiti di sviluppo per
trasformare e poi conservare l’omeostasi relazionale, eventualmente
affrontare lo stress di situazioni inattese, affinché, nel rapporto con le
aspettative sociali e personali, ciascuno strutturi relazioni promettenti e
gratificanti.
Anche la separazione deve essere intesa come una fase di vita che
rispetti le regole appena tratteggiate. Nel distacco è necessario che ognuno
elabori interiormente quanto successo, mobiliti le sue risorse per affrontare lo
stress correlato, e giunga ad una diversa e migliore ristrutturazione della
famiglia in regime di divisione. A questo proposito, Gambini si esprime con
queste parole:
“La separazione e il divorzio non sono eventi che si realizzano in
tempi brevi. Essi rappresentano un vero e proprio percorso, una successione di
fasi, che permetta alle persone implicate di elaborare interiormente quanto
accaduto, di ristrutturare le proprie relazioni e di raggiungere una nuova
organizzazione familiare”.15
14
P. GAMBINI, op. cit. p. 103 15
P. GAMBINI, op. cit. p. 233
20
Siamo in presenza di un processo psicologico articolato, che la
letteratura scientifica ha descritto mediate modelli. Di questi ne presento tre,
che desumo dall’opera di Gambini.16
Il modello di Bohannan.17
La proposta dell’autore è articolata in sei fasi, in una prospettiva
psicosociale, ognuna delle quali necessita di essere vissuta positivamente per
poter accedere alla successiva.
1. Il divorzio emotivo. È la fase che dà inizio al progressivo
allontanamento dei coniugi che non trovano più passione e
motivi per restare insieme. Nascono discussioni e spesso litigi
attorno alla responsabilità del deterioramento del rapporto.
2. Il divorzio legale. Superata la prima fase, si prende atto della
situazione e si ricorre all’autorità superiore (Tribunale) per
una divisione equa dei beni e l’affido dei figli. Se il divorzio
emotivo si è realizzato correttamente, anche l’affidamento dei
figli avrà una corretta strutturazione.
3. Il divorzio economico. È la fase più delicata perché tocca un
aspetto vitale delle persone in ordine alla dignitosa
sussistenza. È una fase che si può rivelare ricca di contrasti e
litigiosità.
4. Il divorzio genitoriale. È il momento in cui occorre ripensarsi
genitori, ma non più in coppia. Se le fasi precedenti sono state
vissute bene, anche questa dovrebbe portare la coppia divisa a
mantenere rapporti corretti per il bene del figlio, che ha
bisogno entrambe le figure genitoriali.
5. Il divorzio dalla comunità è l’atteggiamento mentale che deve
nascere in chi, a motivo della separazione, deve lasciare la
comunità di appartenenza, spostare dimora e riorganizzare la
logistica della vita.
16
P. GAMBINI, op. cit. pp. 233-238 17
P. BOHANNAN, Divorce and after, New York, Doubleday, 1970. P. BOHANNAN, The six station of divorce, in Lasswell M.E., Lasswell T. E. (a cura di), Love, marriage and family: a development approach, Scott & C. Illinois,1973.
21
6. Il divorzio psichico rappresenta la tappa finale e più importante,
infatti, ad essa occorre giungere per avere indipendenza totale
dal punto di vista emotivo e psicologico dalla/dal ex partner,
riprogettare la propria esistenza con altre persone, pur
mantenendo il vincolo genitoriale e la conseguente relazione
di alleanza educativa con l’altro genitore. In questa fase della
separazione, che non tutti raggiungono, l’individuo può
considerarsi libero, autonomo, indipendente e capace di
riorganizzare una nuova vita, pur senza misconoscere la
precedente.
Il modello di Kaslow.18
L’autrice sposta l’accento dalla descrizione delle fasi alle emozioni e
ai comportamenti correlati.
La dinamica della separazione si struttura nell’arco di circa due anni,
e all’esordio presenta un forte sentimento di alienazione, nel quale la coppia
sprofonda; i due si allontanano progressivamente l’uno dall’altra, fino al
punto che il partner viene avvertito insignificante per la realizzazione del
proprio sé e dei propri progetti di vita. Il sentimento di alienazione, tuttavia,
non è generale e totale, infatti può essere maggiormente percepito in alcuni
ambiti della vita di coppia, e meno in altri; comunque, in questa fase
aumentano conflittualità e aggressività perché ciascuno ritiene che l’altro sia
responsabile della crisi di coppia. È il muro contro muro, che sfocia nella fase
di cronica conflittualità.
La fase conflittuale riguarda l’organizzazione concreta della vita a fronte
della decisione di separazione, ormai presa. Si stabilisce come dividere i beni e
come organizzarsi dal punto di vista economico, e, non da ultimo, vengono
prese importanti risoluzioni in ordine all’affidamento del bambino e alla sua
18
F.W KASLOW, Divorce and divorce therapy, in Gurmand A.S., Kniskern P., Handbook of family therapy, New York, Brunner and Mazel, 1991.
22
educazione. Psicologicamente questa fase è di alta ostilità, di grande
delusione, perdita e smarrimento.
L’autrice illustra, infine, la fase riequilibratrice come quella in cui i due
ex coniugi hanno accettato il fallimento del loro matrimonio, ne hanno capito
i motivi e, dopo essere passati attraverso lo smarrimento, l’ansia, la rabbia e
l’aggressività, approdano ad uno spazio emotivo più pacato, nel quale vige
maggior responsabilità, accettazione e una migliore prospettiva di crescita. Si
tratta, riprendendo il modello di Bohannan, della fase del divorzio psichico,
assetto psicologico e comportamentale certamente più favorevole all’esercizio
della corretta genitorialità, con conseguente e ovvio beneficio del bambino.
Il modello di Emery19
Emery struttura il suo modello analizzando il senso di perdita dovuto
alla divisione. Egli si rifà al concetto di elaborazione del lutto, già conosciuto
in ambito clinico. Il divorzio rappresenta analogicamente la morte, che va
capita, accettata ed interiorizzata, affinché si possa raggiungere l’omeostasi
relazionale corretta per guardare ad un futuro promettente. Come
nell’elaborazione del lutto vengono processati sentimenti di perdita,
smarrimento e oscurità, così anche nel panorama emotivo della elaborazione
del divorzio. Per entrambi i lutti si passa attraverso la melanconia per la
perdita dell’amore, che viene rimpianto e pensato con nostalgia. Subentra,
poi, una fase di collera e risentimento per la separazione, cui seguono
tristezza e angoscia.
L’elaborazione di questo lutto si realizzerà solo se il soggetto
passasse effettivamente attraverso queste tre fasi, le conosca personalmente e
le superi; se i passaggi non avvenissero, i relativi sentimenti si fisserebbero
nella coscienza, generando atteggiamenti inadatti per la ristrutturazione di
rapporti corretti in vista di una nuova relazione.
19
R.E. EMERY, Il divorzio. Rinegoziare le relazioni familiari, Milano, Franco Angeli ed.,1994.
23
Alla luce di quanto detto, i compiti della famiglia di fronte alla
separazione emergono con maggior chiarezza.
I coniugi, ormai divisi, hanno il compito di collocare la loro relazione
su un piano di equilibrio unico nel suo genere, infatti, vien chiesto loro di
chiudere definitivamente la relazione coniugale e, insieme, mantenere viva e
dinamica quella genitoriale. Non più coppia coniugale, ma coppia genitoriale.
Siamo di fronte ad un compito assai arduo che domanda maturità non
comune, acquisita solo se le diverse fasi pocanzi descritte siano state
effettivamente vissute sino in fondo.
Tutto deve essere compiuto per il bene dei figli, ma - credo sia
importante riconoscerlo - anche per se stessi, in quanto l’essere padre o
madre dà forma all’amore che un genitore porta in sé, a prescindere dalla
coniugalità. Chiude V. Iori, con queste parole: “Non perdere ciò che resta
dell’essere stati famiglia è una prospettiva pedagogica importante che, nonostante il
dolore della frattura, salvaguarda per i figli il diritto ad un atteggiamento educativo
responsabile e duraturo da parte dei genitori”20
Lo stile acquisito dalla coppia nella fase di divisione origina quello
della coppia genitoriale. E. E. Maccoby e collaboratori21 ne delineano tre
categorie:
1. Stile cooperativo, segnato dall’equilibrio, dall’interessamento
comune e dalla comunicazione tra i genitori in ordine
all’educazione del bambino.
2. Stile disimpegnato, a carico dei genitori che non comunicano più
pur mantenendo un legame tra loro. Il bambino risulta essere
diviso in due mondi separati.
3. Stile ostile, caratterizzato dal conflitto perpetuo dei due
genitori. Questo stile segna il fallimento, non solo del
matrimonio, ma anche della capacità educativa della coppia.
20
V. IORI, I figli nelle separazioni coniugali, e i compiti educativi dei genitori, in La famiglia, 2001, 209, pp. 48-59. 21
E.E. MACCOBY, C.M. BUCHANAN, R.H. MNOOKIN, S.M. DORNBUSCH, Post-divorce roles of mothers and fathers in the lives of their children, Journal of family psychology, 7, 1993, pp. 24-38.
24
La coppia, infine, dovrà affrontare un altro compito evolutivo in
riferimento alla propria famiglia di origine e al complesso mondo sociale cui
appartiene, infatti, molto spesso si assiste al ritorno di uno degli ex coniugi
alla casa della famiglia di nascita. Anche in questo caso, però, è necessario che
venga mantenuto un distacco emotivo e, possibilmente anche economico,
perché si possa, da un lato apprezzare l’ospitalità dei genitori, ma dall’altro
avere coscienza di dover portare avanti una totale indipendenza psichica.
La fine del matrimonio comporta una grande sofferenza a carico del
bambino, specialmente se è segnata dalla conflittualità dei coniugi. Gli studi di
Thompson e Amato22 mettono in relazione l’adattamento dei bambini alla
qualità dello stress subito, che precede la separazione: intensità e frequenza
dei conflitti pregiudicano l’equilibrio psicofisico del minore.
I bambini, nonostante la sofferenza emotiva subita, rivelano una
buona capacità di adattamento alle situazioni di separazione, ma non
tollerano le emozioni negative legate al conflitto. I minori hanno buone
capacità di resilienza, che comporta la conservazione di un buon equilibrio
psichico nonostante la lotta in corso. Nel conflitto genitoriale, i minori
possono anche trarre una certa quota di beneficio se aumentano
responsabilità e maturità più velocemente dei loro coetanei in condizioni di
non conflittualità. Paolo Gambini afferma: “La maggior parte dei figli riesce a
superare positivamente le difficoltà legate all’evento in sé, ma non senza pagare un prezzo
emotivo”.23
Le situazioni che maggiormente espongono i bambini (fattori di
rischio) sono variegate. Hetherington24 segnala la perdita di un genitore, la
22
R.A. THOMPSON, P.R. AMATO (a cura di), The post-divorce family: children, parenting, and society, Sage, New Delhi, 1999. 23
P. GAMBINI, op. cit. p. 242 24
E.M. HETHERINGTON, Should we stay together for the sake of the children?, in R.A. THOMPSON, P.R. AMATO (a cura di), The post-divorce family: children, parenting, and society, New Delhi, Sage, 1999
25
conflittualità tra i genitori e la loro diminuita cura per i figli, come i fattori di rischio
più gravi.
I bambini che subiscono queste situazioni sono soggetti ad una forte
dose di stress, tanto che, quasi paradossalmente, la pace che deriva dalla
separazione, è accolta dai bambini come un sollievo. Al regime di separazione
il bambino riesce, sia pur con fatica, ad adattarsi, mentre, esposto ai fattori di
rischio indicati, è molto più fragile e vulnerabile.
Sul versante opposto, segnaliamo dei fattori protettivi importanti.
Malagodi Togliatti, Lubrano Lavadera25 osservano che il ruolo delle famiglie
di origine dei genitori, quello dei fratelli, degli insegnanti e di tutte le figure
che possono dare conforto e ascolto, risultano essere importanti per la
stabilità dei bambini.
Ovviamente la capacità di adattamento dei bambini è soggetta al
momento evolutivo che stanno vivendo.
Nella prima infanzia il bambino non ha ancora sviluppato capacità
cognitive sufficienti per capire quanto stia succedendo, e può avvertire solo la
minor disponibilità delle cure genitoriali nei suoi confronti. Reagirà col rifiuto
del sonno, del cibo o con pianto immotivato e fuori controllo. Negli anni
successivi, comunque prima del quarto anno di vita, il bambino che vive la
conflittualità genitoriale nella divisione, rischia di non avere le figure di
riferimento necessarie per l’identificazione di sé. È il caso specifico del
maschietto che, non avendo la possibilità di relazionarsi col padre, prova un
profondo vuoto. Gambini dice che in questo caso è necessario che “qualcuno
gli parli di lui”26. Il bambino reagirà al malessere regredendo rispetto alle
conquiste evolutive della sua età. È probabile, come ricordano Carnevelli e
25
M. MALAGOLI TOGLIATTI, A. LUBRANO LAVADERA, Dinamiche relazionali e ciclo vitale della famiglia, Bologna, Il Mulino ed., 2002. 26
P. GAMBINI, op. cit. p. 244
26
Lucardi,27 che riperda il controllo degli sfinteri, che desideri gli oggetti
transizionali, che rallenti i movimenti o blocchi lo sviluppo del linguaggio.
Tra i 4 e i 6 anni, durante la seconda infanzia, il bambino in regime di
separazione genitoriale, percepisce il disagio senza riuscire a darsene una
spiegazione razionale, tende a colpevolizzarsi e a chiudersi nel mutismo, nel
sonno e nella distrazione. In questa fase il bambino necessita di attenzione e
deve essere rassicurato che non sarà mai abbandonato e che la separazione
dei genitori non dipende da lui.
Nella fanciullezza, tra i 6 e i 10 anni, i bambini hanno maggior capacità
cognitiva e capiscono molto meglio la situazione. Trovano conforto e
rassicurazione in persone significative (nonni, fratelli maggiori, insegnanti ecc)
ma rimangono in ogni caso esposti al rischio, infatti non è inconsueto che
diventino iper responsabili come dei piccoli adulti. Gambini osserva: “è bene
che i genitori siano attenti rispetto a questo salto di età con il quale il bambino tende a
negare le proprie ansie ostentando sicurezza. Infatti, tutta la sofferenza repressa e messa da
parte potrebbe esplodere più tardi attraverso malattie somatiche, o più gravemente tramite
compensazioni come anoressia, depressione, turbe di personalità”.28
Nella adolescenza (11-18 anni) il/la ragazzo/a assume maggiori
capacità cognitive, emozionali e relazionali; dopo aver sviluppato il pensiero
logico razionale, acquisisce anche quello ipotetico deduttivo, qualità che gli
permettono di cogliere tutti gli aspetti della vicenda dei suoi genitori. A questa
età la ricerca della propria identità è l’aspetto più caratterizzante, e segna la
separazione dalla famiglia, ma, in una nucleo familiare già diviso, si assiste ad
una doppia separazione.29 Le sue “battaglie” andranno dunque comprese alla
luce di questa doppia frattura che l’adolescente vive in forza della ricerca di
sé, e non immediatamente attribuibili alla divisione familiare.
27
F. CARNEVELLI, M. LUCARDI, La mediazione familiare. Dalla rottura del legame al riconoscimento dell’altro, Torino, Boringhieri ed., 2000. 28
P. GAMBINI, op. cit. p. 245 29
R. ARDONE, Nuove metodologie di aiuto alla famiglia in crisi: la mediazione familiare, in C. Marzotto, R Telleschi (a cura di), Comporre il conflitto genitoriale: metodo e strumenti, Milano, Unicopli, 1999.
27
§ 1.3 Il nocciolo della questione: all’affido congiunto
corrisponda un’equa distribuzione dei tempi di affido
bigenitoriale
Dopo aver illustrato i diversi aspetti della intricata questione della
sindrome da alienazione genitoriale, è necessario indicare quale sia, a parere di
molti, e tra questi certamente il dott. Vittorio Vezzetti e la Senatrice
Emanuela Baio, protagonisti nella lotta per la tutela dei minori, la reale
questione del contendere. Ecco l’ultima breve cronistoria che motiva il
sostanziale fallimento della legge 54/06, e, di riflesso, l’input corretto per il
cambiamento.
Il Parlamento italiano, seguendo la Convenzione sui diritti del
fanciullo30, emanava la legge 54/06 sull'affidamento condiviso,
apparentemente un enorme passo in avanti nella gestione delle separazioni
coniugali e spiccatamente nella tutela dei diritti dei minori. La gemma apicale
della legge risiedeva nella definizione del diritto del minore alla bigenitorialità,
vista come la situazione ideale per lo sviluppo armonioso e del benessere
psicofisico del bambino, specialmente se ancora in tenera età. La legge si è
rivelata inadeguata e inadatta a conciliare le parti in lite, e non è stata capace
di creare determinazioni pratiche stringenti perché si potesse, nei fatti e non
solo nelle affermazioni di principio, difendere la bigenitorialità. La situazione
è così grave che la stessa co-relatrice della legge, la senatrice Emanuela Baio si
esprime con queste parole nella prefazione del libro Nel nome dei Figli:
“Per chi come me è stata correlatrice e ha creduto profondamente nella
legge sull'affidamento condiviso, impegnandosi per farla approvare nel 2006, al
termine della 14esima legislatura, è ancor più doloroso dover ammettere questo
fallimento. Ci animava la speranza di cambiare la prassi giudiziaria e di
30
Nel mondo occidentale il principio della bigenitorialità viene affermato e applicato a partire dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, promulgata a New York il 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.
28
contribuire a far crescere la cultura della famiglia nel nostro Paese, ma purtroppo
non è stato così”31.
La legge 54/06 ha avuto l’intuizione della assoluta necessita per
figlio di poter accedere alle cure materne, che istruiscono i fondamentali
meccanismi della relazioni, insieme al necessario accudimento paterno, che
introduce nelle relazioni sociali come guida e riferimento certo. La legge
avrebbe dovuto scardinare consuetudini e stratificazioni della giurisprudenza
italiana, avrebbe dovuto far evolvere positivamente la nostra cultura sulla
famiglia, ma la bigenitorialità è rimasta sostanzialmente lettera morta.
Scrive ancora la Senatrice Baio:
“Prima del 2006 l’affido congiunto era già previsto dalle leggi, ma
veniva applicato solo in caso di accordo dei genitori. In presenza di disaccordi o
conflitti, la giurisprudenza, in via pressoché automatica, assegnava alla madre i
figli, la casa familiare e il diritto al mantenimento. Nell’84% dei casi, i figli
venivano affidati alla madre, e l’affido congiunto era adottato come l’extrema
ratio. Proprio per tale ragione, si è scelto di modificare la norma e di introdurre il
principio prioritario della bigenitorialità, da applicarsi in via generale, eccetto i
casi di incapacità e/o di impedimento di un genitore a svolgere adeguatamente il
proprio ruolo. Una legge importante e innovativa, dagli effetti dirompenti, che
avrebbe dovuto modificare sia la cultura sia la prassi giudiziaria, mutuando
l’esperienza consolidata e positiva della maggior parte dei paesi europei, non solo
quelli del Nord, ma anche di quelli, come Francia e Spagna, portatori di una
cultura simile alla nostra. Ma la realtà ha tradito le speranze e le aspettative:
questa legge è stata applicata con molte resistenze sia da parte di alcuni giudici,
avvocati e psicologi, sia da una, purtroppo consistente rappresentanza del mondo
femminile.” 32
L’osservazione superficiale dei dati relativi all’incremento nettissimo
dell’affidamento congiunto a partire dal 2006 a seguito della legge 54 dello
31
V. VEZZETTI, Nel nome dei Figli, Booksprint edizioni, p.11 32
V.VEZZETTI, op.cit., pp.12-13
29
stesso anno, porterebbe a letture ottimistiche del destino dei figli. Il rapporto
ISTAT per l’anno 2010 Separazioni e divorzi in Italia 33, dopo una lunga analisi
sulla realtà matrimoniale in Italia dal 1995 al 2010, afferma che il 68,7% delle
separazioni e il 58,5% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti
durante il matrimonio. L’89,8% delle separazioni di coppie con figli ha
previsto l’affido condiviso, modalità ampiamente prevalente dopo
l’introduzione della legge 54/2006.
Sembrerebbe un dato confortante. Se lo fosse, quanto detto sinora
sarebbe già superato, tuttavia l’analisi dei dati non tiene conto di un aspetto
dirimente la questione, cioè la negazione dell’assegnazione domiciliare
paritaria dei figli ai coniugi ormai divisi. Qui si gioca la questione reale della
contesa, infatti essa versa a favore della madre nella quasi totalità dei casi,
sulla base di quanto argomentato nelle righe precedenti.
Il vero nocciolo della questione è che all’affido congiunto
corrisponda un’equa distribuzione dei tempi di permanenza del bambino con
la madre e con il padre, andando certamente incontro a problemi logistici di
frequenti spostamenti da una casa all’altra, prezzo inevitabile per la ben più
importante relazione bigenitoriale, effettivamente fondamentale per il
bilancio globale della salute del bambino.
L’affidamento di fatto monogenitoriale (materno o paterno che sia)
rappresenta un grave vulnus per il benessere del minore, tuttavia, ciò che il
senso comune accetta come ovvio, la scienza deve vagliare e sottoporre al
proprio metodo di indagine. Occorre dimostrare su basi statistiche e prove
scientifiche che la miglior struttura familiare per il minore sia quella che
garantisca la bigenitorialità rispetto alla monogenitorialità. In questa linea
vanno diversi studi tra i quali spicca quello di Robert Bausermar (psichiatra
del Dipartimento governativo degli Stati Uniti)34 del 2002. Alcune tra le sue
conclusioni mostrano la chiara correlazione tra joint custody e miglior status
psichico; evidenziano l’infondatezza della obiezione secondo cui la joint custody
esporrebbe i bambini costretti ad avere due case di essere più sensibili a gravi
33
I dati sono disponibili in rete al sito www.ISTAT.It 34
R. BAUSERMAR, Child adjustment in joint-custody versus sole-custody arrangements: a meta analytic review, Journal of Family Psychology, N.1, vol. 16, 2002, pp. 91-102
30
conflitti, anzi risulta benefica; certifica che la joint custody può essere positiva
pur non evidenziandosi svantaggi specifici, ben definiti per la sole custody.
Un altro studio di grande importanza, Life Satisfaction Among Children
in Different Family Structures: A Comparative Study of 36 Western Societies 35, è stato
promosso e realizzato da una cordata di ricercatori delle università di
Bethesda, Stoccolma, Yvaskula, Cophenaghen, Akureyri e Goteborg, con lo
scopo di esaminare il grado di soddisfazione di vita e di percezione del
benessere familiare tra i bambini nelle diverse tipologie di strutture familiari.
Lo studio ha scelto un campione molto ampio di ben 36 Paesi di società
Occidentali, tra cui anche l’Italia, giungendo a una serie di conclusioni, di cui
cito solo quella che mi pare più inerente al nostro lavoro: i bambini che
vivono con entrambi i genitori biologici vivono una maggior soddisfazione di
vita, infatti raggiungono livelli di punteggio più alto rispetto ai bambini che
vivono la monogenitorialità.
Chiudo le citazioni di studi significativi ricordando la ricerca di
Fabricius e Hall, Young adults’s perspectives on divorce 36, strutturata sull’intervista
di 800 giovani universitari con l’infanzia passata con genitori separati. Tutti
hanno affermato di aver sempre desiderato trascorrere più tempo con i loro
padri, e di aver preferito una uguale ripartizione dei tempi di dimora secondo
la definizione paritaria.
È in corso un grosso lavoro di sensibilizzazione dell’opinione
pubblica che non trascura quegli elementi generativi di una svolta positiva
delle consuetudini e della mentalità comune. Ciò che davvero può orientare la
sensibilità delle masse è l’ambito legislativo nelle sue afferenze prossime o
remote.
In data 24 aprile 2014 al Parlamento europeo è stata fatta una
interrogazione con risposta scritta promossa dall’europarlamentare Sonia
Alfano, con la richiesta di affrontare la questione dei figli dei divorziati da un
35
AA.VV, Life Satisfaction Among Children in Different Family Structures: A Comparative Study of 36 Western Societies, Children & Society, Vol. 26, 2012, pp. 51–62 36
W.V. FABRICIUS, J. HALL, Young adults’s perspectives on divorce, Università dell'Arizona, USA, Family And Conciliation Courts Review, 38 (4), 2000, pp. 446-461
31
punto di vista medico scientifico lasciando sullo sfondo la questione
relazionale, dal titolo: Affrontare la crisi della famiglia nel nome dei figli 37.
Datata 4 luglio 2014, ecco la risposta di Johannes Hahn, a nome della
Commissione; recita così:
“La crescente mobilità dei cittadini nell'Unione europea ha moltiplicato
il numero di famiglie con una dimensione internazionale. La separazione delle
famiglie è spesso un processo difficile e doloroso, ma quando avviene in un contesto
transfrontaliero provoca stress e difficoltà ancora maggiori.
La Commissione è consapevole delle differenze tra i vari sistemi
nazionali e delle pratiche divergenti in materia di concessione ed esercizio dei
diritti di affidamento e delle obbligazioni alimentari, nonché del possibile impatto
di tali divergenze sui minori. Essa ritiene che in tutti gli atti relativi ai minori
debba essere considerato preminente l'interesse superiore del singolo minore: tale
valutazione può essere eseguita, ovviamente, soltanto caso per caso.
Per quanto concerne la responsabilità genitoriale, la legislazione europea
disciplina soltanto le questioni procedurali relative alla competenza dei giudici e al
riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni (regolamento Bruxelles II bis). La
Commissione sta attualmente valutando il funzionamento del regolamento
Bruxelles II bis. Nella relazione di valutazione adottata dalla Commissione il
37
Interrogazione parlamentare E-005595-14: “La tutela dei bambini è un'esigenza particolarmente sentita nell'Unione europea, anche con particolare riguardo ai conflitti familiari, in cui i minori risultano essere i soggetti più esposti. Peraltro è stato mostrato nel convegno «Affrontare la crisi della famiglia nel nome dei figli», tenutosi al Parlamento europeo lo scorso 23 ottobre, che esistono differenze significative nelle modalità di gestione dei divorzi per quanto riguarda l'affidamento dei minori. A volte basta superare un confine perché i minori siano trattati ingiustificatamente in modo del tutto diverso. Il pediatra italiano Vittorio Vezzetti ha altresì evidenziato come la perdita di un genitore o le difficoltà dovute alla separazione della coppia genitoriale siano in grado di produrre effetti immediati e a lungo termine sullo stato di salute dei minori. Sono ormai noti, nella grande letteratura scientifica internazionale, alterazioni dell'assetto bioumorale, ormonale, psiconeurologico e persino cromosomico (con azione dello stress sulla porzione telomerica). Risulta chiaro, quindi, che tale tematica, ben lungi dall'essere considerata un localistico problema di diritto di famiglia come potrebbero esserlo invece il mantenimento o l'assegnazione della casa, debba essere invece affrontata con un più universale linguaggio scientifico che ogni sistema giudiziario potrà poi recepire in piena autonomia secondo le proprie modalità. Poiché, evidentemente, non può dirsi davvero unita e solidale un'Europa che non assicura le stesse cure a tutti i «suoi» figli, ed essendo ormai disponibile in letteratura scientifica un'ampia mole di materiale; può la Commissione precisare se intenda, in un'ottica di eguale diritto alla salute, eseguire o valutare ricerche volte a definire delle best practices che possano essere di guida agli Stati membri nell'ottica di una maggiore armonizzazione delle procedure?
32
15 aprile 2014 si esamina la possibilità di introdurre procedure più armonizzate
su materie specifiche, ad esempio l'audizione del minore nei casi di affidamento
transfrontalieri. La Commissione ha inoltre avviato una consultazione pubblica
online sui sistemi integrati di tutela dei minori, destinata fra l'altro a raccogliere
esempi di buone prassi. Le questioni sollevate dall'onorevole parlamentare
saranno valutate nell'ambito dell'esame generale del regolamento Bruxelles II bis
e, più globalmente, della politica dell'UE in materia di promozione della tutela
dei diritti dei minori.”38
Anche il Parlamento italiano si sta muovendo, infatti per iniziativa
dei Senatori Divina, Floris, Bellot, Comaroli, Bisinella, Caridi, Ferrara e
Blundo, in data 4 novembre 2013 è stato proposto il Disegno di legge n°
1163 per cercare di porre rimedio alle storture generate dalle zone d’ombra
della legge 54/06.
Infine, riporto la recentissima interrogazione parlamentare a risposta
orale39 promossa dalla senatrice Paola Binetti datata 10 aprile 2014; in essa si
38
http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=E-2014-005595&language=IT 39 Interrogazione parlamentare a risposta orale 3/00759. Legislatura 17. Seduta di annuncio 209 del 10 aprile 2014. Prima firmataria Binetti Paola, gruppo Per l’Italia. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che: in caso di separazione dei genitori la pratica dell'affido condiviso dei minori è considerata quella di maggior tutela dei figli; secondo uno studio pubblicato da Children Society nel 2012 su 184.396 minori di 36 Paesi industrializzati (Italia inclusa), i minori (undicenni, tredicenni, quindicenni) che vivono in sistemazione di collocamento materialmente congiunto (suddivisione paritaria dei tempi) riportano un più alto livello di soddisfazione di vita rispetto ad ogni altra sistemazione di famiglia separata; la ricerca di Jablonska Lindbergh su 15.428 undicenni, tredicenni e quindicenni ha rilevato positive influenze dell'affido paritetico sull'eventuale uso di droghe, tabacco, alcool, sulla vittimizzazione (intesa come bullismo e violenza fisica subiti) e soprattutto sul distress mentale; benché la legislazione italiana stia andando decisamente nella direzione di favorire l'affido condiviso nonostante il numero crescente di teorici affidi condivisi, l'applicazione reale rimane grandemente inattuata e la condivisione tende a rimanere solo sulla carta; le statistiche indicano che l'attuale applicazione dell'affido condiviso nel nostro Paese genera una sperequazione temporale, per cui ad esempio, la media di pernottamenti mensili presso il genitore cosiddetto «non collocatario» (less involved) è oggi pari a circa sei (due se il minore ha meno di tre anni ma con tantissimi casi in cui non sono formalmente concesse che poche ore e senza pernotti) e il tempo teoricamente concesso è del 17 per cento (10 per cento versus 90 per cento per minori sotto i sei anni) ; l'Italia risulta il Paese più sanzionato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per non avere saputo tutelare i rapporti dei figli col genitore «less involved»; a fronte dell'inapplicazione reale dell'affido condiviso si devono inoltre registrare casi limite come quello di E. F., affidata congiuntamente ai genitori nel gennaio 2013 e bisognosa di terapie abilitative visive e motorie che sono state stabilite anche da perizie medico-legali e sentenze: a febbraio 2011 la
33
sollecita una reale applicazione della legge con una giusta perequazione
temporale del minore presso i genitori separati.
La presente dissertazione non può abbracciare l’intero orizzonte
evocato sinora ma cerca semplicemente di offrire qualche riflessione per
capire ciò che rappresenta il frutto amaro dell’ingarbugliata questione: la
malattia del bambino conteso, la cosiddetta Parental Alienation Syndrome (PAS).
corte d'appello di Torino ha disposto terapie sanitarie abilitative – visive, psicomotorie e logopediche – in favore della bambina, dopo l'accertamento medico-legale depositato a settembre 2010; nel mese di gennaio 2013 la corte d'appello di Torino ha concesso ai genitori l'affido condiviso di Elisa e ha confermato le terapie già prescritte due anni prima. Ciononostante ad oggi E. – che vive con la mamma e incontra saltuariamente il papà – non avrebbe ancora beneficiato di alcuna terapia visiva né motoria. Cure di cui il padre vorrebbe prendersi carico ma alle quali la bambina non è stata ancora sottoposta anche per probabili carenze amministrative –: se non ritenga di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ad agevolare la pratica dell'affido condiviso ai genitori, tenendo conto anche delle indicazioni a riguardo fornite dai tribunali; quali provvedimenti intenda porre in essere per risolvere casi come quello citato ad esempio, in cui anche a causa di inefficienze delle amministrazioni pubbliche scorre tempo prezioso senza che si affrontino problemi seri nonostante persino i pronunciamenti della magistratura. (3-00759)
34
CAPITOLO 2
LA SINDROME DELLA VENDETTA CONIUGALE: LA
TRASMISSIONE DELL’ODIO PATOLOGICO E IL SORGERE
DELLA “QUESTIONE PAS”. LA PROPOSTA DI RICHARD
GARDNER ALLA COMUNITÀ SCIENTIFICA
INTERNAZIONALE
Nei primi anni ’80 del secolo scorso, due importanti scelte della
giurisprudenza statunitense in ordine alla custodia dei figli in situazione di
separazione coniugale, hanno prodotto un contesto fertile per lo sviluppo di
una forma, sino ad allora sostanzialmente inedita, di conflitto familiare: la
sostituzione del principio della tenera età con quello dell’interesse prevalente del
bambino, e l’affidamento congiunto del minore ad entrambi i coniugi. In virtù di queste
disposizioni, il principio assodato e sostanzialmente automatico di affidare
alla madre i figli contesi, esautorando di fatto il ruolo genitoriale paterno, è
cominciato via via a scemare a favore di una valutazione della reale capacità
genitoriale di entrambi i coniugi in vista dell’affidamento dei figli.
Questo terreno ha fatto esplodere tutte le controversie coniugali,
sino ad allora risolte in sede legale secondo le consuetudini della
giurisprudenza, che azzerava la questione del contendere assegnando il
bambino alla madre. Le liti e gli scontri familiari, trasferiti ai vari livelli del
contrasto sino a quello giudiziale, hanno compromesso il già precario assetto
relazionale anzitutto tra coniugi e, in modo particolare, con i figli contesi. La
lotta senza quartiere per l’assegnazione della prole ha generato un quadro
relazionale nuovo tra madre, padre e figlio, una situazione nella quale lo
psichiatra forense Richard Gardner, del dipartimento di Psichiatria infantile
della Columbia University di New York, ha intravisto gli estremi per
l’identificazione di una vera e propria patologia relazionale.
Si tratta di una risposta adattiva del figlio conteso che, a causa del
condizionamento subito da uno dei due coniugi (Gardner osservò il
fenomeno anzitutto nelle madri), veniva progressivamente condotto a
rifiutare l’altro genitore e a respingerlo in maniera sistematica senza che vi
35
fosse un motivo apparente e logicamente validante il rifiuto. Il trauma della
separazione e l’azione pervasiva di uno dei coniuge sul figlio conteso
producevano così un costante atteggiamento denigratorio e di odio nel
bambino verso l’altro coniuge, configurando quella che il nostro autore
chiama Parental Alienation Syndrome (PAS).
La prima definizione della PAS appare nel 1985 nell’articolo che
Gardner scrisse per sottoporre alla comunità scientifica internazionale il
nuovo disturbo relazionale. In Recent Trend in Divorce and Custody Litigation40
Gardner sostiene che è possibile una concettualizzazione della malattia, che si
presenta quasi unicamente nelle situazioni di separazione e a seguito di una
vera e propria campagna denigratoria di un coniuge contro l’altro, nel quale il
figlio è oggetto di plagio psicologico finalizzato alla alienazione dell’altro
coniuge. Non si tratterebbe di un semplice lavaggio del cervello, cosa per
altro nota alla psichiatria, bensì una alleanza relazionale estorta con la
violenza psicologica al bambino, che entra a far parte del conflitto a pieno
titolo assumendo un ruolo preciso e diventando soggetto attivo di
strutturazione e mantenimento della patologia.
Gardner sostiene esplicitamente che con la PAS siamo in presenza di
una sindrome che va oltre il lavaggio del cervello, pur essendo esso stesso
necessario per la diagnosi differenziale. Nell’introduzione ad un suo
fondamentale studio, l’autore afferma:
“La Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS), è un disturbo che
insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In
questo disturbo, un genitore (solitamente indicato come alienatore, genitore alienante
o genitore origine della PAS), attiva un programma di denigrazione contro l’altro
genitore (generalmente indicato come genitore alienato o genitore bersaglio). Tuttavia,
questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione”,
40 R. GARDNER, Recent Trend in Divorce and Custody Litigation, Forum Academy, Volume 29, N. 2, 1985, pp. 3-7
36
poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione.
E’ proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS”.41
Nella PAS il soggetto malato, pur essendo target della sindrome, ne è
al contempo promotore non in maniera passiva ma in autonomia, o meglio in
una sorta di “libertà vigilata”.
Malagoli Togliatti e Franci, su questo tema si esprimono così:
“La PAS rappresenta una situazione in cui il figlio gioca un ruolo
nell’attivazione e nella persistenza del conflitto tra i genitori, egli diventa co-autore di
una situazione relazionale familiare che implica una collusione sia a livello familiare
che extra familiare. Il minore, quindi, non può essere considerato solo come vittima
di tale situazione, ma si deve riconoscere il suo ruolo attivo, come avviene del resto,
con grave sofferenza, anche nei casi di abuso. Questo non significa non considerare il
ruolo del genitore alienante e le sue responsabilità né significa spostarle sul
minore”.42
Il pregio di Gardner è di aver dato un profilo scientifico alla malattia
e di averla liberata dalle sabbie mobili delle sindromi note. Già altri autori,
prima del nostro, hanno notato questa alleanza patologica tra un genitore e il
figlio coalizzati contro l’altro coniuge, tuttavia Gardner ha il merito di
collegarla direttamente alle situazioni di conflitto coniugale, di svincolarla
dalle logiche del lavaggio del cervello cogliendone così la valenza specifica e la
partecipazione attiva del bambino, e, infine, di aver cominciato a tracciare dei
criteri diagnostici rigorosi entro i quali è possibile inquadrare la malattia.
41 R. GARDNER, The Empowerment of Children in the Development of Parental Alienation Syndrome, The American Journal of Forensic Psychology - 20(2), pp. 5-29, 2002. 42 M. MALAGOLI TOGLIATTI, M. FRANCI, La Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS): studi e ricerche, in Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 7, n. 3, dicembre 2005
37
In Italia la questione PAS è stata portata alla ribalta anzitutto da
Isabella Buzzi in uno specifico capitolo in Separazione, divorzio e affidamento dei
figli 43 introducendo così la dizione Sindrome di alienazione genitoriale, con la
quale la malattia è nota nel nostro Paese. Con lei, anche Guglielmo Gulotta
ha contribuito grandemente alla comprensione della sindrome con molte
pubblicazioni scientifiche, tra cui merita una menzione specifica La sindrome
da alienazione parentale (PAS): Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno
dell’altro genitore” 44 (nello sviluppo della dissertazione farò espressamente
riferimento a questo studio di G. Gulotta).
Le osservazioni di Gardner entrano progressivamente nello specifico
della diagnosi clinica e vanno via via definendo sintomi primari, livelli di
sviluppo della malattia e specifiche attenzioni che gli operatori della salute
devono avere verso i soggetti coinvolti. Gardner afferma che il bambino
diventa come ossessionato dall’odio patologico del genitore alienante, che
mette in campo apposite strategie di condizionamento, dirette e indirette,
volte a promuovere nel bambino un progressivo distacco dalla figura
dell’altro genitore e da tutto ciò che ad esso appartiene. L’autore individua
otto sintomi primari della PAS:
1. campagna di denigrazione;
2. razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il
biasimo;
3. mancanza di ambivalenza;
4. il fenomeno del pensatore indipendente;
5. appoggio automatico al genitore alienante nel conflitto genitoriale;
6. assenza di senso di colpa per la crudeltà e l’insensibilità verso il
genitore alienato;
43 I. BUZZI, Sindrome di alienazione genitoriale, in Cigoli V. Gulotta G. & Santi G. (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Milano, Giuffré ed., II Ed., 1997, pp. 177-188. 44
G. GULOTTA, A. CAVEDON, M. LIBERATORE, La sindrome da alienazione parentale (PAS): Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano, Giuffrè ed., 2008.
38
7. utilizzo di scenari presi a prestito;
8. estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del
genitore alienato.
Nel corso della dissertazione avrò modo di entrare nella descrizione
dettagliata di ognuno di questi sintomi, ma è chiaro sin dall’inizio che l’esito
di questa campagna denigratoria è quella della trasmissione dell’odio da una
generazione all’altra, facendolo diventare elemento strutturante della relazione
figlio/genitore alienato. Il campo di battaglia è quello delle relazioni
all’interno del clan familiare, dove anche i parenti e gli amici diventano parte
attiva dell’azione di plagio del bambino, il quale, nel ruolo di vittima e alleato,
va progressivamente acquisendo potere nei confronti del genitore alienato.
La PAS distrugge il ruolo di entrambi i genitori e li distoglie dalla
loro funzione primaria di educatori paritari del figlio, attribuendogli di fatto
un potere di condanna e giudizio che non ha eguali in altre situazioni
storiche. Il bambino alienato si trova a decidere della qualità della vita
dell’uno e dell’altro genitore; con la sua volontà detiene il potere di generare
gioia o dolore nella coscienza di entrambi i genitori, ma in modo specifico in
quella della parte alienata, concedendo o negando l’amore e le attenzioni
necessarie per un sano rapporto parentale. Il bambino che si trova nel mezzo
del conflitto è caricato di responsabilità che non è in grado di sopportare,
trasformandosi in giudice spietato dei propri genitori.
La PAS non ha una manifestazione dicotomica, e si presenta in tre
livelli di importanza, ciascuno con una sua specifica pertinenza in seno agli
otto sintomi indicati. I livelli sono: lieve, moderato e grave. Per ciascuno di
essi è necessario un intervento terapeutico appropriato, che avrò modo di
illustrare nel corso della dissertazione.
La PAS è una malattia multifattoriale e intergenerazionale la cui
responsabilità grava principalmente sui genitori in conflitto e sulla
cristallizzazione della nostra società (come ho avuto modo di accennare nel
primo capitolo). I tratti di personalità dei soggetti in gioco (genitore alienante,
genitore alienato e bambino alienato) verranno analizzati a tempo debito, e
39
non verrà nemmeno scartata l’ipotesi che essi stessi abbiano disturbi psichici
pregressi, da cui dipende la successiva campagna denigratoria della PAS. Nel
contesto della separazione emergono tra gli ex partner anche sentimenti di
rivalsa e di vendetta 45, che sono tra i detonatori della sindrome, e vanno ad
acuire la dipendenza patologica e la compromissione del processo di
identificazione e affrancamento di cui il bambino necessita.
Insieme al fallimento dello sviluppo emotivo del bambino, si assiste
anche al fallimento educativo dei genitori che, a causa della tracimazione del
conflitto, finiscono con l’autodistruzione della funzione genitoriale materna e
paterna, codici educativi egualmente importanti per il bambino.
Gardner, infine, insiste nel sottolineare che questa influenza malevole
sul bambino sia da equiparare all’abuso, non più relegabile alla dimensione
fisica e sessuale ma necessariamente da estendere all’aspetto psichico e
morale. La PAS è un vero abuso psicologico sul bambino, e in quanto tale va
trattata nei diversi ambiti di intervento.
Al contempo appare ai più che la definizione diagnostica della
patologia non segua i criteri della univocità. È molto semplice diagnosticare
ad esempio una malattia del sistema scheletrico o dell’apparato digerente,
infatti all’azione dell’agente patogeno corrispondono sintomi inequivocabili.
Nella PAS non è così perché la causalità diretta è difficilmente dimostrabile in
forza delle molte variabili in gioco. Lo stesso DSM 5 non contempla la PAS
come sindrome specifica, considerandone solo gli elementi parziali e non
correlandoli fra loro in una solida composizione unitaria; la PAS appare più
come una distorsione relazionale (così la definisce Gulotta) difficilmente
riconducibile a dei criteri diagnostici univoci. L’insistenza dei sostenitori della
identità specifica della sindrome per il riconoscimento della PAS come una
malattia psichico/relazionale ha mostrato i suoi limiti e non è ancora accettata
nella standardizzazione scientifica del manuale diagnostico statistico. Sarebbe
astutamente più utile percorrere un altro sentiero, quello del riconoscimento
del nesso di causalità tra joint custody (affido ad entrambi i genitori) e benessere
45
I. BUZZI, Sindrome di alienazione genitoriale, in Cigoli V., Gulotta G. & Santi G. (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Milano, Giuffré, II , 1997, pp. 177-188.
40
psichico del bambino, e, simmetricamente, il nesso di causalità diretta da sole
custody (affido ad uno solo genitore) e malessere psichico. Questa seconda
opzione è in fase di realizzazione, così come ho già avuto modo di accennare
nel primo capitolo.
41
CAPITOLO 3
LA SINDROME OLTRE IL GENERICO DISTURBO E LE
DIFFICOLTÀ DEL DISCERNIMENTO MEDICO
“La sindrome di alienazione genitoriale non è rara nelle famiglie in cui
i genitori si separano in quanto molte delle risposte personali di genitori e figli
finiscono col colludere (dal latino colludere, giocare insieme)”46.
La PAS non trova altri ambiti di sviluppo se non nelle relazioni
conflittuali per l’affidamento dei figli. Nella disputa che nasce tra i genitori
per l’assegnazione in affidamento del figlio può, in determinate condizioni e
contesti, svilupparsi la sindrome, che appare come l’esito di una campagna
denigratoria costante e sistematica agita sul figlio, finalizzata alla distruzione
morale di un genitore da parte dell’altro. Il bambino conteso è condizionato
pesantemente fino a che assuma gli stessi sentimenti di odio del primo
genitore contro l’altro. Quando il bambino è vinto e sopraffatto dalla strategia
di plagio del genitore alienante, egli stesso diviene fedele alleato nel
mantenere alta la soglia di denigrazione e diffamazione del genitore alienato.
Nella PAS al suo più alto grado, genitore alienante e figlio alienato siglano
una vera e propria alleanza, finalizzata all’amore simbiotico e fusionale tra
loro e all’allontanamento definitivo dell’altro genitore mediante un netto
rifiuto, che non si può giustificare se non alla luce del condizionamento
subito.
46
I. BUZZI, Sindrome di alienazione genitoriale, in Cigoli V., G. Gulotta G. & Santi G. (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Milano, Giuffré ed., II Ed., 1997
42
§ 3.1 Identificazione della malattia
I ruoli cominciano ad apparire nella loro chiarezza. Il genitore alienante
(o programmatore) è il promotore e sostenitore della strategia distruttiva; il
genitore alienato (o bersaglio) è colui che subisce la campagna di biasimo e
denigrazione; il bambino alienato è il figlio conteso che subisce l’azione di
condizionamento da parte del genitore alienante.
A fronte di un evidente e massiccio intervento di condizionamento
da parte di uno dei genitori, emerge la domanda circa il limite dell’influenza
dei genitori stessi sui figli, cioè l’individuazione della linea di demarcazione
che separa la giusta e doverosa influenza che un genitore deve esercitare su
un figlio, dalla invasività educativa che prevarica le prerogative del bambino.
Ogni genitore cerca di trasmettere il proprio patrimonio valoriale al figlio
attraverso l’insegnamento e, a volte, anche con la coercizione e il diniego,
senza che questo appaia prevaricatorio rispetto alle libertà del minore. La
condizione normale di rapporto tra genitore e bambino è segnata da una forte
influenza del primo, le cui parole e azioni sono accettate dal bambino come
verità senza alcun bisogno di altre verifiche. Il ruolo genitoriale prevede in se
stesso una potente azione di orientamento del pensiero e dell’azione dei
propri figli.
Ma come distinguere, allora, una azione educativa normale da una
patologica, che tendenzialmente sopisce le inclinazioni naturali del bambino e
va ad incrinare la sua dignità di persona umana?
Non è sempre facile distinguere il limite tra l’una e l’altra azione, ed è
necessario ricorrere a dei criteri di discernimento diagnostico che permettano
l’evidenziarsi della patologia. In questa ricerca speculativa si valutano
moltissime variabili, da considerare attentamente per distinguere la PAS da
altre forme di relazioni che non possono essere considerate patologiche.
Occorre una complessificazione generale che assuma i tratti di una
analisi sistemica; in essa devono trovare spazio le variabili personalistiche dei
soggetti in causa, le loro dinamiche relazionali e i contesti di vita.
43
I tratti di personalità, eventuali patologie psicotiche o da disturbo di
personalità, esperienze traumatiche o episodi stressanti, la forza o la
debolezza psicologica, gli elementi di coping ecc, devono entrare nella
comprensione delle caratteristiche di personalità di tutti i soggetti.
Va considerato con attenzione il rapporto che si è strutturato negli
anni tra il bambino e il caregiver di riferimento. L’attaccamento emotivo
generato nei primi anni di vita segna nettamente le modalità della relazione tra
figlio e genitori. In questo tratto dell’analisi occorre far riferimento alla teoria
dell’attaccamento di J. Bowlby secondo cui bambini, biologicamente orientati,
sviluppano un forte legame emotivo con i genitori, legame finalizzato alla
sopravvivenza e all’adattamento nel mondo. Il bisogno di affetto e cure
parentali, insieme a nutrimento e protezione, permettono la creazione di una
relazione di dipendenza dai genitori, che sarà intuitivamente rielaborata nel
conflitto affinché sia ripotenziata a favore del genitore alienante, e negata per
il genitore alienato.
Infine, non si possono dimenticare i fattori di contesto cioè tutte
quelle variabili specifiche che determinano il clima, l’umore, le tensioni
emotive delle persone in causa, come ad esempio l’intervento di terze persone
(nonni, parenti, amici) oppure fattori obiettivi come la struttura familiare, il
ceto sociale di appartenenza ecc.
Quelli appena citati sono elementi da tenere necessariamente in
debito conto per una corretta diagnosi, tuttavia Buzzi ci dà un modello
semplice e lineare per cominciare ad orientarci nella discriminazione della
sindrome, proprio alla luce della teoria dell’attaccamento pocanzi citata.
L’autrice, riprendendo il modello teorico del Continuum dalla buona
relazione alla PAS di Kelly e Johnston47, mostra che la sindrome e la sua
fenomenologia non siano da inquadrare in una visione dicotomica del tutto o
niente, ma in una oscillante fluttuazione su una linea retta, i cui poli opposti
47
J.B. KELLY, J.R. JOHNSTON, The alienated child: a riformulation of a parental alienation syndrome, in Family Court review, 2001, pp. 297-311
44
enucleano da una parte la positiva relazione del bambino con i genitori, e
dall’altra quella negativa del bambino estraneato. Ma entriamo nel dettaglio:
1. Nella prima zona, l’area della normalità relazionale, il
bambino non ha preferenze di genitori. Ha eguale confidenza con
ciascuno dei due e ama passare il tempo con entrambi i genitori.
2. Nella seconda zona, spostandoci verso il centro del
continuum, si entra nello spazio in cui il bambino avverte una
maggior affinità per uno dei genitori. È una situazione di normalità in
quanto non viene espresso un rifiuto per un genitore, bensì una
preferenza per l’altro dovuta all’identità di genere, alle qualità
temperamentali o a particolari bisogni del momento emotivo del
bambino. È una affinità che può essere costante oppure altalenare da
un genitore all’altro.
3. Nella terza area il bambino tende ad allinearsi con un
genitore. Non siamo ancora in presenza della PAS ma certamente di
una condizione di stress continuo del bambino, il quale, a seguito
della separazione dei genitori, individua nell’uno il “buono” e
nell’altro il “cattivo”. Il bambino tende a prendere le parti del
genitore che avverte più debole e meno attrezzato per sostenere il
conflitto coniugale, offrendosi in alleanza relazionale. A differenza
dell’area successiva, questa permette al bambino di essere egli stesso
promotore di relazione di sostegno, spontaneamente offerta alla
parte genitoriale debole. In questa fase il bambino conserva ancora
sentimenti ambivalenti verso il genitore “cattivo”. Buzzi nota: “Sotto
la superficie, comunque, questi bambini provano affetto per entrambi i genitori e
mentre possono avere delle resistenze a trascorrere del tempo col genitore “cattivo”,
di solito accettano le sue visite e si divertono, nonostante lo esprimano raramente
al genitore preferito. Nonostante possano mostrarsi di cattivo umore e essere chiusi
o scontrosi col genitore che non vive più con loro, specialmente quando l’altro è
presente, non esprimono sentimenti di rabbia né si lamentano mai direttamente
45
con questo genitore, ma esprimono la maggior parte delle lamentele con il genitore
cui sono affidati e col quale si sono allineati.”48
4. Bambini alienati. In questa parte del continuum il
bambino si presenta incapace di ambivalenza verso il genitore
alienato, totalmente schierato dalla parte del genitore alienante e
mosso da sentimenti di odio, rabbia e vendetta trasmessigli mediante
condizionamento dal genitore alienante. Questi bambini hanno
subito un “lavaggio del cervello” e partecipano attivamente alla
campagna denigratoria del genitore alienante. Si tratta di casi rari che,
tuttavia, contemplano bambini che hanno sviluppato l’avversione
proprio nel contesto della separazione dei genitori. Alle spalle hanno
una normale relazione con entrambi i genitori; di solito la loro età
varia tra i 9 e i 15 anni, e non mostrano alcun senso di colpa o
pentimento dopo aver compiuto azioni denigratorie o offensive
verso il genitore alienato.
Per maggior precisione, ricordo che Kelly e Johnston in realtà
riferiscono di una ultima categoria, quella del bambino estraneato, il quale ha
effettivamente alle spalle una storia di violenza con abusi e trascuratezza. Lo
stress generato da quelle situazioni del passato portano il bambino alla
estraneazione verso il genitore colpevole.
Pare interessante la pur breve presentazione di un secondo modello,
quello di Drozd e Olesen49 basato sulle relazione patologiche/non
patologiche tra genitori e figli, dopo la separazione dei coniugi. Si tratta di un
modello simile al precedente ma più specifico, perché espressamente
improntato sulla relazione genitori/figli.
1. Relazioni non patologiche.
a. Parità relazionale del figlio con entrambi i genitori.
b. Maggior affinità con un genitore (in famiglie non
abusanti) a motivo di una miglior affinità caratteriale o
48
I. BUZZI op. cit. 49
L. DRODZ, N. OLESEN, It is abuse, alienation, and/or estrangement? A decision tree, in Journal of Child Custody, 1 (3) 2004, pp.65-105
46
semplicemente per il maggior tempo passato con il genitore
preferito.
c. Alleanza con un genitore (in famiglia non abusante). La
relazione di preferenza marcata non è causata da alcuna azione
diffamatoria del genitore preferito su quello non preferito.
d. Relazione protettiva in famiglie abusanti. È la situazione
del genitore che ha subito violenza dal coniuge; per evitare che la
stessa violenza sia agita sul figlio, mette in atto una strategia di
alienazione nei confronti del coniuge violento.
2. Relazioni patologiche
a. Identificazione col genitore violento. Il bambino, per
evitare di subire la medesima violenza arrecata al genitore vittima,
sceglie di schierarsi dalla parte del genitore violento e maltrattante.
b. Bambino estraniato a causa dell’abbandono parentale.
c. Bambino estraniato a causa di un reale abuso subito da
uno dei genitori.
d. Alienazione del bambino in famiglie non abusanti. In
questo caso il rifiuto del genitore è immotivato
e. Alienazione agita dal genitore abusante che, oltre ad
agire violenza sul coniuge, gli aliena anche il figlio.
f. Alienazione del bambino agita dal genitore – vittima
nelle famiglie con abusi.
Queste osservazioni permettono di cominciare a distinguere la PAS
e a discriminarla dalle altre forme di relazioni patologiche o meno. Le
osservazioni riportate sinora definiscono il campo di indagine e offrono dei
punti fermi, i primi che vado ad elencare:
1. La PAS è una malattia delle relazioni, e, in quanto tale,
può essere compresa, corretta e, mediante opportuni trattamenti,
anche sanata (ad esempio con il Family Bridge di Richard A. Warshak
47
e la proposta di Matthew Sullivan che illustrerò nel corso della
dissertazione).
2. La PAS ha una ricaduta esplicita e causale sul benessere
psico-fisico del bambino alienato. Il nesso di diretta relazione causale
tra patologia (e le componenti che la caratterizzano, come ad
esempio l’affidamento esclusivo ad un solo genitore) e salute è stato
dimostrato dai diversi studi citati nel capitolo 1 della presente
dissertazione, e in particolare da quello di Robert Bausermar.50
3. La PAS necessita di un genitore alienante. Venendo
meno la sua azione programmatoria anche la sindrome recede e
scompare.
4. La PAS, in quanto coinvolge le persone e le loro
complesse e articolate relazioni, è strutturalmente difficile da
diagnosticare, spesso celata sotto le mentite spoglie di relazioni
semplicemente problematiche. La diagnosi necessita di una
complessificazione nella analisi in un quadro multifattoriale.
5. La PAS è una sindrome dell’intero sistema familiare e si
articola nella relazione con tutte le persone che ad esso partecipano
attivamente.
6. La PAS è più del semplice “lavaggio del cervello” del
bambino alienato, al quale sono richieste accondiscendenza, lealtà,
iniziativa personale e fedeltà al genitore alienante.
7. La PAS non si sviluppa come difesa del bambino a
fronte di un abuso subito da parte del genitore alienato. Se ci fosse
abuso del genitore target non si potrebbe parlare di PAS.
8. La PAS necessita di una strategia di condizionamento
sul figlio da parte del genitore alienante, finalizzata alla conquista
della mente del bambino, che viene convinto della malignità dell’altro
genitore. Questo avviene attraverso tecniche appropriate.
50
R. BAUSERMAR, Child adjustment in joint-custody versus sole-custody arrangements: a meta analytic review, Journal of Family Psychology, vol. 16, N.1, 2002, pp. 91-102
48
9. Prima della esecuzione del programma di biasimo, tra
genitore alienato e figlio alienato c’era un normale rapporto non
patologico
10. La motivazione che spinge il genitore programmante è il
bisogno di vendetta generato dall’odio
§ 3.2 Criteri diagnostici e fenomenologia
Essendo una sindrome complessa, ci avviciniamo alla PAS con
gradualità, andando, passo dopo passo, ad evidenziarne gli aspetti essenziali
affinché il quadro si illumini progressivamente.
Gardner, prima di analizzarla nel dettaglio, la descrive sinteticamente
come “… un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per
la custodia dei figli. E’ questo un disturbo nel quale i bambini, programmati dal cosiddetto
genitore “amato”, si imbarcano in una campagna di denigrazione del presunto genitore
“odiato”. Il bambino mostra una minima, se non nulla, ambivalenza per la sua ostilità
che, spesso, estende alla famiglia allargata del presunto genitore disprezzato. … In questi
casi, non ci si trova di fronte ad un semplice “lavaggio del cervello” effettuato da un genitore
contro l’altro. Gli argomenti di denigrazione offerti in proprio dal bambino, danno spesso
un contributo significativo e possono completare gli scenari presentati dal genitore
programmante”.51
Secondo Gardner i principali sintomi della PAS sono otto, e si
possono considerare come criteri diagnostici per la discriminazione
differenziale della malattia: campagna di denigrazione; razionalizzazioni
deboli, superficiali e assurde per giustificare il biasimo; mancanza di
ambivalenza; il fenomeno del pensatore indipendente; appoggio automatico
al genitore alienante nel conflitto genitoriale; assenza di senso di colpa per la
crudeltà e l’insensibilità verso il genitore alienato; utilizzo di scenari presi a
51
R. GARDNER, Recommendations for Dealing with Parents Who Induce a Parental Alienation Syndrome in Their Children, Journal of Divorce & Remarriage, Volume 28(3/4), 1998, pp. 1-21
49
prestito; estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del genitore
alienato.
A questi, l’autore ne aggiunge altri:
1. Difficoltà di transizione nei periodi di visita presso il
genitore non affidatario. È la condizione del bambino che, nella
previsione di incontrare il genitore alienato, manifesta insofferenza e
propone assurde motivazioni per evitare l’incontro (compiti arretrati,
arrivo dell’amichetto a casa ecc). Il bambino può produrre anche
manifestazioni fisiologiche di protesta per evitare l’incontro (vomito,
malessere, mal di pancia ecc). Tutto questo appare anomalo in quanto
la visita al genitore target è programmata da tempo, e, in genere, è
piacevole e ricca di gratificazioni.
2. Comportamento ostile del bambino verso il genitore
alienato durante le sue visite. In continuità con il criterio precedente, il
bambino può assumere un atteggiamento provocatorio finalizzato a
far alterare il genitore target, fargli perdere la pazienza, magari
suscitare in lui un atteggiamento di severità eccessiva; questo
diventerebbe un buon motivo per evitare le successive visite e per
confermare il giudizio negativo del programmatore sul genitore
alienato.
3. Stretto legame del bambino col genitore alienante. Tra i
due non è inusuale che si strutturi una relazione di tipo simbiotico
invischiante. I confini dell’uno e dell’altro si perdono e si assiste ad
una vera folie a deux, cioè una psicosi condivisa a due, nella quale il
programmatore coinvolge il figlio alienato in questa sindrome psichica
che, ovviamente sarà sempre negata dal programmatore; questi eviterà
di volta in volta di sottoporsi ad analisi psichiatriche mirate.
4. Legame del bambino con il genitore alienato prima della
alienazione. Quest’ultimo criterio appare il più determinante nella
valutazione diagnostica, specialmente quando è affiancato dalla paura
del bambino di stare con il genitore alienato. Qui si può valutare lo
presenza e l’intensità della malattia mettendo proprio a confronto la
50
situazione pregressa con l’attuale, mostrando come, in assenza di
motivi razionalmente validi e validanti, si sia passati da una situazione
di normalità ad una di patologia.
Alla campagna di denigrazione del genitore alienante corrisponde una
partecipazione attiva del bambino alienato, senza che questi riceva alcuna
punizione o rimprovero da parte del genitore programmatore. Il bambino
manifesta sentimenti negativi e di mancanza di rispetto per il genitore
alienato, senza mostrare alcuna forma di pentimento. In questa azione, non
solo non è redarguito dal genitore alienante (cosa che farebbe qualsiasi
genitore in una condizione di normalità), ma è addirittura incoraggiato e
spinto a continuare. Nella acquisizione dello stile denigratorio, il bambino
assume toni e atteggiamenti del genitore alienante, mimandone e
riproducendone movenze e parole.
Le razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il biasimo,
rappresentano il tentativo di spiegare il comportamento irrazionale di odio
verso il genitore alienato. Le motivazioni addotte appaiono posticce, mediate
e indotte. Sono giustificazioni superficiali e assurde, quelle che potrebbero
apparire, ad esempio, come la seguente: “non voglio stare con papà (o mamma)
perché non mi piace la mia stanzetta”.
La mancanza di ambivalenza, espressione tipica della presenza di PAS, è
la certezza interiore del bambino che il genitore alienato abbia solo
caratteristiche negative e personifichi il male stesso. Non è concessa al
genitore alienato nessuna caratteristica positiva. La totale positività è
appannaggio del genitore alienante che risulta essere privo di difetti e ricco di
doti. È il tutto buono da una parte, e il tutto cattivo dall’altra. In situazioni
normali, invece, ad ogni bambino è insegnato il discernimento sulla
compresenza di bene e male e sulla possibilità che le persone abbiano
caratteristiche buone e cattive. Ai bambini si insegna (o si dovrebbe
insegnare) che verso le persone si possono nutrire sentimenti di diverso
segno a seconda delle disuguali situazioni.
51
Il fenomeno del pensatore indipendente (secondo Gardner fondamentale
per la diagnosi di PAS) si determina quando il bambino alienato sostiene di
aver pensato in proprio tutto ciò che crede dei suoi genitori e specialmente
dell’alienato. Egli dice di aver elaborato le cose in maniera autonoma e senza
l’influenza di nessuno, tuttavia spesso tradisce l’utilizzo di vocaboli o
strutturazioni sintattiche che non sono compatibili con il suo sviluppo
cognitivo, segno, dunque, di manipolazione e indottrinamento da parte di un
adulto. Questo avviene per l’intuizione del bambino che il genitore alienante
desideri che il rapporto di dipendenza che li unisce non emerga alla vista degli
altri; dunque è necessario occultare l’ipotesi di un condizionamento cognitivo
rimarcando la libertà di giudizio del minore. A riprova di ciò, il bambino
spesso insiste nel sostenere che nessuno lo abbia convinto a dire certe cose
cattive sul papà (o la mamma).
L’ appoggio automatico al genitore alienante nel conflitto genitoriale
avviene spontaneamente perché il bambino, come già osservato da Drozd e
Olesen a proposito delle relazioni patologiche genitore/figlio52, tende a
schierarsi dalla parte del più forte per evitare di subire la medesima violenza
agita sul genitore bersaglio. Al violento si dà sempre ragione, a prescindere da
come si comporti o da cosa dica: “Se la mamma dice così, allora bisogna fare così”
L’assenza di senso di colpa per la crudeltà e l’insensibilità verso il genitore
alienato è forse l’aspetto che più colpisce l’osservatore esterno. Da questa base
di partenza, a pioggia, possono venire le accuse più infamanti. Una volta che
il minore si è liberato del “fardello” del senso di colpa, non c’è limite a quello
che potrebbe sostenere, non ultime le accuse di abuso e violenza; per
produrle sarebbe sufficiente l’invito implicito del programmatore.
L’utilizzo di scenari presi a prestito si collega al fenomeno del pensatore
autonomo. In questo caso il bambino alienato, che ha colto l’efficacia e il
vantaggio per sé e per il programmatore dell’utilizzo di parole ed espressioni
particolari, adotta immagini e vocabolario che non possono appartenergli e di
cui non conosce il significato. Di essi sa solo che produrranno vantaggio
52
DROZD e OLESEN, op.cit.
52
all’uno e danno all’altro; e li utilizza senza remore. Il figlio potrebbe dire: “il
papà (o la mamma) non ha capacità logistiche e organizzative, e dissipa le sue energie come
uno scriteriato”. Un bambino non parla così. Qualcuno gli ha suggerito queste
parole.
Nell’estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del genitore
alienato, si osserva una diffusione dell’odio del bambino sull’intero clan
familiare del genitore target. Il bambino diventa maleducato e intollerante
verso zii, cugini, nonni che appartengono al mondo del genitore alienato,
mancando di rispetto in maniera sistematica alle figure adulte. Questo avviene
nella consapevolezza acquisita di non ricevere nessuna punizione dal genitore
alienante. Il bambino acquisisce così un potere sugli adulti che non ha pari (o
non dovrebbe averne) in situazioni di normalità. Egli si sente libero di
offendere e gestire senza ritegno quelle che fino a poco temo prima erano
figure che emanavano un senso di rispetto e deferenza. Su questa ultima nota
tornerò più avanti.
§ 3.3 Livelli di gravità
Mettendo a tema il livello di gravità della sindrome, risulta
determinante ricordare che “Gardner sostiene l’esistenza di un continuum tra i tre
livelli considerati e che i confini tra gli stessi non risultano affatto rigidi... Chi effettua la
valutazione diagnostica, dovrebbe essere consapevole del fatto che il grado della PAS non è
determinato dagli sforzi del genitore programmante ma da quanto questi sforzi per
indottrinare il bambino abbiano avuto successo”.53
La complessa sintomatologia illustrata da Gardner si articola su livelli
differenti che, come su un continuum, evidenziamo la gravità e l’incidenza
della PAS. Lo studioso statunitense individua tre livelli: lieve, medio e grave.
Nell’acuirsi della malattia si assiste all’incremento del numero e della intensità
53
A. RITUCCI, V. ORSI , I. GRATTAGLIANO, La sindrome di alienazione genitoriale (PAS: fattori eziologici, criteri di identificazione e proposte di intervento, Jura Medica - Anno XXI, N. 2- 2008
53
dei sintomi, fino alla sindrome pura nella quale tutti i sintomi sono presenti in
forma grave. A questo stadio la malattia non si può più confondere con altre
patologie.
Livello lieve. A questo primo stadio della malattia gli otto sintomi
principali elencati sono appena percepibili o addirittura alcuni di essi possono
essere assenti del tutto. In questa fase si assiste ad una ancor accettabile
libertà del bambino che, pur essendo già influenzato dal programmatore,
continua a conservare buona ambivalenza e una sufficiente tenuta emotiva
nel transito da un genitore all’altro. In questa fase il genitore alienante cerca di
entrare nelle grazie del figlio e di insinuare, mediante tecniche di
condizionamento (che illustrerò in un apposito capitolo), il sospetto che
l’altro genitore sia un individuo indegno di tale responsabilità. Ha inizio la
campagna denigratoria che, a questa altezza dello sviluppo della sindrome, è
volta anzitutto a sminuire il valore e la significatività del genitore alienato; di
lui si tende a parlarne sempre meno, e , quando questo avviene, lo si fa
sempre in termini negativi e tendenziosi. Il genitore alienante dimostrerà
indifferenza per le vicende dell’ex coniuge, anzi ostenterà soddisfazione se tra
figlio e genitore target i rapporti si incrinassero. La campagna di denigrazione
inizia quindi con lo svilimento della identità genitoriale del target, la distanza
emotiva dalla sua vita e la tendenziale eliminazione della sua presenza dalla
vita del bambino. In una parola, si assiste ai prodromi della svalutazione del
genitore alienato.
Secondo Gardner, già questo primo livello è da considerare
dirimente nelle questioni di affidamento del minore da parte del giudice,
ovviamente a favore del genitore bersaglio. Tuttavia, essendo ancora un
livello accettabile, il giudice, con le dovute raccomandazioni e un attento
monitoraggio della situazione, potrà lasciare il figlio alla custodia del genitore
alienante.
54
“Nei casi di PAS lieve, è solitamente sufficiente che il tribunale
confermi che la madre resterà il genitore custode primario. In questi casi, la PAS
probabilmente si allevierà senza alcun ulteriore intervento terapeutico o legale”.54
Livello medio. A questo livello i sintomi nel bambino si presentano più
netti ed evidenti. In modo particolare diminuisce l’ambivalenza, il bambino
alienato comincia a mostrare un senso di distanza dal genitore target e ad
attribuirgli aspetti negativi senza motivazione apparente. La realtà dei fatti è
che la programmazione sta avendo i suoi effetti: aumenta la tensione per il
cambio di residenza tra un trasferimento e l’altro, l’avversione verso l’alienato
diventa esplicita e il bambino si sente lacerato tra il giusto desiderio di amore
verso entrambi i genitori e il dovere impellente di mostrare adesione e lealtà al
genitore alienante. Questa tensione viene risolta normalmente con la
sospensione del senso di colpa che, invece sarebbe normale a fronte di una
offesa o un comportamento scorretto verso il genitore alienato. “L’assenza di
senso di colpa è così evidentemente radicata, che il bambino può apparire psicopatico nella
sua insensibilità alla sofferenza provata dal padre”55. Il bambino sviluppa un
meccanismo di difesa che lo rende come “impermeabile” alle invasioni di
qualsiasi sentimento che possa turbare il suo equilibrio interiore.
In questa fase il minore prende parte attiva alla strategia di
denigrazione del genitore alienato e, in particolare, emergono i sintomi degli
scenari presi in prestito e dell’allargamento del conflitto. Dice Gardner:
“La campagna di denigrazione comprende, con ogni probabilità, elementi
di scenari presi a prestito. Mentre nei casi di PAS di grado lieve può ancora
esistere una relazione affettuosa con la famiglia allargata del padre, nei casi di
PAS moderata questi parenti vengono visti come cloni del padre e sono quindi
soggetti, allo stesso modo, alla campagna di avversione e denigrazione”.56
54
GARDNER op.cit. 55
GARDNER op.cit. 56
GARDNER op.cit.
55
Per quanto riguarda invece l’atteggiamento del programmatore,
Adele Cavedon ne annota i comportamenti tipici: “…
1. aperta disapprovazione delle visite che il minore fa all’altro
genitore, verbalizzata in modo esplicito
2. manifestazione di piacere alla notizia che all’ex partner è successo
qualcosa di negativo, naturalmente sempre davanti al minore
3. rifiuto di ascoltare qualsiasi cosa positiva riguardante l’altro
genitore
4. rifiuto di parlare direttamente con l’altro genitore e anche di
incontrarlo
5. accuse sottili verso l’altro genitore, riguardanti specialmente i
periodi pregressi di vita comune
6. eliminazione degli oggetti appartenenti all’altro genitore o
occultamento dei medesimi” 57
In questo caso, secondo Gardner, il giudice chiamato a determinare
l’affidamento del minore, dovrebbe stabilire che il genitore affidatario
continui ad essere il programmatore, perché con lui (di solito la madre), il
bambino ha un rapporto profondo e strutturato. È necessario che la madre
venga informata dei danni che sta arrecando al bambino e che l’autorità
competente sta monitorando la situazione. Secondo il nostro autore devono
essere chiaramente riferite alla madre alienante le possibili conseguenze della
continuazione della campagna di diffamazione del padre: “Nella maggior parte
dei casi, la madre recalcitrante ha bisogno che il tribunale la ammonisca che, se il bambino
non incontrerà il padre per una qualsiasi ragione, le verranno imposte sanzioni. Questo non
serve solamente per ricordare alla madre che deve cooperare per gli incontri, ma è molto utile
anche per il bambino”.58
Livello grave. Quando lo sviluppo della PAS giunge a questo stadio,
tutti gli otto sintomi principali sono marcatamente presenti; ad essi si
57
A. CAVEDON, I tre livelli di intensità della sindrome, in La sindrome da alienazione parentale (PAS): Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano, Giuffrè ed., 2008, pp. 103-104 58
GARDNER op. cit.
56
associano anche i quattro aggiuntivi che vanno a completare il quadro di un
condizionamento alienatorio portato a compimento.
I casi di livello grave si aggirano statisticamente attorno al 5-10% e
fenomenologicamente appaiono come lo scenario di una lotta senza
esclusione di colpi. Il genitore programmatore è in piena attività, sia nei
confronti del bambino, ormai totalmente condizionato, sia verso l’ex coniuge
escluso e martoriato. Il figlio alienato è coinvolto nella psicosi a due, generata
dal programmatore che con lui mantiene una relazione simbiotica e
invischiata. Il dramma esistenziale subito dal bambino lo trasforma in un
“esecutore falsamente libero” di ordini indotti implicitamente dal
programmatore: negherà la sua presenza all’altro genitore adottando ogni
forma di diniego, fino all’attacco di panico. Ormai la battaglia del
programmatore è vinta.
Ancora la Cavedon ci viene in aiuto con la chiarezza della sintesi. “I
comportamenti tipici del genitore alienante a questo livello sono i seguenti:
1. dichiarazioni (non più insinuazioni) false sul comportamento
passato o attuale dell’altro genitore.
2. includere i minori come vittime del comportamento, ritenuto
moralmente scorretto, dell’altro nei propri confronti.
3. Mentire o nascondere al figlio l’ammontare del (ricco) assegno che
il padre passa loro, dichiarando di essere in difficoltà economiche.
4. Chiedere al minore di non raccontare all’altro cose della vita
quotidiana, dalla quale questi è escluso.
5. Minacciare il minore di togliergli l’affetto e la fiducia se continuerà
a vedere l’altro genitore.
6. Totale assenza di rispetto, fiducia e gentilezza verso l’altro
genitore.59
Il compito del giudice a questa altezza della malattia è di togliere il
figlio dalla custodia esclusiva del genitore affidatario e programmatore, la
presa in carico dello stesso da parte del genitore alienato, e l’inizio di una
59
CAVEDON op. cit. pp. 105-106
57
psicoterapia. Gardner (che si riferisce al contesto giudiziario statunitense)
dimostra una certa severità con queste parole:
“… è necessario mettere in atto misure più severe. Il primo passo da
fare, se si vuole una qualche speranza di alleviare la sintomatologia del bambino,
è quello di trasferire la custodia primaria al padre, con residenza del bambino
nella casa del padre stesso. Se questo avrà carattere permanente o meno dipenderà
dal comportamento della madre. Dato che il bambino tipicamente non collabora
al suo trasferimento nella casa del padre, il terapista può trovarsi di fronte ad uno
dei problemi più ingarbugliati che si possano incontrare nel trattamento di
famiglie PAS”.60
§ 3.4 L’ipotesi epigenetica complessa di Marisa
Malagoli Togliatti e Marta Franci
Dopo la descrizione della natura della PAS, mi pare opportuno
offrire una chiave interpretativa clinica su cui fondare i successivi capitoli
della dissertazione, che metterà a tema i ruoli dei diversi attori del copione
della sindrome, le tecniche relazionali di programmazione della PAS e le
dinamiche occulte ad esse sottese. Credo che sia necessaria questa “sosta” di
analisi psicodinamica per rendere ragione della pertinenza degli argomenti
seguenti.
L’articolo della neuropischiatra prof.ssa Marisa Malagoli Togliatti e
della psicologa Marta Franci,61 illustra con sobrietà e chiarezza le dinamiche
relazionali complesse che compongono e mantengono la relazione
disfunzionale in causa.
60
GARDNER op.cit. 61
M. MALAGOLI TOGLIATTI, M. FRANCI, La sindrome di alienazione genitoriale (PAS): studi e ricerche, in Maltrattamento e abuso dell’infanzia, Vol. 7, n 3 dicembre 2005
58
La frequentazione assidua alla clinica psichiatrica mostra con
evidenza che molti dei soggetti coinvolti direttamente nella sindrome hanno
problematiche di relazione parentale irrisolte o deficitarie negli anni
dell’infanzia. L’ipotesi epigenetica complessa delle autrici verte sull’esperienza
di abbandono (reale o fantasmatico) che il genitore alienante ha subito nella
storia delle sue relazioni primordiali con i genitori. Il sentimento di
abbandono si è definito nel tempo come insicurezza della disponibilità
dell’amore delle persone care.
È interessante notare come il figlio alienato, fine dell’azione di
programmazione, riferisca il medesimo vulnus, di cui la responsabilità è da
attribuire a un genitore assente, non protettivo e distante dalle esigenze
affettive del bambino. Questo è il genitore che, nello sviluppo della PAS,
assumerà il ruolo di target, sarà alienato e macchiato della colpa di non essersi
preso cura di suo figlio.
Come si può notare, all’interno delle relazioni familiari si genera una
coalizione nella quale genitore alienante e figlio alienato, percependo i
medesimi sentimenti di abbandono, entrambi riferibili alla propria esperienza
personale interiore, colludono e si focalizzano contro il genitore bersaglio, e,
diametralmente, stringono un’alleanza relazionale di tipo simbiotico.
Riprendendo uno studio di Darnall62 del 1998, Malagoli Togliatti e
Franci, fanno emergere le figure tipizzate del genitore alienante, i cui
comportamenti riflettono le vicissitudini affettive abbandoniche dell’infanzia.
1. Alienatori naif. Essi sono caratterizzati da un
atteggiamento passivo nei confronti del figlio alienato.
2. Alienatori attivi. Questi sono capaci di distinguere i
problemi personali da quelli del figlio, tuttavia non riescono a non
trasmettergli il carico emozionale negativo, che, di fatto, viene
scaricato sul figlio.
62
DARNALL, Divorce causalities: protecting your children from parental alienation, Dallas, Texas: Taylor Publishing Company, 1998.
59
3. Alienatori ossessivi. Sono quelli che si sentono traditi e
offesi dall’ex partner e fanno della vendetta la loro unica ragione di
vita.
Il genitore che ha subito nell’infanzia un abbondono emotivo, o
almeno così lo ha interpretato, sente continuamente in sé un senso di
frustrazione e di rabbia che scarica sugli altri. Egli si sente insicuro e sempre
esposto ad un nuovo abbandono, e va via via elaborando un’immagine di sé
povera ed un livello di autostima molto basso. Il genitore alienante non si
sente degno di amore e va in cerca di conferme affettive (esattamente quelle
che gli sono mancate nell’infanzia), che però sfociano in una morbosa ricerca
di dipendenza e adesività, cementata nell’attaccamento simbiotico e
invischiato con il figlio. Questa immaturità personale del genitore alienante
espone il bambino alienato all’interruzione del processo d’individualizzazione
ed affrancamento dalle figure genitoriali verso l’autonomia, con l’evidente
risultato di grossi problemi relazionali.
Nel loro studio le autrici introducono l’elemento ulteriore della
genitorializzazione. Riprendendo Boszormenyi – Nagy e Spark,63 affermano che
“il rapporto che instaurano (i genitori alienanti) con il figlio è centrato sulla dipendenza,
sull’attaccamento simbiotico e soprattutto sulla genitorializzazione piuttosto che sulla spinta
verso l’autonomia e la crescita del figlio”64 facendo intendere che, nel corso della
PAS, è possibile che il genitore alienante ribalti i ruoli genitoriali naturali e
cominci ad assegnare al figlio alienato un ruolo paterno o materno,
ovviamente per lui improprio. Si definisce e cristallizza ulteriormente la
gabbia relazionale in cui il figlio è rinchiuso senza poter sviluppare le proprie
prerogative all’autonomia e all’individualizzazione. In più, mediante questa
trappola emotiva il programmatore potrà soddisfare il proprio desiderio di
possesso e controllo, azzerare il senso di colpa per il fallimento della relazione
matrimoniale, e, infine, sentirsi meno solo e abbandonato.
In questa azione demolitiva, l’altro genitore è visto come un serio e
grave pericolo perché con il suo amore potrebbe distogliere il figlio
63
I. BOSZORMENYI-NAGY, & G.M. SPARK, Invisible loyalities. Harper & Row New York . 1973, Trad. it. Lealtà invisibili, Roma, Astrolabio ed., 1988. 64
MALAGOLI, FRANCI op. cit., p. 46
60
dall’abbraccio dell’alienante. È facile capire come sia giustificata (almeno dal
punto di vista del programmatore) ogni azione - corretta o meno, non
importa - contro il target per difendere il proprio spazio relazionale col figlio,
e come sia necessario far sparire l’intruso da una così perfetta relazione di
amore. L’azione di distruzione contro l’uno va di pari passo con il
condizionamento e il plagio emotivo del figlio, il quale diventa strumento di
soddisfazione dei bisogni inconsci del genitore malato. A breve ne illustrerò
stili e tecniche di condizionamento.
Dall’altra parte, il genitore alienato non è esente da responsabilità,
poiché anch’egli è reo di atteggiamenti e connivenze, che paga a caro prezzo.
Nel contesto della disputa per l’affidamento dei figli, possono definirsi
sostanzialmente due figure di genitore alienato: una tendenzialmente
remissiva, l’altra, invece, piuttosto reattiva e aggressiva. In entrambi i casi
rientrano quei genitori che avevano un rapporto sufficientemente buono col
figlio, ma che, a seguito dell’alienazione, non sono stati capaci di sostenere il
conflitto e hanno abbandonano la lotta. Alcuni accettano passivamente, altri
reagiscono con veemenza.
Esiste anche un’altra categoria, quella dei genitori che avevano alle
spalle un precedente rapporto debole e di scarsa qualità con i propri figli.
Questi, in genere non entrano nemmeno nel conflitto e lasciano che il
genitore alienante si prenda tutto. Essi si ricostruiscono la vita con un altro o
un’altra partner.
A ben vedere, però, da questa impasse non c’è via di scampo; essa
introduce il target in una relazione di doppio legame: se questi accetta di
estraniarsi dalla vita del figlio a causa dell’azione di programmazione dell’altro
genitore, sarà alienato da suo figlio; se, invece, non accettasse di essere
escluso dall’affidamento del figlio e combattesse usando tutte le armi lecite a
disposizione, non otterrebbe comunque nulla perché questa sua forza, riletta
alla luce del programma di biasimo, sarebbe interpretata come una ulteriore
conferma della violenza e della conseguente incapacità educativa e genitoriale
dello stesso.
61
In rapporti maturi e adulti, qualora una coppia decidesse nel pieno di
diritto di separarsi e di interrompere la comunione di vita, l’esclusivo interesse
per il minore comporterebbe all’assunzione di responsabilità genitoriale
nell’assicurare che il bambino possa continuare a ricevere l’amore, la cura e la
vicinanza anche fisica di entrambi i genitori.
Gli adulti possono smettere di essere compagni, ma non smettono di
essere genitori; e ancora di più, il bambino non può smettere di essere figlio
di entrambi. Dovrà pertanto essere garantita una continuità affettiva, diritto
che, in quanto appannaggio di un minore ancora in fase di crescita, è da
considerarsi superiore a quello del genitore che volesse rivendicare le proprie
pur legittime prerogative a farsi una nuova vita a scapito delle responsabilità
genitoriali pregresse.
Quando non c’è questa maturità genitoriale in casi di separazione e
conflitto per l’assegnazione del minore, il bambino si trova diviso e in uno
stato di confusione affettiva. Spesso gli viene sottratta la possibilità di passare
il suo tempo, equamente distribuito tra l’uno e l’altro genitore mediante un
affido, magari formalmente congiunto, ma che a causa i mille cavilli legali, si
risolve in una sole custody.
Se il minore fosse riuscito nel tempo ad introiettare positivamente le
figure genitoriali, avrà strumenti di coping più solidi per sostenere l’attacco del
genitore affidatario/alienante (ovviamente non sempre esiste sovrapposizione
tra affidatario e alienante). La prassi clinica e la disciplina della Psicologia
dello sviluppo dicono che il minore non ancora adolescente non può avere
gli strumenti cognitivi e le risorse emotive per affrontare l’aggressione
manipolatoria del programmatore. In questo caso prevarrà nel minore la
desolazione interiore, che successivamente lascerà il segno nelle sue relazioni
con i pari, al di fuori della famiglia. Gardner, riprendendo la teoria Eric Berne
relativa agli scenari e al tema del copione, afferma che “il programmatore scrive il
62
copione e il bambino lo recita”.65 Non c’è bambino al mondo che, lasciato solo,
possa resistere al condizionamento alienante del genitore programmatore.
A conclusione di questo paragrafo riporto la trascrizione (non
corretta) di un documento che, a mio avviso, mostra in cangianti parole
quanto la spiegazione ha evidenziato nell’analisi. Così scrive Mattia, ragazzo
dodicenne colpito da PAS66:
PER PAPA’.
Torino, venerdì 4 settembre 2009
Caro papà, ti scrivo per dirti che non ti vorrei più vedere, né sentire. Lo dico per
davvero e non l’ha detto la mamma. Mi viene dal cuore. Hai fatto del male a me e alla
mamma. Non te ne stai rendendo conto. Non ti perdono perché ce ne hai fatto tanto (il
male). Non hai mai fatto la parte del papà, anzi è stata la mamma a fare il suo ruolo con
amore. Adesso sono più contento e la mia vita è più bella.
Buona vita. Mattia
Per il suo “ex” figlio
65
R. GARDNER, The Empowerment of Children in the Development of Parental Alienation Syndrome, The American Journal of Forensic Psychology 20(2), 2002 66
Questa lettera è degli archivi del dott. Vittorio Vezzetti, il quale mi ha gentilmente concesso la possibilità di utilizzarla nella dissertazione.
64
CAPITOLO 4
LE TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE DELLA PAS E LE
RESPONSABILITÀ OGGETTIVE DELLE PARTI IN CAUSA
Le motivazioni che conducono il genitore alienante alla
pianificazione e all’esecuzione del programma di distruzione dell’ex partner e
al condizionamento del figlio sono varie ed articolate. Difficilmente si
identifica una sola ragione, infatti, il più delle volte le logiche che muovono
gli esseri umani sono criptate e non del tutto chiare nemmeno a loro stessi. In
esse confluiscono odi e rancori, ma anche influenze invasive di malattie
psichiche, oppure, ancora, il desiderio di esibire potere sull’altro e la voglia di
far emergere vincente la propria persona. Comunque, sia la strutturazione sia
il mantenimento della PAS domandano la presenza di una azione meditata e
ponderata. Può svilupparsi senza la piena consapevolezza del genitore
alienante, tuttavia, ad un certo punto della malattia, essa assume i tratti della
pianificazione strategica. Dice la Buzzi:
“La sindrome di alienazione genitoriale inizia e viene mantenuta dal
genitore affidatario il quale dà atto ad una serie di tecniche di programmazione,
ovverosia attinge ad un sistema di credenze, quali i valori morali, religiosi,
filosofici, personali, sociali, ecc. diretti a “demolire” il genitore bersaglio per
raggiungere uno scopo: distruggere la relazione tra l’altro genitore e il proprio/i
figli”67
L’autrice elenca cinque fasi distinte della programmazione:
1. Guadagnare accondiscendenza. Per acconsentire alle
proposte del genitore alienante il bambino deve essere giunto ad un
livello di sviluppo cognitivo e morale sufficiente per la
67
BUZZI op. cit.
65
programmazione. La docilità del bambino si acquista mediante
tecniche di condizionamento degne di essere considerate un
“lavaggio di cervello”.
2. Testare come funziona la programmazione. Il programmatore
deve verificare lo sviluppo della induzione mediante verifiche
periodiche; esse vertono sull’osservazione del comportamento del
bambino, sempre più piegato alla volontà del genitore alienante, e
con domande dirette a verificare la propria buona capacità
genitoriale, come: “Sono un buon genitore? Quello che faccio per te, va bene?”.
3. Misurazione della lealtà; questa avviene quando il
programmatore impone delle prove comportamentali atte a
verificare l’adesività del figlio alla sua volontà e la presa di distanza
emotiva dal genitore target.
4. Generalizzazione ed espansione del programma sulle persone
che si sono alleate all’altro genitore e sugli oggetti o gli animali che gli
appartengono.
5. Mantenere il programma. Questa fase non domanda un
grande sforzo da parte del genitore alienante, infatti la costruzione
della campagna di biasimo e di condizionamento è ormai attuata. Si
tratta di rinvigorirla e di tenerla “aggiornata” utilizzando le
opportune tecniche.
Il genitore affidatario che aliena suo figlio ricorre ad azioni variegate
di condizionamento che, secondo la Cavedon, sono riconducibili a quattro
dinamiche relazionali: 68
1. La “sgenitorializzazione” dell’altro genitore, cioè la
denigrazione della sua capacità educativa e la conseguente
inaffidabilità paterna (o materna).
2. La “meta comunicazione” che mira creare doppi legami
che confondono il bambino e lo rendono più facilmente
suggestionabile.
68
CAVEDON op. cit. p. 53
66
3. Costringere il bambino a prendere posizione di fronte
alle problematiche insorte tra i genitori, e premiarlo o punirlo a
seconda della risposta data.
4. L’enfatizzare il proprio ruolo di educatore e svalutare
quello dell’altro.
Le tecniche di induzione della PAS sono riconducibili a modalità
dirette e indirette. Lo studio di Clavar e Rivlin69, citato dalla Cavedon, mette a
tema le più importanti e diffuse. Le tecniche dirette (tipiche del genere maschile)
abbracciano tutti i comportamenti genitoriali volti alla modificazione diretta
del comportamento del figlio. Sono osservabili sulla base all’atteggiamento
del bambino, che tende a ricalcare e a ripetere quasi meccanicamente i gesti
denigratori del genitore programmatore, pur senza comprenderne a fondo il
significato. Il più delle volte in bambino non fa proprie le motivazioni e i
pensieri del genitore condizionante; semplicemente fa il proprio interesse,
perché gli risulta più vantaggioso ricevere doni ed elogi che punizioni e
freddezza dal genitore affidatario. Non esiste un’unica forma di induzione
diretta, ma una sovrabbondanza di azioni e parole, tante quante possono
essere le minacce pensabili.
Una forma più sottile di condizionamento, invece, è quella delle
tecniche indirette (tipiche del genere femminile) che vanno a incidere più
profondamente nella mente del bambino. Queste lo sollecitano sul suo senso
di lealtà verso il programmatore mediante il coinvolgimento della sua
emotività.
Trattandosi di semplice elencazione delle tecniche indirette, riporto
una lunga citazione di Ritucci, Orsi e Grattagliano:
“Clawar e Rivlin70 hanno individuato una serie di tecniche di
programming frequentemente utilizzate dai genitori alienanti:
69
S.S. CLAWAR, B.V. RIVLIN, Children held hostage: dealing with programmed and brainwashed children, Section on family Law, American Bar association, 1991. 70
CLAWAR, RIVLIN, op. cit.
67
1. negare la presenza dell’altro (Denial-of-existence syndrome):
l’altro genitore non viene citato, menzionato, le sue cose vengono distrutte o
nascoste, non si fa riferimento ad esperienze positive con l’altro genitore;
2. negare il proprio atteggiamento critico verso il genitore bersaglio
(The “Who-me?” syndrome): il genitore alienante critica l’ex-coniuge in
presenza del minore, per poi rimandare all’altro assente la critica precedentemente
mossa;
3. informare il minore e discutere con lui di temi e contenuti
tipicamente adulti come le ragioni del divorzio, l’ammontare del vitalizio o degli
alimenti o le modalità di pagamento. Si tratta di temi e contenuti che possono
essere stati oggetto di conversazione con l’ex-coniuge prima della separazione
(Middle-man syndrome);
4. manipolare la situazione, dando false informazioni all’ex-partner
sul figlio e inducendo sensi di colpa, dubbi e paure nel minore (Circumstantial
syndrome);
5. creare o marcare le differenze tra la sua relazione con il minore e
quella dell’ex-partner;
6. cercare in ogni modo di attirare le simpatie del minore,
soddisfacendo, ad esempio, i desideri del figlio che l’altro genitore limita o
disapprova (The Ally syndrome);
7. porre il minore in veste di “giudice” dei comportamenti scorretti
dell’altro o come “spia” degli stessi, sottolineando di frequente di essere l’unico
capace di prendersi cura dei figli perché l’altro è inaffidabile e deve essere scoperto e
punito;
8. esagerare il proprio ruolo di educatore mettendo in ombra quello
dell’altro genitore (The Morality syndrome);
9. giudicare incessantemente in negativo il comportamento dell’altro,
raccontando, ad esempio, aneddoti in cui quest’ultimo viene descritto come
perdente o ridicolo;
10. riscrivere la realtà o il passato per creare nei figli dei dubbi sul
rapporto con l’altro.” 71
71
RITUCCI, ORSI , GRATTAGLIANO, op. cit.
68
Chiudendo questo paragrafo, voglio far notare che, mentre nel caso
delle tecniche dirette è relativamente facile risalire al condizionamento agito
dal genitore alienante, con la presenza delle tecniche indirette occorre una più
sottile distinzione tra ciò che il bambino sinceramente oppure autenticamente
produce. Quando un genitore dà ordini chiari e diretti al bambino, questi li
esegue con un suo tornaconto personale. Non è necessario distinguere tra
sincerità e verità del suo agire, infatti ciò che conta è il risultato.
Nel caso delle tecniche indirette, il bambino condizionato elabora
parole, azioni e atteggiamenti che sente come propri e non imposti. Egli
agisce sinceramente, senza contraffazione cosciente della realtà, tuttavia, alla
luce di quanto detto sinora, posso affermare che la sua è una azione
falsificata, infatti la sua volontà condizionata va considerata inautentica, e,
quindi, da non avallare.
Quanto detto trova conferma in un interessante capitolo (“Il ruolo del
genitore alienato”) del lavoro di Amy J.L. Baker72. L’autrice riporta le riflessioni
confidenziali di adulti che da ragazzi hanno subito la PAS. Essi riferiscono
della loro divisione interiore verso il genitore alienato: pur rifiutandolo con
severità e durezza, dentro se stessi custodivano il desiderio segreto che il
padre (o la madre), capisse l’inautenticità del sentimento apparente, arrivasse
a scoprire quello autentico e, conseguentemente, rimasse coraggiosamente
determinato nel mantenere il rapporto di contatto e amore con loro. Riporto
un ampio stralcio del testo:
“I figli adulti provavano dolore e rabbia quando il genitore alienato
finiva per rinunciare al rapporto con loro. Per quanto fossero stati categorici nel
rifiutare i contatti con quel genitore, essi rimanevano tuttavia sconvolti quando
questi rispettava la loro scelta e si allontanava. Ciò veniva solitamente vissuto
come un rifiuto. Quando questi genitori non telefonavano, né scrivevano o
mandavano regali, essi ne soffrivano ancor di più poiché il genitore alienante
approfittava prontamente di ogni manchevolezza da parte del genitore alienato...
72 A. J.L. BAKER, Figli divisi: storie di manipolazione emotiva, Miano, Giunti ed., 2010.
69
Un’altra considerazione è che i figli adulti non pensavano che il genitore
alienato avrebbe dovuto credere o reagire al rifiuto del figlio. Malgrado fossero
stati irremovibili nel rifiutare ogni contatto, non desideravano tuttavia che il
genitore alienato accettasse tranquillamente la loro decisione.
Essi hanno espresso la convinzione che questi avrebbe dovuto rendersi
conto che i figli non erano che burattini che si limitavano a pronunciare le parole e
mettere in atto i comportamenti che avevano interiorizzato allo scopo di
mantenere il rapporto con il genitore alienante.
In sostanza, essi chiedevano al genitore alienato di comportarsi come se
avesse avuto davanti due figli: il figlio alienato che compiva automaticamente i
gesti dell’alienazione e il figlio che lo amava e non avrebbe mai voluto rinunciare
al rapporto con lui. Poiché i genitori alienati non compresero appieno la misura in
cui i figli venivano manipolati, essi reagirono razionalmente soltanto al contenuto
dei segnali e dei messaggi loro rivolti (ad esempio, che il loro rapporto non fosse
apprezzato né desiderato)”. 73
Quello che spetta allo psicologo incaricato di valutare la PAS è un
compito difficile: egli deve ricostruire un tessuto intero di relazioni e dovrà
discernere tra lo spontaneo e l’autentico, quindi tra desiderio attendibile e
desiderio inattendibile del bambino.
§ 4.1 La PAS e il minore
Abbiamo riferito che se il programma di denigrazione del genitore
alienante viene meno, anche la PAS nel bambino recede e scompare. Il
superamento della sindrome, tuttavia, non significa che essa non lasci
73 Baker, op. cit.
70
strascichi tendenzialmente patologici nelle future relazioni del minore. Questi
porta le cicatrici della battaglia combattuta sulla sua interiorità.
Agli adulti che furono alienati si presenteranno i sensi di colpa per la
responsabilità della distruzione di un matrimonio a cui sentono di aver
partecipato attivamente. Già Malagoli Togliatti e Franci74 hanno riportato il
costante sentimento abbandonico che pervade e pervaderà l’esistenza di
queste persone, che nella vita adulta si tradurrà in mancanza di certezza
dell’amore del partner e in una continua paura di essere di nuovo
abbandonati. Non di rado la persuasione interiore di essere colpevoli e
responsabili dei drammi relazionali cui hanno assistito, porterà gli adulti ad
azioni autolesionistiche e autodistruttive.
L’esperienza negativa subita, esporrà i bambini che hanno subito
PAS al pericolo di essere essi stessi promotori della sindrome, diventando
genitori programmanti, infatti Isabella Buzzi afferma che: “Sembra che figli
alienati tendano a diventare genitori programmanti”.75
I ragazzi malati di PAS sono indotti dal genitore alienante ad
assumere atteggiamenti aggressivi, maleducati, indisponenti e a porsi al di là
delle regole familiari. Si tratta di soggetti “educati” all’odio che prevarica i
confini della relazione con il target alienato e il suo entourage familiare, e si
allarga alle relazioni ad extra della famiglia. I ragazzi adotteranno facilmente
uno stile violento verso i loro pari e, con buona probabilità, faranno della
prevaricazione e del muro contro muro il loro abituale modus vivendi.
Ma i problemi maggiori, sempre secondo la Buzzi, sono legati alla
identità personale e alla sfera sessuale: “Questi ragazzi presentano quasi sempre
disturbi dell’identità, sovente della sfera sessuale, e sono più vulnerabili alle perdite e ai
cambiamenti, regrediscono a livello morale e continuano a operare anche oltre l’adolescenza
una netta dicotomia tra “bene” e “male”. 76
74
MALAGOLI TOGLIATTI, FRANCI op. cit. 75 BUZZI, op. cit. 76
BUZZI, op. cit.
71
In modo particolare i minori che diventano adulti sviluppano un
Falso sé, cioè una identità contraffatta di se stessi, elaborata per difendere la
vera identità che, a causa dell’indottrinamento, è rimasta celata. Il bambino
malato di PAS non ha potuto sviluppare le sue prerogative di creatività e di
vitalità: questo vulnus genera distorsione della realtà dell’infanzia e, nella vita
adulta, porta la persona alla inautenticità emotiva, non distinguendo la verità
o la falsità dei propri sentimenti.
Camerini, Magro, Sabatello e Volpini, in un recentissimo articolo di
aggiornamento sul tema77, danno un quadro della malattia, del suo
inquadramento nosologico in riferimento al DSM 5 (vedremo meglio la
questione al capitolo dedicato), e delle ripercussioni in età adulta della PAS
subita nell’infanzia. Gli autori, citando studi scientifici della letteratura
internazionale, sostengono l’ipotesi di causalità diretta tra alienazione
genitoriale e disturbi emotivo comportamentali dell’età adulta. In particolare
ricordano che:
“Alcune ricerche rilevano depressione in età adulta78 bassa autostima,
abuso di droga e alcol,79 e problemi nelle relazioni affettive80 in coloro che hanno
subito un’ alienazione parentale. Altri Autori invece hanno osservato la presenza
di disturbi di personalità, come il disturbo borderline basato su meccanismi di
77 G.B CAMERINI, T. MAGRO, U. SABATELLO, L.VOLPINI., La parental alienation. Considerazioni cliniche, nosografiche e psicologico-giuridiche alla luce del DSM 5, Giornale di Psichiatria dell’età evolutiva, 2014, 34: 1 78 J. DENOLLET, K.E. SMOLDEREN, K.C. VAN DEN BROEK, et al. The 10-item Remembered Relationship with Parents (RRP¹º) scale: Two-factor model and association with adult depressive symptoms., Journal Of Affective Disorders 2007;100:179-89. 79 BAKER. The Long-Term Effects of Parental Alienation on Adult Children: A Qualitative Research Study. American Journal of Family Therapy 2005;33:289-302. 80 K.M. CAREY, Exploring long-term outcomes of the Parental Alienation Syndrome. Dissertation, Alliant International University, 2003.
72
identificazione proiettiva81 ed il disturbo narcisistico di personalità82, in genitori
alienanti. Inoltre è stato osservato in loro il bisogno di controllo e di potere 83.
§ 4.2. Le caratteristiche delle famiglie separate con PAS
e le indicazioni della consulenza tecnica d’ufficio (CTU): lo
studio di Lubrano Lavadera A., Marasco M..
Le caratteristiche delle famiglie separate con PAS.
A questa altezza della trattazione sarebbe scorretto circoscrivere la
PAS ai singoli componenti della famiglia. In realtà sono coinvolti l’intero
sistema famiglia e gli ambiti sia relazionali sia temporali ad esso attinenti.
Entrano in questa ampia zona di influenza le generazioni passate che hanno
trasmesso valori e culture, le altre persone determinanti dell’entourage parentale
(nonni, zii ecc), le persone non immediatamente legate dal vincolo parentale
ma da quello amicale. In questa ampia zona di influenza provano spazio
anche i nuovi soggetti che vengono a comporre le nuove famiglie createsi
dopo la separazione (nuovi partner con gli eventuali loro figli). A questo
gruppetto, ormai numericamente significativo, si aggiungono i soggetti legati
ai livelli extra familiari scolastici, sportivi, e più in generale di carattere sociale.
Tutta questa folla variegata dà vita a un coacervo di dinamiche relazionali
estremamente fluide che si strutturano su più livelli. Giorgi84 tenta una
identificazione dei livelli individuandone uno primario, che si rifà alla relazione
fondamentale tra papà, mamma e figlio conteso, ed uno esteso nel quale
81 R. M. GORDON, R. STOFFEY, J. BOTTINELLI, MMPI-2 findings of primitive defenses in alienating patients. American Journal Of Family Therapy 2008;36:211-28. 82 A. L. BAKER., Patterns of Parental Alienation Syndrome: A Qualia Child. American Journal Of Family Therapy 2006;34:63-78. 83 A. L. BAKER Parent alienation strategies: A qualitative study of adults who experienced parental alienation as a child. American Journal Of Forensic Psychology 2005;23:41-63.
84 R. GIORGI, … dalla disputa all’avversione, Riflessioni critiche in ambito forense e clinico sulla sindrome di alienazione parentale (PAS) di R. Gardner, Tesi del Master di formazione in Psicologia, in Psicopatologia e Psicodiagnostica forense: (AIPG)2001, www.aipgitalia.org/tesinemaster
73
trovano spazio tutte le persone significative che partecipano alla
strutturazione della PAS.
Nel livello primario possono evidenziarsi deformazioni relazionali che
Salvator Minuchin riconduce ad triade patologica di coalizione, triangolazione e
deviazione.85
Nel livello esteso, invece, vanno raccolte tutte le altre possibili
influenze che il mondo esterno alla famiglia può fornire. È chiaro che
qualsiasi variazione di un livello può condizionare le relazioni degli altri livelli,
e diventare fattore determinante per lo sviluppo o la regressione della PAS.
La comprensione della sindrome deve partire necessariamente da una
visione complessa della realtà, assumere un modello sistemico di riferimento
e indagare ogni fattore determinante. L’assunto di partenza è che la PAS non
nasce da un singolo elemento ma dalla compartecipazione attiva di molti
fattori all’interno di un sistema complesso. La PAS è l’esito patologico di un
sistema familiare disfunzionale.
§ 4.3 Lo studio pilota di Anna Lubrano Lavadera e
Maurizio Marasco
Mi soffermo nella presentazione dello studio in oggetto86, in quanto
sembra essere il primo lavoro definito con un metodo scientifico sulla PAS,
pur non garantendo un ampio spettro statistico, in quanto la raccolta dei dati
è circoscritta a Roma e alla zona limitrofa.
85 La coalizione è l’alleanza di due persone contro la terza. Nel nostro caso un genitore si allea con il figlio alienato per danneggiare il genitore target. La stessa alleanza può essere proposta dal genitore target al figlio alienato contro il genitore alienante. La triangolazione è l’accordo che si genera quando un figlio prende le parti di un genitore. Il genitore escluso dal legame colpevolizza il figlio per averlo estromesso dalla relazione, generando di fatto un doppio legame: qualsiasi scelta compia il figlio, sarà sbagliata in quanto pregiudicherà la lealtà con uno dei genitori. La deviazione. Due genitori in fase di conflitto scaricano sul figlio tensioni e responsabilità. Questi, in risposta allo stress, manifesterà comportamenti anomali o devianti. 86 A. LUBRANO LAVADERA, M. MARASCO., La Sindrome di Alienazione Genitoriale nelle consulenze tecniche d’ufficio: uno studio pilota, Maltrattamento e abuso all’infanzia, 2005, 7
74
Lo studio, inoltre, mi permette di cominciare a far riferimento alla
Consulenza tecnica di ufficio (CTU) che viene richiesta qualora il giudice
decidesse di avere una relazione dettagliata del composito panorama
relazionale del bambino in vista delle decisioni da prendere in merito
all’affidamento del minore e alla strategia da adottare.
Volendo precisare, riporto una nota della psicologa Sara Pezzuolo,
Consulente tecnico in psicologia giuridica:
“Nel caso in cui un Giudice si trovi a decidere a quale genitore e con
quali modalità si debba procedere all’affidamento dei figli, qualora lo ritenga
necessario, può nominare un C.T.U. (consulente tecnico d’ufficio – art. 191 c.p.c.)
al quale, una volta prestato giuramento, viene rivolto il quesito e, di conseguenza, i
punti che dovranno essere oggetto d’indagine. Tale “aiuto” richiesto dal Giudice al
suo consulente lo aiuta a comprendere meglio la situazione familiare e quindi a
decidere nell’interesse del minore. Alla nomina di un C.T.U. spesso e volentieri, le
parti, fanno seguire la nomina di C.T.P.(consulenti tecnici di parte) che
lavoreranno al fianco del C.T.U., ne controlleranno il lavoro avvalendosi anche
della possibilità di fornire relazione scritta su un loro accordo o disaccordo con il
C.T.U. In tale contesto non va dimenticato che a fondamento dell’art.155 comma
1 c.c. la decisione finale spetta comunque al Giudice in qualità di peritus
peritorum. Il C.T.U., all’interno della sua analisi, non può prescindere dal
prendere in considerazione di diversi fattori: aspetti fisici: ambiente fisico, cura ecc.;
aspetti emozionali o sociali: cura psicologica del figlio, protegge il figlio, ne stimola
l’intelligenza ecc; aspetti intellettuali: stimolazioni intellettuali; aspetti ambientali:
in che modo verrebbe organizzato il contesto ambientale in cui il figlio si troverebbe
a vivere.”87
In genere la CTU viene affidata ad un esperto (psicologo, psichiatra
o neuropsichiatra dell’infanzia) che abbia competenze specifiche e sia in
87 L’intero articolo è disponibile in rete. http://www.alienazione.genitoriale.com/266/
75
grado di orientare il giudice garantendo l’equidistanza della perizia dalle parti
in conflitto.
L’articolo di Lubrano Lavadera, Marasco dichiara le finalità del
lavoro in ordine alla evidenziazione delle caratteristiche dei genitori delle
famiglie in cui è stata diagnosticata una PAS, e a quelle dei minori coinvolti
(emotive, comportamentali, psicopatologiche). Inoltre desidera raccogliere le
proposte di intervento dei professionisti coinvolti e cominciare a delineare le
prime ipotesi circa le dinamiche relazionali soggiacenti alla PAS.
Il lavoro è stato svolto analizzando i referti delle perizie dei CTU e
delle sentenze dei giudici. Si è trattata di una ricerca d’archivio, nella quale
sono stati analizzati i testi di 24 relazioni di consulenza tecnica d’ufficio
(stilate da consulenti del Tribunale Civile di Roma dal 2000 al 2004) su
famiglie separate conflittuali, di cui 12 con diagnosi di PAS grave (gruppo
sperimentale), secondo i criteri descritti da Gardner, e 12 senza diagnosi di
PAS (gruppo di controllo). L’evidente vantaggio dell’utilizzo di questo
materiale d’archivio è in ordine alla “purezza” dei testi, che non sono stati
prodotti in vista di una ricerca sperimentale, e non risentono quindi di
possibili distorsioni causate dalla presenza dell’osservatore esterno.
Il lavoro di analisi statistica è stato fatto attraverso il test statistico
del “chi quadro” che permette di valutare le differenze relative a distribuzioni
di frequenza, verificando se esiste una relazione tra due variabili nominali e/o
ordinali.
La prima interessante conclusione del lavoro rivela che,
contrariamente a quanto si è sin dall’inizio ritenuto, “non è presente alcuna
differenza di genere tra l’essere genitore alienante o alienato e che il genitore alienante può
essere indistintamente il padre o la madre”.88 Risulta essere determinante, invece, lo
status di genitore affidatario: nella totalità dei casi analizzati, la parte alienante
corrisponde al genitore che ha in affidamento il minore. Acutamente gli
autori osservano che proprio l’intervento del tribunale che affida la custodia
del minore ad un solo genitore, può aver responsabilità diretta in ordine
88 LUBRANO LAVADERA, MARASCO, op. cit.
76
all’istaurarsi della malattia, infatti la variante “tempo di affidamento” è
decisiva.
Emergono altre considerazioni. Nelle separazioni conflittuali con
PAS, la costituzione di un’altra famiglia è statisticamente più significativa da
parte delle madri; si insinua così l’ipotesi che un nucleo alternativo familiare
sia elemento promotore della malattia.
L’attenzione si sposta sui tratti di personalità degli attori della PAS:
“I genitori con diagnosi di PAS differiscono dagli altri anche in
relazione ad alcune variabili di personalità, ad esempio le madri sono più
frequentemente insicure, mentre i padri più frequentemente rigidi/ipercontrollati e
hanno difficoltà nell’espressione affettiva, ma nessuno dei due presenta una
qualche forma di psicopatologia”.89
Per quanto riguarda il minore con PAS, gli autori notano che non c’è
differenza di genere, che l’età media risulta essere tra i 9 e i 12 anni (questo a
causa del livello di sviluppo cognitivo ed emotivo) e che più di frequente si
tratta di figli unici. Questi bambini sono spesso oggetto di relazioni di
triangolazione e sviluppano facilmente:
falso sé (evidenziando così problematiche legate all’identità)
comportamento manipolativo
distorsione della realtà familiare
insofferenza per l’autorità
svalutazione delle figure genitoriali
senso di abbandono
affettività conflittuale e ambivalente, senza tuttavia avere forme di
psicopatologia diagnosticabili.
89
LUBRANO LAVADERA, MARASCO, op. cit.
77
Pur non essendo presenti differenze importanti a livello psico
emotivo nei bambini PAS e in quelli sani, il CTU suggerisce con maggior
frequenza per i primi una psicoterapia finalizzata alla ricostruzione di un sano
rapporto con i propri genitori, rivelando che possano esserci maggiori rischi
nella fase dello sviluppo psicologico ed emotivo a carico di questi bambini. I
minori con PAS sono maggiormente esposti a seri problemi nelle relazioni
intime adulte.
Una nota sugli interventi del giudice. La cosa sorprendente è che nei
casi di PAS, il padre non è mai stato nominato affidatario, pur avendo
dimostrato, dati statistici alla mano, che padre e madre sono egualmente
alienanti.
I servizi sociali sono ritenuti uno spazio sufficientemente neutrale ed
efficace nei casi di PAS, e sono spesso preferiti al padre. Il consulente non ha
mai diviso i fratelli riconoscendo l’importanza di questo legame nel fornire
continuità relazionale per i minori.
Il tema della terapia sulla PAS è articolato (lo affronterò in un
capitolo dedicato) ma i dati del presente lavoro dicono che non è frequente il
ricorso alla terapia individuale per i genitori, così come per la mediazione
familiare, evidentemente considerati non sufficienti a risolvere il problema.
78
CAPITOLO 5
LA SINDROME DI ALIENAZIONE PARENTALE COME
MISTIFICAZIONE
Considerare la PAS come un disturbo relazionale che coinvolge non
solo il minore conteso ma, almeno i genitori in lite per l’affidamento, è ormai
un dato assodato. Gulotta definisce esplicitamente la sindrome come “un
disturbo delle relazioni all’interno del sistema cui il minore appartiene”90, spostando
così la barra delle osservazioni dal soggetto alle relazioni tra i soggetti, e
aprendo il campo all’approfondimento analitico del rapporto che intercorre
tra genitore alienante e bambino alienato.
Se, dunque, l’accento è posto sulle relazioni, occorre necessariamente
pensare la PAS in termini dinamici e squisitamente relazionali, in cui gli
elementi portanti sono la comunicazione e le emozioni. Risulterebbe pertanto
tendenzialmente debole l’approccio che comprendesse la sindrome solo sul
piano strategico e logico/deduttivo, quasi che fosse una lineare strategia di
conquista disposta sul campo dal programmatore. Insieme all’assetto
strategico/razionale, occorre ponderare la potenza della comunicazione che si
struttura sul piano emotivo, verbale ed extra verbale tra il genitore alienante e
il minore alienato. È quanto sostengono Guglielmo Gulotta e Moira
Liberatore.
“Rispetto alle indicazioni della letteratura internazionale ci è parso
necessario allargare il campo di osservazione con l’obiettivo di individuare i
meccanismi comunicativi e relazionali coinvolti e comprendere le complesse
dinamiche interattive all’origine di queste vicende. Il comportamento del genitore
alienante è analizzato da Gardner, seppur in maniera esaustiva, semplicemente
come programmazione, come se si trattasse di una strategia di guerra che con
90
G. GULOTTA, A. CAVEDON, M. LIBERATORE, La sindrome da alienazione parentale (PAS): Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano, Giuffrè ed., 2008, p.188
79
razionalità pianifica mosse e contromosse. Spesso, invece, il lavoro dell’alienante è
sottile e infido ma al contempo solo parzialmente consapevole risultando, forse
proprio per questo motivo, più incisivo. L’alienante agisce non solo a livello logico
verbale bensì soprattutto su un piano comunicativo che coinvolge la sfera
emozionale e semantica servendosi di canali extra verbali”.91
La comunicazione tra genitore alienante e figlio alienato è basata sul
tentativo dell’adulto di piegare il minore alla sua volontà; e questo avviene
nella forma più subdola, convincendolo, mediante opportune tecniche
comunicative, a desiderare di essere e pensare di essere quella immagine di sé che il
programmatore gli ha indotto. Il bambino tende a divenire ciò che l’adulto
programmatore vuole che sia, venendo di fatto espropriato della libertà di
agire la propria sensibilità e la propria genuina voglia di essere se stesso.
Queste intuizioni appartengono originariamente agli studi dello
psichiatra scozzese Ronald Laing, che ha analizzato le dinamiche relazionali
all’interno della famiglia92. Gulotta le ha fatte proprie e utilizzate come chiave
di lettura della PAS, osservando acutamente che l’essere altro da sé a motivo
del condizionamento, significa allontanarsi dal proprio vero sé, alienarsi dalla
propria identità. In questo senso la PAS è alienazione.
Il punto nodale della questione, tuttavia, rimane ancora nell’ombra,
infatti è pur vero che le forme di suggestione delle persone, adulte o bambine
che siano, sono molte e diversificate. Ciò che qualifica il condizionamento
nell’ambito della PAS è l’essere sfuggente, oscuro, criptato. Il tratto
esplicativo del condizionamento nella PAS è, in una parola, la mistificazione.
Osservano ancora Gulotta e Liberatore:
“Peculiare, infatti è la situazione di mistificazione: in questi casi il
bambino viene espropriato dei propri sentimenti, desideri e aspirazioni e la sua
91
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p. 189 92 Tra i vari studi, segnalo: L. RONALD, Mistificazione, confusione e conflitto, in I. Boszormenyi-Nagy, J. Framo, Psicoterapia intensiva della famiglia, Torino, Boringhieri, 1969, pp. 365-383
80
vita emotiva è sostituita dall’artificio che gli altri significativi lo inducono a
credere, con l’inganno, sia la sua realtà interiore”93.
Mediante i meccanismi di induzione, introiezione e proiezione il genitore
programmatore plagia il minore andando a sostituirgli i buoni sentimenti di
amore verso l’altro genitore, con i propri carichi di odio.
Attraverso la tecnica di condizionamento, il bambino è come
svuotato del suo naturale amore per il genitore alienato, e riempito del
mondo emotivo del genitore alienante, cosicché si genera, non una
reduplicazione del programmatore, ma una nuova edizione dell’alienante,
incarnato nella libertà ormai condizionata del minore. Si assiste, pertanto, alla
nascita di una persona che nutre gli stessi sentimenti di odio verso il genitore
target, ma in forme individuali uniche tipiche del bambino, forse ancor più
dolorose da sopportare per il genitore alienato, che può avere gli strumenti
cognitivi ed emozionali per combattere l’odio del suo ex partner, ma
certamente sarà molto più fragile di fronte all’odio apparentemente
immotivato del figlio.
Secondo Gulotta e Liberatore queste tecniche di condizionamento
sono molto simili a quelle utilizzate nell’induzione ipnotica, che Gulotta
stesso descrive in una sua opera sull’ipnosi del 198094. La PAS, dunque, può
essere interpretata come una forma di pseudo ipnosi, nella quale la parte
dell’ipnotista spetta al genitore alienante e quella dell’ipnotizzato al bambino
alienato.
Dal percorso di ricerca e analisi che ho svolto in merito alla
questione PAS, mi sembra che solo pochi autori abbiamo posto una specifica
attenzione al tema che ora vado ad approfondire. Tra questi, Roland Laing
nella forma remota dello studio delle relazioni intra familiari, e Gulotta -
Liberatore nell’applicazione delle intuizioni dello psichiatra scozzese alla
alienazione genitoriale. In genere, la prospettiva di studio dei diversi autori si
93 GULOTTA op. cit. p. 190 94
G. GULOTTA, Ipnosi: aspetti psicologici, clinici, legali e criminologici, Milano, Giuffrè ed., 1980.
81
attesta sulle strategie logico/verbali/razionali utilizzate dal programmatore, e i
piani di difesa degli altri attori in gioco nella sindrome. Gulotta sceglie una via
di analisi certamente più difficile da rintracciare e presentare, tuttavia, a mio
parere, molto promettente.
Entriamo nel merito della comunicazione pseudo ipnotica della
relazione alienante – alienato, ricordando anzitutto che affinché sia efficace
occorre un sistema famiglia preesistente, una trama di relazioni all’interno
delle quali i vari soggetti del nucleo parentale abbiano imparato quale sia il
loro ruolo, quali i valori buoni e quali i cattivi.
La famiglia è il sistema che, mediante l’educazione, permette ai
bambini di assumere nozioni, valori e sentimenti necessari all’adattamento nel
mondo. La scuola di Palo Alto ha messo il sistema famiglia al centro della
comprensione dello sviluppo della identità della persona, proponendo un
nuovo modo di interpretare le persone, non più svincolate dal contesto loro
più prossimo, ma capite nella fitta trama dei tessuti relazionali, attraverso i
quali si entra nel mondo. Ad essa siamo debitori, senza tuttavia soffermarci
oltre su questo punto.
Per il bambino conteso entrambi i genitori hanno un ruolo affettivo
importante, ma quando essi entrano in conflitto e si generano le battaglie, di
cui abbiamo già riferito, il bambino accede ad una fase di estrema confusione
perché viene costretto a rinnegare i sentimenti buoni che aveva verso una
parte del sistema famiglia e, insieme, a fare propri quelli della parte alienante,
assumendo la regola di odiare e quella di misconoscere l’attribuzione a se
stesso del sentimento negativo agito. Siamo di fronte, come mostrerò subito,
ad una regola imposta che diventa un ordine duplice: “Odia tuo padre (o tua
madre)”; e: “Non sai di odiare perché è parte buona e normale di te”.
Gulotta e Liberatore dicono:
“l’odio per l’ex partner, non è un semplice sentimento, bensì una regola,
un valore. E tale regola, come quasi sempre accade, si accompagna ad un’altra
82
regola che proibisce di rendersi conto che tale regola esiste. Per questo motivo al
bambino non è permesso di riconoscere il suo sentimento come interiorizzazione
del sentimento esperito dal genitore alienante, mentre non potrà che aderire alla
campagna contro l’altro genitore come se si trattasse di un desiderio autentico.”95
La regola dunque impedisce di riconoscere che ci siano regole. Gli
autori concludono: “La metaregola vieta di parlare della regola”96
I meccanismi di base che concorrono a definire la comunicazione
ipnotica (ormai possiamo parlarne in questi termini) sono proiezione, introiezione
e induzione.
1. La proiezione si definisce quando il genitore alienante proietta
sul figlio tutti i suoi sentimenti di odio e rancore verso l’ex
partner. Questa dinamica lo convince che tutti i mali del
bambino siano da attribuire all’altro genitore, quindi non solo
causa dei suoi dolori ma anche di quelli del figlio. Su questa
dinamica si va a fondare l’idea dell’incapacità genitoriale del
target che, considerato incapace di essere un buon compagno,
è ritenuto inadatto anche come genitore. Nella proiezione è
evidente l’estroflessione dell’interiorità dell’uno verso
l’esterno.
2. L’introiezione è il meccanismo che permette l’introflessione dei
sentimenti dell’uno dentro l’altro. Tipicamente avviene che il
bambino, in una rapporto di dipendenza con il genitore
alienante, assuma come propri i pensieri e i desideri esternati
dal genitore, appropriandosi del panorama interiore di odio e
recriminazione del programmatore verso il target, esattamente
come farebbe con le immagini e i valori buoni che
normalmente vengono dal caregiver.
95
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p.192 96
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p.193
83
3. L’induzione è il meccanismo che trasforma in azione la propria
proiezione sull’altro. Essa si realizza quando proiezione e
introiezioni sono già stati agiti, e il programmatore ora può
chiedere al figlio alienato di essere solo se stesso. Non darà
ordini di odio contro il target ma semplicemente chiederà al
bambino di fare ciò che sente. E il sentimento del bambino,
essendo condizionato dai primi due meccanismi, sarà
necessariamente negativo. Il genitore alienante, probabilmente
senza averne coscienza, agisce sulla falsa identità del minore
che lui stesso ha determinato.
L’induzione è la parte terminale di un processo dinamico di
comunicazione che porta il bambino ad incarnare un falso sé, a ritenerlo vero da
parte del programmatore e del programmato, e ad indurre il minore, sotto
una sorta di suggestione ipnotica, ad agire sentimenti di odio verso il genitore
target. Tutto ciò si realizza non sotto un ordine esplicito ma attraverso
l’attribuzione di identità (falsa), proiettata dall’alienante (proiezione), fatta
propria dal bambino (introiezione) e divenuta azione (induzione) nel minore.
Il processo sinteticamente riferito in queste righe, è una vera e propria
mistificazione.
Seguendo le riflessioni di Laing, Gulotta - Liberatore
approfondiscono il significato e le manifestazioni della mistificazione in
ambito familiare come strumento per orientare e influenzare i figli.
Anzitutto vi è un senso attivo di mistificazione. In questo caso la
mistificazione è intesa come produttrice di confusione, un atto che genera
caos, annebbiamento, stato di smarrimento perché non si distinguono più i
reali valori dei propri sentimenti, e il bambino va cadendo nella nebbia dei
pensieri e delle emozioni. Il minore che viene attivamente influenzato dal
programmatore non è più in grado di riconoscere i suoi veri sentimenti
perché gli viene impartito l’ordine di odiare il padre (o la madre) e, insieme, di
dimenticare che sia un ordine. Il programmatore potrebbe usare parole come
queste: “Non puoi non odiare papà (o mamma), e non perché te lo dico io”. Il minore
84
si trova di fronte ad un duplice ordine: odia e dimentica che sia un ordine. E,
lo ricordo, l’ordine viene eseguito perché alle spalle ci sono proiezione,
introiezione e induzione.
Un altro senso della mistificazione è quello passivo. L’attenzione non
cade sull’atto che mistifica ma sul prodotto dell’azione nella mente del
minore, cioè lo stato di confusione che non permette chiarezza di pensieri e
di sentimenti.
Un’altra forma di mistificazione, quella che viene applicata nella PAS,
fa sì che la percezione del minore venga sostituita con quella del
programmatore. Il sentimento del bambino è negato e ad esso viene sostituito
quello dell’alienante. Laing offre un esempio illuminante.
“Di sera un bambino sta giocando e fa baccano; la madre è stanca e
vuole che vada a letto. L’affermazione esatta sarebbe: sono stanca, voglio che tu
vada a letto; oppure: va a letto perché te lo chiedo io; oppure: va a letto perché è
l’ora. Un modo mistificatore per indurre un bambino ad andare a letto potrebbe
essere: sono certa che sei stanco, tesoro, e che hai voglia di andare a letto, non è
vero?”97
L’esempio mostra come la mamma apparentemente non dia ordini al
bambino, ma lo inviti a percepire quanto egli stesso avverte. Ma la percezione
interiore del bambino è già stata pregiudicata dalla affermazione della mamma
che sostituisce quella del bambino con la sua, facendola passare come
appartenente al minore.
La mistificazione è transpersonale perché è l’azione di una persona
sull’altra. In questa forma di mistificazione ritorniamo a quanto dicevamo
pocanzi. In questa azione transpersonale c’è un trasferimento di pensieri,
sentimenti ed emozioni da una persona all’altra. L’alienate svuota il mondo
97 LAING, op. cit. p. 367
85
interiore del bambino e lo colonizza con il suo mondo interiore di odio verso
il target, imponendo al bambino di credere che sia il suo, e convincendo se
stesso (alienante) che effettivamente quello sia il mondo interiore del minore.
Gulotta e Liberatore chiosano:
“L’alienazione parentale è un tipo di mistificazione attraverso cui il
genitore alienante sconfessa il contenuto della esperienza del bambino
relativamente all’altro genitore sostituendolo con attribuzioni di esperienze
proprie. Il bambino viene espropriato delle proprie emozioni e dei propri
sentimenti verso l’altro genitore e i suoi vissuti vengono sostituiti con quelli
dell’alienante”98
§ 5.1 La sindrome di alienazione parentale tra
educazione e induzione ipnotica
Il patrimonio conoscitivo della Psicologia dello sviluppo ci permette
di pensare all’ingresso del bambino nel mondo come ad una vera scoperta
quotidiana, un’arrampicata verticale su una parete ancora ignota che richiede
abilità cognitive, emotive e relazionali. L’avventura della vita non si compie se
non accompagnati da chi ha già solcato almeno parte dell’itinerario. Così,
ogni bambino che si appresta ad entrare nei complessi meccanismi di
relazione con il mondo, necessità di figure importanti e normative, dei
caregiver capaci di dire cosa sia buono e cosa no, come comportarsi in un
certo contesto e come reagire in un altro ecc. Il posto di guida è normalmente
affidato alla famiglia, e in primis ai genitori, insieme ad altre figure importanti e
significative che determinano lo sviluppo complessivo del bambino, secondo
quanto ricorda un antico proverbio africano: per educare un bambino,
occorre un villaggio.
98 GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p. 199
86
E, mentre matura la dimensione fisiologica della sua esistenza, il
minore sviluppa un intricato e complesso mondo di conoscenze e abilità,
assolutamente necessarie per vivere nella società.
C’è concordanza nel ritenere che i processi intrapsichici che si
strutturano nella mente del bambino siano influenzati direttamente dalla
presenza attiva del/i caregiver. In buona sostanza, si vanno a costituire quelle
dinamiche fondamentali di cognizione e percezione della realtà che
caratterizzeranno il resto della vita. I modelli operativi interni andranno
certamente incontro a variazioni significative nel corso delle fasi cruciali della
vita, come ad esempio nell’adolescenza, tuttavia, specialmente negli anni della
infanzia e della fanciullezza, essi saranno determinati da fattori genetici,
fattori sociali e, come stiamo sostenendo, da fattori relazionali direttamente
riferibili alla famiglia e in specie ai genitori.
Il bambino impara non per imposizione ma perché accetta come
vere le varie conoscenze che il genitore gli offre; e non potrebbe ovviamente
fare altrimenti, pena il continuo fallimento adattativo nel mondo. Sarebbe
inimmaginabile, ad esempio, un bambino che imparasse la lingua natìa
apprendendo esclusivamente dai suoi errori, o che capisse le regole del
comportamento del pedone sulla strada dalle proprie infrazioni. Avrebbe vita
breve. Il processo evolutivo della specie umana ha portato il bambino ad
essere biologicamente orientato ad entrare in relazione di amore con il suo
caregiver da cui trae nutrimento, calore, scambio affettivo, riconoscimento di
identità e sicurezza. La guida è l’altro importante che riconosce come
sufficientemente buono e come un porto sicuro. Da lui accetta di essere
guidato e formato perché gli offre uno scopo di vita, gli permette di non
sbagliare, gli dona un modo di pensare se stesso e le cose del mondo, ma più
in profondità dice al bambino chi egli sia.
Questo è un punto centrale, infatti l’ingresso nelle relazioni sociali
non avviene semplicemente accumulando conoscenze ed abilità, ma grazie
alla chiarezza della propria identità. Il caregiver non dice al bambino solo cosa
fare o cosa dire ma gli dice chi egli sia. E questo si dà nel complesso e
articolato scambio comunicativo, che via via si struttura nel corso degli anni.
87
Si tratta di una relazione che è composta da parole ma anche e specialmente
da contatto fisico, visivo, olfattivo, fatto di sensazioni, condivisioni di stati
umorali ed emotivi, e di una vasta gamma di sentimenti che vanno a formare
il patrimonio interiore sia del bambino sia del genitore.
In questa comunicazione, si assiste ad una asimmetria relazionale,
perché è certamente vero che il genitore possa imparare dal bambino, tuttavia
è anzitutto il bambino che riceve dall’adulto. Questa ricezione non verte sulle
nozioni ma sulla realtà di se stesso. Il bambino riceve una serie di messaggi
verbali ed extra verbali che gli dicono chi egli sia, come si senta e cosa
avverta. Si tratta della più normale relazione educativa, nella quale i genitori
determinano l’identità del bambino. Infatti, nelle relazioni parentali sane
questo dinamismo si perpetua con naturale progressività e senza inciampi, e il
minore passa tra le fasi del suo sviluppo psico - fisico - emozionale, fino ad
arrivare ad affrancarsi dalla autorità genitoriale, perché ormai ha raggiunto
una chiara definizione della propria identità e può camminare da solo.
Quando, invece, ci troviamo di fronte a rapporti patologici, come
quelli descritti nella fenomenologia della PAS, il rapporto asimmetrico di
dipendenza tra genitore e figlio può diventare un vero problema, perché il
minore resta in balìa della volontà del genitore alienante. Mediante la struttura
comunicativa poco sopra citata, egli può influenzare pesantemente lo
sviluppo della personalità cognitiva ed emotiva del bambino, fino a
modificarne l’identità secondo i propri piani.
Gulotta e Liberatore osservano come in questa dinamica di
attribuzione di identità, ci sia un significativo tratto di somiglianza con
l’induzione ipnotica, tanto da poter accostare e quasi sovrapporre i concetti di
influenza ipnotica e influenza educativa (in questo caso patologica). Gli
autori affermano:
“La comunicazione tra il bambino e i genitori non avviene solamente a
livello verbale, ma si avvale di canali comunicativi segreti, quali segni tattili,
cinetici, olfattivi, visivi. Questi segnali non impongono al bambino di essere in
88
un certo modo. Semplicemente gli comunicano che egli è in un certo modo. Il
processo di alienazione ricorda per molti aspetti una sorta di ipnotizzazione del
bambino”99
Facendo capo all’articolo di Vanderberg,100 Gulotta e Liberatore
vanno a definire con più precisione la natura della influenza che si determina
nello stato di ipnosi. Nello stato di coscienza alternativa (come è quello della
dimensione ipnotica), il soggetto può ristrutturare i suoi processi psicologici
di base, seguendo le indicazioni dell’ipnotizzatore. Memoria, percezione,
cognizione e volontà vanno incontro ad una modificazione importante che
determina la comprensione del mondo, lo stile di vita e le scelte connesse. Se
sottoporre un adulto alla trance ipnotica genera trasformazioni significative,
quanto più grande e determinante sarà l’efficacia che essa produrrà sul
bambino, ancora incapace di indipendenza emotiva e cognitiva, e in tutto
sottomesso alla volontà del genitore/ipnotizzatore.
La relazione asimmetrica di dipendenza trova la sua apoteosi quando
è portata avanti con metodo, sistematicamente e con la frequenza tipica della
relazione di accudimento materno/paterno durante lo sviluppo della vita,
ancor più se l’alienante (come sempre accade) è genitore affidatario.
In condizioni di patologia, come nella PAS, questa situazione
provocherà danno seri alla identità del bambino, che sarà svuotato di sé e
riempito della mente del genitore alienante.
L’opera di suggestione ipnotica è una trama di sofisticate
interrelazioni nella quale la prima regola è la mistificazione della ingiunzione,
affinché il comando arrivi alla mente del soggetto influenzato non come
ordine diretto, che potrebbe essere razionalmente e coscientemente rifiutato,
ma come una conseguenza indiretta e camuffata di una affermazione ritenuta
vera e accolta senza difese. La forza della suggestione ipnotica sta nel suo
99 GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. pp. 201-202 100 B. VANDENBERG, Hypnosis and sociogenetic influence in human development, in New Idea in Psychology, 23, 2005, pp. 33-48
89
essere criptata e indiretta, inevidente eppure potente, perché comunica
efficacemente senza palesare autorità esplicita. E mentre essa crea il legame di
dipendenza e sottomissione, sono surrettiziamente comunicati stati d’animo,
emozioni e sentimenti che l’ipnotizzatore vuole far percepire.
Per dare concretezza a questa dinamica ed evitare l’astrazione teorica
(che in un argomento come questo potrebbe essere controproducente), mi
sembra importante riportare un caso clinico, che gli stessi autori hanno
incontrato nella loro vita professione. In particolare, si tratta del caso trattato
da Moira Liberatore in qualità di consulente tecnico di parte. Ecco la
trascrizione del dialogo avvenuto tra papà, bambino e mamma, sotto il
controllo diretto dei tecnici dietro lo specchio monodirezionale.101
Interazione linguistica
Papà: Questa qui nuova la vuoi? Questa qui che
abbiamo appena preso, una macchinina così per
giocare, semplice semplice, mmm… te la porti?
Il bambino guarda la mamma
Mamma: Devi guardare il papà, non la mamma
Papà: Tienila se la vuoi, per me va bene, non c’è
mica problema eh.
Mamma: Forse ne hai tante a casa, non so, come
vuoi.
Papà: Come vuoi stellina
Alla fine del dialogo il bambino decide di lasciare la
macchinina al papà, ma continua a giocarci
Manovra
Il papà chiede al bambino se vuole portare a
casa la macchinina; il bambino è molto
incerto perché certamente la vorrebbe, ma
sospetta che questo non sarebbe gradito alla
mamma. Il piccolo è chiaramente in attesa
del permesso della mamma (infatti la
guarda). La mamma, anziché incoraggiare il
figlio ad accettare il regalo del papà,
squalifica l’oggetto in sé dicendo forse ne hai
tante a casa, non so, come vuoi.
Il semplice dialogo familiare presenta diverse forme di mistificazione,
che ora andiamo a mettere in risalto comparando l’interazione linguistica con
i significati occulti criptati nella semantica.
101
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. pp. 204-205
90
Interazione linguistica
Papà: Questa qui nuova la vuoi? Questa qui che
abbiamo appena preso, una macchinina così per
giocare, semplice semplice, mmm te la porti?
Il bambino guarda la mamma
Mamma: Devi guardare il papà, non la mamma
Papà: Tienila se la vuoi, per me va bene, non c’è
mica problema eh.
Mamma: Forse ne hai tante a casa, non so, come
vuoi.
Papà: Come vuoi stellina
Il bambino decide di lasciare la macchinina al papà
ma continua a giocarci
Manovra
Papà: puoi tenere con te, nel mondo della mamma,
una cosina che viene dal mondo del papà e te lo
ricorda?
Il bambino chiede permesso alla mamma
Mamma: non dovresti neppure chiedermelo…
Papà: vorrei esserci nella tua vita
Mamma: se non ti è sufficiente tutto quello che ti
do io, sei un ingrato, e comunque fa’ come credi.
Papà: Come puoi stellina
Bambino: Anch’io vorrei esserci nella tua vita,
papà, ma non posso tradire e deludere la mamma.
La situazione del bambino è di forte imbarazzo e confusione perché
è posto nelle condizioni di dover decidere. Qualunque fosse la decisione,
comporterebbe di deludere almeno uno dei genitori. È la situazione di doppio
legame che blocca le scelte del bambino.
C’è una sovrapposizione tra questa situazione e quella del
condizionamento ipnotico perché si nota come le parole della mamma
insinuino nella mente del bambino che egli stesso (…fa’ come credi) debba
scegliere quello che in realtà la mamma gli ha già suggerito. Questa ha
comunicato al bambino tutta la sua disapprovazione nell’accettazione del
regalo del papà, in quanto oggetto già a disposizione nella casa materna (…
forse ne hai tante a casa) e simbolo di una presenza paterna sgradita che deve
rimanere fuori dal mondo materno.
A commento di questo dialogo familiare, gli autori concludono:
“Attraverso le attribuzioni di esperienze all’altro, l’ipnotista ottiene di
far fare all’altro ciò che desidera senza dargli l’impressione di imporgli la propria
volontà, riuscendo così a trasformare i propri intenti in motivazioni, fantasie ed
91
esperienze dell’altro. La persona mistificata entra così in uno stato di confusione
che non è necessariamente esperito come tale, anzi, tanto più la strategia
mistificante è subdola, tanto meno l’altro la decifra e la avverte”.102
Mediante tutte queste tecniche mistificatorie l’alienante soggioga a sé
la volontà dell’alienato rendendolo di fatto l’ombra di se stesso e l’immagine
traslata del programmatore. Viene creato un Io contraffatto,103 e tuttavia creduto
vero sia dall’alienante che dall’alienato. L’immagine è creduta vera perché è
credibile e plausibile nel contesto di strettissima relazione tra programmatore
e bambino da un lato, e di progressivo distacco tra genitore e target dall’altro.
A questa altezza della alienazione trovano composizione ultima i dati
che abbiamo sparso in altri punti della dissertazione, infatti la metodica
ipnotica applicata ad un bambino nella fase dello sviluppo emotivo, cognitivo
e relazionale, convince il minore di essere veramente ciò che sente di essere, e
di percepire come veri i sentimenti indotti dall’alienante.
Gli autori affermano che “l’ipnotizzato avverte realmente ciò che dice di
provare, ma lo prova irrealmente, cioè si auto inganna sul senso di ciò che prova.”104
Qui trova un fondamento ulteriore quanto Gardner diceva a
proposito dei sintomi della alienazione genitoriale (vedi cap. 3 della
dissertazione). Egli indicava gli otto principali sintomi della PAS: campagna di
denigrazione; razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il
biasimo; mancanza di ambivalenza; il fenomeno del pensatore indipendente;
appoggio automatico al genitore alienante nel conflitto genitoriale; assenza di
senso di colpa per la crudeltà e l’insensibilità verso il genitore alienato; utilizzo
di scenari presi a prestito; estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli
amici del genitore alienato. Questi sintomi sembrano essere pennellate
espressive di una tela della PAS ormai definita nella sua ampiezza. Tutti
trovano una composizione e una collocazione come ad incastro, rivelando
102 GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p. 205 103 GULOTTA, L’io ipnotico come io contraffatto, in Ipnosi, 1, 1980, pp.15-19 104
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p. 206
92
dunque estremamente efficace l’ipotesi del condizionamento ipnotico quale
cifra sintetica e riassuntiva della PAS.
Anche le fasi della pianificazione della programmazione di cui
abbiamo già parlato nel cap. 4 della dissertazione, in questa fase del discorso
pare che trovino una conferma. Attraverso percorsi differenti si giunge così a
provare quanto era stato enunciato, ma con l’evidente vantaggio di aver
compreso più a fondo un tratto distintivo e peculiare della sindrome. Mi sto
riferendo esplicitamente alla quinta fase della programmazione individuata da
Buzzi105 in cui si affermava che, compiuta l’opera di alienazione sarebbe stato
sufficiente mantenere il programma. Così è anche quando la suggestione ipnotica
è giunta al suo fine. Non occorre, infatti, nient’altro se non mantenere il
rapporto ordinario di dipendenza. Gulotta e Liberatore scrivono: “…quando
il percorso di alienazione è completato non è più necessario nessun intervento dell’alienante:
il soggetto perpetua autonomamente l’autoinganno”.106
Chiudendo questa parte del discorso occorre spendere una nota
anche sulla tipologia del linguaggio dell’ipnotista che risulta essere del tutto
particolare, in quanto va oltre i canoni normali della comunicazione tra i
soggetti. L’eloquio dell’ipnotista non è volto a comunicare nozioni o a
trasmettere informazioni mediante un procedimento logico deduttivo; egli,
mediante la ridondanza verbale, tende ad instillare nella mente
dell’ipnotizzato sentimenti e stati d’animo secondo la volontà
dell’ipnotizzatore, infatti questi vuole che si producano emozioni e sensazioni
più che nuove cognizioni. Anche in questo caso vi è strettissima analogia tra
ipnosi e alienazione genitoriale, infatti entrambi tendono a comunicare e
indurre emozioni e fantasie per il controllo della persona.
105 Nell’opera citata, Buzzi elenca le fasi della programmazione: Ci sono 5 fasi nella programmazione: guadagnare accondiscendenza; testare come funziona la programmazione; misurazione della lealtà; generalizzazione ed espansione del programma; mantenere il programma. 106
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p. 206
93
In base alla loro esperienza clinica, i due autori più volte citati,
elencano le principali caratteristiche che appartengono al linguaggio sia
dell’ipnotista sia dell’alienante:107
1. La struttura del linguaggio non è anzitutto
denominativa ma connotativa, cioè sposta l’attenzione dal
processo logico deduttivo ordinariamente presente nel
dialogo, a quello evocativo, immaginativo e fantastico nel
quale trovano spazio i rimandi e i collegamenti analogici e
metaforici. Ne risulta una parola che dice più di se stessa, che,
mentre viene proferita, è capace di suscitare in chi ascolta una
pletora di stati d’animo, emozioni e sentimenti.
2. Il linguaggio è carico di ambiguità per lasciare
indeterminato il nesso logico tra soggetto e oggetto. Qui
trovano spazio la metafora e l’analogia, così come il più
grande ipnotista del ‘900, Milton Erikson insegnava ai suoi
discepoli. La finalità di questa assunzione è il coinvolgimento
non solo della parte logico razionale dell’ipnotizzato, ma
anzitutto della sua parte inconscia, raggiunta mediate simboli
e immagini.
3. L’ipnotista (come l’alienante) ricorre ad un
linguaggio dove abbonda la paratassi per dare struttura fluida
e continuativa ad un discorso, che, altrimenti, potrebbe
apparire spezzato. Le congiunzioni evitano il ricorso alle
subordinate, che necessariamente richiamano il nesso di
causalità logica tra una frase e la successiva. La continuità
della frase non tollera passaggi logici ma richiede
accostamenti serrati di immagini e stimoli. Dicono Gulotta e
Liberatore: “Tra le congiunzioni quelle più usate sono le copulative
come e, anche; le esplicative cioè, infatti; le correlative tanto…
quanto; le causali perché, poiché; le consecutive tanto… che, così
…che; le modali come se”.108
107
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p. 207 108
GULOTTA, LIBERATORE, op. cit. p. 207
94
Riprendendo gli studi di Shachter e Singer degli anni ’60109, possiamo
anche notare che lo stato di attivazione cerebrale tarato sul registro
emozionale, genera nell’ipnotizzato una variazione spesso significativa del suo
arausal, cioè l’attivazione fisiologica (sudorazione, battito cardiaco, tensione
muscolare, ecc) che l’ipnotista utilizza a suo favore, interpretandone il
significato e offrendolo all’ipnotizzato per approfondire ulteriormente lo
stato di trance o trasferire in lui altre suggestioni. Nella trance il soggetto
avverte l’attivazione del suo arausal, e l’ipnotizzatore gli confermerà che ad
esso è collegato un ben determinato sentimento o atteggiamento, che ormai
prende stabilmente posto in lui. Così facendo, cioè dando nome e definendo
l’attivazione fisiologica, viene imposta al soggetto in trance una nuova
interpretazione cognitiva della sua realtà. Si potrà suggerirgli, ad esempio, che
la tensione emotiva in presenza di una certa persona in un determinato
contesto sia in realtà la rivelazione di un sentimento di passione e amore.
Applicando la questione al nostro caso di alienazione genitoriale,
l’alienante/ipnotizzatore potrà, ad esempio, associare all’aumentato battito
cardiaco o al nervosismo del bambino presenti durante le visite del genitore
alienato, al sentimento di disgusto per la sua presenza. Il bambino verrà così
ulteriormente confermato nel suo odio per il target.
Una netta demarcazione tuttavia va messa tra ipnosi e alienazione.
Pur percorrendo le medesime strategie comunicative, esse vengono promosse
in ambiti differenti, in condizioni differenti e con finalità differenti. Altro è
l’adulto che si sottopone volontariamente ad una seduta di ipnosi per un
problema relativo al suo equilibrio emotivo o relazionale, altro è la
sopraffazione cui è destinato il minore alienato dal genitore. Sia adulto sia
bambino sono in situazione di subordinazione rispetto all’ipnotizzatore, ma
ovviamente il primo non subisce la realtà e in certa misura la governa, in
quanto l’ha espressamente richiesta all’ipnotista; il secondo, suo malgrado si
trova ad essere in posizione di sottomissione senza certamente averlo chiesto.
109
SHACHTER e SINGER, Cognitive, social and physiological determinants of emotional states, Psychological Review, 69, 1962. pp. 379-399.
95
Alla luce di quanto sta emergendo dalla dissertazione, quando il
giudice si viene a trovare a decidere in questioni di separazione conflittuale e
di affidamento dei figli, gli viene chiesta una competenza altissima e una
grande assunzione di responsabilità. Oltre che a possedere tutte le abilità
professionali e morali del proprio specifico ruolo, il giudice deve
necessariamente essere coadiuvato da esperti consulenti tecnici, i quali, a loro
volta, nel proprio bagaglio culturale e professionale non possono fare
mancare le conoscenze relative alla PAS e, in merito all’argomento specifico,
alle dinamiche di condizionamento ipnotico che possono strutturarsi in
rapporto patologico tra genitore e figlio. Evidentemente è necessario non
solo il semplice curriculum di studi di Psicologia, ma un approfondimento
tematico in ordine alla PAS e a tutti i suoi corollari. È in ballo la vita dei
bambini.
96
CAPITOLO 6
UN CASO CONCRETO: LA STORIA DI GABRIELE
Quella che presento è davvero una storia surreale, al limite del
credibile, e tuttavia drammaticamente vera. Si tratta della vicenda di Gabriele.
Sono venuto a conoscenza di questa storia grazie al dialogo con il dottor
Vittorio Vezzetti, che sono andato a incontrare personalmente nel suo studio
medico ad Angera (VA). Il dottore mi ha gentilmente concesso la possibilità
di presentare il caso nella mia dissertazione offrendomi la documentazione
inerente110, illustrandomi a voce la complessità e l’infinita tristezza per
l’esperienza di abuso subita dal bambino.
La storia di Gabriele ci permette di rilevare, tra gli atri, due aspetti
della articolata questione della sindrome cui tengo in modo particolare: la
presentazione fenomenologica della PAS in una vicenda reale e vissuta, e,
insieme, l’emersione dell’“indotto” correlato, cioè l’intreccio indistricabile tra
giurisprudenza e sanità italiana e le loro prassi, le consuetudini culturali e
tutto ciò che concorre al mantenimento dello status quo.
Gabriele nasce nel settembre del 1999 e, a soli 6 mesi di vita, il 4
febbraio 2000 subisce il primo ricovero per rigurgiti e vomiti riferiti dalla
madre dopo l’assunzione di crema di riso. L’anamnesi offerta dalla madre, i
successivi accertamenti mediante gli esami di routine, la visita cardiologica e
il RAST (RadioAllergoSorbent Test, cioè test radioallergoassorbente che
cerca la quantità di immunoglobuline nel sangue in circolo), portarono alla
diagnosi di allergia alla crema di riso, IPLV (allergia al latte vaccino) ed RGE
(reflusso gastroesofageo). Fu suggerita una terapia con Cisapride.
Il secondo ricovero è del 4 ottobre 2002 per trauma cranico
occipitale, mentre il bambino ormai da un paio di anni seguiva un regime
alimentare senza i cibi indicati come nocivi dal primo ricovero e,
110
V. VEZZETTI, Casi indimenticabili in pediatria ambulatoriale, Atti del Convegno, Vicenza, 3 febbraio 2012. Oppure vedi il link http://www.figlipersempre.com/res/site39917/res637707_Gabriel.pdf
97
cautelativamente, priva anche di uova e frumento. Gabriele fu sottoposto ad
una serie di esami clinici che non rilevarono nulla di difforme al normale.
Nel dicembre 2003, in mezzo a forti attriti anche dovuti dalla
gestione della salute del bambino, avviene la separazione dei genitori e
l’inizio del contenzioso per l’affidamento di Gabriele.
Nel 2004, il 4 agosto, c’è l’ulteriore ricovero, questa volta voluto dal
padre, non convinto del quadro poliallergico di Gabriele, così come la madre
sosteneva. Esito: nessun riscontro clinico di malattie in corso degne di nota.
9 settembre 2004, quarto ricovero per sospetta allergia al glutine.
Furono eseguiti tutti gli esami necessari al caso e non si evidenziò alcuna
allergia degna di nota.
Nel quinto ricovero del 2 gennaio 2005 la madre motiva il ricorso
alla struttura ospedaliera perché aveva notato un potente pallore di Gabriele
con evidenti crisi respiratorie, che il sanitario di turno non poté verificare in
quanto “già” sparite.
La Via Crucis continua. 8 gennaio 2005. Sesto ricovero. Si deliberò di
liberare il bambino da ogni regime dietetico vincolante, anche se la madre
affermava di aver notato una crisi di sudorazione.
Nel successivo ricovero, registrato il 28 maggio 2005, la madre
riferiva i sintomi di anoressia nel bambino e, tra questi, l’acuirsi di crisi di
vomito nell’ultima settimana. Il padre contestò questa prospettiva, ma
evidentemente non fu ascoltato. Gli accertamenti del caso portarono a non
rilevare nulla di difforme alla normalità e nessuna causa organica che potesse
giustificare i disturbi segnalati. Nella cartella clinica di Gabriele fu segnalata
una “pregressa poliallergia” e venne effettuata una osservazione di carattere
psicologico da cui emerse l’iperprotettività della madre.
Ottavo ricovero in Day Hospital per poliallergia alimentare e
iporessia. 4 giugno 2005.
98
A questa altezza della storia del bambino di sei anni, dopo otto
ricoveri e una serie incredibile di esami e stress correlato, si comincia a
dubitare che l’origine dei mali di Gabriele sia di natura organica e si orienta il
giudizio sulla dimensione psicologica e sulle relazione parentali.
Seguono altri due ricoveri, nell’agosto e nel settembre del 2005, che
ebbero il merito di far propendere decisamente i sanitari per una malattia
psicosomatica.
Non manca l’attacco di polmonite. Undicesimo ricovero: dal 7 al 21
settembre 2007.
1 ottobre 2007, Gabriele ha otto anni e deve subire il dodicesimo
ricovero per sospetta artrite reumatoide.
Il tredicesimo ricovero fu eseguito a motivo della sospetta malattia di
Crohn (malattia infiammatoria cronica dell’intestino). Era l’8 ottobre del
2007. Il bambino, nonostante i sanitari non avessero prescritto alcuna dieta
particolare, seguiva un regime dietetico povero con l’esclusione di molti cibi,
a detta della madre, dannosi alla sua salute. Da una serie di esami clinici,
nell’ipotesi della presenza del morbo di Crohn, si decise di intervenire con
terapia specifica.
Il quattordicesimo ricovero non evidenziò alcunché. Tra i molti
esami clinici che il piccolo Gabriele dovette subire, una nota particolare va
fatta per quello psicologico che rivelò l’emergere della manifestazione
somatoforme come forma di comunicazione di disagio psicoemozionale. La
madre si è opposta ad ulteriori approfondimenti in quando, a suo dire, già
seguita da altri specialisti. Dalla testimonianza del padre, tuttavia emerge che
Gabriele è stato sottoposto alla cura di almeno quattro pediatri, che sono stati
via via selezionati dalla madre in base al gradimento della diagnosi da essi
offerta. È chiaro che questo continuo variare dei medici rivela la tensione
continua della donna a voler mantenere il controllo assoluto sul figlio
attraverso le sue malattie, vere o presunte che ponevano il piccolo Gabriele in
uno stato di dipendenza totale dalla madre. Quest’ultima aveva deciso anche
di non sottoporre Gabriele ai normali cicli vaccinali per presunte reazioni
99
avverse, scelta avallata dall’ennesimo pediatra consenziente, che li segnalava
come pericolosi per la salute del minore. Il padre ha cercato di opporsi a tale
azione ma, a causa dell’avvenuta sospensione della potestà genitoriale da
parte del giudice, ha dovuto cedere alla volontà della madre. A conferma di
queste parole cito la dott.ssa Buzzi:
“… alcuni genitori (quelli psicologicamente più deboli), cercano di
averne il controllo più totale. Esternano un amore di tipo possessivo e
controllante. Se gli amici i parenti o l’avvocato cercano di mitigare il loro
comportamento competitivo e paranoico, o si dimostrano apertamente dissenzienti,
vengono allontanati o licenziati. A ciò si aggiunge sovente una forte gelosia nei
confronti del nuovo partner dell’altro, il quale è spesso identificato come un
rimpiazzo di sé.”111
Dopo questi eventi (siamo nel luglio del 2008), Gabriele è stato
affidato esclusivamente alla madre. Il padre sta cercando di riacquistare i
propri diritti di genitori attraverso il lungo iter delle vie legali112.
Presentando il caso, il dott. Vezzetti cita il manuale di pediatria
Schwarz-Tiene:
“La patologia da inganno è frequente, e oggi più frequente che in
passato per il crescente peso simbolico che le malattie hanno nel contesto sociale e
per la crescente attenzione prestata alle malattie dei bambini in particolare.
L’inganno può essere proposto dal bambino (in questo caso più frequente le età
più tipiche sono ancora una volta dagli 8 ai 14 anni) o dalla famiglia tramite il
bambino (Sindrome di Munchausen by proxy o per procura).
111
I. BUZZI, Sindrome di alienazione genitoriale, in Cigoli V., Gulotta G. & Santi G. (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Milano, Giuffré ed., II Ed., 1997 112
Per una maggior chiarezza dell’intera vicenda è possibile visionare in rete la testimonianza di Nando Sandovelli, padre di Gabriele. http://www.youtube.com/watch?v=2zNw1500pok
100
Nel primo caso sono più frequenti febbri, dolori, impotenza funzionale
degli arti, lipotimie, e vertigini o convulsioni. Nel secondo caso l’ematuria, la
diarrea, il vomito, la scarsa crescita. La patologia da inganno, così come la
patologia funzionale, ma forse più spesso ancora, conduce alla sala operatoria, alla
TAC, ad ospedalizzazioni anche di mesi, non di rado. Ed è tuttora largamente
misconosciuta”.
Ancora:
“… il sintomo serve a produrre un vantaggio, e il vantaggio è ancora una
volta stare a casa, accuditi. A volte il sintomo riproduce anamnesticamente una
sintomatologia effettivamente prodottasi durante una malattia. La famiglia può
proporre il bambino malato per ottenere vantaggi temporali (deposito del bambino)
o per rispondere ad esigenze più complesse”.
Una breve nota sulla malattia Munchausen per procura. Essa consiste
nel produrre volontariamente dei danni al corpo delle persone per soddisfare
un proprio bisogno inconscio al fine di costruire o rinforzare, a fronte del
danno arrecato, una relazione di accudimento e cura tipica della figura
medico/materna. Si tratta di una malattia psichica che rientra nel quadro delle
Patologie della cura, e nel nostro caso, di iper-cura.
La mamma di Gabriele si può considerare affetta dalla Sindrome di
Munchausen per procura. Questa donna, sin dall’inizio ha esercitato un potere via
via sempre più invasivo e totale su Gabriele, escludendo i diversi attori che, in
maniere differenti avrebbero potuto allentare la sua presa sul figlio. Questa
azione sistematica è cresciuta negli anni e si è meglio definita nel quadro della
separazione come l’elemento dirimente da cui, a mio avviso, si è innescata la
PAS. Tutti i sintomi principali della Sindrome del dott. Gardner erano
presenti (campagna di denigrazione; razionalizzazioni deboli, superficiali e
assurde per giustificare il biasimo; mancanza di ambivalenza; il fenomeno del
101
pensatore indipendente; appoggio automatico al genitore alienante nel
conflitto genitoriale; assenza di senso di colpa per la crudeltà e l’insensibilità
verso il genitore alienato; utilizzo di scenari presi a prestito; estensione
dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del genitore alienato), avallate e
sostenute da giudici, avvocati ma anche medici che non hanno fatto nulla per
andare oltre il già noto. Nessuno ha messo in questione la sanezza mentale
della donna, lavandosi le mani di fronte al macroscopico elemento degli
innumerevoli ricoveri, tutti - di fatto - rivelatisi inutili. Se nel campo sanitario
non c’è stato un professionista sufficientemente coraggioso ed intelligente per
mettere in discussione la diagnosi pregressa formulando altre ipotesi
diagnostiche, lo stesso dicasi per l’esercizio della giustizia minorile. Ancora
una volta la problematica psicologica della donna e delle sue reali capacità
genitoriali (incredibilmente la potestà genitoriale è stata tolta al padre) non
sono entrati nella valutazione delle scelte da compiere per il bene del
bambino, e si è preferito continuare a mantenere l’equilibrio instabile di
affidare il bambino alle esclusive cure materne.
Se si fosse approfondito il quadro psicologico della donna, sarebbe
affiorato un disturbo della personalità certamente marcato. Sarebbe emersa la
personalità istrionica della donna e il suo stile subdolo e insieme affascinante
finalizzato al condizionamento totale del bambino. Se si fosse approfondito il
caso, non sarebbe sfuggita la problematicità di un quadro familiare complesso
segnato dalla assenza del padre, il cui ruolo sino ad un certo punto è stato
dimesso, incerto e certamente per nulla autorevole, piegato al basso profilo,
che nei casi incipienti di PAS non fa che slatentizzante la sindrome.
Il caso di Gabriele merita una citazione perché c’è anzitutto la
dolorosa esperienza di un bambino che in otto anni di vita ha subito almeno
quattordici ricoveri, è stato sottoposto a diversi esami clinici, di cui alcuni
abbastanza invasivi. Gabriele, bambino sostanzialmente sano, è stato
trasformato in un malato, la cui famiglia è andata progressivamente
disfacendosi. Ha perso l’amore della sana bigenitorialità, ritrovandosi come
sola affidataria una donna psichicamente disturbata e lasciata totalmente
libera da un un sistema sociale disinteressato e, forse, più attento all’aspetto
102
economico del mondo delle separazioni coniugali, specialmente quelle
conflittuali.
Gabriele si è ammalto di PAS, risposta adattiva alla pressione
esplicita della madre colpita da disturbo di personalità, dopo essere diventato
target di una donna segnata dalla Sindrome di Munchausen per procura.
La storia di Gabriele andrebbe analizzata da diverse angolazioni;
sinora abbiamo percorso il tracciato che ci ha permesso di ipotizzare la
malattia psichica della madre, che ha trascinato il figlio e l’intera famiglia in un
lungo calvario. La Sindrome di Munchausen, così come propone il dott.
Vezzetti, sembra essere la spiegazione più pertinente e illuminante, tuttavia,
ad una analisi attenta si evincono anche diversi elementi che, letti in sinossi,
portano il clinico a rintracciare il quadro di PAS.
L’articolo del pediatra varesino è ovviamente focalizzato sulle
dinamiche psichiche della madre e sulla presentazione del quadro clinico di
Gabriele; per il nostro lavoro occorre anche mettere in luce i fattori
direttamente pertinenti alla PAS, sulla scorta dell’analisi dei capitoli
precedenti.
Prima di entrare nel merito, occorrono delle precisazioni e delle
avvertenze:
la sindrome, lo ricordo, non dipende immediatamente dalla
campagna denigratoria della madre ma dagli effetti che questa genera
nel bambino.
Nel caso specifico di Gabriele, abbiamo degli elementi
dirimenti, fondamentali da ricordare: l’affido di fatto esclusivo alla
madre. (Sappiamo che questa è condizione necessaria, anche se non
sufficiente per orientare la diagnosi.) 113; il padre è stato privato della
potestà genitoriale, e ne viene esautorato nel luglio del 2008 a causa
113
L’analisi statistica riportata da LUBRANO LAVADERA, MARASCO rileva, come riportato nel cap. 4 della dissertazione, che in tutti i casi di PAS gravi, il genitore alienante è sempre il genitore affidatario.
103
della presunta negligenza di cura alimentare verso il bambino e per il
suo stato psichico, ritenuto non conforme alle qualità genitoriali.
Assistiamo ad una escalation di osservazioni sempre più precise
da parte del padre, che dice che il bambino durante loro incontri lo
bacia sulle labbra, cosa che prima della separazione dalla moglie non
faceva. Il padre avverte che già si configura la distinzione tra un prima
affettivo, ed un poi affettivo, segnato - per il momento - dalla semplice
differenza di atteggiamento e gesto del bambino. In mezzo c’è lo
spartiacque della separazione coniugale, nota assai importante perché
l’elemento temporale abbiamo detto essere uno snodo capitale per la
diagnosi di PAS.
Un altro elemento, sempre riportato dal padre, mette l’accento
su ciò che abbiamo definito nella dissertazione come il conflitto di lealtà
e il doppio legame. Il fatto è presto raccontato. Dopo la separazione
della coppia e l’impossibilità del padre di vedere il bambino, questi
incontra casualmente la mamma e Gabriele per strada. Insieme
vanno dai Carabinieri e viene chiesto al minore con chi avesse voluto
rimanere. Gabriele rispose che avrebbe preferito stare con la
mamma.
Un altro episodio, che ci allerta circa l’instaurarsi della
sindrome in Gabriele, avviene quando, il primo giorno di scuola, il
papà, commosso e in lacrime alla vista del figlio, lo saluta e lo
abbraccia. Gabriele gli domanda come mai stesse piangendo, e gli
dice: “Sei cattivo perché mi hai fatto finire in Ospedale”. Una simile
affermazione non appartiene al bambino, che spontaneamente nutre
sentimenti positivi verso entrambi i genitori. Invece addita il papà
come cattivo, e lo accusa di una colpa, la cui attribuzione non può che
essere fatta risalire alla madre. La campagna denigratoria dell’altro genitore
qui trova una significativa conferma (primo sintomo di PAS
segnalato da Gardner).
Il padre di Gabriele riferisce che il bambino (Gabriele ha ormai
6 anni) durante un incontro protetto (che il genitore definisce come
“spazio neutro”) non lo vuole più abbracciare e nemmeno baciare, e
104
nel successivo incontro, il padre riporta una frase del figlio: “non è vero
che la mamma ha strappato il vestito alla nonna”, facendo così intendere
che il bambino stava ormai prendendo spontaneamente la difesa
della madre, allineandosi e alleandosi con lei (altro sintomo di PAS).
Gabriele, alla fine, si rifiuta di vedere il padre.
Dopo questo lungo ma necessario preambolo, per fondare scientificamente
l’ipotesi della PAS nella storia di Gabriele, metto a confronto le sue
affermazioni114 e i sintomi per la diagnosi differenziale indicati da Gardner
(vedi cap. 3 della dissertazione).
Trascrizione del dialogo Descrizione dei sintomi
Primo dialogo: Papà è cattivo, non mi ha dato
niente da mangiare quando ero piccolo. Ora siamo
separati, e dice che mi vuole bene. Mio padre,
quando si è sposato, non voleva bene a mamma e a
me. Fa finta. Mi vuole levare da mia madre, e la
nonna dice che è cattivo perché non mi ha comprato
da mangiare, né i giocattoli. Li aveva i soldi, ma se
li nasconde, così Gabriele non se li prende.
L’accusa di mancanza di assistenza
nell’infanzia è una delle “razionalizzazioni
deboli, superficiali e assurde per giustificare il
biasimo”, tipiche della “campagna di
indottrinamento”.
Ad essa si aggiunge un secondo sintomo
(indicato non da Gardner ma dalla Cavedon
(cap. 3 della dissertazione)): “dichiarazioni
false” (….quando si è sposato…) sul
comportamento passato o attuale dell’altro
genitore.
Un altro sintomo (ancora dalla Cavedon):
“mentire o nascondere al figlio l’ammontare del
(ricco) assegno che il padre passa loro, dichiarando
di essere in difficoltà economiche”; (li aveva i soldi…
dice Gabriele);
“accuse riguardanti il passato” (notare
l’oscillante declinazione del tempo dal
passato al presente).
114 Testi riportati dalla cartella clinica degli incontri avvenuti in Ospedale tra la dott.ssa e il minore. Vedi: http://www.youtube.com/watch?v=2zNw1500pok
105
È evidente anche il sintomo dell’ “appoggio
automatico alla persona alienante.”
Secondo dialogo: Nonna …. (nonna di parte
paterna) sono cattivi; sto bene dalla mamma mia.
Mio padre è cattivissimo, non mi ha dato da
mangiare. Li ha i soldi. Ho scoperto che ne ha
assai, e non li vuole dare alla mamma.
I nonni (paterni) non mi vogliono bene perché
hanno trattato male alla mamma. Cercano di
spingerla più in là.
In questa parte del dialogo, Gabriele dice
qualcosa di sé: sto bene dalla mamma mia.
Sinora ha accusato solo il padre mostrando
diversi sintomi della PAS, ma qui rivela sino
a che punto di condizionamento sia giunta
la campagna denigratoria. Essa è arrivata a
pregiudicare e suggestionare i sentimenti del
bambino.
Si ripete la “razionalizzazione debole” a cui si
aggiunge “l’estensione della campagna di
denigrazione” all’intera famiglia del padre:
Nonna …. (nonna di parte paterna) sono
cattivi; … I nonni (paterni) non mi vogliono bene.
Non mancano anche in questa secondo
dialogo “le dichiarazioni false”.
Terzo dialogo: Mio padre è cattivo, non c’è
avvocato che mi crede. Ha paura che lo arrestano. Io
mi voglio liberare da mio padre; è cattivo. Le
dottoresse non lo sanno. Lui ha paura. Lui è
cattivo.
Da piccolo non mi ha comprato mai la spesa.
Qui si notano i sintomi dello scenario preso a
prestito e del pensatore autonomo perché
Gabriele fa ricorso a concetti che non
possono essere di un bambino di 6 anni
(presunzione di conoscere la paura del
padre, cosa suggerita da altri), lamentando
l’indisponibilità di avvocati e dottori a
credergli. La “mancanza di ambivalenza” pare
essere un tratto caratteristico: tutto il bene è
la mamma, tutto il male è il papà, infatti la
cattiveria del papà è ripetuta in maniera
incessante.
Ritorna ancora la “razionalizzazione assurda”
(che pare essere dominante nel dialogo)
Quarto dialogo: Anche i cuginetti sono cattivi.
Quella famiglia sono contro la mamma
Evidentissima “estensione del conflitto”
addirittura ai cuginetti, presumibilmente di
106
età simile alla sua. Tutti sarebbero coalizzati
contro la mamma
Purtroppo i dialoghi trascritti in mio possesso sono solo questi, ma
sono sufficienti per notare che i sintomi della PAS sono sostanzialmente tutti
presenti; in più, occorre sottolineare l’efficacia della azione di
condizionamento della madre che riesce a sostituire i sentimenti del bambino
con i propri, adottando certamente tecniche di comunicazione ipnotica, così
come abbiamo avuto modo di illustrare nei capitoli precedenti.
In casi complessi come questi è necessario un intervento di autorità
che metta i genitori nelle condizioni di potersi curare. La madre dovrebbe
sottoporsi ad una intensa psicoterapia per imparare a gestire il suo disturbo di
personalità, mentre il padre, dovrebbe assumere posizioni meno passive e
accondiscendenti, accettando il ruolo più audace di combattente. Entrambi i
coniugi, a prescindere dalla loro volontà di rimanere insieme, devono essere
garantiti di poter esercitare fattivamente la propria potestà genitoriale per il
semplice quanto fondamentale motivo del bisogno del bambino di ricevere
l’amore e l’affetto di mamma e papà. Anche un amore malato, se accetta di
curarsi, è un elemento di benessere psicofisico per il figlio. L’accettazione dei
propri limiti e di quelli altrui permetterebbe finalmente l’instaurarsi di un
circolo virtuoso nel quale non troverebbe più posto la concatenazione di
eventi negativi, mossi non solo dalle diverse sindromi presentate, ma anche
dalla gestione fallimentare del sentimento di astio, rancore e rivalsa dell’uno
sull’altra, che noi chiamiamo odio.
107
CAPITOLO 7
FOCUS
DALLA SINDROME DI MEDEA AL CANTO DELLE SIRENE:
TRA VOCALITÀ MATERNA E MELODIE DI MORTE
La voce umana non è semplicemente un suono prodotto dalla
vibrazione delle corde vocali per creare significanti razionalmente
interpretabili. La voce è la cifra della relazione, l’estroflessione percepita del
mondo complesso della vita interiore. La voce media i valori, i legami, le
attese e tutto ciò che richiama il rapporto tra i mondi occulti delle coscienze
individuali. La voce è promessa di rivelazione della realtà dell’altra persona
che, ad ogni incedere del tratto vocale, va progressivamente svelando la sua
identità e le sue caratteristiche che la rendono unica. La voce è, dunque,
evocazione del mistero multiforme dell’essere umano e, insieme, ne
rappresenta l’epifenomeno percepito e percepibile. La voce è identità
personale, marchio indelebile di sé stessi e riflesso della propria struttura
psicologica.
L’interpretazione della natura, del colore, del tono e di altri elementi
della voce porterebbe a conoscere a fondo la persona che la emette, tuttavia il
nostro studio ci orienta su altri lidi volti alla sua funzione mediatrice e
costruttrice di relazione. La voce, declinata nella parola è, dunque, relazione:
sua immagine e sua creatrice.
Tra le tanti voci umane, quella della madre alienante oggi va ascoltata
con attenzione, infatti è come quella delle Sirene, che Omero mette sulla rotta
di Ulisse per impedirgli il ritorno ad Itaca e a se stesso.
La voce delle Sirene è come quella della madre alienante, che induce
il proprio figlio alienato ad assumere atteggiamenti patologici e
potenzialmente esiziali; è un canto potente, che va al di là del controllo
consapevole del bambino, incapace di opporre una indipendenza emotiva tale
da sostenere l’aggressione di un abbraccio relazionalmente asfissiante.
108
La letteratura contemporanea ha già proposto il mito di Medea (cui si
è aggiunta la prosa della madre malevole) come icona rappresentativa del
dramma della madre alienante, tuttavia ne vorrei proporre un’altra che,
ovviamente non ha titolo per sostituire quella ben più nota e importante
appena citata, ma che, tuttavia, ha una sua pertinenza. Mi riferisco, ormai è
chiaro, all’epico racconto delle Sirene che Omero raccoglie nell’Odissea al
capitolo XII, e alla interpretazione originale che propone Laura Pigozzi in A
nuda voce115, a mio avviso originalissimo studio, pieno di interessanti
approfondimenti. Leggendolo, mi è parso di cogliere affascinanti parallelismi
e sorprendenti concordanze che non posso non rilevare.
Tu arriverai prima alle Sirene che tutti gli uomini affascinano (…)
a colui che ignaro s’accosta e ascolta la voce (phthòngos)
delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini
gli sono vicini, felice che a casa è tornato,
ma le Sirene lo ammaliano con limpido canto (aoidé)
adagiate sul prato: intorno è un gran mucchio di ossa
di uomini putridi, con la pelle che si raggrinza.116
Con queste parole Circe, la maga, si rivolge ad Ulisse ammonendolo
sulla natura della voce delle Sirene, capaci di ammaliare e attirare a sé
chiunque ascolti il loro richiamo. È da notare la cura che Omero pone nella
scelta dei termini descrittivi della voce delle Sirene: phthòngos e aoidé. Sono
sostantivi non immediatamente riconducibile alla voce umana, infatti l’uno
rappresenta il suono della natura, il verso dell’animale e dei potenti fenomeni
naturali, mentre l’altro, aoidé, è utilizzato per la narrazione epica e per il
racconto della storia degli uomini. Con queste due parole si illustra
immediatamente la forza della voce delle Sirene, profonda eco della potenza
primordiale della natura e, insieme, richiamo ininterrotto alla narrazione e al
racconto delle storie degli uomini. Due parole per evocare natura e cultura,
passione terrena e relazione viscerale innestata nel racconto della esistenza.
115 L. PIGOZZI, A nuda voce. Vocalità, inconscio, sessualità, Torino, Antigone ed, 2008, cap. 4 116 OMERO, Odissea, XII
109
La voce delle Sirene ammalia perché usa il colore del linguaggio umano, delle
sue fondamenta naturali e delle sue costruzioni relazionali.
C’è di più: il canto – aoidé – è declinato con tono acuto (liguré) che
ammalia. Tuttavia esso ha un altro significato, paradossalmente opposto al
primo: dolce, morbido e flessuoso. Il canto seduttivo delle Sirene, dunque,
percorre la via della ambivalenza e si propone irrompendo con il picco acuto,
avvolgendo poi mediante il registro opposto della morbidezza flessuosa. Il
canto delle Sirene ha una forza irresistibile perché ha un doppio marchio, un
registro duplice, denso della profondità della terra e della natura, della
passione e dei tessuti relazionali penetranti fino alle viscere.
Così è la voce della madre alienante verso il figlio alienato, sconfitto
da una melodia che è parte della sua stessa natura, una parola che gli racconta
le vicende della sua esistenza e lo tormenta attraverso una penetrazione acuta,
profondissima, morbida e flessuosa, così come la voce della ipnotista, che
tesse la rete della induzione (vedi il cap. 5).
Il doppio registro della voce delle Sirene è lo stesso della voce della
madre alienante; in essa vi è la compresenza del registro animale (phthòngos)
che riporta il figlio alle fondamenta della natura, al calore dell’utero materno e
alla dipendenza originaria, quando l’uno, pur essendo altro, era nell’altra, in
una relazione di accudimento/nutrimento prenatale, la cui eco non verrà mai
meno. La voce della madre alienante riattiva nei recessi più profondi del figlio
un tratto di esperienza originaria fondativa della vita stessa.
Ma l’altra parte del registro vocale (aoidé) è prettamente sapienziale,
ricordo e memoria dello sviluppo delle relazioni, dello strutturarsi delle
conoscenze e della formazione dei valori. E una madre sufficientemente buona,
come direbbe Donald Winnicott, partecipa attivamente alla costruzione della
identità del proprio figlio ed influenza l’organizzazione dei modelli operativi
interni; il suo assenso e il suo sguardo accondiscendenti verso il figlio che
sperimenta la vita, procurano il piacere della realizzazione del proprio Sé;
seguendo il pensiero di Heinz Kohut, sono e saranno impronta e sostanza
della struttura della personalità del figlio.
Questa madre è colei che ha offerto protezione aiuto e identità, colei
che nella primordiale esperienza della vita era presente e si faceva carico della
110
custodia contro le insidie del mare, un vero porto sicuro penserebbe John
Bowlby, proprio come le Sirene scolpite sul vertice della prua delle navi a
difesa della potenza dei flutti e degli avversi poteri del mare. Il doppio
registro vocale delle Sirene è il doppio registro vocale della madre alienante.
Nella lingua greca un altro termine sembra riassumere in sintesi i due
significati evocati, un termine che Omero utilizza per descrivere la bella voce
di Circe, maga e quasi dea, detentrice di un timbro vocale animalesco e
insieme dolce e lieve come di una narrazione divina. L’unione tra natura e
parola appartiene solo agli dei, di cui, in certa misura, sia Circe sia le Sirene
fanno parte. Il termine ambivalente è òps, da cui il latino vox e il sanscrito vak.
È il muggito inquietante degli dei, la voce di Dio emessa dal corno dello
shofar, una voce che dona godimento interiore, piacere dell’ascolto e promette
rivelazioni sul futuro.
In natura solo il canto delle balene può essere assimilato alla
descrizione di una simile voce, acuta, flessuosa, grave e muggente. La voce
delle Sirene attrae e seduce promettendo a chi ascolta un tempo indefinito di
piacere, una sospensione del fluire dei giorni in cui godere per sempre del
piacere della presenza divina e umana. È un tempo che appare sospeso,
attrattivo e promettente, ma in realtà è tempo di angoscia e disperazione
perché nel blocco dello scorrere del tempo le Sirene divorano le loro vittime,
lasciandone sugli scogli solo le ossa.
E il tempo sospeso in cui la legge della fusione relazionale sembra
essere la meta a portata di mano, è il non luogo in cui il bambino alienato crede
di ritrovare uno spazio di custodia di sé, e un elemento attraverso cui ricreare
una armonia perduta. È il riposizionarsi delle relazioni materne/filiali alle fasi
dell’indifferenziazione della dipendenza consolante. In questa trappola il
bambino viene portato dalle parole seduttive della madre che,
consapevolmente o meno, produce una bolla temporale di simbiosi. In essa i
pensieri della madre alienante diventano i pensieri del figlio alienato, così
come gli atteggiamenti, le emozioni e tutto ciò che determina la netta
chiusura del figlio verso il padre alienato.
111
Questo blocco temporale mi ricorda un lavoro di Luigi Onnis, Il
tempo sospeso117, che propone la sospensione temporale come chiave di lettura
delle problematiche dei disturbi della alimentazione, in specie di anoressia e
bulimia. La anoressica e la bulimica vivono l’esperienza del loro tempo come
in una fase di stallo e di stagnazione, una cristallizzazione del mondo quale
unica possibilità di salvezza di se stesse e della propria famiglia.
Il figlio alienato dalla madre, attirato nel blocco del tempo delle
relazioni, è, per analogia, una persona affetta da anoressia il cui alimento da
rifiutare è la relazione con il padre, ormai visto con orrore, da vomitare e
gestire con inflessibile e severo distacco. È un cibo desiderato e bramato, e
tuttavia disciplinato nella negazione imposta dal proprio Io, ormai sedotto dal
canto della Sirena/madre.
Queste parole potranno forse apparire scientificamente infondate, e
forse lo sono, tuttavia la comprensione della sindrome di alienazione
genitoriale passa anche dalla valutazione dei risvolti simbolici, e, così facendo
va a rivelare la collocazione dei gangli sorgivi delle relazioni malate.
Là dove la letteratura offre un aiuto, ci si può lasciare trasportare
dalle sue rappresentazioni sintetiche e folgoranti. L’analisi, per altro necessaria
e indispensabile, declina il sapere in lunghe e spesso ridondanti parole. Non
l’una senza l’altra.
117 L. ONNIS, Il tempo sospeso, Milano, Franco Angeli ed., 2004
112
CAPITOLO 8
USCIRE DALLA PAS
L’itinerario di presentazione della PAS e di tutte le sue sfaccettature,
non ci esime dall’offrire qualche indicazione di carattere terapeutico. Non
basta dire cosa sia la PAS, è necessario indicare la strada da percorrere per
guarire dalla sindrome là dove fosse possibile, e imparare a gestirla in quei
contesti dove non la si potesse eliminare del tutto.
Il pragmatismo statunitense ci offre due programmi di riabilitazione
recenti, i Family Bridges di Richard A. Warshak e Matthew Sullivan, che
presenterò a breve, tuttavia, in forma sia pur sintetica e concisa, è utile
conoscere anche le indicazioni dello stesso Gardner, che in Recommendations for
Dealing with Parents Who Induce a Parental Alienation Syndrome in Their Children 118
indica quali comportamenti adottare nelle diverse forme di gravità della PAS.
§ 8.1 La proposta di Gardner
Le indicazioni di Gardner vertono su profili terapeutici e giuridici e si
differenziano in base al livello di sviluppo della malattia che, sottolinea
l’autore, si desume da una corretta diagnosi - fondamento di ogni buona
terapia -, e dalla consapevolezza che la gravità della PAS si evidenzia dal
risultato della campagna denigratoria sul bambino e non dalla sua natura.
“Prima che si possa prendere una decisione sugli approcci legali e
terapeutici adatti ad un bambino PAS, è importante che venga condotta
un’appropriata valutazione diagnostica, così da accertare in che categoria ricada la
sintomatologia del bambino: lieve, moderata o grave. Ciascuna categoria legittima
un approccio sostanzialmente differente: il non fare questa discriminazione fra
118 R. GARDNER, Recommendations for Dealing with Parents Who Induce a Parental Alienation Syndrome in Their Children, Journal of Divorce & Remarriage, Volume 28(3/4), 1998, pp. 1-21
113
categorie potrebbe portare a gravi conseguenze, con rilevanti traumi psicologici per
tutte le parti in causa….
Inoltre, chi fa la valutazione dovrebbe rendersi conto che la categoria, il
grado, della PAS non è determinata dagli sforzi del genitore programmante ma da
quanto questi sforzi per indottrinare il bambino hanno avuto successo. Sono i
conseguenti sintomi di PAS nel bambino che determinano la categorizzazione; non
il livello di impegno, di sforzo che il genitore spende nell'indottrinamento”.119
Per il livello lieve l’autore non prevede che il giudice ordini alcun
provvedimento. Il bambino sia dato in custodia alla madre alienante 120,
infatti, è verosimile pensare che, proprio a fronte della concessione della
custodia, l’acuirsi del comportamento alienante della madre verso l’ex coniuge
e il bambino stesso venga meno, e la sindrome si esaurisca automaticamente.
Per il livello moderato, che rappresenta la maggior parte dei casi,
l’autore, raccomanda sinergia tra l’azione del giudice e quella dell’esperto
chiamato a valutare la PAS. La custodia del bambino sia lasciata alla madre
alienante, la quale tuttavia, è tenuta a permettere l’incontro tra bambino e
genitore target. Se si rivelasse refrattaria alla relazione genitore
alienato/minore e ad essa si opponesse, la donna andrebbe incontro a
costrizioni di vario genere. Gardner è molto chiaro in merito, infatti, arriva a
proporre sanzioni pecuniarie e, se non si rivelassero sufficienti allo scopo, si
potrebbero prospettare anche diverse forme di compressione della libertà
della donna, tra cui l’arresto, con il conseguente trasferimento di domicilio del
bambino presso il genitore alienato.
Contestualmente il giudice deve ordinare il sostegno psicoterapeutico
dell’esperto in materia che avrà facoltà di monitorare e gestire globalmente il
caso, in quanto investito di autorità direttamente dal Tribunale. Se questi
dovesse intravvedere la possibilità non remota che il livello di gravità rischi di
passare allo stadio successivo, si renderebbe necessaria l’adozione di una
119
GARDER, op. cit. 120 In questo paragrafato, come fa Gardner, mi riferisco alla madre quale soggetto alienante e al padre soggetto alienato perché lo stesso autore osserva che dalla sua esperienza clinica si evince questa distinzione di genere.
114
strategia differente, che Gardner definisce Transitional site program: un
programma di transizione della dimora del bambino dal genitore alienante a
quello alienato. L’autore lo definisce come “una sistemazione intermedia, un
accomodamento che non includa l’immediato trasferimento del bambino dall’abitazione
della madre a quella del padre” 121.
L’intendimento di Gardner è offrire una sorta di luogo protetto che
faccia da cerniera nel difficile passaggio di dimora dall’alienante all’alienato.
Egli indica tre livelli di dimora provvisoria che vanno dall’inferiore, in casa di
amici o parenti “neutrali” e ben consapevoli della realtà in gioco, al superiore,
con ricovero per un massimo di un mese in una struttura ospedaliera.
Evidentemente si vuole garantire al minore la più grande sicurezza possibile,
a fronte di una evidente manifestazione di progressiva aggressività della
madre alienante.
Per il livello grave l’autore non ha mezze misure, e propone che il
minore sia immediatamente sottratto dalla influenza negativa della madre
alienante, facendo ricorso a tutti i mezzi possibili, non ultimo la coercizione
delle forze dell’ordine. La madre deve sospendere ogni forma di contatto con
il figlio alienato, sino a che le condizioni di sicurezza per il minore non
migliorino. Il bambino deve essere affidato in forma esclusiva al padre
alienato. Questa scelta drastica crea molto spesso dei forti disagi nel minore, il
quale, proprio a causa della PAS grave, rifiuta il genitore alienato nutrendo
verso di lui sentimenti di odio e paura instillatigli dalla madre. È per questo
motivo che si rendono necessari dei passaggi graduali di trasferimento di
dimora, cadenzati su tre livelli. Questi livelli sono suddivisi in sei fasi,
finalizzate alla ridefinizione positiva della figura genitoriale alienata nella
mente del bambino.
Dice l’autore:
121
GARDER, op. cit.
115
“L’obiettivo principale è fornire al bambino esperienze di vita;
esperienze che dimostrino che il padre non è la persona tremendamente pericolosa
così come veniva dipinta dalla madre. L’intento finale è portare il bambino nella
casa del padre il più rapidamente possibile; tuttavia, è importante accettare che il
periodo di tempo trascorso nel Transitional Site varierà da caso a caso e che il
trasferimento dovrà essere attentamente monitorato dalle persone coinvolte nella
gestione del programma di transizione.”122
Il modello terapeutico proposto da Gardner ha subito diverse
critiche e ha diviso l’opinione degli studiosi, oscillanti tra la linea dura ritenuta
necessaria, e quella più sfumata che mette l’accento sul danno che il distacco
improvviso e totale dalla figura della madre alienante (che rimane in ogni caso
un punto di riferimento importante per il minore) potrebbe causare. Tra i
primi annoveriamo Palmer123, Cartwright124 e Turkat125, mentre tra i secondi
ricordiamo Hyusjulien, Wood, Benjamin126 e Stahl127.
122
GARDER, op. cit. 123 N. PALMER, Legal recognition of the Parental Alienation Syndrome, in American Journal of Family Therapy, 16 (4), 1988, pp. 361-363. 124 G.F, CARTWRIGHT, Expanding the parameters of parental alienation syndrome, in American Journal of Family Therapy, 21 (3), 1993, pp. 205-215. 125 I.D. TURKAT, Divorce Related Malicious Mother Syndrome, in Journal of family Violence, 10 (3), 1995 pp. 253-264 126 C. HYSJULIEN, L. WOOD, & G. BENJAMIN, Child custody evaluations: a review of Methods used in litigation and alternative dispute resolution, in Family and Conciliation Courts Review, 32 (4) 1994, pp 466-489 127 P.M. STAHL, Alienation and Alignment of Children, in California Psychologist, 32 (3), 1999, pp. 23-32.
116
§ 8.2 Due possibili terapie: i Family Bridges di Richard A.
Warshak e Matthew Sullivan e coll. 128
Family Bridges.
Il primo trattamento che illustro è di Richard A. Warshak, ed è stato
presentato alla comunità scientifica nel 2010, all’interno del più ampio
articolo Family Bridges: using insights from social science to reconnect parents and
alienated children129, (Unioni familiari: usare le informazioni provenienti dalle scienze
sociali per riunire genitori e bambini alienati) ed entrato nella letteratura attuale
come uno dei pochi scritti sull’argomento130.
L’articolo presenta un programma innovativo e sperimentale che
permette ai bambini alienati gravemente da un loro genitore di ristrutturare
un rapporto buono con il genitore alienato, quello stesso che dicono di odiare
e che, di fatto, rifiutano. Si tratta di un percorso che ha come meta la
riparazione di un rapporto ingiustamente danneggiato, senza che esista
un’obiettiva ragione che giustifichi l’odio.
Il lavoro del Family Bridge ha il vantaggio della brevità, infatti, si
sviluppa nell’arco di quattro giorni, è tenuto in una situazione rilassante
(resort o luogo di vacanza) ed è incentrato sull’unica famiglia, evitando il
gruppo di famiglie. Si tratta di un percorso educativo che ha dato risultati
interessanti. Su 23 casi trattati, 22 hanno avuto esito positivo.
L’autore esprime sin dall’inizio i suoi intendimenti e li elenca:
“Primo, aiutare il lettore con il programma e con i suoi impatti
(immediati e a lungo termine).
128
In entrambe le presentazioni userò il singolare bambino,/minore/figlio riferendomi sia ai bambini/minori/figli unici sia ai fratelli. 129 R. A. WARSHAK, Family Bridges: using insights from social science to reconnect parents and alienated children,
in Family Court Review, Vol. 48 N. 1, January 2010 pp. 48–80 130 Ringrazio il dottor Vezzetti per avermi offerto la sua libera traduzione del testo dall’originale inglese in italiano.
117
Secondo, stimolare un intercambio di idee creative che aiutino a
migliorare l’efficienza del nostro lavoro e contribuiscano al dialogo riguardante lo
scopo e tipi di intervento appropriati per questa popolazione di bambini.
Terzo, articolare principi che io e i miei colleghi abbiamo trovato
importanti operando con questa popolazione e che possano assistere altri
nell’aiutare queste famiglie.
Quarto, provvedere ad una sorta di antidoto di scoraggiamento che
metta in dubbio le opinioni circa l’effettiva riparazione delle relazioni genitore-
bambino quando sono gravemente danneggiate”.131
L’affidamento dei figli in casi di separazione conflittuale, e in specie il
relativo intervento del giudice per disporre secondo il miglior interesse del
minore, è materia che suscita ampio dibattito. Tuttavia il Tribunale deve
decidere quale sia il meglio per il bambino; deve optare per lasciare inalterato
lo stato delle cose (permettendo così il perpetuarsi dell’affidamento del
minore all’alienante), oppure, mediante un opportuno trattamento, percorrere
la via altrettanto rischiosa dell’esposizione emotiva del minore nel tentativo di
ristrutturare i rapporti infranti con il genitore alienato.
“Quando un tribunale determina che il miglior interesse del bambino è
fornito dal riparare una relazione danneggiata con il genitore respinto (o che il
bambino sia danneggiato nel tempo rimanendo in custodia con il genitore
favorito), i tribunali spesso sono a confronto con ciò che Mr. Bruce Preston,
giudice del British Columbia ha nominato un dilemma “Stark”132: Il tribunale
bilancia i benefici a lungo termine contro la possibilità che cercare di riparare la
relazione genitore-bambino non avrà successo o che avrà un inaccettabile grado di
131 WARSHAK. op. cit. 132
A.A. v. S.N.A., [2007] BCSC 594 (Can.) vedi in rete. http://www.canlii.org/en/bc/bcsc/doc/2007/ 2007bcsc594/2007bcsc594.html.
118
costo emozionale, tale da creare un trauma psicologico o da provocare un
comportamento distruttivo nel bambino”.133
Nella scelta coercitiva che determini l’andare oltre il desiderio
immediato del minore, il quale rifiuta qualsiasi sistemazione che lo allontani
dal genitore alienante, v’è la certezza che la volontà del minore sia
profondamente alterata. Il giudice può ordinare un trattamento rieducativo
perché la violenza emotiva agita sul minore è un vero abuso, come già
Gardner sosteneva e come abbiamo avuto già modo di ribadire.
Tra i trattamenti che il giudice può ordinare, quello del nostro autore
ha un suo spazio e presenta promettenti risultati.
Il trattamento nasce dalle intuizioni e dalle prime sperimentazioni
risalenti al 1991 del dott. Randy, che ha elaborato un laboratorio per i
bambini che avevano subito un rapimento o uno sfruttamento. I bambini
rapiti e poi liberati presentavano spesso paura e odio verso il genitore che li
aveva riavuti. Il laboratorio fu ideato per dare immediato sollievo ai genitori
e per fornire ai bambini le nuove cognizioni ed emozioni atte a superare il
momento di riadattamento alla famiglia e alla società.
Il programma di Warshak prende le mosse da qui e poi,
necessariamente se ne distanzia, focalizzandosi sulla fattispecie
dell’alienazione genitoriale. Per aderirvi sono necessari dei requisiti, infatti,
non si tratta di un programma generico e non è adatto per tutti i bambini che
rifiutano un genitore; esso non è applicabile a quei minori che hanno un
rifiuto motivato e fondato verso un genitore, il quale può obiettivamente aver
agito violenza sul minore. Non è adatto al programma quel bambino che il
giudice ha destinato a vivere con il genitore alienante, come del resto anche
quei bambini che passano molto tempo lontano dal genitore alienato o che,
fatto il trattamento, non lo frequenteranno con costanza.
133 WARSHAK. op. cit.
119
L’autore sostiene la bontà del programma proprio a fronte del suo
lavoro clinico su 23 casi di bambini, con 12 famiglie, che avevano avuto alle
spalle il fallimento di altri trattamenti terapeutici. Egli riporta un sostanziale
successo della sperimentazione, come avrò modo di illustrare alla fine.
Le famiglie prese a carico avevano bambini differenti per età, sesso e
genitori rifiutati. Entrano nel programma del dott. Warshak 8 bambini (in
totale erano 24, di cui 4 femmine e 19 maschi) che non avevano avuto
contatti con il genitore rifiutato da due anni, e 15 bambini che hanno avuto
contatti saltuari e conflittuali col genitore alienato, per i quali la media del
tempo tra l’inizio dell’alienazione e la partecipazione al laboratorio era di 31
mesi. 7 dei genitori rifiutati erano madri, 5 erano padri.
Per quanto riguarda gli scopi del programma terapeutico, mi rifaccio
direttamente alle parole dell’autore: ”…
1. Facilitare, riparare e rafforzare la capacità dei bambini di
mantenere relazioni salutari con entrambi i genitori;
2. Aiutare i bambini a fare ciò che possono per evitare di essere nel
mezzo dei conflitti dei genitori;
3. Rafforzare l’abilità di “pensiero di critica” nei bambini;
4. Proteggere i bambini dal rifiuto immotivato di un genitore nel
futuro;
5. Aiutare i bambini a tenere un punto di vista bilanciato e una
percezione più realistica di ciascun genitore come pure di se stessi;
6. Aiutare i membri familiari a sviluppare punti di vista
compassionevoli dell’azioni altrui piuttosto che punti di vista eccessivamente rigidi
o critici;
7. Rafforzare l’abilità delle famiglie a comunicare in modo effettivo
tra di loro e a gestire i conflitti in maniera produttiva;
8. Rafforzare l’abilità dei genitori a far crescere i loro bambini con
l’imposizione e applicare limiti appropriati e evitare interazioni psicologicamente
intrusive”134.
134
WARSHAK. op. cit.
120
Il percorso del laboratorio è organizzato su dieci principi di base che
ne guidano struttura e procedure.
1. Contenere le emozioni forti. Al laboratorio tutti i soggetti
portano inevitabilmente ansie e speranze che ben presto emergono.
Specialmente i bambini, “autorizzati” dalla relazione patologica con il
genitore alienante ad esprimere con veemenza l’astio verso l’alienato,
possono facilmente trascendere in atteggiamenti di violenza verbale o
fisica. Inoltre, sovente genitore e figlio si riavvicinano e rivedono
dopo un lungo periodo di separazione, situazione che fa emergere
emozioni difficilmente contenibili. Il controllo è richiesto anche per
le emozioni positive dovute alla gioia (specialmente del genitore) di
rivedere il proprio bambino dopo le vicende spesso dolorose dei
percorsi PAS. Sia per le emozioni negative sia per le positive, è
chiesto il controllo perché, l’autore dice che “contenere le emozioni forti
contribuisce ad un’atmosfera che aiuta a sminuire l’ostilità e giova
all’apprendimento”.135
2. Focus sul presente e sul futuro e non sul passato. Le prospettive
che sono valorizzate e accolte sono il presente e il futuro. Tutto ciò
che è legato alle vicende passate, in specie recriminazioni e ricordi
nocivi, è sospeso. Così facendo sono evitati confronti mortificanti
per entrambi e si cerca di ripartire su basi positive.
3. Educazione e non psicoterapia. Questo è uno dei principi
base fondamentali del programma, che lo distanzia da altri laboratori
che possono apparire simili (come ad esempio quelli di deprogramming
utilizzati per riabilitare le vittime di lavaggio di cervello delle sette o
dei rapiti o degli isolati). L’autore insiste sul fatto che nel programma
il modello di riferimento è educazionale e non terapeutico perché,
dice l’autore, “insegniamo a bambini e genitori concetti derivanti da ricerche
scientifiche replicate e riviste in studi cognitivi, sociali, e di psicologia di sviluppo,
sociologia e neuroscienza sociale. In essenza, offriamo un corso intensivo su
concetti insegnati in classi formali, adattando su misura il programma, le
135
WARSHAK. op. cit.
121
selezioni di materiali, e procedure al livello di sviluppo e caratteristiche dei
bambini”.136 Ai bambini viene chiesto di reimparare a pensare la loro
esistenza grazie agli elementi offerti che riducono l’elaborazione non
pertinente137dei fatti e delle realtà. Sono incoraggiati a riorganizzare le
idee e le convinzioni integrando le loro conoscenze con il nuovo
materiale che permette di acquisire un vocabolario rivisitato, più
adatto ad affrontare i problemi relazionali e a costruire rapporti sani
e non aggressivi.
4. Enfasi sull’autonomia. Nel laboratorio l’autore dice di
adottare l’approccio Montessori attraverso cui il bambino può
controllare le fasi del suo apprendimento e in certa misura
dominarlo, regolarlo e capirlo più a fondo. Il semplice dettare i tempi
di lavoro e quelli di riposo, oppure la velocità del corso, dà ai
bambini il senso del controllo dei fatti. Tutto ciò è avvertito come
liberatorio, a fronte di esperienze negative del passato in cui hanno
subito pressioni per adeguarsi alle attitudini del genitore alienante.
5. Istruzioni e non induzioni. Un altro punto assai importante
è l’insegnamento del pensiero critico; ai bambini sono fatti conoscere
i modi attraverso cui un genitore può influenzare il comportamento
del figlio per persuaderlo e orientarlo a suo piacimento. Anche la
metodologia didattica del corso evita ciò che allenti il pensiero
critico, come suggerimenti, ripetizioni ecc, spostando l’attenzione
sulla riflessione e rielaborazione personale.
6. Salvare la faccia. Sulla base delle scienze sociali che
affermano la rigidezza cognitiva di chi è strutturato su canoni di
violenza, come potrebbe essere quella di un bambino PAS contro il
genitore alienato e alleato manifestamente con l’alienante nella
strategia di aggressività, il programma permette al minore di salvare
faccia e dignità per quello che c’è stato in passato. Durante il corso è
esplicitamente richiesto ai bambini di non rivisitare i loro errori del
passato, né di riconoscere colpe né di scusarsi. Mentre per l’adulto
136
WARSHAK. op. cit. 137
WARSHAK. op. cit.
122
tale richiesta sarebbe idonea alla sua struttura di maturità, che, a
contrario, trarrebbe beneficio dall’assunzione di responsabilità delle
proprie colpe, per il bambino è necessario che ciò avvenga con
spontaneità e naturalezza. Il minore deve arrivare con la sua
rielaborazione personale del vissuto a capire i suoi errori passati e a
volere relazioni sane e positive. Ci sarebbe troppo dolore se per i
bambini fosse assunta una strategia adatta agli adulti. “Molti bambini
semplicemente recuperano una relazione positiva e si comportano come se niente di
sbagliato fosse successo nel passato. Riconoscere che tu hai inflitto un dolore
ingiustificato e grave ad un genitore che ti vuole bene è un'incombenza dello
sviluppo molto dolorosa. È meglio gestita quando la gente è a un punto della
propria vita nel quale riesce a capire il proprio comportamento con una
prospettiva più ampia”.138
7. Non tenere conto di un ambiente benevolo e di un sentimento
positivo. Il programma del laboratorio è volto alla costruzione di
esperienze positive per controbilanciare quelle subite dai bambini e
dagli adulti nella storia passata.
8. Fallibilità umana. Intuire che la persona umana, bambina
o adulta che sia, può sbagliare nella percezione e nel giudizio, aiuta i
minori a salvare la faccia e a riconciliarsi con se stessi e ad accettare il
genitore rifiutato.
9. Prospettive multiple. Il programma aiuta i partecipanti ad
interrompere le dinamiche familiari negative e a promuovere quelle
positive, nella consapevolezza che non esiste una sola prospettiva
relazionale, ma ce ne sono molte, egualmente buone.
10. Gestione del conflitto. All’interno del programma vengono
insegnate le modalità migliori per affrontare e gestire il conflitto
relazionale che, nel caso del bambino e del genitore alienato, è
arrivato al punto di rottura.
138
WARSHAK. op. cit.
123
Richard Warshak dedica una parte del suo articolo alla descrizione
della reazione del minore a fronte dell’ordine del Tribunale di sottoporsi ad
un programma di rieducazione volto alla ricostituzione positiva delle relazioni
intra familiari. L’autore passa in rassegna le diverse tipologie di ragazzi ed
elenca le strategie utilizzate dai giudici per ottenere facilmente dai
bambini/adolescenti quanto sentenziato. L’accento pare che cada su due
aspetti: da un lato la necessità e l’importanza del giudice di dare un ordine
forte, che è accettato con più docilità e, dall’altro sulla necessità che il
bambino entri nel programma liberamente. Warshak insiste su questa nota
distinguendo inoltre il suo programma da quelli di riabilitazione dopo aver
subito il lavaggio del cervello. Dice:
“Noi non tratteniamo i bambini in nessun modo, e facciamo loro capire che ciò
non è il nostro compito. È importante sottolineare quest’ultimo punto perché alcuni
giornalisti hanno etichettato il laboratorio con la denominazione ingannevole di
“deprogramming”.
… Il termine “deprogramming” era originariamente usato in riferimento a lavoro con
vittime di sette e ricorda immagini di membri del culto rapiti, trattenuti con forza, e isolati,
stancandoli con letture in un processo che può essere definito di lavaggio di cervello. In
contrasto, sebbene la Corte o il genitore possano insistere a che un bambino segua le Unioni
Familiari, quando incontriamo i bambini gli facciamo capire che loro sono liberi di
partecipare o no”. 139
La peculiarità del lavoro del Family Bridge è nascosta nella
costruzione di una alleanza educativa con i bambini per interessarli e per
muovere la loro libertà di adesione e disponibilità.
Una parte cospicua della presentazione è dedicata alle fasi, ai
programmi e alle procedure adottate nel laboratorio. Si tratta di una porzione
descrittiva abbastanza tecnica che ha una sua importanza.
139
WARSHAK. op. cit.
124
Anzitutto il laboratorio è guidato da due esperti professionisti,
psicologi, con o senza dottorato. Il corso dura di solito quattro giorni e
prevede quattro fasi e un breve orientamento iniziale, nel quale sono
esplicitate le regole del gioco. Esiste un canovaccio di base per articolare
strumenti e strategie, tuttavia sta all’abilità dei conduttori scegliere il materiale
e gli atteggiamenti più idonei per la circostanza.
Nella fase di orientamento e spiegazione del programma, anzitutto i
professionisti si presentano e illustrano le loro credenziali; questo è fatto non
per esibizione ma per dare immediatamente un senso di sicurezza e infondere
calma nei partecipanti, che normalmente arrivano all’incontro con una certa
ansia. È dichiarata la volontà del team di aiutare bambino e genitore a
ricostruire una relazione seriamente danneggiata, e viene definito un nuovo
modo di identificare i due genitori: quello rifiutato e quello preferito. I
professionisti espongono anche la bontà delle motivazioni del giudice che ha
ordinato il trattamento, specialmente dove apparissero incomprensibili per il
minore. Infine, sono dettate le regole base: onestà, proibizione di abusi
verbali e fisici, sospensione delle discussioni delle litigiosità pregresse. Questa
fase di introduzione al programma non cambia i sentimenti dei bambini ma
dà agli psicologi maggior autorevolezza, e predispone le persone a lasciarsi
indirizzare.
La fase uno. Concetti base e informazioni.
La prima fase è caratterizzata dalla facilità di fruizione delle proposte
(in genere visioni di filmati scelti ad hoc) e tende a non sollecitare alcun
confronto tra genitore e figlio, minimizzando le occasioni di conflittualità. Il
materiale video proposto non verte sul rapporto genitoriale ma si orienta sulle
dinamiche di controllo e influenza che alcune persone esercitano sugli altri. I
bambini sono aiutati a cogliere che nel mondo esistono forme di
condizionamento agite da figure autoritarie, e che è necessario un pensiero
critico per capire e difendersi da tali attacchi. Per aver autonomia di pensiero
125
il bambino intuisce che deve abbandonare alcuni stereotipi negativi che gli
sono stati inculcati.
Poi c’è la pausa pranzo, momento importante perché il bambino
possa rivolgersi spontaneamente al genitore, cosa che spesso accade; è un
passo importante per la ristrutturazione della relazione.
Il pomeriggio è dedicato agli esercizi/giochi di percezione. Dice
l’autore: “Le nostre procedure seguono un modello validato empiricamente per aumentare
il pensiero critico, che include la disposizione di pensare in modo critico, gli strumenti per
fare ciò, e i processi di pensiero per il monitoraggio meta cognitivo”140
Riconoscere la fallibilità delle percezioni aiuta i bambini a capire che
l’interpretazione falsata della realtà è cosa quotidiana da conoscere e
considerare nella formazione del giudizio. Questa consapevolezza permette al
bambino, ancora una volta, di salvare la faccia e riconoscere che anche i suoi
errori erano frutto di una debolezza umana strutturale. La sera è dedicata al
riposo e al coinvolgimento della famiglia in momenti ludici e spensierati.
Fase due. Concetti relativi al divorzio ed integrazione degli
insegnamenti.
Questa fase, che corrisponde al secondo giorno, appare più
impegnativa dal punto di vista cognitivo, infatti, sono ripresi e riorganizzati i
concetti generali psicologici del giorno precedente, ordinando però i dati in
funzione della situazione specifica dei bambini e del divorzio. Ai bambini è
offerta la possibilità di capire meglio le problematiche relative al divorzio e
quelle correlate. Il tutto è trasmesso con l’ausilio di vignette e spezzoni di
programmi televisivi conosciuti e amati dai ragazzi.
Fase tre. Applicazione degli insegnamenti
140
WARSHAK. op. cit.
126
Questa fase è importante perché al terzo giorno si è andata ormai
definendo una maggior armonia familiare, e i bambini devono applicare alla
loro vita quanto imparato durante il corso. È necessario che i bambini non si
sentano umiliati per gli errori commessi, che non vengano messi all’angolo
ma che spontaneamente, salvando la faccia grazie alle nuove idee apprese,
comincino ad assumere atteggiamenti più positivi e costruttivi.
Normalmente il bambino avverte che in sé ha nuove cognizioni che
egli permettono di capire quanto il proprio giudizio sia stato negativo e falso,
e tuttavia faticano ad intravedere l’origine della persistenza del giudizio
negativo nei confronti del genitore alienato. Sanno astrattamente di formulare
giudizi errati ma devono fare il passo determinante di applicare tutto ciò a se
stesso e al proprio genitore alienato. I bambini devono passare dalla
consapevolezza astratta di sbagliare a quella concreta di aver sbagliato con il
proprio genitore. Questo è il punto essenziale e dirimente cui tutto il
programma è volto. Dice l’autore: “Il momento in cui il bambino sperimenta- non in
maniera generale, astratta, o intellettuale, ma con riconoscimento diretto e immediato – che
ha considerato il genitore rifiutato in un modo sbagliato si è arrivati al climax del
laboratorio”.141
Quando un bambino giunge a questo punto, significa che ha
raggiunto le fondamenta del lavoro di ristrutturazione delle relazioni parentali
ed è pronto per la fase finale.
Fase quattro. Acquisizioni e pratica di comunicazione e strumenti per
la risoluzione dei conflitti.
Questa fase è direttamente rivolta al genitore perché vengano
interiorizzati e fatti propri tutti i concetti riguardanti la gestione del
comportamento aggressivo e distruttivo dei minori. L’apprendimento avviene
attraverso la pratica dei giochi di ruolo. Non è prevista l’esclusione del
minore perché assistere all’impegno del genitore impegnato nella
141
WARSHAK. op. cit.
127
ristrutturazione del rapporto con lui, può essere di grande beneficio per lo
stesso minore. Questi osserva l’adulto che sta imparando, lo sente più vicino
e aumentano sentimenti di benevolenza nei suoi confronti.
L’autore nota anche “un beneficio addizionale”: “... il programma aiuta
i bambini a enfatizzare le difficoltà che i genitori devono affrontare quando cercano di far
crescere i propri figli in modi psicologicamente salutari; ciò contribuisce all’obiettivo di
aiutare i bambini a sviluppare una visione compassionevole di entrambi i genitori.” 142
A riprova che i bambini amano avere buoni rapporti con entrambi i
genitori, “a questo punto del programma quasi tutti i bambini esprimono il desiderio che
l’altro genitore impari le stesse cose, veda lo stesso materiale video ed impari la stessa
tecnica”.143
La finalità del percorso educativo è permettere che la famiglia
cammini sulle sue gambe senza il sostegno del team. Avendo fatto proprio un
nuovo impianto cognitivo e padroneggiando le tecniche di gestione del
conflitto, bambino e genitore alienato possono essere sufficientemente
attrezzati per affrontare con fiducia la loro vita.
Nella fase del distacco dal team, la famiglia è invitata a vivere ancora
qualche giorno di vacanza per cementare ulteriormente quanto appreso; nel
frattempo il genitore si terrà ancora in contatto con gli psicologi guida.
La parte finale dell’articolo è orientata alla valutazione del Family
Bridge e alle precisazioni sulla scientificità della proposta dell’autore. Questi
riferisce che non esistono ancora studi simili al suo che permettano una
valutazione più ampia e un confronto oggettivo, tuttavia il presente studio
può vantare strutturazione e contenuti scientificamente provati dalla ricerca,
come lo stesso titolo ricorda: “…usare le informazioni provenienti dalle
scienze sociali per riunire genitori e bambini alienati”. Warshak continua:
142
WARSHAK. op. cit. 143
WARSHAK. op. cit.
128
“Siamo coscienti che sarebbe desiderabile integrare queste informazioni
con un campione più vasto che includa valutazioni sistematiche della relazione del
bambino con i genitori ante e post il laboratorio, fatte da valutatori indipendenti
le cui valutazioni sono soggette a controlli attendibili e basate su fonti di
informazioni multiple, come i questionari, interviste con i genitori, bambini e con
i professionisti delle cure, nonché con osservazioni dirette. Aspettando tale
evoluzione di ricerca (che per necessità avrebbe bisogno di diversi anni per la
pubblicazione) e considerando che la letteratura corrente include solo pochi articoli
con suggerimenti per la gestione di casi con bambini alienati, la maggior parte dei
quali non includono i risultati finali, e pochi rapporti di intervento che
effettivamente abbiano riunito bambini e genitori gravemente alienati; e
considerando il tono pessimistico dei rapporti clinici con questa popolazione,
abbiamo valutato che è meglio avere dei risultati che non averli”.144
Il percorso ha dato ottimi risultati, infatti, 22 bambini su 23 hanno
ristrutturato positivamente la loro relazione malata con il genitore rifiutato.
L’autore fa infine notare che per il mantenimento della buona
relazione è necessario che si preveda una tempistica adeguata nel riavvicinare
il bambino al genitore (ex) preferito, infatti, un’accelerazione indebita dei
tempi non gioverebbe affatto, anzi rischierebbe la compromissione dei buoni
risultati ottenuti.
Warshak conclude l’articolo con una annotazione molto interessante
relativa alla resistenza dell’adolescente ad obbedire all’ordine del giudice di
intraprendere il percorso di rieducazione relazionale. I risultati degli studi
suggeriscono che l’interesse del minore è meglio rappresentato dal giudice
che ordina la ristrutturazione del rapporto con il genitore rifiutato, che non
l’avallo della ostinata richiesta dell’adolescente di conservare il rapporto con il
genitore preferito. E chiude laconicamente: “Questo dovrebbe fare riflettere le Corti
144
WARSHAK. op. cit.
129
e i valutatori prima di presumere che le preferenze dichiarate dagli adolescenti minori
debbano superare altri fattori di interesse”.145
Ci sono anche delle limitazioni al programma legate all’impegno dei
professionisti e ad una serie di altre variabili, che però non risultano ora
importanti per l’attuale dissertazione. Non si tratta di un programma alla
portata di tutti, infatti, il costo del Family Bridge, viaggio e alloggio dei
professionisti esclusi, varia tra i 7.500,00 e i 20.000,00 dollari americani.
I campi famiglia per famiglie conflittuali (CFFC)
Matthew J. Sullivan, Peggie A. Ward e Robin M. Deutsch
propongono un modello innovativo di programma educativo per le famiglie
ad alta conflittualità che hanno in corso la separazione coniugale segnata dalla
presenza di un figlio che resiste ad un genitore (genitore rifiutato) e aderisce
in tutto all’altro (genitore preferito). Gli autori presentano la loro esperienza
in un articolo del gennaio 2010 apparso su Family Court Review dal titolo:
“Overcoming barriers Family Camp: a program for higth conflict divorced families where a
child is resisting contact with a parent”.146 (Superare le barriere: i campi famiglia per
le famiglie conflittuali: un programma per famiglie con divorzi ad alta
conflittualità dove un figlio sta resistendo al contatto con un altro genitore).
L’articolazione della proposta è ampia ed è suddivisa in cinque giorni,
nei quali i partecipanti sono sottoposti a interventi di carattere psico-
educazionale e clinico in un contesto esterno di grande accoglienza e
protezione. Il problema delle famiglie è uscire dal blocco relazionale del
145
WARSHAK. op. cit. 146 M. J. Sullivan, P. A. Ward, R. M. Deutsch, Overcoming barriers Family Camp: a program for higth conflict
divorced families where a child is resisting contact with a parent, Family Court Review, Vol. 48, N. 1, Gennaio
2010, pp. 116-135
130
sistema famiglia che non permette agli ex coniugi di adottare strategie
genitoriali adatte a tenere vivo il ruolo di padre e madre nella situazione di
separazione.
L’idea originale di una esperienza significativa per l’intero nucleo
familiare si rivelò un fallimento a motivo della indisponibilità del genitore
preferito a partecipare al progetto.
Il secondo tentativo, che fu ideato da un gruppo di psicologi forensi,
un giudice e alcuni avvocati familiaristi, diede un buon risultato. Il lavoro è
descritto nell’articolo che contiene l’esposizione del modello in oggetto. Il
modello iniziale, del 2008 prevedeva solo tre giorni, mentre nella revisione del
2009, a richiesta dei partecipanti, fu esteso a cinque.
La forza di questo modello sta nel considerare l’intera famiglia
soggetto di attenzione specifica; essa è riconosciuta come un sistema
complesso, dove ciascuno esercita un proprio ruolo e nel quale si intessono
relazioni uniche. Per questo motivo l’invito a partecipare al CFFC è esteso
sempre a tutti i componenti significativi della famiglia e anche agli altri
significativi, come possono essere i nuovi partner, i fratellastri ecc.
La partecipazione al CFFC dell’anno 2009 ha visto coinvolte dieci
famiglie, con caratteristiche comuni:
1. I genitori in conflitto avevano adottato (o stavano
adottando) un comportamento disfunzionale rispetto al loro ruolo
genitoriale, che pregiudicò ogni buon rapporto tra loro e i figli.
2. C’era una forte polarizzazione del punto di vista dei
genitori, così che uno accusava l’altro e viceversa, creando uno stallo
relazionale senza possibilità di sviluppo. Gli autori dicono in
proposito che “il punto di vista del genitore favorito era organizzato secondo
quella che considerava essere una posizione “protettiva”, mirata a ridurre
l’accesso del bambino al genitore rifiutato, che veniva accusato di abusi, cattive
cure parentali, negligenza, e/o violenza domestica nella relazione
matrimoniale/genitoriale. Il genitore favorito affermava che gli alti livelli di
conflittualità tra i genitori erano da attribuire principalmente, anche se non
131
esclusivamente, al genitore rifiutato. I genitori rifiutati al contrario affermavano di
essere vittima di ”alienazione” da parte del genitore”.147 I genitori si
trovavano in piena battaglia.
3. Il figlio presentava forte ambivalenza verso i genitori e
manifestava sintomi di stress, paura e ansia.
4. Il figlio esprimeva un rifiuto radicale del genitore
alienato ma la forza del diniego era sproporzionata rispetto alle
motivazioni addotte. Contemporaneamente vi era persuasione che le
preoccupazioni del genitore preferito circa l’inaffidabilità del genitore
rifiutato fossero fondate.
5. Tutte le famiglie avevano alle spalle le terapie
tradizionali, che si sono rivelate inefficaci se non addirittura
ulteriormente lesive del già fragile rapporto parentale.
6. Alcuni casi furono indirizzati dal tribunale al CFFC sulla
base della certezza che il rifiuto del figlio verso il genitore alienato
fosse motivato dalla presenza di alienazione genitoriale. Il CFFC fu
considerata l’ultima possibilità di recupero della situazione, prima di
concedere l’affidamento esclusivo al genitore preferito, o la
sottrazione del figlio ad entrambi per l’affidamento del minore ad
una casa famiglia. Le famiglie che arrivavano al CFFC dietro
ingiunzione del Tribunale erano dunque cariche di odio e ansia e
spesso non disponibili all’incontro.
7. Diverse famiglie manifestavano scarse cure parentali da
parte di un genitore, oppure la paura per la sicurezza del figlio a
causa dell’iper protezione di uno dei genitori.
Individuate le caratteristiche delle famiglie, gli autori specificano gli
obiettivi del programma, riconducendoli allo sblocco dell’impasse delle
dinamiche familiari conflittuali per approdare ad una forma di genitorialità
adulta, in regime di separazione coniugale. Più specificatamente l’obiettivo del
corso consiste nel “superamento degli ostacoli per consentire di riconnettere il figlio e il
147
SULLIVAN e coll., op. cit.
132
genitore rifiutato, …. focalizzando l’attenzione, per tutta la durata del programma, su
quelle dinamiche molteplici del sistema famiglia che impattano sulla risposta del figlio alla
specifica situazione in cui si trova”.148
Si tratta di aiutare la famiglia a procedere verso un nuovo assetto
relazionale che permetta il raggiungimento di un equilibrio stabile nel quale i
conflitti siano sedati e ciascuno ritorni a vivere liberamente il ruolo che gli
compete. Concretamente, i genitori dovranno uscire dal corso con
l’intenzione di elaborare insieme un progetto di co-genitorialità. Gli autori, a
questo proposito, hanno steso uno scritto (presente in appendice all’articolo)
che appare come un contratto di alleanza tra le parti.
Sullivan e coll. Affermano:
“Gli obiettivi del CFFC sono di fornire una psico-educazione intensiva a
tutti i componenti della famiglia, tra cui l’educazione alla co-genitorialità
(incontrando diverse volte le coppie di genitori) e la creazione di una “connessione”
sicura tra il genitore rifiutato e il figlio, in un ambiente attentamente monitorato. Il
lavoro con le coppie di genitori ha l’obiettivo di far loro lasciare il campo con un
accordo che prevede una condivisione del tempo di cura dei figli o, se ciò non è stato
possibile, almeno una modalità di lavoro attraverso cui raggiungere un accordo
anche dopo la fine del campo-famiglia.”149
Il programma del CFFC si struttura su alcuni punti fermi: portare le
famiglie al di fuori del luogo abituale di vita; coinvolgere genitori e figli
mediante una proposta psico-educazionale, un intervento clinico intensivo e
l’esperienza piacevole del campo famiglia.
Il CFFC si svolge nei siti incantevoli del Vermont, in luogo di
campeggio con tutte le attrezzature relative e tutte le comodità della proposta
ricreativa (sport, passeggiate, laboratori artistici ecc). Il campo è gestito dal
personale che presiede le attività educative (personale amministrativo,
148
SULLIVAN. e coll., op. cit. 149
SULLIVAN e coll., op. cit.
133
assistenti sociali, psicologi ecc) in un rapporto di 1:1 tra ospiti ed educatori.
Lo staff organizza ogni momento della giornata e presiede ogni esperienza,
dalla più semplice, come passeggiare nel bosco, fino alle più complesse
(interventi clinici). Sono presenti, a titolo gratuito, tre psicologi clinici che
durante il campo tengono i colloqui con i singoli e con le famiglie. In
particolare guidano gli incontri psicoeducativi di tre ore per i genitori,
separando quelli preferiti da quelli rifiutati (definiti rispettivamente genitori in
e genitori out); conducono gli incontri formativi sulla co-genitorialità e, infine,
partecipano agli incontri tra genitori rifiutati e figli.
Il programma della giornata è scandito di mattina (dalle 9 alle 12 di
tutti i giorni) dai lavori di gruppo, suddivisi tra genitori in, genitori out e
bambini. I gruppi sono tenuti separatamente da una coppia di esperti
(psicologo esperto ed assistente). Gli stessi gruppi con i medesimi educatori,
nel pomeriggio hanno modo di approfondire le tematiche del mattino.
La sessione mattutina per i genitori è suddivisa nei due gruppi in e
out; la scelta del gruppo è per stimolare l’identificazione dei genitori con le
stesse problematiche e per poter affrontare tematiche specifiche per la
categoria.
Entrambi i gruppi di genitori seguono le sessioni che hanno tre scopi
comuni:
1. Psico-educazione. In questa porzione del lavoro
sono date ai genitori tutte le conoscenze relative alla loro
situazione di conflittualità e sono indicati i possibili sbocchi.
Gli autori dicono che “in entrambi i gruppi vengono date
informazioni sostanziali sulle dinamiche di un divorzio ad alta
conflittualità, sull’impatto deleterio di una vertenza legale sulla co-
genitorialità, e sull’attuale concettualizzazione scientifica sul figlio
alienato; strategie pratiche per gestire e reagire ad un figlio alienato e
genitori alienanti; e interventi legali e psicologici utili dopo la fine del
134
CFFC, come il coordinamento tra genitori “150. Il taglio non è solo
ed esclusivamente informativo ma anche formativo, infatti i
genitori sono stimolati sulle loro motivazioni profonde, sulle
ansie e le paure, e sono inviati a far emergere tutte le
distorsioni cognitive relative alle loro dinamiche relazionali.
Lo psicologo vuole introdurre nella vita dei genitori un nuovo
modo di intendere la realtà e interpretare le situazioni affinché
ciascuno, rispondendo alle sollecitazioni, intraveda una
qualche possibilità di ristrutturazione delle proprie relazioni in
ordine all’uscita dal blocco in cui si è venuto a trovare.
2. Il laboratorio: il microcosmo della vita. Attraverso il laboratorio, i
conduttori creano ad arte situazioni di vita realistica e aiutano
i genitori a trovare soluzioni concrete accettabili e vantaggiose
per tutti. Mediate il gioco di ruolo i soggetti imparano a
gestire la situazione conflittuale della realtà rappresentata nel
gioco. L’immersione nella parte affidata aiuta i genitori a
passare dalla finzione alla realtà, a fare esercizi controllati e
innocui su trasposizioni fittizie del reale. Dal gioco poi, il
genitore dovrà passare alla prova generale (gli autori usano
questo termine) della vita, nella quale troverà le stesse
dinamiche conflittuali, ma che saprà affrontare grazie alle
risposte e agli atteggiamenti che ha avuto modo di
sperimentare nel gioco di ruolo. A sostegno della necessità del
gioco di ruolo il commento degli autori è chiarissimo: “Questi
giochi di ruolo permettono ai genitori di mettersi alla prova e applicare
ciò che stanno imparando nella sicurezza del “laboratorio”, di ottenere
risposte e sostegno dai terapeuti e da altri genitori, di provare le modalità
di interazione sviluppate precedentemente in una sorta di “prova
generale”, e fare tesoro di queste esperienze portandole con sé alla sessione
di lavoro successiva per ulteriori sviluppi”.151
150
SULLIVAN e coll., op. cit. 151
SULLIVAN e coll., op. cit.
135
3. Coinvolgimento del gruppo. Il gruppo è uno
strumento terapeutico molto importante, infatti attraverso la
sua mediazione si innesca un meccanismo di auto educazione
dei membri dello stesso, specialmente quando il gruppo è
chiamato a giudicare atteggiamenti e scelte dei diversi soggetti.
Il feedback che il gruppo dà ad uno dei suoi componenti pare
essere terapeuticamente più efficace di quello del clinico.
“Questa interazione tra il gruppo di lavoro e l’esperienza del campo è
uno degli aspetti più potenti e unici di questo tipo di trattamento”152
Per quanto riguarda le sessioni mattutine dei bambini che si
svolgevano in un padiglione a loro dedicato nella stanza detta “dei ragazzi”,
gli autori indicano i due scopi fondamentali del lavoro:
1. modificare il loro punto di vista polarizzato e irremovibile sui
genitori, arricchendolo con tutte le distinzioni e le sfumature
di un giudizio meno categorico e più realistico,
2. ricreare i rapporti familiari.
Entrando nel merito del lavoro, gli autori precisano:
“Gli scopi della prima sessione erano di creare un ambiente condiviso e
rassicurante, di aiutare i ragazzi a capire l’importanza delle relazioni, di creare fiducia
all’interno del gruppo e aiutare i ragazzi ad apprezzare punti di vista diversi… identificare
la relazione tra pensieri, sentimenti e comportamenti; di identificare le distorsioni cognitive;
di praticare lo scambio dei ruoli. …far loro apprendere un modello di risoluzione dei
problemi, ad imparare ad ascoltare attivamente e superare le barriere per un ascolto efficace,
e condividere le speranze di ciascun membro del gruppo”.153
Vengono poi riferite le diverse tipologie di risposte fornite dai
ragazzi, che rivelano l’apprezzamento dei bambini per tutte le attività che
permettano loro libertà di movimento, espressività e immedesimazione nei
giochi di ruolo per affrontare e risolvere le situazioni conflittuali. Ai ragazzi
152
SULLIVAN e coll., op. cit. 153
SULLIVAN e coll., op. cit.
136
risultava essere del tutto normale condividere le proprie storie, come se nel
racconto si creasse un senso più spiccato di appartenenza al gruppo. Nei
lavori proposti non mancarono anche le richieste scritte ai loro genitori in
ordine alle qualità genitoriali che essi avrebbero dovuto agire; i bambini, poi,
ricevettero dai loro genitori out (in forma anonima) biglietti riportanti le
riflessioni circa le loro attese e i loro stati d’animo verso i figli. È da notare
che per il primo caso i ragazzi espressero il desiderio di avere genitori più
responsabili nel loro ruolo educativo, più capaci di onestà, meno rigidi e più
pronti a scusarsi e, invece ritennero “falsi” i messaggi ricevuti. In un’altra
sessione un gruppo di ragazzi non rispose alle sollecitazioni dei genitori out
ritenuti indegni di risposta.
Infine sono effettuate anche sessioni di lavoro per i due co-genitori.
I temi affrontati sono i seguenti:
1. La presentazione delle dinamiche che mantengono alto
il livello di conflittualità.
2. La strutturazione, la pianificazione e il sostegno della
riconnessione tra genitore rifiutato e bambino.
3. La presentazione delle problematiche di conflittualità
legate al progetto genitoriale.
4. Discussione e consigli sulle terapie da adottare dopo il
CFFC.
Come si può prevedere questo è il gruppo di lavoro più delicato e di
difficile gestione che tuttavia deve avere uno sbocco nella alleanza educativa
per un progetto genitoriale condiviso. Gli esiti del lavoro sono stati
diversificati e di segno opposto.
Ciascuna coppia ebbe anche un incontro personale con il clinico con
una finalità ben precisa: “Questi incontri finali furono utilizzati per sottolineare il
progresso ottenuto durante il programma, suggerire loro una struttura gestibile per la co-
genitorialità nonostante le loro specifiche dinamiche di conflitto, definire nei dettagli
137
eventuali accordi sul progetto genitoriale, e presentare loro le raccomandazioni degli
specialisti per eventuali attività terapeutiche successive.”154
Il tentativo era di non lasciare che i frutti positivi del lavoro del
Campo finissero con l’esperienza del Vermont, ma continuassero anche di
fuori, negli spazi di vita abituali.
Gli autori si soffermano nella descrizione dell’ambiente del CFFC.
Il posto scelto era incantevole, nella campagna del Vermont, con
personale molto qualificato, uno staff medico e personale di campo. Tutto
per dare una esperienza importante e positiva alle famiglie in crisi.
Riporto brevemente anche le componenti strutturali del CFFC,
anche se gli autori indugiano non poco nei dettagli: uso dello spazio; attività
pianificate; interventi clinici pianificati ad hoc.
Lo spazio del CFFC era composto da oltre 300 ettari di campagna con
sala da pranzo e centro per attività al chiuso con tutti i relativi confort;
edificio dei bagni; bungalow; spazio per lo staff (inaccessibile alle famiglie);
spazio comune (cucina, verande , altalene, campi da gioco ecc)
Le attività pianificate organizzate per coinvolgere tutti e ciascuno
spaziavano dai canti e balli sino alla partecipazione agli incontri di
formazione. Un aspetto importante fu l’attenzione alla inclusione/esclusione
strategica dei gruppi, cioè far sì che genitori out e figli si incontrassero più
spesso di quanto non lo potessero fare con i genitori in (strutture adiacenti,
lavori paralleli ecc). Furono create ad arte tutte le attività ludiche ricreative
che permisero alle parti in conflitto di accostarsi e socializzare in maniera
costruttiva e graduale
Degli interventi clinici pianificati ad hoc, abbiamo già abbondantemente
parlato. Riporto solo quanto gli stessi autori esplicitano in merito:
154
SULLIVAN e coll., op. cit.
138
“… si creò più volte al giorno l’opportunità di avere interazioni
diadiche della coppia genitoriale supportate da uno o due medici. I genitori furono
preparati (spesso facendo la prova generale durante le sessioni mattutine dei
genitori) ad ottimizzare queste opportunità per far in modo che i genitori rifiutati
e i loro figli si connettessero, tematizzando le dinamiche della loro relazione con il
figlio, per anticipare e affrontare il rifiuto, ad ascoltare con comprensione e dare
sostegno al figlio che esprimeva sentimenti negativi, e a cercare le condizioni per
continuare ad interagire. I genitori favoriti lavoravano nelle sessioni mattutine (e
furono continuamente incoraggiati dallo staff) per imparare a sostenere le aperture
del figlio al genitore rifiutato, nonostante la propria stessa paura, rabbia, e
sfiducia nel proprio co-genitore. Prima che questi incontri avvenissero, ai figli
veniva chiesto se fossero pronti per tale contatto, aiutati dallo psicologo e, spesso,
dal genitore favorito”.155
Gli autori concludono il lavoro su aspetti poco interessati per la
nostra dissertazione, come le questioni della sicurezza del CFFC, la
pianificazione degli arrivi e delle partenze e la valutazione fatta dai
partecipanti stessi; inoltre sono già noti i dati del follow up (dopo 6-9 mesi) per
il CFFC del 2008, mentre non ho a disposizione quelli del CFFC del 2009,
che avrebbero dovuto essere pubblicati nel marzo 2010, ma di cui non ho
notizia. Lascio al lettore interessato la lettura di questi dettagli, e mi avvio alle
conclusioni.
Raccogliendo i dati che ritengo salienti dell’esperienza del CFFC,
faccio notare l’attenzione degli autori al sistema famiglia e alle sue
articolazioni. L’aver coinvolto nel Campo Famiglia l’intero clan familiare
significativo si è rivelata certamente la carta vincente, senza trascurare che,
così facendo, il livello di conflittualità durante il programma si è elevato
esponenzialmente. Il coinvolgimento di un alto numero di operatori nella
gestione dell’intero programma (ricordo che il rapporto era 1:1)
155
SULLIVAN e coll., op. cit.
139
probabilmente è stato richiesto dalla tipologia di relazione
aggressivo/conflittuale delle persone presenti. Ma l’obiettivo era esattamente
relativo alla ristabilizzazione di una dinamica relazionale sufficientemente
buona per permettere agli ex coniugi di riformulare una alleanza educativa. In
essa avrebbe trovato spazio una miglior gestione della genitorialità di
entrambi gli ex coniugi, sia pur in regime di separazione. Attenzione all’intero
sistema famiglia e ristabilizzazione della cura genitoriale di entrambi i genitori
sono gli aspetti caratterizzanti del CFFC. Rispetto al programma del Family
Bridge si tratta certamente di un passo avanti, infatti il programma di Richard
A. Warshak, come abbiamo visto poco sopra, era centrato sostanzialmente
sul recupero della relazione genitore rifiutato/bambino, lasciando in secondo
piano il sistema famiglia e la figura del genitore preferito.
Anche per il CFFC il grosso problema è relativo alla gestione dei
costi. Non v’è chi non veda che la gestione complessiva di un così imponente
programma richieda necessariamente molti fondi. Considerando che sia lo
staff medico sia il gruppo educante hanno operato gratuitamente, ogni
famiglia ha comunque versato mediamente 7.500,00 dollari. Gli altri fondi
hanno avuto provenienze variegate. Il costo della gestione di questo modello
psico-educazionale, in sostanza è troppo elevato per essere pensato su scala
più ampia e alla portata di tutti. Si tratta della stessa problematica del modello
di Richard Warshak.
Infine, gli autori fanno notare che per partecipare al CFF è necessaria
la componente fondamentale della libertà, infatti le famiglie obbligate dal
giudice hanno influenzato negativamente il clima dei primi giorni dell’intero
Campo, e hanno utilizzato maggior tempo per entrare nelle logiche relazionali
che presiedono il programma.
Gli auspici di Matthew J. Sullivan, Peggie A. Ward e Robin M.
Deutsch chiudono l’articolo:
“Se il CFFC diventasse finanziariamente sostenibile, i medici
potrebbero addestrare altri medici e personale del campo, per replicare lo stesso
140
modello in diverse aree geografiche, cosicché viaggi, tempistica, e distanza non
siano più un ostacolo alla partecipazione. …
Il programma del campo concentrato in un fine settimana, con
appropriate cure successive, potrebbe offrire questo programma innovativo in una
fase più precoce dello sviluppo della famiglia ad elevato conflitto e resistenza al
contatto con uno dei genitori. Queste famiglie potrebbero volontariamente cercare
questo servizio come un punto di partenza per evitare più costosi e invasivi
interventi giudiziari, o per trovare strade alternative alla strada della terapia
settimanale della famiglia”.156
156
SULLIVAN e coll., op. cit.
141
CAPITOLO 9
LA DEFINIZIONE DELLA COMPLESSITÀ DELLA SINDROME AL DI
LÀ DELLE RISTRETTEZZE NOSOGRAFICHE STANDARDIZZANTI:
IL VERSANTE GIURIDICO E IL RIFERIMENTO AL DSM V E ICD 11
Prima di entrare nel merito dell’inquadramento nosografico della
PAS nei due manuali internazionalmente riconosciuti delle malattie mentali,
Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM V) e International
Classification of Diseases (ICD 11), e cogliere la pertinenza di quest’ultimo
capitolo, è necessario richiamare la complessità del quadro generale in cui si
situa la sindrome.
Nel corso della dissertazione abbiamo illustrato l’ampia
fenomenologia della malattia, i criteri diagnostici, i livelli di gravità,
mostrando come la PAS sia una realtà che vada al di là del singolo soggetto e
abbracci lo spettro relazionale parentale orizzontale del bambino (i suoi
genitori, nonni, parenti, educatori, amici ecc) e verticale (relazioni del passato
“longitudinali”). Abbiamo coinvolto il sistema famiglia, inquadrato nella
prospettiva sistemico relazionale per collocare anche una ipotesi epigenetica,
che ha individuato le fasi remote dello sviluppo della sindrome. Sono state
focalizzate le tappe di sviluppo e i relativi compiti della famiglia e dei suoi
membri per gestire nel migliore dei modi il conflitto della divisione familiare,
senza dimenticarci di descrivere nel dettaglio le tecniche di programmazione
evidenziando analogie interessanti con le tecniche di induzione ipnotica. Lo
sviluppo della dissertazione ha previsto anche uno sbocco terapeutico nelle
terapie familiari di R. Warshak e M. Sullivan, e ha proposto qualche aggancio
alla letteratura epica dell’epopea di Ulisse, unendo così codice artistico e
scientifico. Un’ampia parte è stata dedicata alla presentazione della realtà
giuridico – istituzionale in cui si inquadrano diritto e prassi matrimoniale nel
contesto di un assetto culturale italiano con alcune zone d’ombra che la
Legge ancora non illumina.
142
Insomma, tutta la presentazione della questione PAS ha permesso di
cogliere l’ampiezza del problema e, insieme, ha avvertito sull’inopportunità di
trattarne isolatamente i singoli aspetti. È ormai chiaro che questa sindrome,
pur essendo diagnosticamente individuabile, non si può estrapolare dal
contesto, considerandola avulsa dalla realtà. Per essere adeguatamente
compresa, essa domanda sinergia di lavoro tra Psicologia e prassi giudiziarie,
tra sensibilità culturale e aggiornamento legislativo, e chiede un salto di qualità
nello stile educativo delle famiglie in rotta. Ma non è tutto; manca ancora un
tassello. Un aspetto che appare importante, infatti, è la collocazione
nosografica della PAS, perché nell’ultima edizione del DSM V non è stata
identificata come una malattia mentale, acuendo ulteriormente il già aspro
dibattito tra le parti contrapposte. A questo proposito Camerini e
collaboratori affermano:
“Si è quindi sviluppata una fuorviante contrapposizione tra coloro che
usano questo costrutto (della PAS), spesso a sproposito, in funzione accusatoria
verso le madri che impedirebbero ai figli di rapportarsi con i loro padri e, sull’altro
versante, coloro che invece lo considerano, altrettanto spesso a sproposito, come un
velo strumentalmente utilizzato per coprire comportamenti impropri di padri
incapaci, trascuranti o violenti.”157
L’inserimento della PAS nel DSM ne chiarirebbe definitamente la
natura, i criteri diagnostici e la sintomatologia, semplificando il discernimento
clinico e tutti i successivi passi nei diversi campi dell’agire umano legati alla
sindrome (giudiziario, assicurativo, medico, ecc). Ad oggi, tuttavia, la PAS
non rientra nell’ultimo adeguamento del DSM V e dell’ICD 11. Mi concentro
anzitutto sul primo dei due.
157
G.B. CAMERINI, T. MAGRO, U. SABATELLO, L. VOLPINI, La Parental Alienation: considerazioni cliniche, nosografiche e psicologico-giuridiche alla luce del DSM-5, Giornale di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva 2014; 34:1-xxx
143
Edito nel 2013, a distanza di venti anni dall’ultima revisione, il DSM
V si propone di aggiornare il quadro delle malattie mentali. Il catalogo è stato
curato e pubblicato il 18 maggio dall’American Psychiatric Association (APA),
che, nonostante la pressante campagna di sensibilizzazione promossa e
coordinata dal dott. William Bernet (membro del Department of Psychiatry,
Vanderbilt University School of Medicine, Nashville, Tennessee) per l’inserimento
della PAS, ha scelto di configurare la PAS come un disturbo relazionale,
senza la dignità di vera e propria sindrome. Scrive ancora Camerini:
“La proposta di Bernet non è stata accolta nel DSM-5, in quanto
l’esclusione e l’alienazione di un genitore non corrisponde ad una sindrome né ad
un disturbo psichico individuale definito, né la sua individuazione coincide con un
processo psicodiagnostico. Essa si qualifica piuttosto come un disturbo della
relazione tra più soggetti, ovvero in un disfunzionamento familiare al quale
contribuiscono il genitore escludente, o alienante, quello escluso, o alienato e il
figlio/la figlia, ciascuno con le proprie responsabilità e con il proprio contributo
che può variare di caso in caso. Spesso al conflitto prendono più o meno
attivamente parte anche le famiglie di origine dell’uno e dell’altro genitore”.158
Si tratta di una presa di posizione probabilmente motivata da
pressioni esterne al mondo clinico, ma per noi appare forse più interessante
ricordare come il dott. Bernet, già nel 2008 in sede di proposta operativa,
definiva i criteri diagnostici della PAS: “…
1. Il bambino si allea a uno dei genitori e rifiuta la relazione con l’altro
senza legittime giustificazioni, generalmente in un contesto di separazione
conflittuale e/o di disputa per l’affidamento.
2. Il bambino manifesta i seguenti comportamenti:
costante rifiuto verso un genitore, che raggiunge il livello di una vera e
propria campagna di denigrazione;
158 CAMERINI, op. cit.
144
utilizzo di razionalizzazioni futili, deboli, assurde per criticare
persistentemente il genitore rifiutato.
3. Il bambino manifesta almeno due tra i seguenti comportamenti e
atteggiamenti:
mancanza di ambivalenza;
fenomeno del Pensatore Indipendente;
sostegno automatico al genitore alienante;
assenza di senso di colpa nel mancato rispetto e nella non accettazione dei
sentimenti del genitore alienato;
presenza di sceneggiatura presa a prestito;
allargamento dell’animosità nei confronti della famiglia estesa del genitore
alienato.
4. Il disturbo deve durare almeno da due mesi.
5. Il disturbo causa clinicamente disagi significativi in ambito sociale, scolastico e
in altre aree relazionali.
6. Il rifiuto del bambino di incontrare il genitore alienato è privo di giustificazione
legittima; se il genitore maltratta il bambino il Disordine non deve essere
diagnosticato.”159
Successivamente, nel 2010, nell’articolo Parental Alienation, DSM-V,
and ICD-11160 lo stesso autore e un nutrito gruppo di studiosi proponevano
alle commissioni che avrebbero dovuto decidere dell’inserimento della PAS
nel DSM-V e nel ICD11, un’ampia bibliografia di oltre 600 titoli relativi alla
materia per mostrare l’importanza e la rilevanza della sindrome.
“Noi chiediamo che i criteri diagnostici per il disturbo da alienazione
parentale siano inclusi nel DSM-V e nel ICD-11. Relativamente al DSM-V,
159 W. BERNET, Parental alienation disorder and DSM-V, American Journal of Family Therapy 2008;36:349-66. 160 W. BERNET, Parental Alienation, DSM-V, and ICD-11, American Journal of Family Therapy, Volume 38, Issue 2 March 2010.
145
proponiamo che il testo nell’appendice A (relativo al disturbo da alienazione
parentale) sia incluso nella parte del volume che riguarda i disturbi mentali oppure
che il testo nella Appendice B (relativo al problema relazionale da alienazione
parentale) sia incluso nella discussione dei problemi relazionali. Rispetto al ICD-
11 noi proponiamo che il testo nell’appendice A (relativo al disturbo da
alienazione parentale) sia incluso nella sezione del Capitolo V intitolata
Behavioural and emotional disorders with onset usually occurring in
childhood and adolescence oppure che il testo nella Appendice B (relativo al
problema relazionale da alienazione parentale) sia incluso nella sezione del capitolo
XXI intitolata Problems related to negative life events in childhood. Il
disturbo da alienazione parentale dovrebbe essere riconosciuto come una seria
condizione che colpisce migliaia di bambini e famiglie in tutto il mondo.161
La richiesta non fu accolta. Motivando l’esclusione della PAS, il
dottor Darrel Regier, vicepresidente della commissione per la redazione del
manuale diagnostico statistico, afferma:
“La nostra linea di pensiero è che non si tratti di una malattia
all’interno di un individuo, è piuttosto un problema di rapporto genitore-figlio o
genitore-genitore. I problemi di relazione però di per sé non sono disturbi mentali
e non possono pertanto essere inclusi all’interno del DSM”.162
L’indicazione di Darrell, quindi risulta essere chiara: la malattia deve
essere individuabile all’interno dell’individuo, ragione sufficiente per
considerare l’alienazione genitoriale altro rispetto alla sindrome vera e propria.
In una recente intervista, il dott. Bernet, e con lui importanti autori
italiani come il già citato Camerini e il prof. Guglielmo Gulotta, ammettono
che molto è stato fatto anche nell’attuale manuale, infatti, pur non
161
W. BERNET, Parental Alienation, DSM-V, and ICD-11, American Journal of Family Therapy, Volume 38, Issue 2 March 2010, pp. 142-143. 162 http://www.guardian.co.uk/world/feedarticle/9292737.
146
riconoscendo l’alienazione parentale come una sindrome, ne riporta molti
aspetti caratteristici.
In particolare, Gulotta emette un comunicato nel quale afferma:
“Sabato 18 maggio negli Stati Uniti è stato pubblicato il DSM 5 che,
pur non nominandola, dà largo spazio a quella che viene (o veniva?!) chiamata
sindrome da alienazione parentale. Gli autori delineano il fenomeno relazionale e
in particolare gli effetti negativi sullo sviluppo e sulla maturazione psicologica del
bambino. Vedrete che nella nuova versione del DSM vengono approfonditi diversi
fenomeni quali: abuso psicologico, problemi relazionali genitori-figli, disturbo
psicotico indotto (folie a deux) e la sindrome di Munchausen per procura,
un’altra sindrome che, come quella di Stoccolma, descrive un fenomeno reale
usando la parola “sindrome” in modo metaforico. In attesa della traduzione
ufficiale italiana del DSM 5, Vi allego degli estratti in inglese del DSM…
Parent-child relational problem “may include negative attributions
of the other’s intentions, hostility toward or scapegoating of the other, and
unwarranted feelings of estrangement.”
Child psychological abuse “nonaccidental verbal or symbolic acts
by a child’s parent or caregiver that result, or have reasonable potential to result,
in significant psychological harm to the child.”
Child affected by parental relationship distress “when the focus of
clinical attention if the negative effects of parental relationship discord (e.g., high
levels of conflict, distress, or disparagement) on a child in the family, including
effects on the child’s mental or other physical disorders.”
Factitious disorder imposed on another “falsification of physical or
psychological signs or symptoms, or induction of injury or disease, in another,
associated with identified deception.”
Delusional symptoms in partner of individual with delusional
disorder “In the context of a relationship, the delusional material from the
147
dominant partner provides content for delusional belief by the individual who may
not otherwise entirely meet criteria for delusional disorder.”163
Il dott. Bernet164 approfondisce il discorso e fa notare come il nuovo
DSM individui due nuove sindromi che possono essere considerate
propedeutiche al riconoscimento futuro della PAS, e che già ora sono
utilizzabili dai professionisti del settore per inquadrare le relazioni
disfunzionali tra genitori e figli: “…
la child affected by parental relationship distress che ”va
usata quando “il focus dell’attenzione clinica è l’effetto negativo della
relazione genitoriale (ad esempio alti livelli di conflitto, stress o
denigrazione) sul figlio nella famiglia, inclusi effetti su disturbi mentali o
fisici del figlio“. 165
L’abuso psicologico infantile (child psychological
abuse) che viene definito come “atti non accidentali verbali o
simbolici di un genitore o caregiver che causano, o hanno la
ragionevole probabilità di causare, un significativo danno
psicologico al bambino“.166
In conclusione, è importante ricordare che non sono sufficienti le
attribuzioni e gli spazi dati alla alienazione genitoriale nell’attuale assetto del
DSM, che Bernet presume essere il riferimento basilare per eventuali sviluppi.
L’autore, infatti, fa notare che l’utilizzo della numerazione arabo/occidentale
rispetto al sistema romano prelude ai prossimi ritocchi degli anni a venire in
una configurazione del tipo DSM 5.1, 5.2, 5.3 e così via.167
163 www.psicologiagiuridica.eu oppure http://www.alienazione.genitoriale.com/comunicato-sulla-pas-prof-guglielmo-gulotta 164 http://blogs.psychcentral.com/therapy-soup/2013/06/parental-alienation-expert-dr-william-bernet-discusses-the-dsm-5/ oppure http://www.alienazione.genitoriale.com/la-pas-e-descritta-nel-dsm-5-prof-william-bernet/ 165 http://www.alienazione.genitoriale.com/la-pas-e-descritta-nel-dsm-5-prof-william-bernet/ 166 http://www.alienazione.genitoriale.com/la-pas-e-descritta-nel-dsm-5-prof-william-bernet/ 167 http://www.alienazione.genitoriale.com/la-pas-e-descritta-nel-dsm-5-prof-william-bernet/
148
Bisognerà fare ancora molta strada orientando gli sforzi per
l’inserimento del termine sindrome, ma ormai almeno l’impianto per
l’accettazione della locuzione alienazione genitoriale è costituito. L’utilizzo del
lessico appropriato aiuterebbe la formazione dei professionisti della salute
mentale, in quanto i testi scolastici si basano e si baserebbero essenzialmente
sulle indicazioni del DSM. Gli studenti sarebbero incentivati a far propri con
più facilità i costrutti, i criteri diagnostici ed eventualmente le terapie (per
altro non indicate nel manuale) della alienazione genitoriale. Inoltre questo
inserimento incoraggerebbe gli studi sulla sindrome e, infine, risolverebbe
definitivamente le questioni legate alle finalità giuridico legali, che per loro
natura necessitano di riconoscimenti ufficiali e chiarezza scientifica.
Al di là delle polemiche e degli auspici, preme notare che l’esistenza
di una sindrome mentale non si possa definire in base al riconoscimento
ufficiale della comunità scientifica. La sindrome c’è, prima che qualcuno dica
che esiste, prima che qualcuno individui criteri diagnostici e ne ipotizzi genesi
e sviluppi. Se venisse meno questo principio, non si capirebbero il senso del
continuo aggiornamento dei manuali e quello della stessa ricerca. Vezzetti e
Lanzara, ancor prima dell’uscita della V edizione del DSM, affermavano
sagacemente:
“… la nuova edizione, nota come DSM-V, non sarà completata fino
al prossimo anno, ma la decisione contro la classificazione dell’alienazione
genitoriale come una malattia o una sindrome definita è stata definitivamente
presa. Evidentemente questo non significa che l’alienazione, il condizionamento
parossistico del minore da parte di genitori patologici, non esista: non esisterebbero
neppure il mobbing o lo stalking, su cui invece tanti Stati hanno elaborato
dettagliate leggi: non esisterebbero neppure il plagio o la Sindrome di Stoccolma di
cui, invece, nessuno mette in dubbio l’esistenza … È quindi ovvio che il fatto che
149
una situazione clinica non sia citata nella vigente edizione del DSM non significa
che essa non esista.”168
Per il discernimento clinico è certamente utile il riferimento
autorevole del DSM V o dell’ICD 11, tuttavia i manuali arrivano dopo,
certificano quanto è ormai assodato e accettato, mentre la sofferenza delle
persone è attuale e reale. Il compito clinico precede quello del manuale,
infatti, ciò che appare realmente necessaria è la competenza del
professionista, la sua sensibilità e la perspicacia necessaria per fare della
complessa sintomatologia un quadro coerente in cui i sintomi assumano un
significato preciso, in vista di una diagnosi differenziale.
La Psicologia clinica insegna, inoltre, che ogni caso è del tutto unico,
perché uniche e irripetibili sono le variegate situazioni psicosociali dei
soggetti, le predisposizioni genetiche e i tratti caratteriali, che determinano la
vicenda di una persona e di tutte le sue problematiche. Ben venga, dunque
l’apporto del manuale con la determinatezza del quadro nosografico, assiale, e
ateorico su base statistica (che caratterizza il DSM), tuttavia esso rimane uno
strumento nelle mani del professionista, che avrà come compito precipuo,
non di classificare, ma offrire una interpretazione dell’assetto psicologico
complessivo della persona. Quindi il giudizio clinico deve integrare
l’informazione manualistica senza lasciarsi ingabbiare in un giudizio
predefinito.
168 V. VEZZETTI, V. LANZARA, Ottobre 2012, DSM-V: l’alienazione genitoriale non entra nel novero delle malattie mentali vere e proprie, ma viene considerato disturbo relazionale, Pediatria preventiva & sociale, VII - Numero 4 - 2012
150
CAPITOLO 10
CONCLUSIONI
Quando mi fu proposta la terna di titoli da cui sceglierne uno
per la dissertazione, mi sono bastati pochi minuti per orientarmi su
quello che, di primo acchito, mi pareva più prossimo al campo clinico.
Il termine sindrome, che apriva la titolazione, mi parve sufficiente per
giustificare la mia scelta, polarizzata dal desiderio di comprendere la
malattia, svilupparne l’analisi del quadro clinico, tratteggiarne la
fenomenologia e offrirne eventuali indicazioni terapeutiche.
E non di una qualsiasi malattia si prospettava il lavoro, ma di
una realtà che colpisce la famiglia di fronte ad un passaggio critico
dell’esistenza, quello doloroso, e tuttavia a volte necessario, della sua
conclusione.
Con buona dose di ingenuità mi parve di cogliere un
panorama sufficientemente piano, carico più che altro di fatiche e
dolori, indubbiamente arduo da trattare ma apparentemente
conchiuso in uno spazio ben definito. Entrando nel merito della
questione PAS, mi sono ben presto accorto della complessità del tema
e della trama di argomenti che si intessevano indistricabilmente con
essa. È emerso, non da ultimo, il fascino della PAS quale argomento
aperto al dibattito internazionale sulla stessa dignità di sindrome,
osteggiata da alcuni e sostenuta da altri. Percorrendo i vicoli della PAS
ho scoperto campi di battaglia ancora carichi di tensioni, e sono
emersi via via zone oscure, nelle quali si annidano inciampi e
probabilmente interessi di parte.
La PAS è una questione proprio perché il suo riconoscimento
ufficiale e l’inserimento nel DSM (spero il prossimo 5.1, riprendendo
Bernet) e nell’ICD 11 scioglierebbero molti blocchi. Mi riferisco
esplicitamente, ad esempio, al tema dell’affido del minore in caso di
separazione: una perizia del CTU ben definita e univoca toglierebbe il
bambino dall’esposizione pericolosa dell’influenza della parte
151
alienante; la giurisprudenza relativa acquisirebbe nuova linfa per
orientare prassi più eque e, finalmente, si arriverebbe all’equilibrio
dell’esercizio della reale bigenitorialità. Venendo accettata dalla
comunità scientifica, la PAS diverrebbe materia di comune studio
clinico e sarebbe capita in tutta la sua complessa portata.
È urgente avere dei professionisti preparati e sensibili che
vadano oltre la consuetudine, spesso insufficiente, per rispondere con
efficacia e tempestività ad una sindrome che non accetta né ritardi né
compromessi.
La lotta che si intravede dietro la questione PAS è superiore
alla sindrome stessa, perché come in filigrana si riconoscono interessi
di parte e privilegi acquisiti che cozzano con i diritti dei più deboli.
Affrontare un sistema è cosa complessa e, a meno di ricorrere
a soluzioni che stravolgerebbero le regole civili, è necessario usare gli
stessi strumenti del sistema. Nel caso specifico della PAS bisogna
percorrere la via del Diritto, del riconoscimento internazionale e della
comunicazione efficace alle masse perché prendono coscienza che è
una questione di umanità e civiltà.
Con la PAS è gioco più della definizione clinica di una
sindrome, ma la dignità stessa della persona e, in particolare, del
bambino.
Per questo, è mio profondo auspicio che nelle prossime
edizione del DSM e del ICD la PAS venga riconosciuta nella sua
qualità di sindrome e che, da questa svolta, vengano le necessarie
ricadute positive che trasformino il sistema in civiltà dell’uomo.
Nascerebbe, così, un nuovo umanesimo che dal caos trarrebbe un
cosmo, in un opera umana molto vicina a quella divina.
152
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ABBREVIAZIONI
PAS = Parental Alienation Syndrome (Sindrome di alienazione genitoriale) DSM = Diagnostic and statistical manual of mental disorders (Manuale diagnostico
e statistico dei disturbi mentali) CTU = Consulente tecnico di ufficio CFFC = I campi famiglia per famiglie conflittuali ICD = International Classification of Diseases (Classificazione statistica
internazionale delle malattie e dei problemi Sanitari correlati) APA = American Psychiatric Association (Associazione americana psichiatri)
159
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento è per il dott. Vittorio Vezzetti, non solo per l’aiuto
concreto che mi ha offerto per la mia dissertazione, ma ancor più per l’opera
di formazione delle coscienze che da anni sostiene con passione per
sensibilizzare le persone sulla realtà complessa e articolata dell’affidamento
congiunto dei minori nei casi di separazione coniugale in Italia.