UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SALUTE (DiSSaL)
COORDINATORE
Prof.ssa Loredana Sasso
TITOLO TESI
“IL RUOLO DELL’INFERMIERE NEL CHRONIC CARE MODEL:
LA PROATTIVITÀ PER PREVENIRE LE MALATTIE CRONICHE”
RELATORE
Dott.ssa Tiziana Leale
STUDENTE
Curcuruto Marialuisa
Anno accademico 2014 – 2015
“In genere, i nove decimi della nostra felicità si
basano esclusivamente sulla salute. Con questa,
ogni cosa diventa fonte di godimento!”
Arthur Schopenhauer
RINGRAZIAMENTI
Giunta alla fine di questo percorso di studi, sento il piacere di ringraziare tutti quelli che mi
sono stati vicino ed hanno creduto nelle mie potenzialità.
In primis, grazie alla Dottoressa Tiziana Leale, per la fiducia, il sostegno, i consigli ed il
supporto concessomi durante la stesura di questo mio lavoro, nonché la grande disponibilità
mostrata nei miei confronti. Ritengo preziosi i suoi innumerevoli insegnamenti e la sua
proverbiale professionalità.
Grazie alla mia famiglia, che sempre mi è stata accanto e non mi ha fatto mai mancare il suo
sostegno, permettendomi di realizzare parte dei mie molteplici sogni; senza di loro non sarei
mai diventata quella che sono. Un grazie speciale lo voglio fare a te mamma, per il tuo
esserci incondizionato, i tuoi consigli “zen” e il tuo sostegno, per aver gioito con me dei
miei successi e avermi sostenuta dopo le mie sconfitte da cui mi sono sempre rialzata più
forte di prima. Grazie a te papà, per gli insegnamenti che mi hai dato e per aver sempre
creduto nella tua piccola grande donna. Grazie a te, Antonio, uno dei regali più grandi che la
vita mi ha fatto: i tuoi occhi che parlano ai miei occhi, nel silenzio, mi hanno insegnato
tanto, perché i tuoi occhi gridano i pensieri dove le parole non riescono a trasmetterli; se
solo io riuscissi a comprenderli sempre, potresti insegnarmi cos’è veramente la vita e il suo
senso. Grazie ai miei cari nonni, Giacomo e Gina, persone semplici, umili e coraggiose, che
attraverso la loro storia e i loro principi mi hanno insegnato il valore della vita, del lavoro e
della costanza. Grazie a te mia cara Mariagrazia, per la tua costante presenza, punto di
riferimento indispensabile: mia grande maestra di vita e guida.
Grazie a te Gianni, per il tuo sostegno e aiuto attento e prezioso; sempre pronto a tendermi la
mano e sostenermi nei momenti di bisogno e ad incoraggiarmi credendo in me.
Grazie alle mie amiche di sempre: Chiara, Emanuela, Rita e Ilaria; ognuna ha preso la
propria strada, ma nonostante ciò la distanza non ci ha allontanate e so che potrò sempre
contare su di voi, come voi su di me.
Grazie alla mia grande Dottoressa Patrizia, per l’innata bontà d’animo; l’empatia è la tua più
grande dote. Grazie per la tua spalla e per il tuo affetto tra risate e lacrime.
Grazie alle mie colleghe: Nadia, Giada, Chiara, Brunilda, Nicoleta, Serena e Stefania, con le
quali ho condiviso gioie e dolori e che hanno reso indimenticabili alcuni dei momenti di
questo percorso insieme.
Un grazie speciale a te, Nadia, compagna inseparabile di questi tre anni: da quella prima
fatidica lezione del primo anno non ci siamo più separate, unite da un grande affetto. Grazie
per tutti i momenti di vita condivisi insieme tra scoraggiamenti, sacrifici e soddisfazioni, ma
soprattutto grazie per il tuo esserci sempre.
Un grazie particolare all’insostituibile coordinatore del Polo Didattico ASL 3 Genovese, il
Dottor Fabio Bafico e alle Tutor: le Dott.sse Sonia Barbieri, Bruna Crepaldi, Manuela
Mignone e Maria Emma Musio. Grazie per avermi formato e fatto crescere sia
professionalmente sia umanamente come un vero professionista della salute e per tutti i
momenti di confronto che mi hanno arricchito umanamente.
Grazia alle due madrine del mio laborioso lavoro: a Ginevra per il suo prezioso aiuto e per il
suo raggiante sorriso ed ad Irene per il suo grande impegno e per la sua bontà d’animo.
Voglio ringraziare, inoltre, tutti gli infermieri che ho conosciuto e con cui ho lavorato
durante i miei tre anni di tirocinio clinico. Grazie sia a coloro che mi hanno insegnato cosa
vuol dire essere “Infermiere” e tutte le varie sfumature della nostra professione e sia a coloro
che non mi hanno insegnato alcunché, in quanto da loro ho imparato che tipo di infermiera
non vorrò mai essere!
Infine, voglio ringraziare tutte le persone che non ho nominato esplicitamente, ma che ho
incontrato nel mio percorso o che lo hanno attraversato; tutti sono impressi in maniera
indelebile nella mia mente ed hanno contribuito all’arricchimento della mia persona.
INDICE
PREMESSA .......................................................................................................................... 2
INTRODUZIONE ................................................................................................................ 4
CAPITOLO I
UNA SANITÀ PER LA CRONICITÀ ................................................................................ 5
1.1. MALATTIE CRONICHE: LA NUOVA EPIDEMIA MONDIALE ............................... 5
1.2. CONTESTO EPIDEMIOLOGICO DELLE MALATTIE CRONICHE ....................... 10
1.3. LE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI MALATTIE CRONICHE ...................................... 13
1.3.1. LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI ............................................................ 14
1.3.2. LE MALATTIE RESPIRATORIE CRONICHE ................................................. 18
1.3.3. LE MALATTIE METABOLICHE ..................................................................... 21
1.3.4. I TUMORI ........................................................................................................... 26
CAPITOLO II
GLI STILI DI VITA ........................................................................................................... 30
2.1. DETERMINANTI DI SALUTE ................................................................................... 30
2.2. L' IMPORTANZA DEGLI STILI DI VITA .................................................................. 33
2.2.1. ALIMENTAZIONE ............................................................................................ 33
2.2.2. ATTIVITÀ FISICA ............................................................................................. 41
2.2.3. ALCOL................................................................................................................ 44
2.2.4. FUMO ................................................................................................................. 47
CAPITOLO III
IL RUOLO DELL'INFERMIERE NELL'AMBITO DEL CHRONIC CARE
MODEL ............................................................................................................................... 51
3.1. IL CAMBIAMENTO DI PARADIGMA: DALLA SANITÀ DI ATTESA ALLA
SANITÀ DI INIZIATIVA ............................................................................................. 51
3.2. IL CHRONIC CARE MODEL ..................................................................................... 54
3.3. LA STRATIFICAZIONE DELLA POPOLAZIONE PER LA
PERSONALIZZAZIONE DELLA CURA ................................................................... 57
3.4. UN APPROCCIO MULTIPROFESSIONALE PER COMBATTERE LA
CRONICITÀ ................................................................................................................. 59
3.5. L' INFERMIERE CARE MANAGER ......................................................................... 61
3.5.1. LA STRATEGIA DEL SELF-MANAGEMENT E DELL'EMPOWERMENT . 63
CAPITOLO IV
L'INDAGINE: LA COMUNITÀ CONOSCE E METTE IN PRATICA I CORRETTI
STILI DI VITA ATTI A PREVENIRE LE MALATTIE CRONICHE? ....................... 67
4.1 OBIETTIVO .................................................................................................................. 67
4.2 METODOLOGIA .......................................................................................................... 67
4.2.1 IL QUESTIONARIO ........................................................................................... 68
4.3 DISCUSSIONE DEI DATI ............................................................................................ 70
4.4 SINTESI E COMMENTO DEI DATI ........................................................................... 97
CONCLUSIONI .............................................................................................................. 100
BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................. 102
SITOGRAFIA................................................................................................................... 109
INDICE DELLE FIGURE
Figura 1- Principali cause di morti per gruppi di paese ........................................................ 6
Figura 2- Globalizzazione e malattie croniche ..................................................................... 7
Figura 3- Cause delle malattie croniche .............................................................................. 11
Figura 4- Cause principali di mortalità in Italia .................................................................. 13
Figura 5- Classificazione degli individui in base al BMI ................................................... 25
Figura 6- I Determinanti di Salute ...................................................................................... 31
Figura 7- La piramide alimentare giornaliera italiana ........................................................ 36
Figura 8- Chronic Care Model ............................................................................................ 56
Figura 9- Expanded Chronic Care Model ........................................................................... 57
Figura 10- Il triangolo di stratificazione del rischio ........................................................... 58
Figura 11- Sesso del campione ............................................................................................ 70
Figura 12- Fasce d'età e indice di massa corporea (BMI) ................................................... 71
Figura 13- Titolo di studio .................................................................................................. 72
Figura 14- Professione ........................................................................................................ 73
Figura 15- Per quanto tempo cammina al giorno? .............................................................. 74
Figura 16- Pratica attività fisica? ........................................................................................ 75
Figura 17- Che attività fisica svolge? ................................................................................. 76
Figura 18- Quanti giorni a settimana? ................................................................................. 77
Figura 19- Per quanto tempo? ............................................................................................. 77
Figura 20- L' importanza dell' attività fisica per la salute ................................................... 78
Figura 21- Numero di pasti al giorno .................................................................................. 79
Figura 22- Alimenti consumati durante la colazione .......................................................... 80
Figura 23- Il consumo dei diversi gruppi alimentari ........................................................... 82
Figura 24- Porzioni giornialiere .......................................................................................... 83
Figura 25- Presta attenzione al consumo di sale e di cibi salati? ........................................ 84
Figura 26- Quanti cucchiai di grassi usa per la cottura dei cibi? ........................................ 85
Figura 27- Quanti cucchiai di grassi usa per condire a crudi i cibi? ................................... 86
Figura 28- Consumo giornaliero di bevande non alcoliche ................................................ 87
Figura 29- Consumo di birra durante e fuori i pasti ............................................................ 88
Figura 30- Consumo di vino durante e fuori i pasti ............................................................ 89
Figura 31- Consumo di superalcolici .................................................................................. 89
Figura 32- Lei attualmente fuma? ....................................................................................... 90
Figura 33- Quante sigarette fuma al giorno? ...................................................................... 91
Figura 34- Ha mai cercato di smettere di fumare? .............................................................. 91
Figura 35- Se ha mai cercato di smettere di fumare, per quanto tempo? ............................ 92
Figura 36- Ha mai assunto psicofarmaci? ........................................................................... 93
Figura 37- Consumo di sostanze stupefacenti ..................................................................... 94
Figura 38- È affetto da malattie croniche/di lunga durata? ................................................. 95
Figura 39- Da quale malattia cronica è affetto/a? ............................................................... 95
Figura 40- Vorrebbe consigli da un esperto?....................................................................... 96
INDICE DELLE TABELLE
Tabella 1- Carico globale di malattia (Daly) nel mondo ..................................................... 12
Tabella 2- Gruppi alimentari ed entità delle porzioni standard ........................................... 39
Tabella 3- Differenze sulla salute tra individui sedentari e fisicamente attivi..................... 42
Tabella 4- Quantità di alcol e apporto calorico di alcune bevande alcoliche ...................... 45
Tabella 5- Effetti benefici dell'astensione al fumo .............................................................. 50
Tabella 6- Cambiamento di paradigma ............................................................................... 51
INDICE DEGLI ALLEGATI
Allegato 1- Questionario .................................................................................................... 112
2
PREMESSA
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2014, le malattie non
trasmissibili (MNT), come cancro, diabete, malattie cardiocircolatorie o respiratorie, hanno
mietuto 38 milioni di vittime, il 68% di tutte le morti registrate nel mondo nello stesso anno.
Fra queste, 16 milioni le persone con meno di 70 anni e oltre 80%, nei paesi poveri1.
Come evidenziano i dati vi è un’importante distinzione preliminare: quella fra i numeri della
mortalità; che evidenziano che più un paese è povero, meno strumenti ha per far fronte anche
all’assistenza sanitaria più semplice; e i dati invece che rilevano i diversi stili di vita degli
abitanti del pianeta. Riguardo a questi ultimi, esistono prove scientifiche che stili di vita non
salutari, alimentazione non corretta, fumo, abuso di alcol, insufficiente attività fisica,
costituiscano fattori di rischio causali per numerose patologie croniche e spieghino quasi il 50%
delle malattie negli uomini e quasi il 25% nelle donne, nei paesi europei più sviluppati2.
Partendo da questi dati e in base alle ricerche e agli studi scientifici attuali, è importante
sottolineare che la promozione della salute e la prevenzione di numerose condizioni di
cronicità, disabilità e morte prematura, sono interconnesse alla scelta da parte della
popolazione di stili di vita sani.
In questi ultimi anni la società ha subito una serie di profonde modificazioni per quanto
riguarda la concezione e la gestione della salute. La Sanità sta apportando profondi
cambiamenti per quanto riguarda il proprio ruolo e funzione, orientandosi alla promozione,
alla protezione e al mantenimento della salute dell’individuo. La popolazione viene resa
parte attiva e integrante della Sanità, attraverso l’informazione e la comunicazione, in modo
da farla divenire sempre più consapevole della propria salute e delle condizioni che
potenzialmente la mettono a rischio.
Questi profondi cambiamenti cercano e vogliono migliorare la qualità di vita della
popolazione per evitare che si sviluppino condizioni croniche e disabilitanti o che
peggiorino le condizioni patologiche già in atto.
Si determina, quindi, un nuovo modello assistenziale per la presa in carico che consente,
attraverso un impegno professionale, individuale e di sistema, di ripensare l’accesso ai
servizi sanitari da parte dei cittadini in un’ottica di equità e di sviluppo della sanità di
1 WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global status report on noncommunicable diseases 2014” Geneva, 2015
2 WORLD HEALTH ORGANIZATION “The world health report 2002 - reducing risks, promoting healthy
life” Geneva, 2002
3
iniziativa. Essa si basa su un nuovo approccio culturale orientato alla presa in carico
“proattiva” dei cittadini e su un nuovo approccio organizzativo che assume il bisogno di
salute prima dell’insorgere della malattia o prima che essa si manifesti o si aggravi e che
organizza in via preventiva risposte assistenziali adeguate; si rivolge in maniera integrata ai
percorsi ospedalieri ed a quelli di prima presa in carico del cittadino da parte del territorio;
comporta l’integrazione multidisciplinare dei professionisti del servizio socio-sanitario
regionale e la valutazione multidimensionale del bisogno3.
In questa ottica, assume una particolare valenza l’impegno del Sistema Sanitario Nazionale
(SSN) nel rafforzare e potenziare i programmi di promozione della salute in tutte le
politiche, a partire da quelle sanitarie, attraverso opportune iniziative di prevenzione
primaria fra cui, l’adozione di stili di vita salutari. Tali iniziative devono comunque essere
viste non solo come strumento di prevenzione, ma anche come indispensabile sussidio alle
terapie nella gestione della patologia cronica, nel caso di insorgenza della stessa4.
3 WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPA “Health 2020: a European policy framework supporting
action across government and society for health and well-being” WHO Regional Office for Europe,
Copenhagen, 2012 4 MINISTERO DELLA SALUTE “Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2018” Dipartimento della Sanità
pubblica e dell’innovazione – Direzione generale Prevenzione, Roma, 2014
4
INTRODUZIONE
In questa tesi si tratta uno dei principali argomenti in ambito sanitario dell’ultimo decennio: le
malattie croniche e la loro prevenzione e gestione. In questo ambito si vuole delineare il ruolo
dell’infermiere come care manager del processo educativo finalizzato ad aiutare la popolazione
a sviluppare le conoscenze, le capacità, le attitudini e il grado di consapevolezza necessari ad
assumere efficacemente le responsabilità delle decisioni attinenti la propria salute.
La tesi si articola in quattro capitoli:
1. Il primo capitolo tratta l’epidemiologia mondiale delle malattie croniche e fornisce una
panoramica sulle principali malattie non trasmissibili evitabili.
2. Il secondo capitolo illustra i determinanti di salute, delineando gli stili di vita corretti per
quanto riguarda l’alimentazione, l’attività fisica, il consumo di bevande alcoliche e del tabacco.
3. Il terzo capito esamina il passaggio da una sanità d’attesa a una sanità di iniziativa. Illustra il
Chronic Care Model e il ruolo dell’infermiere care manager come educatore alla salute
mettendo in evidenza le strategie del self- manager e dell’ empowerment.
4. Il quarto capitolo illustra l’indagine conoscitiva effettuata su una popolazione campione
relativamente agli stili di vita correlati alla prevenzione di patologie croniche.
5
CAPITOLO I
UNA SANITÀ PER LA CRONICITÀ
Le malattie croniche (in particolare le malattie cardiovascolari, il diabete, il cancro e le malattie
respiratorie croniche ostruttive) sono globalmente trascurate, nonostante la crescente
consapevolezza dell’impatto sulla salute che esse provocano. Le politiche nazionali e globali
hanno fallito nel contrastarle ed in molti casi hanno contribuito a diffonderle. Esistono soluzioni
molto efficaci ed a basso costo per la prevenzione delle malattie croniche; l’incapacità di
adottarle è oggi un problema politico piuttosto che tecnico5.
1.1 MALATTIE CRONICHE: LA NUOVA EPIDEMIA MONDIALE
Nei paesi industrializzati la transizione epidemiologica è avvenuta con lenta progressione: le
malattie croniche sono cresciute mentre il peso delle malattie infettive si riduceva specularmente.
L’emergere delle patologie croniche, in particolare le malattie cardiovascolari, negli anni
Cinquanta - Sessanta fu il simbolo di un raggiunto benessere: ci si ammalava maggiormente
perché si viveva più a lungo e perché ci si iniziava ad aveva un tenore di vita più elevato6.
La storia della transizione epidemiologica nel resto del mondo, in particolare nei paesi a
medio e basso livello di reddito, è molto differente per almeno quattro ordini di motivi:
1. la crescita delle patologie croniche è avvenuta in presenza di un forte carico di malattie
infettive, cosicché molti paesi sono costretti a sopportare una doppia, contemporanea
epidemia. La Figura 1 mostra come ciò sia particolarmente evidente nei paesi più poveri
(low income countries: come gran parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana), ma anche nei
paesi a medio-basso livello di ricchezza (lower-middle income countries: come India)7;
5 GENEAU R. et al. ”Raising the priority of preventing chronic diseases: a political process” Lancet 2010;
376: 1689–98 6 MACIOCCO G. “Lo tsunami delle malattie cardiovascolari” Dipartimento di Sanità pubblica, Università di
Firenze Redazione S.I. 2011 7 BEAGLEHOLE R et al. “Un High-Level Meeting on Non-Communicable Diseases: addressing four
questions” Lancet 2011; 378: 449–55
6
Figura 1 Principali cause di morte per gruppi di paesi
Tratto da BEAGLEHOLE R et al. “Un High-Level Meeting on Non-Communicable Diseases: addressing four
questions” Lancet 2011; 378: 449–55
2. la crescita delle patologie croniche si è sviluppata con ritmi molto più rapidi ed elevati
rispetto a quanto avvenuto nei paesi dell’occidente industrializzato. In India, per esempio,
il diabete di tipo 2 ha registrato un incremento esplosivo: da una prevalenza del 2% degli
anni 70 a una del 12% agli inizi del 20008;
3. la mortalità per malattie non trasmissibili nei paesi a medio e basso livello di reddito
interessa gruppi di popolazione più giovani, infatti nei paesi più poveri la mortalità
prematura per malattie croniche è 3-4 volte superiore a quella dei paesi a più alto reddito9;
4. nei paesi a medio e basso livello di reddito, le reti di protezione sanitaria sono
generalmente molto deboli (come per la Cina) o quasi insistenti (esempio eclatante è
quello dell’ India) e vivere con una malattia cronica comporta quasi sempre il pagamento
delle prestazioni (visite, esami, farmaci, ricoveri, etc.) e di conseguenza o la rinuncia a
curarsi o l’impoverimento delle famiglie.
8 MOHAN V, PRADEEPA R. “Epidemiology of diabetes in different regions of india” Health Administrator
2009. Vol: XXII Number 1& 2 : 1- 18 9 WORLD HEALTH ORGANIZATION “Noncommunicable diseases country profiles 2011” Geneva, 2011
7
La transizione epidemiologica nei paesi a medio e basso livello di reddito ha subito una forte
accelerazione a causa della globalizzazione e dell’urbanizzazione. L’irruzione del mercato del
cibo (come le catene commerciali del fast-food) e del tabacco, ha avuto l’effetto di far dilagare
stili di vita insani soprattutto tra i gruppi più poveri della popolazione, maggiore propensione
al consumo di cibi ad alto contenuto calorico – junk food – perché più economici.
Figura 2 Globalizzazione e malattie croniche
Tratto da WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global status report on noncommunicable diseases 2010”
Geneva, 2011
La Figura 2 schematizza molto efficacemente il circolo vizioso “povertà - malattie croniche -
povertà”. La povertà espone maggiormente le persone a comportamenti a rischio e alle malattie
e lo stesso fa anche l’eventuale trattamento delle malattie medesime. Un circolo vizioso che né
la sanità pubblica né tanto meno la politica sono stati finora in grado di disinnescare.
È interessante mettere in evidenza che, nella storia della lotta contro le patologie infettive, la
sanità pubblica ha potuto giovarsi di strumenti formidabili provenienti dalle scoperte scientifiche
e dall’azione delle pubbliche amministrazioni: la produzione dei vaccini, le misure di
potabilizzazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti, il ruolo dell’istruzione, il miglioramento
delle condizioni generali di vita.
8
Nella lotta contro le malattie croniche, invece, gli Stati sono spesso distanti, incapaci di
intervenire in un settore ormai dominato dal mercato dove esistono “soluzioni molto efficaci
e a basso costo”, ma si è incapaci di adottarle in modo proficuo3.
“Oggi – afferma Margaret Chan, Direttore Generale dell’OMS, durante un’iniziativa sulle
malattie croniche che si teneva a Mosca nell’aprile del 2011 – molte delle minacce che
contribuiscono alla diffusione delle malattie croniche provengono dalle compagnie
multinazionali che sono grandi, ricche e potenti, guidate da interessi commerciali e assai
poco interessate alla salute della popolazione10
”.
Su questo tema Margaret Chan è stata ancora più chiara ed esplicita nella relazione
introduttiva all’ottava Conferenza globale sulla promozione della salute tenutasi a Helsinki
nel giugno del 2013: “Le diseguaglianze nella salute, tra paesi e all’interno dei paesi, non
sono mai state così grandi nella storia recente. Noi viviamo in un mondo di paesi ricchi
pieni di gente povera e malata. La crescita delle malattie croniche minaccia di allargare
ancora di più questo gap. Gli sforzi per prevenire queste malattie vanno contro l’interesse
commerciale di operatori economici molto potenti, e questa è una delle sfide più grandi da
affrontare nella promozione della salute. […] Negli anni Ottanta, quando parlavamo di
collaborazione con il settore educativo e con quello che si occupava degli acquedotti e
fognature, i conflitti d’interesse erano una rarità. Oggi a convincere le persone a condurre
stili di vita sani e adottare comportamenti salubri ci si scontra con forze che non sono così
amiche. Anzi, non lo sono per niente. Gli sforzi per prevenire le malattie croniche vanno
contro gli interessi commerciali di potenti operatori economici, Secondo me, questa è la più
grande sfida che si trova di fronte la promozione della salute. E non si tratta solo
dell’industria del tabacco (Big Tabacco). La Sanità pubblica deve fare i conti con
l’industria del cibo (Big Food), delle bevande gassate (Big Soda) e alcoliche (Big Alcohol).
Tutte queste industrie hanno paure delle regole, e si proteggono usando le stesse, ben note,
tattiche. Queste includono gruppi di opinione, lobby, promesse di autoregolazione, cause
legali, ricerche finanziarie dall’industria che hanno lo scopo di confondere le prove e tenere
il pubblico nel dubbio. […] Usano argomenti che attribuiscono agli individui la
responsabilità per i danni alla salute e descrivono gli interventi dei governi come
un’interferenza nei confronti della libertà personale e della libera scelta. Questa è una
10
CHAN M. “The rise of chronic noncommunicable diseases: an impending disaster. Opening remarks at the
WHO Global Forum: Addressing the Challenge of Noncommunicable Diseases” Moscow, Russian
Federation, 2011.
9
formidabile opposizione alla sanità pubblica. Il potere del mercato diventa poi potere
politico. Pochi governi danno priorità alla salute rispetto ai grandi affari. E come abbiamo
imparato dall’esperienza del tabacco, una compagnia potente può al pubblico proprio ogni
cosa. Lasciatemi ricordare una cosa. Non un solo paese è riuscito a invertire l’epidemia di
obesità in tutte le classi di età. Questo non è un fallimento della volontà individuale. E’ un
fallimento della volontà politica di prevalere sul grande business11
”.
Arrestare e invertire la pandemia dilagante delle malattie non trasmissibili è una sfida
cruciale e urgente per la sanità pubblica. Per fortuna esistono già strategie adeguate, fattibili
ed efficaci. L’obiettivo globale è di ridurre del 25% la mortalità prematura per malattie non
trasmissibili nel gruppo di età tra i 30 e i 70 anni entro il 2025 e questo può essere raggiunto
attraverso interventi tempestivi e coordinati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) a tale scopo ha emanato il “Global action plan for the prevention and control of
noncommunicable diseases 2013-2020”, un quadro di monitoraggio, comprendente anche 25
indicatori e un set di 9 obiettivi generali – di carattere volontario e non vincolante - da
raggiungere entro il 2025. Il Piano d’Azione 2013-2020 ha come scopo generale quello di
diminuire il carico prevenibile ed evitabile di morbilità, mortalità e disabilità dovuto alle
MNT attraverso la collaborazione e la cooperazione multisettoriale a livello nazionale,
regionale e mondiale, affinché le popolazioni raggiungano i più elevati standard possibili in
termini di salute e produttività a ogni età e tali malattie non costituiscano più un ostacolo per
il benessere o lo sviluppo socioeconomico. La finalità ultima è il mantenimento dello stato
di salute dell’individuo e della popolazione o il suo miglioramento, attraverso lo sviluppo di
competenze e la scelta consapevole (empowerment) di stili di vita salutari.
Accettare la sfida relativa al controllo e alla prevenzione delle malattie croniche, specialmente
in un contesto di priorità concorrenti, richiede coraggio e ambizione. D’altra parte, i costi che
comporta l’inazione superano di gran lunga quelli legati all’attuazione degli interventi per le
malattie non trasmissibili raccomandati in questo piano d’azione; inoltre, sprecare le
conoscenze già disponibili, sarebbe sconsiderato e metterebbe in pericolo le generazioni
future. Le cose da fare sono tante e impegnative, ma la strada da percorrere è chiara12
.
11
CHAN M. “WHO Director-General Addresses Health Promotion Conference” Opening address at the 8th
Global Conference on Health Promotion ,Helsinki, 2013 12
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global action plan for the prevention and control of
noncommunicable diseases 2013-2020.” Geneva, 2013
10
1.2 CONTESTO EPIDEMIOLOGICO DELLE MALATTIE CRONICHE
Malattie cardiovascolari, tumori, disturbi cronici polmonari e diabete sono le quattro
malattie croniche più diffuse nella Regione europea dell’OMS, responsabili della maggior
parte del carico delle malattie (77%) e delle morti premature (86%) registrate in questi anni.
I dati disponibili inoltre, indicano un influsso negativamente sullo sviluppo economico e sul
benessere di gran parte della popolazione, soprattutto quella over 5013
.
Le malattie croniche sono certamente responsabili di molte delle disuguaglianze sanitarie
presenti nella Regione, mostrando un forte gradiente socio-economico, marcate differenze di
genere e anche tra i differenti sistemi sanitari dei vari Paesi europei. Tuttavia gradiente
sociale e distribuzione del rischio sono da analizzare in relazione al Paese osservato ed ai
diversi fattori di rischio. Recentemente, l’attenzione dei ricercatori si è inoltre focalizzata
sull’esposizione della popolazione giovane ai fattori di rischio per le malattie croniche e le
conseguenze che possono manifestarsi nei prossimi anni.
I dati indicano chiaramente che, con l’avanzare dell’età le malattie croniche diventano la
principale causa di morbilità, disabilità e mortalità e che gran parte delle cure mediche e
costi per l’assistenza, si concentrano negli ultimi anni di vita delle persone. Mediamente, in
Europa, la vita delle donne è superiore a quella degli uomini di otto anni e gran parte di
questi vengono trascorsi in condizioni di salute precarie. Appare dunque chiaro che la
presenza di una popolazione anziana ed il rischio di carico delle malattie a cui è esposta
comportano notevoli costi sociali. Per questo motivo, intervenire sulle malattie croniche e i
loro fattori di rischio, significa agire anche sul prodotto interno lordo di un Paese10
.
Le cause delle malattie croniche si possono ricondurre ai classici stili di vita non corretti in
termini di salute quali, ad esempio, un’alimentazione non sana, insufficiente attività fisica; il
fumo di tabacco, l’eccessivo uso di alcol o la dipendenza da sostanze psicotrope. Queste
cause possono condurre, come si evince dalla Figura 3, ai cosiddetti fattori di rischio
intermedi quali, tra gli altri, l’ipertensione, la glicemia elevata, l’eccesso di colesterolo e
l’obesità. A fianco agli stili di vita non corretti e ai fattori di rischio intermedi, comunque
modificabili per mezzo di strategie di prevenzione di tipo primaria o secondaria, ci sono
anche fattori che sono immodificabili, come la predisposizione genetica o l’età14
.
13
WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE“ Action Plan for implementation of the European Strategy
for the Prevention and Control of Noncommunicable Diseases 2012−2016”, WHO Regional Office for
Europe, Copenhagen, 2011 14
WORLD HEALTH ORGANIZZATION, “Chronic diseases and their common risk factors” Geneva, 2005.
11
Figura 3 Cause delle malattie croniche
tratto da WORLD HEALTH ORGANIZZATION, “Chronic diseases and their common risk factors”
Geneva, 2005.
La promozione di stili di vita sani sembra comunque la risorsa principale da utilizzare contro
l’ascesa delle malattie croniche nel contesto globale. In effetti, l’adozione di abitudini salutari
diminuisce in modo significativo e in ogni essere umano il rischio di sviluppare queste malattie.
Va rilevato, inoltre, come le malattie non trasmissibili, possano svilupparsi anche a partire da
fattori meno espliciti o diretti, ossia aspetti più generali o ambientali e situazionali, che si
riferiscono al contesto sociale, alla condizione economica ed alla dimensione culturale di
uno specifico ambiente di vita. Questi fattori sono considerati quali “cause delle cause” ed
offrono una buona base per interventi di prevenzione primaria centrati sulla collaborazione
del sistema sanitario con altri settori della vita politica ed economico-sociale del contesto di
appartenenza sia a livello locale sia a livello nazionale. La precedente figura 3, offre una
versione generale dei fattori dei quali stiamo trattando e li definisce, nel loro complesso
livello “macro”, in termini di globalizzazione, urbanizzazione, invecchiamento progressivo
della popolazione, politiche ambientali e povertà15
.
Oltre ad essere responsabili del più alto numero di morti a livello mondiale, le malattie
croniche si legano anche a condizioni disabilitanti o invalidanti. Per esprimere
quantitativamente l’impatto di una malattia sulla salute, si utilizza una particolare unità di
misura, c.d. Daly, Disability Adjusted Life Year ossia, gli anni di vita persi a causa della
disabilità. Daly è pari alla somma degli anni di vita persi a causa di una morte prematura e di
15
MACIOCCO G, SANTOMAURO F, “La salute globale – Determinanti sociali e disuguaglianze” Carocci
Editore, Roma, 2014
12
quelli vissuti in malattia piuttosto che in salute.
Il calcolo quantitativo dell’impatto delle malattie sulla salute è proposto nella tabella 1 che
riporta le stime del peso delle malattie croniche nei due sessi, in diverse fasce di età. Il
numero di Daly causato dalle malattie croniche è più alto fra gli adulti dai 30 ai 59 anni e
cresce con l’età. Complessivamente, il carico di malattia è lo stesso nei due sessi. Circa
l’86% del carico delle malattie croniche riguarda persone al di sotto dei 70 anni11
.
Tabella 1 Carico globale di malattia (Daly) nel mondo
tratto da WORLD HEALTH ORGANIZZATION, “Chronic diseases and their common risk factors”
Geneva, 2005.
I dati del documento del OMS “Noncommunicable diseases country profiles 2014”, come si può
evincere dalla Figura 4, mostrano come le malattie non trasmissibili siano responsabili del 92%
delle morti totali in Italia, mentre le malattie trasmissibili, le malattie materno - infantili e le
carenze nutritive, incidano per il 4%, così come anche gli incidenti. Il documento sottolinea
l’impatto delle malattie cardiovascolari, responsabili del 37% delle morti totali, con la specifica
della patologia ischemica coronarica che, causando il 12% di mortalità, si identifica come la
principale patologia killer in Italia In questa statistica, inoltre, si rileva il peso specifico del cancro
che è causa del 29% delle morti totali. La mortalità dovuta al cancro ai polmoni è, in Italia, più alta
nella popolazione maschile rispetto a quella femminile, ma mentre nella popolazione maschile il
trend è in costante diminuzione, lo stesso non si può dire per l’universo femminile16
.
16
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Noncommunicable diseases country profiles 2014” Geneva, 2014
13
Figura 4 Cause principali di mortalità in Italia
Tratto da WORLD HEALTH ORGANIZATION “Non communicable diseases country profiles 2014” Geneva,
2014.
1.3. LE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI MALATTIE CRONICHE
Le malattie croniche o malattie dello stile di vita, sono associate al modo in cui vive una persona o
un gruppo di persone. Queste malattie, come già detto precedentemente, si possono potenzialmente
prevenire apportando opportuni cambiamenti nell’ambiente sociale e nello stile di vita.
Le quattro principali malattie croniche sono:
le malattie cardiovascolari (cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, ipertensione
arteriosa, arteriopatica obliterante cronica periferica);
le malattie polmonari croniche (broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza
respiratoria, enfisema);
le malattie endocrino - metaboliche (diabete mellito, obesità);
i tumori.
14
Ovvero, tutte quelle malattie associate ad un’alimentazione scorretta, alla sedentarietà,
all’uso di tabacco ed all’abuso di sostanze alcoliche e psicotrope.
1.3.1 LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Le malattie cardiovascolari sono ancora oggi tra le principali cause di morbosità, invalidità e
mortalità nel nostro paese; sono responsabili del 44% di tutti i decessi. In particolare la cardiopatia
ischemica è la prima causa di morte in Italia, rendendo conto del 28% di tutte le morti17
.
Rientrano in questo gruppo di malattie le più frequenti patologie di origine arteriosclerotica,
in particolare le cardiopatie ischemiche e le arteriopatie periferiche, oltre lo scompenso
cardiaco e l’ipertensione arteriosa. Sono di origine multifattoriale e prevenibili, poiché
dovute alla combinazione di più fattori di rischio modificabili (pressione arteriosa,
colesterolemia totale e HDL - High Density Lipoprotein, glicemia, abitudine al fumo, obesità
e diabete); chi sopravvive ad un evento acuto diventa un malato cronico con notevoli
ripercussioni sulla qualità della vita e sui costi economici e sociali; inoltre, le malattie
cardiovascolari sono fra i determinanti delle malattie legate all’invecchiamento, producendo
disabilità fisica e disturbi della capacità cognitiva18
.
Il “Global action plan for the prevention and control of noncommunicable diseases 2013-
2020” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) inserisce le malattie
cardiovascolari fra quelle da sorvegliare e da includere nelle azioni di prevenzione, in
quanto ampiamente prevenibili attraverso l’adozione di stili di vita corretti (sana
alimentazione, attività fisica regolare e abolizione del fumo di sigaretta)11
.
Già nel 2005, il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP), fra le aree prioritarie di
intervento, ha incluso le malattie cardiovascolari, inserendo fra le azioni di prevenzione la
valutazione del rischio cardiovascolare nella popolazione generale adulta, attraverso
l’applicazione della carta del rischio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e costituendo
l’Osservatorio del Rischio Cardiovascolare. Anche il PNP 2010-2012, prorogato al 31
dicembre 2013 e il nuovo PNP 2014-2018, confermano tra le linee di intervento la
prevenzione delle malattie cardiovascolari.
La strategia complessiva di prevenzione comprende la promozione della salute e dei corretti
17
ISTAT - ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA “Principali cause di morte in Italia - Anno 2012”
Servizio Sanità, salute ed assistenza, 2014 18
MINISTERO DELLA SALUTE “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2012-2013” Direzione generale
del sistema informativo e statistico sanitario, 2014
15
stili di vita della popolazione e l’identificazione precoce dei soggetti in condizione di rischio19
.
La vastità e complessità delle patologie cardiovascolari, impone necessariamente una
cernita ed un estremo sunto nelle loro descrizioni. Di seguito sono indicate solo alcune
patologie che hanno un diretto interesse verso stili di vita errati.
La cardiopatia ischemica è caratterizzata dallo squilibrio tra richiesta metabolica e
apporto miocardico di ossigeno che il cuore riceve, più comunemente secondario a
ostruzione coronarica su base aterosclerotica. Tale squilibrio porta ad alterazioni nella
attività elettrica e nella capacità contrattile della zona interessata.
La cardiopatia ischemica è causata soprattutto dall’aterosclerosi, ovvero il restringimento
delle arterie che irrorano il miocardio (coronarie) dovuto alla presenza di ateromi.
L’ateroma o placca ateromatosa è una deposizione fibroadiposa che si localizza nella
parete interna delle arterie di medio e grande calibro. L’aterosclerosi è considerata una
malattia fibrotico-infiammatoria in quanto la formazione dell’ateroma è la conseguenza
di un processo patologico in cui il sistema immunitario si attiva per far fronte ad un
iniziale danno all’endotelio. L’accumulo di lipidi, detriti cellulari e materiale fibroso
(l’ateroma) determina un restringimento e un irrigidimento della parete arteriosa che col
passare del tempo causa ostruzione, di grado variabile, del flusso sanguigno (stenosi). La
placca aterosclerotica, inoltre, rappresenta un rischio per la formazione di trombi. Se
ulcerata infatti può liberare parte del materiale fibrotico da cui è formata, come collagene
e trombina, dando così origine a processi trombotici20
.
Le condizioni che predispongono allo sviluppo dell’aterosclerosi (in generale e a livello
coronarico in particolare), favoriscono lo stress ossidativo che è alla base della lesione a
carico dell’endotelio dei vasi sanguigni. I fattori di rischio modificabili, che possono
essere corretti cambiando stile di vita o mediante l’assunzione di farmaci, sono:
dislipidemia, iperglicemia, diabete (il trattamento dei fattori di rischio associati, come le
dislipidemie e l’attento controllo della glicemia, riducono le complicanze sia micro- che
macro-vascolari), fumo, ipertensione arteriosa, eccesso ponderale, sedentarietà e ridotto
consumo di vegetali e frutta. I fattori di rischio non modificabili, invece, sono: la
familiarità per malattie cardiovascolari aterosclerotiche, sesso maschile (che ha una
maggiore incidenza di cardiopatia ischemica) ed età (che rappresenta il principale fattore
19
MINISTERO DELLA SALUTE “Piano Nazionale di Prevenzione 2010-2012” Dipartimento della Sanità
pubblica e dell’innovazione – Direzione generale Prevenzione, 2010 20
HARRISON ET AL. “Principi di medicina interna” Casa Editrice Ambrosiana, Edizione: XVIII, 2012
16
di rischio dell’aterosclerosi).
La prevenzione della cardiopatia ischemica consiste nel controllo costante dei fattori di rischio
modificabili e quindi mantenere uno stile di vita sano: avere una sana alimentazione
consumando almeno 5 porzioni di frutta e verdura, diminuire l’apporto di sale, ridurre il
consumo di alcolici, effettuare un’adeguata attività fisica in modo regolare, eliminare
l’abitudine al fumo, controllare il peso corporeo e la pressione arteriosa ed evitare lo stress21
.
Lo scompenso cardiaco è una sindrome complessa che rappresenta il punto evolutivo
finale, comune di una serie di patologie cardiache inizialmente anche molto differenti tra
loro. Si manifesta come un’alterazione della struttura e della funzione cardiaca che inficia la
corretta funzionalità di pompa (scompenso sistolico) o di riempimento (scompenso
diastolico) del cuore: gli organi e i tessuti ricevono quantità insufficienti di ossigeno per le
loro esigenze metaboliche e si genera un accumulo di liquidi (edema) a livello degli arti
inferiori, dei polmoni e in altri tessuti. Le cause più comuni sono la cardiopatia ischemica,
l’ipertensione arteriosa, le valvulopatie, le aritmie, le cardiopatie congenite e le miocarditi.
Lo scompenso cardiaco può avere un’insorgenza caratterizzata da un episodio acuto come
l’infarto miocardico, ma è di fatto una malattia cronica. Pertanto, è di fondamentale
importanza riconoscere una disfunzione del ventricolo sinistro anche quando ancora in fase
asintomatica, al fine di stabilire la corretta strategia di gestione del paziente e garantirne il
mantenimento di una buona qualità della vita migliorando la prognosi della malattia4.
E’ impossibile prevedere con certezza lo sviluppo dello scompenso cardiaco, ma la
corretta consapevolezza dei fattori di rischio ad esso associati consente di impostare una
buona strategia di prevenzione. Dal momento che lo scompenso cardiaco è strettamente
associato alla malattia coronarica, i principali fattori di rischio dell’insufficienza cardiaca
sono iperlipidemia, ipertensione, diabete, fumo, consumo eccessivo di alcol, obesità,
anomalie delle valvole cardiache e familiarità per cardiopatie.
Il controllo dei fattori di rischio è la migliore forma di prevenzione dello scompenso
cardiaco. Uno stile di vita sano aiuta ad evitare l’insorgenza di ipertensione, diabete,
obesità ed alti livelli di colesterolo. I comportamenti che sarebbe bene seguire sono:
evitare il fumo, adottare un’alimentazione equilibrata e varia, ricca di fibre, frutta e
verdura, limitare l’assunzione di caffeina, fare attività fisica regolarmente, monitorare la
pressione arteriosa (registrando le misurazioni su un diario), controllare il peso (è bene
21
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Prevention of cardiovascular disease : guidelines for assessment
and management of total cardiovascular risk” Geneva, 2007
17
pesarsi tutte le mattine e registrare il peso su un diario, avvertendo subito il medico in
caso di improvviso aumento di peso, ad esempio 2 Kg in 2-3 giorni) e ridurlo se si è in
sovrappeso o obesi, evitare vita stressante e stress termici20
.
L’ipertensione arteriosa è un innalzamento stabile dei valori di pressione sistolica o
diastolica (>140/90 mm Hg), causato da un aumento della gittata cardiaca o da un
aumento delle resistenze periferiche.
L’ipertensione può essere primitiva (idiopatica o essenziale) o secondaria a eziologia
nota. L’ipertensione essenziale riguarda il 90-95% dei pazienti, ha un’eziologia
sconosciuta, ed è probabilmente causata dall’interazione di condizionamenti ambientali
(stress, livello di sedentarietà, obesità e componenti della dieta) e di influenze genetiche.
Questi fattori sono importanti anche nel determinarne decorso e prognosi. L’ipertensione
secondaria comprende il 5-10% dei casi, soprattutto pazienti giovani ed ha origine da una
patologia sottostante che può essere a livello renale (stenosi dell’arteria renale, malattia
parenchimale renale) oppure dalla coartazione aortica e dalle malattie endocrine.
L’ipertensione sistolica isolata (sistolica > 140 mmHg e diastolica < 90 mmHg) è comune
negli anziani ed è dovuta a una ridotta compliance vascolare22
.
Ci sono fattori di rischio genetici e comportamentali che possono portare allo sviluppo
dell’ipertensione, quali: il consumo di cibi troppo salati, l’ inadeguato consumo di frutta e
verdura, l’abuso di alcol, l’inattività fisica e vita sedentaria e la scarsa gestione dello
stress. I fattori genetici e metabolici sono importanti perché di solito sono correlati ad un
aumento di rischio di patologie cardiovascolari come l’ictus, di insufficienza renale o
altre complicanze dell’ipertensione.
Quando l’ipertensione insorge in persone con età inferiore ai 40 anni, è importante
escludere cause secondarie come malattie renali, malattie endocrine e malformazioni a
carico dei vasi sanguigni.
Il miglior modo per prevenire l’insorgenza di ipertensione è seguire uno stile di vita sano,
ovvero: seguire una dieta sana adeguata all’età, riducendo l’introduzione di sale,
mangiare almeno 5 porzioni d frutta e verdura e riducendo l’apporto di grassi saturi;
evitare l’eccessivo consumo di alcol; praticare attività fisica regolarmente; mantenere un
peso corporeo ideale: ogni 5 kg di peso persi, si riduce la pressione sistolica di 2 a 1
22
RUGARLI C ET AL. “Medicina interna sistematica” Casa Ed. Elsevier Masson, Edizione VI, 2010
18
punti, smettere di fumare e imparare a gestire lo stress23
.
L’arteriopatia obliterante cronica periferica (AOCP) è quel processo di
danneggiamento della parete arteriosa causato da fattori esogeni o endogeni che porta alla
formazione di ateromi che, aumentano progressivamente di dimensione, vanno ad
occupare il lume arterioso e provocano una progressiva sclerosi della parete arteriosa con
conseguente deficit di flusso nei territori a valle.
L’AOCP può presentarsi in modi diversi, dall’insufficienza arteriosa asintomatica al dolore in
seguito a deambulazione (claudicatio intermittens) ed a riposo, la cui intensità è direttamente
proporzionale al grado di interessamento vasale ed allo sviluppo di circoli collaterali. Nelle
forme più gravi di AOCP, i pazienti sono colpiti da ischemia critica degli arti inferiori, con
deterioramento della loro funzionalità, tanto che talora ne può essere richiesta la
rivascolarizzazione chirurgica o, addirittura, l’amputazione. Poiché l’AOCP è quasi sempre
espressione di un processo aterosclerotico grave e diffuso, quanti ne sono colpiti presentano
un rischio elevato di complicazioni cardiache e cerebrovascolari, soprattutto se non ricevono
consigli ed indicazioni per attuare adeguati interventi di prevenzione e terapia4.
I principali fattori di rischio dell’ AOCP sono gli stessi riconosciuti per altre aree
vascolari, ovvero: età, fumo, diabete, ipertensione, iperlipidemia, iperomocisteinemia,
sesso maschile.
Caposaldo della terapia delle arteriopatie è la correzione dei fattori di rischio, ovvero:
astensione dal fumo, controllo dei valori pressori e anche dei valori glicemici (nei
pazienti diabetici), seguire una dieta sana ed equilibrata, riducendo l’apporto di grassi
saturi e del sale, raggiungere un peso corporeo adeguato, fare attività fisica riabilitativa,
evitare traumi agli arti e ai piedi che possano favorire ulcerazioni e infezioni cutanee ed
utilizzare calzature adeguate24
.
1.3.2 LE MALATTIE RESPIRATORIE CRONICHE
Le malattie respiratorie croniche interessano ampi strati della popolazione, comprese le
fasce di età più giovani; sono tra le principali cause di morbosità, disabilità e mortalità
prematura e hanno un elevato impatto socioeconomico.
23
WORLD HEALTH ORGANIZATION “A Global Brief on Hypertension: Silent Killer, Global Public Health
Crisis” World Health Day, Geneva, 2013 24
SCOTTISH INTERCOLLEGIATE GUIDELINES NETWORK “Diagnosis and Management of peripheral
arterial disease – A national clinical guideline” SIGN, Edinburgh, 2006.
19
Quelle di maggiore interesse in termini di salute pubblica sono la broncopneumopatia
cronica ostruttiva (BPCO) e l’asma.
A causa delle frequenti riacutizzazioni, le malattie respiratorie croniche richiedono una
gestione continua dei pazienti e numerosi ricoveri, con conseguente elevata spesa sanitaria e
peggioramento della qualità della vita delle persone colpite dalla malattia. Il Piano Sanitario
Nazionale 2006-2008 e il Piano Nazionale di Prevenzione 2010-2012 hanno inserito le
malattie respiratorie croniche tra gli ambiti prioritari di intervento25
.
Al fine di affrontare in modo efficace i problemi causati dalle malattie respiratorie croniche,
nel 2004 a livello internazionale è stata creata la Global Alliance against chronic
Respiratory Diseases (GARD), un’alleanza volontaria, comprendente organizzazioni,
istituzioni ed agenzie che lavorano per il comune obiettivo di migliorare la salute
respiratoria globale. Il Ministero della salute ha aderito a tale iniziativa e ha creato nel 2009
la GARD italiana (GARD-I) con lo scopo di coordinare le attività volte a migliorare la
conoscenza, la prevenzione e la gestione delle patologie respiratorie croniche16.
L’impatto delle malattie respiratorie croniche, oltre a causare morti premature, ha importanti
effetti negativi sulla qualità della vita e sulla disabilità dei pazienti. In Italia le malattie
respiratorie, dopo le malattie cardiovascolari e neoplastiche, rappresentano la terza causa di morte
e si prevede che, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, la prevalenza di tali
patologie sia destinata ad aumentare. Le patologie respiratorie insorgono a causa dell’azione di un
insieme di fattori di rischio che possiamo classificare in fattori di rischio individuali (genetici e
legati alla familiarità) e fattori di rischio ambientali (fumo di sigaretta, esposizione professionale,
inquinamento atmosferico outdoor e indoor, condizioni sociali, dieta ed infezioni)26
.
Tra le patologie croniche polmonari prevenibili ed intrinsecamente correlata a stili d vita
scorretti è doveroso descrivere la broncopneumopatia cronica ostruttiva.
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia dell'apparato
respiratorio caratterizzata da un'ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile
a seconda della gravità. La malattia (nota in inglese come COPD, Chronic obstructive
pulmonary disease) è solitamente progressiva ed è associata a uno stato di infiammazione
cronica del tessuto polmonare. La conseguenza a lungo termine è un vero e proprio
rimodellamento dei bronchi, che provoca una riduzione consistente della capacità
25
MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sanitario nazionale 2006-2008” Roma, 2006 26
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global surveillance, prevention and control of chronic respiratory
diseases : a comprehensive approach” Geneva, 2007
20
respiratoria. Ad aggravare questo quadro clinico è l’aumento della predisposizione alle
infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina.
Non esiste una cura efficace per la BPCO che consenta di ripristinare la funzionalità
respiratoria perduta. Esistono comunque tutta una serie di trattamenti per gestire la malattia e
consentire di raggiungere i seguenti obiettivi: prevenire la progressione della malattia; ridurre i
sintomi, migliorare la capacità sotto sforzo, migliorare lo stato di salute generale, prevenire e
trattare le complicanze, prevenire e trattare l'aggravarsi della malattia e ridurre la mortalità.
Esistono diversi fattori di rischio, alcuni individuali, altri di origine ambientale. Tra i
fattori individuali, ci sono molti geni che si ritiene possano essere associati all'insorgenza
della BPCO. Al momento, i dati più significativi in proposito sono quelli relativi al deficit
di alfa1-antitripsina, una condizione ereditaria piuttosto rara caratterizzata dalla carenza
di questa proteina epatica che normalmente protegge i polmoni. Ci sono poi alcune
patologie respiratorie complesse che possono contribuire allo sviluppo della malattia, in
particolare l'asma e l'ipersensibilità bronchiale4.
Tra i fattori ambientali, numerosi studi indicano che il principale fattore di rischio per lo
sviluppo della BPCO è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta, che accelera e
accentua il decadimento naturale della funzione respiratoria. Anche il fumo passivo può
contribuire parzialmente allo sviluppo della malattia, in quanto favorisce l'inalazione di gas
e particolato. Gioca un ruolo determinante anche l'esposizione a polveri, sostanze chimiche,
vapori o fumi irritanti all'interno dell'ambiente di lavoro (per esempio silice o cadmio).
Altri fattori di rischio, seppure meno influenti, associati allo sviluppo della BPCO sono
l'inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da smog e polveri sottili,
ma anche quello presente all'interno degli ambienti chiusi (provocato dalle emissioni di
stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria condizionata etc.). Infezioni respiratorie come
bronchiti, polmoniti e pleuriti possono predisporre infine al deterioramento dei bronchi.
Fondamentale è la prevenzione, per ridurre al minimo i fattori di rischio attraverso: la
abolizione del fumo sia attivo che passivo, una sana alimentazione associata ad un
regolare programma di attività fisica aiuta a prevenire la BPCO che va combattuta anche
minimizzando il rischio di infezioni alle vie aeree (per esempio sottoponendo i soggetti a
rischio a vaccinazione antinfluenzale)27
.
27
VESTBO J1 ET AL. “Global Strategy for the Diagnosis, Management, and Prevention of Chronic
Obstructive Pulmonary Disease” American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, Vol.187,
No.4 (2013), pp. 347-365.
21
1.3.3 LE MALATTIE METABOLICHE
Le malattie metaboliche sono un gruppo eterogeneo di patologie che si manifestano con vari
difetti del controllo omeostatico dell’organismo.
Tra le malattie del metabolismo quelle che rivestono il maggiore interesse per la sanità
pubblica, in rapporto alla frequenza e al correlato carico di malattia, complicanze e
disabilità, sono sicuramente il diabete mellito e l’obesità.
Il diabete mellito, con le sue complicanze, rappresenta un problema sanitario per i
soggetti di tutte le età e di tutte le etnie, con un più grave coinvolgimento delle classi
economicamente e socialmente svantaggiate.
Si distinguono un diabete di tipo 1 e un diabete di tipo 2. Si tratta fondamentalmente di due
patologie distinte, in quanto i due tipi di diabete si differenziano, oltre che per la diversa
eziopatogenesi, anche per epidemiologia (circa il 90% dei casi sono di tipo 2), per differenti
età di insorgenza (bambini- adolescenti nel tipo 1, adulti nel tipo 2), sintomatologia di
esordio (acuta nel tipo 1, più sfumata e graduale nel tipo 2), strategie terapeutiche e,
soprattutto, possibilità di prevenzione primaria. Se, infatti, il diabete di tipo 2 è in parte
prevenibile modificando gli stili di vita dei soggetti a rischio, particolarmente per quel che
riguarda la nutrizione e l’attività fisica, il diabete di tipo 1 può essere difficilmente
prevenuto, in quanto sono ancora poco chiari i fattori di rischio che interagiscono con la
ben nota predisposizione genetica scatenando la reazione autoimmunitaria28
.
L’insorgenza del diabete mellito di tipo 2 è collegata, come detto, alla presenza di alcuni
fattori di rischio modificabili, in particolare il sovrappeso e la sedentarietà. Inoltre, il
prolungamento dell’aspettativa di vita dei pazienti, unito alla crescente influenza dei
cambiamenti di stili di vita, ha portato e porterà, nel corso del tempo, a un aumento dei
casi prevalenti di diabete, con una conseguente moltiplicazione del rischio di sviluppo di
complicanze a medio - lungo termine.
La qualità organizzativa e l’efficienza dell’assistenza diabetologia sono state, peraltro,
correlate con un migliore controllo della malattia, con una migliore prognosi delle
complicanze e con una minore mortalità collegata al diabete.
La lotta alla patologia diabetica deve essere quindi indirizzata, da un lato, verso un
rinnovato impegno nella prevenzione delle malattie croniche in generale, attraverso
28
AMERICAN DIABETES ASSOCIATION “Diagnosis and classification of diabetes mellitus”. Diabetes
Care 2010;33:S62-9
22
un’azione mirata a modificare gli stili di vita della popolazione e dall’altro verso una
riorganizzazione dell’assistenza al fine di prevenire o ritardare il più possibile
l’insorgenza delle complicanze29
.
Il Ministero della salute, sin dal Piano Sanitario Nazionale (PSN) 2003-2005, ha previsto
un forte impegno del Servizio sanitario nazionale (SSN) nei confronti del diabete e, più in
generale, delle malattie croniche, confermandolo, peraltro, in tutti i successivi PSN30
. Il
SSN, quindi, in considerazione della complessità della materia, si è mosso, come di
seguito illustrato, secondo varie linee d’azione.
L’istituzione da parte del Ministero della salute, presso la Direzione Generale della
Programmazione Sanitaria e con la collaborazione della Direzione Generale della
Prevenzione, della Commissione Nazionale sulla Malattia Diabetica, incaricata, tra
l’altro, di redigere il Piano sulla Malattia Diabetica, che si connota come un documento
quadro e si propone di dare omogeneità ai provvedimenti e alle attività regionali e locali,
fornendo indicazioni per il miglioramento della qualità dell’assistenza che tengano conto
dell’evoluzione registrata in ambito scientifico e tecnologico e dei nuovi modelli
organizzativi diffusi in vaste aree del territorio31
.
L’ Attuazione dei PNP 2005-2007 (Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005), prorogato
poi fino al 2009, e 2010-2012 (Intesa Stato-Regioni 29 aprile 2010), prorogato al 2013.
Tutte le Regioni, sulla base di linee programmatiche elaborate dal Ministero della
salute/CCM (Centro di prevenzione e controllo delle malattie), hanno definito e attivato
specifici progetti all’interno di aree di intervento condivise e ritenute prioritarie18
.
Lo Sviluppo e coordinamento del programma “Guadagnare Salute – rendere facili le scelte
salutari” (DPCM 4 maggio 2007) che, attraverso l’attivazione di dinamiche intersettoriali e
la partecipazione dei diversi portatori di interessi (Ministeri, Regioni, Enti locali,
produttori, distributori etc.), mira a promuovere e favorire l’assunzione di abitudini salutari
da parte della popolazione per la prevenzione delle principali patologie croniche.
L’obiettivo è adottare una strategia volta a facilitare scelte e comportamenti adeguati
attraverso l’informazione e un’idonea impostazione delle azioni regolatorie, senza
29
QUADERNI DEL MINISTERO DELLA SALUTE “Appropriatezza clinica, strutturale, tecnologica e operativa
per la prevenzione, diagnosi e terapia dell’obesità e del diabete mellito” Ministero della Salute, 2011 30
MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sanitario nazionale 2003-2005” Roma, 2003 31
MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sulla Malattia Diabetica” DG Programmazione Sanitaria -
Commissione Nazionale Diabete, 2012
23
condizionare direttamente le scelte individuali, ma adottando politiche di comunità32
.
Il Finanziamento da parte del CCM e attuazione da parte dell’ISS/CNESPS (Centro
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute) del progetto IGEA
(Integrazione, Gestione e Assistenza per la malattia diabetica) che ha previsto il
coordinamento e il supporto ai progetti regionali dei PNP finalizzati, nel caso del diabete,
a prevenirne le complicanze tramite l’adozione di programmi di Gestione Integrata della
patologia. L’applicazione dei principi della Gestione Integrata alla patologia diabetica, nel
medio - lungo periodo, potrà portare a migliorare la gestione della patologia diabetica,
ridurre le complicanze a lungo termine, ottenere una maggiore appropriatezza
nell’utilizzo dei farmaci e dei presidi diagnostico terapeutici e razionalizzare la spesa
sanitaria. Il CCM ha, inoltre, finanziato vari altri progetti regionali dedicati alla
prevenzione e gestione del diabete18
.
La prevenzione e la terapia del diabete, come detto precedentemente, ha come cardine
l’attuazione di uno stile di vita adeguato a 360 gradi. L' approccio alla malattia diabetica
si basa su tre elementi fondamentali: dieta, esercizio fisico e trattamento farmacologico
(insulina o ipoglicemizzanti orali) con diversa priorità a seconda del tipo di diabete.
L’approccio nutrizionale rappresenta il trattamento di base anche in considerazione del
fatto che circa un terzo dei pazienti diabetici può essere compensato con la dieta e che,
nei pazienti in trattamento farmacologico, ciò consente il mantenimento al minimo della
terapia. Un efficace controllo del diabete, in qualunque stadio e di qualsiasi tipo, è
dunque possibile con il controllo ottimale della dieta.
Essa si propone i seguenti scopi:
1. Fornire le calorie sufficienti per raggiungere e mantenere il peso corporeo nei
limiti fisiologici;
2. Fornire un’alimentazione razionalmente ottimale dal punto di vista qualitativo;
3. Consentire la migliore regolazione dei valori glicemici durante le 24 h mediante la
più opportuna scelta degli orari dei pasti;
4. Contribuire a prevenire le complicanze acute del diabete insulino-dipendente e
quelle croniche del diabete in genere, come la nefropatia, l’ipertensione e le
malattie cardiovascolari.
A conferma dell’importanza della dieta nel trattamento del diabete, diversi studi hanno
32
DPCM 4 maggio 2007 “Guadagnare Salute – rendere facili le scelte salutari” Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana, Roma, 22 maggio 2007
24
dimostrato che il programma di trattamento del diabete deve mirare al raggiungimento
dell’euglicemia per ritardare la comparsa o rallentare la progressione delle complicanze,
suggerendo che la nutrizione può essere considerata l’elemento critico, fondamentale,
nel trattamento del diabete, ai fini del raggiungimento di un efficace controllo della
glicemia nei pazienti.
L’American Diabetes Association ha proposto, nel corso degli anni, diverse linee guida
sulla nutrizione, in cui inizialmente era prevista una percentuale di carboidrati intorno al
40%, poi aumentata fino al 55-60%, le proteine erano fissate in quantità pari a 0,8 g/kg e i
grassi erano inferiori al 30%; nel 1994 è stato proposto un nuovo schema basato su una
percentuale fissa di proteine (10-20%) e una variabile di grassi (con meno del 10% di grassi
saturi) e carboidrati da valutare in base allo stato nutrizionale del paziente. Sono stati
inoltre inclusi saccarosio ed altri zuccheri semplici nel piano alimentare del diabetico33
.
L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo,
condizione che determina gravi danni alla salute. E’ causata nella maggior parte dei casi
da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione scorretta ipercalorica e dall’altra
un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica34
. L’obesità è quindi una
condizione ampiamente prevenibile e rappresenta uno dei principali problemi di salute
pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante
aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito sia
perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito
di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori35
.
Si stima che il 44% dei casi di diabete tipo 2, il 23% dei casi di cardiopatia ischemica e
fino al 41% di alcuni tumori sono attribuibili all’obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso
e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i
decessi attribuibili all’obesità sono almeno 2,8 milioni/anno nel mondo36
.L’indice di
massa corporea IMC (Body Mass Index BMI) è l’indice per definire le condizioni di
33
AMERICAN DIABETES ASSOCIATION “Nutrition rocommendations and principles for people diabetes
mellitus” Diabetes Care, 1995; 18(Suppl 1): 16-19 34
WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE “The challenge of obesity in the WHO European Region
and the strategies for response. Summary” WHO Regional Office for Europe, Copenhagen 2007 35
WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE. “Nutrition, physical activity and prevention of obesity:
recent policy developments in the WHO European Region” WHO Regional Office for Europe, Copenhagen.
2006 36
NG M. FLEMING T. ET AL. “Global, regional, and national prevalence of overweight and obesity in
children and adults during 1980–2013: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2013”
Lancet. 2014 Aug 30;384(9945):746
25
sovrappeso(25 ≤ IMC ≤ 29,99) – obesità (ICM ≥ 30) più ampiamente utilizzato, anche se
dà un’informazione incompleta, in quanto non dà informazioni sulla distribuzione del
grasso nell’organismo e non distingue tra massa grassa e massa magra (Figura 5)32
.
Figura 5 Classificazione degli individui sottopeso, sovrappeso ed obesi in base al BMI
Tratto da WORLD HEALTH ORGANIZATION “BMI classification”
Secondo dati dell’OMS, la prevalenza dell’obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980
ad oggi; nel 2008 si contavano oltre 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso (il 35% della
popolazione mondiale); di questi oltre 200 milioni di uomini e oltre 300 milioni di donne
erano obesi (l’11% della popolazione mondiale). Nel frattempo, il problema ha ormai
iniziato ad interessare anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci
fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso35
.
In Italia, il sistema di monitoraggio “OKkio alla Salute” del Centro nazionale di
prevenzione e controllo delle malattie (Ccm) del Ministero della Salute (raccolta dati
antropometrici e sugli stili di vita, dei bambini delle terza classe primaria 8-9 anni di età)
ha riportato che il 22,9% dei bambini in questa fascia di età è in sovrappeso e l’11,1% in
condizioni di obesità37
.
37
SPINELLI A ET AL “Sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE: risultati 2010” ISTAT – Istituto
Superiore Sanità, 2012, xii, 139 p. Rapporti ISTISAN 12/14
26
Secondo i dati raccolti nel 2010 dal sistema di sorveglianza “Passi”, in Italia il 32% degli
adulti è sovrappeso, mentre l’11% è obeso. In totale, oltre quattro adulti su dieci (42%)
sono cioè in eccesso ponderale in Italia.
"Passi d’argento", il sistema sperimentale (avviato in 7 Regioni italiane) di sorveglianza
della salute della popolazione anziana, infine indica che nella popolazione tra i 65 e i 75
anni di età sono in sovrappeso/obesi il 60% degli individui; tra i 75 e gli 84 anni le
persone in sovrappeso/obesità sono il 53% e tra gli ultra 85enni il 42%.
Si può fare molto per prevenire sovrappeso e obesità, ovvero:
1. limitare il consumo di grassi e zuccheri, molto abbondanti soprattutto nei cibi
confezionati e nei soft drink;
2. aumentare il consumo di verdure, legumi, cereali integrali e, in generale cibi freschi,
non processati;
3. seguire una dieta variata, riducendo le porzioni, nel caso in cui si voglia perdere peso;
4. limitare l’alcol, che oltre ad essere nocivo alla salute degli organi, è anche
un’importante fonte di calorie, senza apportare nessun vantaggio nutrizionale;
5. dare ai bambini un buon esempio in materia di alimentazione; i figli di genitori obesi
tendono a loro volta ad avere problemi di peso;
6. fare una regolare attività fisica: gli adulti dovrebbero fare almeno 30 minuti/giorno per
5 volte/settimana di attività fisica aerobica di intensità moderata (camminare a passo
veloce, andare in bicicletta, nuotare, ballare); i bambini almeno 60 minuti/giorno; nel
caso in cui si desideri perdere peso, il livello di attività fisica dovrà essere
gradualmente incrementato32
.
1.3.4 I TUMORI
Nel corso della vita circa un uomo su 2 e una donna su 3 hanno la probabilità di ammalarsi di
tumore. Questa probabilità riguarda un uomo su 28 e una donna su 17 fra 0 e 49 anni, 1 su 5 e
una su 7 fra 50 e 69 anni e uno su 3 ed una su 5 fra 70 e 84 anni.
Considerando l’intera popolazione, escludendo i carcinomi della cute, il tumore in assoluto
più frequente è quello del colon retto (14%), seguito dal tumore della mammella (13%), della
prostata (11% solo nel sesso maschile) e del polmone (11%)38
.
Con i termini “cancro”, “neoplasia” o il più generico “tumore” ci si riferisce ad un insieme
38
AIOM, AIRTUM “I numeri del cancro in Italia, 2014” Intermedia Editore, 2014
27
molto eterogeneo di circa 200 malattie caratterizzate da una crescita cellulare svincolata dai
normali meccanismi di controllo dell’organismo, a partenza da un’unica cellula progenitrice e
da numerose anomalie genetiche, funzionali e morfologiche. Alla fase iniziale del processo
carcinogenetico segue una fase di progressione, in cui le cellule anomale sono in grado di
moltiplicarsi e di allontanarsi ulteriormente, dal punto di vista della differenziazione e
funzione, dalle cellule originarie. Possono così generarsi masse e aggregati cellulari in grado
di interferire con l’organo e l’apparato in cui risiedono, eventualmente anche migrando verso
organi a distanza (disseminazione, metastasi) fino a minacciare la vita dell’intero organismo.
Il cancro ha, tra le sue cause, una combinazione di diversi fattori: interni (propri delle cellule
dell’organismo, in alcuni casi trasmissibili alla progenie) quali mutazioni genetiche, ormoni,
funzionalità dell’apparato immunitario, e fattori esterni, legati sia all’ambiente (agenti
infettivi, prodotti chimici, radiazioni) sia allo stile di vita del soggetto (ad esempio:
alimentazione, livello di attività fisica, fumo).
Si tratta di un processo comunque lento e progressivo, combattuto nella gran maggioranza
dei casi con successo dai sistemi di difesa dell’organismo (meccanismi di riparazione del
genoma e di difesa immunitaria). È un processo che dal suo inizio biologico impiega molto
tempo a manifestarsi, anche nell’ordine di decine di anni, prima di dare luogo alla diagnosi
di malattia conclamata.
Questo processo di iniziazione e progressione tumorale può quindi portare a diversi tipi di
lesioni finali: alcune di queste sono riconosciute con il termine talora equivoco di benigne,
cioè meno aggressive, destinate a rimanere localizzate nell’organo di origine e incapaci di
dare metastasi.
Con il termine di lesioni maligne, alle quali viene riferito più propriamente il termine di
cancro, sono invece identificate lesioni in grado di invadere e distruggere le strutture
adiacenti e diffondere a distanza, colonizzando altri organi e apparati fino a determinare, se
non efficacemente contrastate, anomalie dell’organismo incompatibili con la vita.
In molti casi, e oggi sempre più spesso, il percorso della malattia non è destinato a
progredire. Per le diverse lesioni che compongono il variegato quadro della patologia
neoplastica conosciuta come “cancro”, la medicina ha via via individuato armi e percorsi
sempre più efficaci e mirati alla specificità dei diversi casi. Tali percorsi vanno dalla
prevenzione, alla diagnosi precoce, alla terapia, con lo scopo di migliorare la prognosi di
ogni paziente in termini di durata e qualità della vita.
28
Sulla base delle conoscenze attuali, si stima che circa l’80% dei tumori possa essere
prevenuto. La maggior parte dei tumori causati dal fumo di sigarette, da errata alimentazione,
dall’abuso di alcool, dall’obesità e dall’inattività fisica, potrebbero essere prevenuti. Altri
tumori correlati ad agenti infettivi, quali il virus dell’epatite B (HBV), il virus dell’epatite C
(HCV), il virus del papilloma umano (HPV), il virus dell’immunodeficienza (HIV), il batterio
Helicobacter pylori (H. pylori), potrebbero essere prevenuti cambiando stile di vita e
debellando l’agente infettivo tramite vaccini o antibiotici. Inoltre per molti tumori la
partecipazione ai programmi di screening di riconosciuta efficacia rende possibile la diagnosi
e la rimozione di lesioni invasive in stadio precoce o in fase premaligna35
.
È quasi impossibile dimostrare ciò che ha causato un tumore in un singolo individuo, in
quanto la maggior parte presentano più cause possibili. Per esempio, se una persona accanita
fumatrice sviluppa un tumore ai polmoni, si può dire che sia stato molto probabilmente
questo comportamento la sua causa, ma non con assoluta certezza, poiché ogni individuo ha
una piccola probabilità di sviluppare quel tumore a causa di altri fattori.
La patogenesi delle neoplasie è riconducibile a mutazioni del DNA che incidono sulla
crescita cellulare e sull'eventuale sviluppo di metastasi. Le sostanze che causano mutazioni
del DNA sono conosciute come mutagene; tali sostanze che causano tumori sono noti come
agenti cancerogeni. Sostanze particolari sono stati collegati a specifici tipi di tumore. Il fumo
è associato a molte forme di cancro e causa il 90% dei tumori del polmone39
.
Molti mutageni sono anche cancerogeni, ma alcuni agenti cancerogeni non sono mutageni.
L'alcol è un esempio di un cancerogeno chimico che non è un agente mutageno. In Europa
occidentale il 10% dei casi di cancro nei maschi e il 3% dei tumori nelle femmine sono
attribuibili all'alcol40
.
Decenni di ricerche hanno dimostrato il legame tra il fumo e le neoplasie del polmone, della
laringe, della testa, del collo, dello stomaco, della vescica, dei reni, dell'esofago e del
pancreas41
. Una sigaretta contiene più di 50 sostanze riconosciute come cancerogene, tra cui
nitrosammine e di idrocarburi policiclici aromatici. Il fumo è responsabile di circa un terzo
di tutte le morti per cancro nei paesi sviluppati e circa uno su cinque in tutto il mondo.
39
BIESALSKI HK ET AL. “European Consensus Statement on Lung Cancer: risk factors and prevention.
Lung Cancer Panel” CA Cancer J Clin. 1998 May-Jun;48(3):167-76; discussion 164-6. 40
SCHÜTZE M ET AL “Alcohol attributable burden of incidence of cancer in eight European countries based
on results from prospective cohort study” BMJ. 2011 Apr 7;342:d1584. 41
KUPER H ET AL “Tobacco use and cancer causation: association by tumour type” J Intern Med. 2002
Sep;252(3):206-24.
29
Tuttavia, il numero dei fumatori in tutto il mondo continua ad aumentare, portando a quella
che alcune organizzazioni hanno descritto come l'epidemia del fumo42
.
Si ritiene che il cancro correlato alla propria professione lavorativa, rappresenti tra il 2% e il
20% di tutti i casi. Ogni anno, almeno 200.000 persone muoiono di cancro in tutto il mondo,
probabilmente sviluppato a causa del proprio lavoro; la maggior parte dei decessi per cancro
correlabile a fattori di rischio professionali, si verificano nel mondo sviluppato.
La scorretta alimentazione, l'inattività fisica e l'obesità sono correlabili a circa il 30-35% dei
decessi per tumore. L'eccesso di peso corporeo è associabile con lo sviluppo di molti tipi di
cancro ed è un fattore presente in un valore compreso tra il 14% e il 20 % in tutte le morti
per cancro negli Stati Uniti. L'inattività fisica è ritenuta di contribuire al rischio di sviluppare
tumori, non solo attraverso i suoi effetti sul peso corporeo, ma anche attraverso gli effetti
negativi sul sistema immunitario e sul sistema endocrino43
.
Le diete a basso contenuto di verdura, frutta e cereali integrali e ad alto contenuto di carne
trasformate o rosse, sono collegabili con una serie di tumori. Una dieta ricca di sale è legata
al cancro dello stomaco. Ciò può in parte spiegare le differenze nell'incidenza del cancro in
diversi paesi, per esempio il cancro allo stomaco è più comune in Giappone, per via della
loro dieta ricca di sale, mentre il tumore del colon è più comune negli Stati Uniti. Gli
immigrati sviluppano il rischio in base al nuovo paese in cui si trasferiscono, spesso
all'interno di una generazione, suggerendo un legame sostanziale tra dieta e neoplasia44
.
Lo stile di vita ha una significativa influenza sul rischio di contrarre il cancro. Secondo
alcuni studi se tutti adottassero uno stile di vita corretto il numero dei tumori si ridurrebbe di
1/3. La dieta, l'inattività fisica, e l'obesità sono collegate approssimativamente al 30–35%
delle morti per cancro. Il fumo in qualsiasi quantità come l'alcol al di sopra di valori modici
aumentano significativamente il rischio di ammalarsi di tumore (oltre che di contrarre
malattie cardiovascolari), così come il consumo eccessivo di carne rossa. Sono a rischio tutti
i prodotti animali conservati mediante nitrati o nitriti39
.
42
KUPER H ET AL. “Tobacco use, cancer causation and public health impact” J Intern Med. 2002
Jun;251(6):455-66. 43
ANAND P ET AL“Cancer is a Preventable Disease that Requires Major Lifestyle Changes” Pharm Res.
2008 Sep; 25(9): 2097–2116. 44
KUSHI LH et al. “American Cancer Society Guidelines on nutrition and physical activity for cancer
prevention: reducing the risk of cancer with healthy food choices and physical activity” CA Cancer J Clin.
2012 Jan-Feb;62(1):30-67. doi: 10.3322/caac.20140.
30
CAPITOLO II
GLI STILI DI VITA
La salute costituisce un aspetto fondamentale della qualità della vita degli individui, ma
anche un bene essenziale per lo sviluppo sociale ed economico. I fattori politici, economici,
sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici, possono favorirla così come
possono lederla.
Per questo gli individui e le comunità possono diventare soggetti attivi nel perseguimento di
uno stato di buona salute, quando sono in grado di identificare e realizzare le proprie
aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente o di adattarvisi.
In questa logica, la promozione della salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario,
ma è opportuno che coinvolga anche i settori che influiscono sulla salute stessa con un
approccio “intersettoriale” che preveda, cioè, l’intervento, la collaborazione e il coordinamento
di settori diversi dalla sanità (istruzione, cultura, sport, agricoltura, trasporti, turismo, etc.) per
realizzare progetti in grado di migliorare lo stato di salute della popolazione.
Accreditati studi internazionali, hanno effettuato una stima quantitativa dell’impatto di alcuni
fattori sulla longevità delle comunità utilizzata come indicatore indiretto della salute. I fattori
socio-economici e gli stili di vita contribuiscono per il 50%, le condizioni dell’ambiente per il
20%, l’eredità genetica per un altro 20% ed i servizi sanitari per il 10%45
.
2.1 I DETERMINANTI SOCIALI DELLA SALUTE
Seguendo l’ottica bio-psico-sociale si giunge a riconoscere la salute come un insieme
dinamico di elementi biologici e comportamentali determinati da diversi fattori. Alla base ci
sono le scelte dell’individuo tra le diverse alternative a sua disposizione; scelte che
conducono alla solidificazione delle abitudini e all’adozione di specifici stili di vita. In tal
senso, lo stile di vita è uno dei determinanti della salute che rappresenta, a sua volta, un
fattore influenzato da altri determinanti di livello “macro”46
.
I determinanti della salute sono i fattori che influenzano lo stato di salute di un individuo e,
più estesamente, di una comunità o di una popolazione15
.
45
MACIOCCO G.“I determinanti della salute. Una nuova, originale cornice concettuale” Redazione Salute
Internazionale, 2009 46
ENGEL G. L. “The need for a new medical model: a challenge for biomedicine” Science, 1977
31
Figura 6 I Determinanti di Salute
Tratto da DAHLGREN G. WHITEHEAD M. “Policies and strategies to promote social equity in health”
Stockholm: Institute of Futures Studies, 1991.
Nella Figura 6 viene espresso il modello concettuale dei determinanti di salute in una serie
di semicerchi concentrici, corrispondenti ciascuno a differenti livelli di influenza.
Al centro c’è l’individuo, con le sue caratteristiche biologiche: il genere, l’età, il patrimonio
genetico: ovvero i determinanti non modificabili della salute.
Lo strato successivo riguarda il comportamento, lo stile di vita degli individui, che include
fattori come l’abitudine al fumo e all’alcol, i comportamenti alimentari e sessuali, l’attività
fisica, i quali possono promuovere o danneggiare la salute. Queste scelte possono essere
libere o condizionate.
Il terzo livello riguarda le reti sociali e di comunità, in quanto l’individuo non esiste da solo:
interagisce con i familiari, gli amici, la comunità circostante. Così, la qualità degli affetti e
delle relazioni sociali, influenza la qualità della vita delle singole persone e può determinare
un diverso stato di salute sia attraverso meccanismi psicologici (la depressione e l’ansia) che
attraverso condizioni materiali favorevoli o avverse (es.: la presenza o l’assenza di una rete
di supporto familiare o sociale).
32
Il quarto livello concerne un insieme complesso che riguarda le condizioni di vita e lavorative,
ovvero: l’alimentazione, l’istruzione, l’ambiente di lavoro, il reddito, l’abitazione, le condizioni
igieniche, i trasporti e il traffico, i servizi sanitari sociali.
Lo strato più esterno si riferisce alle condizioni generali: politiche, sociali, culturali, economiche,
ambientali, in cui gli individui e le comunità vivono47
.
Di questa serie di determinanti, alcuni – le caratteristiche biologiche dell’individuo (il sesso,
l’età, il patrimonio genetico) – sono immodificabili, mentre tutti gli altri sono suscettibili di
essere trasformati o corretti.
Il destino di salute di una persona, di una comunità o di una popolazione dipende quindi da una
molteplicità di situazioni e di livelli di responsabilità:
la responsabilità individuale circa i comportamenti e gli stili di vita;
la responsabilità familiare o di gruppo circa le relazioni affettive e sociali;
la responsabilità di una comunità o un governo locale o nazionale circa le politiche sociali,
del lavoro e dell’assetto del territorio (da cui dipende la disponibilità e accessibilità dei
servizi sanitari, sociali ed educativi, l’occupazione, la fruibilità delle infrastrutture);
la responsabilità, infine, dei soggetti sovranazionali: Nazioni Unite, Organizzazione Mondiale
della Sanità, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del
Commercio etc. che hanno il potere di regolare i rapporti tra gli stati, tra gli stati e le imprese
economiche e finanziarie multinazionali e di influenzare i meccanismi macroeconomici che sono
alla base della ricchezza e dello sviluppo di alcuni e della povertà e del sottosviluppo di altri48
.
Tutto questo può essere visto come una piramide di responsabilità molto schematica e semplificata;
nella realtà, i vari livelli di influenza sullo stato di salute sono strettamente correlati e interagiscono
tra loro; ad esempio, gli stili di vita sono fortemente legati al contesto familiare e sociale che a sua
volta è condizionato dalle circostanze di vita e di lavoro. Per questo motivo è impossibile
individuare un unico fattore in grado di condizionare lo stato di salute di una persona o di una
comunità: il diverso destino riguardo alla morbilità e alla mortalità degli individui e delle comunità,
è il prodotto di un insieme di fattori strettamente correlati tra loro, quali istruzione, assistenza
sanitaria, reddito, occupazione, tipologia dell’abitazione, situazione familiare, stili di vita49
.
47
DAHLGREN G. WHITEHEAD M. “Policies and strategies to promote social equity in health” Stockholm:
Institute of Futures Studies, 1991. 48
WHITEHEAD M. DAHLGREN G. ”Concepts and principles for tackling social inequities in health” WHO
Europe, Copenhagen, 2006 49
OSSERVATORIO ITALIANO SULLA SALUTE GLOBALE “A caro prezzo Le diseguaglianze nella
salute” 2° Rapporto, Edizioni ETS, Pisa, 2006
33
2.2 L’ IMPORTANZA DEGLI STILI DI VITA
Come si evince dai dati riportati nel capitolo precedente, le malattie cardiovascolari, i
tumori, i disturbi cronici polmonari ed il diabete sono le principali cause di morti registrate
in questi anni10
. Questi dati conducono verso iniziative volte a diminuire l’impatto dei
principali fattori di rischio e degli stili di vita non corretti, quali ad esempio le strategie di
prevenzione o le varie azioni informative ed educative.
Nella promozione della salute è ormai un dato accertato la necessità di lavorare al fine di
supportare l’acquisizione di stili di vita sani. Secondo l’OMS “lo stile di vita è un modo di
vivere basato su profili identificabili di comportamento che sono determinati
dall’interconnessione tra caratteristiche individuali, interazioni sociali e condizioni
socioeconomiche e ambientali. Se si deve migliorare la salute delle persone attraverso il
cambiamento dei loro stili di vita, gli interventi devono essere diretti non solo verso gli
individui stessi ma anche alle condizioni sociali e all’ambiente di vita quotidiano che
interagiscono nel produrre e mantenere questi profili di comportamento50
”.
Sviluppare questo approccio significa evidenziare lo stretto legame che le ricerche evidence
based riportano tra condurre stili di vita sani (alimentazione, attività fisica, consumo di
alcol, fumo e sostanze psicotrope) e la prevenzione di malattie cronico degenerative.
2.2.1 ALIMENTAZIONE
Nutrirsi è fondamentale tanto che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS),
nutrizione adeguata e salute sono da considerarsi diritti umani fondamentali, molto correlati
l’uno all’altro. Lo stato di salute delle popolazioni del pianeta, sia ricche che povere, è
fortemente influenzato dal livello e dalla qualità della nutrizione. Una dieta corretta è un
validissimo strumento di prevenzione per molte malattie, di gestione e trattamento in molte
altre. Secondo l’OMS, ad esempio, sono quasi tre milioni le vite che si potrebbero salvare
ogni anno nel mondo grazie ad un consumo sufficiente di frutta e verdura fresca51
.
La proporzione dei tipi di alimenti e la qualità dei cibi che mangiamo sono alla base di uno
sviluppo umano completo, sia fisico che mentale. D’altra parte, una alimentazione squilibrata o
scorretta può generare condizioni di disordine o vere e proprie patologie che risultano, in molti
50
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Who Health Promotion Glossary” Genevra, 1998 51
WORLD HEALTH ORGANIZATION AND FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE
UNITED NATION “Fruit and vegetables for health - Report of a Joint FAO/WHO Workshop, 1-3
September, 2004, Kobe, Japan” Geneva, 2005
34
casi, addirittura mortali. Inoltre, anche cibi di cattiva qualità, contaminati o non conservati
correttamente possono costituire fattori di rischio consistenti e sono causa di malattia e morte per
milioni di persone ogni anno.
Al concetto di sicurezza alimentare, intesa come diritto ad una quantità equa di alimenti per
ciascun essere umano, si aggiunge quindi una sicurezza intesa come preservazione della
qualità organolettica e microbiologica degli alimenti, oltre che della loro tipicità e tradizione52
.
Lo sviluppo di uno stile alimentare sano è caratterizzato dalla contemporanea presenza di
conoscenze e consapevolezze legate al “mangiare”. Nello specifico, esso si basa sulla
conoscenza delle qualità organiche dei cibi; sul sapere cosa, come e quanto mangiare. Quello
alimentare è forse il più complesso e particolare tra gli stili di vita essendo direttamente
correlato ad aspetti di tipo culturale, sociale e motivazionale. In tal senso, l’educazione
alimentare rappresenta un fattore centrale nell’orientare verso un’adeguata nutrizione ed anche
l’età in cui hanno inizio i programmi di educazione alimentare riveste una particolare
importanza laddove, iniziando prima, si potranno raggiungere maggiori risultati. Prima di
porsi obiettivi legati al cambiamento delle abitudini alimentari, bisognerebbe comunque
fornire informazioni specifiche e relative alla qualità ed alle caratteristiche organiche del cibo,
al fine di sviluppare le giuste conoscenze nutrizionali53
.
La sana dieta alimentare, ovvero una corretta alimentazione, è l'insieme dei comportamenti e
dei rapporti nei confronti del cibo che permettono il mantenimento della propria salute nel
rispetto dell'ambiente e degli altri. E' opportuno ricordare che il termine "dieta" indica una
selezione ragionata di alimenti e non necessariamente un regime alimentare finalizzato ad
ottenere una perdita di peso ovvero una dieta ipocalorica.
L'assunzione errata di alimenti, sia nella quantità che nella qualità, può essere uno dei fattori
principali nella determinazione di stati patologici quali ipertensione, malattie dell'apparato
cardiocircolatorio, obesità, diabete ed alcune forme di tumori.
Il rischio di obesità, in particolare, è determinato sia da un eccesso di calorie introdotte rispetto
a quelle consumate, ma soprattutto da stili di vita sedentari, spesso omologati dal contesto socio
famigliare in cui si vive.
Considerando che a ciò si devono aggiungere fattori di rischio di tipo ambientale e genetici, la
complessità degli elementi in gioco fa comprendere che è necessario intervenire, ove possibile,
52
LAIRON D. “Biodiversity and sustainable nutrition in a food-based approach” FAO, 2010 53
ROLLNICK S., MASON P., BUTLER C. “Cambiare stili di vita non salutari” Erickson, Trento 2003
35
in maniera precoce54
.
In numerosi Paesi del mondo, istituzioni pubbliche e organismi scientifici hanno provveduto
ad elaborare apposite linee guida con l'intento di fornire indicazioni su come alimentarsi in
modo sano, per proteggere la salute. In Italia, al fine di orientare la popolazione verso
comportamenti alimentari più salutari, il Ministero della Salute ha affidato ad un Gruppo di
esperti (D.M. del 1.09.2003) il compito di elaborare un modello di dieta di riferimento
coerente sia con lo stile di vita attuale che con la tradizione alimentare del nostro Paese.
Nasce così la piramide settimanale dello stile di vita italiano che si basa sulla definizione di
Quantità Benessere (QB) riferita sia al cibo che all’attività fisica. Se vengono rispettate le
porzioni consigliate saremo anche in armonia con la tradizione alimentare mediterranea
riconosciuta come la più salubre. Un eccessivo consumo di un solo alimento o
un’alimentazione basata sull’uso di pochi alimenti comporta quasi sempre squilibri
nutrizionali che portano alla malnutrizione per difetto o per eccesso55
.
Una porzione è compatibile con il benessere se contiene l’appropriata quantità di cibo;
l’insieme delle porzioni consumate in un giorno deve avere un contenuto energetico di circa
2000 kcal per sostenere le attività vitali e l’esercizio fisico di una persona adulta che
conduca uno stile di vita standard per la sua età. È importante fare cinque pasti al giorno,
dividendo opportunamente le calorie di cui abbiamo bisogno nel corso della giornata.
Sarebbe corretto che le calorie assunte fossero ripartite per il 20% a colazione, per il 5% a
metà mattina, per il 40% a pranzo, per il 5% a metà pomeriggio, per il 30% a cena.
Oltre al cibo che apporta energia, è importante assumere ogni giorno un quantitativo di
acqua per compensare le perdite dovute alla traspirazione attraverso la pelle e le mucose e
alla produzione di urina e di feci. Nel complesso, il fabbisogno giornaliero di acqua è di 1
ml/kcal di energia consumata; pertanto, l’apporto giornaliero consigliato è di circa 2 litri al
giorno da soddisfare con i cibi e le bevande. Se si considera che una parte di acqua viene
introdotta con gli alimenti (600-800 ml) la rimanente parte deve essere assunta bevendo
acqua (almeno 1.500 ml al giorno).
È importante assumere acqua e non sostituirla con le bevande gassate e/o zuccherate, di cui
è opportuno ridurre il consumo per non superare la quantità di zuccheri consentita (nei limiti
54
WORLD HEALTH ORGANIZATION - FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE
UNITED NATIONS: “Diet, Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases” WHO Technical Report
Series 916, Geneva 2003. 55
WILLETT WC, SACKS F, ET AL. “Mediterranean diet pyramid: a cultural model for healthy eating.” Am
J Clin Nutr. 1995 Jun;61(6 Suppl):1402S-1406S.
36
del 5% dell’apporto calorico giornaliero )56
.
Il concetto di quantità benessere (QB) serve a portare la nostra attenzione sulle porzione di
cibo, come quantità in grammi, compatibile con il benessere del nostro organismo; pertanto non
esistono cibi buoni e/o cattivi, ma il loro effetto dipende dalla quantità consumata giornalmente;
la scelta di un adeguato numero di porzioni di cibo deve riguardare tutti i gruppi di alimenti
presenti nella piramide giornaliera per essere sicuri di assumere tutti i nutrienti57
.
Figura 7 La piramide alimentare giornaliera italiana
Tratto da DIPARTIMENTO DI FISIOPATOLOGIA MEDICA SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA /
CIISCAM “Piramide alimentare italiana” Roma, 2005
Come si può vedere dalla Figura 7, la piramide alimentare italiana giornaliera si articola in 6
piani in cui sono disposti, in modo scalare, i vari gruppi di alimenti indicati con colori
diversi per sottolineare che ciascuno è caratterizzato da un differente contenuto di nutrienti e
56
POPKIN BM, NIELSEN SJ. “The Sweetening of the World’s Diet. Obesity Research” 2003; 11(11):1325-1332. 57
ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE – INRAN “Linee guida
per una sana alimentazione italiana” Roma, 2003
37
richiede un differente consumo di porzioni. All’interno dello stesso gruppo è importante
variare la scelta allo scopo di ottenere un’alimentazione completa.
Gli alimenti alla base della piramide sono quelli il cui apporto giornaliero non deve mai
mancare, mentre, al vertice della piramide, si trovano gli alimenti il cui consumo è molto
limitato od occasionale. La piramide alimentare italiana si caratterizza innanzitutto per avere alla
base frutta ed ortaggi, tra gli alimenti caratteristici della dieta mediterranea, che dovrebbero
essere presenti in buona quantità (5-6 porzioni al giorno) per una sana alimentazione.
Le parole chiave della piramide alimentare sono:
varietà, poiché in nessun gruppo di alimenti sono contenuti tutti i nutrienti essenziali per
una crescita ottimale e per il mantenimento dello stato di salute. La varietà delle scelte
nell’ambito di ciascun gruppo alimentare permette di coprire i fabbisogni nutrizionali nel
modo più corretto. Tale indicazione, evidenziata dai differenti colori di ciascuna sezione
della piramide, è coerente con quanto definito nelle Linee guida dell’Istituto Nazionale di
Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN).
moderazione, in quanto salendo dal basso verso l’alto della piramide troviamo i cibi a più
alto contenuto energetico, cioè quelli che vanno consumati con attenzione; la
moderazione nelle quantità, che devono essere adeguate alla fascia di età ed al profilo di
attività fisica, è indispensabile.
equilibrio, poiché nella nostra alimentazione giornaliera possono entrare tutti i cibi, ma le
quantità che si possono consumare sono diverse per ogni alimento. La piramide
suggerisce la quantità dei cibi da poter consumare, indicando il numero di porzioni
raccomandato per ciascun gruppo di alimenti; la variabilità (esempio 5-6 porzioni al
giorno) dipende dal fabbisogno energetico individuale58
.
I principali gruppi alimentari devono essere presenti nella dieta in modo proporzionato,
poiché una alimentazione equilibrata è data non solo da un corretto apporto calorico, ma
anche da un’adeguata ripartizione dei gruppi alimentari. È fondamentale un equilibrato e
moderato impiego delle varie categorie di alimenti a nostra disposizione come detto
precedentemente per la piramide alimentare.
La classificazione degli alimenti più largamente diffusa, riunisce gli alimenti stessi in cinque
gruppi:
58
DIPARTIMENTO DI FISIOPATOLOGIA MEDICA SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA / CIISCAM
“Piramide alimentare italiana” Roma, 2005
38
1. il gruppo cereali, loro derivati e tuberi (carboidrati) comprendente: pane, pasta, riso, altri
cereali minori (quali mais, avena, orzo, farro, etc.) oltre che patate. I cereali e derivati, in
particolare, apportano buone quantità di vitamine del complesso B nonché di proteine che,
pur essendo di scarsa qualità, possono, se unite a quelle dei legumi, dare origine a una
miscela proteica di valore biologico paragonabile a quello delle proteine animali. Fra gli
alimenti di questo gruppo è opportuno utilizzare spesso anche quelli integrali, in quanto più
ricchi di fibra in maniera naturale;
2. il gruppo frutta e ortaggi, comprendente anche legumi freschi - rappresenta una fonte
importantissima di fibra, di ß-carotene (presente soprattutto in carote, peperoni,
pomodori, albicocche, meloni, etc.), di vitamina C (presente soprattutto in agrumi,
fragole, kiwi, pomodori, peperoni, etc.), di altre vitamine e dei più diversi minerali (di
particolare importanza il potassio). Da sottolineare anche la rilevante presenza, in questo
gruppo, di quei componenti minori quali gli antiossidanti, che svolgono una preziosa
azione protettiva. Gli alimenti di questo gruppo, grazie alla loro grande varietà, con
sentono le più ampie possibilità di scelta in ogni stagione, ed è opportuno che siano
sempre consumati almeno cinque porzioni al giorno, a cominciare anche dalla prima
colazione ed eventualmente come fuori pasto o merenda;
3. il gruppo latte e derivati, in cui rientrano: latte, yogurt, latticini e formaggi. La funzione
principale del gruppo è quella di fornire calcio, in forma altamente biodisponibile, ossia
facilmente assorbibile e utilizzabile. Gli alimenti di questo gruppo contengono inoltre
proteine di ottima qualità biologica ed alcune vitamine (soprattutto B2 e A). Nell'ambito del
gruppo sono da preferire il latte parzialmente scremato, i latticini e i formaggi meno grassi;
4. il gruppo carne, pesce e uova, la cui funzione principale è fornire proteine di elevata
qualità e oligoelementi (in particolare zinco, rame e ferro altamente biodisponibile, ossia
facilmente assorbibile e utilizzabile) ed inoltre vitamine del complesso B (in particolare
vitamina B12). Nell'ambito del gruppo sono da preferire le carni magre (siano esse
bovine, avicole, suine, etc.) e il pesce. Va invece moderato, per quanto riguarda la
quantità, il consumo di prodotti a maggiore tenore in grassi, quali certi tipi di carne e di
insaccati. Per le uova, infine, un consumo accettabile per soggetti sani è quello di un uovo
2-4 volte alla settimana. In questo gruppo è conveniente - da un punto di vista
nutrizionale - includere i legumi secchi (fagioli, ceci, piselli, lenticchie, etc.), ampliando
così la possibilità di scelte e di alternative. Ciò perché i legumi - oltre a rilevanti quantità
39
di amido e di fibra - forniscono anch'essi quei nutrienti essenziali che sono caratteristici
della carne, del pesce e delle uova, come ferro, altri oligoelementi e notevoli quantità di
proteine di buona qualità biologica;
5. il gruppo dei grassi da condimento comprende tanto i grassi di origine vegetale quanto
quelli di origine animale. Il loro consumo deve essere contenuto, perché i grassi
costituiscono una fonte concentrata di energia. Va comunque tenuto presente il loro ruolo
nell'esaltare il sapore dei cibi e nell'apportare gli acidi grassi essenziali e le vitamine
liposolubili (vitamine A, D, E e K), delle quali favoriscono anche l'assorbimento. Sono da
preferire quelli di origine vegetale (in particolare l'olio extra vergine d'oliva) rispetto a
quelli di origine animale (come burro, panna, lardo, strutto, etc.
Tabella 2 Gruppi alimentari ed entità delle porzioni standard
Tratto da ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE – INRAN
“Linee guida per una sana alimentazione italiana” Roma 2003
40
La Tabella 2 riporta i gruppi alimentari e per ciascuno il peso netto in grammi delle varie
porzioni (talvolta espresse anche in termini di misure casalinghe, quali un cucchiaio, una
fetta, etc.) dei cibi più diffusi e normalmente consumati nel nostro Paese.
Oltre alle precedenti indicazioni, per una corretta alimentazione è fondamentale ridurre
quanto più possibile il consumo di sale, di zucchero e di dolci.
Nella nostra alimentazione le fonti di sodio sono molte: ne troviamo negli alimenti allo stato
naturale (ad esempio in acqua, frutta, verdura, carne, etc.), nel sale aggiunto ai piatti cucinati di
tutti i giorni, ma anche nei prodotti trasformati (ad esempio pane, prodotti da forno, olive,
formaggi, cereali per la colazione, etc.), in cui il sale è molto di più di quello che possiamo
immaginare. In realtà, il sale naturalmente contenuto negli alimenti è già sufficiente per le
nostre necessità. Aggiungendo sale a quello che mangiamo e scegliendo spesso alimenti
trasformati ricchi di altro sale, arriviamo ad assumere molto più sodio del necessario.
Secondo le nuove linee guida emanate dall'OMS gli adulti dovrebbero consumare meno di
2.000 mg di sodio o 5 grammi di sale, se la nostra alimentazione è troppo ricca di sodio,
aumenta il rischio di ipertensione arteriosa, ma anche di malattie del cuore, dei vasi sanguigni
e dei reni59
. Anche se abbiamo sempre mangiato salato, ridurre la quantità di sale che si
consuma giornalmente non è difficile, soprattutto se la riduzione avviene gradualmente. Infatti
il nostro palato si adatta facilmente ed è quindi possibile rieducarlo a cibi meno salati. Entro
pochi mesi o addirittura settimane, gli stessi cibi appariranno saporiti al punto giusto, mentre
sembreranno troppo salati quelli conditi nel modo precedente. Le spezie e le erbe aromatiche
possono sostituire il sale o almeno permettere di utilizzarne una quantità decisamente minore,
conferendo uno specifico aroma al cibo e migliorandone le qualità organolettiche. Il succo di
limone e l’aceto permettono di dimezzare l’aggiunta di sale e di ottenere cibi ugualmente
saporiti, agendo come esaltatori di sapidità. Limitare, invece, per rende i cibi più saporiti l’uso
di dadi da brodo, senape, salsa di soia e ketchup, che sono ricchi di sale60
.
Infine, gli zuccheri sono una fonte di energia molto importante, ma come i dolcificanti,
dovrebbero essere usati il più limitatamente possibile. Le attuali linee guida raccomandano
che gli zuccheri siano inferiori al 5% delle calorie assunte giornalmente, l’equivalente, per
un adulto con un normale indice di massa corporea, a circa 25 grammi di zucchero al giorno,
pari a cinque cucchiaini. Assumiamo infatti dalla frutta, dal latte e da altri alimenti lo
59
BEAGLEHOLE R, BONITA R, HORTON R, ADAMS C, ALLEYNE G, ASARIA P, ET AL. “Priority
actions for the non-communicable disease crisis” Lancet 2011;377:1438-47 60
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Guideline: Sodium intake for adults and children” Geneva, 2012
41
zucchero di cui abbiamo bisogno e a volte anche di più, soprattutto se si consumano spesso
bevande zuccherate e dolci. Nell’ambito del consumo sempre limitato di dolci, è più salutare
veicolare la scelta verso prodotti da forno senza creme (biscotti, fette biscottate, etc.) che
hanno meno zucchero e più amido e fibra. Anche le marmellate (le creme, il miele, etc.)
contengono molto zucchero e bisogna consumarne piccole quantità e occasionalmente,
proprio come le caramelle e tutti i dolci, compresi quelli dolcificati con edulcoranti. Il loro
uso, come più volte sottolineato, va comunque attentamente controllato nel quadro della
dieta complessiva giornaliera, tenendo conto del loro apporto calorico e nutritivo.
Importante sottolineare che, il consumo dei sostituti dello zucchero (cioè i dolcificanti in
polvere, liquidi o in pasticche) è indispensabile solo per chi ha il diabete, mentre per tutti gli
altri individui non lo è, nemmeno quando si sta seguendo una dieta ipocalorica per perdere
peso. L'uso di questi edulcoranti non permette, infatti, di ridurre il peso corporeo se non si
diminuisce la quantità totale di calorie e non si aumenta l'attività fisica61
.
2.2.2 ATTIVITÀ FISICA
L'organismo umano non è nato per l'inattività: il movimento gli è connaturato e una regolare
attività fisica, anche di intensità moderata, contribuisce a migliorare tutti gli aspetti della
qualità della vita. Ad ogni età, una regolare attività fisica, anche moderata, contribuisce a
migliorare la qualità della vita in quanto influisce positivamente sia sullo stato di salute,
aiutando a prevenire e ad alleviare molte delle patologie croniche (diabete di tipo 2, malattie
cardiocircolatori e tumori) sia sul grado di soddisfazione personale (contribuendo a sviluppare
dei rapporti sociali e aiutando il benessere psichico). L’esercizio fisico, infatti, riduce la
pressione arteriosa, controlla il livello di glicemia, modula positivamente il colesterolo nel
sangue, aiuta a prevenire le malattie metaboliche, cardiovascolari, neoplastiche, le artrosi e
riduce il tessuto adiposo in eccesso. Inoltre, riduce i sintomi di ansia, stress, depressione e
solitudine e comporta benefici evidenti per l’apparato muscolare e scheletrico.
L’attività fisica, quindi, contribuisce a ridurre i rischi derivanti dalle possibili patologie
collegate all’inattività fisica; ma certamente i suoi benefici effetti vanno ben oltre, perché si
riflettono su tutte le funzioni del nostro organismo e sulla maggiore efficacia degli apparati.
Il nostro corpo, infatti, si caratterizza per le sue capacità di adattamento: in caso di
prolungata inattività si determina un deterioramento di tutta una serie di funzioni, mentre un
61
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Guideline: sugars intake for adults and children” Geneva, 2015
42
movimento regolare attiva meccanismi tali da svilupparne sempre più le capacità di tutti gli
apparati (Tabella 3).
Tabella 3 - Differenze sulla salute tra individui sedentari e fisicamente attivi
Tratto da MIUR-FEDERALIMENTARE “Linee guida per un corretto stile di vita”, 2005
L'esercizio fisico, preferibilmente di tipo aerobico, deve essere di intensità non eccessiva e
protratto nel tempo, come camminare a ritmo sostenuto, correre, pedalare o nuotare. Questi
vanno integrati 2–3 volte alla settimana con esercizi di potenza, cioè più limitati nel tempo ma
più energici, per allenare la forza muscolare e rafforzare le ossa. L’attività fisica, infatti, è
definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come “qualsiasi movimento corporeo
43
prodotto dai muscoli scheletrici che richiede un dispendio energetico”.
Anche se l’intensità e le diverse forme di esercizio fisico possono variare tra i vari individui, nel
2010 l’OMS ha pubblicato le “Global recommendations on Physical activity for Health”, in cui
definisce i livelli di attività fisica raccomandata per la salute, distinguendo tre gruppi di età:
bambini e ragazzi (5-17 anni): almeno 60 minuti al giorno di attività moderata–vigorosa,
includendo almeno 3 volte alla settimana esercizi per la forza che possono consistere in
giochi di movimento o attività sportive. (Per i ragazzi, oltre agli effetti benefici generali
sulla salute, l’attività fisica aiuta l’apprendimento, rappresenta una valvola di sfogo alla
vivacità tipica della giovane età, stimola la socializzazione e abitua alla gestione dei
diversi impegni quotidiani);
adulti (18-64 anni): almeno 150 minuti alla settimana di attività moderata o 75 di attività
vigorosa (o combinazioni equivalenti delle due) in sessioni di almeno 10 minuti per volta,
con rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari da svolgere almeno 2 volte alla settimana;
anziani (dai 65 anni in poi): le indicazioni sono le stesse degli adulti, con l’avvertenza di
svolgere anche attività orientate all’equilibrio per prevenire le cadute. Chi fosse impossibilitato
a seguire in pieno le raccomandazioni deve fare attività fisica almeno 3 volte alla settimana e
adottare uno stile di vita attivo adeguato alle proprie condizioni. Per gli anziani, l’evidence
dimostra che svolgere attività sportive aiuta a invecchiare bene. Aumentano le resistenze
dell’organismo, rallenta l’involuzione dell’apparato muscolare, scheletrico e cardiovascolare e
ne traggono giovamento anche le capacità psico-intellettuali62
.
Queste raccomandazioni vanno intese come un limite minimo e chi riesce a superarle ottiene
ulteriori benefici per la propria salute; ma se si parte da una generale condizione di sedentarietà,
non bisogna scoraggiarsi: cercando di sfruttare ogni momento della giornata si può cominciare
ad essere fisicamente attivi e raggiungere più facilmente i livelli raccomandati.
Avere uno stile di vita attivo è un’abitudine influenzata da una serie complessa di variabili
sociali e individuali ed è sempre più evidente come la sedentarietà, spesso associata a
un’alimentazione quantitativamente e qualitativamente non corretta, stia diventando un
problema di salute pubblica, con un elevato carico di malattia e relativi costi sociali63
.
62
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global recommendations on physical activity for health” Geneva,
2010 63
WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE “Physical Activity and health in Europe: evidence for
action” WHO Regional Office for Europe Copenhagen, 2006
44
2.2.3 ALCOL
Le bevande alcoliche sono costituite per la maggior parte da acqua e per la restante parte da alcol
etilico (o etanolo); una quota di entità minima è rappresentata da altre sostanze sia naturalmente
presenti che aggiunte: composti aromatici, coloranti, antiossidanti, vitamine, etc.
Acqua a parte, il costituente fondamentale e caratteristico di ogni bevanda alcolica è
l’etanolo, sostanza estranea all’organismo e non essenziale, anzi per molti versi tossica48
. Il
corpo umano è per lo più in grado di sopportare l’etanolo senza evidenti danni, a patto che si
rimanga entro i limiti di quello che si intende oggi come consumo moderato, vale a dire non
più di due Unità Alcoliche (U.A.) al giorno per l’uomo, non più di una per la donna e non
più di una per gli anziani64
.
Pur non essendo un nutriente, l’etanolo apporta una cospicua quantità di calorie che si
sommano a quelle apportate dagli alimenti e possono quindi contribuire all’aumento di peso.
L’etanolo viene assorbito già nelle prime porzioni del tratto gastrointestinale e in modeste
proporzioni persino nella bocca. Alcuni fattori modificano i tempi di assorbimento: la
presenza di cibo li rallenta, mentre la presenza di anidride carbonica (soda, spumanti e altre
bevande frizzanti) li accelera.
Una volta assorbito, l’etanolo entra nel sangue e da lì va in tutti i liquidi corporei; questo
tipo di distribuzione è uno dei meccanismi fondamentali della diversa tolleranza all’alcol nei
diversi individui, nei diversi sessi e nelle diverse condizioni.
Non esistendo possibilità di deposito per l’alcol nell’organismo, esso deve essere
rapidamente metabolizzato. Questa trasformazione dell’etanolo avviene, ad opera di enzimi
specifici, a livello gastrico e soprattutto epatico e le loro capacità di trasformazione
dell’etanolo sono limitate.
La concentrazione dell’etanolo nel sangue dipende quindi da vari fattori: dalla quota ingerita,
dalle modalità di assunzione (a digiuno o a pasto), dalla composizione corporea, dal peso, dal
sesso, da fattori genetici, dalla quantità di acqua corporea, dalla capacità individuale di
metabolizzare l’alcol, dall’abitudine all’alcol. Le donne, avendo un peso minore, minori quantità
di acqua corporea e minore efficienza dei meccanismi di metabolizzazione dell’alcol, sono più
vulnerabili ai suoi effetti e, a parità di consumo, presentano un’alcolemia più elevata65
.
64
EMANUELE SCAFATO ET AL. “Nuove linee guida del consumo di alcol: evidenze e tendenze” ISS -
Osservatorio Nazionale Alcol –CNESPS - Reparto Salute della Popolazione e suoi Determinanti, Roma,
2013 65
BATTAGLIA E., NOÈ D. “Elementi di fisiologia e scienze dell’alimentazione” Mc Graw Hill, 2008
45
Gli individui sani, non in sovrappeso e che desiderino concedersi il piacere del consumo di
bevande alcoliche, devono usare l’accortezza di farlo durante i pasti ed in misura moderata,
tenendo presente il contenuto in alcol e l’apporto calorico delle varie bevande e attenendosi
ai seguenti criteri.
La dose quotidiana di alcol che una persona in buona salute può concedersi senza incorrere
in gravi danni, non può essere stabilita da rigide norme, poiché le variabili individuali sono
davvero tante: quella che è considerata una dose moderata per un individuo può essere
eccessiva invece per un altro. Un consumo moderato può essere indicato entro il limite di 2
U.A. al giorno (pari a 2 bicchieri di vino) per l’uomo e di 1 U.A. per la donna. Tale
quantità, da assumersi durante i pasti, deve essere intesa come limite massimo oltre il quale
gli effetti negativi cominciano a prevalere su quelli positivi66
.
Nei casi in cui non si consumi solo vino, bisogna imparare a tener conto di tutte le
occasioni di ingestione di altre bevande alcoliche che si presentano nel corso della
giornata (birra, aperitivi, digestivi e superalcolici nelle varie forme) e calcolare il numero
di U.A. introdotte (Tabella 4).
Tabella 4 Quantità di alcol e apporto calorico delle bevande alcoliche
Tratto da ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE – INRAN
“Linee guida per una sana alimentazione italiana” Roma 2003
66
WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global status report on alcohol and heal” Geneva, 2014
46
Bisogna fare in modo che non siano superate le capacità del fegato di metabolizzare
l’alcol. Tali capacità, in un uomo di 70 chilogrammi di peso, non superano i 6 grammi
l’ora (i grammi di alcol presenti in 100 ml si ottengono moltiplicando il grado alcolico
per 0,8). Ciò vuol dire, ad esempio, che per smaltire l’alcol contenuto in 1 bicchiere di
vino (12 grammi di alcol) sono necessarie circa 2 ore (vedi Tabella 2). Bere con
moderazione, quindi, certamente significa bere poco, ma anche evitare di bere in maniera
troppo ravvicinata, così da permettere al nostro organismo di smaltire meglio l’etanolo.
Le bevande alcoliche ad alta gradazione (grappa, whisky, vodka, etc.), che, per
caratteristiche e consuetudini, vengono assunte fuori pasto, devono essere considerate con
la massima attenzione oppure evitate del tutto, specialmente se a stomaco vuoto. Bisogna
anche evitare di consumare bevande alcoliche in maniera concentrata nel fine settimana,
abitudine invece diffusa in molti Paesi occidentali.
È opportuno, inoltre, usare particolare cautela in certe ben identificate fasi della vita e in
certi gruppi di popolazione a rischio. Nell’infanzia e nell’adolescenza occorre evitare del
tutto l’uso di bevande alcoliche sia per una non perfetta capacità di trasformare l’alcol sia
per il fatto che, più precoce è il primo contatto con l’alcol, maggiore è il rischio di abuso.
Le donne in gravidanza e in allattamento dovrebbero astenersi completamente dal
consumo di alcolici; l’alcol, infatti, si distribuisce in tutti i fluidi e le secrezioni e quindi
arriva al feto, attraversando la barriera placentare e al bambino, tramite il latte, rischiando
di provocare seri danni. Nell’anziano, l’efficienza dei sistemi di metabolizzazione
dell’etanolo diminuisce in maniera rilevante e il contenuto totale di acqua corporea è più
basso; è perciò consigliabile limitare il consumo di alcolici ad 1 U.A. al giorno. Gli
alcolisti in trattamento e gli ex alcolisti, devono assolutamente astenersi dal consumo di
qualsiasi bevanda alcolica.
Estrema attenzione deve essere posta al problema delle interazioni tra alcol e farmaci. Chi
segue una qualsiasi terapia farmacologia deve consigliarsi con il proprio medico curante
sull’opportunità di bere alcolici. Identica attenzione deve essere rivolta anche ai comuni
farmaci da banco, per molti dei quali è da suggerire l’astensione dal consumo
concomitante di alcolici48
.
E’ stato evidenziato, di recente, che per alcune patologie (come ad esempio la cardiopatia
coronarica, il diabete di tipo II, etc.) i pochi effetti positivi sono persi se - anche
occasionalmente - si perde la connotazione del bere moderato, indulgendo in situazioni di
47
consumo eccessivo episodico come ad esempio avviene consumando in un tempo ristretto
più di 5-6 bicchieri di bevande alcoliche, fenomeno non raro tra gli adulti e fin troppo noto
tra i giovani che praticano il binge drinking. Le più recenti evidenze della International
Agency for Research on Cancer (IARC) mostrano che per molte patologie, tra cui il cancro,
è difficile definire un livello di consumo privo di rischio. Non sono identificabili pertanto
“dosi-soglia” sotto le quali non si corrano rischi per la salute, poiché il rischio cresce
progressivamente con le quantità consumate di bevanda alcolica e indipendentemente dal
tipo di bevanda alcolica, rispettando l’unica regola secondo cui maggiore è la quantità
ingerita, tanto più alto il rischio54
.
2.2.4 FUMO
L’abitudine al fumo (tabagismo) rappresenta in tutto il mondo uno dei più grandi problemi di
sanità pubblica ed è uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di patologie
neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS), entro il 2030, il fumo causerà 8 milioni di decessi l’anno67
.
In generale va considerato che la qualità di vita del fumatore è seriamente compromessa a
causa della maggiore frequenza di patologie respiratorie (tosse, catarro, bronchiti ricorrenti e
asma) e cardiache (ipertensione, ictus e infarto).
Gli effetti del fumo sulla salute si riscontrano sia sui consumatori di tabacco e sia sui non
tabagisti. Il fumo inalato attivamente o passivamente è un complesso miscuglio gassoso,
contenente oltre 4.000 molecole, la maggior parte dannose per l'organismo umano68
. Fra le
sostanze dannose contenute nel fumo prendiamo in considerazione le più importanti: il
monossido di carbonio, la nicotina, i prodotti irritanti, il catrame ed i suoi derivati. Il
monossido di carbonio si lega con estrema facilità all’emoglobina formando la
carbossiemoglobina che nei fumatori può arrivare in circolo al 10-15%: ciò provoca
diminuzione della capacità respiratoria e di conseguenza minore tendenza ad affrontare
sforzi fisici. Infatti, è proprio durante uno sforzo che il nostro organismo ha bisogno di un
maggiore apporto di ossigeno, sia per il lavoro dei muscoli sia per il funzionamento dei vari
organi. Fumare è pericoloso anche per i cardiopatici, per i quali una diminuzione della
67
WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE “WHO European strategy for smoking cessation policy”
European tobacco control policy serie, WHO Regional Office for Europe, Copenhagen, 2004 68
PIERGIORGIO ZUCCATO ET AL. “Smettere di fumare. Guida pratica da leggere,compilare e
personalizzare”, Istituto Superiore di Sanità, Osservatorio Fumo, Alcol e Droga. Roma, 2007
48
quantità di ossigeno è molto rischiosa. La nicotina è una sostanza molto tossica a cui si
devono l'aroma e il sapore del tabacco, ma è un potente veleno sia per il sistema nervoso
centrale sia per i centri nervosi che controllano l'apparato circolatorio69
.
Nei fumatori abituali, la nicotina agisce fondamentalmente come un eccitante, ma tale
azione è temporanea e cessa nel momento in cui si finisce di fumare. Questo porta il
fumatore a ricercare lo stimolo accendendo un'altra sigaretta. È quindi la nicotina la
responsabile della dipendenza dal tabagismo, che spinge il fumatore a continuare a fumare.
La dipendenza alla nicotina contenuta nelle sigarette costituisce l’ostacolo principale per
smettere di fumare, tuttavia giocano un ruolo importante anche fattori di natura psicologica e
sociale70
. Per questo motivo non esiste un metodo valido per tutti.
Smettere di fumare da soli è possibile. I più recenti dati ISTAT indicano, infatti, che il 90%
degli ex fumatori ha smesso senza bisogno di aiuto. Se un fumatore decide di provare da solo a
smettere è bene metterlo a conoscenza che le prime 24 ore dall’ultima sigaretta sono le più
difficili e i primi 4 giorni sono più intensi i sintomi dell’astinenza che tendono ad attenuarsi
dalla prima settimana al primo mese, mentre sensazioni di malessere (affaticabilità, irritabilità,
difficoltà di concentrazione, aumento dell’appetito, etc.) possono persistere anche per alcuni
mesi. È importante spiegare che il desiderio impellente di una sigaretta dura solo pochi minuti;
dopo diventa nettamente inferiore e non è difficile adottare strategie per distogliere il pensiero:
bere un bicchiere d’acqua a piccoli sorsi, lentamente, tenendo l’acqua in bocca per un attimo
prima di deglutire in quanto questo aiuta a “spegnere” il desiderio, fare attività fisica e distarsi.
La nicotina è un anoressizzante: quindi, smettendo di fumare, è possibile un aumento di peso
non superiore ai due o tre chili. Non tutti comunque ingrassano, ma è importante dare
l’indicazione che è sufficiente cambiare gradualmente le proprie abitudini alimentari, riducendo
la quantità di cibo per pasto, preferire 4-5 pasti leggeri piuttosto che due abbondanti, bere molti
liquidi, ridurre il consumo di alcolici, scegliere frutta e verdura quando si sente la necessità di
mangiare qualcosa fra i pasti e, infine, aumentare l’attività fisica. Una sana alimentazione aiuta
anche nel superare la stipsi dovuta avvolte all’astinenza dal fumo.
Si definisce “craving” il desiderio, la necessità impellente di fumare. A volte il paziente
avverte la sensazione di non poter superare i momenti in cui il “craving” si presenta. E’
69
HUGHES JR “Effects of abstinence from tobacco: valid symptoms and time course” Nicotine Tob Res, vol.
9, n. 3, 2007 70
CHRISTAKIS NA, FOWLER JH. “The collective dynamics of smoking in a large social network” N Engl J
Med 2008
49
anche bene ricordare che può capitare di ricominciare a fumare e ciò può servire a
riconoscere e ad affrontare meglio i momenti critici; le ricadute fanno parte del percorso di
cambiamento e non devono scoraggiare, ma possono essere utili per conoscere ed affrontare meglio
i momenti critici e continuare nel proprio percorso di disassuefazione con autodeterminazione.
Se il fumatore non riesce a smettere da solo, la cosa migliore da fare è contattare il proprio
medico di famiglia e decidere insieme un percorso terapeutico multidisciplinare integrato tra
diverse figure professionali (medico, infermiere, psicologico, etc.) incrementando così,
l’efficacia della disassuefazione. La scienza ha dimostrato che maggiore è il supporto che si
riceve, più alta è la probabilità di smettere di fumare in modo definitivo71
. Le strategie per
smettere di fumare oggi comprendono:
Terapie farmacologiche: la terapia con i sostitutivi della Nicotina (NRT) e il Bupropione
aiutano i fumatori ad astenersi e ad alleviare i sintomi dell’astinenza; inoltre, si stanno
studiando nuovi farmaci, specificatamente per fumatori, che diminuiscano il piacere
associato al fumo72
.
Terapie alternative: l'agopuntura e l’auricoloterapia provocano il rilascio di endorfine
(antidolorifici naturali) permettendo al corpo di rilassarsi; sono un valido aiuto per
smettere di fumare e nella gestione dei sintomi di astinenza dal fumo73
.
Il sostegno psicologico di operatori specializzati, sia vis à vis che telefonico, facilita la
decisione al cambiamento, aiuta a rafforzare le motivazioni; le terapie di gruppo
aggiungono alle strategie cognitive e comportamentali la condivisione dei problemi e
delle motivazioni con altri fumatori72
.
Quando si smette di fumare, i benefici per il corpo si fanno sentire in breve tempo per poi
aumentare negli anni fino ad una scomparsa quasi totale dei danni causati dal tabagismo
(Tabella 5)74
.
71
SCHONBERGER, R., FAGERSTROM, K.O., KUNZE, M. “Psycological and physiological dependence in
smokers and there effect on motivation for smoking cessation”. Wien. Med. Wochenschr., 1995 72
MINISTERO DELLA SALUTE – ISTITUTO SUPERIORE SANITÀ - OSSERVATORIO FUMO, ALCOL
E DROGA “Linee guida cliniche per promuovere la cessazione dell’abitudine al fumo” Roma, 2008 73
ROTOLO G, PICOZZI G “Acudetox” Collana Terapie Naturali, Franco Cerati Ed., Milano 1997 74
MAHMUD A, FEELY J. “Effect of smoking on arterial stiffness and pulse pressure amplification”
Hypertension. 2003
50
20 minuti
Pressione e polso ritornano normali.
Migliora la circolazione dei piedi e delle mani, normalizzando anche la
temperatura.
8 ore I livelli di ossigeno nel sangue ritornano normali.
La probabilità di infarto iniziano a ridursi.
24 ore Il monossido di carbonio viene eliminato dall’organismo.
Muco e altri detriti iniziano a essere rimossi dal polmone.
48 ore La nicotina non è più rintracciabile nell’organismo.
Migliorano l’olfatto e il gusto.
72 ore La respirazione migliora per la dilatazione delle vie bronchiali.
Aumentano le energie.
2 settimane Migliora la circolazione dell’organismo, rendendo meno faticoso camminare.
3 mesi
I problemi respiratori quali tosse, mancanza di fiato e respiro sibilante
mostrano miglioramenti.
La funzione respiratoria migliora.
5 anni Il rischio di infarto è circa dimezzato rispetto a un fumatore.
Tabella 5 Effetti benefici dell'astensione al fumo
Tratto da American Cancer Society “When smokers quit – what are the benefits over time?” 2014
51
CAPITOLO III
IL RUOLO DELL'INFERMIERE NELL'AMBITO DEL CHRONIC
CARE MODEL
Scrutando gli scenari futuri, si scopre che il modello tradizionale di assistenza sanitaria
(biomedico, paternalista, basato sull’attesa e focalizzato sull’assistenza alle patologie acute) è
sempre meno in grado di affrontare con successo le sfide di una realtà in rapido cambiamento.
Lo status quo non è più sostenibile: se si vuole soddisfare il bisogno di salute degli utenti negli
anni a venire, bisogna produrre un cambiamento radicale nella qualità, nell’organizzazione e
nell’erogazione dei servizi75
.
3.1 IL CAMBIAMENTO DI PARADIGMA: DALLA SANITÀ DI ATTESA ALLA
SANITÀ DI INIZIATIVA
Le strategie per affrontare adeguatamente le malattie croniche sono ben diverse da quelle attuate
per la malattie acute: richiedono un diverso ruolo delle cure primarie basato sulla medicina
d’iniziativa ed un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei determinanti sociali della salute.
Il paradigma dell’attesa è quello tipico delle malattie acute: attesa di un evento su cui intervenire,
su cui mobilitarsi per risolvere il problema.
SANITÀ D’ATTESA SANITÀ D’INIZIATIVA
Centrata sulla malattia Centrata sulla persona
Basata sull’ospedale e sulle attività
specialistiche Basata sulle cure primarie
Focus sugli individui Focus sui bisogni della comunità
Reattiva, guidata dai sintomi Proattiva, pianificata
Focalizzata sulla terapia Focalizzata sulla prevenzione
Tabella 6 Cambiamento di paradigma Tratto da PAN AMERICAN HEALTH ORGANIZATION “Innovative care for chronic conditions” 2013
75
FEDERAZIONE ITALIANA MEDICI DI MEDICINA GENERALE “La Ri-Fondazione della Medicina
Generale” Consiglio Nazionale FIMMG, Roma, 2007
52
Applicare alle malattie croniche il paradigma assistenziale delle malattie acute, provoca danni
incalcolabili. Ciò significa che il sistema si mobilita davvero solo quando il paziente cronico si
aggrava, si scompensa, diventa finalmente un paziente acuto; significa, inoltre, rinunciare non
solo alla prevenzione, alla rimozione dei fattori di rischio, ma anche al trattamento adeguato
della malattia cronica di base (Tabella 6).
L’attesa è il paradigma classico del modello biomedico di sanità, quello su cui si fonda il sistema
sanitario; e non deve stupire che sia il paradigma dominante anche nell’ambito della sanità
distrettuale.
Il paradigma dell’iniziativa è quello che meglio si adatta alla gestione delle malattie croniche
perché i suoi attributi sono:
La valutazione dei bisogni della comunità e l’attenzione ai determinanti della salute
(anche quelli cosiddetti “distali”, ovvero quelli socioeconomici, che sono alla base delle
crescenti diseguaglianze nella salute, anche sul versante dell’utilizzazione e qualità dei
servizi, nei portatori di malattie croniche);
La propensione agli interventi di prevenzione, all’utilizzo di sistemi informativi ed alla
costruzione di database, alle attività programmate ed agli interventi proattivi (es. costruzione
di registri di patologia, stratificazione del rischio, richiamo programmato dei pazienti, etc.)
Il coinvolgimento e la motivazione degli utenti, l’attività di counselling individuale e di
gruppo, l’interazione con le risorse della comunità (associazioni di volontariato, gruppi di
auto aiuto, etc.)76
.
La sanità d’iniziativa, con le caratteristiche sopra descritte, è quella che meglio si adatta alla
gestione della sanità distrettuale in generale e delle malattie croniche in particolare, dove
l’assistenza è per la gran parte “estensiva” e caratterizzata dalla presa in carico a lungo
termine, dove il valore aggiunto dei processi di cura è rappresentato dalla capacità di
presidiare la continuità delle cure e dalla qualità delle relazioni che si stabiliscono tra
servizio e utenti, tra professionista della salute e paziente77
.
Lo sviluppo della sanità di iniziativa si basa: su un nuovo modello assistenziale per la presa
in carico “proattiva” dei cittadini e su un nuovo approccio organizzativo che assume il
bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia, o prima che essa si manifesti o si
76
DAVIS K, SCHOENBAUM SC, AUDET AM “A 2020 vision of patient-centered primary care” Journal of
General Internal Medicine, Vol.20, 2005 77
DE MAESENEER J, WILLEMS S, DE SUTTER A, VAN DE GEUCHTE I, BILLINGS M. “Primary health
care as a strategy for achieving equitable care: a literature review commissioned by the Health Systems
Knowledge Network”. Health Systems Knowledge Network – WHO, 2007
53
aggravi, prevedendo ed organizzando le risposte assistenziali adeguate.
Tale processo riguarda in maniera integrata i percorsi ospedalieri, la presa in carico del
cittadino da parte del territorio, la integrazione multidisciplinare dei professionisti e la
valutazione multidimensionale del bisogno.
Pertanto, l’obiettivo strategico consiste in: un nuovo approccio organizzativo che assume il
bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia e che organizza un sistema che
accompagna il cittadino, favorendo lo sviluppo di condizioni che permettono di mantenere il
livello di salute il più alto possibile; un sistema capace di gestire, rallentandone il decorso, le
patologie croniche ed anche di affrontare con efficacia l’insorgenza di patologie acute.
Risulta determinante, dunque, ripensare i modelli organizzativi, puntando a definire
contenuti assistenziali integrati in un contesto organico di ruoli e funzioni, rimuovendo gli
ostacoli all’integrazione dei professionisti78
.
In questa ottica assume una particolare valenza la capacità del sistema di farsi carico della
promozione della salute attraverso opportune iniziative di prevenzione primaria, quali
l’adozione di corretti stili di vita ed in particolare l’attenzione all’esercizio della attività fisica,
di corrette abitudini alimentari e di eliminare il consumo di tabacco che debbono comunque
essere viste non solo come strumento di prevenzione, ma anche come indispensabile sussidio
alle terapie nella gestione della patologia nel caso di insorgenza della stessa.
Nella filosofia di adozione del modello, la prevenzione secondaria e gli screening in particolare,
dovranno avere un ruolo primario nella diagnosi precoce di molte patologie croniche79
.
78
STARFIELD B, SHI L, MACINKO J. “Contribution of primary health care to health systems and health”
Milbank Q. 2005 79
MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sanitario nazionale 2011-2013” Roma, 2010
54
3.2 IL CRONICAL CARE MODEL
La gestione dell’incremento della prevalenza di cronicità rappresenta uno dei problemi
sanitari e sociali più rilevanti che le società così dette evolute debbono affrontare; con
l’aumento della speranza di vita della popolazione, la diffusione e la presenza delle malattie
croniche sono in continuo aumento.
Attualmente i 4/5 delle prestazioni sanitarie sono richieste per il trattamento della cronicità
ed i 2/3 dei ricoveri sono ad esse attribuibili; alcuni studi predittivi stimano che nel 2020
circa il 60% della popolazione sarà affetto da patologie croniche.
La sanità di iniziativa, intesa come modello assistenziale per la presa in carico, nell’ambito delle
malattie croniche costituisce un nuovo approccio organizzativo che affida alle cure primarie
l’ambizioso compito di programmare e coordinare gli interventi a favore dei malati cronici15
.
Il capostipite dei modelli innovati di assistenza è il Chronic Care Model (CCM), sviluppato
dai ricercatori del MacColl Institute for Healthcare Innovation, guidati da E.H.Wagner. Il
modello fu testato in vari setting assistenziali e venne quindi sviluppato attraverso un
programma nazionale: "Improving Chronic Illness Care" (ICIC).
Il Chronic Care Model individua in modo puntuale le variabili fondamentali che rendono
possibile un approccio sistemico alle malattie croniche; sistemico in quanto muove tutte le leve
organizzative ed operative per promuovere un approccio appropriato da parte degli operatori.
Il presupposto di questo modello è che, per essere efficaci, efficienti ed attenti ai bisogni globali
dei pazienti, è necessario anche l’impegno di tutto il sistema organizzativo; infatti, il disegno del
CCM pone, in un unico quadro d’insieme, tutti quei fattori organizzativi ed operativi del sistema
sanitario e della comunità che risultano predisponenti per l’azione efficace delle persone (gli
operatori ed i pazienti) dalle cui attività scaturiscono i risultati attesi80
.
Per garantire una buona assistenza al paziente cronico, questo modello deve essere fondato
su sei elementi fondamentali:
1. Le risorse della comunità. Per migliorare l’assistenza ai pazienti cronici le organizzazioni
sanitarie devono stabilire solidi collegamenti con le risorse della comunità: gruppi di
volontariato, gruppi di auto aiuto, centri per anziani autogestiti.
2. Le organizzazioni sanitarie. Una nuova gestione delle malattie croniche dovrebbe entrare
a far parte delle priorità degli erogatori e dei finanziatori dell’assistenza sanitaria. Se ciò
80
WAGNER EH. “Chronic disease management: what will it take to improve care for chronic illness?” Eff.
Clin. Pract. 1998
55
non avviene, difficilmente saranno introdotte innovazioni nei processi assistenziali e
ancora più difficilmente sarà premiata la qualità dell’assistenza.
3. Il supporto all’auto-cura. Nelle malattie croniche il paziente diventa protagonista attivo dei
processi assistenziali. Il paziente vive con la sua malattia per molti anni; la gestione di
queste malattie può essere insegnata alla maggior parte dei pazienti e un rilevante segmento
di questa gestione – la dieta, l’esercizio fisico, il monitoraggio (della pressione, del glucosio,
del peso corporeo, etc.), l’uso dei farmaci – può essere trasferito sotto il loro diretto
controllo. Il supporto all’auto-cura significa aiutare i pazienti e le loro famiglie ad acquisire
abilità e fiducia nella gestione della malattia, procurando gli strumenti necessari e valutando
regolarmente i risultati e i problemi.
4. L’organizzazione del team. La struttura del team assistenziale (medici di famiglia,
infermieri, educatori) deve essere profondamente modificata, introducendo una chiara
divisione del lavoro e separando l’assistenza ai pazienti acuti dalla gestione programmata ai
pazienti cronici. I medici trattano i pazienti acuti, intervengono nei casi cronici difficili e
complicati e formano il personale del team. Il personale non medico è formato per
supportare l’auto-cura dei pazienti, per svolgere alcune specifiche funzioni (test di
laboratorio per i pazienti diabetici, esame del piede, etc.) e assicurare la programmazione e
lo svolgimento del follow-up dei pazienti. Le visite programmate sono uno degli aspetti più
significativi del nuovo disegno organizzativo del team.
5. Il supporto alle decisioni. L’adozione di linee-guida basate sull’evidenza forniscono al team
gli standard per fornire un’assistenza ottimale ai pazienti cronici. Le linee-guida sono
rinforzate da un’attività di sessioni di aggiornamento per tutti i componenti del team.
6. I sistemi informativi. I sistemi informativi computerizzati svolgono tre importanti funzioni: come
sistema di allerta che aiuta i team delle cure primarie ad attenersi alle linee-guida; come
feedback per i medici, mostrando i loro livelli di performance nei confronti degli indicatori delle
malattie croniche, come i livelli di emoglobina A1c e di lipidi; come registri di patologia per
pianificare la cura individuale dei pazienti e per amministrare un’assistenza “population-based”.
I registri di patologia – una delle caratteristiche centrali del Chronic Care Model – sono liste di
tutti i pazienti con una determinata condizione cronica in carico a un team di cure primarie81
.
81
BODENHEIMER T, WAGNER EH, GRUMBACH K. “Improving primary care for patients with chronic
illness” Journal of the American Medical Association, 2002
56
Figura 8 Chronic Care Model
Tratto da WAGNER EH. “Chronic disease management: what will it take to improve care for chronic illness?”
Eff. Clin. Pract. 1998
Le sei componenti del Chronic Care Model sono interdipendenti, costruite l’una sull’altra
(Figura 8). Le risorse della comunità aiutano i pazienti ad acquisire abilità nell’auto-gestione. La
divisione del lavoro all’interno del team favorisce lo sviluppo delle capacità di addestramento
dei pazienti all’auto-cura da parte degli infermieri. L’adozione di linee-guida non sarebbe
attuabile senza un potente sistema informativo che funziona da allerta e da feedback dei dati.
Come obiettivo finale, il Chronic Care Model (CCM) vede un paziente informato che
interagisce con un team preparato e proattivo, con lo scopo di ottenere cure primarie di alta
qualità, un’utenza soddisfatta e miglioramenti nello stato di salute della popolazione.
Il CCM è stato adottato dall’OMS e largamente introdotto nelle strategie d’intervento dei sistemi
sanitari di diversi paesi, dal Canada all’Olanda, dalla Germania al Regno Unito82
.
Un gruppo di ricercatori canadesi ha proposto una versione Expanded del Chronic Care Model,
in cui gli aspetti clinici sono integrati da quelli di sanità pubblica, quali la prevenzione primaria
82
MACIOCCO G. “Assistere le persone con condizioni croniche” Redazione Salute Internazionale, 2011
57
collettiva e l’attenzione ai determinanti della salute; gli outcome non riguardano solo i pazienti,
ma le comunità e l’intera popolazione (Figura 9)83
.
Figura 9 Expanded Chronic Care Model
Tratto da BARR VJ ET AL. “The expanded chronic care model: An integration of concepts and strategies from
Population Health Promotion and the Chronic Care Model” Healthcare Quarterly 2003
3.3 LA STRATIFICAZIONE DELLA POPOLAZIONE PER LA
PERSONALIZZAZIONE DELLA CURA
La personalizzazione della cura, considerata sia nei suoi aspetti clinici (la cura più
appropriata nel paziente giusto) sia nei suoi aspetti personali (persona portatrice di bisogni
globali, non solo clinici), è un aspetto fondamentale per la gestione dei pazienti con
patologie a lungo termine.
Kaiser Permanente, organizzazione sanitaria integrata no profit in numerose regioni degli
Stati Uniti, ha integrato il modello del Chronic Care Model di Ed Wagner con una
particolare attenzione alla stratificazione del rischio ed una differenziazione delle strategie
83
BARR VJ, ROBINSON S, MARIN-LINK B, UNDERHILL L, DOTTS A, RAVENSDALE D, SALIVARAS
S. “The expanded chronic care model: An integration of concepts and strategies from Population Health
Promotion and the Chronic Care Model” Healthcare Quarterly, 2003
58
d’intervento in relazione ai differenti livelli di rischio. La stratificazione dei rischi, delineata
nella Figura 10, permette di inquadrare la stadiazione (il grado di avanzamento e di
compenso) della patologia cronica e di delineare il percorso di cura più appropriato per il
singolo paziente.
Figura 10 Il triangolo di stratificazione del rischio
Tratto da MACIOCCO G. “Assistere le persone con condizioni croniche” Redazione Salute Internazionale, 2011
Per la stratificazione è opportuno che si utilizzino non solo i parametri tipici dei processi di
stadiazione clinica (disease staging), ma anche metodi per valutare le potenzialità del
paziente di acquisire e utilizzare strumenti di autogestione della propria patologia e della
propria cura. La promozione della salute posta alla base del Triangolo di stratificazione del
rischio dovrebbe, quindi, essere vista come uno strumento non solo di prevenzione primaria,
ma di supporto alla cura dei pazienti cronici a qualsiasi stadio evolutivo di malattia.
Nella stratificazione da utilizzare per i programmi di governo clinico, quindi, vi è la
necessità di contemplare sia variabili cliniche sia variabili non-cliniche di complessità.
Si considerino, ad esempio, alcune problematiche socio-familiari che possono aggravare il quadro
di complessità assistenziale, malgrado uno stadio non molto avanzato di malattia. Secondo un tale
approccio, la decisione sul grado di complessità dovrebbe essere il risultato di una somma
59
ponderata di fattori concorrenti, clinici (stadio della malattia) e non clinici (rete di supporto socio-
familiare, potenzialità effettive del paziente nei programmi di self care). Il risultato di un tale
processo sarà un piano di cura effettivamente personalizzato rispetto ai fabbisogni assistenziali e
alle caratteristiche e potenzialità del paziente e della sua rete di sostegno84
.
La stadiazione della patologia rappresenta in ogni caso una funzione indispensabile per tutti
quegli interventi di sanità pubblica e di rifunzionalizzazione dei servizi che si prefiggano di
rivedere il funzionamento dell’organizzazione complessiva dell’assistenza all’interno del
sistema relativamente all’appropriatezza del percorso assistenziale nei suoi aspetti clinici e nei
suoi aspetti organizzativi. La suddivisione dei pazienti in sub-popolazioni (sub-target)
omogenee per fabbisogno assistenziale permette, infatti, di poter delineare percorsi
assistenziali mirati e personalizzati85
.
3.4 UN APPROCCIO MULTIPROFESSIONALE PER COMBATTERE LA
CRONICITÀ
I pazienti cronici necessitano di un livello di supporto molto elevato all'interno della loro
comunità per mantenere al meglio il proprio stato di salute ed i livelli di funzionalità quanto
più a lungo possibile. Necessitano di abilità di auto-cura per gestire i problemi a domicilio,
unitamente ad un'assistenza proattiva, integrata, progettata e gestita in modo da anticipare i
loro bisogni, cosicché qualsiasi cambiamento o deterioramento delle loro condizioni possa
essere rapidamente affrontato prima che si trasformi in una situazione acuta.
Nel modello del Chronic Care Model la gestione delle patologie croniche è affidata ad un team
multiprofessionale costituito da Medici di Medicina Generale, Infermieri e altri professionisti
della salute, che opera in maniera integrata sulla base delle proprie specifiche competenze.
L’attuale sistema italiano delle cure primarie presenta una serie di criticità che impediscono
una risposta effettiva a tale esigenza, sia a livello clinico gestionale (presa di contatto tardiva
con i pazienti quasi sempre per il trattamento di disturbi acuti, scarsa attenzione alla
prevenzione, poca abitudine alla programmazione delle cure e affidamento delle stesse al
solo medico, disarticolazione dei sistemi di raccolta delle informazioni) sia a livello di
follow-up (scarsa attenzione al coordinamento delle attività ed alla comunicazione interna)
sia a livello di empowerment del paziente (il paziente non è abbastanza informato sulla
84
NOTO G. RASCHETTI R. MAGGINI M. “Gestione integrata e percorsi assistenziali” Il Pensiero
Scientifico Editore. Roma, 2011 85
PAN AMERICAN HEALTH ORGANIZATION “Innovative care for chronic conditions” Washington, DC. 2013
60
propria patologia per poter orientare consapevolmente il proprio comportamento e
condividere il percorso di cura)86
.
L’evoluzione organizzativa prospetta, dunque, il superamento delle suddette criticità tramite
modalità innovative di lavoro che prevedono l’adozione di cartelle cliniche informatizzate e
condivise, la pianificazione individuale delle cure, l’educazione dei pazienti al self
management e la condivisione dei percorsi di cura, lo sviluppo di competenze gestionali e
l’utilizzo continuo dell’audit nell’ambito del team, senza dimenticare l’opportunità della
disponibilità di adeguate risorse ambientali.
L’utilizzo di tali strumenti consente al team assistenziale di disporre di informazioni complete
sui pazienti, ma anche di sistemi di supporto decisionale e di risorse (umane e tecnologiche)
per poter adottare i necessari interventi di assistenza e prevenzione, pianificare ed effettuare
prestazioni secondo la migliore pratica clinica, offrire servizi di case management e supporto
all’auto-cura tramite personale appositamente formato, assicurare il follow-up ed il
coordinamento delle cure, definendo a tal fine la distribuzione dei compiti al proprio interno87
.
La supervisione sulle attività spetta al MMG, quale figura che, pur nell’ambito di un team
assistenziale incaricato di attuare un innovativo modello di gestione della cronicità,
mantiene comunque un’evidente centralità connessa al rapporto di fiducia e di libera scelta
che intrattiene con il cittadino utente ed al servizio di diagnosi, cura e relazione col paziente
che egli continua ad esercitare88
.
Se da un lato, dunque, il MMG mantiene il ruolo di responsabile clinico del team e del
paziente, dall’altro lo svolgimento delle articolate attività previste dai percorsi assistenziali,
per il livello di specificità e l’impegno richiesto, presuppone la valorizzazione delle
competenze dei professionisti sanitari dell’assistenza e della riabilitazione ed il pieno
coinvolgimento degli operatori socio sanitari nell’ambito del team. In particolare, l’infermiere
viene ad assumere autonomia e responsabilità per funzioni specifiche attinenti alla gestione
assistenziale del paziente (sulla base di protocolli condivisi e coerenti con i percorsi
assistenziali designati). Spetta a tutti i professionisti coinvolti la responsabilità dei risultati
complessivi dell’attività clinica e assistenziale del team sul quale è tenuto ad intervenire
qualora si evidenzino criticità nel rapporto con il cittadino. Peraltro, una volta ridefinito il
86
MACIOCCO G. “Cure Primarie: storia e prospettive”, Prospettive sociali e sanitarie n.3, 2008. 87
QUADERNI DEL MINISTERO DELLA SALUTE “Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e
strutturale nell’assistenza del paziente complesso” Ministero della Salute, Roma, 2013 88
IANIRO G. BARASSI L. “La gestione del paziente cronico nel setting della continuità assistenziale” 2012
61
ruolo dell’infermiere e di tutti i professionisti impegnati nei percorsi assistenziali, occorre
comunque considerare la necessità di garantire le funzioni di assistenza alla persona nei casi di
non autosufficienza o laddove risulti comunque necessario89
.
Nella logica di un modello assistenziale che guarda al paziente come parte di una comunità e
nella conseguente necessità di associare una prospettiva di sanità pubblica a quella clinica
del MMG, il team assistenziale viene ad essere affiancato e valutato dal medico di comunità
quale figura deputata all’organizzazione dei servizi alla collettività attraverso l’analisi dei
bisogni di salute, l’attivazione della rete dei professionisti, la costruzione di alleanze con le
istituzioni, il monitoraggio dei risultati e la valutazione delle risorse necessarie, in una veste
di vero e proprio manager del sistema, ovvero community manager.
La sinergia tra gli strumenti del team e l’organizzazione di una rete assistenziale intorno al
cittadino da parte del community manager, dà come risultato un paziente informato e
consapevole del proprio ruolo di self-manager, in grado di condividere il proprio percorso di
cura con il team assistenziale, di identificare ed affrontare responsabilmente eventuali
ostacoli, ma anche di non isolarsi e di avvalersi di risorse disponibili a livello di comunità
per il mantenimento o il miglioramento del proprio stato di salute90
.
3.5. L'INFERMIERE CARE MANAGER
Elemento centrale del Chronic Care Model è il focus su pazienti, famiglie e comunità informati,
motivati e supportati da un team altrettanto bene informato, motivato e collaborativo. Gli
infermieri si trovano in prima linea nella teoria e nella pratica per quanto riguarda informare ed
educare i pazienti; costruire relazioni con loro, con i caregiver e con le comunità; garantire la
continuità assistenziale; utilizzare la tecnologia per far progredire l'assistenza91
; supportare
l'aderenza nelle terapie a lungo termine; promuovere la pratica collaborativa92
.
Qualsiasi sia il modello assistenziale utilizzato, gli infermieri sono l'elemento chiave e
devono possedere le conoscenze, le capacità e gli attributi necessari per dare appieno il
proprio contributo.
89
INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES “Delivering Quality, Serving Communities: Nurses Leading
Chronic Care” Geneva, 2010 90
GIUSTINI SAFFI E. “La sanità d’iniziativa nel Chronic Care Chronic Care Model - Un approccio
multidisciplinare e multiprofessionale per combattere le cronicità” Istituto Superiore Sanità, 2013 91
INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES. “International Competencies for Telenursing” Geneva, 2007 92
INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES. “Collaborative Practice in the 21st Century” Geneva, 2004
62
Sono necessari programmi di formazione e addestramento che dotino gli infermieri e le altre
figure sanitarie degli strumenti adatti per affrontare il cambiamento del peso della malattia.
Il tipo di formazione e di addestramento richiesto porta da sé ad un approccio multidisciplinare
ed interdisciplinare. Per garantire a tutti coloro che sono colpiti da patologie croniche la
disponibilità di un'assistenza completa e l'accesso a cure specialistiche quando necessario93
.
Il documento “Nursing Care Continuum Framework and Competencies” si basa sul quadro
di riferimento dell’ Internetional Council of Nurses (ICN) delle competenze dell’ infermiere
e rappresenta un solido riferimento per garantire che lungo il continuum assistenziale si
sviluppino conoscenze, abilità, attributi e competenze adeguati82
. La sfida, come sempre, è
di determinare gli elementi comuni all'assistenza ed alla gestione della cronicità che devono
essere applicati attraverso la continuità assistenziale e le specifiche conoscenze
specialistiche richieste per le comorbilità e le situazioni complesse. I confini sono tracciati in
termini di pratica specialistica, saranno determinati a livello locale e nazionale al fine di
utilizzare al meglio le risorse disponibili per soddisfare i bisogni sanitari delle popolazioni
locali. ICN fornisce un quadro di riferimento delle competenze per gli infermieri che
lavorano anche in ruoli di specialità clinica94
Le competenze richieste agli infermieri care manager per prevenire e gestire le patologie
croniche comprendono:
La partecipazione ad attività collegate al miglioramento dell'accesso alla gamma di
servizi richiesti ad una sanità efficiente.
Il rispetto del diritto del cliente all'informazione, alla scelta ed all'autodeterminazione
nell'assistenza infermieristica e sanitaria.
Il dimostrare integrità professionale, correttezza e condotta etica in risposta alle strategie
di mercato.
L'agire come risorsa di informazione e formazione per i clienti che cercano di migliorare
il proprio stile di vita, adottare attività di prevenzione della malattia/danno e di
accettazione e adattamento al cambiamento di salute, alla disabilità e alla morte .
93
INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES “Nursing Care Continuum Framework and Competencies”
Geneva, 2008 94
INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES “Framework of Competencies for the Nurse Specialist”
Geneva, 2009
63
Il riconoscere le opportunità per fornire una guida/educazione ai singoli, alle famiglie ed
alle comunità per incoraggiarli ad adottare attività di prevenzione della malattia e di
mantenimento di stili di vita sani.
Lo scegliere strategie di insegnamento/apprendimento adeguati ai bisogni e alle
caratteristiche dell'individuo o del gruppo.
Il cooperare con altri professionisti, con la comunità e con gruppi di interesse
specialistico ad attività per ridurre la malattia e promuovere stili di vita ed ambienti sani
in aree importanti per la pratica specialistica.
L’inserire nella pratica una prospettiva che tenga conto dei molteplici determinanti della
salute.
Il lavorare collaborativamente con altri professionisti dell'assistenza per favorire l'accesso
ai servizi - infermieristici e non - da parte dei clienti.
Gli infermieri care manager assumono il ruolo di guida nella gestione della cronicità96
.
3.5.1. LA STRATEGIA DELL'EMPOWERMENT E DEL SELF-MANAGMENT
Empowerment significa: incaricato; qualificato. In ambito medico è appropriata la
definizione di Feste ed Anderson che lo spiegano come un processo educativo finalizzato ad
aiutare gli utenti a sviluppare le conoscenze, le capacità, le attitudini e il grado di
consapevolezza necessari ad assumere efficacemente le responsabilità delle decisioni
attinenti la propria salute95
.
Come si deduce dalla definizione si tratta di un approccio alla gestione delle cure
prettamente educativo, nel quale il paziente è soggetto di conoscenza e di azione
responsabile riguardo alle proprie problematiche di salute.
L’ empowerment, come approccio ai problemi di salute, ha dimostrato di essere un efficace
strategia per la cura delle patologie croniche in quanto coinvolge il paziente nelle decisioni
riguardanti la propria salute e nella gestione delle proprie condizioni.
Il concetto di empowerment trae la sua origine dall’elaborazione del pedagogista Paulo
Freire. Egli distingue due approcci fondamentali all’educazione: l’approccio depositario e
quello problematizzante. Nel primo, il docente deposita un corpo definito ti conoscenze
nella mente del discente ignorante. Nel secondo, i discenti sono rispettati come uguali e,
partendo dalla loro esperienza, gli educatori devono principalmente fornire gli strumenti per
95
FESTE C. ANDERSON R.M. “Empowerment:from Philosophy to Practice. Patient Education Counselling” 1995
64
aiutarli ad analizzare la loro situazione e a definire un loro proprio piano d’azione96
. Quando
una persona ha coscienza di un problema, agisce in accordo con quanto ha compreso;
quando il problema è identificato e inteso, il soggetto accetta la sfida di formulare un’ipotesi
sulle possibili cause; considera diverse soluzioni e prende una decisione su come agire.
L’azione corrispondente al livello di coscienza ed al tipo di comprensione; se la
comprensione dei fatti è critica, anche l’azione sarà critica e consapevole97
.
Inoltre Freire sottolinea che l’educazione orientata alla formazione della coscienza critica
esige ascolto e dialogo paritario poiché l’obiettivo non è soltanto quello di fornire
informazioni, ma di mettere l’individuo nelle condizioni di definire i problemi, trovare le
soluzioni ed affrontare efficacemente l’impatto del cambiamento. Ciò presuppone la
reciprocità dell’atto fiduciario tra utente e professionista della salute.
L’affermazione di Freire “non c’è dialogo senza umiltà” evidenzia che la partnership richiede
che sia l’educatore che il discente interagiscano tra di loro come uguali, che l’atto fiduciario
sia reciproco e non unidirezionale: da una parte, nella capacità di formare del professionista
esperto, dall’altra, nella capacità di comprendere consapevolmente e di agire del discente.
L’esperto-discente, quindi, non ha soltanto il compito di trasferire informazioni, ma anche di
favorire l’organizzazione di una struttura della conoscenza capace di mettere in condizione il
paziente-discente d’identificare i propri obiettivi, intraprendere le proprie azioni e
sperimentare il proprio potere.
L’educazione all’ empowerment è disegnata per promuovere l’autogestione, richiede che il
punto di vista dell’utente, i suoi obiettivi, le sue aspettative e i suoi bisogni siano tenuti in
considerazione quando vengono stabiliti gli obiettivi del trattamento.
Un approccio per l’educazione dei pazienti orientata all’empowerment ha tre caratteristiche
distintive:
1. Affrontare sia gli effetti fisiologici che le conseguenze emotive della malattia cronica;
2. Indirizzare le abilità e la fiducia del paziente ad assumere un ruolo attivo nella
individuazione delle soluzioni ai problemi e nell’agire, piuttosto che nell’aderenza alle
prescrizioni;
96
FREIRE P. “Educazione come pratica di libertà” Mondadori - Milano 1967 97
WERNER D. SAUNDERS D. “Questioning the Solution: the politics of primary health care and child
survival” Health Wrights Paperback, 1997
65
3. Mettere pazienti e professionisti della salute in una relazione di partnership continuativa
per tutto il corso della malattia e della vita, basato sulla fiducia e sul dialogo98
.
Pertanto, se i sistemi sanitari vogliono incoraggiare i pazienti ad assumere un ruolo attivo di
autogestione, sarà necessario adottare nuovi modelli delle cure che siano più attenti alla
responsabilizzazione dell’utente99
.
Il modello del self-management richiede che i pazienti siano visti come i veri esperti della loro
condizione ed i responsabili finali delle azioni rivolte alla salute. Solo il paziente può
conoscere l’impatto che la malattia ha sulla sua vita.
L’obiettivo dell’educazione al self-management – aiutare il paziente nel padroneggiare sia le
capacità che la fiducia necessarie a gestire la propria salute – può essere adattato ai problemi
del singolo paziente in tutte le fasi di cura e della prevenzione primaria, secondaria e terziaria.
Dato che la malattia cronica cambia nel tempo solo l’utente che la vive ogni giorno può
valutare i suoi effetti e gli effetti dei trattamenti essendo essi non solo variabili ma anche
strettamente individuali. Mentre l’educazione tradizionale offre informazioni e abilità
tecniche, l’educazione all’autogestione insegna abilità nel problem-solving con approccio
centrato sulla persona100
.
Affinché l’educazione al self-management sia efficace, le cure per il paziente devono essere
coordinate tra i membri del team multiprofessionale del quale il paziente deve essere membro
attivo, avendo la maggiore responsabilità nell’autogestione quotidiana della propria condizione101
.
Le collaborative care rappresentano dunque, a fianco al self-management, l’altra
caratteristica fondamentale dell’approccio tra il team multiprofessionale e l’utente,
finalizzato allo sviluppo di un piano d’azione individuale102
. Ciascun piano d’azione deve
essere adattato all’individuo tenendo in considerazione la cultura, l’età, lo stato di salute e le
aspirazioni personali103
. Sia la ricerca che la pratica dell’ empowerment si giovano
dell’approccio narrativo che unisce la pratica al processo e presta attenzione all’opinione
degli utenti. La sfida di aiutare i pazienti a sviluppare piani di cura individualizzati. è
98
LORING K. “Patient education, a practical approach” Ed. Sage Publications Inc. 2001 99
FUNNEL M. “Helping patient take charge of their chronic illness” Family Practice Management, 2000 100
BODENHEIMER T. LORIG K. HOLMA H. GRUMBACK K. “Patient self-management of chronic
diseases, in primary care” Jam vol. 288. 2002 101
WAGNER E. “The role of patients care teams in chronic disease management” British Medical Journal
vol. 320. 2000 102
M. VON KORFF, J. GRUMAN, J.K. SCHAEFER, S.J. CURRY, E.H. WAGNER, "Collaborative
management of chronic illness", Annals of Internal Medicine 127: 1097-1102. 1997 103
FUNNEL M. “Overcoming obstacles: collaboration for change” European Journal of Endocrinology n.151.
2004
66
attribuita all’intero team professionale, in particolare all’infermiere care manager, con il
paziente che ne rappresenta il membro più importante, quello che compirà le azioni104
.
104
RAPPAPORT J. “Empowerment meets narrative: listening to stories and creating settings” Am J
Community Psychol. Vol. 23, n. 5. 1995
67
CAPITOLO IV
L’INDAGINE: LA COMUNITÀ CONOSCE E METTE IN PRATICA I
CORRETTI STILI DI VITA ATTI A PREVENIRE LE MALATTIE
CRONICHE?
4.1. OBIETTIVO
Indagare gli stili di vita e le abitudini in una popolazione campione nel territorio
genovese.
4.2. METODOLOGIA
L’indagine è stata preceduta da alcuni step fondamentali.
Si è identificato il territorio del DSS 12 della ASL 3 Genovese in quanto rappresentativo
sia dell’area centrale che periferica, al fine di rendere maggiormente significativo lo
studio rispetto alla popolazione residente. Nel DSS 12 vi sono 147.000 cittadini residenti.
Successivamente sono stati selezionati quattro studi medici associati.
I medici che hanno aderito sono stati 15 su un totale di 124 presenti nel DSS 12.
La popolazione che rappresenta il campione è stata selezionata casualmente durante i tre
mesi dell’indagine tra i pazienti che afferivano agli studi medici con età compresa tra i 25 e i
65 anni. La popolazione campione di riferimento coinvolta è risultata essere di 400 cittadini.
I MMG sono stati contattati singolarmente ed è stata chiesta loro la possibilità di un
colloquio per poter illustrare il lavoro ed ottenere l’autorizzazione.
L’autorizzazione richiedeva la possibilità di somministrare il questionario (Allegato 1) dal
titolo “La comunità conosce e mette in pratica i corretti stili di vita atti a prevenire le
malattie croniche?” ai pazienti che attendevano nelle sale d’aspetto degli studi con la
presenza del rilevatore.
L’attività si è svolta nel periodo dal 4 maggio al 24 luglio 2015, durante gli orari di presenza
negli studi dei medici che ne hanno autorizzato l’indagine per un totale di 350 ore. La
rilevazione è stata effettuata in 55 giornate dal lunedì al venerdì. È stata privilegiata la fascia
oraria pomeridiana in quanto vi era la presenza di un maggior numero di utenti che
rientravano nei criteri del campione (dai 25 ai 65 anni).
68
Ad ogni cittadino eleggibile, secondo i criteri sopra citati, si è chiesta l’autorizzazione allo
somministrazione del questionario anonimo e si è provveduto ad illustrargli lo strumento.
La presenza del rilevatore durante la somministrazione del questionario, ha portato notevoli
vantaggi: gli utenti avevano infatti la possibilità di chiedere chiarimenti in caso di dubbi durante
la compilazione ed in molti hanno colto l’occasione per chiedere informazioni in merito alle
corrette abitudini in quanto stimolati a riflettere dalle domande a cui stavano rispondendo.
Nel totale, i questionari consegnati sono stati 400 con una adesione del 100%.
4.2.1 IL QUESTIONARIO
L’indagine è stata effettuata attraverso l’utilizzo del questionario standardizzato (Allegato 1)
dal titolo “La comunità conosce e mette in pratica i corretti stili di vita atti a prevenire le
malattie croniche?”.
Le domande sono state selezionate dai seguenti questionari validati, per poter avere uno
strumento specifico per gli obiettivi dell’ indagine e la popolazione di riferimento:
Istat - Sistema Statistico Nazionale “Indagine statistica multiscopo sulle famiglie –
Aspetti della vita quotidiana”;
PASSI – Progressi delle Aziende Sanitarie della Salute in Italia “Questionario PASSI 2014”;
ISS – Osservatorio Fumo, Alcol e Droghe – OSSFAD “Questionario di valutazione degli
stili di vita”;
Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Fisiologia Clinica “ESPAD-Italia 2014 -
The European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs”.
Lo strumento, completamente anonimo ed in cui non vengono trattati dati sensibili, è
composto da 36 domande formulate con risposte auto-ancoranti, a risposta dicotomica e a
risposta multipla.
Il questionario è diviso in sezioni che trattano diverse aree tematiche utili a rilevare le
informazioni fondamentali relative alla vita quotidiana ed alle abitudini degli individui.
I principali contenuti informativi dello strumento sono:
Sezione Dati Generali (5 items: 1, 2, 3, 4, 5) - si hanno informazioni in merito al sesso,
età, titolo di studio, professione, peso ed altezza;
Sezione 1 - Movimento ed attività fisica (8 items: 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13) - si ottengono
notizie in merito al tipo e al tempo che viene dedicato al movimento ed all’attività fisica;
69
Sezione 2 - Stili alimentari (8 items: 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21) - vengono raccolte
informazioni in merito al tipo di alimentazione che viene seguita, al numero di pasti ed ai
gruppi alimentari consumati oltre al quantitativo di grassi che viene usato per il
condimento a crudo o per la cottura dei cibi;
Sezione 3 - Consumo bevande (5 items: 22, 23, 24, 25, 26) - è evidenziato il consumo di
bevande non alcoliche (acqua, bevande gassate e bevande zuccherate) e di bevande
alcoliche (birra, vino e superalcolici) durante e fuori i pasti;
Sezione 4 - Consumo di tabacco (4 items: 27, 28, 29, 30) - si selezionano le persone
fumatrici, il quantitativo medio di sigarette fumate nell’arco della giornata, se hanno mai
cercato di smettere di fumare e per quanto tempo;
Sezione 5 - Uso di sostanze psicotrope (2 items: 31, 32) - si indaga il tempo di assunzione
dei psicofarmaci se utilizzati e il numero di occasioni in cui si è fatto uso di sostanze
stupefacenti, suddividendole per tipo (cannabis, allucinogene, psicostimolanti, cocaina e/o
crack ed eroina);
Sezione 6 - Salute (4 items: 33, 34, 35, 36) - si raccolgono informazioni in merito alla
condizioni di salute della persona intervista, da quali eventuali malattie croniche è affetta
e se sente la necessità di avere consigli in merito ai corretti stili di vita.
Il questionario è formulato con un linguaggio volutamente non specialistico, in modo da
essere di facile compressione per tutti gli utenti e riuscire a descrivere gli stili di vita del
soggetto con particolare riferimento alle abitudini che possono influire negativamente sulle
condizioni di salute, ovvero sedentarietà, cattiva alimentazione, consumo di bevande
alcoliche e tabacco ed uso di sostanze psicotrope.
70
4.3 DISCUSSIONE DEI DATI
Il campione si presenta fondamentalmente omogeneo: dei 400 soggetti intervistati, 203 sono
di sesso maschile mentre 197 sono donne (Figura 11).
Figura 11 Sesso del campione
Relativamente all’età (Figura 12), si nota che i giovani costituiscono le fasce meno
rappresentative del collettivo esaminato: complessivamente, infatti, gli individui tra i 25 e i
45 anni (suddivisi in due sottogruppi: 25-35 e 35-45) non raggiungono nemmeno un terzo
delle osservazioni totali (32% circa), mentre gli altri due terzi e oltre del campione (68%)
riguardano soggetti di età superiore ai 45 anni, con una maggior concentrazione nella classe
55-65 (161 su 400).
I valori del BMI (Body Mass Index - Indice di Massa Corporea) appaiono invece più
omogenei, con differenze minime tra le varie classi di età: si va infatti da un punteggio
minimo di 23.7 (25-35 anni) a un massimo di 24.6 (35-45 anni); mediamente, pertanto,
l’intero campione è formato da soggetti il cui peso rientra nel range della normalità, con rari
casi di individui obesi, che tuttavia risultano essere soprattutto donne.
71
Figura 12 Fasce d'età e indice di massa corporea (BMI)
Il grado di istruzione si attesta, globalmente, su livelli intermedi: circa la metà delle unità
statistiche esaminate possiede un diploma (precisamente il 46% dei casi), ma le persone con
licenza media o addirittura soltanto elementare raggiungono, insieme, un significativo 35%,
mentre i laureati costituiscono, a malapena, circa un quinto del totale (19%): tale
distribuzione dei diversi titoli di studio può essere in parte correlata alla già sottolineata
prevalenza, all’interno del campione, di individui con età compresa tra i 55 ed i 65 anni
(Figura 13).
72
Figura 13 Titolo di studio
Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, la classe più rappresentata è quella impiegatizia
(29%); circoscritte le professioni maggiormente qualificate (dirigenti e liberi professionisti,
peraltro presenti nel campione in ugual misura) che, tuttavia, contribuiscono per un 12%
complessivo. A fronte di una ridotta quota di disoccupati e di un 14% di pensionati (dati che
confermano nuovamente un’età media spostata verso l’alto), si può pertanto sottolineare
come i lavori di natura intellettuale prevalgano nel complesso su quelli manuali e di maggior
dispendio fisico, costituiti in misura del 16% da operai (Figura 14).
73
Figura 14 Professione
Il tempo giornalmente dedicato al movimento appare relativamente limitato nella gran
maggioranza dei casi: addirittura tre quarti delle persone intervistate dichiara
complessivamente, infatti, di camminare al massimo un’ora al dì, ma un terzo esatto di
questi lo fa in realtà per meno di mezz’ora. Soltanto uno scarso 25% di essi dedica più di
un’ora alle passeggiate quotidiane (Figura 15).
74
Figura 15 Per quanto tempo cammina al giorno?
Anche per ciò che concerne l’attività fisica, i dati non sono affatto incoraggianti: a
effettuarla con regolarità è un esiguo 13% dei soggetti totali, valore sicuramente
preoccupante soprattutto se ad esso si aggiunge che circa la metà del campione afferma di
non svolgerla mai e il restante 38% la pratica in maniera saltuaria (Figura 16).
75
Figura 16 Pratica attività fisica?
L’attività fisica di gran lunga più diffusa tra i 206 individui effettivamente attivi è
rappresentata dalle passeggiate all’aria aperta (134 casi); meno frequenti, ma comunque
praticate da un buon numero di soggetti, sono la corsa (70) e la palestra (62). In coda, con
valori pressoché identici, gli sport di squadra (36) e il nuoto (35) (Figura 17). Per quanto
riguarda la frequenza settimanale con cui tali attività vengono effettuate, molto pochi sono
coloro che fanno sport ogni giorno (un marginale 8% del campione); la quota di chi
concentra lo svolgimento di attività fisiche nel fine settimana supera di poco un quarto del
collettivo totale (27%), mentre la maggior parte dei soggetti intervistati (65%) la distribuisce
durante tutta la settimana, presumibilmente in giorni alternati e spesso per conciliare gli altri
impegni (situazione tipica di pratiche sportive quali la corsa, gli allenamenti in palestra, la
piscina e le partite a calcetto) (Figura 18). La durata giornaliera, invece, è compresa
prevalentemente tra un’ora e due ore (88% cumulativo); solo in rari casi essa è inferiore
all’ora (5%) o superiore alle due (7%) (Figura 19). I dati ottenuti rispecchiano, peraltro,
quella che è la valutazione complessiva degli intervistati sui benefici che l’attività fisica ha
76
sulla propria salute: il 42% di essi la reputa indispensabile, ma più della metà (55%) la
ritiene relativamente importante per il benessere psicofisico generale, e alcuni soggetti
(seppur in misura trascurabile pari al 3%) pensano che essa sia addirittura inutile (Figura
20).
Figura 17 Che attività fisica svolge?
77
Figura 18 Quanti giorni a settimana?
Figura 19 Per quanto tempo?
78
Figura 20 Importanza attività fisica per la salute
Successivamente, l’indagine si è spostata sulle abitudini alimentari degli intervistati,
chiedendo loro, innanzitutto, quanti pasti consumassero quotidianamente: la maggior parte di
essi (43%) ha affermato di non mangiare al di fuori dei 3 pasti di base (colazione, pranzo e
cena), mentre il 31% vi aggiunge uno spuntino e il 14% anche la merenda, arrivando a 5 pasti
al giorno e alimentandosi, quindi, con maggior frequenza durante l’arco delle 24 ore, fattore
molto importante per mantenere più attivo il proprio metabolismo. Infine, l’errata abitudine di
saltare la prima colazione si presenta nel 12% dei casi, rappresentati da coloro che, o per scelta
o per la mancanza di tempo legata ai ritmi e ai turni lavorativi, consumano solamente 2 pasti al
giorno (pranzo e cena), rimanendo pertanto per molte ore a digiuno (Figura 21).
79
Figura 21 Numero di pasti al giorno
Sempre per quanto riguarda la colazione, caffè e cornetto rappresentano le due opzioni
preferite, con netta prevalenza del caffè rispetto al cappuccino (299 casi a fronte di 130),
confermando quelle che sono le principali scelte per il primo pasto della giornata, soprattutto
per chi lo consuma fuori casa; sulla tavola dei soggetti intervistati, tuttavia, non mancano
alimenti tradizionali quali latte, biscotti o fette biscottate e cereali. In sostituzione di caffè o
latte si tende a preferire il succo di frutta piuttosto che il tè (103 casi contro 72), mentre più
raro è il consumo di yogurt (50 preferenze) e pane (38) (Figura 22).
80
Figura 22 Alimenti consumati durante la colazione
Analizzando invece nel complesso il consumo dei vari gruppi alimentari durante i diversi
pasti della giornata, si notano alcuni aspetti indicativi delle abitudini che i soggetti
intervistati hanno a tavola:
pane, pasta e riso vengono consumati prevalentemente una o più volte al giorno (soprattutto
il pane), in linea con i dettami della dieta mediterranea; quasi nessuno vi rinuncia;
per quanto riguarda la carne, quella bianca (pollo, tacchino, coniglio) è consumata più
spesso rispetto alla rossa (bovini) e a quella di maiale; indipendentemente dal tipo,
tuttavia, pochissimi sono coloro che la mangiano ad entrambi i pasti;
in merito al consumo di pesce, i soggetti che seguono le indicazioni espresse nelle linee
guida dell’INRAN (secondo cui è consigliabile consumare alla settimana 2-3 porzioni di
pesce, sia fresco che surgelato) non raggiungono la metà dei soggetti totali esaminati: il
46% di essi (185 soggetti), infatti, mangia pesce qualche volta alla settimana, ma coloro
che lo consumano meno di una volta alla settimana rappresentano il 34% del campione
81
(137 soggetti), e i casi di consumo addirittura nullo riguardano il 9% del collettivo (37
individui), dato peraltro curiosamente identico a quello riguardante i consumatori
quotidiani;
latte e yogurt vengono consumati mediamente una volta al giorno dalla maggior parte
degli intervistati, mentre i formaggi e gli altri latticini sono meno frequenti nei pasti
quotidiani (167 soggetti sui 400 totali li mangiano solo qualche volta a settimana);
relativamente consistente il consumo globale di verdure, ortaggi e patate, in particolar
modo dei primi due gruppi, in misura di una o più porzioni al giorno per la maggioranza
dei soggetti, sebbene vi sia una quota non trascurabile di essi che non ne mangia a
sufficienza; inferiore il consumo di legumi secchi (qualche volta a settimana o meno per
il 76% del campione);
si mangia più frutta fresca che secca. La prima viene consumata una o più volte al dì nel
65% dei casi, molto meno la seconda, maggiormente calorica, (solo 16 soggetti la
mangiano almeno quotidianamente, mentre ben 247 lo fanno qualche volta a settimana o
addirittura meno); soltanto 15 soggetti non consumano mai frutta fresca a fronte di 137
che evitano totalmente quella secca;
si ha un maggior consumo complessivo, in termini di quantità totale, per i dolci
casalinghi rispetto a quelli industriali, sebbene i secondi prevalgano in termini di
frequenza giornaliera o settimanale (Figura 23).
82
Figura 23 Il consumo dei diversi gruppi alimentari
83
Focalizzando l’attenzione su frutta e verdura, si osserva che la gran parte dei soggetti in
esame ne consuma una o due porzioni al giorno, mentre quasi nessuno supera le tre e vi è
anche una quota (seppur limitata) di individui che rivelano la non buona abitudine di non
consumarne mai, soprattutto frutta (Figura 24).
Figura 24 Porzioni Giornaliere
L’attenzione all’uso del sale nel condire gli alimenti non raggiunge ancora livelli
soddisfacenti, considerando soprattutto la potenziale pericolosità del consumo di cibi troppo
salati per la salute (ipertensione, malattie cardiovascolari, problemi a carico dei reni): solo
un ridotto 21% sostiene di averlo sempre usato con parsimonia, mentre circa la metà dei
soggetti (49%) afferma di aver imparato nel tempo a ridurre le dosi e il restante 30% non se
ne cura affatto (Figura 25).
84
Figura 25 Presta attenzione al consumo di sale e di cibi salati?
Nel condimento dei cibi cotti, prevale decisamente l’uso dell’olio d’oliva: solo 5 soggetti
non lo utilizzano, a fronte dei 118 per i grassi e gli altri olii vegetali, dei 149 per il burro e
addirittura dei 331 per lo strutto, e ben 108 persone ne consumano 3 o 4 cucchiai; se ci si
limita a un cucchiaio, tuttavia, gli altri grassi e olii vegetali (200) e il burro (196) tendono ad
essere preferiti all’olio (109) (Figura 26). Per i cibi crudi la situazione di fatto non cambia:
l’olio si conferma nettamente la prima opzione rispetto agli altri condimenti, e il suo uso
oscilla nella quasi totalità dei casi (384 su 400) tra i 10 e i 30 ml (1-3 cucchiai) (Figura 27).
85
Figura 26 Quanti cucchiai di grassi usa per la cottura dei cibi?
86
Figura 27 Quanti cucchiai di grassi usa per condire a crudo i cibi?
Relativamente alle bevande non alcoliche, innanzitutto il consumo di acqua non rispetta
quelle che sono le necessità quotidiane dell’organismo: 219 soggetti ne bevono una quantità
compresa tra un minimo di mezzo litro e un massimo di 1 litro, soltanto 157 soggetti bevono
una quantità d’acqua compresa tra 1 litro e mezzo e 2 litri, che rispetta il quantitativo
d’acqua da assumere nell’arco della giornata. Sono un numero esiguo, invece, i soggetti che
consumano un quantitativo estremamente inadeguato per le necessità dell’organismo,
ovvero, 23 soggetti ne consumano 1 o 2 bicchieri (quantitativo assolutamente insufficiente)
e un individuo isolato risponde di berne raramente un bicchiere al giorno (dato difficilmente
attendibile ma decisamente preoccupante se reale). Globalmente contenuto il consumo di
bevande gassate (quasi un terzo dei soggetti totali non ne beve mai, sebbene 25 di essi ne
consumi 1 litro o più al giorno), mentre decisamente maggiore è quello di bevande
zuccherate, considerando che soltanto una persona non ne beve mai e ben 105 ne consumano
quotidianamente 2 litri o più (Figura 28).
87
Figura 28 Consumo giornaliero di bevande non alcoliche
In merito al consumo di bevande alcoliche, birra e vino sono state messe a confronto durante
e lontano dai pasti, mentre i superalcolici soltanto fuori pasto e ne è emerso quanto segue:
70 soggetti non bevono mai alcolici a digiuno;
in entrambi i casi si consuma più vino che birra, prevalentemente 1 o 2 bicchieri a pasto
(sebbene quasi un quarto dei soggetti ne bevano raramente 1 bicchiere); si rilevano,
tuttavia, alcuni valori preoccupanti, soprattutto nelle abitudini fuori pasto: circa il 15% del
campione totale consuma da 3 a 5 bottiglie di birra, mentre il 34% si attesta tra il mezzo
litro e i 2 litri e oltre, configurando situazioni di vero e proprio abuso (Figura 29 - 30);
il consumo di superalcolici (liquori, amari, aperitivi e cocktails) rientra complessivamente
nella norma: più della metà dei soggetti totali ne beve al massimo un bicchiere, e di questi
119 li evitano del tutto. Circoscritti ma comunque degni di considerazione i casi in cui si
eccede nel consumo (44 persone ne bevono tra i 4 e i 6 bicchieri) (Figura 31).
88
Figura 29 Consumo di birra durante e fuori i pasti
89
Figura 30 Consumo di vino durante e fuori i pasti
Figura 31 Consumo di superalcolici
90
Il consumo di tabacco resta un’abitudine tanto nociva quanto radicata: il 70% dei soggetti
fuma o ha fumato in passato, e di costoro il 43% lo fa tutt’oggi, mentre solo il 30% ha
affermato di non averlo mai fatto (Figura 32). Tra i 109 fumatori attuali, il numero di
sigarette giornaliere che prevale si attesta tra le 16 e le 20, talvolta anche superandole (16%
dei casi); i fumatori occasionali (meno di 5 sigarette quotidiane) sono il 14% (Figura 33).
I soggetti che fumano si dividono quasi equamente tra chi ha provato a smettere e chi invece
non ha intenzione di farlo, con una lieve prevalenza dei primi (57 soggetti, pari al 52% del
totale) sui secondi (Figura 34); i tentativi sono tutti relativamente recenti: il 37% dei fumatori
ha intrapreso questa strada da meno di dodici mesi, mentre i rimanenti sono tutti compresi in
un arco temporale che va da un minimo di un anno (la maggior parte di essi) ad un massimo di
tre; nessuna delle persone interrogate sta tentando di smettere da più di tre anni (Figura 35).
Figura 32 Lei attualmente fuma?
91
Figura 33 Quante sigarette fuma al giorno?
Figura 34 Ha mai cercato di smettere di fumare?
92
Figura 35 Se ha cercato di smettere di fumare, per quanto tempo?
Il ricorso a psicofarmaci (ansiolitici, ipnotici, antidepressivi) è una realtà globalmente meno
circoscritta di quanto si vorrebbe, ed evidenzia la diffusione di disturbi cognitivo-
comportamentali o di psicopatologie più gravi nella popolazione: la percentuale di soggetti
che hanno ammesso di farne o di averne fatto uso supera la metà (57% complessivo); di
questi, il 23% li utilizza in maniera occasionale, mentre il 29% segue o ha seguito terapie di
durata pari a tre settimane o superiore (Figura 36).
Il consumo di altre sostanze psicotrope quali i vari tipi di droghe, invece, appare molto
limitato: sono pochissimi, infatti, coloro che hanno ammesso di aver provato sostanze
allucinogene o psicostimolanti piuttosto che cocaina, crack o eroina (tra queste nessuna
viene consumata da una quota di soggetti complessivamente superiore al 13%,
indipendentemente dal numero di volte); soltanto l’uso di cannabis fa rilevare valori
lievemente più significativi: 124 soggetti l’hanno fumata almeno una volta nella propria vita,
e tra questi 16 ne fanno presumibilmente un uso continuativo. Ad ogni modo, è difficile
93
valutare efficacemente questi dati, poiché si teme che vi sia stato un certo grado di
autocensura da parte degli intervistati, data la delicatezza del quesito: il rischio, pertanto, è
che le risposte relative al consumo globale di droghe siano state solo in parte sincere e
soggette ad omissioni, e quindi poco attendibili (Figura 37).
Figura 36 Ha mai assunto psicofarmaci?
94
Figura 37 Consumo di sostanze stupefacenti
Indagando approfonditamente sullo stato di salute dei vari soggetti, è emerso che il numero
di affetti da patologie croniche o di lunga durata supera la metà del collettivo totale (Figura
38): tra le varie malattie prevalgono l’ipertensione arteriosa e il diabete (connesse a fattori
eziologici quali stress, cattiva alimentazione, sedentarietà e invecchiamento, tutti non a caso
rilevati dall’analisi dei dati ottenuti), più circoscritta la presenza di tumori e di disturbi a
carico dell’apparato respiratorio, mentre solo 15 individui su 400 risultano obesi, nonostante
gli stili alimentari non sempre corretti (Figura 39).
95
Figura 38 È affetto da malattie croniche/di lunga durata?
Figura 39 Da quale malattia cronica è affetto/a?
96
L’ultimo aspetto analizzato riguarda l’effettiva domanda di informazione, da parte degli
individui intervistati: essi prestano molta attenzione a tematiche quali l’alimentazione e
l’attività fisica, mentre sono meno interessati a ricevere consigli in merito al consumo di
alcol, al fumo ed all’uso di sostanze psicotrope (Figura 40).
Figura 40 Vorrebbe consigli da un esperto?
97
4.4. SINTESI E COMMENTO DEI DATI
I dati in esame riassumono gli aspetti legati alle abitudini e alle scelte adottate dalla
popolazione campione di riferimento del territorio genovese del DSS 12. Le variabili
evidenziano la tendenza del campione ad adottare stili di vita che si discostano, in parte,
dalle raccomandazioni fornite dall’OMS e dalle indicazioni suggerite dalle varie campagne
nazionali a favore di stili di vita sani e all'uso di beni salutari.
Dall’analisi dei dati si desume che, nel collettivo studiato, gli individui di età compresa tra i
45 ed i 65 anni costituiscono le fasce d’età più rappresentative, questo rispecchia l’età di
cittadini che accedano agli studi medici.
La maggioranza del campione ha la consuetudine di camminare continuativamente durante
la giornata per al massimo un ora, ma un terzo esatto di questi lo fa, in realtà, per meno di
un ora. Questi dati vanno affiancati a quelli sull’attività fisica, che non sono affatto
incoraggianti, in quanto circa la metà del campione dichiara di non svolgere nessuna
attività fisica e il 38% non la pratica comunque regolarmente: ne emerge un quadro
complessivamente negativo, dal quale si desume che questi comportamenti errati sono
dovuti soprattutto ai ritmi incalzanti e spesso frammentari della quotidianità, che portano
ad uno stile di vita prevalentemente sedentario, in parte dovuto anche alle abitudini
imposte dalla nostra società consumistica. Inoltre, i dati ottenuti dalla valutazione
complessiva degli intervistati sui benefici dell’attività fisica sono significativi, in quanto
circa la metà dei soggetti la ritiene relativamente poco importante per il benessere
psicofisico generale: da questo si deduce che le indicazioni e raccomandazioni suggerite
dalle varie campagne non sono state recepite a pieno dalla popolazione, presumibilmente
dovuti sia a stili di comunicazione non del tutto efficaci e immediati o accattivanti, sia
all’effettivo disinteresse da parte dei soggetti potenzialmente destinatari di essa.
Relativamente all’alimentazione, risulta che i l 4 3 % degli intervistati consuma
quotidianamente tre pasti (colazione, pranzo e cena) e che il 31%, invece, ne fa quattro al
giorno. Solo una percentuale molto esigua di popolazione dichiara di consumarne cinque,
alimentandosi così in modo da mantenere il metabolismo attivo in maniera ottimale, in
quanto le calorie assunte vengono ripartite correttamente nell’arco della giornata.
Dai risultati dell’indagine relativi al consumo dei gruppi alimentari si desume che, nel
complesso, le abitudini degli intervistati a tavola sono tendenzialmente in linea con i dettami
della dieta mediterranea. È importante evidenziare che:
98
la maggior parte dei soggetti consuma una o due porzioni di frutta e verdura, decisamente
troppo poche se confrontate con le 5-6 indicate nella base della piramide alimentare;
il consumo di pesce non è appropriato per 174 soggetti sul totale degli esaminati, in
quanto consumano pesce meno di una volta alla settimana (137 soggetti) o addirittura mai
(37 soggetti). Le linee guida dell’INRAN fissano come appropriato il consumo di 2-3
porzioni di pesce alla settimana, quindi i consumi sono lontani dalle indicazioni date;
l’attenzione all’uso del sale nel condire gli alimenti non raggiunge ancora livelli
soddisfacenti, considerando soprattutto la potenziale pericolosità del consumo di cibi
troppo salati per la salute;
il consumo di acqua non rispecchia quelle che sono le reali necessità quotidiane
dell’organismo, in quanto più della metà dei soggetti beve una quantità compresa tra un
minimo di mezzo litro e un massimo di 1 litro;
il consumo di bevande zuccherate è elevato, se si considera che solo un individuo non ne
beve mai e circa un quarto ne consumano quotidianamente 2 litri o più al giorno: da
questo si desume che non vengono considerati gli zuccheri assunti e che vi sia un’errata
tendenza a sostituire la quantità di acqua giornaliera con queste bevande;
relativamente al consumo di bevande alcoliche, si rilevano valori preoccupanti
soprattutto per quanto riguarda le abitudini fuori pasto: circa il 15% del campione
consuma da 3 a 5 bottiglie di birra, mentre il 34% di questi si attesta tra il mezzo litro e i
2 litri e oltre di vino, configurando una situazione di vero e proprio abuso.
Significativa e per nulla trascurabile è la percentuale dei soggetti che ha dichiarato di
fumare: il 70% fuma o ha fumato in passato, mentre il 43% lo fa tutt’oggi. Si rileva che i
tentativi di smettere di fumare sono tutti relativamente recenti, infatti nessuna delle persone
intervistate sta tentando di smettere da più di tre anni; questo sottolinea che, pur nella
consapevolezza generale che il consumo di tabacco sia un’abitudine nociva, esso rimane
ancora radicato. Se si pensa, tuttavia, alle continue campagne e pubblicità contro il fumo e
alla diffusa trattazione dei suoi principali effetti nocivi, non si può non riconoscere la loro
relativa inefficacia, con la conseguente necessità di sviluppare una maggiore sensibilità
sull’argomento e, forse, di individuare canali di comunicazione più incisivi.
Rilevante è il dato riferito al consumo di sostanze psicotrope, in quanto si evidenzia la
diffusione di disturbi cognitivo-comportamentali o di psicopatologie più gravi nella
popolazione: la percentuale di soggetti che ha dichiarato di farne uso supera la metà del
99
totale. I dati relativi all’uso di sostanze stupefacenti, invece, non possono essere giudicati
attendibili, in quanto si crede che, vista la delicatezza dell’argomento, vi sia stato un certo
grado di autocensura da parte degli intervistati, pur compilando un questionario anonimo. In
merito a questo aspetto, pertanto, la ricerca condotta non apporta particolari risultati.
I soggetti intervistati dichiarano di volere informazioni da un esperto, principalmente
riguardo all’alimentazione e all’attività fisica e sono meno interessati alle altre tematiche,
anche se sicuramente sarebbe necessario avere conoscenze generali su tutte le tematiche
trattate, sia per se stessi che verso gli altri.
In conclusione, dai risultati si deduce che, nonostante l’accesso ad informazioni sulle
conseguenze di stili di vita errati e alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS), bisogna maggiormente sensibilizzare e intervenire con progetti mirati
per favorire l’aderenza della popolazione a tali dettami.
La presenza del rilevatore durante la somministrazione dei questionari presso gli studi
medici, che ha potuto osservare le impressioni e i dubbi dei soggetti, ha condotto
all’elaborazione di un poster informativo, dove sono state illustrate, brevemente ma in
modo incisivo, le indicazioni salienti sui corretti stili da adottare, con la speranza che
puntare su uno stile comunicativo più immediato e semplice sia la strategia giusta per
continuare ad avvicinare la popolazione alle più salutari abitudini di vita quotidiana.
100
CONCLUSIONI
La promozione della salute va considerata come un processo dinamico in evoluzione,
strettamente correlato alla maturità culturale e organizzativa del contesto. Essa è quindi definibile
come un processo mirato al progressivo consolidarsi di una prassi di gestione condivisa tra la rete
dei professionisti che entrano in gioco nell’ educazione alla salute e la popolazione.
Molto importante è, in una logica di ampia integrazione, il contributo del contesto
socioeconomico in cui vive l’individuo, come ampiamente dimostrato in letteratura, ha una
centralità non solo decisionale ma anche gestionale rispetto alla scelte.
La promozione e l’educazione ad adottare stili di vita sani, come è stato ampiamente
specificato precedentemente, ha un ruolo fondamentale nella prevenzione e gestione delle
patologie croniche degenerative. Una sana alimentazione, l’attività fisica, il consumo limitato
di bevande alcoliche e l’astenersi dal consumo di tabacco costituiscono scelte fondamentali
per il mantenimento della salute. La società deve puntare a creare un ambiente favorevole alla
prevenzione con interventi mirati a favorire l’abbandono di abitudini che possono predisporre
allo sviluppo delle malattie croniche ed incentivando il consumo di prodotti salutari.
Introdurre modifiche permanenti negli stili di vita della popolazione è l’ obiettivo che si pone
la sanità e in particolare l’infermiere, professionista della salute, che, attraverso
l’informazione e l’educazione, rende più consapevoli i cittadini favorendo l’aderenza, la
sostenibilità e quindi il consolidamento di scelte salutari con finalità preventiva ed in alcuni
casi curativa/riabilitativa.
La figura dell’infermiere gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione e nella riabilitazione
del paziente affetto da malattie croniche. E’ importante sottolineare come il personale
infermieristico sia oggi prevalentemente concentrato sul trattamento della condizione acuta
del paziente e non sulla prevenzione dei fattori di rischio modificabili, in quanto il sistema
stesso, ha gettato solo le basi e deve ancora svilupparsi in tal senso. Bisognerà, per questo,
invertire la tendenza culturale che lascia oggi in secondo piano la promozione e la
prevenzione. L’infermiere e gli altri professionisti delle salute, devono sollecitare azioni e
strategie di sensibilizzazione e realizzare interventi mirati ad identificare precocemente le
persone a rischio più elevato.
Modelli organizzativi ed assistenziali, come il Chronic Care Model e l’infermiere care
manager, evidenziano l’importanza del ruolo dell’infermiere nella gestione dei pazienti in
condizioni croniche e come, con strategie di empowerment, self-management ed un’accurata
101
educazione sanitaria dinamica e continua nel tempo, sia possibile prevenire e intervenire
precocemente.
Promuovere e garantire la salute, prevenendo le conseguenze derivanti da scorretti stili di
vita può fare la differenza per migliorare la qualità della vita e favorire un buon
invecchiamento attivo.
102
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SALUTE – I.S.S.
http://www.epicentro.iss.it/focus/globale/aggiornamenti.asp
[Ultima consultazione: Agosto 2015]
5. CENTRO NAZIONALE DI EPIDEMIOLOGIA, SORVEGLIANZA E PROMOZIONE DELLA
SALUTE – I.S.S.
http://www.epicentro.iss.it/stili/
[Ultima consultazione: Agosto 2015]
6. CENTRO NAZIONALE DI EPIDEMIOLOGIA, SORVEGLIANZA E PROMOZIONE DELLA
SALUTE – I.S.S.
http://www.epicentro.iss.it/temi/tumori/registri.asp
[Ultima consultazione: Agosto 2015]
7. IL PROGETTO CUORE – EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE MALATTIE
ISCHEMICHE DEL CUORE. I.S.S.
http://www.cuore.iss.it/fattori/distribuzione.asp.
[Ultima consultazione: Agosto 2015]
8. IL PROGETTO CUORE – EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE MALATTIE
ISCHEMICHE DEL CUORE. I.S.S.
http://www. cuore.iss.it/Osservatorio/DistribuzioneRegionale.aspx.
[Ultima consultazione: Agosto 2015]
9. IMPROVING CHRONIC ILLNESS CARE
http://www.improvingchroniccare.org/index.php?p=The_Chronic_Care_Model&s=2
[Ultima consultazione: Settembre 2015]
10. ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE - INRAN.
http://nut.entecra.it/648/linee_guida.html
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11. MINISTERO DELLA SALUTE
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1819_allegato.pdf
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12. OSSERVATORIO DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE.
http://www. cuore.iss.it/Osservatorio/DistribuzioneRegionale.aspx.
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13. PAN AMERICAN HEALTH ORGANIZATION
http://www.paho.org/hq/index.php?option=com_content&view=article&id=8500&Itemid=39960
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14. SISTEMA DI SORVEGLIANZA PASSI. ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ.
http://www.epicentro.iss.it/passi/.
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15. WORLD HEALTH ORGANIZATION.
http://www.who.int/chp/en/
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16. WORLD HEALTH ORGANIZATION.
http://www.who.int/topics/noncommunicable_diseases/en/
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17. WORLD HEALTH ORGANIZATION.
http://www.who.int/topics/cardiovascular_diseases/en/
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18. WORLD HEALTH ORGANIZATION.
http://www.who.int/topics/hypertension/en/
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19. WORLD HEALTH ORGANIZATION.
http://www.who.int/respiratory/copd/en/
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http://www.who.int/topics/diabetes_mellitus/en/
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http://www.who.int/topics/obesity/en/
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http://apps.who.int/bmi/index.jsp?introPage=intro_3.html
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30. WORLD HEALTH ORGANIZATION.
http://www.who.int/topics/substance_abuse/en/
[Ultima consultazione: Settembre 2015]
QUESTIONARIO ANONIMO
LA COMUNITÀ CONOSCE E METTE IN PRATICA
I CORRETTI STILI DI VITA ATTI A PREVENIRE LE MALATTIE CRONICHE?
DATI GENERALI
1) Sesso
Maschio [ ]
Femmina [ ]
2) Età …………………
3) Titolo di studio
Laurea [ ]
Diploma scuola media superiore [ ]
Licenza scuola media inferiore [ ]
Licenza elementare [ ]
4) Professione
Dirigente [ ]
Impiegato [ ]
Operaio [ ]
Libero professionista [ ]
Pensionato [ ]
Disoccupato [ ]
Altro (……….…………….........) [ ]
5) Può indicare il suo peso e statura attuali?
Peso ………… Kg Altezza ………... cm
SEZIONE 1
MOVIMENTO ED ATTIVITA’ FISICA
6) Considerando tutti i suoi spostamenti a piedi, per quanto tempo ritiene di camminare
continuativamente al giorno?
Meno di 30 minuti [ ]
Dai 30 ai 60 minuti [ ]
Più di 60 minuti [ ]
7) Lei ritiene di fare sufficiente movimento durante il giorno?
[ ] Si [ ] No
8) Pratica attività fisica?
Sì, regolarmente [ ]
Sì, ma non regolarmente [ ]
No, non pratico attività fisica [ ] (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 12)
9) Che tipo di attività fisica svolge? (è possibile dare più di una risposta)
[ ] Corsa [ ] Passeggiate all’aria aperta [ ] Piscina
[ ] Calcio, pallavolo, basket, ecc [ ] Palestra [ ] Bicicletta
[ ] Altro (specificare……………………………………………………………………….............................)
10) Se pratica attività fisica, quanti giorni a settimana?
Tutti i giorni della settimana [ ]
Alcuni giorni (indicare il numero ............) [ ]
Solo il fine settimana [ ]
11) Se svolge attività fisica, per quanto tempo la pratica?
[ ] Meno di un’ora [ ] 2 ore
[ ] 1 ora [ ] più di 2 ore
12) Quanto ritiene sia importante il ruolo che l’attività fisica assume nei confronti della salute?
per niente [ ]
moderatamente [ ]
enormemente [ ]
13) Considera la sua attività fisica adeguata?
[ ] Si [ ] No
SEZIONE 2
STILI ALIMENTARI
14) Quanti pasti consuma al giorno?
[ ] 2 pasti (pranzo, cena) [ ] 4 pasti (colazione, pranzo, spuntino, cena)
[ ] 3 pasti (colazione, pranzo e cena) [ ] 5 pasti (colazione, merenda, pranzo, spuntino, cena)
15) Cosa consuma più frequentemente durante la colazione? (è possibile dare più di una risposta)
[ ] Caffè [ ] Cornetto [ ] Pane
[ ] Latte [ ] Biscotti [ ] Succo di frutta
[ ] Cappuccino [ ] Cerali [ ] Yogurt
[ ] Tè [ ] Fette biscottate [ ] Non faccio colazione
[ ] Altro (specificare)………….………………………………………………………………………………
1
16) Con quale frequenza consuma i seguenti gruppi di alimenti? (una risposta per ogni riga)
GRUPPI
ALIMENTARI
Più di una
volta al
giorno
Una volta
al giorno
Qualche
volta a
settimana
Meno di
una volta a
settimana
Mai
Pasta, riso [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Pane [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Cereali (farro, orzo, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Polenta (mais, gallette, pasta mais) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Patate [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Carne di pollo, tacchino, coniglio [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Carni bovine (manzo, vitellone, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Carne di maiale [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Salumi [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Pesce [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Uova [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Latte, yogurt [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Formaggi e latticini [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Verdure (insalate, spinaci, bieta, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Ortaggi (pomodori, melanzane,
zucchine, fagiolini, piselli, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Legumi secchi (lenticchie, fagioli, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Frutta fresca [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Frutta secca (noci, mandorle, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Snack salati (patatine, salatini, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Dolci fatti in casa [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Dolci industriali (torte farcite,
merendine, gelati etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
17) Dei seguenti alimenti, quante porzioni consuma al giorno? (una risposta per ogni riga)
Alimenti Numero di porzioni al giorno
Insalata oppure ortaggi e/o verdura
(1 porzione = 1 piatto medio pieno, ossia una quantità che ricopre
il fondo del piatto)
0 [ ] 1 [ ] 2 [ ] 3 [ ] 4 [ ] 5 [ ]
Frutta
(1 porzione = 1 mela, 1 pera, 2 mandarini, 2 prugne, etc.) 0 [ ] 1 [ ] 2 [ ] 3 [ ] 4 [ ] 5 [ ]
18) Presta attenzione alla quantità di sale e/o al consumo di cibi salati?
No, non presto attenzione [ ]
Si, ne ho ridotto l’uso nel tempo [ ]
Si, ho da sempre fatto attenzione [ ]
19) Nell’arco della giornata, quali dei seguenti grassi usa più frequentemente per la cottura dei cibi e in
che quantità? (una risposta per ogni riga)
1 cucchiaio
(10 ml)
2 cucchiai
(20 ml)
3 cucchiai
(30 ml)
4 cucchiai
(40 ml)
5 cucchiai
(50 ml)
Più di 5
cucchiai Mai
Olio d’oliva [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Altri grassi e olii
vegetali (olii di semi,
margarina, etc.)
[ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Burro [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Strutto [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
20) Nell’arco della giornata, quali dei seguenti grassi usa più frequentemente per il condimento a crudo
dei cibi e in che quantità? (una risposta per ogni riga)
1 cucchiaio
(10 ml)
2 cucchiai
(20 ml)
3 cucchiai
(30 ml)
4 cucchiai
(40 ml)
5 cucchiai
(50 ml)
Più di 5
cucchiai Mai
Olio d’oliva [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Altri grassi e olii
vegetali (olii di
semi, etc.)
[ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Altro [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
21) Considera la sua alimentazione corretta?
[ ] Si [ ] No
SEZIONE 3
CONSUMO BEVANDE
22) In quale quantità, abitualmente, consuma le seguenti bevande durante l’intera giornata?
(una risposta per ogni colonna)
Acqua Bevande gassate
(cola, aranciata, etc.)
Bevande zuccherate non gassate
(succhi di frutta, the, etc.)
[ ] 1 bicchiere (125 ml) [ ] 1 bicchiere (125 ml) [ ] 1 bicchiere (125 ml)
[ ] 2 bicchieri (250 ml) [ ] 2 bicchieri (250 ml) [ ] 2 bicchieri (250 ml)
[ ] 4 bicchieri (500 ml) [ ] 4 bicchieri (500 ml) [ ] 4 bicchieri (500 ml)
[ ] 1 litro [ ] 1 litro [ ] 1 litro
[ ] 1 litro e mezzo [ ] 1 litro e mezzo [ ] 1 litro e mezzo
[ ] 2 litri o più [ ] 2 litri o più [ ] 2 litri o più
[ ] raramente 1 bicchiere [ ] raramente 1 bicchiere [ ] raramente 1 bicchiere
[ ] mai [ ] mai [ ] mai
23) In che quantità abitualmente consuma le seguenti bevande alcoliche durante i pasti (pranzo+cena)?
(una risposta per ogni colonna)
Birra (bottiglia 33 cl) Vino (bicchiere 125ml)
[ ] 1 bicchiere (125 ml = 12,5 cl) [ ] 1 bicchiere (125 ml)
[ ] 2 bicchiere (250 ml = 25 cl) [ ] 2 bicchieri (250 ml)
[ ] 1 bottiglia (33 cl) [ ] 3 bicchieri (375 ml)
[ ] 2 bottiglie (66 cl) [ ] 4 bicchieri (500 ml)
[ ] 3 bottiglie (99 cl) [ ] 1 litro
[ ] 4 bottiglie (132 cl) [ ] 1 litro e mezzo
[ ] 5 bottiglie (165 cl) o più [ ] 2 litri o più
[ ] raramente 1 bottiglia [ ] raramente 1 bicchiere
[ ] mai [ ] mai
24) Le capita di bere birra, vino o superalcolici (liquore, amaro, aperitivo, cocktail, etc.) fuori dai pasti?
[ ] Tutti i giorni [ ] Raramente
[ ] Qualche volta alla settimana [ ] Mai (passare direttamente alla domanda 26)
25) Complessivamente, in una settimana, qual è la quantità di birra, vino o superalcolici che consuma
abitualmente fuori dai pasti? (una risposta per ogni colonna)
Birra (bottiglia 33 cl) Vino (bicchiere 125ml) Superalcolico (bicchiere 40 ml)
[ ] 1 bicchiere (125 ml = 12,5 cl) [ ] 1 bicchiere (125 ml) [ ] 1 bicchiere (40 ml)
[ ] 2 bicchiere (250 ml = 25 cl) [ ] 2 bicchieri (250 ml) [ ] 2 bicchieri (80 ml)
[ ] 1 bottiglia (33 cl) [ ] 3 bicchieri (375 ml) [ ] 3 bicchieri (120 ml)
[ ] 2 bottiglie (66 cl) [ ] 4 bicchieri (500 ml) [ ] 4 bicchieri (160 ml)
[ ] 3 bottiglie (99 cl) [ ] 1 litro [ ] 5 bicchieri (200 ml)
[ ] 4 bottiglie (132 cl) [ ] 1 litro e mezzo [ ] 6 bicchieri (240 ml)
[ ] 5 bottiglie (165 cl) o più [ ] 2 litri o più [ ] 7 bicchieri (280 ml) o più
[ ] raramente 1 bottiglia [ ] raramente 1 bicchiere [ ] raramente 1 bicchiere
[ ] mai [ ] mai [ ] mai
26) Pensa che il suo consumo di bevande alcoliche sia appropriato?
[ ] Si [ ] No
1
SEZIONE 4
CONSUMO DI TABACCO
27) Lei attualmente fuma?
Sì [ ]
No, ma ho fumato in passato [ ]
No, non ho mai fumato [ ] (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 31)
28) Quante sigarette fuma in media al giorno?
Meno di 5 sigarette al giorno [ ]
Da 5 a10 sigarette al giorno [ ]
Da 11 a 15 sigarette al giorno [ ]
Da 16 a 20 sigarette al giorno [ ]
20 sigarette al giorno o più [ ]
29) Ha mai cercato di smettere di fumare?
[ ] Si [ ] No (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 31)
30) Se ha cercato di smettere di fumare, per quanto tempo ?
[ ] Meno di un anno [ ] Due anni [ ] Quattro anni
[ ] Un anno [ ] Tre anni [ ] Cinque o più anni
SEZIONE 5
USO DI SOSTANZE PSICOTROPE
31) Nella sua vita, ha mai assunto psicofarmaci (talvolta prescritti dai medici per aiutare le persone a
calmarsi, a prendere sonno o a rilassarsi)?
[ ]Si, occasionalmente [ ] Si, per tre settimane o più
[ ] Si, per meno di tre settimane [ ] No
32) Nella sua vita, le è mai capitato di fare uso di una o più delle seguente sostanze e in quante
occasioni? (una risposta per ogni riga)
Numero di occasioni
0 1-2 3-5 6-9 10-19 20-29 30 o più
Cannabis [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Sostanze allucinogene
(LSD, funghi allucinogeni, ketamina, ecc) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Sostanze psicostimolanti
(amfetamine, ecstasy, ecc) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Cocaina e/o crack [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
Eroina [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]
SEZIONE 6
SALUTE
33) Come reputa in questo momento la sua salute?
Molto bene [ ]
Bene [ ]
Discretamente [ ]
Male [ ]
Molto male [ ]
34) È affetto da malattie croniche o problemi di salute di lunga durata?
(Il termine “lunga durata” si riferisce a malattie o problemi di salute che durano da almeno 6 mesi
o si prevede che durino per almeno 6 mesi).
[ ] Si [ ] No (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 36)
35) Se sì, da quale/i malattia/e cronica è affetto? (è possibile dare più di una risposta)
[ ] Diabete [ ] Scompenso cardiaco
[ ] Obesità [ ] BPCO, enfisema, insufficienza respiratoria
[ ] Ipertensione arteriosa (pressione alta) [ ] Problemi oncologici
[ ] Altro (specificare) ………………………………………………………………
36) Vorrebbe ricevere dei consigli da un esperto riguardo a …
(una risposta per ogni riga)
SI NO
MOVIMENTO ED ATTIVITA FISICA [ ] [ ]
ALIMENTAZIONE [ ] [ ]
ALCOOL [ ] [ ]
FUMO [ ] [ ]
SOSTANZE PSICOTROPE [ ] [ ]
Grazie per la Sua collaborazione.