UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI
PARMA
DIPARTIMENTO DI
GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE
MOBBING LAVORATIVO: Fenomeno sociale
rilevante, dinamiche e relazioni da connettere.
Relatrice Laureanda
Prof.ssa Stefania Miodini Tania Colella
Anno Accademico 2014/2015
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“Una persona può essere uccisa
una sola volta,
ma quando la si umilia,
la si uccide ripetutamente”.
Talmud
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INDICE
INTRODUZIONE pag.7
CAPITOLO 1: Il mobbing
1.1 Etimologia della parola pag.9
1.2 Il mobber pag.10
1.3 Il mobbizzato pag.12
1.4 Gli spettatori pag.14
1.4.1 Le figure satellite del processo pag.14
1.5 Le radici del Mobbing pag.17
1.6 Il modello di Leymann e i suoi sviluppi pag.20
CAPITOLO 2: Tipi di Mobbing
2.1 Il mobbing verticale e orizzontale pag.23
2.2 Il mobbing collettivo/organizzativo e il bossing pag.25
2.3 Il mobbing sulla persona e il mobbing sul ruolo lavorativo e
sulla mansione pag.27
2.4 Il doppio mobbing pag.28
2.5 Le conseguenze del Mobbing pag.29
2.6 Effetti del breve periodo pag.32
2.7 Effetti nel lungo periodo pag.33
2.8 Altri effetti del Mobbing pag.34
2.9 La metodologia di misurazione del Mobbing pag.37
2.10 Il counseling pag.39
CAPITOLO 3: Verso il cambiamento
3.1 Strategie di prevenzione nei luoghi di lavoro pag.41
3.2 Isolamento sistemico e cambiamento delle mansioni lavorative pag.42
3.3 Come uscirne? pag.43
3.4 Direttiva del Ministro della Funziona Pubblica pag.45
3.5 Alcune prospettive pag.48
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3.6 La possibilità di essere tutelati pag.51
CAPITOLO 4: Assistente sociale e Mobbing
4.1 Resoconto intervista pag.56
4.2 Colloquio, relazione d‟aiuto e i suoi aspetti pag.58
4.3 La documentazione pag.63
CAPITOLO 5 : Mobbing nella realtà
5.1 Storia di Marco pag.64
5.2 Testimonianze pag.68
CONCLUSIONI pag.74
BIBLIOGRAFIA pag.76
RINGRAZIAMENTI pag.78
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INTRODUZIONE
Molestie morali, persecuzioni psicologiche, minacce o vessazioni nei luoghi di lavoro, o
più semplicemente mal d‟ufficio, sono le espressioni per definire un fenomeno che
ormai viene generalmente conosciuto come mobbing. Quelle appena descritte sono
azioni che interessano la maggior parte delle organizzazioni lavorative della moderna
società post-industriale e che produce conseguenze negative non soltanto per le persone
che ne sono investite direttamente come vittime sacrificali ma anche e soprattutto per le
aziende in cui viene praticato in termini di costi per minore produttività del lavoro,
perdita di competitività e disfunzioni organizzative connesse ai problemi relazionali
interni.
Ho deciso di svolgere il mio lavoro di tesi cercando di osservare e di riuscire a collegare
quante più nozioni possibili su questo tipo di fenomeno molto ricorrente in ambito
lavorativo: il mobbing.
Da sempre ho ritenuto che il mobbing fosse un argomento molto interessante e spesso
inserito nelle questioni sociali in modo marginale. Colui che diviene vittima del
mobbing, attraversa un periodo nella sua vita in cui emergono sentimenti di
frustrazione, rabbia e ansia continua che si ripercuotono, oltre che nella sfera lavorativa,
nella vita di tutti i giorni. Molto spesso, vengono a mancare gli stimoli per reagire a
questo fenomeno, perché il mobbizzato non si capacita dell‟idea di essere una vittima di
tale fenomeno.
Nel primo capitolo della mia tesi ho voluto dare una spiegazione a questo fenomeno,
partendo dal significato che viene attribuito al termine “mobbing” e alle parole ad esso
collegate. Di seguito ho inserito qualche nozione storica riguardo chi, nel corso degli
anni, ha dedicato i propri studi alla spiegazione di questo meccanismo che si innesca in
coloro che assumono la posizione di mobber; provando a distinguere le figure emergenti
e i partecipanti in maniera diretta e indiretta. Verso la fine del capitolo mi sono
soffermata nel descrivere il primo modello dedicato a questa tematica, che vede come
protagonista Leymann e gli sviluppi successivi realizzati da Ege.
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Nel secondo capitolo ho riportato i vari tipi di mobbing che si possono verificare e gli
effetti che ne derivano, dividendoli in breve e lungo periodo. E‟ inoltre presente una
parte dedicata alla misurazione di questo terrore psicologico. Facendo riferimento alle
metodologie prese in considerazione o alle risoluzioni a cui si potrebbe andare incontro,
ho ritenuto opportuno soffermarmi sulla tecnica del counseling: strumento il più delle
volte efficace e molto usato anche in ambito prevalentemente sociale.
Di seguito nel terzo capitolo, com‟è possibile dedurre dal titolo attribuito “Verso il
cambiamento”, ho inserito una serie di possibili cambiamenti o, facendo riferimento alla
parte giuridica, di leggi a cui attenersi nei casi in cui si diviene vittime di mobbing
lavorativo. Essere tutelati è uno dei punti di partenza nel processo di cambiamento,
serve a rassicurare e sostenere la vittima che inevitabilmente si trova spaesata. Tutto
questo, permette al mobbizzato di aprirsi verso nuova prospettive e di concentrarsi nel
percorso intrapreso.
Nel quarto capitolo, nonché il più significativo e vicino a ciò che in futuro sarà il mio
lavoro, ho descritto i mezzi con cui l‟assistente sociale interviene. A differenza degli
altri capitoli, la sua costruzione è avvenuta in seguito a una piccola intervista che vede
come protagonista uno dei poli presenti nel Comune di Parma.
Nel quinto e ultimo capitolo, partendo dall‟idea di voler far nascere una piccola
riflessione in coloro che sono a conoscenza di questo terrore psicologico e di provare a
mettersi nei panni del mobbizzato, ho riportato alcune storie di mobbing.
Nei vari capitoli ho cercato di dare un‟idea più chiara del fenomeno, facendo
comprendere e mettendo in risalto quanto questo meccanismo condiziona la società nel
suo complesso. La mia idea, nella stesura di questo elaborato è stata quella di creare uno
spunto di riflessione in chiunque voglia saperne di più riguardo il mobbing, ovvero quel
fenomeno che prende il nome di terrore psicologico.
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CAPITOLO PRIMO
1.1 Etimologia della parola
1La spiegazione che viene data oggi al fenomeno del mobbing, non si discosta molto da
quella avuta in passato. Si definisce mobbing – dal verbo inglese to mob (significante
“assalto di gentaglia o plebaglia”), e dal latino mobile vulgus ( che significa appunto “
movimento della gentaglia”) – l‟aggressione della gentaglia d‟ufficio nei confronti del
novellino, del più bravo e del più ambizioso. Il vocabolo mobbing è spesso usato anche
dagli etologi per descrivere, in relazione al mondo animale, il comportamento di
aggressione del “branco nei confronti di un animale o esemplare isolato”. Il termine ha
dunque valenza metaforica ed esprime con tutta la forma dell‟immagine, dell‟assalto e
dell‟accerchiamento di gruppo la situazione di terrore psicologico dovuta
dall‟isolamento della vittima di fronte alle ostilità degli altri. Esistono diversi termini in
inglese utilizzati per dare un‟idea di quello che potrebbe meglio rappresentare questa
forma di abuso su colleghi e dipendenti. Un termine diffuso è quello di Bullyng che
significa fare il prepotente, comandare, angariare, tiranneggiare ed in realtà viene
utilizzato per indicare un determinato tipo di mobbing, ovvero quello compiuto da un
superiore nei confronti di un suo sottoposto. Di seguito al Bullyng, è presente il
Bossing, che sta ad indicare un‟azione che non viene compiuta solo da un superiore, ma
include l‟azienda stessa, dalla Direzione o dall‟Amministrazione del personale, nei
confronti dei dipendenti divenuti in qualche modo scomodi.
Negli Stati Uniti invece è diffuso, oltre al Bullying, anche il termine Harassment
(vessazione, tormento, molestia), che normalmente è usato nel contesto limitato delle
molestie sessuali, che possono tuttavia essere una forma di mobbing. Si trova inoltre
l‟espressione Employee Abuse (employee, “impiegato, lavoratore”; to abuse “insultare,
ingiuriare, oltraggiare, abusare di, fare cattivo uso di”), che indica più letteralmente
l‟abuso di potere o di comportamento, anche questo come espressione di mobbing.
Negli ultimi anni, la produzione di testi sul mobbing si è incrementata nel nostro Paese. Recenti volumi curati da Tosi (2004), Favretto (2005), De Falco e al (2006), Marini e Nonnis (2006), Gulatta (2006), Sprini (2007), Rupprecht
(2007), Pozzi (2008), oltre al recente volume di Herald Ege (2005) .1
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Dall‟unione di questi significati si può parlare di Mobbing, rifacendoci alla violenza
esercitata nei luoghi di lavoro, come quell‟aggressione sistematica posta in essere dal
datore di lavoro o da un suo preposto o superiore gerarchico oppure anche da colleghi o
compagni di lavoro, con chiari intenti discriminatori e persecutori, protesi ad
emarginare progressivamente un determinato lavoratore nell‟ambiente di lavoro e ad
indurlo alle dimissioni, per ragioni di concorrenza, gelosia, invidia o di altro
comportamento o sentimento socialmente deprecabile suscitato in un animo perverso
dalla convivenza nell‟ambiente di lavoro e dallo svolgimento dell‟attività lavorativa.
Come si evince da quanto sopra riportato a questa forma di virus organizzativo, in
continua evoluzione, prendono parte in modo particolare due protagonisti, riscontrabili
nell‟aggressore ( colui che compie l‟azione mobbizzante) e la vittima ( soggetto passivo,
in quanto è portato a subire l‟azione).
1.2 Il mobber
I mobber sono, nella maggior parte dei casi, uomini piuttosto che donne,
superivisori/manager piuttosto che colleghi. Zapf, tipografo tedesco, e i suoi
collaboratori rilevano tre tipi di caratteristiche dell‟aggressore che possono spiegare le
condotte mobbizzanti: i processi di regolazione del sé, con riferimento a una potenziale
minaccia all‟autostima; la mancanza di competenze sociali; una logica di tipo politico-
economico. Sulle orme di Baumeister, Heatherton e Tice (1993), essi sostengono che la
protezione dell‟autostima è un bisogno primario che influenza e controlla il
comportamento umano, e indicano l‟origine del conflitto di mobbing proprio nel
mancato riconoscimento dello status, della posizione sociale, della valutazione del sé di
un individuo nei confronti di un altro.
Nei casi analizzati, hanno riscontrato, che la violenza emergeva da una minaccia al
proprio Io: come orgoglio ferito, mancanza di rispetto, abuso verbale, insulti,
svalutazione della persona. Per la maggior parte delle culture, dei gruppi, piccoli e più
grandi, e dei singoli emergeva lo stesso pattern: la violenza avveniva quando il
sentimento di superiorità di una persona era in qualche modo svalutato e contraddetto.
Inoltre, Zapf sosteneva che coloro che posseggono maggiore autostima è più probabile
che ricorrano in episodi di mobbing, in quanto sono convinti di poter vincere la propria
battaglia e di poter prevalere. Se poi la natura di questa autostima è anche instabile,
l‟aggressività si può manifestare pure in risposta a piccole minacce. Anche l‟invidia può
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rientrare in questa sfera negativa del sé, in quanto essa porta a ostilità solo quando una
persona che ha una visione positiva di se stessa e pensa di meritare di raggiungere un
risultato positivo nutre sentimenti di ingiustizia e iniquità nei confronti di un‟altra
persona, che, nell‟ottenimento di tale risultato, ha un qualche tipo di vantaggio.
Numerose vittime di mobbing hanno riportato che l‟invidia nei loro confronti era una
delle cause principali del verificarsi del mobbing. Un‟altra caratteristica del mobber che
può spiegare condotte mobbizzanti è la mancanza di competenze sociali e di
intelligenza emotiva. Come descritto precedentemente, il mobber potrebbe essere un
supervisore con delle difficoltà a gestire le proprie emozioni e a controllare la propria
aggressività per cui potrebbe regolarmente alzare la voce con i propri collaboratori o
trattarli male. Il mobber potrebbe essere anche un lavoratore con scarse competenze
relazionali, scarsa empatia, per cui non si rende conto di compiere azioni ostili verso
un‟altra persona e, soprattutto, non capisce quanto queste azioni possano essere
percepite come vessatorie dalla vittima. In molti casi, infatti, i mobber sostengono che
non erano consapevoli delle reali conseguenze del proprio comportamento. Un ultima
descrizione che si può avere di mobber potrebbe essere quella persona particolarmente
aggressiva, con tratti di nevroticismo, che reagisce in modo estremamente ostile e
negativo anche a fronte di piccole provocazioni.
Una caratteristica riscontrata dalla letteratura nei mobber verte dalla necessità di
ottenere avanzamenti di carriera e far prevalere i propri interessi. È stato approfondito
come possa essere “razionale” mobbizzare un collega o un subordinato, soprattutto in
organizzazioni con forte competizione interna. L‟aggressore, sabotando il lavoro di un
collega, potrebbe trarne un vantaggio personale; oppure punendolo o cercando di
espellerlo dal contesto lavorativo, potrebbe migliorare la propria posizione. Un
superiore potrebbe compiere azioni mobbizzanti verso un collaboratore che ha
performance particolarmente elevate o particolarmente scarse: nel caso di un
subordinato di talento, potrebbe percepirlo come un rivale per la propria carriera futura;
mentre, se la remunerazione del superiore è basata sui risultati ottenuti dal
collaboratore, quest‟ultimo potrebbe essere percepito come una risorsa da eliminare, se
le sue performance fossero negative.
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1.3 Il mobbizzato
Anche nella vittima si possono riscontrare delle caratteristiche che possono favorire
l‟insorgere del mobbing. Alcuni individui, in alcune specifiche situazioni, dove sono
degli outsider, ovvero differiscono troppo dal resto del gruppo – ad esempio per
caratteristiche demografiche, come genere, posizione gerarchica, group membership,
anzianità di servizio, tipologia di contratto eccetera – potrebbero essere maggiormente a
rischio di mobbing. Leymann (1993) mise in luce che insegnanti uomini di scuola
elementare – che erano in minoranza – risultavano maggiormente vittime di mobbing
rispetto alle insegnanti donne. In un altro studio l‟autore riscontrò che il 21.6% di
lavoratori handicappati fu vittima di mobbing in un‟organizzazione no profit, mentre
soltanto il 4.4% dei lavoratori non handicappati percepiva di essere soggetto a molestia
morale. Inoltre, le caratteristiche di personalità e alcuni pattern di comportamento della
vittima potrebbero stimolare o invogliare comportamenti aggressivi e molesti da parte di
altri lavoratori. Una serie di studi hanno cercato di dimostrare chi e come diventa
vittima di mobbing lavorativo. Ad esempio, uno studio norvegese, condotto presso 2200
lavoratori da Einarsen nel 1994, mise in luce che le vittime di mobbing erano
caratterizzate da scarsa stima di sé e da scarsa competenza sociale e riportavano alti
livelli di ansietà. Coyne, Seigne e Randall nel 2000, in uno studio condotto in Irlanda su
sessanta vittime di mobbing, notarono che queste rispetto a un gruppo di controllo erano
più ansiose e sospettose, meno assertive e competitive, nonché in possesso di scarse
risorse di coping per far fronte alle situazioni più difficoltose. Da un successivo studio
psichiatrico, messo in atto da Lindemeier nel 1996, vide come protagoniste 87 vittime,
da cui emerse che il 31% dei pazienti riportava una tendenza generale a evitare il
conflitto, il 27% possedeva una scarsa stima di sé, anche prima che il mobbing iniziasse
e il 23% riconosceva una connaturata debolezza emotiva e aveva la tendenza a prendere
tutto sempre troppo seriamente. Un recente studio ha indagato il ruolo giocato dallo
humour nella percezione del 2mobbizzato (Burt, 2004): le vittime mostravano uno
scarso senso di humour, generando un atteggiamento negativo nei confronti dello
2 Non sono da inserire in questa categoria coloro che risultano vittime di mobbing di se stesse. ( Ege e Lancioni, 1998).
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humour e del suo uso sul posto di lavoro. Altre caratteristiche individuali emerse delle
vittime, come nevroticismo e self-efficacy, sono state associate al verificarsi del
fenomeno. La ricerca che meglio ha indagato le caratteristiche della vittima di mobbing
è, tuttavia, quella condotta da Matthiesen e Einarsen nel 2001 su 85 mobbizzati
norvegesi. Venne utilizzato il MMPI-2, uno degli inventari di personalità più impiegato
sia per finalità di ricerca che per finalità diagnostiche-cliniche; con questo sistema
quando le scale di cui è composto l‟inventario raggiungono un punteggio soglia, si
desume che queste indichino un disturbo psicologico su cui si debba intervenire con un
trattamento mirato. Gli autori trovarono punteggi alti nelle varie scale dell‟inventario
somministrato alle vittime di mobbing. Esse risultarono prevalentemente sospettose,
depresse, troppo sensibili e avevano la tendenza a convertire lo stress in disturbi
psicosomatici. Inoltre venne utilizzata la procedura della cluster analysis,
massimizzando le somiglianze entro un gruppo e minimizzando le differenze degli altri
gruppi, ed evidenziarono tre gruppi di vittime: i mobbizzati gravi (32%), i mobbizzati
comuni (25%) e i mobbizzati depressi e delusi (43%). I mobbizzati gravi, rispetto alle
altre vittime, riportavano alti livelli di ansia generalizzata, paura di specifici incidenti e
conseguenze più gravi sul proprio stato di salute. Tuttavia, i mobbizzati comuni
riportarono una maggiore frequenza di azioni mobbizzanti subite, rispetto ai mobbizzati
gravi e ai mobbizzati depressi e delusi. Matthiesen e Einarsen interpretarono questo
risultato come un fattore di vulnerabilità di uno specifico gruppo di vittime. Un ulteriore
e recente studio condotto su 72 mobbizzati e su un parallelo e adeguato gruppo di
controllo, ha rilevato differenze significative fra vittime e non vittime in quattro delle
cinque dimensioni di personalità più riconosciute nel panorama socio-psicologico, in
quanto i mobbizzati tendevano a essere più nevrotici, meno amicali, meno coscienziosi
e meno estroversi. Infine, anche l‟autostima, l‟abilità di risolvere i conflitti,
l‟autoefficacia personale e le risorse di coping potrebbero contribuire all‟evoluzione del
mobbing a partire da un semplice conflitto. Zapf e Gross al riguardo, compararono le
strategie di coping delle vittime la cui situazione mobbizzante era migliorata con il
tempo e di quelle la cui situazione era invece andata aggravandosi col tempo. Le vittime
di “successo” erano più capaci di riconoscere e agire comportamenti che potevano
attenuare il conflitto piuttosto che intensificarlo, come invece facevano le vittime che
non riuscivano a migliorare. Da una recente ricerca sulla reazione mobbing e
intelligenza emotiva condotta dagli scriventi emerge come le vittime di mobbing non
siano un gruppo omogeneo, ma siano divisibili in otto tipologie, in funzione della
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diversa struttura e del diverso sviluppo della loro intelligenza emotiva. Tale risultato è
in linea con lo studio di Matthiesen e Einarsen, proprio per questo anche sul versante
delle emozioni oltre che su quello della personalità, diverse e variegate configurazioni
possono emergere nelle vittime di mobbing. Risulta, da una parte, un “gruppo di
intelligenza emotiva normale”, che non presenta problematiche nella sfera emotiva, ma
che è, comunque, vittima di azioni mobbizzanti; dall‟altra, emerge un gruppo con bassa
intelligenza emotiva, che risulta maggiormente esposto ad azioni di mobbing.
1.4 Gli spettatori
Come ogni fenomeno che può verificarsi vi sono sempre delle persone che sono di
contorno a determinate circostante, esse prendono il nome di spettatori. Questi soggetti
sono tutte quelle persone, colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale, che
non sono coinvolti direttamente nel Mobbing, ma che in qualche modo vi partecipano,
lo percepiscono, lo vivono anche se di riflesso. La funzione che lo spettatore ricopre
all‟interno del posto di lavoro ha un‟importanza cruciale per lo sviluppo del Mobbing.
Come il ruolo del mobber dipende in maniera cruciale dalla sua posizione gerarchica,
così anche quello dello spettatore diventa fondamentale nella sua capacità di influenza
sul Mobbing: se lo spettatore è un neo-assunto in contratto di Formazione allora è
comprensibile che potrà fare ben poco di fronte al Mobbing; se invece è il capo-reparto,
egli ha l‟autorità di porre fine o far proseguire il processo. Se uno spettatore non agisce,
molto spesso si può tramutare in un altro temibile aggressore. Come dice un noto
proverbio, il ladro non è solo chi ruba, ma anche chi gli regge il sacco: ebbene, un
collega che assiste al Mobbing e non lo denuncia o non cerca di fermarlo in qualche
modo può diventare lui stesso un mobber di riflesso, ossia un side-mobber: egli infatti
favorisce il mobbing con la sua indifferenza e la sua non disponibilità ad intervenire. I
colleghi non direttamente coinvolti hanno in mano la chiave di volta per permettere o
non permettere l‟azione del mobber nel loro ufficio. Nel Mobbing, più che in altre
situazioni, chi tace inesorabilmente acconsente.
1.4.1 ..le figure satellite del processo di mobbing: bystander, side-mobber e
whistleblower.
Le figure satellite del processo di mobbing sono tutte quelle persone non direttamente
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coinvolte ma che vivono il mobbing di riflesso, rimanendo, il più delle volte, passive
di fronte al suo manifestarsi, divenendo degli spettatori neutrali (bystander), oppure
schierandosi a favore del mobber o del mobbizzato e assumendo un ruolo attivo. Da
questo punto di vista, la distinzione è tra side-mobber e whistleblower.
I bystander sono colleghi, superiori o sottoposti più o meno consapevoli del mobbing,
ma incapaci di esprimere una qualsiasi forma di solidarietà verso la vittima; testimoni
che, in quanto spettatori inerti, rivestono un ruolo minore nel processo vessatorio.
Caratteristiche dei bystander:
• isolano la vittima, o fanno sì che la vittima si senta isolata e abbandonata;
• vivono la situazione male con il rischio di riportare conseguenze negative sul proprio
stato di salute psicologico e sulla prestazione;
• si possono sentire impotenti.
Le motivazioni che spingono un individuo a diventare complice del mobber: fedeltà e
servilismo verso il mobber, preoccupazione e paura di diventare a sua volta vittima
oppure per trarne un vantaggio sociale o di immagine, indotto dalla funzione
“correttiva” che qualche lavoratore potrebbe sentirsi investito a esercitare ai fini di
ristabilire ordine e giustizia nell‟organizzazione. I tre processi che sembrano essere alla
base dell‟effetto bystander sono l‟inibizione pubblica, ovvero il rischio di imbarazzo
sociale se la situazione non viene percepita così grave dagli altri come invece è sentita
dall‟individuo singolo; l‟influenza sociale, quando il non intervento diventa il modello
di comportamento previsto sulla base dell‟inerzia degli altri individui; la diffusione di
responsabilità, ossia la diminuzione di volontà di intervenire qualora siano presenti più
persone, in quanto il singolo soggetto tende a pensare che sia compito di altri farlo.
Nell‟assunzione di responsabilità si riscontrano maggiormente i processi basilari
dell‟effetto bystander, ma anche l‟interpretazione dell‟evento può, nel caso del
mobbing, essere estremamente rilevante. Un individuo spettatore di azioni mobbizzanti,
infatti, valuterà la serietà e gravità delle azioni poste in essere dall‟aggressore. Questa
valutazione sarà interpretata, oltre che a livello personale ed etico/morale, anche
considerando il contesto organizzativo, il suo clima e la sua cultura. In una cultura e
clima organizzativo senza rispetto e tutela dei lavoratori, episodi mobbizanti possono
addirittura essere considerati come parte dell‟attività quotidiana dell‟organizzazione .
Anche il sentirsi capace di dare aiuto sembra particolarmente pertinente al mobbing: in
quest‟ottica la formazione dei dipendenti a riconoscere episodi mobbizzanti, stabilendo,
ad esempio, dei codici di condotta e/o delle policy, favorisce l‟intervento degli
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spettatori, perché si sentiranno più capaci e dotati di strumenti di tutela anche nei
confronti di altri lavoratori.
I side-mobber sono coloro che affiancano attivamente i mobber nell‟azione vessatoria,
dando il loro apporto con condotte singole o reiterate di natura attiva o passiva, che
completano o accentuano la strategia mobbizzante.
I whistleblower sono coloro che cercano di aiutare la vittima. Una delle definizioni più
comuni nella letteratura della psicologia del lavoro e delle organizzazioni dei
whistleblower è “membri dell‟organizzazione (includendo anche gli ex lavoratori o
candidati) che rivelano pratiche aziendali illegittime, immorali e illegali a terzi (persone
o organizzazioni), e che potrebbero intervenire in merito ad esse”. I criteri fondamentali
del whistleblowing sembrano essere essenzialmente tre: l‟atto di notificare pratiche
sbagliate in un‟organizzazione; la motivazione sottostante a prevenire un danno nei
confronti di altri; l‟azione di un lavoratore o di un ex lavoratore che ha un accesso
privilegiato alle informazioni o è testimone di pratiche illegittime nell‟ambiente di
lavoro. Talvolta questi testimoni sono gli stessi colleghi di lavoro che sono ancora alle
dipendenze del datore-mobber, e che, pertanto, saranno più propensi a rendere delle
dichiarazioni che in qualche modo possono mettere a repentaglio la loro stessa
posizione all‟interno dell‟ambiente lavorativo se è presente una forma di supporto da
parte della politica organizzativa o da parte di un organismo di riferimento specifico.
Alcune caratteristiche dell‟organizzazione del lavoro risultano positivamente associate
al comportamento di whistleblowing: la bassa incidenza delle pratiche illegittime e
immorali all‟interno dell‟organizzazione ,le politiche organizzative che favoriscono il
comportamento whistleblowing, la risposta dell‟organizzazione al verificarsi e alla
scoperta di tali pratiche, il clima organizzativo positivo, l‟essere organizzazioni aperte al
cambiamento e con un basso livello di burocratizzazione . È stato inoltre messo in luce
che i whistleblower che denunciano maggiormente gli accadimenti negativi avvenuti
nell‟organizzazione hanno un potere maggiore in termini di anzianità di servizio
nell‟organizzazione ,livello di istruzione, stipendio e status organizzativo. Ponendo
ancora una volta l‟attenzione sul comportamento dei whistleblower, non si può non
considerare l‟attività dell‟organizzazione del lavoro, i vissuti e le percezioni delle
risorse umane che in essa operano come elementi fondanti.
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1.5 Le radici del mobbing
Il primo a utilizzare tale termine, è stato l‟etologo 3Konrad Lorenz (1963) per indicare il
comportamento aggressivo di alcune specie di uccelli nei confronti dei potenziali
aggressori che tentano di assalirne il nido. Successivamente Heinemann (1972), medico
svedese, utilizzò il termine mobbing in modo specifico per riferirsi a un gruppo di
bambini che adotta un comportamento deviante verso un altro bambino. È stato poi
Olweus, nel 1978, nei suoi lavori pionieristici, a considerare il fenomeno in
un‟accezione più ampia, estendendo tale definizione al soggetto singolo e introducendo
il termine bullying.
Seguendo questa tradizione di ricerca, Heinz Leymann,– professore, psicologo clinico e
terapeuta, oltre ad essere uno dei maggiori esperti mondiali dell'ambiente lavorativo, è
lo studioso più sistematico del fenomeno del mobbing che ha svolto negli anni Settanta
studi sui conflitti familiari.
Agli inizi degli anni Ottanta, Leymann si è dedicato allo studio del conflitto presso
organizzazioni, è nel momento in cui si trovò di fronte a comportamenti aggressivi sul
posto di lavoro, inziò a utilizzare il termine mobbing.
Leymann decise deliberatamente di non utilizzare il termine anglosassone bullying,
usato dai ricercatori inglesi e australiani, in quanto tale tipo di manifestazione ostile non
aveva le caratteristiche proprie del bullismo, anche se comportava effetti in ugual
misura altamente disfunzionali. Egli suggerì di mantenere il termine bullying per la
descrizione del fenomeno quando si manifestava tra bambini e adolescenti a scuola, e di
utilizzare la parola mobbing per il medesimo comportamento tra adulti nei contesti
organizzativi. Il primo report scientifico di Leymann risale a una ricerca svolta nel 1982
e pubblicata nel 1984 dal National Board of Occupational Safety and Health a
Stoccolma. Nel 1986, ulteriori studi dell‟autore sul mobbing misero in luce le
conseguenze, soprattutto nella sfera neuropsichica, dell‟esposizione a un
comportamento ostile protratto nel tempo.
Leymann, nel 1990, propose una prima definizione articolata di mobbing, dove il terrore
psicologico o mobbing lavorativo consiste in una comunicazione sistematicamente
3 I più noti saggi di Leymann furono pubblicati nel numero 5 del 1996 della rivista European Journal of Work and Organizational Psychology.
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ostile e non etica – da parte di una o più persone – diretta generalmente a un singolo che
si viene a trovare privo di appoggio e difese a causa delle continue attività mobbizzanti.
Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (almeno una volta alla
settimana) e su un lungo periodo di tempo (una durata di almeno sei mesi). Classificò le
azioni mobbizzanti in quattro differenti categorie sulla base degli aspetti sui quali
agiscono i comportamenti negativi: reputazione della vittima; possibilità della vittima di
continuare ad essere efficiente sul lavoro; possibilità della vittima di continuare a
comunicare con i propri colleghi; situazione sociale della vittima. Inoltre Leymann
(1992) sottolineò che i fattori di personalità non erano rilevanti nel determinare il
mobbing riconoscendo nelle condizioni di lavoro la causa primaria del fenomeno. In
sintesi, secondo Leymann l‟ambiente di lavoro è caratterizzato da conflitti che possono
scaturire dalla non ottemperanza di norme che regolano il comportamento delle persone;
tali conflitti rischiano di ingenerare processi di escalation in grado di portare a episodi
di mobbing se il management aziendale, disconoscendo il problema, non li gestisce, o li
gestisce in modo approssimativo e comunque inadeguato. In questi anni il fenomeno del
mobbing inizia ad attrarre crescente interesse nei ricercatori e in chi, all‟interno delle
organizzazioni, si occupa di sicurezza e salute sul posto di lavoro. Sono di questo
periodo gli articoli e libri di Svein Kile1 (professore norvegese di psicologia delle
organizzazioni) sugli effetti disfunzionali sulla salute provocati dall‟esercizio di una
leadership negativa. La ricerca norvegese sul harassment e sul mobbing iniziata alla
fine degli anni Ottanta (Einarsen, Raknes, Matthiesen e Hellesøy, 1990; Matthiesen,
Raknes e Rokkum, 1989) è ispirata dalla lunga tradizione di ricerca sul bullismo nelle
scuole, che già dagli anni Settanta aveva suscitato un forte interesse anche nella stampa
divulgativa. Nonostante ciò, fino ai primi anni Novanta gli studi sul mobbing sono
prevalentemente limitati ai Paesi nordeuropei con poche pubblicazioni in lingua inglese
(ad esempio, Leymann, 1990).
In America, invece, già nel 1976 lo psichiatra Brodsky parla di harassed worker e per
la prima volta sono studiati casi tipici di mobbing. Tuttavia va rilevato che Brodsky non
era interessato nello specifico all‟analisi di tali casi: in realtà gli stessi erano presentati
nell‟insieme di una trattazione concernente numerosi costrutti, come la sicurezza
lavorativa, lo stress, la fatica e la monotonia. Inoltre è doveroso notare che, a causa del
background di tipo medico di Brodsky e di un‟oggettiva difficoltà a discriminare
possibili situazioni di stress da quelle derivanti dalle molestie sul lavoro, tale testo ha
avuto scarsa considerazione nel panorama della letteratura scientifica dell‟epoca. È
19
grazie a una nuova legge svedese del 1976, promulgata per migliorare l‟ambiente
lavorativo, e a un fondo nazionale di ricerca che offriva grandi possibilità per effettuare
indagini nell‟area della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, che i ricercatori
scandinavi, sulla scia di una lunga tradizione di indagini empiriche e di attenzione
particolare alla qualità della vita di lavoro, incominciarono a occuparsi del mobbing.
Essi sono stati i primi a studiare in modo sistematico i disagi psicofisici sul posto di
lavoro, al fine di tutelare il benessere dei lavoratori per migliorarne la qualità della vita,
ottenendo già nel 1993 in Svezia specifiche norme legislative in materia.
In Inghilterra è il giornalista Andrea Adams (1992) che, attraverso il suo libro Bullying
at work e alcune trasmissioni radiofoniche, ha permesso a molte persone di attribuire un
nome alla situazione che stavano vivendo e/o avevano vissuto nell‟ambiente lavorativo.
Nonostante l‟approccio divulgativo al costrutto, Adams cercò di costruire, sulle orme
degli studi di Sigmund Freud e Erich Fromm, un modello teorico che concepiva il
mobbing come un tipo di aggressività umana che aveva radici nella personalità e nelle
esperienze di abuso subite dall‟aggressore, in particolare nell‟infanzia. Un approccio più
rigoroso e sistematico è legato, nell‟Inghilterra di quegli anni, al nome di Rayner
(1995), che individuava invece le radici del mobbing nell‟ambiente socioeconomico e
organizzativo.
La consapevolezza del fenomeno si diffuse anche fra i media grazie alla divulgazione
dell‟opera di Heinz Leymann (1993), in lingua tedesca, Mobbing – Psychoterror am
Arbeitsplatz und wie man sich dagegen wehren kann (Mobbing – terrorismo psicologico
sul posto di lavoro), orientata a un ampio pubblico.
Con il trascorrere degli anni, il mobbing iniziava in Europa ad attrarre crescente
interesse sia da parte dei media, sia nel panorama di ricerca della psicologia del lavoro e
delle organizzazioni. Nel 1996, un numero speciale dell‟European Journal of Work and
Organizational Psychology pubblica otto articoli di altrettanti studiosi di sei Paesi
europei sul tema del mobbing. Essi si riferivano a ricerche presentate in anteprima al
simposio sul mobbing tenuto al 7° congresso europeo di psicologia del lavoro e delle
organizzazioni, organizzato a Gyor in Ungheria nel 1995. Tale simposio è stato il primo
di una serie di successivi simposi europei tenuti nel corso del congresso biennale
dell‟European Work Organizational Psychology (EAWOP): a Verona nel 1997, a
Helsinky nel 1999, a Praga nel 2001, a Lisbona nel 2003, a Istanbul nel 2005 e a
Stoccolma nel 2007. Nel 2001, un altro numero dell‟European Journal of Work and
Organizational Psychology è stato dedicato al costrutto del mobbing.
20
Un‟ulteriore ricerca, che ha costituito un importante punto di riferimento nel settore
e stimolato molti studi successivi, è stata quella di Einarsen e Raknes (1997),
Harassment in the workplace and the victimization of men. In quegli anni le molestie sul
lavoro erano prevalentemente investigate in quanto parte integrante del costrutto di
sexual harassment di cui le donne, come rilevato da molti studi scientifici, erano vittime
in numero più elevato rispetto ai colleghi uomini. Einarsen e Raknes (1997), prendendo
in considerazione un campione di 400 lavoratori uomini presso una compagnia di
navigazione norvegese, rilevarono frequenti casi di azioni mobbizzanti che non avevano
niente a che fare con le molestie sessuali, ma erano pur sempre azioni vessatorie. Tali
dati misero in evidenza il rischio di focalizzarsi troppo sulle molestie a scopo sessuale,
trascurando tutta una serie di azioni di natura meno manifesta, più sottile, ma non per
questo meno vessatoria, che poteva essere esercitata nei confronti di tutti lavoratori,
uomini o donne che fossero. Il progredire delle ricerche in Europa portava sempre più a
chiarire i molteplici aspetti del fenomeno mobbing.
Negli Stati Uniti, in Australia e in Canada, negli anni Novanta, si poneva invece
particolare attenzione ad azioni violente estreme di natura fisica, come aggressioni sul
posto di lavoro, furti e violenza. La psicologia del lavoro e delle organizzazioni era,
inoltre, concentrata maggiormente su comportamenti antisociali sul lavoro o su altre
forme di comportamenti ostili, che non rientravano nel fenomeno in questione. La
consapevolezza del mobbing negli Stati Uniti, in Australia e in Canada si è diffusa
quindi in tempi più recenti rispetto all‟Europa, ma suscitando comunque un interesse
crescente.
In Italia, Harald Ege ha pubblicato, nel 1996, il primo testo sul fenomeno del mobbing
in lingua italiana, ma si è iniziato a parlare diffusamente di mobbing soltanto dal
1999, quando si sono tenuti i primi due convegni nazionali sul tema, uno a Milano, il
24 febbraio, organizzato dalla Clinica del Lavoro Devoto, e uno a Roma, il 4 giugno, a
cura dell‟ISPESL, l‟Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro,
organo del ministero della Sanità. La discussione e il confronto sul fenomeno sono in
rapida crescita su tutti i media nazionali e da allora sono state effettuate numerose
ricerche.
1.6 Il modello di Leymann e i suoi sviluppi
Gli studi di Leymann hanno rilevato come il mobbing sia indotto da fattori organizzativi
21
– lo stile di leadership, il work design, il clima dell‟organizzazione e dei gruppi
di lavoro – e hanno contrastato fortemente le teorizzazioni che consideravano il
mobbing come conseguenza di una predisposizione individuale. Secondo Leymann
quattro sono le cause principali del mobbing:
• l‟inefficienza della leadership;
• l‟inefficienza del work design;
• la posizione sociale della vittima;
• il basso morale dei reparti/uffici.
Il mobbing si verifica per una gestione approssimativa dei conflitti, o del tutto
inadeguata, da parte di un‟organizzazione che tende a non riconoscere il problema. Essi
possono intensificarsi (escalation) nella direzione di mobbing quando i manager o i
vertici aziendali, attraverso la negazione, alimentano il problema (ad esempio, perché
coinvolti nelle dinamiche di gruppo). In sintesi, gli ingredienti principali del mobbing
sono quindi da imputare all‟organizzazione del lavoro e all‟inadeguata gestione dei
conflitti organizzativi da parte dei responsabili aziendali.
Leymann (1996) inoltre ha definito quattro fasi in cui si articola il processo di mobbing
e la sequenza logica che intercorre tra esse:
1. La I Fase del modello si basa sul presupposto che il conflitto nasce
normalmente in tutti i posti di lavoro a causa di scontri di caratteri, di
opinioni ed abitudini diverse, a causa di invidia o competizione. Tale
conflitto è latente poiché non viene ancora esplicitato da nessuna azione o
frase. Esso diviene mobbing solo se non viene risolto e se comunque
diviene continuativo per almeno sei mesi.
2. La II Fase prevede l‟inizio del mobbing vero e proprio e del terrore
psicologico. Il conflitto quotidiano matura e diviene continuativo, vengono
definiti e cristallizzati i ruoli di mobber e di vittima, il mobber agisce in
modo sistematico ed intenzionale con strategie persecutorie ed il
mobbizzato subisce la stigmatizzazione collettiva.
3. La III Fase si verifica nel momento in cui il mobbing trascende i limiti
dell‟ufficio/reparto in cui è nato e diventa di dominio pubblico. La vittima
comincia ad accusare problemi di salute e si assenta ripetutamente dal
lavoro per malesseri o visite mediche. Inoltre, manifesta un calo di
rendimento così da dare il via ad indagini da parte dell‟Amministrazione
del Personale. Quest ultima può arrivare a considerare l‟elemento dannoso
22
e dispendioso per l‟azienda e decidere di eliminarlo anche attraverso
azioni non propriamente legali, con l‟obiettivo di portarlo alle dimissioni
spontanee.
4. La IV Fase prevede l‟esclusione della vittima dal mondo del lavoro, o per
licenziamento o per dimissioni. Casi più gravi e violenti si verificano per
suicidi (dovuto ad un crollo interiore e morale della persona) della vittima
o invalidità permanenti (dovute a mancanza di concentrazione o
sabotaggi). A volte capitano anche aggressioni verso il mobber. Il
mobbing, in questa fase, ha raggiunto il suo scopo, cioè eliminare la
vittima.
Il modello di Leymann è puramente descrittivo: esso presenta dei limiti, rintracciabili
sia nella mancanza della dimensione soggettiva della vittima, sia nella mancanza di
relazione logica tra le fasi (necessaria per parlare di “processo”). Inoltre, Leymann
sembra basarsi sulla realtà svedese e tedesca, non permettendo l‟applicazione del suo
modello ad una realtà culturale e sociale come quella italiana, la quale presenta, rispetto
agli altri paesi europei, delle peculiarità: in Italia per esempio un legame familiare molto
forte può assorbire o al contrario enfatizzare le conseguenze del mobbing. In
quest‟ottica il modello di Leymann appare impreciso ed incompleto, lasciando aperti
molti quesiti. Per tale motivo Ege ha elaborato una variante del modello leymanniano,
introducendo il punto di vista del soggetto che partecipa al processo e legando ogni
singola fase a quella precedente e alla successiva. Il modello di Ege appare pertanto
molto più ricco, chiaro e fluido e maggiormente adeguato alla situazione italiana. Qui,
infatti, la conflittualità tra i lavoratori viene considerata una condizione normale di
lavoro, per cui il conflitto quotidiano non può essere il punto di partenza del mobbing.
Ege aggiunge una pre-fase detta “Condizione Zero” in cui il conflitto è generalizzato
(tutti contro tutti), senza la designazione di una vittima precisa. Il conflitto non è latente
poiché si manifesta (saltuariamente) attraverso piccoli diverbi, discussioni o ripicche.
Le fasi riportate sono le seguenti:
1. Il conflitto mirato. In questa fase già si parla di mobbing. Infatti il conflitto
quotidiano e fisiologico si trasforma, poiché l‟obiettivo è quello di distruggere
l‟avversario. Viene designata la vittima e si dirige su di essa la conflittualità
generale.
2. L’inizio del mobbing. Gli attacchi da parte del mobber suscitano senso di disagio
e fastidio. La vittima si interroga sul mutamento e sull‟inasprimento delle
23
relazioni lavorative. Questa fase corrisponde alla seconda fase di Leymann.
3. Primi sintomi psico-somatici. Questa fase si colloca tra l‟inizio del mobbing e la
sua manifestazione pubblica. La vittima comincia ad avvisare problemi di salute
(insonnia, problemi digestivi, senso di insicurezza) che si possono protrarre
anche per lungo tempo.
4. Errori ed abusi dell’amministrazione del Personale. Il caso di mobbing diventa
pubblico e spesso viene favorito da errori di valutazione dell‟ufficio del
Personale, spesso dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno e delle sue
caratteristiche. Quindi i provvedimenti presi il più delle volte risultano inadatti e
dannosi per la vittima.
5. Serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima. Il mobbizzato entra in
una fase di vera disperazione, accusando forme depressive, credendosi la causa
dei suoi problemi e avvertendo un senso di impotenza verso la situazione.
Spesso si cura con psicofarmaci e sedute terapeutiche, ma queste hanno un
effetto puramente palliativo, non eliminando il problema sul lavoro.
6. Esclusione dal mondo del lavoro. Questa fase rappresenta l‟esito ultimo del
mobbing e corrisponde alla quarta fase di Leymann (per cui valgono le stesse
considerazioni esposte sopra).
Anche in questa elaborazione, come in quella base di Leymann, possono verificarsi
variazioni, per cui alcune fasi possono mancare e il mobbing può concludersi prima
della fase cronica, relativamente alla particolare storia di ogni vittima.
Con questo capitolo ho cercato di porre le basi per spiegare ciò che viene riportato nei
capitoli successivi. Com‟è possibile notare mi sono soffermata su ciò che è il mobbing e
sui protagonisti di tale fenomeno, oltre ad aver prestato attenzione nel descrivere le fasi
storiche che lo compongono.
Credo sia essenziale prima di dare una collocazione a un tema di preminente rilevanza,
descriverlo e comprenderlo attraverso le varie sfaccettature presentate.
24
SECONDO CAPITOLO
TIPI DI MOBBING
2.1 Il mobbing verticale e orizzontale
Tra le varie tipologie di mobbing, è possibile individuare una prima forma di
4terrorismo psicologico che si basa sul tipo di relazione gerarchica che intercorre tra gli
attori del fenomeno. Partendo dal ruolo lavorativo e dalla posizione formale ricoperti
dall‟aggressore e dalla vittima si possono distinguere due tipologie di mobbing: 5il
mobbing verticale e il mobbing di orizzontale. A sua volta, il mobbing verticale può
essere suddiviso in discendente e ascendente.
Si tratta di un caso di mobbing verticale discendente quando la violenza psicologica
viene posta in essere da un superiore della vittima e può determinarsi anche con il
concorso dei colleghi della vittima che svolgono, consapevolmente o meno, un‟azione
mobbizzante. Le azioni più tipiche di questa forma di mobbing sono legittimate dal
potere formale e dall‟autorità detenuti dal mobber. Proprio per questo motivo, a
superiori e manager viene dato potere formale dall‟organizzazione che, talvolta, può
giungere a forme di abuso dalle quali la vittima non è in grado di difendersi. Un tipico
esempio di mobbing verticale è l‟abuso di potere, vale a dire tutte quelle situazioni in
cui viene attuato un uso arbitrario e non razionale dal punto di vista organizzativo ed
etico del potere da parte di un superiore, che utilizza, a tal fine, la posizione che occupa
nella gerarchia aziendale. Disprezzare e mostrare scarsa considerazione verso i
collaboratori e subordinati, mostrare continua sfiducia e sospetto, vedere i subordinati
come un oggetto da manipolare, prendere credito dai successi degli altri e punire senza
reale necessità sono alcuni dei possibili comportamenti messi in atto dal superiore
mobber.
Ci si trova, invece, davanti a un caso di mobbing verticale ascendente quando la
violenza psicologica viene posta in essere nei confronti della vittima da uno o più
collaboratori/ subordinati. Lo staff dipende dai superiori riguardo ai compiti da
4 H. Ege, Che cos’è il terrore psicologico sul luogo di lavoro. Pitagora, Bologna (1996).
5 Menelao et al. Nel 2001 riportano dati secondo cui in Italia il 40-45% dei casi di mobbing è di tipo verticale, mentre solo nel 5% dei casi si tratta di mobbing orizzontale.
25
svolgere, le risorse da utilizzare, i premi da ricevere e le valutazioni delle loro
prestazioni, ma anche i superiori dipendono dai collaboratori/subordinati in merito al
raggiungimento degli obiettivi prefissati e ai risultati finali ottenuti. Ne consegue che
anche la dipendenza dei manager dal loro staff può diventare una forma di potere che
può essere oggetto di abuso. Infatti, il potere detenuto dallo staff nei confronti del
manager risulta limitato se il superiore è riconosciuto e legittimato, ma, nel caso in cui il
manager non venga rispettato, i collaboratori/ subordinati possono esercitare una forma
di abuso di potere, grazie al facile reperimento di conoscenze, informazioni e network
del superiore e all‟utilizzo di tattiche di coalizione. Le azioni più tipiche di questa forma
di mobbing sono, verosimilmente, più di tipo rivendicativo/punitivo come trattenere
informazioni necessarie per il superiore o diffondere gossip e false accuse nei suoi
confronti. Il manager, a sua volta, si trova in estrema difficoltà a cercare supporto e
aiuto, in quanto la sua posizione e il sistema di aspettative intrinseche al suo ruolo da
parte dell‟azienda e degli impiegati ne diminuiscono la possibilità di difesa. Ci si trova,
invece, davanti a un caso di mobbing orizzontale quando la violenza psicologica viene
posta in essere nei confronti della vittima da uno o più colleghi di pari grado.
Le azioni più tipiche in questo caso sono verosimilmente di tipo comunicativo, come
ignorare ed escludere la persona, o attaccarne la vita privata. I colleghi, infatti, hanno
una conoscenza più approfondita degli stili di vita, delle preferenze e delle attitudini
delle persone con cui lavorano. Questa approfondita conoscenza potrebbe influenzare il
comportamento di mobbing in contesti e situazioni specifiche: in essi, infatti, alcune
categorie di lavoratori, per determinate caratteristiche di personalità e attitudini,
vengono percepite come aventi meno potere e l‟aggressore può sentirisi perfino
legittimato a esercitare azioni mobbizzanti.
2.2 Il mobbing collettivo/organizzativo e il bossing
Un‟altra tipologia di mobbing emerge sulla base della concettualizzazione del fenomeno
entro una logica strettamente aziendale.
Molti studiosi, come rilevato precedentemente, hanno messo in luce che il mobbing è
un fenomeno interpersonale che evolve da un processo interattivo fra le parti, mentre
altri (Liefooghe e Mackenzie, 2001) hanno invece concettualizzato il mobbing come un
fenomeno organizzativo. Il mobbing collettivo/organizzativo si riferisce alle situazioni
in cui le procedure e le pratiche organizzative vengono percepite regolarmente e
26
sistematicamente come oppressive, degradanti e umilianti al punto che i lavoratori si
sentono mobbizzati da esse. Anche in questa forma di mobbing i comportamenti
negativi sono frequenti, persistenti e tormentano, creando frustrazione nei dipendenti. In
queste situazioni, i manager, a livello di singolo o di gruppo, danno sostegno e forma
alle strutture organizzative e alle procedure che possono tormentare, abusare e sfruttare
gli impiegati.
Il bossing, invece, è una forma di terrorismo psicologico che viene programmato
dall‟azienda o dai vertici dirigenziali come vera e propria strategia aziendale di
riduzione o razionalizzazione del personale, oppure di semplice eliminazione di una
persona indesiderata. Ege (2001) definisce il bossing come un tipo di mobbing politico,
in cui la linea politica del mobber coincide con quella aziendale e in cui il mobber può
essere considerato l‟azienda stessa, il datore di lavoro o comunque i vertici aziendali. In
quest‟ottica, i dirigenti e i quadri dell‟azienda hanno lo scopo preciso di indurre il
dipendente, divenuto “scomodo”, all‟autoeliminazione (dimissioni volontarie, pre
pensionamento), oppure di creare il necessario background per un suo licenziamento, il
tutto al riparo da qualsiasi problema di tipo sindacale e giuridico.
Il bossing può essere utilizzato per intraprendere operazioni su larga scala, come la
riduzione di personale o la riorganizzazione di interi uffici, oppure per espellere dal
contesto socio produttivo lavoratori non voluti, altrimenti difficilmente amovibili. Esso
è caratterizzato dall‟intento strategico dell‟aggressore (quindi azione voluta,
intenzionale, cosciente e pianificata) di allontanare ed emarginare il lavoratore ed è
specificamente ricollegabile a finalità inerenti all‟ambito lavorativo. Come è noto, al
giorno d‟oggi la legislazione vigente in merito alla tutela dei lavoratori rende molto
difficile per l‟azienda licenziare qualche dipendente, soprattutto quando si tratta di
persone organizzate nei sindacati. Tuttavia, soprattutto in tempi di crisi, molte aziende
sono costrette a ridurre il personale, o a ringiovanirlo. Il bossing si configura in questi
casi proprio come una precisa strategia aziendale. Nei sistemi, infatti, dove esiste
maggiore libertà di licenziare, la frequenza di strategie di bossing risulta normalmente
minore; al contrario, in una realtà dove il licenziamento è ammesso solo per giusta
causa o giustificato motivo, pena sanzioni anche rilevanti, l‟interesse a provocare le
dimissioni può diventare molto forte e, se il lavoratore ha scarse possibilità di trovare
una diversa occupazione, il suo attaccamento al lavoro sarà maggiore, con conseguenze
per lui nefaste.
27
Le azioni più tipiche di questa forma di mobbing riguarderanno più specificamente
l‟attività lavorativa, si manifesteranno sotto forma di trappole, diffusione di
informazioni false o incomplete e sabotaggi, affinché gli errori commessi dal lavoratore
possano essere fatti ricadere su di lui e costituiscano una prova costruita da esibire in
giudizio.
Inoltre, il bossing crea intorno alla persona da “eliminare” un clima negativo e ostile:
atteggiamenti eccessivamente e ingiustamente severi, minacce più o meno velate,
rimproveri più o meno immeritati, che non vengono compresi dalla vittima.
Inizialmente essa è disorientata, con il passare del tempo può diventare incredula
rispetto a ciò che sta succedendo, successivamente fortemente impaurita di perdere il
proprio posto di lavoro e, infine, cosciente della situazione, ma impotente di fronte alla
strategia di persecuzione messa in atto contro di lei. In questa ipotesi il mobbizzato può
venire, per altro anche legittimamente, licenziato in quanto ormai inefficiente, assente
per malattia, inadempiente ai doveri contrattuali. In questa situazione l‟esclusione del
mobbizzato dall‟ambiente di lavoro può essere una mera conseguenza del bossing: ciò
avviene quando i superiori o i colleghi intervengono in un‟azione mobbizzante già
intrapresa dall‟organizzazione, dunque entro una logica prettamente aziendale. I
superiori o i colleghi, pur non avendo premeditato il licenziamento, si trovano, cioè, a
dover sanzionare il dipendente, completando l‟opera di demolimento intrapresa dai
vertici dirigenziali dell‟azienda.
2.3 Il mobbing sulla persona e il mobbing sul ruolo lavorativo e sulla mansione.
Continuando la rassegna delle varie tipologie di mobbing, è possibile individuare
un‟altra forma di terrorismo psicologico sulla base delle azioni poste in essere
dall‟aggressore e percepite dalla vittima. Come è emerso da uno studio di Einarsen e
Hoel (2001) condotto presso 5300 lavoratori e da Giorgi e Majer presso oltre 2000
lavoratori italiani, ci sono due tipologie di azioni negative: attacchi diretti al ruolo
lavorativo e alla mansione e attacchi diretti alla persona. Il mobbing sul ruolo lavorativo
e la mansione si attua attraverso la marginalizzazione dell‟attività lavorativa. Spesso si
inizia con l‟esclusione reiterata del lavoratore da iniziative formative di riqualificazione
e aggiornamento professionale, e/o con l‟esercizio esasperato di forme di controllo,
oppure con ripetuti trasferimenti ingiustificati cui viene sottoposta la vittima.
Parallelamente, viene colpito l‟operato del lavoratore: un esempio è dato dalla
28
prolungata attribuzione di compiti eccessivi con scadenze irragionevoli o dalla mancata
assegnazione degli strumenti di lavoro, così che, successivamente, vengono tolte
responsabilità cruciali di competenza e assegnati compiti dequalificanti rispetto al
profilo professionale posseduto. Altre manifestazioni del mobbing sul ruolo lavorativo e
sulla mansione sono rinvenibili nell‟inadeguatezza strutturale e sistematica delle
informazioni inerenti all‟ordinaria attività del lavoro e nell‟impedimento sistematico e
strutturale dell‟accesso a notizie necessarie per il lavoratore.
Il mobbing sulla persona si attua, invece, nella violazione dell‟integrità e della dignità
umana della vittima. Spesso si inizia con azioni negative “velate”, come fare continue
critiche, pettegolezzi e gossip; oppure la vittima inizia ad essere frequentemente
umiliata in pubblico o riceve giudizi negativi reiterati in merito a errori e sbagli
commessi. Possono, inoltre, essere diffuse false accuse e la vittima può divenire il
bersaglio di un eccessivo sarcasmo o di scherzi imbarazzanti. Contestualmente
all‟evolversi del conflitto, le azioni negative possono diventare più esplicite e dirette e
assumere l‟aspetto di veri e propri comportamenti intimidatori (invadere lo spazio
personale, impedire il passaggio, puntare il dito contro). Il mobbizzato, inoltre, inizia ad
essere sempre più frequentemente vittima di aggressività e rabbia, con il rischio di
arrivare alla minaccia di violenza o ad atti di vera e propria violenza fisica.
Altre manifestazioni del mobbing sulla persona sono riscontrabili nell‟isolamento
sociale, nell‟ignorare o nel compiere azioni ostili quando la vittima si avvicina, nei
reiterati commenti offensivi o insulti sulla sua persona o sulla sua vita privata. Altre
volte vengono dati da parte del mobber costanti segnali che mirano a far lasciare alla
vittima il suo posto di lavoro.
2.4 Il doppio mobbing
Contestualmente allo svilupparsi delle varie fasi del mobbing lavorativo, si può
sviluppare inoltre, secondo Ege (1996), il doppio mobbing, ossia quell‟insieme di
vessazioni che la vittima subisce dalla propria famiglia e/o amici in aggiunta alle
persecuzioni lavorative.
La famiglia, in particolare in Italia, riveste un importante ruolo caratterizzato da stretti
legami e da una partecipazione attiva all‟evoluzione sociale e personale dei suoi
membri: si interessa del loro lavoro, della loro vita privata, fornisce consigli e aiuti nel
risolvere i problemi e fornisce protezione. La vittima, in situazione di mobbing, cerca
29
proprio nella famiglia quella comprensione e quel conforto in cui sfogare la propria
rabbia e la propria frustrazione, l‟insoddisfazione e lo stress che ha accumulato durante
la giornata lavorativa. Così, chi si trova coinvolto nel mobbing, cerca una condivisione
delle proprie difficoltà con il coniuge, i figli, i genitori. Essendo il mobbing un lento
stillicidio di persecuzioni, attacchi e umiliazioni, che perdura inesorabilmente nel
tempo, e proprio nella lunga durata ha la sua forza devastante, il logorio attacca la
famiglia, che, inizialmente resiste e compensa le perdite, poi fornisce sostegno fino a un
certo limite. Quando la violenza psicologica subita all‟interno dell‟ambiente lavorativo
diventa l‟unico e ossessivo argomento di conversazione della vittima e la situazione
diviene insostenibile e dannosa per l‟unione e la coesione familiare, la stessa famiglia
per “istinto di sopravvivenza” erge un muro di protezione e passa al contrattacco con
atti estremi e irrazionali, e tende nei casi più gravi a isolare l‟individuo anche dal nucleo
familiare, causandogli con ciò un peggioramento per quanto concerne la sua stabilità
psicologica.
2.5 Le conseguenze del Mobbing
Il Mobbing è una pratica dannosa e realmente criminale: le sue intenzioni sono dettate
da sentimenti profondamente distruttivi verso gli altri ed i suoi esiti sono di portata
sconvolgente. Proprio per questo motivo sono facilmente intuibili la sua potenzialità
disgregatrici e le 6conseguenze che ne derivano anche nel tessuto sociale. Per la vittima
il Mobbing significa prima di tutto problemi di salute, legati alla somatizzazione della
tensione nervosa. Il nervosismo causa spesso palpitazioni, tremori, difficoltà
respiratorie, problemi di espressione, gastriti e disturbi digestivi. Un'altra sfera
dell´esistenza che risente dello stress è il sonno: incubi, sonno interrotto, insonnia.
Spesso poi il mobbizzato manifesta disturbi alle funzioni intellettuali: annebbiamento
della vista, difficoltà di memoria e di concentrazione e molto frequenti sono i sintomi da
pressione psicologica più evidenti, come capogiri e svenimenti. Il Mobbing causa poi
alla vittima anche danni finanziari, spesso di entità considerevole: pensiamo alle costose
visite mediche specialistiche ed alle sedute psicoanalitiche, oltre alla scomparsa della
regolare entrata mensile dello stipendio nei casi in cui il Mobbing sfocia nella perdita
del posto di lavoro. Il Mobbing però causa anche danni di tipo sociale, cioè il crollo
6 Proteo, Che cos’è il terrore pscicologico, Bologna, 1996.
30
della sua immagine sociale e la perdita di colleghi, di collaboratori o di amici che non
sopportano più il suo umore depressivo o del partner che se ne va convinto che sia un
fallito.
Per l'azienda il Mobbing ha effetti ugualmente devastanti, principalmente sul piano
economico: sicuramente se un imprenditore fosse a conoscenza dei veri danni del
Mobbing, lo combatterebbe con decisione e rapidità. Anche per l'azienda poi il
Mobbing ha conseguenze che vanno ben oltre quelle dei costi. Ci sono infatti anche
conseguenze gravi sul piano sociale: se i dipendenti si dimostrano scontenti delle
condizioni di lavoro a cui sono costretti e ne parlano al di fuori, l'immagine della ditta
ne risente inevitabilmente e la concorrenza può approfittarne. Vi è un'altra entità che
viene gravemente danneggiata dal Mobbing, la società stessa. Pensiamo ad un
mobbizzato costretto a protratte assenze per malattia. L'INPS, ente statale e quindi
finanziato dalla comunità, eroga denaro all'azienda affinché questa persona sia
regolarmente retribuita. Non solo: la USL, anche questa statale, contribuisce alle spese
per le visite mediche, le analisi, le terapie e gli eventuali interventi di altro genere
necessari allo stato di salute della vittima del Mobbing.
Passiamo ora alle estreme conseguenze cui il Mobbing può portare una sua vittima, cioè
a un caso di invalidità professionale permanente. Il mobbizzato è giunto ad uno stato
fisico o psichico in cui non può più svolgere normalmente alcun tipo di lavoro
(esaurimento nervoso, depressione cronica, etc). In situazioni di danni permanenti alla
salute, la vittima può essere costretta al prepensionamento in età ancora relativamente
giovane. Anche in questo caso i costi per la società sono enormi: non si deve infatti
considerare solo la pensione che riceve con 10-20 anni di anticipo rispetto alla normale
età pensionabile. Pensiamo anche ai contributi sullo stipendio che non versa più e alla
perdita sociale della risorsa umana relativa all'attività lavorativa che non svolge più. In
pratica, possiamo affermare che la sua forza lavorativa non è più al servizio della
società con molti anni di anticipo.
Le ricerche europee sono arrivate ad una stima approssimativa del danno economico
che un prepensionamento a 40 anni causa alla società: la cifra è molto elevata, a cui
inevitabilmente va aggiunto il costo della persona che, non producendo più, occupa però
un posto in ospedale o si sottopone ad una visita specialistica, o ad una seduta di terapia.
Anche l'ambiente della vittima subisce un danno da Mobbing: spesso gli umori
altalenanti o insopportabili del mobbizzato riescono a far saltare i nervi anche ai
familiari ed agli amici. Immaginiamo una coppia in cui uno dei due partner cominci a
31
subire Mobbing: diventerebbe intrattabile. Porterebbe a casa i suoi problemi sul lavoro;
a volte per cercare di liberarsene si darebbe all'alcol, o al fumo; forse diventerebbe
violento. Ce n'è abbastanza per separarsi. Anche un divorzio è da includere all'interno
dei costi a carico della società dovuti al Mobbing. Nel 1996/97 è stata condotta la prima
ricerca sul Mobbing in Italia da parte di PRIMA, Associazione Italiana contro Mobbing
e stress psicosociale.
A 301 vittime di Mobbing è stato sottoposto un questionario specifico che riguardava
gli effetti e le modalità del terrorismo psicologico che subivano o avevano subito sul
posto di lavoro. Ecco alcuni dei risultati della ricerca:
- Più del 38% delle vittime intervistate provengono dal settore dell´industria
produttrice di beni/servizi, mentre un altro forte riscontro del Mobbing si ha
nella pubblica amministrazione (oltre 21%). All´interno del mondo industriale o
del terziario è evidente un certo orientamento verso il profitto, che si traduce di
solito nella filosofia secondo cui chi produce di più viene anche maggiormente
gratificato. Possiamo dunque avanzare l'ipotesi che esiste una forte relazione tra
Mobbing e ambizione. Poiché più si produce e più si ricevono gratificazioni, è
possibile che un impiegato carrierista ed ambizioso ricorra al Mobbing per
liberarsi di un collega molto bravo sul lavoro, che è o potrebbe diventare un
pericoloso concorrente nella corsa alla promozione. Nell'amministrazione
pubblica, invece, solitamente hanno molto peso i favoritismi di ogni tipo,
familiare, politico, etc. Ciò può portare alla spiccata tendenza ad eliminare
chiunque non faccia parte della "famiglia", e che quindi costituisce con la sua
semplice presenza, una denuncia al sistema. Un altro motivo di insorgenza del
Mobbing negli uffici pubblici inoltre penso possa essere rintracciato nel diffuso
sentimento di "noia" di cui tanti impiegati e lavoratori soffrono. In effetti, spesso
il personale è in esubero, e quindi il lavoro che ognuno deve svolgere occupa
solo una parte del suo orario. Per il resto del tempo si deve restare sul posto di
lavoro ad annoiarsi, e prendere in giro un collega diventa troppo spesso un
passatempo.
Con quanto sopra descritto, si è cercato di descrivere in linea generale quali sono gli
effetti che si possono riscontrare in coloro che sono ritenute vittime di mobbing. Nel
corso degli anni e grazie agli studi che si sono avuti su questo fenomeno, è stato
possibile provare a definire nel dettaglio le conseguenza. Non bisogna dimenticare che
gli effetti di questo terrore psicologico, possono risultare permanenti e durevoli nel
32
tempo; il mobbizzato difficilmente riesce ad abbandonare l‟idea di essere stato una
vittima di Mobbing. Ora facendo riferimento agli studi condotti da Leymann e
successori, possiamo notare com è possibile dividere gli effetti di Mobbing nel breve e
nel lungo periodo.
2.6 Effetti nel breve periodo
Già nel 1990 Leymann aveva dimostrato tramite osservazioni cliniche che il mobbing
non solo comportava sindromi psicologiche o gravi disturbi ma anche isolamento
sociale, malattie psicosomatiche, depressione, rabbia, sensazione di impotenza e così
via. Essere vittime di comportamenti vessatori sembra produrre anche forti reazioni
emotive, o dei veri traumi, come paura, ansia e shock. La vittimizzazione subita, inoltre,
trasforma le percezioni delle persone sul proprio lavoro e sulla propria vita in genere in
situazioni che implicano insicurezza, minaccia e pericolo.
Per Einarsen e Hellesøy (1998), le vittime di mobbing riportano meno soddisfazione
lavorativa e benessere psicologico e una serie di sintomi di stress, come bassa
autostima, problemi legati al sonno, ansia, difficoltà di concentrazione, fatica cronica,
rabbia, depressione e altri sintomi psicosomatici; alcune vittime, inoltre, sviluppano
anche pensieri suicidi. Il mobbing, inoltre, può dare adito anche a dolori muscolari, la
cui motivazione può essere ricercata nello stato di tensione che il mobbing causa nella
vittima . In uno studio di Mikkelsen e Einarsen (2002), i mobbizzati, rispetto a un
gruppo di controllo, si consideravano meno capaci e abili e percepivano il mondo in
modo più negativo e pessimistico. Sulla base di osservazioni cliniche e interviste con
vittime americane di harassment, Brodsky (1976) identificò tre pattern di risposta:
alcune vittime sviluppavano sintomatologie di natura fisica, quali debolezza, mancanza
di forza, fatica cronica, dolori e così via, altre reagivano con depressione o
sintomatologie ad essa correlate, quali impotenza, mancanza di autostima e disturbi del
sonno; il terzo gruppo manifestava sintomatologie psicologiche, quali ostilità,
ipersensibilità, perdita di memoria, sentimenti persecutori, nervosismo.
Bisogna tuttavia considerare che i risultati degli studi sulle conseguenze del mobbing a
breve termine riportatati fino ad ora riguardano prevalentemente vittime consapevoli del
proprio vissuto di molestia e che avevano chiesto una qualche forma di aiuto e/o
supporto per uscirne. È possibile, quindi, ipotizzare che i loro problemi di salute fossero
33
più gravi rispetto ad altre tipologie di vittime; in alcuni casi il loro vissuto poteva essere
ricondotto al mobbing oggettivo e/o a un mobbing non soltanto a breve termine ma a
lungo termine. Grazie agli studi e ai risultati concomitanti sostenuti da Einarsen e Zapf
emerge chiaramente che il mobbing influenza il benessere e la salute dei lavoratori, la
percezione soggettiva di essere vessati della vittima che pertanto può avere degli effetti
estremamente disfunzionali. Questo dato si dimostra essere significativo e
particolarmente rilevante non solo dal punto di vista scientifico, ma anche per le
prospettive di diagnosi precoce di intervento preventivo che emergono; in quanto la
maggiore parte degli studi effettuati, si rifanno a disegni di ricerca di tipo correzionale,
solo alcuni sono in grado di evidenziare l‟effetto causale del mobbing sullo stato di
salute delle vittime.
2.7 Effetti del mobbing nel lungo periodo
Nella costellazione dei sintomi delle vittime di mobbing a lungo termine è stato
riconosciuto anche il disturbo post-traumatico da stress. La diagnosi del disturbo
postraumatico si riferisce a un insieme di sintomi da stress presentati da vittime di
eventi traumatici. Può essere definito come un evento che ha comportato una minaccia
per la vita, o una grave lesione, o una minaccia all‟integrità fisica, propria o di altri, che
hanno condotto la vittima a una condizione di paura intensa, sentimenti di impotenza o
di orrore. L‟elemento chiave che determina lo sviluppo di questa patologia è la
percezione soggettiva di minaccia per la vita, l‟impossibilità percepita di ricevere aiuto,
l‟esperienza di paura estrema. Questo contribuisce a spiegare perché soggetti diversi,
esposti alla stessa circostanza traumatica, possono sviluppare, o meno, il disturbo. I
sintomi sono: la fissazione del pensiero sugli eventi traumatici, i comportamenti
evitanti, la reazione emotiva. In primo luogo il trauma viene rivissuto attraverso ricordi
dolorosi dell‟evento traumatico sotto forma di immagini, di flashback, di sogno.
In secondo luogo, la vittima tende a evitare stimoli in qualche modo collegati alla
situazione traumatica mostrando comportamenti evitanti: potrebbero sorgere problemi
nel ricordare alcuni eventi, potrebbe ridursi un interesse per alcune attività prima
gradite, possono anche verificarsi forme di chiusura ai rapporti interpersonali e agli
affetti. Il terzo elemento presente è dato dalla reazione emotiva intensa innescata da
luoghi o fatti che hanno qualche relazione con l‟evento traumatico. È correlata allo stato
emotivo e spesso presenta una vistosa componente somatica: accessi di calore,
34
sudorazione, tensione muscolare, tremore, puntate ipertensive, reazioni coliche o
gastrointestinali in generale.
Numerosi sono ormai gli studi che supportano la relazione tra mobbing e disturbo post-
traumatico da stress. Leymann e Gustafsson, in uno studio condotto su 64 vittime
svedesi di mobbing inserite in un programma di riabilitazione, conclusero che il 65%
soffriva di questo tipo di disturbo. In uno studio il cui campione era costituito da 102
vittime norvegesi di mobbing a lungo termine, Einarsen evidenziò che il 75% dei
mobbizzati presentava sintomi tipici del disturbo post-traumatico da stress e, anche
dopo cinque anni dalla cessazione delle molestie, il 65% delle vittime riportava un
pattern di sintomi indicante il disturbo. Mikkelsen e Einarsen , in un campione di 118
vittime danesi di mobbing, sulla base dei criteri diagnostici, rilevarono che il 29%
soffriva di un disturbo post-traumatico da stress, mentre il 47% non soddisfaceva
soltanto il criterio. Inoltre, il 61.7% delle 89 vittime prese in considerazione,
soddisfaceva tutti i criteri del disturbo post-traumatico da stress.
Un altro possibile effetto del mobbing a lungo termine è il disturbo di adattamento, la
cui caratteristica fondamentale è una risposta psicologica a uno o più fattori stressanti
identificabili che conducono allo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali
clinicamente significativi. I sintomi devono svilupparsi entro tre mesi dall‟esordio del
fattore o dei fattori stressanti. La sofferenza emotiva indotta da situazioni stressanti o
eventi di vita sfavorevoli viene valutata secondo la durata e la gravità dei sintomi in
relazione all‟evento stressante. La diagnosi viene adottata ogni volta che si verifica una
significativa compromissione funzionale nella vita lavorativa e/o di relazione. È bene
comunque sottolineare che qualsiasi sia la diagnosi degli effetti, il cuore del problema è
la comprensione di quanto il mobbing possa essere psicologicamente distruttivo.
Il mobbing non solo danneggia la salute mentale ma anche la carriera, lo status e lo stile
di vita. La maggior parte delle vittime percepisce l‟esposizione al mobbing come la
peggior cosa che sia mai successa nella propria vita. Ciò dimostra che per alcuni
lavoratori il mobbing è un evento estremamente traumatico, sia a breve che, ancor più, a
lungo termine.
2.8 Altri effetti del mobbing
Come ogni situazione che possa verificarsi, anche il mobbing, non ricade solo su coloro
che vengono considerati i protagonisti del fenomeno. Proprio per questo, non bisogna
35
dimenticare chi si ritrova in questa situazione assumendo una posizione marginale e che
inevitabilmente ne subisce le conseguenze. Molto spesso inizialmente questi soggetti
vengono esclusi dal contesto mobbing e sono: gli osservatori e l‟organizzazione, intessa
come sistema.
Gli osservatori, in quanto il mobbing non sembra influenzare soltanto il bersaglio ma
anche i colleghi e gli osservatori. Gli effetti del mobbing sugli osservatori possono
essere sia diretti, vale a dire quando gli stessi sviluppano la paura di diventare le
prossime vittime, sia indiretti, ossia quando il benessere generale degli osservatori è
ridotto a causa dell‟ambiente mobbizzante in cui lavorano. È, inoltre, possibile
ipotizzare che i testimoni di mobbing potrebbero anche essere psicologicamente affranti
da una reale o percepita incapacità di aiutare la vittima. In uno studio di Rayner, più di
un terzo dei testimoni riferiva che avrebbe voluto aiutare la vittima, ma non osava
rischiare tanto per le possibili conseguenze negative che sarebbero potute derivare da
tale azione.
È ormai ampiamente riconosciuto come il mobbing, in particolare quello a lungo
termine, abbia effetti estremamente disfunzionali sulla salute della persona. Sebbene in
Italia ancora non vengano del tutto considerati gli effetti che anche un mobbing a breve
termine può comportare sul mobbizzato, l‟elemento diagnostico della vittima di
mobbing a lungo termine nel nostro Paese, in particolare per fini medico-legali, in
qualche modo incoraggia lo svilupparsi di una maggiore sensibilità e attenzione nei
confronti anche dei mobbizzati meno gravi, in quanto non presentano disturbi
psicopatologici come il disturbo post-traumatico da stress o il disturbo di adattamento.
Gli effetti disfunzionali che il fenomeno può comportare sull‟organizzazione non
sembrano, aver suscitato particolare attenzione da un punto di vista aziendale; ma è
evidente che il mobbing possa influenzare negativamente la produzione e di
conseguenza diminuire la qualità della prestazione. Il venir meno della motivazione e
del coinvolgimento lavorativo di chi è vittima di azioni mobbizzanti possono portare la
persona a non svolgere bene il proprio lavoro; soprattutto se insorgono problemi di
salute,in quanto diminuisce la capacità di concentrazione della persona e aumenta la
possibilità che il dipendente commetta errori. Ciò riduce la qualità della prestazione ed
è, inoltre, più probabile che si verifichino incidenti e infortuni. Dal punto di vista
empirico, nonostante le difficoltà legate a una misurazione puntuale della produttività
sul lavoro, Einarsen mise in luce che campioni consistenti di lavoratori, il 27% in
Norvegia e il 32.5% in Inghilterra, dichiaravano di aver diminuito la propria efficienza a
36
causa del mobbing. Inoltre, i mobbizzati dichiaravano di essere il 7% meno produttivi
rispetto a coloro che non erano stati né mobbizzati né erano stati testimoni di
comportamenti vessatori. Non è da escludere che il calo nella prestazione di un
individuo possa avere effetti negativi anche sulla prestazione degli altri lavoratori,
all‟interno del gruppo di lavoro, o del proprio superiore, con la possibilità di giocare un
pericoloso effetto “domino” e, quindi, di abbassare l‟efficienza e la produttività non
soltanto del proprio ufficio ma di tutta l‟organizzazione. Anche l‟assenteismo rientra
come possibile/probabile outcome organizzativo del mobbing. A questo proposito uno
studio finlandese, grazie al fatto di aver potuto accedere a registri e documentazioni
contenenti certificati di malattie, ha dimostrato che il rischio di assenteismo per i
mobbizzati era di 1.5 volte maggiore rispetto ai non mobbizzati. Hoel e Cooper hanno
invece evidenziato che le vittime di mobbing hanno in media sette giorni di assenteismo
annui in più rispetto ai non mobbizzati o a chi non ha assistito al mobbing. In tre
ricerche, condotte presso organizzazioni pubbliche inglesi e organizzazioni private
australiane, un terzo dei mobbizzati dichiarava di essere stato assente al lavoro a causa
del mobbing e un numero considerevole di costoro dichiarava che si trattava di assenze
prolungate. Il 29% dei mobbizzati risultava essere stato assente dal lavoro per 30 giorni,
mentre il 13% per 60 giorni. Esiste, quindi, una relazione significativa fra assenteismo e
mobbing, anche se non appare così forte come si potrebbe pensare di primo acchito.
Einarsen per darne una spiegazione si è riferito al lavoro di Thyholdt, secondo i quali le
vittime tenderebbero prima a maturare sintomi specifici da stress, piuttosto che arrivare
subito all‟assenteismo. Va tuttavia considerato che assenteismo, turnover e produttività
possono interagire in modo dinamico tra loro dando vita a circoli viziosi per
l‟organizzazione. Ad esempio, se una persona non viene sostituita da qualcun‟altro
quando è assente, la pressione lavorativa potrebbe aumentare per i suoi colleghi,
alimentando possibili tensioni che potevano essere già in atto, diminuendo la
produttività e/o innalzando il turnover. Se, invece, la vittima decidesse di non assentarsi
dal lavoro, potrebbe comunque non essere sufficientemente produttiva a causa di
problemi di salute, mancanza di concentrazione o paura di commettere errori. Ciò
potrebbe riflettersi nella relazione con i propri superiori o colleghi, con il rischio di
aumentare il conflitto, piuttosto che diminuirlo. Conflitto che a sua volta potrebbe
incidere negativamente la produttività dell‟ufficio/reparto.
Da quanto sopra descritto, è facilmente deducibile inquadrare il mobbing in un danno
tipo psico-sociale.
37
2.9 Le metodologie di misurazione del mobbing
Lo studio di un fenomeno e la sua misurazione sono aspetti correlati tra loro; è
interessante notare che le tecniche utilizzate nello studio del mobbing possono essere
metodologie quantitative o metodologie qualitative.
Nelle metodologie quantitative rientrano i questionari; strumenti psicometrici capaci di
dare una misura quantitativa del fenomeno ed inoltre la loro utilità sta nel conferire una
struttura fattoriale al mobbing, attraverso indagini empiriche. Il 7“Leymann Inventory of
Psychological Terrorization” (LIPT), realizzato nel 1997 è un questionario anonimo ed
è ancora oggi lo strumento più usato nella rilevazione del Mobbing. Il LIPT contiene
una lista di azioni ostili, suddivise in cinque categorie (Attacchi ai contatti umani,
Isolamento sistematico, Cambiamenti di mansioni, Attacchi alla reputazione, Violenza e
minacce di violenza), che il soggetto è tenuto a segnalare, oltre alle indicazioni relative
alla frequenza e alla durata del trattamento negativo e alle conseguenze psicofisiche
patite. Successivamente nel 1995 Harald Ege ha elaborato la versione italiana del
questionario, denominata "LIPT modificato", che contiene importanti aggiunte e
adattamenti alla realtà italiana. Essendo anonimo e di facile lettura, il "LIPT modificato"
è funzionale alla rilevazione del livello di conflittualità nei contesti organizzativi; con
questo strumento sono infatti stati condotti vari studi, tra cui la prima ricerca italiana sul
Mobbing. Nel 2002, un ulteriore sviluppo ha portato alla stesura di una versione non
anonima, sostanzialmente rivisitata ed ampliata del questionario, detta "LIPT-Ege", che
insieme al relativo “Metodo Ege, già riconosciuto da vari tribunali italiani con alcune
importanti sentenze, è volta alla valutazione del Mobbing e alla quantificazione del
danno da Mobbing ai fini giuridici risarcitori. Il "LIPT-Ege" è stato pubblicato per la
prima volta, a titolo didattico ed esemplificativo, nel testo di H. Ege "La valutazione
peritale del Danno da Mobbing".
Un altro questionario utilizzato fu Il “Negative Act Questionnaire” (NAQ), sviluppato
da Einarsen e venne realizzato per valutare l‟esposizione al mobbing nell‟ambiente di
lavoro, e per offrire una misura sia degli specifici comportamenti di vittimizzazione e
dei sentimenti legati all‟aggressione. Il fenomeno del mobbing, è dalla società odierna
7 Il questionario venne pubblicato nel 1992 dall’editore Viden e Karlskrone in Svezia.
38
riconosciuto come un serio problema, nonostante ciò resta difficile da valutare e da
definire con precisione. Nel lavoro di ricerca, l‟utilizzo dei questionari può comportare
dei vantaggi, come ad esempio quello di ottenere in un tempo limitato dati riguardanti
un vasto campione di soggetti mobbizzati, ed inoltre è facile per le analisi statistiche di
una gamma di fattori come: il genere, lo status e l‟età. Inoltre,nell‟utilizzo dei
questionari, possono essere presenti degli svantaggi provenienti dal fatto che: i dati
derivano da resoconti fatti dagli individui e possono essere influenzati da altri fattori; la
validità predittiva dei dati può risultare dubbia, il ricordo di episodi di mobbing può
essere distorto, il confronto fra culture diverse può risultare difficile e non bisogna
escludere la possibilità che le informazioni riguardanti i processi e le dinamiche della
situazione dell‟ aggressore o della vittima non sono dettagliate. Le metodologie
qualitative sono più numerose rispetto alle quantitative, tra queste le più comuni sono:
l‟intervista ed il focus group; sempre qualitativa ma innovativa ed in netta espansione
rispetto alle altre è il counseling.Il termine intervista fa riferimento a metodologie tra
loro molto diverse; un‟intervista può essere più o meno strutturata o standardizzata e il
grado ottimale di strutturazione e standardizzazione è definibile principalmente in base
agli scopi per i quali viene condotta ed in base ai vincoli e alle risorse esistenti per
quella ricerca. Un‟intervista è strutturata in base a quali sono gli argomenti e i temi
specifici sui quali vertono le domande poste all‟intervistato; qual è l‟ordine con cui si
pongono le domande relative a tali argomenti; la formulazione delle domande e se si
tratta di interviste semistrutturate o se la specifica formulazione a livello linguistico
della domanda è predefinita, anche se in questo caso l‟intervista è standardizzata. Tutti
gli intervistati rispondono esattamente alle stesse domande, sono esposti agli stessi
stimoli, l‟intervista completamente strutturata e standardizzata è del tutto analoga al
questionario, salvo che per la modalità di somministrazione che è orale, le interviste,
chiamate colloqui, di selezione del personale, di orientamento professionale, cliniche,
ecc. sono, ad esempio, quasi sempre parzialmente strutturate piuttosto che totalmente
libere o non strutturate, o piuttosto che completamente strutturate. Le interviste sono
tecniche di misura di tipo qualitativo, che mirano ad indagare le modalità con cui ogni
individuo interpreta e descrive il suo mondo e le persone che ne fanno parte; i vantaggi
di un simile tipo di ricerca riguarda il materiale ottenuto che è di tipo qualitativo, chiaro
e ricco e può costituire un punto di partenza per l‟elaborazione di un nuovo modello; la
relazione fra intervistatore e intervistato è più controllabile rispetto a quella che si
sviluppa con l‟uso di un questionario, si ottengono informazioni più specifiche sulla
39
dinamica delle situazioni di vittimizzazione in cui gli intervistati sono stati coinvolti. Gli
svantaggi,riscontrati riguardano il metodo la temporalità limitata, in quanto, le vittime
possono dimostrarsi reticenti a parlare. Tale metodo permette di indagare campioni di
piccole dimensioni e l‟interpretazione può essere distorta a causa di alcuni errori. Il
focus group, è un intervista di gruppo durante il quale a dei soggetti vengono poste
alcune domande aperte a carattere vario, a volte molto generali e a volte specifiche,
sugli argomenti oggetto di interesse per il ricercatore, è usato anche il termine panel
interview dove il ricercatore crea un ambiente confortevole, facendo domande mirate
con lo scopo di incoraggiare la discussione e l‟espressione dei diversi punti di vista. La
discussione può anche essere registrata e successivamente trascritta più o meno
integralmente; in alcuni casi può essere necessaria la videoregistrazione, poiché fornisce
informazioni maggiori e più dettagliate utili per capire meglio quanto è stato detto. Lo
scopo dell‟intervista di gruppo e i vincoli dettati dalle risorse disponibili definiscono
anche la lunghezza ottimale dell‟ intervista, che può variare da un‟ora circa a tre ore.
L‟intervista di gruppo può essere utilizzata, quando, non ci sono molte informazioni
circa gli atteggiamenti, le opinioni o le conoscenze della popolazione su un argomento.
Le interviste vengono condotte su molte persone per poter identificare le tendenze nelle
percezioni e nelle opinioni espresse, i vantaggi di questa metodologia possono essere:
consentire al ricercatore di intervistare ed agire su più persone contemporaneamente, la
flessibilità, la durata (minimo un‟ora) per permette ai partecipanti di conoscere in modo
più approfondito i punti di vista, le percezioni e le esperienze fatte sul mobbing nei
luoghi di lavoro; questa metodologia aiuta ad identificare la chiave del problema che
può essere poi approfondita in un più ampio studio quantitativo. Gli svantaggi del focus
group possono dipendere dal fatto che sia un metodo limitato nel tempo e
l‟intervistatore può perdere il controllo della situazione, i soggetti possono divagare
dall‟argomento centrale, l‟azione del gruppo può essere influenzata “dall‟effetto del
consenso” rendendo difficile l‟emergere dei diversi punti di vista. In questa tecnica c‟è
bisogno di esperti che facilitino la discussione e l‟interazione; i dati raccolti possono
essere difficilmente generalizzabili; possono essere riscontrati problemi etici circa la
riservatezza del gruppo ed il grado di libertà che ognuno ha nell‟esprimere i propri
pareri senza dover subire delle ripercussioni.
2.10 Il Counseling
40
Il counseling è la metodologia più innovativa ma anche quella con un unico svantaggio.
Per counseling si intende una relazione di aiuto tra una persona che riveste il ruolo di
counselor ed un‟altra che temporaneamente riveste il ruolo di “cliente”, termine che
comprende e identifica non solo un singolo individuo ma anche una coppia, un gruppo,
un nucleo familiare. Questa metodologia è un‟attività distintiva, fondata su principi e
caratterizzata dall‟applicazione di un insieme di abilità comunicative, che si svolge
secondo modalità che rispettano valori, risorse personali e capacità di
autodeterminazione del cliente; è una tecnica che aiuta la persona a capire e a rispondere
ai propri bisogni, a gestire e a risolvere i problemi. Per aiuto non viene inteso un
intervento finalizzato a dare consigli o a fornire soluzioni di problemi, quanto come un
processo che rende possibile la riattivazione e la riorganizzazione delle risorse personali
del “cliente”. L‟intervento di counseling, dovrebbe, in caso di vessazioni subite, fornire
supporto in momenti di crisi; cioè mettere le persone nella condizione di ripristinare il
senso di controllo della situazione, aiutare ad individuare, chiarire ed affrontare i
problemi attuali e futuri, fornire motivazioni ed accrescere la fiducia in se stessi così da
facilitare il processo decisionale. Come sostengono Binetti e Bruni (2003), il counseling
viene visto come un itinerario attraverso il quale il soggetto è portato a essere sempre
più libero, perché si libera di condizionamenti interni ed esterni che per varie ragioni ne
limitano le potenzialità. Già questa affermazione esplica quali possono essere i
vantaggi,in quanto può essere un percorso affrontabile singolarmente o in relazione con
chi vive quotidianamente le medesime problematiche. Il counseling è un incontro
destinato al sostegno e alla chiarificazione, allo sviluppo e alla crescita, ma non può
prescindere dalla natura dell‟incontro con l‟altro, dall‟emergere dell‟empatia e da una
relazione interpersonale finalizzata alla evoluzione/trasformazione . Questo processo
mira all‟autoconsapevolezza, all‟autopercezione, all‟autodeterminazione e
all‟autocontrollo. Di contro gli svantaggi possono essere racchiusi nella convenzione
sociale per cui la rapidità è un valore per la società odierna, dove rapidità è sinonimo di
efficienza, ma, come sappiamo, non è detto che ciò sia sempre vero.
41
TERZO CAPITOLO
3.1 Strategie di prevenzione nei luoghi di lavoro
Affrontare il tema del Mobbing, in quanto condizione organizzativa che produce
disagio, significa intervenire rispetto a due questioni importanti: la tutela dell‟integrità
psicofisica del lavoratore e la tutela della salute, intesa, non come assenza di malattia,
ma come benessere, fisico, mentale e sociale. Creare una formazione antimobbing
significa aiutare persone, gruppi e organizzazioni ad apprendere per cambiare, ovvero
per raggiungere meglio i propri obiettivi e i traguardi organizzativi che si propongono
nel rapporto con gli altri. I singoli dovranno adattare i loro comportamenti alle esigenze
degli altri, apprendendo quei meccanismi e quelle conoscenze che consentiranno loro di
avere buone relazioni sul posto di lavoro. Mettere in evidenza le azioni negative
fornisce degli spunti per gestire relazioni positive sul lavoro a sostegno e sviluppo di
coloro che, in particolare, non considerano l‟effetto vessatorio che possono avere certi
comportamenti per alcune persone. Accrescendo la consapevolezza delle azioni
vessatorie sul posto di lavoro e del loro impatto, si riducono e si controllano in modo
più efficace questi comportamenti negativi. Anche in presenza di una certa
consapevolezza di azioni mobbizzanti non accompagnate da una condotta consona, la
formazione diventa il mezzo per la trasformazione della consapevolezza in azioni
positive concrete. Per quanto concerne la metodologia didattica per la prevenzione del
mobbing, oltre alla tradizionale lezione d‟aula possono essere produttivamente utilizzati
i lavori di gruppo, i metodi dei casi e le simulazioni. Fin dalla metà degli anni ‟50, è
presente nella gestione dell‟infortunistica italiana il concetto di “sicurezza integrata”,
confermato e diffuso dal decreto legislativo 626/94, secondo cui la sicurezza è la
risultante degli aspetti oggettivi (eliminazione/riduzione dei rischi, misure di protezione
collettiva, disposizioni di protezione individuale) e soggettivi (l‟idoneità psicologica,
motivazione al lavoro, identità personale) della sicurezza stessa. Il Mobbing rientra
nella categoria dei rischi organizzativi, vale a dire quei rischi che trovano la loro origine
nelle scelte organizzative (gestione delle risorse umane, comunicazione, ecc) ed hanno
una ricaduta sullo stato di salute e di benessere dei lavoratori analogamente
42
all‟esposizione ad un agente chimico o fisico. E‟necessario, quindi, che la struttura della
sicurezza aziendale, nonostante le difficoltà di analisi delle variabili organizzative,
impari a considerare anche questi tipi di rischio, sempre più scanditi dal complesso delle
innovazioni tecnologiche, ed a prevedere le misure idonee di prevenzione e di
intervento.
3.2 Isolamento sistemico e cambiamento delle mansioni lavorative
Le condotte “classiche” di Mobbing che possono provenire da gradi pari, ma anche da
sottoposti, del mobbizzato sono, ad esempio, le azioni di isolamento, di occultamento di
informazioni, di critica più o meno velata, di maldicenza nell‟ambito lavorativo, di
ostentazione di indifferenza o di scarsa stima. Altri comportamenti tipici richiedono,
invece, una posizione di preminenza rispetto al dipendente: la sottrazione di strumenti di
lavoro, il rimprovero ingiustificato, sgarbato ed eccessivo, l‟attribuzione di mansioni
avvilenti o senza significato, la sottoposizione a pressanti visite di controllo nei
confronti del lavoratore in malattia, l‟assegnazione di obiettivi di lavoro irraggiungibili,
fino ad arrivare al demansionamento, al trasferimento e al licenziamento.
Questo genere di persecuzione ha, di solito, un obiettivo aziendale ben preciso:
espellere il lavoratore dall‟impresa. Riguardo all‟isolamento, la persona viene
sopraffatta da un sentimento di solitudine di fronte alla terribile realtà che la circonda e
al vuoto sociale in cui è stata spinta.
Il gruppo sembra non voler avere contatti con lei, né personali né professionali; nessuno
ammette questo isolamento né tanto meno pare voler fornire un supporto. Il mobbizzato
si sente escluso dai rapporti sociali tra i colleghi (“dimenticano”di invitarlo ai
ricevimenti e ai party, fingono di non vederlo durante l‟intervallo..), e interrompono la
conversazione nel momento in cui la vittima entra in ufficio. Il sentimento di solitudine
si estende anche al vissuto di unicità della propria esperienza; la vittima crede, infatti,
che a nessun altro sia capitato o stia capitando la stessa cosa. Pensa di essere la sola
persona al mondo ad esserne vittima. Riguardo al secondo aspetto, invece, nelle
situazioni di Mobbing si rileva sempre uno scollamento tra la qualifica o la posizione
ricoperta e il compito lavorativo effettivamente svolto.
E‟ oramai entrata nel modo di dire comune l‟espressione “sindrome della scrivania
vuota”, a testimonianza del fatto che la persona mobbizzata viene frequentemente
sollevata da ogni incarico lavorativo. La sua postazione di lavoro diviene vuota. Ma non
43
è l‟unica modalità. La sindrome depressiva si associa positivamente alle mansioni
lavorative anche per il fatto che, maggiore è l‟affidamento di compiti troppo difficili,
inutili, senza senso ed umilianti, maggiormente il lavoratore percepisce che tali
mansioni hanno l‟unico scopo di metterlo in difficoltà di fronte ai propri colleghi. Può
accadere, infatti, che ai lavoratori si affidino compiti molto al di sotto della qualifica
professionale. Tale comportamento equivale alla percezione di una sottovalutazione
psicologica e lavorativa del soggetto. Inoltre può accadere che il superiore affidi a
questi soggetti compiti molto difficili, con la conseguenza diretta di provocare un‟ansia
da prestazione e di pressione psicologica. Comunque sia, il fine è sempre quello di
allontanarlo, di metterlo in una posizione di totale impotenza, fino a consumare una vera
e propria esclusione nei suoi confronti. Spesso la persona mobbizzata è continuamente
esposta alle critiche e accusata come colpevole per i fallimenti che oggettivamente non
sono neanche avvenuti, oppure per quello che il mobber, di nascosto e deliberatamente,
ha eliminato o danneggiato. Senza alcun motivo reale, si svalutano i risultati del suo
lavoro. La vittima viene poi privata delle informazioni e degli strumenti che sarebbero
necessari per operare (pc, telefono, etc.), le relazioni interpersonali si riducono al
minimo e l‟amministrazione si dilegua e non risponde alle numerose richieste di
chiarimento. I colleghi, nel migliore dei casi, fiutano il pericolo e prendono le distanze
dal malcapitato nel tentativo di scongiurare un rischio analogo. Infine, deprivato del suo
lavoro, escluso dalle relazioni formali e informali che danno significato allo stare
dell‟uomo in azienda, un ulteriore attacco viene sferrato all‟immagine del mobbizzato.
Continuamente avvengono derisioni e scherzi sul suo modo di parlare, camminare, sul
suo abbigliamento, pettinatura, vita privata, sesso, razza, nazionalità, ecc. C‟è, inoltre, la
divulgazione dei pettegolezzi e delle diffamazioni. Tutto ciò avviene con lo scopo di
distruggere la sua reputazione professionale e personale.
Il demansionamento e la dequalificazione sono forme tipiche di Mobbing verticale,
avvilenti per il lavoratore e utili chiaramente all‟eventuale progetto di estromissione del
lavoratore dall‟azienda, della sottrazione delle proprie mansioni e competenze, e
dell‟attribuzione di compiti non conformi alla propria professionalità o addirittura della
totale assenza di compiti.
3.3 Come uscirne?
44
Cercare di prevenire il Mobbing sembra, senza dubbio, il mezzo più efficace per
evitarlo. L‟Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del lavoro (ISPESL),
identifica nella prevenzione tre diversi livelli di intervento:
1. Prevenzione primaria: progettazione ergonomia. L‟ergonomia, per la prima volta in
una legge italiana (D.Lgs. 626), è una tecnica interdisciplinare di progettazione di
sistemi semplici e complessi che interfacciano con l‟uomo. Questa è in grado di
ottimizzare il rapporto uomo-macchina-ambiente (anche relazionale), ribaltando la
tradizionale filosofia tayloristica dell‟”uomo giusto al posto giusto” in nome dell‟uomo
giusto al “posto di un lavoro adatto” alle sue esigenze.
2. Prevenzione secondaria: formazione (soprattutto manageriale), codici di
comportamento, accordi di clima, etc. Vale a dire strumenti in grado di fornire
competenze adeguate di gestione delle risorse umane, nonché di promuovere la
condivisione di principi sui quali si devono basare i comportamenti all‟interno della
struttura organizzativa, al fine di prevenire qualsiasi forma di discriminazione culturale,
religiosa, sessuale, etc.
3. Prevenzione terziaria: riguarda una più puntuale applicazione delle norme che
tutelano la sicurezza e la salute del lavoratore. Nel caso specifico, si tratterebbe di
predisporre moduli informativi e formativi tali da rispondere ai reali bisogni delle
persone cui si riferiscono, o di mettere a punto documenti di valutazione completi, che
prendano in considerazione anche i rischi psicosociali, il contenuto del lavoro, le
relazioni interpersonali, i percorsi di carriera, etc.
E‟ importante approfondire due concetti: quello dell‟informazione e quello della
formazione. L‟informazione dovrebbe essere rivolta a promuovere nei lavoratori la
conoscenza del fenomeno, le cause, le conseguenze e la consapevolezza della sua
gravità. Tutti dovrebbero essere veramente interessati a fermare il Mobbing, altrimenti
continuerà a causare danni irreparabili alla vittima e all‟azienda. Ma per combattere
qualcosa, bisogna prima imparare a conoscerlo.
Ne consegue che, un ottimo punto di partenza per l‟intervento sul Mobbing consiste in
un profondo lavoro di sensibilizzazione dell‟opinione pubblica a tutti i livelli.
Relativamente alla formazione, invece, è importante dire che essa è un processo teso
allo sviluppo personale e lavorativo dell‟individuo. Fare formazione vuol dire produrre
un nuovo processo di cambiamento organizzativo, con una necessaria modifica degli
atteggiamenti e dei comportamenti degli attori coinvolti. Si potrebbe ipotizzare che
comportamenti competitivi lascino il posto a comportamenti cooperativi. Fare
45
formazione significa anche diffondere elementari nozioni di interesse sociale del lavoro
e delle organizzazioni, di giurisprudenza, di diritto sindacale, che consentano agli
operatori di fornire risposte adeguate alla domanda di aiuto. Si può concludere dicendo
che, prevenire, formare e portare alla luce il fenomeno, sono tre azioni fondamentali per
evitare che questa piaga sociale si radichi anche nelle forme di lavoro atipico, dove
sarebbe ancora più difficile intervenire.
3.4 Direttiva del Ministero della funziona pubblica
Il Dipartimento della Funzione Pubblica intende sostenere la capacità delle
amministrazioni pubbliche di attivarsi, oltre che per raggiungere obiettivi di efficacia e
di produttività, anche per realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico delle
persone, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al
miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e delle prestazioni. In particolare, il
Dipartimento della Funzione Pubblica ha collocato tra le priorità di cambiamento da
sostenere nelle amministrazioni pubbliche, quella di creare specifiche condizioni che
possano incidere sul miglioramento del sistema sociale interno, delle relazioni
interpersonali e, in generale, della cultura organizzativa.
Per assicurare il benessere organizzativo, le amministrazioni devono prestare attenzione
alle seguenti variabili:
a. Caratteristiche dell‟ambiente nel quale il lavoro si svolge: L‟amministrazione
allestisce un ambiente di lavoro salubre, confortevole e accogliente. Questo vuol dire
che, il datore di lavoro può elaborare le migliori procedure possibili che garantiscano
condizioni psicologiche e sociali nei luoghi di lavoro, anche per quanto concerne la
situazione lavorativa e l‟organizzazione del lavoro. Oppure, può adottare delle misure
per impedire che si manifestino reazioni negative sul lavoro, ad esempio, elaborando
delle regole che incoraggino un clima di rispetto e di amicizia nel luogo di lavoro.
b. Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche
organizzative: Il datore di lavoro può elaborare una politica ad hoc per l‟ambiente di
lavoro che illustri le intenzioni, gli obiettivi e l‟atteggiamento di ordine generale nei
confronti dei propri dipendenti.
c. Riconoscimento e valorizzazione delle competenze: L‟amministrazione riconosce e
valorizza le competenze dei dipendenti e stimola nuove potenzialità, assicurando
un‟adeguata varietà dei compiti ed autonomia nella definizione dei ruoli organizzativi.
46
Significa che, il datore di lavoro deve fare in modo che i doveri di competenza dei
dipendenti siano concreti e sensati e che per adempiere alle loro funzioni essi utilizzino
le loro conoscenze e capacità individuali. Inoltre, il datore di lavoro dovrebbe dare
l‟opportunità ai lavoratori di incrementare le loro conoscenze e di migliorare le loro
prestazioni, incoraggiandoli nel frattempo a raggiungere questo obiettivo.
d. Comunicazione intraorganizzativa circolare: L‟amministrazione ascolta le istanze dei
dipendenti e stimola il senso di utilità sociale del loro lavoro.
e. Circolare delle informazioni: L‟amministrazione mette a disposizione dei dipendenti
le informazioni pertinenti il loro lavoro. In particolare, è importante che il datore di
lavoro comunichi in modo chiaro quali siano le regole vigenti nel luogo di lavoro e
fornisca ad ogni lavoratore le informazioni sulle attività e sui loro obiettivi, nonché
quelle in merito alle misure concordate per la prevenzione di ogni forma di
persecuzione sul lavoro.
f. Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali: L‟amministrazione adotta tutte
le azioni per prevenire gli infortuni e i rischi professionali. Riveste un‟importanza
particolare il fatto che il datore di lavoro adotti misure efficaci per evitare che
qualunque lavoratore sia oggetto di persecuzione da parte di altri dipendenti. I dirigenti
svolgono un ruolo importante nel creare il clima nel luogo di lavoro e nel definirne le
regole; dunque, la cosa essenziale è che il datore di lavoro non sottoponga mai il
lavoratore a forma di persecuzione, ad esempio attraverso l‟abuso di potere o qualsiasi
altro atteggiamento inaccettabile.
g. Clima relazionale franco e collaborativo: L‟amministrazione stimola un ambiente
relazionale franco, comunicativo e collaborativo. Questo vuol dire che, per creare un
clima favorevole nell‟ambiente lavorativo, è importante che il datore di lavoro, con il
suo modo di fare, stabilisca le condizioni per un dialogo reciproco, una facile
comunicazione e un desiderio reale di risolvere i problemi.
h. Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi: L‟amministrazione assicura la
rapidità di decisione e supporta l‟azione verso gli obiettivi.
i. Giustizia organizzativa: L‟amministrazione assicura, nel rispetto dei Contratti
Collettivi Nazionali di Lavoro, equità di trattamento a livello retributivo, di
assegnazione di responsabilità, di promozione del personale e di attribuzione dei carichi
di lavoro.
l. Apertura all‟innovazione: L‟amministrazione è aperta all‟ambiente esterno e
all‟innovazione tecnologica e culturale.
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m. Stress: L‟amministrazione tiene sotto controllo i livelli percepiti di fatica fisica e
mentale nonché di stress.
n. Conflittualità: L‟amministrazione gestisce l‟eventuale presenza di situazioni
conflittuali manifeste o implicite.
Alla fine di queste indicazioni, è essenziale dire che tutti i problemi che si presentano in
un luogo di lavoro devono essere affrontati rapidamente, in maniera pertinente e
rispettosa. Le soluzioni vanno trovate attraverso il dialogo e misure atte al
miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Un‟altra cosa molto importante è
affrontare le questioni in maniera obiettiva, positiva e con l‟intenzione di trovare una
soluzione, ascoltare tutti i soggetti interessati e fornire il proprio sostegno ai più deboli.
Quel che è certo è che, nella politica di prevenzione relativa all‟ambiente di lavoro, il
datore di lavoro deve predisporre un piano di intervento per quanto concerne gli aspetti
psicologici, sociali e organizzativi dell‟ambiente di lavoro che sono altrettanto
importanti dei fattori di ordine fisico o tecnico. E‟ovvio che può essere molto difficile
per un datore di lavoro arrivare a farsi un‟opinione obiettiva di tutti gli aspetti del
problema; di conseguenza, è consigliabile ricorrere alla consulenza di un esperto.
La figura dell‟assistente sociale, ad esempio, a cui viene attribuito un compito
indispensabile e specifico per le vittime del Mobbing. Il professionista una volta
interessatosi al problema, accompagna la vittima fino alla fine del percorso d‟aiuto e
molto spesso i contatti rimangono per un periodo di tempo indeterminato. Può anche
succedere alle volte che il soggetto ritrovi la propria autonomia in un breve periodo di
tempo, ma il lavoro svolto dall‟assistente sociale non cambia. Egli spesso rimane
concentrata nello svolgere nei tempi richiesti e con le modalità che ritiene più opportune
i compiti di certificazione, di valutazione, di assistenza e supporto. Nella presa in carico
di una situazione, sono presenti dei passaggi standardizzati a cui l‟assistente sociale
deve attenersi e che sono alla base della formazione e dell‟avvio del processo d‟aiuto: la
raccolta di informazioni. Un‟idea ormai comune, che si presenta sottoforma di pretesa, è
quella dell‟assistente sociale, come quella figura che procede alla risoluzione del
problema una volta manifestato; ma non è proprio così.
La via d‟uscita dalla situazione che arreca disagio viene costruita tra operatore e utente
in seguito alla predisposizione di un contratto; all‟interno del qualche i due soggetti si
impegnano a provvedere alla risoluzione del problema. Alla base del contratto è
necessaria la presenza di un rapporto di fiducia tra i due “stipulanti”.
48
3.5 Alcune prospettitive
Specialmente negli ultimi anni i casi di mobbing accertati e quelli per i quali si è avviata
denuncia all‟INAIL sono in continuo aumento. L‟approccio verso il problema, se ora è
legato alla soluzione di emergenze, cioè di casi conclamati, dovrà diventare sempre più
a carattere preventivo, così come già indicato dal decreto legislativo 626 per le questioni
di sicurezza e prevenzione degli infortuni, sulla via di una garanzia totale di salute e
benessere per chi lavora. Su un altro versante, quello legislativo, sarà comunque
opportuno procedere per arrivare ad una vera tutela dei lavoratori colpiti da Mobbing e
dettare norme di prevenzione nei luoghi di lavoro.
Questi provvedimenti legislativi tutelano l‟integrità fisica e la personalità morale del
lavoratore, ma riguardano casi specifici. Le norme penali, infatti, possono essere
utilizzate solo in casi limite, per fare un esempio, quando dal pettegolezzo si arriva alla
diffamazione, le battute diventano minacce o gli scherzi si trasformano in episodi di
violenza. Emerge chiaramente la necessità di una legge specifica sul Mobbing, che lo
definisca e contemporaneamente lo renda oggetto di riprovazione sociale. Sarebbe
anche opportuno riflettere sulla possibilità di aprire un luogo specifico (sito web o
sportello Mobbing), sia come punto di riferimento per il sostegno legale-psicologico ai
lavoratori “vittime da Mobbing”, sia come punto di orientamento verso strutture
competenti che sappiano affrontare gli aspetti medico-legali e giuridici dei riflessi
derivanti da questo “male dei nostri tempi”, sempre più spesso inserito in un contesto di
danno morale, biologico, psichico.
Sinora, nella XIII legislatura, sono state presentate, nei due rami del Parlamento, delle
proposte di legge, ma sono tutte in attesa di approvazione e sono le seguenti:
- Camera: Proposta di legge n. 1813, 9 luglio 1996 “Norme per la repressione del
terrorismo psicologico nei luoghi di lavoro” (Cuicu, Marras e Altri).
- Camera: Proposta di legge n. 6410, 30 settembre 1999 “Disposizioni a tutela dei
lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica” (Benvenuto, Ciani, Pistone,
Repetto).
- Camera: Proposta di legge n. 6667, 5 gennaio 2000 “Disposizioni per la tutela della
persona da violenze morali e persecuzioni psicologiche” (Fiori).
49
Si deve però registrare agli inizi del 2001 l‟approvazione della Commissione Lavoro
della Camera dei deputati di una proposta di legge che unifica le tre presentate in
precedenza alla Camera.
91 - Senato: Disegno di legge n. 4265, 13 ottobre 1999 “Tutela della persona che lavora
da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell‟ambito dell‟attività lavorativa”
(Tapparo, Battafarano, Smuraglia e Altri).
- Senato: Disegno di legge n. 4313, 2 novembre 1999 “Disposizioni a tutela dei
lavoratori e delle lavoratrici dalla violenza psicologica” (Athos De Luca).
- Senato: Disegno di legge n. 4512, 2 marzo 2000 (Tomassini, Asciutti, Bettamio,
Bruni, Costa, De Anna, Germanà, Lauro, Manca, Manfredi, Piccioni, Porcari, Sella di
Monteluce, Terracini, Toniolli, Vegas, Ventucci).
Tanta strada è stata fatta nell‟azione di lotta contro il mobbing; ed è proprio per questo
che bisogna rafforzare l‟azione attraverso la costruzione di progetti di prevenzione ed
interventi ad hoc. Nei casi in cui è presente un disagio psichico grave è preferibile
curarsi in un servizio pubblico, se adeguato. È bene valutare con attenzione la
possibilità di dimettersi. Un lavoratore colpito pensa subito a come fuggire, ma spesso
la persecuzione serve a licenziare impunemente. La scelta di lasciare il lavoro libera il
lavoratore dalla sofferenza ma rende impossibile l‟azione risarcitoria. Il disadattamento
lavorativo è molto diffuso; in Italia un milione e mezzo di lavoratori ne sono colpiti. In
questo caso è necessario raccogliere tutta la documentazione delle vessazioni subite ed è
utile rivolgersi a un avvocato che abbia già trattato casi di mobbing e che non abbia
alcun tipo di legame con l‟azienda. Bisogna chiarire gli obiettivi da raggiungere ed è
consentito chiedere copia della documentazione che si trova negli atti di ufficio e nel
fascicolo personale. In caso di ricorso alle vie legali è utile ricordare che nella scelta del
procedimento per vie civili e/o penali è preferibile procedere per vie civili. La durata di
una causa di lavoro è lunga: anche in caso di vittoria di primo grado, bisogna aspettarsi
un ricorso in appello da parte dell‟azienda; le tempistiche oscillano da un minimo di
quattro anni, fino a un massimo di otto, dieci anni.
Si può operare a vari livelli: a livello aziendale, con specifiche modalità formative di
gestione del conflitto e del mobbing; a livello professionale, rivolgendosi a quei
professionisti (medici, psicologi, avvocati, ecc.) e a quegli operatori del sociale che
sono i primi punti di riferimento a cui si rivolge una persona con problemi sul lavoro;
infine c‟è la formazione individuale, ossia rivolta alle singole persone, mobbizzate o
meno, e mirata a rinsaldare i principi dell‟autostima. Quindi è fondamentale essere
50
informati sul problema e acquisire una nuova cultura del lavoro. Il mobbing va di paro
passo con la variabile tempo, pertanto diventa indispensabile riconoscere il problema il
prima possibile per poter intervenire con strategie mirate ed efficaci di difesa. Ogni
situazione di mobbing è unica nel suo genere, pertanto non è possibile dare delle
indicazioni precise come se avessimo una bacchetta magica. Proprio per questo motivo,
già in passato Ege nel 2001 propone delle semplici norme generali di comportamento,
adatte a qualsiasi persona, ma che vanno necessariamente affiancate ad altre forme di
intervento risolutivo. Infatti è bene ricordare che per uscire dal mobbing è fondamentale
l‟aiuto esterno di un esperto che aiuti ed analizzi non solo la vittima ma soprattutto
l‟ambiente di lavoro in cui il mobbing si è sviluppato. Una prima regola, già ricordata,
consiste nel de-emozionare il conflitto, in modo da affrontarlo con lucidità e sangue
freddo. La reazione immediata è quella più emotiva ed istintiva, magari la più sbagliata,
poiché si rischia di fare il gioco dell‟aggressore. Se il medico riscontra una situazione di
ansia, stress o depressione è consigliabile assentarsi dal lavoro (la causa prima del
nostro malessere) per recuperare le energie. Non bisogna sentirsi in colpa, è un nostro
diritto, anche perché la nostra prima preoccupazione deve essere la nostra salute. Il
mobber, quando è consapevole, non è stupido, e solitamente attacca in assenza di
testimoni perché sa che ciò che fa non è lecito. Per questo motivo è buon consiglio
mettere per iscritto tutto ciò che succede in ufficio raccogliendo la documentazione
delle vessazioni subite: tenere un diario di ogni azione mobbizzante contenente data,
ora, luogo, autore, descrizione, persone presenti, testimoni; tenere un resoconto delle
conseguenze psico-fisiche che le azioni mobbizzati hanno avuto sul nostro organismo
(questo faciliterà la documentazione del danno biologico che il mobbing ha determinato
per la richiesta di risarcimento dei danni psicofisici) e di tutta la documentazione
medica e delle cure seguite; mettere in forma scritta e fare protocollare o spedire per
raccomandata ogni richiesta, trasformando qualsiasi ordine verbale ricevuto in
interrogazione scritta («a voce mi è stato detto di fare questo, chiedo conferma scritta»)
ed esigere l‟ordine di servizio che attesti il cambiamento di mansioni, il trasferimento o
lo straordinario. Molto spesso non si riceve risposta: ciò sarà un‟ulteriore prova di
azione mobbizzate. Sarebbe molto utile cercare degli alleati, ma è forse la cosa più
difficile. Infatti, non sempre i colleghi sono coraggiosi. Spesso impauriti si ritirano in
disparte per evitare che il mobbing messo in atto nei confronti della vittima possa
estendersi anche a loro. Spesso, nel mobbing trasversale, sono essi stessi i mobber. È
fondamentale non isolarsi, ma coltivare le relazioni sociali, frequentare gli amici,
51
rinsaldare i rapporti familiari. Si può andare a cena fuori, fare una bella vacanza, o
dedicarsi ad un hobby; insomma, tutto ciò che può costituire una utile valvola di sfogo è
ben accetto. Ad esempio scrivere ha dei grandi effetti terapeutici poiché rende i conflitti
visibili a tutti. Si deve spiegare ai propri familiari cos‟è il mobbing e quello che si sta
subendo e non vergognandosi della propria situazione. Ma non si deve passare
all‟estremo opposto, parlando incessantemente del proprio problema e focalizzando
l‟attenzione unicamente sul proprio dramma. Si realizzerebbe così il fenomeno del
„doppio mobbing”.
Volendo fare un breve sintesi d‟intervento è necessario:
• migliorare la comunicazione con i colleghi e le colleghe, e con chi gestisce le risorse
umane;
• acquisire empowerment e maggior autostima, anche per capire se si tratta di mobbing
o meno, per aumentare l‟amore di sé e la consapevolezza del rispetto dovuto a tutte le
persone.
• Non ci si deve mai sentire soli.
In conclusione si può affermare che, conoscere e intervenire adeguatamente sul
fenomeno del mobbing porta indubbi vantaggi ai molteplici soggetti che vi sono
implicati: le persone, divenendo maggiormente coscienti della loro situazione,
potrebbero adottare migliori strategie difensive contro gli aggressori e combattere il loro
malessere; le aziende potrebbero risparmiarsi onerosi costi di un personale così
problematico con un loro aggiornamento culturale che le porrebbe in grado di affrontare
o prevenire situazioni di mobbing mediante esperti consulenti che addestrino i dirigenti
alla gestione del personale ed ai relativi conflitti; la mutua non dovrebbe caricarsi degli
onerosi costi per terapie mediche e/o addirittura ricoveri nei casi più gravi; infine, lo
Stato eviterebbe gravosi oneri sociali collettivi con premature pensioni di invalidità.
3.6 La possibilità di essere tutelati
Il concetto di mobbing entra a far parte dell'ordinamento Europeo e viene disciplinato
nel 2001. La situazione Italiana in merito è alquanto paradossale, avendo un
ordinamento giuridico notevolmente vasto e di difficile interpretazione. Tuttavia, il
reato di mobbing non è specificamente contemplato ed è invece associato a diverse
possibili violazioni del codice penale. La presenza di svariati disegni di legge senza che
ancora oggi ci sia una disciplina specifica rende la valutazione dei singoli casi
52
complessa. In linea generale si prende in considerazione quanto espresso dalla
Costituzione Italiana (riferimento ad articoli dal 2 al 42) che cerca di tutelare l'essere
umano sia come persona sia lavoratore, tanto quanto membro di una società con diritti
di eguale misura per se e i suoi pari.
La situazione in altri Paesi è piuttosto variegata e fonte di acceso dibattito tra sociologi e
personale dedito allo studio di queste dinamiche: l'America è alquanto selettiva e rigida
per quanto riguarda reati in ambito lavorativo collegati a molestie di natura sessuale ma,
manca di un ordinamento che possa disciplinare le questioni in ambito sociale. La
Svezia (e più in generale, alcuni dei grandi centri legislativi del nord-Europa) possiede
un espressivo ordinamento che pensa a preservare al meglio i diritti umani, la loro
inviolabilità e le condizioni secondo cui si deve attribuire un giusto risarcimento nel
caso di lesione reale e documentata.
8Per sentirsi tutelato il lavoratore vessato avrà la possibilità di rivolgersi all'Autorità
Giudiziaria, per ottenere il risarcimento dei danni subiti, che possono avere varia natura
a seconda dei singoli casi. Preliminarmente dovrà esperire il tentativo obbligatorio di
conciliazione secondo l‟art. 410 c.p.c., davanti alla Direzione Provinciale del Lavoro
competente secondo i criteri di cui all'art. 413 c.p.c. relativo alle controversie in materia
di lavoro. Successivamente, sia in ipotesi di mancato accordo in fase di convocazione
sia per il decorso del termine di cui all'art. 410 bis c.p.c. (di 90 gg. per il pubblico
impiego privatizzato), si potrà adire l'autorità giudiziaria ordinaria, in funzione di G.U.
del lavoro, osservando i criteri di competenza di cui all'art. 413 cit.
Si precisa che, alcune categorie di pubblici impiegati sono rimaste escluse dal processo
di privatizzazione del rapporto e restano assoggettati alla disciplina precedente, in
particolare dal punto di vista della giurisdizione che resta in capo ai Tribunali
Amministrativi Regionali.
Pregiudizialmente all'utilizzo dell'azione risarcitoria, ovvero a seconda dei casi anche in
sua alternativa, si ritiene prospettabile l'esperibilità di un'azione ex art. 700 c.p.c. per
inibire il comportamento del datore di lavoro che integri una violazione degli obblighi
di sicurezza o che leda la libertà o la dignità del prestatore di lavoro. Un'azione di
questo tipo ben risponderebbe, in realtà, in aggiunta all'utilizzo della tecnica risarcitoria,
a un'esigenza di effettività della tutela dei diritti del lavoratore. In tema di tutela contro
il mutamento di mansioni, ad esempio, l'utilizzabilità della tutela cautelare d'urgenza è
8 Il mobbing nei diversi contesti sociali: mobbing familiare, sul lavoro e scolastico, a cura dell’avvocato Matteo Cavallini. Quale tutela può ottenere il lavoratore mobbizzato?
53
utile al fine di evitare il verificarsi o l'aggravarsi di pregiudizi irreparabili alla sfera
professionale del lavoratore. In relazione a comportamenti lesivi di beni primari della
persona umana trovano applicazione, come evidenzia la recente giurisprudenza di
legittimità, le norme generali in materia di responsabilità contrattuale (ex artt. 2087 e
2103 c.c.) ed extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.). Nel caso in cui venga accertata in
capo al datore di lavoro la responsabilità per comportamenti di mobbing, la
giurisprudenza ritiene risarcibili diverse tipologie di danno:
- è pacifica la risarcibilità del danno patrimoniale, di quel danno, cioè, che incide sulla
capacità di lavoro e di guadagno del dipendente. Questo consiste nel danno emergente e
nel lucro cessante che siano conseguenza diretta e immediata della condotta lesiva (art.
1223 c.c.);
- nei casi in cui al lavoratore venga impedito il normale e completo svolgimento delle
mansioni di sua competenza, o in cui questo sia comunque mortificato nelle sue
capacità o aspettative professionali, è potenzialmente risarcibile, previa prova anche per
presunzioni, il danno alla professionalità, che comprende non solo il danno alla sua
immagine professionale e alle sue potenzialità lavorative, ma anche il pregiudizio alle
future prospettive occupazionali;
- per i comportamenti di mobbing - sia che integrino oppure no fattispecie anche
penalmente sanzionate - è riconosciuta la risarcibilità del danno morale, che consiste nei
patemi d'animo provati dalla vittima, e del danno alla vita di relazione (ex art. 2059 c.c.
e 185 c.p.);
- è, inoltre, risarcibile, a prescindere dalla sussistenza di un danno patrimoniale o morale
o alla vita di relazione, il danno cd. biologico, in seguito sia a responsabilità
contrattuale, sia extracontrattuale. Tale danno (definito a livello legislativo dall'art. 13
del D.Lgs. n. 38/2000) consiste nella menomazione dell'integrità psicofisica della
persona in quanto tale e, quindi, si riferisce non solo all'attitudine a produrre ricchezza e
a ogni eventuale conseguenza patrimoniale della lesione, ma anche alla totalità dei
riflessi pregiudizievoli rispetto alle funzioni naturali del soggetto nel suo ambiente di
vita. L'ambito applicativo del danno biologico è stato progressivamente esteso fino a
ricomprendere, nelle ipotesi in cui la lesione abbia comportato una patologia
clinicamente accertabile, il danno cd. psichico;
- parte della dottrina e della giurisprudenza di merito più attenta, ha prospettato, infine,
un'ulteriore figura di danno risarcibile: il danno cd. esistenziale. Attraverso tale ulteriore
figura si vorrebbe assicurare un'adeguata tutela risarcitoria, in generale, a tutti i casi di
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lesione delle prerogative della persona costituzionalmente riconosciute e, in particolare,
a tutti quei casi di ingiustificata e dannosa compromissione della personalità morale del
lavoratore (tutelata direttamente dall'art. 2087 c.c.), che non siano, però, tali da originare
traumi o psicopatologie.
La nozione di danno esistenziale cit. comprende qualsiasi evento che, per la sua
negativa incidenza sul complesso dei rapporti facenti capo alla persona, è suscettibile di
ripercuotersi in maniera consistente e talvolta permanente sull'esistenza di questa. Resta
ben inteso che in tal caso la tutela risarcitoria non è invocabile nel caso di generici
pregiudizi esistenziali, conseguenti alla lesione di un qualsivoglia interesse, bensì
soltanto nel caso di lesione di beni-interessi che godano di una copertura, diretta o
indiretta, di rango costituzionale.
Come però statuito da Cass. SS.UU. Civ. 6572 del 24/03/2006, in tema di
demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al
risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che ne deriva non
ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, non può
prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla
natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.Infatti, mentre il risarcimento del
danno biologico è subordinato alla esistenza di una lesione dell'integrità psicofisica
medicalmente accertabile, il danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio (di
natura non meramente emotiva e interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato
sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali
propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della
sua personalità nel mondo esterno, va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti
dall'ordinamento, in particolare ricorrendo anche alla prova per presunzioni.
Esiste inoltre la possibilità che i comportamenti che integrano la condotta di mobbing
possono assumere anche rilevanza penale. In questi casi, oltre alle disposizioni che
prevedono responsabilità di carattere civilistico, potranno risultare, ad esempio,
applicabili:
- la norma che sanziona, con previsione generale, chi cagiona per colpa una lesione
personale ad altri soggetti (art. 590 c.p., lesioni personali colpose);
- quella che punisce con la reclusione il comportamento di chiunque con violenza o
minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali,
fattispecie applicabile anche ai casi di molestia sessuale (art.609 bis c.p., violenza
sessuale);
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anche ai casi di molestia sessuale (art.609 bis c.p., violenza sessuale);
- quella che sanziona chi, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od
omettere qualche cosa (art. 610 c.p., violenza privata);
- quella che punisce l'offesa all'onore o al decoro di una persona presente, anche quando
l'ingiuria è commessa attraverso comunicazione telefonica o scritta (art. 594 c.p.,
ingiuria);
- quella che punisce il comportamento di chi lede la reputazione di un soggetto (art. 595
c.p., diffamazione);
Tutti questi reati, di competenza del Giudice unico, sono perseguibili a querela di parte.
Nel caso del reato di violenza sessuale, tuttavia, e a differenza di quanto avviene per le
altre fattispecie, la querela una volta proposta non può essere revocata.
56
CAPITOLO QUARTO
4.1 Resoconto intervista
La stesura di questo capitolo, a differenza dei precedenti è avvenuta in maniera diversa;
per poterlo realizzare è stato indispensabile il supporto prestato dalla mia tutor di
tirocinio, l‟assistente sociale Laura Romeo, che si è resa disponibile per dedicarmi del
tempo in cui portare a termine il mio lavoro di tesi. Grazie alla sua disponibilità e a
quella di altre colleghe, con cui ho interagito in maniera indiretta, ho potuto avere una
visione più completa di come lavorano le assistenti sociali, quando si trovano di fronte a
problematiche relative al mobbing lavorativo, aumentando e rendendo più chiari i
concetti appresi in precedenza. Premetto che il Polo Lubiana del Comune di Parma
(polo presso cui ho svolto il tirocinio del terzo anno) è un quartiere residenziale dove
vivono 23 mila abitanti. All‟interno del Polo, alle assistenti sociali che vi lavorano viene
affidata una categoria diversa riguardo la presa in carico dell‟utenza; quella in cui
rientra la problematica del mobbing lavorativo corrisponde all‟aria relativa alla fragilità
adulta.
Tramite delle piccole interviste rivolte alle assistenti sociali, è stato facile venire a
conoscenza dei processi che si attivano e delle modalità attraverso cui si procede nei
casi di mobbing lavorativo. È emerso che la maggior parte degli utenti che si rivolgono
al servizio riportano problematiche inerenti la sfera lavorativa concentrare sulle
modalità attraverso cui le aziende si rivolgono ad essi nel momento in cui desiderano
proporgli un contratto. Come ormai accade da circa due anni questi soggetti lamentano
di non possedere un lavoro e rappresentano l‟80% dell‟utenza; per quanto riguarda i
contratti che i soggetti sono costretti ad accettare, anche se molto spesso arrecano
sentimenti di squalifica e di frustrazione, sono caratterizzati da scadenze a breve termine
o molto spesso sono privi di rinnovo.
Quando un soggetto chiede aiuto ai servizi sociali, il professionista molto spesso si
trova spiazzato, perché ci si rende conto che non si hanno a disposizione le risorse
necessarie per intervenire e si percepisce la presenza di altri bisogni che l‟utente è
portato a nascondere sempre scaturiti dal fatto di non percepire una retribuzione.
L‟utenza che accoglie il servizio non ha limiti di età e spesso possiede un buon livello di
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istruzione,ma nonostante questo le modalità attraverso cui si procede non presentano
delle diversità. Dopo aver raccolto le informazioni necessarie sul soggetto e aver
individuato la presenza o meno di un inviante, si discute sulla presa in carico
dell‟utente. In base alle problematiche presentate, il professionista, venendo a
conoscenza del fatto che vi sono delle imprecisioni o delle tutele di cui esso non può
rispondere, quasi sempre indirizza la persona vittima di mobbing verso un sindacato. Il
polo, non ha la facoltà di inviare l‟utenza ad un solo sindacato, in quanto andrebbe
incontro a dei precisi orientamenti politici che nel sociale non devono essere presenti.
Un‟altra modalità presa in considerazione, nel caso in cui l‟utenza si trovasse senza
lavoro o non avesse delle conoscenze riguardo le possibilità di un occupazione, è quella
attraverso cui si propone al soggetto, con cui inizia a costruire un processo di aiuto ,
l‟invio al centro per l‟impiego; strumento che nel corso degli anni si è reso molto
disponibile a collaborare. Nella maggior parte dei casi l‟invio al centro dell‟impiego
viene proposto a quelle fasce ritenute deboli che sono per lo più rappresentate da utenti
stranieri e ragazzini.
Da circa un anno inoltre, è stato fondato un progetto “Io mi impegno per Parma” che
presenta più un valore socializzante e educativo, rispetto a quello di garantire una
retribuzione. In tale progetto, sono presenti anche soggetti che colpiti da mobbing, si
sentono emarginati e cercano di integrarsi per colmare quel senso di vuoto e di
frustrazione che si viene a creare. A questi soggetti, da un certo punto di vista , i lavori
che vengono assegnati possono sembrare squalificanti, come ad esempio la pulizia degli
spazi pubblici; ma la cosa interessante è il vedere come l‟utente pur di sentirsi
impegnato accetta senza alcuna esitazione.
È inoltre imbarazzante e presenta un certo livello di sconforto a livello sociale, vedere
soggetti colpiti da mobbing o anche privi di occupazione, che nonostante tutto si
trovano a dover occuparsi della propria famiglia. Durante questa ricerca, ciò che mi ha
più colpita è il sentir dire da un genitore : “mio figlio mi ha chiesto i quaderni per
andare a scuola e io non ho neanche i soldi per poterli comprare”. Da questa
affermazione, una riflessione che condivido in maniera spontanea è quella che
probabilmente (facendo riferimento al territorio preso in considerazione) non vi sono
molte vittime di mobbing, proprio perché manca il lavoro e dove sono presenti, il
lavoratore accetta pur di garantire un minimo salario alla propria famiglia. Al di là della
soglia di benessere indispensabile alla propria famiglia, il soggetto che si trova a dover
lottare ogni giorno,accetta la situazione, perché ha un‟idea di ciò a cui potrebbe andare
58
incontro se dovesse rivolgersi al servizio e riportare le condizioni in cui egli e la propria
famiglia si trova a vivere. Si parla alle volte di casi in cui per preservare la salute e la
tutela di un minore, è emersa la necessità di doverlo dividere dalla propria famiglia. È
inevitabile dire che per un genitore dover lasciare il proprio figlio/a in un dormitorio,
non è una cosa di cui ne va fiero e in modo non del tutto relativo ricade sul benessere
psicologico e famigliare della situazione presa in considerazione.
Il centro per l‟impiego, mantenendo i contatti con il servizio e in base alla stagione e le
risorse da impegnare, organizza dei progetti che cercano di impegnare i soggetti che si
ritrovano senza un‟occupazione e che per la maggior parte sono in carico ai servizi
sociali. A coloro, che vi aderiscono viene data una piccola ricompensa, intorno ai 200
euro e questa possibilità purtroppo non può essere data a tutti, infatti molte volte ci si
trova davanti a un numero elevato di domande, rispetto all‟offerta di lavoro. Il
vantaggio che si potrebbe ricavare da ciò e che in futuro o in seguito al termine delle ore
in cui l‟utente si trova ad essere impegnato nel progetto, non è da escludere la
possibilità di un‟assunzione, anche part-time, se la persona presa in considerazione si
distinguesse dalle altre o presentasse una buona predisposizione nel portare a termine
ciò per cui è stato “assunto”. Proprio da qui , potrebbe partire la speranza da parte di
coloro che non hanno un occupazione e magari molto spesso la causa è la presenza di
attività di mobbing nel luogo di lavoro precedentemente svolto, di iniziare ad aprirsi
verso nuove prospettive.
Non bisogna dimenticare che tutto questo avviene proprio perché tra professionista e
utente, si è innescato un processo di aiuto, alla base del quale vi è la presenza di una
fiducia reciproca. Lo strumento grazie alla quale si è arrivati a una relazione di questo
tipo è il colloquio.
4.2 ..colloquio, relazione di aiuto e i suoi aspetti.
Come sappiamo, il colloquio, è uno degli strumenti principali che l‟assistente sociale ha
a disposizione nella messa in pratica del suo lavoro.
Il colloquio nel servizio sociale, molti anni dopo, ha mutato dal lavoro di tipo clinico e
psicoterapeutico,un proprio sistema di riferimenti teorico-pratico e le conseguenti
tecniche di conduzione. Nei primi anni del Novecento, lo strumento del colloquio
orientato al casework, si basava su un atteggiamento di tipo “medico”; successivamente
con la nascita del casework, e del comunitywork poi ha progressivamente ampliato
59
l‟ottica di lavoro, affinandone gli strumenti di analisi e di approfondimento per uscire da
una logica individualista di diagnosi-cura e riflettere sul concetto di prevenzione e di co-
costruzione di realtà nuove con il cliente, ponendo lo stesso in una posizione attiva,
autodeterminata e responsabilizzante. Il concetto di colloquio, nel significato moderno
del termine nasce probabilmente con la psicoanalisi e parallelamente con i suoi primi
studi di psicologia sperimentale, con l‟intento di costruire un modello scientifico e
misurabile del funzionamento della mente. La ricerca sul colloquio si è evoluta nel
tentativo di indicare variabili di riferimento utili alla conduzione del colloquio; proprio
da questo sono nate diverse scuole di pensiero, tra cui è bene ricordare il
comportamentismo, le scuole psicodinamiche, le scuole sistemico-relazionali. Il
comportamentismo ha cercato di individuare metodi di intervento sul modo di agire del
soggetto lavorando sulla struttura formale del colloquio. I metodi principali individuati
sono tre: i metodi rispondenti (l‟insegnamento del rilassamento, la desensibilizzazione
sistematica, il cambiamento degli antecedenti); i metodi operanti (il rafforzamento
positivo, l‟imparare a catena , l‟estinsione) e i metodi cognitivo-comportamentistici (il
modeling -insegnare per dimostrazione- e le procedure di influenzamento coperto).
Quello che accomuna queste tecniche è la loro pragmaticità e prescrittività. Le varie
scuole ad orientamento psicodinamico che prendono spunto dalla psicoanalisi partono
dal presupposto che l‟individuo ha una vita inconscia che influenza il suo rapporto con
la realtà. Per l‟impostazione e la gestione del colloquio vengono utilizzate le definizioni
di Io, Es, Super Io, Transfert, Controtransfert e meccanismi di difesa. Un concetto
essenziale è quello di rapporto inteso come 9“incontro alla soggettività dell‟uno, con
quella della altro”. Il colloquio è quindi un momento sia di conoscenza del cliente, da
parte dell‟assistente sociale, che di se stesso; un momento di curiosità non invadente e
neutrale, in cui porre l‟attenzione alle condizioni ambientali, al linguaggio, alla durata,
alle modalità di appuntamento, al far sentire l‟utente in una condizione di “reciprocità”.
L‟ottica sistemico-relazionale è il modello più recente, che coinvolge anche i contesti di
riferimento più significativi. In questo caso vi sono differenzazioni sulle tecniche di
conduzione del colloquio, il modello strutturale, il modello strategico, il modello
centrato sul paradosso. Hanno iniziato questo percorso Goldestein (modello unitario) e
Pincus e Minahan (modello integrato), e utilizzano per primi il concetto di “sistema”.
L‟approccio sistemico relazionale è il modello di riferimento teorico che viene
9 cit. Pasqualini, (1993).
60
considerato utile per la conduzione del colloquio. Nella gestione dei colloqui di servizio
sociale è possibile fare riferimento a diversi modelli teorici presenti, anche se la scelta
di riferimento principale , può guidare l‟azione sociale in modo più equilibrato e utile
per ottenere risultati. Per quanto concerne l‟assistente sociale, le viene richiesta sempre
più competenza nella gestione di situazioni complesse, soprattutto nella prospettiva di
valorizzarne le capacità di pensare, promuovere, realizzare progetti di “cura” in senso
lato, di riabilitazione, di rieducazione e di prevenzione, le risorse sul piano materiale e
in particolare su quello economico finanziario a disposizione dell‟operatore in cui le
risorse sono molte ridotte. La competenza primaria che caratterizza il lavoro
dell‟assistente sociale è la capacità di costruire relazioni di aiuto attraverso il processo
della comunicazione. Nella realtà umana le persone si differenziano per il loro
comportamento nella vita interpersonale, per la capacità di instaurare e mantenere
relazioni soddisfacenti e per la capacità di comprendere gli interlocutori. La stessa
persona utilizza stili e comportamenti diversi in momenti e situazioni differenti. Nello
studio dell‟interazione sociale si possono identificare le componenti della competenza
sociale: si tratta, degli atteggiamenti sociali che i soggetti adottano per produrre
interazioni efficaci e soddisfacenti. Il desiderio di vedere confermata la propria identità
e la stima di sé costituisce una delle motivazioni più comuni negli incontri sociali della
vita quotidiana. In situazioni che richiedono un‟abilità sociale professionale specifica,
come quella dell‟assistente sociale, è indispensabile raccogliere le informazioni di
“ritorno”, cioè quei comportamenti che forniscono informazioni sulle recezioni
dell‟altro. Il professionista dovrà preoccuparsi di prestare attenzione a tutti quei
comportamenti e atteggiamenti che permettono di ottenere, da parte dell‟utente,
informazioni utili alla comprensione del progetto di aiuto e idee sul modo in cui è
percepita la relazione nell‟ambito del sovra-sistema “assistente sociale-utente”.
Si può affermare che esiste una competenza comunicativa di base in ogni persona,
prodotta nelle interazione quotidiane di tutti gli individui; mentre lo studio, la ricerca,
l‟elaborazione teorica della prassi permettono, la costruzione delle abilità professionali
legate al ruolo effettivamente svolto nella situazione di lavoro. L‟identità professionale
è maturata sull‟integrazione di queste di queste due dimensioni, quella soggettiva, legata
all‟esperienza personale e quella sociale, appresa nei contesti esterni di studio e
lavorativi. Possiamo definire la competenza comunicativa come l‟insieme di quelle
capacità che favoriscono lo scambio di informazioni attraverso il linguaggio verbale e
attraverso i segnali non verbali emessi e ricevuti mediante il canale visivo, tattile,
61
cinesico, uditivo e olfattivo, utilizzate prevalentemente nell‟interazione faccia a faccia.
Questa competenza si esprime in:
- Funzione di invio efficace dei messaggi;
- Funzione di ricezione dei segnali e delle informazioni che essi forniscono;
- Funzione di decodifica dei messaggi inviati;
- Meccanismi interni all‟individuo, quali consapevolezza, congruenza interna, feedback
interno ecc.
La competenza comunicativa permette un approccio più rigoroso alle componenti
cognitive ed affettive delle relazioni interpersonali e la nozione di competenza
comunicativa permette di affrontare il comportamento interpersonale attribuendo un
particolare rilievo alle differenze individuali nelle capacità “socio-emozionali”.
Il colloquio è utile nella relazione del processo di aiuto tra utente e operatore, ed
entrambi hanno pari dignità e collaborano alla soluzione di un problema.
L‟assistente sociale deve essere propensa all‟ascolto e all‟accoglienza della persona,
oltre al creare un ponte con chi sta vivendo un disagio che non è in grado di affrontare
da solo; dal momento che il colloquio è un dialogo dove si incontrano ruoli precisi e
diversi, anche se entrambi attivi; sono presenti regole definite dal contesto stesso in cui
avviene l‟incontro. L‟obiettivo principale dei questo strumento è il raggiungimento
dell‟obiettivo, durante il quale l‟assistente sociale agisce in maniera strategica per
affrontare il problema portato dall‟utente, e lo fa tramite la manipolazione,
l‟influenzamento e la negoziazione. È anche presente l‟utilizzo delle tattiche e le
ritroviamo nella conversazione verbale e non verbale. La comunicazione verbale si
caratterizza per :
- le domande, generalmente di tipo relazionali e sono utili a completare la pratica di
servizio sociale;
- le affermazioni, constatazioni chiare sul bisogno riportato;
- le ristrutturazioni, presentazione di una diversa punteggiatura da quella presenta
dall‟utente;
- le prescrizione, sollecitazioni date all‟utente per l‟apprendimento di adeguati
comportamenti.
Nella comunicazione non verbale, invece, sono presenti quattro componenti che sono:
la prossemica (la distanza emozionale) , la cinesica (espressioni facciali), il
paralinguaggio (corrispondenza tra quanto detto e il significato semantico delle parole)
e l‟aspetto esteriore.
62
I requisiti che rientrano nell‟ascolto sono:
- L‟attenzione: disponibile ad offrire ascolto alla persona che chiede aiuto, inserendo una
sospensione del giudizio, distanza emozionale, mettendosi a disposizione dell‟altro e del
suo problema,
- Percezione: ricevere il messaggio e permettere di farlo arrivare al cervello, accettandolo
a livello cosciente. Non vi deve essere la presenza di un pregiudizio;
- Elaborazione: vale a dire comprendere il messaggio, ovvero ciò che l‟utente vede e
sente e cercare di trovare un comprensione comune prendendo in considerazione il
problema e le risorse a disposizione.
- Restituzione: dare risposta all‟utente riguardo le informazioni raccolte, le decisioni e nel
caso in cui dovessero essere presenti, l‟assunzione di rischi.
Per quanto concerne il colloquio rispetto all‟utente; in questo caso la persona vittima di
mobbing, non sempre riesce ad aprirsi e a raccontarsi con chi pur essendo un professionista,
fino a pochi istanti precedenti l‟incontro era una persona a lui estranea. In questo caso
spetta all‟assistente sociale, essere abile nel mettere il più possibile l‟utente a proprio agio e
con il tempo riuscire a tirare fuori i vissuti e i pensieri repressi presenti nella mente della
vittima. Mostrarsi predisposti all‟ascolto aiuta l‟utente ad aprirsi e questo è un fattore
determinante per porre le basi per istaurare un rapporto fondato sulla fiducia.
L‟obiettivo primario di un operatore è quello di dare un‟immagine di sé come una “porta
sempre aperta”, pronta a recepire le istanze di cambiamento e quelle di non cambiamento,
conducendolo verso un approccio motivazionale. L‟operatore deve aumentare la frattura
interiore del soggetto, vale a dire far capire all‟utente la realtà spiacevole che sta vivendo in
modo tale che la riconosca e cerca di modificarla. Con questa tecnica si evita di creare
nell‟utente un senso di costrizione, facendo pressione affinché modifichi il comportamento
discrepante con obiettivi e valori di qualcun altro. La motivazione e le ragioni per cambiare
devono provenire dal soggetto stesso, divenuto consapevole di come vive e di come
vorrebbe vivere. Un risultato efficiente potrebbe essere quello che presenta i caratteri
dell‟ottimismo nel processo di cambiamento, in cui l‟utente esprime fiducia e speranza nella
possibilità di cambiare poiché si rende conto di avere tale capacità.
63
4.3 La documentazione
Anche nei casi di mobbing, come in tutti i casi per cui l‟assistente sociale procede con la
presa in carico, assume rilevanza la documentazione. 10
Vi è una differenza sostanziale tra
documento e documentazione. Il documento è “scrittura atta a fornire una pratica o
convalida in ambito burocratico, amministrativo, giuridico; qualsiasi oggetto utilizzabile ai
fini di consultazione, ricerca, informazione”. La documentazione invece, è il complesso
delle attività occorrenti per raccogliere e classificare materiale bibliografico, informativo,
dimostrativo (cartella sociale), ed è anche l‟insieme dei documenti prescritti per la
costruzione di una pratica burocratica o amministrativa. È importante la distinzione tra i due
termini: il documento è legato prevalentemente al dato, mentre la documentazione è
portatrice di informazioni e conoscenza, perché frutto di un percorso di analisi e di
elaborazione. Per quanto riguarda l‟assistente sociale uno strumento che rientra nella
documentazione è la 11
cartella sociale: il contenitore con i dati della famiglia, della rete
sociale e dei documenti sul caso. È uno spazio in cui annotare, scrivere, riassumere,
riorganizzare ciò che si fa e si deve fare, tra cui gli impegni presi, le riflessioni, il progetto,
sensazione e pensieri. Permette di organizzare e modificare le variabili del processo di aiuto
oltre ad essere la base nel caso in cui il caso dovesse essere inviato ad altri servizi. Proprio
per questo i dati devono sempre essere precisi e pertinenti anche dagli altri operatori del
servizio con un linguaggio chiaro e non ridondante.
10 Devoti, Oli, dizionario della lingua italiana (1990). 11 L.Bini, Documentazione e servizio sociale, Roma, Carocci (2003).
64
CAPITOLO 5
5.1 STORIE DI MOBBING
5.1.1 Marco, “una lenta discesa all’inferno”
L‟obiettivo della seguente storia che verrà riportata di seguito consiste nel dare un‟idea
di come vengono analizzate le storie di mobbing. Si parte con l‟identificare le
caratteristiche che ci fanno collegare l‟atteggiamento di tale storia al mobbing e si
procede esaminando la situazione con il modello multi casuale di Zapf; fino ad arrivare
al prendere in considerazione alcune prospettive di intervento.
Il caso in questione, vede come protagonista Marco è risale al 2007; anno in cui si
iniziano a presentare atteggiamenti vessatori da parte del mobber, protratti fino al 2009.
In questa storia si percepisce che gli atteggiamenti messi in atto, si verificavano almeno
due volte al mese e man mano che aumentavano, veniva sempre meno da parte della
vittima la possibilità di difendersi, fino al momento delle dimissioni. Vi è inoltre una
limitata capacità della vittima di esprimersi e molte volte il mobbizzato, veniva
interrotto mentre parlava dal titolare e dai suoi responsabili. Marco è stato vittima di
continue critiche da parte del titolare dell‟azienda sul suo lavoro e ribadisce più volte
che subiva rimproveri e gli veniva continuamente ricordato quanto costasse all‟azienda.
I continui lamenti dovuti al suo demansionamento e al suo stipendio tagliato non sono
stati presi in considerazione, ma le minacce avvenivano soprattutto nel periodo in cui
Marco chiedeva di firmare le dimissioni. La realtà in cui Marco lavorava è peggiore di
un sogno ricorrente che egli racconta, dove dice di essere solo in una stanza circondata
da pareti di vetro e alcuni colleghi dall‟altra parte dei vetri ridono di lui e altri lo
guardano con compassione.
La possibilità della vittima di relazionarsi con i suoi colleghi risultava limitata: gli
venivano più volte cambiate le mansioni in maniera improvvisa, ma la maggior parte
delle volte gli venivano assegnati lavori in cui il contatto con i colleghi era ridotto al
minimo. Marco s trovava ad oscillare tra il dover fare lavori umilianti e piuttosto
disparati al dover raggiungere obiettivi al di sotto della sua qualificazione professionale.
Nonostante egli fosse un valido lavoratore che otteneva degli ottimi risultati, il suo
lavoro non veniva premiato e molte volte veniva giudicato in maniera sbagliata e
65
offensiva. A Marco veniva inoltre impedito di andare in malattia e ciò si ripercuoteva
sulla sua salute fisica.
All‟interno di questa storia sono riscontrabili alcuni fattori di rischio, visibili in vari
aspetti:
1. Aspetti organizzativi. Si può affermare che il clima organizzativo non offriva
alcun supporto sociale: per lunghi periodi Marco lavorava da solo, con contatti
limitati con i suoi colleghi e con i responsabili. Inoltre la messa in atto di
cambiamenti organizzativi così improvvisi, come il trasferimento o il nuovo
responsabile repentinamente licenziato, possono rappresentare aspetti
organizzativi ritenuti rischiosi.
2. Aspetti di gruppo. Purtroppo la vittima raramente cita i rapporti che aveva con i
suoi gruppi di lavoro, ma si può azzardare che col tempo la qualità dei rapporti
tra lui e i colleghi sia diventata abbastanza scarsa.
3. Aspetti individuali. Gli viene continuamente chiesto di occupare ruoli lavorativi
nettamente inferiori alla sua preparazione professionale; per giunta, a suo dire, le
mansioni che gli venivano assegnate e gli obiettivi che egli doveva raggiungere
erano esagerati in confronto a quello che avrebbe potuto fare un solo lavoratore
nell‟azienda in questione.
Inoltre, i comportamenti vessatori da parte dell‟organizzazione nei confronti di Marco
hanno provocato una serie di conseguenze su diversi punti di vista; sulla salute in
quanto la vittima rammenta una serie di disturbi psicosomatici (attacchi d‟asma,
tachicardia, nausea, gastrite, febbre), segnali emozionali (disturbi dell‟umore, pianti
improvvisi e incontrollabili, sensazioni di impotenza e fragilità, stress, senso di
solitudine, insonnia) e segnali comportamentali (blocco dell‟appetito, perdita di peso,
collassi ecc.).
Altri effetti scaturiti, riguardano anche il contesto sociale e i costi economici. Nel
contesto sociale, in quanto si parla di un‟organizzazione sempre più esigente che ad un
certo punto ha portato la vittima a riconsiderare e mettere in dubbio la sua certezza
lavorativa e i rapporti interpersonali coi colleghi. Prendendo in considerazione i costi
economici invece, Marco era diventato un peso per l‟organizzazione, la quale non
poteva permettersi un lavoratore come lui a tempo indeterminato. I suoi giorni di
66
malattia, causati tra l‟altro dall‟organizzazione stessa, erano diventati un problema, e
probabilmente ciò ha contribuito al suo licenziamento.
Lettura del caso tramite il modello multicausale di Zapt.
Il caso in questione può essere analizzato tramite il modello multi causale di Zapt
(1999), che individua fattori individuali, sociali e organizzativi tra le cause del mobbing,
i quali possono essere collegati alle manifestazione e alle conseguenze che sono state
descritte in precedenza.
I fattori rilevanti, sembrano essere quelli organizzativi, collegati a uno stile di leadership
prettamente autoritario; si può notare un abuso di potere da parte del titolare
dell‟azienda che impartisce ordini insindacabili con toni minacciosi e molto forti, non
permettendo alla vittima di ribattere alle accuse che gli vengono spinte, prendendo delle
decisioni che vanno a ledere il benessere lavorativo. I suoi responsabili, d‟altro canto
sono, totalmente indifferenti alla sua situazione (il responsabile fa passare dei giorni
prima di comunicare alla direzione il problema di Marco per la partenza in Sardegna per
le vacanze di pasqua, provocando l‟ennesimo disagio per la vittima al momento della
discussione nell‟ufficio del titolare). Si può identificare un organizzazione del lavoro
ambigua, con continui cambiamenti e una sorte di stress dal punto di vista della cultura
organizzativa e anche secondo lo sviluppo di carriera, che si dimostra essere piena di
ostacoli, anche riguardo al contenuto del lavoro: orari di lavoro eccessivamente lunghi e
ingestibili. In questo caso il mobber si identifica nel titolare dell‟azienda, basta questo
particolare per farci capire la mancanza di una specifica politica sul mobbing. Marco è
costretto a rivolgersi a un sindacato per ottenere delle sicurezze e delle spiegazioni,
riguardo la sua situazione.
La vittima nelle testimonianze non cita i rapporti che aveva con i suoi colleghi, ciò
potrebbe aver favorito l‟insorgenza del fenomeno del mobbing. I suoi collaboratori nel
2009 si dimostrano come coloro che sono vittime del mobbing e sono portate ad avere
atteggiamenti di instabilità emotiva e una maggiore tendenza all‟impulsività, ciò è
quello che viene riscontrato in Marco durante la sua testimonianza confessa di avere
stati di ansia e irritabilità; il tutto avveniva come risposta ai comportamenti vessatori
ricevuti.
Tramite le informazioni riportate e in seguito all‟analisi del caso, è presente la
possibilità di programmare alcuni interventi preventivi. L‟organizzazione in causa,
dovrebbe prima di tutto focalizzare l‟attenzione sulla valutazione degli aspetti
67
psicosociali, sia dal punto di vista del contesto lavorativo (cultura organizzativa,
sviluppo di carriera)che dal contenuto lavorativo (orario di lavoro, ritmo e
pianificazione dei compiti lavorativi). Inoltre, se nel caso l‟azienda non lo avesse
sarebbe opportuno procurarsi un codice etico diretto alla gestione e alla riduzione delle
probabilità del verificarsi di comportamenti aggressivi sia da parte del responsabile che
da parte dei colleghi. Cercare di dirigersi verso una stile di leadership meno autoritario,
meno indifferenti e più comunicativi, focalizzati sia sul compito che sulle relazioni
interpersonali, in modo da creare un clima aziendale piacevole e collaborativo. Si
potrebbe consigliare di implementare un sistema che premi i lavoratori meritevoli e dei
sistemi di ascolto (per esempio uno sportello mobbing), che permettano di alleviare sia
la durata di fenomeni come il mobbing sia la diffusione dei disturbi. Infine,
l‟organizzazione dovrebbe evitare di prendere decisioni senza consultare i diretti
interessati; per esempio, nel momento in cui viene attuato un progetto di lavoro, la
direzione dovrebbe organizzare una riunione con tutti i diretti interessati almeno una
volta al mese, per analizzare l‟andamento del progetto e per riflettere insieme a loro su
eventuali sospensioni. Per giunta, dovrebbe evitare di fare promesse che non può
mantenere, come ad esempio lo stipendio fisso accompagnato da provvigioni che è stato
assicurato a Marco e mai confermato.
Come intervenire sulla situazione di Marco.
Ponendo l‟attenzione sulla vittima e essendo certi che il caso in questione si è risolto
con un licenziamento, ci sarebbe ben poco da recuperare, ma si potrebbe focalizzare la
trattazione su possibili interventi da attuare per cercare di risolvere situazioni simili.
Se, dopo l‟attuazione di interventi preventivi (alcuni dei quali consigliati nel paragrafo
precedente), si verificassero casi di Mobbing, l‟organizzazione non potrebbe fare altro
che intervenire direttamente sulle vittime. Innanzitutto dovrebbe rispettare alla lettera le
norme contrattuali: lo stipendio che spetta al lavoratore dev‟essere dato senza tagli e, se
la persona ha diritto a usufruire di giorni di malattia certificati, allora bisogna concederli
senza contrastarla. Al suo rientro in azienda, l‟organizzazione dovrebbe attuare un piano
di recupero che permetta alla vittima, se l‟assenza è stata piuttosto lunga, di reintegrarsi
nel contesto lavorativo serenamente e senza ulteriori pressioni. Il sovraccarico di lavoro
si dovrebbe evitare, consentendo alla vittima un recupero graduale; si dovrebbe evitare,
inoltre, il cambiamento delle mansioni che aveva precedentemente e l‟isolamento
sociale, assicurando un posto di lavoro in cui possa giovare di supporto sociale e di
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relazioni interpersonali proficue. Ogni decisione aziendale dev‟essere ufficializzata, in
modo tale che non si instauri nelle vittime la percezione di ingiustizia organizzativa e la
paura che venga fatto qualcosa alle loro spalle. Se, come per Marco, non è più
disponibile la precedente posizione lavorativa della vittima, sarebbe opportuno trovarne
una alternativa a tutti i costi; se neanche quest‟ultima fosse reperibile, si dovrebbe
preventivamente provvedere a un outplacement in tempi piuttosto brevi.
5.2 Alcune testimonianze
Credo che le testimonianze siano il modo migliorare che un soggetto ha per dare prova
di quanto subito, oltre al fatto che testimoniare può essere d‟aiuto al fine di acquisire
maggiore consapevolezza nella presa di coscienza della situazione che si sta vivendo.
Prendendo l‟attenzione su cosa rappresentano le testimonianze per il lettore, ho voluto
riportare alcuni racconti, per stimolare ancora di più una riflessione riguardo il tema
preso in considerazione. Sapere e provare ad immedesimarsi in determinate situazioni
non è facile, ma allo stesso tempo potrebbe aiutare a non lasciare il problema in una
posizione marginale, come a mio avviso succede nella nostra società. Si dovrebbe
pensare al mobbing lavorativo come quel fenomeno che ha ripercussioni rilevanti in un
ambito che risulta essere fondamentale per l‟esistenza di un individuo ed è anche
riconosciuto dal codice civile e dalla nostra Costituzione come un diritto fondamentale.
A tal fine, ho riportato di seguito alcune testimonianze di coloro che sono state vittime
di mobbing lavorativo.
5.2.1M.,35anni.
“Lavoravo in una casa di riposo al reparto “protetto” che ospitava anziani affetti da
morbo di Alzheimer. Tutto cominciò a pochi mesi dalla mia assunzione, quando venne
sostituito il direttore sanitario. Ancora oggi non credo ci sia stata una vera e propria
causa scatenante: penso che nei miei mobbers sia nata la consapevolezza di non potermi
condizionare, di non potermi far dire o fare ciò che volevano. Il rendersi conto che il
lavoratore sa svolgere il proprio lavoro con professionalità crea in qualche modo delle
frustrazioni e destabilizza l'intero sistema. La prima cosa che oggi rielaboro con grande
amarezza è il controllo, all'inizio del turno e durante le attività; il porre ostacoli
69
all'esecuzione dei progetti educativi, peraltro tutti approvati dai direttori sanitari; il
divieto di fare fotocopie per i miei utenti, di entrare in casa di riposo durante il periodo
di ferie impostomi d'ufficio. Dicevano al personale di non parlarmi perché ero
inaffidabile, e poi l'aggressione, le telefonate anonime e ingiuriose, i richiami scritti... Io
andavo d'accordo con i miei colleghi e c'era collaborazione fra noi ma la paura credo
abbia prevalso; la paura di essere diversi, di poter cambiare davvero questo sistema.
Chiedendo scusa, accettavano a capo chino le imposizioni provenienti dai superiori.
All'inizio non mi rendevo conto di quello che mi stava succedendo: andavo al lavoro e
mi sentivo diversa, piangevo anche in reparto, a casa, di notte, non dormivo più, una
volta a letto i miei occhi si spalancavano e vedevano l'arrivo del mattino seguente.
Inappetenza, perdita di peso, tachicardie improvvise, senso di paura e di inadeguatezza;
continuavo a chiedermi se e dove stavo sbagliando ma mi sembrava che non ci fosse
soluzione. Per me esisteva solo IL problema, ero IO il problema o, meglio, questo mi
avevano indotto a pensare. Continuavo a parlarne in casa con gli amici più vicini, il
resto passava in secondo piano. Poi, un giorno, mi fu comunicato che il contratto alla
sua scadenza non mi sarebbe stato rinnovato "perché il mio lavoro non andava già bene
da diverso tempo". Questa plateale rivelazione mi scosse: non poteva essere così perchè
i risultati con gli ospiti si vedevano, io li vedevo e anche gli altri. I miei pazienti, se pur
prigionieri dell'oblio causato dalla loro malattia mi aspettavano e stavano bene con me;
apparecchiavano la tavola, cantavano, leggevano, ballavano, dipingevano, hanno
arredato da soli l'intero reparto. Quando scoprii che il mio contratto era illegittimo e in
quel momento avrei potuto mostrare che loro non erano così forti, quando fu rintracciata
la persona che effettuava le chiamate anonime, quando la psicoterapeuta mi disse che
non dovevo dimostrare a nessuno di saper fare il mio lavoro ma che solo i risultati che
avrei ottenuto dall'impiego delle mie conoscenze e capacità avrebbero potuto fornirmi la
prova che serve a ogni lavoratore per crescere professionalmente e a livello umano,
decisi di ribellarmi. Ovviamente non è possibile dimenticare. Qualunque cosa legata a
quei momenti, a quel contesto, ne fa riaffiorare il ricordo”.
Da questo piccolo racconto, come capita anche negli altri, una fattore che mi lascia
perplessa è pensare a come in coloro che sono vittime di mobbing lavorativo si sussegue
una perdita di coscienza e delle proprie capacità sia in campo lavorativo che come
persona. Il dover ricominciare riacquisendo la consapevolezza di ciò che si è ritrovando
70
la fiducia in se stessi è uno dei passaggi più difficili ma sicuramente uno dei più
significativi.
5.2.2A.,38anni.
“Lavoravo nel settore del turismo. L'azienda iniziò a farmi mobbing dopo alcuni mesi
dalla mia comunicazione di una seconda gravidanza, con una scusa banale: una
contestazione di uso improprio del computer aziendale, cosa dimostrata non vera. Dopo
il parto, quando sarei dovuta rientrare, mi obbligarono a prendere tutte le ferie a
disposizione anche se non era assolutamente obbligatorio e avrei potuto usufruirne
all'occorrenza, visto che avevo un bimbo di pochi mesi. Al rientro, stabilito da loro, mi
allontanarono dagli uffici, posizionando la mia scrivania nel retro di un archivio,
togliendomi ogni ruolo e ogni mansione. Sulla carta avevano "creato" un ruolo ad hoc
per me, ma nel concreto quel lavoro non esisteva. Lì sono stata per due anni, senza fare
quasi nulla. Non avevo nel luogo di ultima destinazione rapporti con molti colleghi, se
non un paio. Quelli che incontravo nei paraggi dell'ufficio mi ignoravano. Fin da subito
mi venne una forte depressione che mi costrinse a psicofarmaci e a visite periodiche con
psichiatri specializzati. Feci anche un percorso di 6 mesi con il centro antimobbing della
mia città. Le giornate erano lunghe, interminabili. Per quanto volessi impegnare la
mente, dedicarmi ai miei bambini, lo sconforto, l'ansia e la solitudine la facevano da
padrone. Tutta la mia vita sociale era cambiata. A casa il mio nervosismo lo
percepivano e ne risentivano specialmente i miei figli. Evitavo di uscire con amici
perché puntualmente si finiva a parlare di lavoro e la cosa non mi faceva stare bene.
Sentirsi poi dire frasi del tipo "che t'importa, quello che conta è che ti paghino", mi
feriva più di ogni altra cosa, perché era la dimostrazione che nulla e nessuno avrebbe
mai compreso il mio stato d'animo. Decisi subito di ribellarmi. Provai per circa nove
mesi a trovare un accordo con la mia azienda, a ricevere motivazioni, ma quando capii
la loro totale chiusura, gli feci causa e ad oggi è ancora in corso. Nonostante tutto, non
ho mai sentito di potercela fare. Mi hanno mandata via, la causa di mobbing è ancora in
alto mare e sto per iniziare quella per il licenziamento. Credo che un'esperienza del
genere sia, e resti, una violenza psicologica molto forte. La cicatrice c'è e resterà per
sempre. A seguito di questa esperienza ho anche creato un forum, Mobbingdonna
(www.mobbingdonna.it), che ho deciso di aprire gratuitamente l'8 marzo del 2012. L'ho
fatto perché nelle lunghe giornate di inattività lavorative avrei voluto tanto qualcuno
con cui parlare, ma un qualcuno che mi capisse e, purtroppo, solo chi ha vissuto o sta
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vivendo la tua stessa tragica esperienza può farlo. Mi ha aiutato a non sentirmi più sola.
Tante sono state le persone, donne e uomini, che mi hanno scritto, che mi hanno chiesto
consigli, moltissimi però in privato, forse per paura. Spero che anche qualcuno di loro in
qualche modo si sia sentito meno solo”.
In questa testimonianza è presente una gravidanza; come questa esperienza appena
riportata, c‟è ne sono molte altre in cui la gravidanza porta a diventare vittima di
mobbing lavorativo. Quanto accade è sconfortante e da un certo punto di vista va contro
quelle che sono le leggi previste in Italia. Rivolgendomi a coloro che si comportano da
mobber, vorrei ricordare che nel nostro ordinamento è presente un decreto legislativo
151/2001 che stabilisce che il datore di lavoro non possa licenziare una donna in stato di
gravidanza. Tale divieto opera anche se il datore di lavoro non era a conoscenza della
gravidanza e sin dall‟inizio di quest‟ultima. Di conseguenza, la lavoratrice sarà tutelata
a partire dal momento della gestazione.
5.2.3A., 35 anni
Mi laureo a 23 anni in economia e commercio; parto con uno stage in un'azienda che
produce impianti per il settore alimentare e rimango poi all'interno dello stesso gruppo
ma in un'altra azienda diversa dalla capogruppo iniziale.
Comincio quindi in questa azienda nel 2003, prima nell'ufficio manuali poi passo
all'ufficio assistenza dove rimango sino alle mie dimissioni nel maggio 2013.
Il dicembre 2012 nasce il mio bimbo; chiedo all'amministratore delegato di poter fare le
6 ore di allattamento con orario continuato invece dello spezzato, dato che la strada è
Parma San polo torrile e viceversa - come avevano fatto le mie colleghe durante la loro
maternità e mi sento rispondere (anzi scrive via mail) che la cosa ovviamente disturba e
lo devono fare solo perchè obbligati per legge. Una buona partenza....
Torno in ufficio il primo aprile dell'anno dopo, facendo le sei ore previste dall'accordo..
Optando per l' orario continuato questo richiedeva un'uscita anticipata rispetto all'orario
canonico (che è il seguente 8.30 - 13.00/14.00 - 17.30).
Svolgo le mie consuete mansioni per un paio di settimane fin che non vengo chiamata in
direzione dove l'amministratore delegato mi dice che ha bisogno di una persona in
ufficio amministrativo dato che le ragazze (una responsabile + l‟atra impiegata) hanno
tanto lavoro e l'unica laureata in economia che quindi può aiutare,sono io.
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Accetto anche se la legge richiede che le mamme con un bimbo sotto l'anno d'età non
devono essere spostate al rientro.
Mi trovo in un ufficio dove di eccesso di lavoro non c‟è n'è per niente e nessuna delle
due colleghe intende cederne per passarne a me.
Arriviamo ad ottobre 2013. Mi chiama sempre la direzione per dirmi che arriva un
dirigente amministrativo da fuori e io sono spedita nella capo gruppo (all'epoca a
Montecchio Reggio Emilia) a fare il mio vecchio lavoro con un "trasferimento diretto"
contratto possibile solo tra aziende dello stesso gruppo: Il dipendente viene trasferito da
un'azienda ed un'altra cambiando datore di lavoro senza essere licenziato. Appunto un
trasferimento diretto.
Mi rivolgo ad un avvocato e alla consigliera di parità della provincia per esporre il
problema, che mi accoglie un mese dopo la richiesta. Sembra che non lo possano fare.
Al che rifiuto l'offerta e dopo una serie di insulti nei miei confronti trova il modo di
mandarmi via.
Il 25 novembre - quindi hanno atteso a pelo la scadenza dell'anno di mio figlio, 01
dicembre - mi dicono che dovrò comunque andare a Montecchio con una "sospensione
temporanea del lavoro", clausola che permette di avere sempre il tuo storico datore di
lavoro ma sei formalmente alle dipendenze di un altro, adducendo come causale il fatto
che la mia professionalità in azienda era ormai di troppo.
Ci sarebbero state altre dipendenti senza famiglia o figli che avevano le qualità per
prendere il mio posto, ma guarda caso hanno preferito me.
La consigliera di parità il 5 dicembre convoca l'azienda che nel colloquio ha sostenuto
persino che io fossi d'accordo.
Purtroppo non ero presente, non mi avevano detto che fosse necessario.
Il tutto però si è fermato lì',nel senso che il colloquio non è servito a nulla anzi la
consigliera ha quasi creduto alle parole dell'azienda.
Nel mese di maggio consegno le dimissioni e vado all'ispettorato del lavoro
(obbligatorio firmare i loro documenti se ci si dimette e si è genitori di un bimbo sotto i
tre anni) e mi dicono che se fossi andata da loro subito a fare denuncia avrebbero fatto
un'ispezione; peccato che né l'avvocato né la consigliera me l'avessero detto.
Quando mi hanno dato l'ultima notizia mi sono messa a casa terminando la mia
facoltativa sino al giorno delle dimissioni.
Ora amministro condomini e faccio tirocinio da una commercialista con l'intento di
diventarlo quando sarà il momento.
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Non sono pentita anzi mi spiace non averlo fatto prima, però gli strumenti messi a
disposizione dallo stato a titolo gratuito per le neo mamme non sono per niente validi e
siamo considerate solo dei problemi per le aziende.
L‟aspetto che assume rilevanza in questa storia è il riscatto avuto dalla persona vittima
di mobbing. Il lieto fine presente lascia una speranza un po‟ a tutti per ricominciare, per
potercela fare. Dopo aver subito gli effetti del mobbing lavorativo, il ritrovarsi ancora
una volta in gioco sarà sicuramente utile in primo luogo alla vittima e poi agli altri per
dimostrare le proprie capacità. In questa testimonianza è presente la gioia di aver
ricominciato e la voglia di cancellare tutto quello subito oltre alla volontà di migliorare
per sentirsi nuovamente gratificati.
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CONCLUSIONI
Nella vita dell‟individuo il lavoro rappresenta uno dei fenomeni fondamentali di
autorealizzazione e spesso, quando questa possibilità viene meno a causa di contrasti
interpersonali nei luoghi di lavoro o a causa di politiche aziendali sbagliate, ciò assume
una notevole rilevanza e viene considerato un aspetto gravissimo sia sotto il profilo
della tutela individuale e della persona, sia per quanto concerne l‟aggravamento dei
costi all‟interno dell‟azienda ; fino all‟indebolimento della capacità reddituale.
Il mobbing appare sempre più un fenomeno molto complesso , per cui necessita di
maggiori indagini, soprattutto per quanto riguarda la dimensione metodologica delle
procedure di ricerca.
Bisognerebbe attivare, in modo tale da creare una vera e propria collaborazione, tutte le
attività che possono essere messe in atto per riuscire a contrastare questo fenomeno. Un
punto di partenza su cui sarebbe utile prestare attenzione è l‟atteggiamento ambivalente
delle aziende; in quanto da una parte viene riconosciuto il problema e non si è disposti a
tollerarne la presenza, dall‟altra, l‟azienda, non desidera suscitare problemi quando non
ci sono o crearne quando questi fossero ancora nell‟oscurità. Questo atteggiamento
risulta comprensibile, non solo perché vengono poste domande all‟azienda su una
tematica così critica, ma anche per il fatto che si ha una conoscenza limitata al riguardo
e il fenomeno viene percepito come un problema in agguato. Promuovere la salute di
una persona e nello specifico di ogni lavoratore è di per sé un processo antimobbing.
Soffermandoci sull‟evoluzione del mobbing, possiamo riscontrare ragioni profonde, tali
da imporre una riflessione sul contesto sociale in cui viviamo. È la società attuale a
dover riscoprire i valori e i principi che abbiamo nel rispetto per il prossimo. Nella
cultura del lavoro si possono ritrovare le basi su cui rifondare il sistema attuale,
all‟interno del quale, l‟arroganza e la superficialità rendono sempre più difficile la
crescita del nostro Paese sotto l‟aspetto culturale, sociale e morale. Spetta alla
collettività trasformare illusione in realtà, dal momento che l‟inattività e il silenzio sono
sinonimi di sconfitta sociale.
Ogni individuo può divenire vittima di mobbing, ognuno di noi deve impegnarsi per
distruggere questa piaga sociale a ogni forma socioeconomia che la promuove e/o la
tollera.
Spero di aver messo a disposizione, nella stesura di questo elaborato, un po‟ di
materiale per continuare e poter dare spunti riguardo una serie di interventi che
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potrebbero essere inseriti nelle guerre contro il mobbing. Mi premeva molto fare un
lavoro su questo tema perché credo ne valga la pena continuare a metterci del proprio in
questa lotta in quanto trovo disarmante leggere la tristezza sui volti delle persone e il
fallimento che scaturisce dall‟essere una vittima di mobbing; tralasciando come
riportato in precedenza tutte le conseguenze che ne derivano e gli ambiti in cui si
ripercuotono.
Un particolare che ha colto la mia attenzione nelle varie ricerche effettuate è di come
l‟assistente sociale rimanga in una posizione marginale in questo contesto; dal mio
punto di vista sarebbe interessante inserire nelle varie fasi prese in considerazione, un
passaggio più specifico in cui includere la figura di questa professione.
Il mobbing come afferma Spaltro (1995), è una patologia relazionale, che deve essere
riconosciuta al fine di proporre adeguati progetti di intervento e per traghettare la nostra
società, che accetta e subisce il malessere lavorativo, verso una società del benessere
che offra speranze e promesse di progettualità, invece di minacce e paure.
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Bibliografia:
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Bertolucci; Comitato delle pari opportunità, Università degli studi di Firenze.
La documentazione.pdf, Digilander.libero.it/MTSC1/.
Lavoro perverso. A cura di Francesco Blasi e Claudio Petrella.
Il colloquio d‟aiuto, Teoria e pratica nel servizio sociale. Maria Teresa Zini, Stefania
Miodini.
www.intrage.it
www.proteo.ralbcub.it/article.php3?id_article=85
Mobbing: virus organizzativo; prevenire contrastare il fenomeno del mobbing e i
comportamenti negativi sul lavoro. Gabriele Giorgi e Vincenzo Majer.
Studio cataldi; www.studiocataldi.it/guide/_legali/il-mobbing/.
Venezia; www.comunedivenezia.it/flex/pages/ServeBlob.php/L/IT/IDPagine/17615.
Berdardini; www.unicam.it/ssolici/mobbing/berardini.pdf.
Unict; www.mobbing.unict.it/materialiformativi01.doc.
Proteo; www.proteo.ralbcub.it/article.php3?id_article=85.
Ospedali varese; www.ospedalivarese.nel/comitato-garanzia/DispenseEge.pdf.
Cesil; www.cesil.com/0300/mobit03.htm.
Centro donna lisa; www.centrodonnalisa.it/materiali/ilmobbingnelterziarioavanzato.pdf.
77
www.script-
pisa.it/rivista/script_riflessioni_14/precedenti_e_conseguenze_del_mobbing_come_feno
meno_psicosociale.php.
www.stateofmind.it/2014/10/mobbing-storiamarco.
Mobbing; www.chiarasangel5.net/pagine/mobbing17.
Unipegaso; www.unipegaso.it/materiali/postlaurea/Nigro/mobbing.pdf.
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RINGRAZIAMENTI
Il conseguimento di questo titolo, lo devo a tutti coloro che hanno sempre creduto in
me, dandomi la grinta necessaria per raggiungere questo traguardo.
Partirei con il dire grazie, alla docente Stefania Miodini, che mi ha dato la possibilità
di svolgere insieme a lei il mio lavoro di tesi, mostrandosi disponibile nonostante si
trovasse in delle condizioni fisiche non del tutto favorevoli.
Devo un forte e sentito grazie alla mia famiglia; loro che da sempre mi hanno dato
fiducia e mi hanno insegnato a non arrendermi mai. Nonostante la distanza che ci
divide sono sempre stati presenti e infondo vorrei ricordare che la mia laurea è anche
la loro. Mi reputo molto fortunata nell’avere persone così speciali per me, che ogni
giorno mi accompagnano e mi sostengono in quelle che sono le mie scelte di vita, oltre
all’essere sempre pronti a dimostrarmi tutto l’amore che ci unisce.
Inoltre ringrazio i miei amici, ognuno di loro nel suo piccolo con una parola, un
abbraccio o semplicemente con un sorriso, ha reso quest’avventura meravigliosa e
spero solo di essere riuscita a ricambiare in qualche modo quanto ricevuto. Vorrei
cogliere l’occasione per ricordare che, anche se le nostre strade si divideranno il mio
pensiero per loro ci sarà sempre. Al momento vedo questi anni come quelli più belli e
significativi della mia vita ed è proprio per questo che sarà difficile dimenticare chi ci
ha messo del proprio per renderli tali.
Infine, vorrei ringraziare in modo particolare la mia sorellina Marta; la mia
coinquilina Katia e la mia amica Michela.
A Marta che c’è sempre stata e a Katia e Michela, che anche se le conosco da poco, mi
hanno accompagnata in questo traguardo e sono riuscite a trasmettermi tanto supporto
e affetto.
Vi voglio bene, la vostra laureanda Tania.