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Giornalino quindicinale del Movimento Mariano della Beata Vergine
Pellegr ina n°5 del 2 Marzo 2013
Recitate il rosario tutti i giorni -Regina del Rosario - Fatima
Il Santo Rosario
Quel grande ed estroso apostolo di Roma, che fu S. Filippo Neri, portava al Rosario un affetto
pari al suo straripante amore alla Madonna. Per le vie di Roma, in chiesa, in cella, lo si vedeva
sempre con la corona del Rosario che scivolava corallo dietro corallo fra le dita. Se al Santo si
chiedeva una pratica religiosa da fare, rispondeva senza indugi: «Recitate devotamente il
Rosario e recitatelo spesso». S. Alfonso Rodriguez, umile fratello converso, era legatissimo alla
sua corona del Rosario; e tutta la sua devozione alla Madonna, sempre tenerissima, si
esprimeva nella recita così assidua del Rosario, che «gli si formarono dei calli ai polpastrelli del
pollice e dell'indice della mano destra». S. Martino de Porres, il prodigioso Santo mulatto, ogni
giorno recitava Rosari più che poteva. Il suo biografo ha potuto scrivere che l'umile Santo
domenicano «quando non maneggiava la scopa o la lama del barbiere o i ferri del cerusico, le
sue dita scorrevano di continuo lungo i grani del grosso Rosario che gli pendeva dalla cintura».
Del B. Placido Riccardi, monaco benedettino, è attestato che «la sua mano sgranava sempre la
corona del Rosario e nelle sue labbra sbocciava sempre la più affettuosa e prediletta preghiera
dell'Ave Maria». L'Abate Domenico Chautard, contemplativo e apostolo, nutriva una passione
senza pari per il Rosario «che recitava spessissimo e con fedeltà assoluta a qualsiasi ora,
nonostante la stanchezza di una fatica estenuante. La corona in viaggio era la sua compagnia, e
quando deponeva nel suo lavoro la penna riprendeva il Rosario...». Don Silvio Gallotti, questo
mirabile Sacerdote di Maria, si appassionò talmente al Rosario, che ottenne in premio di poterlo
recitare ininterrottamente senza fatica. Scrisse egli stesso: «La Madonna mi fa grazia di dirla
ormai senza interruzione questa bella preghiera, senza che mi abbia a stancare». Lo stesso si
poteva dire dei Servi di Dio Don Placido Baccher, P. Anselmo Treves, Don Dolindo Ruotolo,
instancabili rosarianti.
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-- P r e g h i a m o P r e g h i a m o -- Salmo 63
“Dall’alba io ti cerco… Nella notte non penso che a te…” sono espressioni che usano gli innamorati e che l’autore del salmo, innamorato del suo Dio, rivolge al Signore. Come l’assetato brama la sorgente d’acqua alla quale dissetarsi, come l’affamato desidera sedersi ad un banchetto, egli aspira all’incontro con Dio. Immagina di essere un uccellino che si accoccola sotto le sue ali, sogna come l’innamorata il momento in cui l’amato la attira a sé per stringerla in un dolce abbraccio. Quando le luci dell’aurora lentamente dischiudono le corolle dei fiori e i nostri occhi, a chi rivolgiamo il nostro pensiero? Gli innamorati rimangono ore a parlarsi, Gesù si alzava al mattino quand’era ancora buio, si ritirava in un luogo solitario e là dialogava con il Padre; noi forse passiamo l’intera giornata senza ricordarci del Signore. I nostri interessi e attenzioni sono rivolti a i beni terreni, i pensieri sono assorbiti dai problemi della vita. Questo salmo ci aiuta a recuperare la libertà di amare, ci insegna a dare il giusto valore alle realtà di questo mondo e ci ricorda che siamo tanto più uomini quanto più solleviamo lo sguardo verso il cielo.
Più della vita cerco il tuo amore O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne
come terra deserta arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani. Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca. Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia
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e la forza della tua destra mi sostiene.
- Fatima - Memorie di Suor Lucia
1. Cos’è il segreto?
Cos’è il segreto. Mi pare di poterlo dire, perché dal Cielo ne ho già il permesso. I rappresentanti
di Dio in terra mi hanno pure autorizzata, varie volte e in varie lettere, una delle quali credo sia
conservata da S. Ecc. Rev.ma, quella di padre Giuseppe Bernardo Gonçalves, nella quale mi
ordina di scrivere al Santo Padre. Uno dei punti che mi indica, è la rivelazione del segreto.
Qualcosa ho detto, ma per non allungare troppo quello scritto, che doveva essere breve, mi
limitai all’indispensabile lasciando a Dio l’opportunità di un momento più favorevole. Ho già
esposto nel secondo scritto, il dubbio che mi tormentò dal 13 giugno al 13 luglio, e che in
queste apparizione svanì. Bene. Il segreto consta di tre cose distinte, due delle quali sto per
rivelare. (Si noti che si tratta di un unico segreto in tre parti. Qui Lucia descrive le prime due.
La terza, scritta il 3 gennaio 1944, è stata pubblicata il 26 giugno 2000) La prima, dunque, fu
la visione dell’inferno.
I consigli di don Camillo Quelle ombre nel nostro cielo
“Nel nostro cielo di uomini all’antica, non navigano ufo e satelliti, ma le ombre
dei nostri Morti”
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Speso € 20 per acquisto carta
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- I l C a t e c h i s m oI l C a t e c h i s m o – Parte I
«CREDO » ossia PRINCIPALI VERITÀ DELLA FEDE CRISTIANA
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CAPO V Venuta di Gesù Cristo alla fine del mondo. I due giudizi, particolare e universale
95. Gesù Cristo tornerà mai più visibilmente su questa terra?Gesù Cristo tornerà visibilmente su questa terra alla fine del mondo per giudicare i vivi e i morti, ossia tutti gli uomini, buoni e cattivi.
96. Gesù Cristo per giudicarci aspetterà sino alla fine del mondo? Gesù Cristo per giudicarci non aspetterà sino alla fine del mondo, ma giudicherà ciascuno subito dopo la morte.
97. Ci sono due giudizi? Ci sono due giudizi: l'uno particolare, di ciascuna anima, subito dopo morte; l'altro universale, di tutti gli uomini, alla fine del mondo.
98. Di che cosa ci giudicherà Gesù Cristo? Gesù Cristo ci giudicherà del bene e dei male operato in vita, anche dei pensieri e delle omissioni.
99. Dopo il giudizio particolare, che avviene dell'anima? Dopo il giudizio particolare, l'anima, se è senza peccato e senza debito di pena, va in paradiso; se ha qualche peccato veniale o qualche debito di pena, va in purgatorio finchè abbia soddisfatto; se è in peccato mortale, qual ribelle inconvertibile a Dio va all'inferno.
100. I bambini morti senza Battesimo dove vanno? I bambini morti senza Battesimo vanno al Limbo, dove non è premio soprannaturale nè pena; perchè, avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il paradiso, ma neppure l'inferno e il purgatorio.
101. Che cos'è il purgatorio? Il purgatorio è il patimento temporaneo della privazione di Dio, e di altre pene che tolgono dall'anima ogni resto di peccato per renderla degna di veder Dio.
102. Possiamo noi soccorrere e anche liberare le animo. dalle pene del purgatorio? Possiamo soccorrere e anche liberare le anime dalle pene del purgatorio con i suffragi, ossia con preghiere, indulgenze, elemosine e altre opere buone, e sopra tutto con la santa Messa.
103. È certo che esistono il paradiso e l'inferno? E' certo che esistono il paradiso e l'inferno: lo ha rivelato Dio; spesse volte promettendo ai buoni l'eterna vita, e il suo stesso gaudio, e minacciando ai cattivi la perdizione e il fuoco eterno.
104. Quanto dureranno il paradiso e l'inferno? Il paradiso e l'inferno dureranno eternamente.
Medjugorje
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INIZIO DELLE APPARIZIONI
Sabato 27 giugno 1981: quarto giorno
All’inizio delle apparizioni il parroco Padre Jozo non era in parrocchia. Dopo oltre un mese di
assenza, sabato 27 giugno era di ritorno. Ma sentiamo dalla sua viva voce: “Sono venuto a
conoscenza dei fatti al mio arrivo a Mostar, di ritorno da Zagabria, dove mi ero recato per gli
esercizi spirituali. La notizia mi fu data davanti all’ospedale, dove era ricoverata mia madre.
All’ingresso dell’ospedale vidi un ambulanza di Citluk; in essa riconobbi una mia
parrocchiana, Draga Ivankovic. Era tutta fasciata, mani e piedi con bende bianche. Mi
impressionai e le chiesi cosa fosse successo. Essa gridò, chiedendo dove stesse il cappellano,
padre Zrinko. Pensai che ci fosse stato uno scontro con lui, un qualche incidente. Ma ella
proseguì: ‘Da noi appare la Madonna e lui non c’è e non vuol venire’. Io rimasi sbalordito e
non mi rendevo conto di ciò che dicesse la signora. Arrivato a casa, trovai un frate che, dopo il
mio trasferimento a Medjgorje, mi era succeduto nella parrocchia di Posusje. Davanti alla
casa parrocchiale incontrammo le suore e incominciammo a parlare del fatto. Vedendo molte
auto e molta folla, mi chiedevo cosa stesse succedendo. In canonica mi dissero che la Gospa
era apparsa per tre giorni di fila ad alcuni giovani. Mi chiesi allora: ‘E se fosse un colpo dei
comunisti per screditare la Chiesa?’ e chiamai subito i veggenti per interrogarli. Nel
pomeriggio due auto della polizia arrivano a Bijakovici, caricano i sei giovani e li portano a
Citluk (sede del comune) per un lungo interrogatorio. Subito dopo vengono condotti in un
piccolo centro ospedaliero e sottoposti ad alcuni esami medico-psichiatrici. Il dottor Ante
Vujevic li dichiara perfettamente sani di mente. Alle diciotto i sei giovani vengono rimessi in
libertà. In gran fretta fermano un auto pubblica che li conduce verso casa e poco dopo sono ai
piedi della collina. C’è molta confusione. Qualcuno pensa addirittura di separare i ragazzi per
vedere se si orientano nel cercare il posto, quando Marija, che è con il piccolo Jakov,
improvvisamente ha l’apparizione. Corrono subito verso l’alto. I veggenti tranne Ivan (era
rimasto a Citluk con un cugino; rientrato a casa, aveva raccontato ai genitori tutto quello che
gli era successo, e loro gli avevano raccomandato di non andare al Podbrdo. In ogni caso egli
ebbe la sua apparizione, e l’invito della Madonna ad essere sereno e coraggioso), sono tutti lì,
davanti alla donna vestita di luce, vicinissima, sopra una nuvola. La folla si stringe intorno.
Nella folla vi sono anche due frati francescani, Victor e Zrinko, in abiti borghesi..
“Attenzione!”gridano i veggenti, “qualcuno ha camminato sul velo della Gospa!” Frattanto
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l’immagine scompare. Dopo un istante di preghiera riappare di nuovo, per scomparire quando
riprende la confusione. Pare che quel giorno la Madonna sia apparsa per tre volte. Qualcuno
allora organizza un cordone di protezione. Torna la calma e con essa la Gospa. Il piccolo Jakov
pone una domanda che i due frati gli avevano suggerito. “Che cosa ti aspetti dai nostri Padri
Francescani?” Ella risponde: “Che perseverino nella fede e proteggano la fede degli altri”. E
di nuovo: “Lasciaci un segno” chiedono Jakov e Mirjana, “perché non ci dicano che siamo
bugiardi o drogati”. “Angeli miei, non abbiate paura dell’ingiustizia, è sempre esistita!”, è la
sua risposta. L’apparizione rimane a lungo. I veggenti dunque in questo giorno sono solo
cinque: Ivan, sale sulla collina soltanto dopo e anche lui ha, come è stato già detto,
l’apparizione.
Perle di spirito Dio tassista
Dio tassista, senza apostrofo, è una bestemmia?
P. MARIO GUERRA missionario saveriano
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Ho appena aperto la mia posta elettronica e trovo come messaggio fotocopia del giornalino parrocchiale (Testata d’angolo). Grazie per avermelo mandato ! La notizia che più mi ha entusiasmato è stato il «programma di attività settimanali». Straordinario !! Dio benedica don Carlo e ce lo conservi a lungo. Queste notizie sono state un alimento che mi ha riempito lo Spirito e di cui ero stato privato per molto tempo . Grazie al Signore. Vedo che lo «Spirito» soffia con vigore nella comunità di Campagnola ! Anch’essa è nella lista delle mie offerte di sofferenze e preghiere giornaliere. Vi mando la solita grande benedizione.
P.Mario sx
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Una domenica come tante altre
Tratto dal “Diario di un missionario saveriano” - UNA LUNGA NOTTE IN SIERRA LEONE -
P.M.Guerra
E’ una domenica come tante altre – 15 novembre 1998 – con una differenza: c’è un po’ di
tensione perché i “ribelli” stanno scendendo dal Nord in massa, diretti alla capitale per
conquistare il potere. Questo è il gruppo chiamato “Armata della giungla del Nord”. Non
sappiamo nulla di preciso sulla sua composizione. La radio governativa, unica fonte
d’informazioni, lo descrive come un gruppetto sparuto, armato per lo più con bastoni e
“machete”, male addestrato, che le truppe ECOMOG (truppe mandate dall’ONU - la NATO dei Paesi
Africani – in maggioranza nigeriani), che sostengono il governo del presidente Tejan Kabba,
elimineranno in poco tempo. Però hanno fatto scorribande micidiali nella nostra area, bruciando
case, massacrando e deportando gli abitanti. Sui muri delle case hanno lasciato messaggi. –
Siamo la Giunta Militare, Inizio dell’operazione “Non risparmiare anima viva”. Kamalo, dove
io risiedo, ha subito questa sorte il 6 settembre 98. ora la vita ha ripreso su scala ridotta. E’ da
una settimana che i ribelli scorrazzano in periferia della mia parrocchia, a 30 Km di distanza sui
monti Loko, ma pare chela presenza delle truppe ECOMOG, di stanza a Kamakwie, (10 Km da
Kamalo) riesca a tenerli alla larga. Sono informato, però, delle loro atrocità: danno la caccia alla
gente come selvaggina. Hanno ucciso il catechista della zona ed hanno catturato molta gente.
Altro motivo di apprensione è che fino a due mesi fa la gente dei villaggi toccati dai ribelli
correva ad avvertire le autorità tribali a Kamalo. Ora ha perso ogni fiducia e corre solo a
nascondersi nella foresta. Ciascuno per sé. Celebro la Messa a Kamalo, poi con il camioncino
fuoristrada della missione vado per la seconda Messa a Kamakwie, dove ho una grossa
comunità di fedeli. Dopo la Messa mi fermo a chiacchierare con il comandante ECOMOG
nigeriano, maggiore Ladino, sulla situazione presente nell’area. Lo informo del programma dei
ribelli, scritto sui muri, di essere in marcia verso la capitale per conquistare il potere. Mi
risponde con un sorriso confidente: “Vengano pure, li aspettiamo!”
Poi pensando alle stragi che ho visto in zona, mi prende una grande tristezza. Da qui alla
capitale nessuno difenderà la povera gente. Il governo e i ribelli sono due gruppi che si
ignorano completamente. Non si parlano. Cercano solo di distruggersi a vicenda. Se qualcuno
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potesse fare da staffetta per avviare un dialogo… io sarei disposto: per la pace sono disposto a
tutto. Lo dico al maggiore: “Se qualche ribelle prigioniero dice che cercano un intermediario,
me lo faccia sapere.” Il maggiore si mostra interessato alla proposta e promette. Povero illuso!
Non conoscevo la natura dei ribelli! Sento un brivido ed ho una chiara sensazione che Dio ha
accettato la mia offerta. Poi mi avvio al mio camioncino per tornare a Kamalo. Il maggiore mi
segue con un avviso. “Padre, abbiamo preso ieri un ribelle. Dice che stanno cercando te. Stai
attento!” Anch’io, come la gente, ho perso ogni fiducia nelle difese umane e rispondo al
Maggiore: “Sono nelle mani di Dio. Faccia Lui quello che vuole!” e parto…
-- i l V a n g e l o i l V a n g e l o ––
LE NOZZE DI CANALE NOZZE DI CANA
Nella pianura di Genezareth chiusa tra il lago omonimo e le montagne, vi erano molte città,
grandi e piccole, dove Gesù predicava e compiva miracoli senza allontanarsi troppo da
Cafarnao. Nell’interno ad una certa distanza dal lago, si trovava Cana (oggi Kefr Kenna), a
metà strada tra Tiberiade e Nazareth. Nel villaggio di Cana è collocato uno dei più strabilianti
prodigi di Gesù. Si tratta del cambiamento dell’acqua in vino durante una festa nuziale.
Lascia un po’ perplessi il fatto che Gesù sia rappresentato dall’evangelista in una compagnia
godereccia di invitati che mangiano e bevono e faccia un miracolo per la loro ingordigia. In
realtà il mutamento dell’acqua in vino ha un significato profondo: simboleggia l’abbondanza
dei doni che riceveranno coloro che ascoltano le parole di Gesù. A questo significato si
allude esagerando in modo inverosimile la quantità di acqua cambiata in vino: dai
cinquecento ai settecento litri contenuti nei recipienti di pietra utilizzati dagli ebrei per i riti di
purificazione. (Gv 2, 1-12)
-Meditiamo- I l vino nuovo della vera gioia
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E' scritto che il Signore è andato ad un matrimonio a cui era stato invitato. Il Figlio di Dio è
dunque andato a queste nozze per santificare con la sua presenza il matrimonio che aveva già
istituito. E' andato a delle nozze della legge antica per scegliersi nel popolo pagano una sposa
che sarebbe rimasta vergine per sempre. Lui che non è nato da un matrimonio umano è andato
alle nozze. C'è andato non per prendere parte ad un banchetto festoso, ma per rivelarsi con un
prodigio veramente mirabile. C'è andato non per bere vino, ma per donarlo. Infatti, quando gli
invitati erano privi di vino, la beata Maria gli ha detto: “Non hanno più vino”. Gesù,
apparentemente contrariato, le ha risposto: “Che ho da fare con te, o donna?".... Con la
risposta “Non è ancora venuta la mia ora” annunciava certamente l'ora gloriosa della Passione,
ovvero il vino versato per la salvezza e la vita di tutti. Maria chiedeva un favore temporale,
mentre Cristo preparava una gioia eterna. Eppure il Signore così buono non ha esitato ad
accordare piccole cose, in attesa delle grandi. La beata Maria, che era veramente la madre dl
Signore, vedeva col pensiero ciò che sarebbe avvenuto e conosceva in anticipo la volontà del
Signore. Perciò si è premurata di chiamare i servi dicendo: “Fate quello che vi dirà”. La sua
santa madre sapeva sicuramente che le parole di rimprovero del figlio e Signore non
nascondevano il risentimento di un uomo arrabbiato, ma contenevano un mistero di
compassione... Ed ecco che all'improvviso quell'acqua ha cominciato a ricevere forza, a
prendere colore, a spandere buon odore, ad acquistare gusto, e nello stesso tempo a cambiare
completamente la sua natura. E la trasformazione dell'acqua in altra sostanza ha manifestato la
presenza del Creatore, poiché nessuno, tranne colui che ha creato l'acqua dal nulla, può
trasformarla in altra cosa.
San Massimo di Torino ( ? - circa 420), vescovo
di Riccardo Cascioli
«Benedetto XVI ha una grande devozione per Maria e una particolare predilezione per Lourdes,
per la chiarezza cristallina di quella apparizione. Non può dunque essere un caso che abbia
scelto l’11 febbraio come giorno per annunciare la sua rinuncia al papato». Vittorio Messori, lo
scrittore italiano più tradotto nel mondo, a Lourdes e alle apparizioni della Madonna a
Bernadette ha dedicato molti anni di studi approfonditi, che hanno trovato una prima sintesi in
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“Bernadette non ci ha ingannati”, un libro uscito di recente per la Mondadori. E conosce molto
bene Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, un’amicizia nata in occasione del libro-intervista
all’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Le circostanze che hanno
accompagnato l’uscita di quel libro, “Rapporto sulla Fede”, nel 1985, hanno certamente
contribuito a saldare un rapporto: «Eravamo ancora in piena contestazione ecclesiale – ricorda
Messori - e allora non era affatto facile nella Chiesa dirsi “Ratzingeriano”: su di lui girava una
leggenda nera, era definito l’«oscuro» prefetto del Sant’Uffizio, il persecutore, il
panzerkardinal e via dicendo. Io dovetti addirittura nascondermi, sparire per oltre un mese, mi
ritirai in montagna perché i preti del dialogo, i preti ecumenici, quelli della tolleranza volevano
farmi letteralmente la pelle: lettere anonime, telefonate notturne. La mia colpa era non solo
avere dato voce al nazikardinal, ma addirittura avergli dato ragione». Così la frequentazione si
fece assidua, «spesso ci capitava di andare in trattoria assieme», e tante volte hanno parlato di
Lourdes con cui condividevano una curiosa circostanza: Messori e Ratzinger sono infatti
entrambi nati il 16 aprile, il giorno del dies natalis di Bernadette. Dunque, Messori, la scelta
dell’11 febbraio non è affatto casuale. Direi proprio di no. Il perché abbia scelto questa data è
la prima domanda che mi sono posto, e mi è sembrato si sia rifatto al suo «amato e venerato
predecessore», come ha sempre chiamato Giovanni Paolo II: l’11 febbraio dai tempi di Leone
XIII è entrato nel calendario universale della Chiesa come festa della Nostra Signora di
Lourdes, e dato il legame che questo santuario ha con il male fisico, Giovanni Paolo II l’ha
dichiarata Giornata mondiale del malato. Benedetto XVI intendeva parlare dunque della sua
malattia. Malattia? Il portavoce vaticano padre Lombardi ha escluso che motivo della
rinuncia sia una malattia. “Senectus ipsa est morbus”, dicevano i latini: la vecchiaia stessa è
una malattia. A 86 anni, anche se formalmente non sei malato, c’è un’infermità legata all’età. Il
papa si sente malato perché molto anziano, allora io credo che lui abbia scelto proprio quel
giorno per riconoscersi malato tra i malati. E anche per fare un omaggio e una sorta di
invocazione alla Madonna: non soltanto la Madonna di Lourdes ma la Madonna in quanto tale.
Il Papa ha parlato diverse volte anche di Fatima, ma con Lourdes forse sente un rapporto
particolare. Di Lourdes abbiamo parlato spesso in 25 anni, e sicuramente ha approfittato
dell’occasione dei 150 anni delle apparizioni per recarsi lì in visita (settembre 2008, n.d.r.). Per
dare un’idea di cosa suscitasse in lui Lourdes, basti pensare che in quel giorno e mezzo che è
stato lì erano previsti 3 suoi grandi discorsi. Ebbene, in realtà il Papa ha parlato ben 15 volte,
quasi sempre a braccio e molto spesso si è commosso. E sempre richiamando una grande
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devozione a Maria, e alla figura di Bernadette. A parlare di Fatima in qualche modo vi è stato
trascinato da circostanze quali l’attentato al Papa, però ho l’impressione che istintivamente la
sua preferenza vada alla chiarezza cristallina di Lourdes piuttosto che al nodo molto complesso
che è Fatima. Considera Fatima fin troppo complessa, ama la chiarezza cristallina di Lourdes: lì
non ci sono segreti, tutto è chiaro. Molti commentatori hanno interpretato la rinuncia di
Ratzinger come una sorta di resa davanti alle difficoltà Ci sono delle apparenti rese che in
realtà sono un segno di forza, di umiltà. La libertà cattolica è molto più grande di quanto non si
pensi. Ci sono temperamenti diversi, storie diverse, carismi diversi e vanno tutti quanti rispettati
perché fanno parte della sacrosanta libertà del credente. In Giovanni Paolo II prevaleva il lato
mistico, era un mistico orientale. Mentre in Ratzinger prevale la razionalità dell’occidentale,
dell’uomo moderno. Per cui ci sono due possibili scelte: quella mistica, quella di papa Wojtyla,
che tiene duro e resiste fino alla fine; oppure la scelta della ragione, come Ratzinger:
riconoscere che non si hanno più le energie fisiche e che la Chiesa ha invece bisogno di una
guida con grandi energie. Per cui per il bene della Chiesa è meglio che lasci. Entrambe le scelte
sono evangeliche. Papa Ratzinger ha sempre colpito per la sua grande umiltà. E infatti la
scelta di Ratzinger è segnata da una grande umiltà, una virtù che in lui è sempre stata evidente.
Mi ricordo ancora un episodio di quel lontano 1985 che mi aveva particolarmente
impressionato: dopo 3 giorni interi di colloquio in vista di “Rapporto sulla Fede”, prima di
congedarci io gli dissi: “Eminenza, con tutto quello che lei mi ha raccontato della situazione
nella Chiesa (ripeto, erano anni ancora di contestazione) mi permetta una domanda: ma lei la
notte riesce a dormire bene?” Lui, con quella faccia da eterno ragazzo, e con gli occhi sgranati
mi risponde: “Io dormo benissimo, perché sono consapevole che la Chiesa non è nostra, è di
Cristo, noi siamo solo servi inutili: io alla sera faccio l’esame di coscienza, se constato che
durante la giornata ho fatto con buona volontà tutto quello che potevo, io dormo tranquillo”.
Ecco, Ratzinger ha assolutamente chiaro che noi non siamo chiamati a salvare la Chiesa, ma a
servirla, e se non ce la fai più la servi in un altro modo, ti metti in ginocchio e preghi. La
salvezza è una questione di Cristo. Allora queste dimissioni mi sono sembrate in questa linea,
nel senso di non prendersi troppo sul serio. Fai fino in fondo il tuo dovere e quando ti rendi
conto che non riesci più, che le forze non ti assistono più, allora ti ricordi che la Chiesa non è
tua e passi la mano e vai a fare il lavoro per la Chiesa che nella prospettiva di fede è il
maggiore, il più prezioso: il lavoro del pregare e il lavoro dell’offrire a Cristo la tua sofferenza.
La vedo come un atto di grande umiltà, di consapevolezza che tocca a Cristo salvare la Chiesa,
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non siamo noi poveri uomini a salvarla, anche se sei Papa. Sabato scorso parlando ai
seminaristi del Seminario romano ha detto che anche quando pensi che la Chiesa stia per
finire, in realtà si rinnova sempre. Quale rinnovamento ha portato il pontificato di
Benedetto XVI? Si dimentica spesso che lui all’inizio del pontificato disse: il mio programma è
di non avere programmi. Nel senso di rimettersi agli eventi che la Provvidenza gli metteva
davanti. Il grande disegno strategico, in fondo, consisteva in questo, semplicemente
confermare le pecorelle nella fede. In questo ho sempre sentito una grande sintonia con lui, è
sempre stato un Papa convinto della necessità di rilanciare l’apologetica, di ritrovare le ragioni
della fede. Anche lui era convinto, come me, che tanti cosiddetti gravi problemi della Chiesa in
realtà sono secondari: i problemi dell’istituzione, i problemi ecclesiali, l’amministrazione, gli
stessi problemi morali e liturgici, sono certo molto importanti; ma attorno ad essi c’è una rissa
clericale che però – lo ha detto lui stesso nel documento di indizione dell’Anno della Fede - dà
per scontata la fede, cosa che in effetti non è. Cosa ci mettiamo a fare rissa tra di noi su come
organizzare meglio i dicasteri vaticani, e anche sui principi non negoziabili, che cosa ci
mettiamo a fare risse e magari organizzare difese se non crediamo più che il Vangelo è vero?
Se non crediamo più nella divinità di Gesù Cristo tutto il resto diventa un parlare a vuoto. E
infatti non a caso, l’ultimo suo grande atto è stato indire l’Anno della Fede: ma della fede intesa
nel senso apologetico, cercare di dimostrare che il cristiano non è un cretino, tentare di
dimostrare che noi non crediamo nelle favole, cercare di dimostrare quali sono le ragioni per
credere. Le sue grandi linee strategiche sono consistite solo in questo: riconfermare le ragioni
per scommettere sulla verità del Vangelo. Tutto il resto va affrontato giorno per giorno. E
questo l’ha fatto, l’ha fatto al meglio. Allora è giusto dire che l’Anno della Fede è la sua
vera eredità. Sì, l’Anno della Fede è la sua eredità, questa è l’eredità che dobbiamo prendere
sul serio. Nella Chiesa, nella prospettiva del futuro, l’apologetica deve avere un ruolo centrale,
perché se non è vera la base tutto il resto è assurdo. Benedetto XVI ci lascia la consapevolezza
che dobbiamo riscoprire le ragioni per credere. Se parliamo di eredità pensiamo subito a chi
potrà raccoglierla. Non per unirci al totopapa che impazza ovunque, ma certo nasce la
domanda su chi condivide questa priorità. Non dobbiamo rubare allo Spirito Santo il suo
mestiere. Le previsioni dei cosiddetti esperti, quando si tratta di Conclave, sono fatte per essere
smentite. Di solito non ci azzeccano mai. L’impressione è che lo Spirito Santo si diverta a
prenderci in giro: i grandi tromboni, i grandi esperti, i grandi vaticanisti danno per sicuro questo
o quello e poi è eletto un altro. Ricordo il 1978, lavoravo alla Stampa, ero in redazione quando
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hanno eletto papa Luciani: all’annuncio grande panico, perché i grandi vaticanisti che avevamo
ci avevano detto di tenere pronte certe biografie, perché il Papa sarebbe certamente uscito da
quel mazzo di papabili, e invece niente: quando è stato eletto Luciani ci siamo accorti che
l’archivio della Stampa non aveva neanche una sua foto. La stessa storia si è ripetuta due mesi
dopo con Wojtyla: tutti avevano previsto quello e quell’altro, e invece all’annuncio ancora
panico: di lui non sapevamo neanche come si scriveva. Pensando a questi anni di pontificato,
certo lascia pensare il fatto che non sia stato “fortunato” nella scelta dei collaboratori, che
lo hanno messo spesso in grandi difficoltà. Ratzinger per un quarto di secolo è stato prefetto
alla Congregazione per la Dottrina della Fede, però ha sempre vissuto appartato, ho sempre
avuto l’impressione che fosse un po’ isolato rispetto alla Curia. Lui aveva un legame fortissimo
con Wojtyla, funzionava in tandem con lui: non c’è alcuna decisione teologica che Wojtyla
abbia preso in cui non abbia prima sentito il parere di Ratzinger. Ma ho sempre avuto
l’impressione che fosse, anche per sua scelta, estraneo alla Curia, ai suoi giri, ai suoi giochi, ai
suoi schieramenti. E credo che una volta eletto Papa con sua sorpresa in fondo non avesse
sufficiente conoscenza dei meccanismi, delle persone. Poi alcune scelte erano in qualche modo
obbligate, ma sicuramente non era abbastanza al corrente di come stessero le cose. Si dice
che la Curia non l’abbia mai amato. Certamente la Curia non l’ha mai amato. Wojtyla aveva
scelto di fare un pontificato itinerante e in questo modo ha lasciato che la Curia andasse avanti
da sola; così la Curia ha preso il sopravvento, per cui tutto sommato quei vecchi volponi dei
dicasteri con Wojtyla si trovavano bene, il papa era distante, non si occupava degli affari
quotidiani. Ratzinger invece ha viaggiato poco, voleva sapere, voleva mettere il naso; siccome
sapeva poco della Curia, ha cominciato a informarsi e ha cominciato a fare, pur con la sua
delicatezza, spostamenti, arretramenti, avanzamenti. E questo non è stato gradito, per cui anche
da Papa ha continuato a essere piuttosto isolato.
Festeggiano il loro onomastico: il giorno 3 Marzo Egle Lusetti e il giorno 5 Adriana Ghizzoni-Pignagnoli . Formulando i nostri più sentiti auguri rivolgiamo alla Madonna una
preghiera a favore delle loro necessità e per le loro famiglie
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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II AGLI ANZIANI
Onora il pare e la madre
12. “ Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio ” (Lv 19, 32).
Onorare gli anziani comporta un triplice dovere verso di loro: l'accoglienza, l'assistenza, la
valorizzazione delle loro qualità. In molti ambienti ciò avviene quasi spontaneamente, come per
antica consuetudine. Altrove, specialmente nelle nazioni economicamente più progredite,
s'impone una doverosa inversione di tendenza, per far sì che coloro che avanzano negli anni
possano invecchiare con dignità, senza dover temere di essere ridotti a non contare più nulla.
Occorre convincersi che è proprio di una civiltà pienamente umana rispettare e amare gli
anziani, perché essi si sentano, nonostante l'affievolirsi delle forze, parte viva della società.
Osservava già Cicerone che “ il peso dell'età è più lieve per chi si sente rispettato ed amato dai
giovani ”. Lo spirito umano, del resto, pur partecipando all'invecchiamento del corpo, rimane in
un certo senso sempre giovane, se vive rivolto verso l'eterno, e di questa perenne giovinezza fa
più viva esperienza, quando all'interiore testimonianza della buona coscienza, si unisce l'affetto
premuroso e grato delle persone care. L'uomo, allora, come scrive san Gregorio di Nazianzo, “
non invecchierà nello spirito: accetterà la dissoluzione come il momento stabilito per la
necessaria libertà. Dolcemente trasmigrerà nell'aldilà dove nessuno è immaturo o vecchio, ma
tutti sono perfetti nell'età spirituale ”. Tutti conosciamo esempi eloquenti di anziani con una
sorprendente giovinezza e vigoria dello spirito. Per chi li avvicina, essi sono di stimolo con le
loro parole e di conforto con l'esempio. Possa la società valorizzare appieno gli anziani, che in
alcune regioni del mondo - penso in particolare all'Africa - sono stimati giustamente come “
biblioteche viventi ” di saggezza, custodi di un patrimonio inestimabile di testimonianze umane e
spirituali. Se è vero che sul piano fisico hanno in genere bisogno di aiuto, è altrettanto vero che,
nella loro età avanzata, possono offrire sostegno ai passi dei giovani che si affacciano
all'orizzonte dell'esistenza per saggiarne i percorsi. Mentre parlo degli anziani, non posso non
rivolgermi anche ai giovani per invitarli a stare loro accanto. Vi esorto, cari giovani, a farlo con
amore e generosità. Gli anziani possono darvi molto di più di quanto possiate immaginare. Il
Libro del Siracide in proposito ammonisce: “ Non trascurare i discorsi dei vecchi, perché
anch'essi hanno imparato dai loro padri ”; “ Frequenta le riunioni degli anziani; qualcuno è
saggio? Unisciti a lui ”; perché agli anziani “ si addice la sapienza ”.
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La bicicletta – seconda parte…
Don Camillo non aveva mai commerciato, in vita sua. A meno che non si voglia chiamare
commercio il comprare un chilo di manzo o due sigari toscani e relativa scatola di fulminanti,
come li chiamano alla Bassa, e sarebbero poi quei vigliacchi di zolfanelli che si accendono bene
soltanto a sfregarli sul fondo dei pantaloni o sotto la suola delle scarpe. Don Camillo non aveva
mai commerciato, però il commercio gli piaceva come spettacolo e così, quando si apriva
l’aria, il sabato montava sulla bicicletta e andava alla Villa a vedere il mercato. Lo interessavano
molto il bestiame, le macchine agricole, i fertilizzanti e gli anticrittogamici e, quando aveva
l’occasione di comprare quella cartocciata di zolfo o di solfato di rame da dare alle quattro viti
che aveva dietro la canonica, era tutto contento e si sentiva agricoltore come Bidazzi che era
padrone di seicento biolche di terra. E poi al mercato c’erano le bancarelle e i divertimenti e
quell’aria di festa e di abbondanza che tira su il morale. Anche quel sabato don Camillo
approfittò della bella giornata e, montato sulla sua vecchia bicicletta, macinò allegramente quei
dodici chilometri per arrivare alla Villa. Il mercato era formidabile con tanta gente che non s’era
mai vista e don Camillo se la sguazzava più che se fosse stato alla Fiera di Milano. Poi, alle
undici e mezzo, andò a ritirare la bicicletta da deposito e, tirandosela dietro per il manubrio in
mezzo alla confusione, si avviò verso la stradetta, dopo la quale si sarebbe trovato davanti la
libera campagna. Qui però il demonio ci mise la sua lurida coda perché don Camillo, passando
davanti a una bottega, si ricordò di dover comprare non so quale cianfrusaglia e così, poggiata
la bicicletta contro il muro, entrò e, quando uscì, la bicicletta non c’era più. Don Camillo era
una spropositata macchina di ossa e di muscoli e dalle piante dei piedi alla cima della testa era
alto come un uomo normale su uno sgabello, mentre dalla testa ai piedi era alto almeno una
spanna di più: il che significa che, mentre gli altri lo vedevano in un certo modo, lui si vedeva in
alto perché il coraggio di don Camillo era alto appunto una spanna di più della sua statura. E
anche se gli spalancavano davanti uno schioppo non perdeva un filo di pressione. Ma quando
inciampava in un sasso o gli facevano un tiro da birichino si smontava e gli venivano le lacrime
agli occhi per l’umiliazione. Non fece nessun can can. Si limitò a domandare con indifferenza a
un vecchietto che era fermo lì davanti se avesse visto uno con una bicicletta da donna con la
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reticella verde. E siccome quello rispose che non si ricordava di averlo visto, si toccò il
cappello e se ne andò. Passò davanti alla stazione dei carabinieri ma non pensò neppure di
entrare: il fatto che a un povero prete con venticinque lire in tasca avessero rubata la bicicletta
era di carattere morale, soprattutto, quindi roba che non doveva essere immischiata nei normali
affari della vita. Sono i ricchi quelli che, appena derubati, vanno a denunciare il furto: perché
per loro è un semplice affare di quattrini, mentre per il povero il patire un furto è un offesa:
come se, a uno che ha una gamba sola, un porco maledetto desse di proposito uno spintone, o
gli spaccasse la stampella. Don Camillo si tirò il cappello sugli occhi e si incamminò verso
casa. Quando sentiva alle spalle sopraggiungere un biroccio, usciva dalla strada e si
nascondeva per paura che gli offrissero di salire. Voleva camminare a piedi, non gli andava di
parlare con nessuno. E soprattutto voleva macinare a piedi i dodici chilometri quasi per
aggravare la colpa di chi gli aveva fatto quel torto infame, per il gusto di sentirsi più offeso
ancora. Camminò per un ora senza fermarsi, solo come un cane nella strada piena di sole e di
polvere e aveva il cuore pieno di pena per quel disgraziato don Camillo al quale gli pensava
come se si trattasse di un altro. Camminò un ora intera senza fermarsi e la strada era deserta.
Arrivato all’imbocco di una stradetta secondaria, si fermò per sedersi sulla spalletta del piccolo
ponte di mattoni e, contro la spalletta del ponte, era appoggiata la sua bicicletta. Ed era proprio
la sua, la conosceva pezzo per pezzo, non c’era da sbagliare. Si guardò attorno e non vide
nessuno. Toccò la bicicletta: con la nocca del dito batté sul manubrio ed era proprio di ferro,
non un illusione. Si guardò ancora attorno. Non un anima viva. La casa più vicina era almeno a
un chilometro. Le siepi ancora nude, pelate. Si affacciò alla spalletta del ponte e c’era un uomo
seduto nel fosso asciutto. L’uomo guardò in su e mosse la testa come per dire: “Ebbene?”. –
“Questa bicicletta è mia” balbettò don Camillo. – “Quale bicicletta?” – “Questa qui appoggiata
alla spalletta del ponte.” – “Bene,” osservò l’uomo. “Se alla spalletta del ponte è appoggiata una
bicicletta e se la bicicletta è vostra, cosa c’entro io?” Don Camillo rimase perplesso.
“Domandavo,” spiegò. “Non volevo sbagliare.” – “Siete sicuro che è vostra?” – “Altrochè! Me
l’hanno portata via un’ora fa alla Villa, mentre entravo in una bottega. Non capisco come si
trovi qui.” L’uomo rise. “Si vede che si è stufata di aspettarvi e allora è andata avanti.” Don
Camillo allargò le braccia. “Voi come prete siete capace di mantenere un segreto?” si informò
l’uomo. “Certamente.” – “Be’, allora vi dirò che la bicicletta è lì perché ce l’ho portata io.” Don
Camillo spalancò gli occhi. “L’avete trovata da qualche parte?” – “Sì, l’ho trovata davanti alla
bottega nella quale eravate entrato. E allora l’ho presa su.” Don Camillo rimase in forse un
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poco. “E’ stato uno scherzo?” – “Non diciamo stupidaggini!” protestò offeso l’uomo.
“Figuratevi se, alla mia età, io vado in giro a fare degli scherzi! L’ho presa sul serio. Poi ci ho
ripensato e vi sono corso dietro. Vi ho seguito fino a due chilometri prima di qui: poi ho tagliato
per la Strada Bassa e, arrivato qui, ve l’ho messa sotto il naso. Don Camillo si sedette sulla
spalletta e guardò l’uomo seduto nel fosso. “Perché avete presa quella bicicletta se non era
vostra?” – “Ognuno fa il suo mestiere: voi lavorate con le anime e io lavoro con le biciclette.” –
“Hai sempre fatto questo mestiere?” – “No: sono due o tre mesi soltanto. Faccio le fiere e i
mercati e lavoro tranquillo perché tutti questi contadini hanno a casa le damigiane piene di
biglietti da mille. Stamattina non mi era riuscito di combinare niente e allora ho preso su la
vostra bicicletta. Poi da lontano vi ho visto uscire e, senza dir niente pigliar la strada. Allora, mi
sono venuti degli scrupoli e vi ho seguito. Non riesco neanche a capire come sia stato: il fatto è
che vi ho dovuto seguire. Perché tutte le volte che stava per arrivare un biroccio vi
nascondevate? Lo sapevate che io ero dietro?” – “No.” – “E invece io c’ero! Se foste salito su
un biroccio io sarei tornato indietro. Invece, visto che continuavate a camminare a piedi, ho
dovuto fare quello che ho fatto.” Don Camillo tentennò il capo. “E adesso dove vai?” – “Torno
alla Villa a vedere se mi riesce di trovare qualcosa.” – “Un’altra bicicletta?” – “Si capisce.” – “E
allora piglia questa.” L’uomo guardò su. “Reverendo, neanche se fosse d’oro! Sento che
l’avrei in coscienza per tutta la vita. Mi rovinerebbe la carriera. Alla larga dai preti!” Don
Camillo gli domandò se avesse mangiato, e l’altro rispose di no. “Allora vieni a magiare a casa
mia.” Si avvicinava un biroccio ed era quello del Brelli. “Avanti, pelle grama! Piglia la bicicletta
e seguimi. Io monto in biroccio. Fece fermare e salì dicendo che gli faceva male una gamba.
L’uomo lasciò il fosso, tornò sulla strada. Era arrabbiatissimo: buttò il cappello per terra, disse
un sacco di male parole all’indirizzo di molti santi poi montò in bicicletta…
“CONSACRATEVI A ME IO VI AMO”
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"Il Mio Cuore Immacolato è il Giardino di Dio, dove a poco a poco, crescono i figli secondo il
disegno Divino. Diventano più umili, più puri, più generosi, più forti. Qui sono stati bene
coltivati fino a raggiungere ciascuno quella somiglianza con Gesù da Lui stesso voluta. Egli ha
voluto che questo Suo Giardino diventasse anche il vostro: per questo vi ha donato Sua Madre.
Lo Spirito Santo è il solo Giardiniere dentro questo Mio recinto. Mi ha adombrata della Sua
Luce d'Amore; Mi ha riempita di tutti Suoi Doni; Mi ha abbellita della Sua grandezza e Mi resa
Sua Sposa. Nel Mio Cuore Immacolato è avvenuto il Divino prodigio. Il Mio Giardino è solo
Sua proprietà é lo Spirito Santo che irriga e dà luce; è Lui che fa crescere i fiori più belli; è Lui
che dà ad essi colore e profumo; è Lui che introduce chi vuole. Nessuno può entrare se Lui
stesso non apre; nessuno procede se Lui non porta avanti. Sapeste, figli Miei, il dono che avete
ricevuto con il consacrarvi al Mio Cuore Immacolato. È lo Spirito Santo che vi ha fatti
entrare in questo Mio Giardino. E per mezzo della vostra Mamma Celeste Egli ora vi coltiva, vi
abbellisce dei Suoi doni, vi arricchisce di tutte le Sue virtù. È così ché crescete nella santità. Io
su di voi, nella misura che sempre più vi aprite alla luce di Dio, cospargo il balsamo del Mio
profumo: l'umiltà, la fiducia, l'abbandono. Così crescete, fiori coltivati da Me nel Mio Giardino,
perché ricevete la bellezza e il profumo della vostra Mamma".
-- G l i a p p u n t a m e n t i c o l G l i a p p u n t a m e n t i c o l R o s a r i o R o s a r i o ––
«In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre
riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»
: …………. Cappella del Baccarini
:…………………………….Chiesa Parrocchiale Campagnola
:….Cappella della casa di riposo Baccarini
………….A casa di Leo e Egle Lusetti