1
Salve a tutti!
Sono Rameico, un twergy metallifero della val d’Ossola.
Sarò io la vostra guida in questo virtuale viaggio attraverso la nostra
bella provincia.
Un po’ alla volta vi farò scoprire i luoghi più belli, gli scorci più
affascinanti…e tanto altro ancora.
Ma ve lo dirò poi…
Sono tantissimi anni che vivo all’interno del bosco ,
sono stufo e ho proprio una gran voglia di andarmene
in giro a sgranchire un po’le mie vecchie ossa.
Intanto mi presento e vi do alcune informazioni sui miei simili, il piccolo
popolo delle nostre montagne.
2
Repubblica dei Monti e dei Laghi
Documento di Identità
N° 01369466011314
Nome: Rameico
Età: 357 anni
Luogo di nascita: sotto un abete nei pressi di Migiandone
Cittadinanza: ossolana
Residenza: senza fissa dimora ma lo si può avvistare nei pressi di Ornavasso e
Migiandone
Stato civile: coniugato con una twergy dai capelli ramati
Professione: metallurgo
Hobby: fare scherzi e dispetti alle persone che incontra
Connotati e contrassegni salienti
Statura: 58 centimetri
Capelli e barba:bianchi con venature di verde
Occhi: molto vispi
Segni particolari: spesso è avvolto da muschi e licheni ed ha dei funghi colorati sul
cappello
3
I Twergy
I Twergy sono i più antichi abitanti di alcune terre dell’Ossola.
Fanno parte della stirpe dei nani metalliferi e di essi ne hanno le caratteristiche tipiche.
Sono piccoli, ma molto forti.
Hanno folte barbe, visi rotondi e rubizzi ed immancabilmente portano un cappuccio in testa.
I Twergy vecchi hanno la barba ed i capelli tendenti al verde a causa dell’umidità dell’ambiente in
cui vivono che favorisce la crescita di muschi e licheni che avviluppano il loro corpo. Ai più vecchi
crescono funghi colorati sul cappello.
Questo tipo di Twergy li troviamo sulla montagna di Ornavasso e di Migiandone che per questo
motivo è chiamata “la montagna dei Twergy”.
Essi abitano nei boschi, nelle grotte o nelle miniere e sono abilissimi nella lavorazione del metallo.
Quando non lavorano, amano fare scherzi e dispetti alla gente del luogo, ma non mancano neanche
di aiutarla e di fare dei favori.
Sono presenze allegre e misteriose che con il tempo hanno saputo farsi benvolere.
Troviamo i Twergy anche alle pendici del Monte Rosa, a Macugnaga. Qui sono chiamati
Gottwjarchi. Si differenziano da quelli di Ornavasso per il vestiario meno sobrio, per il cappello
molto più appuntito e soprattutto per la barba. I Gottwjarchi vecchi hanno la barba candida come la
neve e tendono a diventare sempre più trasparenti come l’azzurro dei ghiacciai dove hanno vissuto.
Alcune leggende narrano che questi piccoli uomini hanno insegnato ai valligiani l’uso del latte e la
fabbricazione del formaggio.
Dopo aver fatto la mia conoscenza,
volete sapere qualche cosa in più dei
Twergy?
4
Nella prima parte del nostro viaggio visiteremo:
la Riserva di Fondotoce
Villa San Remigio
i giardini di Villa Taranto
i giardini di Villapallavicino
i giardini di Villa Anelli
il Giardino Botanico Alpinia
le Isole Borromee
il Sacro Monte di Ghiffa
la chiesa di Madonna di Campagna
i castelli di Cannero
5
Lo Stemma della Provincia di Verbania
Vi do innanzitutto alcune informazioni sulle regole dell’araldica italiana che possono servire per
comprendere i motivi delle scelte di alcuni simboli che troviamo rappresentati.
Due sono i canoni che non possono assolutamente essere violati: primo gli smalti, ossia i colori
possibili, sono soltanto sei; due per rappresentare i “metalli”, oro e argento raffigurati quasi sempre
come giallo e bianco, e quattro colori rosso, blu, nero e verde.
Altri colori non sono ammessi se non per rappresentare animali o oggetti al naturale, ad esempio il
marrone di un tronco d’albero o il grigio di una spada.
Secondo, non si deve mai sovrapporre metallo su metallo o colore su colore.
Non vi potrà mai essere quindi una figura araldica rossa in campo azzurro o bianca in campo giallo.
A queste regole insormontabili si devono aggiunger delle linee guida che è sempre molto utile
seguire quando si vuole fare della buona araldica civica.
Innanzi tutto il disegno deve essere semplice e ben leggibile perché sia facilmente riconosciuto in
tutti i diversi formati in cui essere riprodotto uno stemma di ente pubblico come carta intestata,
timbri, striscioni e manifesti.
Per quanto riguarda gli ornamenti esterni allo scudo come corone, elmi, svolazzi e simili, non sono
lasciati neppure questi alla libera fantasia ma sono fissati dalla legge.
Sono sempre io, Rameico…
prima di iniziare il nostro
viaggio attraverso la provincia
di Verbania voglio spiegarvi
cosa significano i simboli che
compongono il suo stemma.
6
Dopo queste premesse passiamo a illustrare il nostro stemma.
Esso è contenuto in uno scudo di foggia sannitica sormontato da una corona da provincia che, come
vuole la legge, è composta da “un cerchio d’oro gemmato, racchiudente due rami al naturale, uno di
alloro e uno di quercia, posti a croce e ricadenti all’ infuori”.
Lo stemma è una descrizione stilizzata, secondo le regole dell’araldica, della morfologia della
Provincia del VCO .
Nella metà superiore dello scudo c’è una coppia di monti bianchi in un campo rosso stilizzati
all’italiana, che ricorda l’importante presenza delle montagne su buona parte del territorio
provinciale.
Qualcuno ha polemizzato perché avrebbe voluto le montagne più simili alla realtà, ma va ancora
una volta ricordato come le regole araldiche prevedono forme ben codificate .
La chiave d’oro posta tra i monti indica il Sempione, il più importante valico della provincia nonché
uno dei principali delle Alpi, seguendo cosi l’abitudine diffusa fra le comunità montane di
rappresentare i valichi come porte e chiavi d’Italia.
Nella metà inferiore dello scudo, le onde azzurre in campo bianco indicano la preponderante
presenza in termini geografici ed economici dei laghi nella parte bassa del territorio provinciale.
La forma ondata delle bande rammenta inoltre quelle presenti nell’antico stemma della casata
Borromeo, rinsaldando così il legame ideale della zona con una famiglia che per molti secoli ha
rappresentato un importante elemento unificante di questo territorio.
VCO terra di laghi e di montagne
7
Provincia di Verbania
o del VCO
o “Provincia Azzurra”
Il Verbano-Cusio-Ossola comprende tre aree distinte che sono: il Lago Maggiore o Verbano, il
Lago d’Orta o Cusio e Domodossola con le sue valli, da cui la sigla VCO.
La provincia di Verbania, un po’ piccina, si allunga dai laghi verso la Val d’Ossola, fino a toccare
Macugnaga, importante centro turistico invernale ai piedi del Monte Rosa, e la punta estrema della
Val Formazza.
Siamo nel regno delle acidofile, così gli esperti chiamano le azalee, i rododendri e le camelie (il
fiore simbolo delle olimpiadi di Torino del 2006).
Fatta eccezione per alcune aziende molto conosciute anche a livello internazionale come la Bialetti,
la Lagostina, l’Alessi, ha un’economia basata sui fiori, le acque minerali, l’estrazione mineraria, il
turismo, l’allevamento bovino, le rubinetterie, le cartiere e l’artigianato in legno.
Molti sono gli abitanti che lavorano in Svizzera, del resto il confine da Verbania dista appena 29
chilometri.
Dopo avervi descritto lo stemma
della nostra giovane provincia vi
voglio dare alcuni dati importanti e
alcune informazioni generali …
prima di iniziare il nostro tour.
8
Verbania, città capoluogo, è nata nel 1939 dalla fusione dei comuni di Intra e Pallanza. Situata nel
golfo Borromeo, sulla sponda Ovest del lago, al confine con la Svizzera, gode di una posizione
geografica invidiabile.
Può offrire possibilità di vacanze lacustri e montane, colori ed angoli che hanno affascinato nel
passato scrittori e poeti come Hemingway e Flaubert.
Già nel 1939 qualcuno la chiamò “ Provincia azzurra”. Ma un anno dopo l’Italia fu travolta dalla
seconda guerra mondiale, ci fu la lotta di liberazione e nel 1944 nacque la Repubblica dell’Ossola.
Nel dopoguerra arrivò la Montefibre e con le sue fabbriche gli immigrati: molti dal Veneto e dal
Sud. Stagione d’oro finita negli anni 70 con la crisi industriale.
Gradualmente negli ultimi anni il VCO è ridiventato terra promessa per industriali, artigiani e
grandi case di spedizione. Le sue scuole attirano studenti anche dalla sponda lombarda. Buona la
rete di attrezzature sportive, ricreative, turistico e culturali.
È su questo tessuto che si innesta la nuova provincia, istituita con D.L. n.277 del 30 aprile 1992.
Conta in totale 77 comuni, su di un’area geografica di 2244 kmq ed una popolazione complessiva di
161 mila persone.
In questa provincia il lago si coniuga con la montagna, la ricchezza dei parchi offre angoli di
irripetibile bellezza, la floricoltura aggiunge prestigio e peso economico ad un grande patrimonio
botanico conosciuto in tutto il mondo: un buon inizio per una provincia ancora in fasce.
Superficie: 2244 Kmq (8,8% della superficie del Piemonte)
Comuni: 77 (6,3 % dei comuni del Piemonte)
Densità (1997): 71,8 ab/Kmq (Piemonte 169,4)
Popolazione (1997): 161.204 (3,7% della popolazione del Piemonte)
Industria: 43,9 (Piemonte 43,2)
Agricoltura: 2,5 % (Piemonte 5,7)
Terziario: 52,5% (Piemonte 50,9)
Il lago Maggiore
visto da
Piancavallo
9
Aereo
La zona dei laghi è servita dagli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa, che sono ben
collegati a tutti gli altri scali italiani.
Da questi aeroporti milanesi si raggiungono facilmente con i pullman le stazioni e quindi si
prosegue con il treno.
Treno
Le linee ferroviarie che raggiungono la nostra zona fanno riferimento per lo più allo snodo di
Milano (Stazione Centrale e Stazione Porta Garibaldi) con la linea Milano - Sesto Calende – Arona
– Stresa – Verbania – Domodossola.
Per raggiungere il lago d’Orta, sia da Milano che da Torino si deve cambiare treno a Novara.
La stazione indicata come Verbania è in effetti un po’ periferica rispetto al comune omonimo ma
ben collegata con una linea di pullman.
Vi voglio dare ora alcune brevi
indicazioni su come potete facilmente
raggiungere la nostra zona … a voi la
scelta del mezzo che preferite,
personalmente adoro camminare!
La stazione di Verbania
10
Pullman
Oltre che con le stazioni l’aeroporto di Malpensa è collegato con le località turistiche del lago
Maggiore dalle Autolinee Comazzi. La stessa autolinea collega l’aeroporto anche con Orta e
Omegna.
Auto
la sponda piemontese del lago Maggiore, il lago d’Orta e la Val d’Ossola sono raggiungibili da
Milano prendendo l’autostrada dei Laghi fino a Gallarate e proseguendo lungo la diramazione per
Gravellona Toce – Domodossola (A26).
Chi è diretto verso il lago d’Orta può uscire ad Arona o a Gravellona Toce e proseguire in direzione
della statale 229 del lago d’Orta che scorre parallela alla linea ferroviaria Novara – Domodossola.
La A26 nel tratto Feriolo Gravellona Toce
11
Navigazione
Una buona scelta per ammirare le attrazioni del lago Maggiore è il battello. Pressoché tutte le
località del bacino, comprese le isole italiane e svizzere sono raggiungibili per via d’acqua con i
mezzi della società Navigazione Lago Maggiore.
La stessa compagnia collega Laveno, sulla sponda lombarda, con Intra sulla sponda Piemontese.
Sette traghetti adibiti a trasporto degli autoveicoli, della portata di 30-40 macchine e fino a 600
persone fanno la spola tra le due località con partenze ogni 20 minuti.
I battelli della navigazione del lago d’Orta offrono la possibilità di passare vicino alle rive: ci sono
collegamenti tra Orta e l’isola di San Giulio, tra Orta e Omegna ed altri percorsi.
Ad Orta il Servizio Pubblico Motoscafi collega la cittadina con la sua splendida isola in pochi
minuti.
La statale del lago d’Orta
Sullo sfondo l’isola di San Giulio
Sotto: Orta vista dal lago
12
RISERVA NATURALE DI FONDOTOCE
Si tratta di una Riserva Naturale Speciale, di 365 ettari che comprendono il più importante canneto
della sponda piemontese del Lago Maggiore, istituita nel 1990.
Poco dopo la stazione di Verbania
Fondotoce incontriamo la prima delle
diverse aree naturalistiche protette del
nostro territorio…la riserva di Fondotoce.
L’ingresso alla
riserva a
Fondotoce
Il canneto
13
Include anche la Foce del Toce, da cui deriva il nome della frazione e del canneto, e una parte di
costa del Golfo Borromeo.
L’elevato valore naturalistico è dovuto al carattere quasi relittuale di questo habitat nonché alla
frequentazione di una ricca avifauna stanziale e migratoria.
Tra la flora acquatica è da rivelare l’endemica varietà di castagna d’acqua, la trapa natans
verbanensis,a foglie galleggianti e le lenticchie d’acqua.
Contraddistinta dalla presenza di circa trenta ettari di palude a cannucce, la riserva comprende
anche sulle zone di confine, strette fasce di vegetazione ripariale a salice bianco, ontano nero e fatto
raro a queste quote, ontano bianco, arricchita da una notevole varietà floristica.
La foce del
fiume Toce
Il golfo
Borromeo
14
Tra i punti d’interesse, si sottolinea l’importanza internazionale di quest’area come punto di sosta
durante la migrazione di numerosi specie ornitologiche.
Il Centro Studi sulle Migrazioni degli uccelli ha censito un numero significativo di specie di elevato
valore naturalistico.
È un sito di importanza internazionale perché punto di riferimento per le rotte migratorie di una
grande quantità di specie.
L’area dispone di una passerella galleggiante su cui vengono istallate le reti di cattura.
Esiste una attività consolidata di Educazione Ambientale svolta con le scuole anche con progetti
piuttosto impegnativi.
In quest’area più che altrove si può leggere il paesaggio come il risultato della competizione tra
uomo e acqua nella trasformazione del territorio.
Il fiume Toce e il torrente Strona sono elementi fortemente dinamici al punto che la piana tra il lago
Maggiore e il lago di Mergozzo si modifica ad ogni esondazione.
Cormorani
15
La nascita del lago di Mergozzo è piuttosto recente, risale solo al Medioevo come separazione
dell’estremo lembo nord-occidentale del golfo Borromeo, causata dai depositi portati dal Toce e
dallo Strona.
Tra ottocento e novecento il Toce cambia il suo ingresso nel lago, infatti prima sfociava nella fascia
attualmente occupata dal canneto, a ridosso delle pendici del monte Rosso.
All’interno della riserva comodi sentieri percorribili a piedi o in bicicletta vi danno la possibilità, se
ne avete voglia e se le vostre gambe reggono, di passeggiare per ben 15 chilometri.
Buona camminata!
Io per il momento mi riposo un po’!
A presto Rameico
Sentiero con
osservatorio
16
Clima mediterraneo
Nelle zone che costeggiano i laghi Maggiore e Orta domina quella che chiamano la “flora
insubrica”, nome che deriva da “regione insubrica” alla quale i due laghi appartengono, che inizia
dove tra colline, pianura e montagne si aprono le ampie conche dei laghi prealpini.
Non è un’espressione geografica basata su solide basi storiche e neppure su rigorose basi
scientifiche ma esprime una forma di paesaggio con un’impronta quasi mediterranea.
In senso storico, l’Insubria, dovrebbe indicare il territorio occupato verso il V secolo a.c. dagli
Insubri, popolazione celtica originaria della Gallia, estesa dalle Alpi fino all’Adda.
L’influenza sul clima esercitata dai grandi laghi non ha effetti soltanto lungo le loro sponde ma
entra profondamente anche nelle valli circostanti.
La vegetazione ha un’impronta mediterranea, soprattutto per quanto riguarda i due grandi laghi
Maggiore e Orta dove addirittura a specie mediterranee si affiancano specie atlantiche di clima
oceanico, favorite anche dalla presenza di rocce silicee.
Crescono bene l’olivo, i limoni, l’alloro. L’olivo, intorno al lago Maggiore raggiunge i 300 metri di
altitudine.
Si parla anche di “clima delle camelie”, che prosperano negli splendidi giardini insieme ad una
impressionante ricchezza di piante a grandi fiori, a foglie lucenti, come magnolie, lauracee,
rododendri, azalee.
Lasciato alle spalle il canneto di Fondotoce
proseguiamo lungo la statale 34 del lago Maggiore in
direzione Verbania. Prima di visitare alcuni tra i suoi
giardini più belli e rinomati vorrei darvi alcune
informazioni sul clima…che tanta parte ha sulla
vegetazione.
Camelia
17
Ma quella che caratteristica la flora insubrica è la vegetazione spontanea lungo le sponde, tasso,
agrifoglio e leccio.
Probabilmente anche a causa del continuo riscaldamento dell’atmosfera si assiste ad un graduale
ampliamento dell’area in cui è presente la flora insubrica.
C’è un evidente aumento delle piante sempreverdi a scapito delle piante a foglie caduche. L’edera,
l’alloro, l’agrifoglio, il mirto, il nespolo giapponese, sia autoctone che esotiche, stanno invadendo
aree alpine più fredde. Zone dominio incontrastato del castagno delle fascia collinare.
Questo fenomeno, evidente da circa un ventennio, viene chiamato “laurofillizzazione”.
Del resto il clima del lago Maggiore era conosciuto per la sua piacevolezza fin dai tempi del
Petrarca, che lo definiva saluberrimo.
La grande massa idrica, infatti svolge una funzione mitigatrice sul clima; le escursioni termiche
annuali sono contenute e la media delle temperature estive e invernali è rispettivamente più bassa e
più alta di quella delle zone di pianura.
Di primo mattino sul lago spira una lieve brezza chiamata tramontana, che porta aria fresca verso la
pianura, nel pomeriggio in direzione opposta, dalla pianura alle montagne soffia l’inverna.
Grazie a questo microclima mite e piovoso, le sponde del lago ospitano una flora molto ricca di
specie mediterranee ed esotiche che si possono ammirare nei sontuosi giardini delle ville, giardini di
fama non soltanto nazionale.
Al punto che l’area intorno al lago Maggiore è stata soprannominata Giardino d’Europa, proprio
per la ricchezza dei suoi fiori e delle piante provenienti da tutto il mondo, per non parlare di tutti i
vivai di floricoltura.
Rododendro
Azalee
18
Purtroppo negli ultimi anni si assiste ad un continuo lento inaridimento del clima che inizia a
preoccupare.
Salendo nelle valli verso le alte montagne, si incontra invece un clima tipicamente alpino con
temperature più rigide.
Bosco planiziale lungo le sponde del Toce
19
Giardini di Villa San Remigio
Un Sogno Romantico
“Noi Silvio e Sofia Della Valle di Casanova qua dove l’infanzia ci unì questo giardino nato da un
comune sogno di gioventù adolescenti ideammo sposi eseguimmo…”
Dove si trova
Villa San Remigio si trova sulle rive del Lago Maggiore, sul colle piuttosto scosceso della
Castagnola di Pallanza, accanto al più noto giardino di Villa Taranto da cui lo divide solo un muro
di pietre a secco.
Facilmente raggiungibile in auto sulle statali sia da Fondotoce e quindi anche da Milano, da
Domodossola, dalla Svizzera o in barca dal lago.
La storia
Visiteremo ora gli splendidi giardini di
Villa San Remigio, conosceremo i sui
proprietari, la sua storia, i suoi angoli più
belli, la sua rigogliosa vegetazione…
20
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, i marchesi Silvio e Sofia Della Valle di
Casanova riuscirono a realizzare un sogno che avevano coltivato fin da piccoli cioè costruire
insieme un romantico giardino dove la bellezza della natura si armonizzava con l’arte e dove le
emozioni potessero prendere corpo sullo sfondo di acqua e montagna.
Infatti, in quanto cugini, avevano frequentato durante l’infanzia lo “chalet” che lo zio aveva
originariamente costruito sulla collina.
Silvio era discendente di una famiglia napoletana, Sofia invece era originaria di Dublino.
Silvio, poeta e musicista, aveva una perfetta conoscenza della lingua tedesca che utilizzava per la
composizione delle sue opere. Da giovane si era recato in Germania dove aveva studiato musica al
Conservatorio di Stoccarda e Weimar, sviluppando un rapporto profondo con il musicista Liszt,
durato poi tutta la vita, e una sensibilità fortemente romantica nei confronti della natura.
La poesia fornì al marchese il mezzo ideale per esprimere il suo gusto estetico fondato sulla
nostalgia nordica per il passato e sull'amore per la mitologia greca.
Sofia invece era una brava pittrice, di temperamento vivace e molto creativo, autrice di gran parte
delle opere presenti nel giardino.
Per entrambi i coniugi il giardino rappresentava un rifugio dalle preoccupazioni ed emozioni della
vita quotidiana.
Il giardino è senz’altro il frutto di un gusto educato all’eleganza, rispettoso dei vari stili e delle varie
culture del passato e che spesso lascia trapelare la grande immaginazione che lo sostiene.
Medaglioni in sasso con i profili di Silvio e Sofia
21
Si tratta di un complesso di giardini che riproducono vari stili architettonici del passato con effetti
quasi magici riflettenti l’ambiente languido del lago.
Alla costruzione parteciparono molti lavoranti che, nel periodo che va dal 1896 (anno del
matrimonio di Silvio e Sofia) al 1916 (anno di conclusione dei lavori) non rappresentavano un
problema per la retribuzione.
I due nobili infatti spesero per:
sbancamenti di terreno
terrazzamenti
erezione di muri di sostegno
scalinate di raccordo
scavi per gli invasi delle vasche
scavi per l’irrigazione
impegnativi trasporti di materiale
trasporto di piante adulte, statue e obelischi.
Nel frattempo, il vecchio “chalet” dello zio Peter, si era trasformato in una decorosa dimora patrizia
circondata da una serie di terrazze per risolvere il dislivello e dare spazio ai vari giardini dalle
tematiche diverse in grado di evocare con le loro architetture delle emozioni particolari.
I “diversi” giardini della villa
Panorama dal
terrazzo
22
I giardini con tematiche diverse evocano ancora oggi con le loro architetture emozioni particolari.
Ad esempio il “Giardino della Mestizia” attraverso le sue penombre evoca la malinconia. È
circondato da canfori e conifere pregiate ricco d’ombra e privo di fiori. Il piano erboso di bosso
sagomato, invita a soffermarsi in silenzio davanti alla statua di Ercole con l’Idra posta in una
nicchia a mosaico, in un ambiente circondato da fontanelle, conchiglie, delfini ed obelischi.
Passando alla terrazza sovrastante si raggiunge il “Giardino della Letizia” che secondo la marchesa
Sofia doveva suscitare un sentimento gioioso.
È un ambiente dal verde ben potato e scolpito con l’impiego di bosso, tasso, alloro e gelsomino,
misti a specie esotiche come profumatissimi osmani, camelie, criptomerie e cipressi americani.
Lo spazio intorno alla statua del carro a Conchiglia di Venere è stato colmato da rose e altri fiori per
le emozioni che dovevano suscitare i diversi colori.
Più sobrio è il “Giardino delle Ore” così chiamato per la presenza di una meridiana in pietra su cui
sono scolpite le seguenti parole: “Silvio e Sofia pongono perché ogni dì la luce novella lambisca
l’ombra delle ore che furono”.
Molto ricco di statue questo luogo celebra un momento di vita felice ma che come ogni cosa è
destinato a finire.
Dal giardino delle ore si passa all’”Hortus Conclusus”, un piccolo spazio quadrato, molto
tranquillo, con una vasca centrale con acqua ferma ed ornata da cipressi, un segreto asilo per
meditare.
Poco più in là si trova una piccola grotta tappezzata di felci con la statua del dio Pan, figura
mitologica molto amata dal romanticismo tedesco.
23
Bosso o della Fermezza
Il Bosso è conosciuto soprattutto come siepe sagomata in modi molto diversi grazie alle sue foglie,
lucide e di colore verde scuro che si rinnovano costantemente.
Un tempo era molto apprezzato per le sue proprietà medicinali, come rimedio efficace contro la
calvizie e come febbrifugo.
In Grecia era sacro ad Ade, il dio che proteggeva gli alberi sempreverdi, simbolo della Vita che
continuava anche negli “inferi” dell’inverno e quindi simbolo anche di eternità.
Con il suo legno, durissimo e liscio, di color giallo limone, si fabbricavano le tavolette da scrittura,
ricoperte con un leggero strato di cera o le scatolette circolari per riporre gioielli ed altri preziosi.
Dal Medioevo, il suo nome (pisside=bosso) designò, il vaso scuro che serve ancora oggi per
contenere l’Eucarestia.
Si è fatto ricorso al suo legno, per la indeformabilità e durevolezza per fabbricare i pezzi degli
scacchi, per strumenti matematici e persino per uno strumento musicale.
Ha evocato anche i simboli della Fermezza e Perseveranza, per questo motivo è ancora utilizzato
per confezionare i martelli delle logge massoniche.
Poiché il bosso si autofeconda, ha evocato pure il simbolo della Castità e agli uomini era vietato
deporne ramoscelli sugli altari consacrati a Venere, pena la perdita della virilità.
Dal piazzale della villa si scende al “Giardino dei Sospiri” con una vasca sovrastata da una esedra a
sette nicchie con statue e mosaici.
Armonia di arbusti,
statue, viali, fontane
24
Il vicino “Giardino delle Memorie” riprende la soffice atmosfera di decadentismo. In esso si trova
un’ampia vasca, grandi vasi, colonne, obelischi e aiuole molto colorate. La bellezza dei fiori doveva
celebrare l’eternità dell’amore. È su questo spazio che si affacciava lo studio di Sofia.
Statue di putti ricoperte di rose stanno a ricordare la brevità e l’allegria dell’adolescenza. Una scritta
in mosaico recita “Le rose passano ma la memoria resta”.
Lo spirito del marchese, invece, deve aver influenzato maggiormente la parte del parco a bosco
spontaneo dove è bello addentrarsi per ascoltare la voce del bosco.
Qui s’innalza maestoso il cedro dell’Himalaya, la quercia palustre, il faggio rosso, bambù, ligustri e
rododendri.
In tutti questi ambienti, la marchesa, aveva studiato tutti gli effetti di luce ed ombra, persino al
chiaro di luna e si era impegnata nella introduzione di specie provenienti dal Giappone, dall’Asia e
dall’America.
Troppo lungo risulterebbe l’elenco dei personaggi famosi che hanno avuto il privilegio di godere
della bellezza di questo luogo che secondo l’aspirazione dei marchesi doveva superare la banalità
materiale.
Situazione attuale
La villa ed il suo bel giardino rimasero proprietà della famiglia Della Valle fino al 1977, quando la
proprietà venne ceduta dalla contessa Ester, figlia di Silvio e Sofia, alla Regione Piemonte.
La villa ospita attualmente la sala consigliare della Provincia del Verbano Cusio Ossola.
Il giardino è visitabile su appuntamento con visite guidate.
La manutenzione del parco è affidata al Servizio forestale della Regione Piemonte.
Giardino dei sospiri
25
Lasciati gli splendidi giardini di Villa San Remigio non abbandoniamo il promontorio
della Castagnola a Pallanza.
Scendiamo sul lago ed entriamo nei grandiosi e giustamente famosi giardini di Villa
Taranto. Procuratevi delle comode scarpe perché ci sarà molto da vedere e passeggiare
ma non preoccupatevi perché ci sono molte possibilità di riposo.
Potrete godere delle vista di moltissimi fiori in qualunque periodo dell’anno ma potrete
anche fermarvi a riflettere sullo spettacolo naturale che vi circonda.
Seguitemi…
26
Giardini di Villa Taranto
“Un bel giardino non ha bisogno di essere grande, ma deve essere la realizzazione del
vostro sogno anche se è largo solo un paio di metri quadrati e si trova su un balcone”.
Entrare nei suoi giardini è come compiere un viaggio attraverso paesi lontani. Il grande parco,
allungato sul promontorio nell’angolo del golfo Borromeo risale con pendenze notevoli fino ai
panorami più aperti sulle montagne prealpine. Al suo interno, un vecchio castagno del XVII secolo,
testimonia le origini del luogo, rievocando la presenza dei numerosi castagni che in passato
popolavano il pendio della Castagnola.
In tempi lontani quel lato di collina ospitava il casotto di una polveriera circondato da terreno
incolto.
Dalla parte del lago, un ripido pendio boscoso separava i prati a gelso, logica presenza accanto agli
opifici allora attivi per la filatura della seta.
Il turismo d’oltralpe era via via cresciuto, verso la fine dell’Ottocento, parallelamente al
miglioramento delle condizioni dei trasporti.
Grande stimolo venne poi dall’apertura della linea ferroviaria del Sempione.
In particolare le bellezze del golfo Borromeo, adatte ad un turismo raffinato, avevano favorito la
costruzione di grandi alberghi e splendide ville.
I giardini andarono così a sostituire i boschi di specie poco pregiate.
Accanto a famose personalità straniere come la regina Vittoria e lo scultore John Ruskin, la facile
accessibilità del posto aveva attirato i nobili milanesi, nonché gli esponenti della politica e
dell’industria lombarda, andando a gonfiare il fenomeno della “villa con giardino”.
Questo ha portato ad un mutamento radicale nell’aspetto delle sponde lacustri.
Il gusto dell’epoca spingeva i proprietari a sostituire le specie vegetali del posto con specie esotiche,
facili da reperire dai ben riforniti vivaisti locali e che ben si adattavano al favorevole clima umido
del lago.
In quegli anni l’atmosfera del lago favorì non solo il rigoglio della vegetazione ma fu complice
della fioritura di nuovi talenti artistici.
Folta fu la schiera di pittori impegnati a ritrarre le bellezze del lago, dal Ranzoni a Tominetti, Sala
ed altri, nonché di artisti tra cui lo scultore di origine russa Paolo Troubetzkoy.
Nel 1930 approda su queste sponde il Capitano Neil McEacharn, destinato a lasciare un’impronta
indelebile sul colle della Castagnola, acquistando un grande terreno e gli edifici pertinenti.
Edificio villa
27
Prima dell’arrivo del Capitano, il terreno fu di proprietà del conte Alessandro Orsetti, che aveva
riunito vari lotti con acquisti successivi durati fino al 1895.
Nel 1870 ebbe termine la costruzione della villa voluta dal conte per il figlio malato, nella speranza
che l’aria salutare del lago fosse di giovamento ai suoi polmoni delicati.
L’anno dopo, non avendo uno sbocco sul lago, il conte chiese in concessione un pezzo di spiaggia
demaniale per farne una darsena ed un casotto per i bagni.
Nel 1880 ottenne il permesso per costruire uno chalet vicino alla villa che venne chiamata “la
Crocetta”.
Verso l’anno 1900 la villa fu venduta ad una signora inglese, moglie di un marchese maestro di
cerimonie del re Vittorio Emanuele III.
La marchesa ampliò la casa, acquistò un terreno per l’accesso dal lago e un vicino edificio con
giardino.
Tra i numerosi ospiti, i figli della famiglia reale, vennero spesso a trascorrervi le vacanze.
Nel 1929 la marchesa si trasferì vicino Dover e mise in vendita “la Crocetta”.
A questo punto arriva il Capitano.
Nato a Garlieston il 28 Ottobre 1884 da una antica famiglia scozzese, Neil McEacharn ebbe un
infanzia molto agiata.
Il padre era il fondatore di un grande compagnia di navigazione con l’Australia, dove la moglie
possedeva vastissimi territori a pascolo.
La lana di circa un milione di pecore veniva spedita per nave in Europa.
Infatti, lo stemma dei McEacharn raffigurava lo scudo con un veliero con la scritta: “ Per mare Per
Terras”.
A soli 8 anni il giovane Neil conobbe per la prima volta l’Italia durante una crociera sul panfilo del
padre.
Da allora avrebbe trascorso tutte le sue vacanze sul Mediterraneo fino a stabilirsi definitivamente
nel nostro paese. Completò ad Oxford la sua educazione scolastica continuando ed ampliando il
suo amore per la botanica ed il giardinaggio. Nel 1910, alla morte del padre, fu costretto ad
occuparsi dei lavori di manutenzione dell’enorme castello di Galloway House, in Scozia e alla
sistemazione dei giardini. Lo scoppio della guerra lo coinvolse in prima persona in quanto
Capitano del Reggimento Reale delle guardie scozzesi di frontiera.
Solo al termine del conflitto poté tornare ai suoi lavori. Importante fu per lui l’incontro e l’amicizia
con il direttore dei giardini di Kew. Insieme, a caccia di giardini, avevano girato l’Inghilterra, la
Francia e l’Italia. L’inesperienza e il troppo entusiasmo innovativo del Capitano, portarono a
Gallowey House qualche fallimento. Tuttavia le innovazioni riuscite ed il risultato complessivo
vennero giudicati favorevolmente dagli esperti.
Una veduta
dei giardini
28
A soli 16 anni, accompagnato da un arcivescovo, aveva già compiuto il giro del mondo, arrivando
fino in Giappone ricevuto dall’imperatore in persona. Seguirono viaggi in Siam, Indocina,
Indonesia, Australia, America e Medio Oriente, per conoscere nuove specie botaniche ed allacciare
contatti utili ai suoi progetti.
I suoi viaggi non erano spedizioni su incarico di qualche università, ma la coltivazione di una
grande passione per la botanica e resi possibili dalle sue possibilità economiche.
Insoddisfatto dei risultati della sua residenza scozzese, nel 1928 si mise alla ricerca, in Italia, di un
luogo che si prestasse alla realizzazione di un grande e meraviglioso giardino in un clima senz’altro
migliore.
Nel 1930, mentre si trovava sull’Oriente-Express diretto a Venezia dove possedeva Ca’ Rezzonico,
venduta in quei giorni allo Stato Italiano, si avverò il suo sogno.
Sul lussuoso e leggendario treno, lesse fra gli annunci del “Times”, una interessante offerta su di
una villa con parco a Pallanza.
Subito prese la decisione di far sosta in quel luogo.
Sbrigò in fretta la procedura di acquisto e già nel giugno 1931 fu in grado di stabilirsi lì, in un luogo
che pur ricordandogli la sua terra gli offriva un clima più adatto ai suoi scopi.
Il suo fu un compito non facile dovendo superare difficoltà tecniche notevoli e molto costose.
Mentre i lavori del giardino iniziavano, la situazione politica si aggravava fino allo scoppio della
seconda guerra mondiale.
Per il governo inglese fu costretto a trasferirsi a Roma e poi a lasciare l’Italia, non senza aver
donato i giardini e la villa allo Stato a condizione che rimanessero privati e che potesse mantenerne
l’usufrutto.
Affidò il tutto all’amico ed amministratore avvocato Cappelletto e a malincuore partì con la moglie
per l’Australia.
Esilio durato 6 lunghi anni ma proficuo per le ricerche di botanica.
I coniugi Cappelletto, durante il conflitto, evitarono al giardino danni irreparabili, permettendo al
ritorno del Capitano, dopo la fine della guerra, di riprendere i lavori di sistemazione.
Nel 1940, dopo la morte della prima moglie, sposò una principessa tedesca, nipote della regina
d’Olanda e cugina di una contessa, zia della regina d’Inghilterra.
Nel 1947, dopo la morte della seconda moglie, abbandonò i lunghi viaggi.
Fioritura primaverile
29
Molti lo ricordarono intento a diserbare le aiuole oppure avvolto in una mantellina aggirarsi nei
giardini.
Suoi ospiti furono politici, artisti, sovrani e scienziati.
Amante di ogni espressione artistica avrebbe voluto fin da piccolo diventare pittore, ne è conferma
le quantità di volumi di pittura ora presso la biblioteca Ceretti di Verbania.
In Australia aveva acquistato parecchi quadri di autori contemporanei.
Per la sua originalità di studioso è stato insignito del titolo di Accademico Linneano.
Da ricordare la sua modestia e la bontà d’animo, ben espressa con trattamenti salariali superiori a
quelli di categoria.
Il 18 aprile 1964, la morte lo colse nella veranda affacciata sull’amato giardino.
Il 27 luglio 1963, la città di Verbania gli aveva conferito la cittadinanza onoraria.
L’obiettivo principale che aveva spinto il Capitano era quello di realizzare un ambiente dove
acclimatare una ricca collezione di piante esotiche rispettando le esigenze biologiche di ciascuna
specie.
Tenuto conto del potenziale ornamentale delle diverse specie voleva dar vita ad una composizione
di giardini che integrasse la curiosità scientifica con il godimento estetico.
Fu pertanto necessario modificare la topografia naturale, sia per ricavare nicchie a microclima
diversificato, sia per ottenere una nuova espressione paesaggistica sempre rispettando l’armonia
unitaria.
Pertanto l’aspetto odierno del giardino non è un frutto spontaneo, ma il risultato nel tempo della
trasformazione da parte del Capitano con l’aiuto di parecchie decine di lavoratori.
In poche settimane liberarono il parco da circa 2000 alberi infestanti come bambù e robinie,
lasciando soltanto alcuni castagni e qualche altro albero degno di rimanere.
Dopo il taglio del bosco fu necessario l’opera di sbancamento per creare le terrazze, gli specchi
d’acqua, le scalinate, il rimodellamento delle curve di livello.
Inoltre furono acquistati altri lotti di terreno e costruiti muri a secco con pietra locale.
Il giardino all’italiana davanti alla villa fu sostituito da un ampio prato il cui verde brillante è
dovuto all’utilizzo di una graminacea perenne che resiste alla siccità ed al caldo impedendo alle
erbe infestanti di crescere.
Ai margini trovarono posto le aiuole con fiori sgargianti in tutte le stagioni e sullo sfondo alberi
fioriti come il ciliegio giapponese, le grandi magnolie e azalee.
Un
romantico
ponticello
30
Alberi ed arbusti provenienti dalla Cina, dal Sud America, dalla Tasmania trovarono sistemazione
ottimale.
Il Capitano si avvalse della collaborazione di esperti di notevole spessore.
Fu necessario lo scavo di una valletta, l’incanalamento delle acque di scolo, la sostituzione del
materiale tolto con grandi blocchi di granito di Montorfano, la costruzione di un ponte ad arcata
unica con parapetti in pietra, appoggio ideale per rampicanti spinose di cui una originaria
dell’Himalaya e una di Hong Kong.
Impossibile fare un elenco di tutte le varietà e le specie vegetali presenti in questo giardino, sempre
diverso ed affascinante in tutti i periodi dell’anno.
Il materiale intanto continuava ad arrivare da ogni parte del mondo: Inghilterra, Francia, Germania,
Spagna, Giappone, Australia, Sud Africa, Stati Uniti.
Molti furono i floricoltori italiani coinvolti, tra i quali la contessa Sofia della Valle di Casanova,
proprietaria della vicina villa di San Remigio e del suo splendido giardino. Il principe Borromeo
regalò due alberi di sequoia di cui una ritenuta ormai estinta.
In pochi anni il Capitano stabilì una rete internazionale per lo scambio di semi con gli orti botanici
più importanti.
Pertanto la parte più bassa e pianeggiante del giardino venne adibita a vivaio mentre la parte più
vicina al lago divenne un frutteto.
Nel 1934 venne acquistato un terreno per la costruzione di un grande serbatoio idrico. Il sistema di
convogliamento dell’acqua del lago consisteva in una pompa elettrica posta in una piccola cabina
sulla riva e oltre otto chilometri di tubature.
Tre grandi terrazze erano percorse da basse cascatelle con effetto di raccordo e dove un divertente
calcolo di pressione, portata e profilo dei bordi, appiattiva l’acqua facendola cadere rumorosamente
come se fosse una lastra di vetro.
Alla piscina si affiancarono due vasche per diverse specie di ninfee e il bacino dei fiori di loto.
Nel 1937 si pose mano al giardino palustre popolato da un’ampia varietà di vegetazione acquatica.
Nacque in seguito il giardino delle eriche dalle infiorescenze dalla primavera all’autunno.
La presenza di flore esotiche rese necessaria la costruzione di una serra dove la temperatura fosse
sotto controllo.
Poi si costruì il giardino d’inverno, un colonnato sui tre del cortile riscaldato durante la brutta
stagione ed apribile d’estate grazie a pannelli mobili di vetro.
Fioritura
primaverile di
magnolie
31
Nel 1946, il dopoguerra rese necessario i lavori di restauro delle parti danneggiate e a modifiche
importanti come la creazione del giardino delle rose, l’acquisto di altro terreno e l’eliminazione
della strada pubblica che lo tagliava in due.
L’esigenza di un nuovo accesso portò ad opere notevoli di ingegneria per evitare di sopprimere
alberi. La strada fu sollevata con canali sotterranei in cemento armato.
Il tempo passava e i giardini venivano ad assumere sempre più la configurazione desiderata dal suo
ideatore, permettendo la combinazione delle conoscenze teoriche con l’abilità pratica ed il gusto
personale.
Le bordure miste portarono ad una esplosione di colori nel loro aspetto stagionale.
Un effetto speciale è stato studiato per la stagione autunnale cercando di imitare il modello
scozzese.
Altra macchia di colore fu il “giardino blu” e le aiuole stracolme di piante e fiori della medesima
tinta.
L’apertura ai visitatori portò il Capitano ad abbellirli ulteriormente coltivando ogni anno migliaia di
piante da fiore in particolare tulipani soprattutto intorno alla casa.
La grande
serra
Grandiosi e
spettacolari
giochi d’acqua
32
Circa 50 persone erano impegnate nella raccolta dei semi da usare come riserva e per lo scambio
con altri giardini. Si riempivano diverse buste, messi in scatole di cartone e lasciati asciugare fino
alla ripulitura. Eliminati gli scarti, si passava ai contenitori di vetro etichettati e riposti in ordine
alfabetico su apposito scaffale. Ogni anno veniva compilato e stampato un catalogo, circa un
centinaio di copie, da spedire agli orti botanici, amici e conoscenti.
In cambio, da ogni parte del mondo giungevano altri cataloghi per procurare semi di rimpiazzo e le
novità:
367 voci nel 1936,
819 nel 1940,
1367 nel 1951, fino ad arrivare a più di 3.000.
Basti pensare che nel 1959, partirono da villa Taranto 11.484 pacchetti di semi per 250 giardini in
40 paesi diversi.
Purtroppo un incendio ha devastato la preziosa collezione di testi, riviste ed altro materiale di
giardinaggio, orticoltura, tassonomia e paesaggistica.
Il Capitano stesso ebbe modo di stupirsi dei risultati ottenuti in molti casi.
Le piante attecchivano grazie allo spesso strato di humus che ricopriva i depositi alluvionali lacustri
sulla collina della Castagnola. Si tratta, infatti, di un terreno scuro per la presenza di terriccio di
foglie e la povertà di calcio è favorevole alla crescita delle piante acidofile.
Le abbondanti precipitazioni annuali, mantengono l’aria umida, soprattutto in primavera ed in
autunno.
Sebbene la massa d’acqua del lago, abbia una azione mitigante, si possono verificare delle
escursioni annuali accentuate con il pericolo di siccità estive e forti sbalzi di temperatura, nocivi
soprattutto per le piante esotiche.
Imponenti
magnolie
33
Il Capitano, grande conoscitore della flora australiana, fece arrivare un folto numero di eucalipti,
che formarono una collezione unica in Italia, con essenze rare e delicate, molte delle quali
purtroppo non superarono i rigori invernali.
L’impossibilità di ambientare alcune specie molto sensibili, lo spinse ad escogitare con il suo capo
giardiniere dei metodi di coltivazione alternativi.
Per alcune specie si decise il ricovero invernale al chiuso, per altre si tentò una acclimatazione
graduale.
Alla germinazione dei semi, le piante in vaso venivano poste a primavera in vivaio dove restavano
fino all’autunno per poi svernare in serra. L’anno seguente, le piante rinvasate tornavano fuori nella
bella stagione e questo si ripeteva fino a quando erano sufficientemente robuste per essere messe a
dimora permanente.
Accanto ai successi ottenuti con artifici si era costatato con sorpresa che piante ritenute molto fragili
riuscivano a crescere molto bene all’aperto.
Si concluse che proprio il caldo intenso, soprattutto nel mese di agosto, facesse maturare il legno
rendendole non solo resistenti al freddo, ma anche più prolifiche di semi.
Prima dell’apertura al pubblico, i visitatori erano amici o colleghi del Capitano che avevano un
invito personale, senza eccesso di formalità.
L’usanza tipicamente inglese di far piantare all’ospite un albero nel giardino, venne mantenuta.
Si ricordano in particolare le specie messe a dimora dalla regina Vittoria Eugenia e S.A.R. Don
Jaime Infante di Spagna, dalla principessa Margaret di Gran Bretagna e dal canceliere Adenauer.
Ogni anno, in occasione della fioritura dei tulipani, venivano dati sontuosi ricevimenti.
Fontane e
verde
34
Al ricevimento per i settant’anni del Capitano partecipò il senatore Andreotti, che cinque anni dopo,
in occasione della stessa ricorrenza, conferì all’amico il titolo di Cavaliere di Gran Croce al merito
della Repubblica italiana.
Numerosi i riconoscimenti per la botanica applicata.
Nel 1962, il Capitano donò Villa Taranto al governo italiano, con la sola clausola di potervi
rimanere fino alla morte, mentre già dieci anni prima aveva aperto i cancelli al pubblico.
Dal 1963, sono soci aderenti dell’Ente Giardini Villa Taranto il Comune di Verbania,
l’amministrazione provinciale, la Camera di commercio, industria e agricoltura, l’Azienda
autonoma di soggiorno, la Banca Popolare di Novara, la Banca di Intra, la Cassa di Risparmio delle
Provincie Lombarde e un privato.
Lo scopo dell’Ente è perseguire lo scopo del Capitano, senza fini speculativi o di lucro.
Attualmente, l’edificio principale ed una ristretta porzione di terreno intorno è riservato alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre i giardini sono gestiti dall’Ente che paga un canone
simbolico al demanio. L’edificio ospita anche la sede della prefettura del VCO.
Nello Statuto dell’Ente sono precisate le “finalità culturali, scientifiche e didattiche nel campo
botanico ed agrario”, il proposito di favorire con i mezzi idonei l’insegnamento del giardinaggio,
l’organizzazione di convegni di studio, la valorizzazione del Verbano.
Finalità ambiziose e difficili da realizzare con l’introito dei biglietti d’ingresso.
I fondi vengono impiegati per la conservazione del patrimonio botanico e per i necessari interventi
per contenere il degrado dovuto all’invecchiamento del giardino.
Orari e giorni di apertura:
aprile-ottobre 8,30-18,30
superficie 200000 m²
altitudine 197 m
La vita del giardino dipende anche dai visitatori che vengono a goderne le bellezze,
calcolati intorno a 200.000 ogni anno.
35
I GIARDINI DI VILLA PALLAVICINO
La villa, elegante e maestosa, sorge poco prima di Stresa.
Gode di un panorama che spazia dal promontorio della Castagnola di Pallanza sino ai monti della
Svizzera e il suo parco arriva alle colline dov’era l’antico castello di Stresa.
Lasciamo ora i dintorni di Verbania e
spostiamoci a Stresa, bella e celebre
località della sponda piemontese del
lago Maggiore…visiteremo i
bellissimi giardini di Villa
Pallavicino che sono orto botanico di
rilevo e giardino zoologico.
36
Costruita intorno al 1850 da Ruggero Borghi, fu acquistata dal duca di Villambrosa prima e dal
marchese Ludovico Pallavicino poi.
Fu il duca di Villambrosa che ingrandì ed abbellì la villa facendo piantare gli alberi che ancora oggi
ammiriamo, in particolare i lyriodendron tulypifera con le loro foglie dorate e le sequoie ancora
sconosciute in Italia.
Nel 1862 la villa passò ai marchesi Pallavicino che completarono l’opera di rimboschimento,
arricchirono il parco delle serre e realizzarono i viali che ancora oggi hanno uno sviluppo di circa 7
chilometri.
Attualmente si estende per oltre 150.000 m². Ha l’aspetto di un’oasi naturale intatta e suggestiva,
con scintillanti ruscelli, fiori dai vari colori e alberi fra i più antichi e rari, come i faggi rossi, gli
aceri, i larici, i maestosi ginko biloba, le sequoie dal verde trasparente, le querce, i platani, le
magnolie, le conifere, innumerevoli alberi da fiore e da frutto e, come un monumento della natura, il
superbo cedro del Libano.
37
Nella zona più pianeggiante, soleggiata e colorata del parco sorge un mare di fiori con una festa di
colori e di profumi: rose, azalee, rododendri, narcisi, tageti, magnolie, oleandri, glicini.
I giardinieri curano ogni fiore realizzando con le corolle fantastici disegni.
In mezzo al parco c’è anche un laghetto, regno del superbo cigno nero e intorno a lui, a popolarne la
superficie, i pigri fenicotteri, le cicogne, gli anatroccoli.
Non ci sono solo gli animali più comuni in Italia ma anche di specie provenienti da varie parti del
mondo!
Fu la marchesa Luigia Pallavicino che ne completò l’opera di raccoglimento per costruire uno zoo
di eccezione che richiama oggi molti studiosi di zoologia ed appassionati di botanica.
Sapete la caratteristica strana ma curiosa di questi animali? Essi non scappano davanti ai visitatori,
non li aggrediscono ma piuttosto si avvicinano facendo la gioia dei più piccoli. Così si comportano i
lama , le caprette tibetane, i daini.
38
Protagonista di questo paesaggio è il pavone con la sua ruota preziosa come un antico ventaglio.
Ma tanti altri sono gli animali curiosi e insoliti che popolano il parco della villa come il canguro,
abilissimo saltatore delle sterminate praterie dell’Oceania, la lontra, le zebre, l’alpaka e, nelle
voliere, i variopinti esemplari di calao e I pappagalli.
A completare questo paesaggio idilliaco e originale per gli ospiti che ne fanno parte, c’è oltre la
piccola torre che sorge lungo il percorso tra i fiori, un campo giochi fornito di scivoli, altalene e
perfino una graziosa casa della bambola ricavata da un grosso fungo.
Anche qui ci sono tanti amici animali e, fra i più disponibili al gioco, l’otaria e i pinguini.
39
I Giardini di Villa Anelli
di Oggebbio
Oggebbio è il nome collettivo di ben 15 frazioni che dal lago risalgono la fascia collinare fino a
raggiungere Piancavallo.
Due sono le componenti ambientali del comune: il lago e le montagne retrostanti.
E' raggiungibile in auto da Verbania o dal confine svizzero e in barca dal lago.
Il Comune di Oggebbio si trova a pochi chilometri da Intra sul Lago Maggiore ed è una località
turistica le cui frazioni presentano tutte qualche caratteristica particolare. Tra queste, la chiesa della
Natività della Vergine Cadesimo, la parrocchiale di Gonte che è il capoluogo del comune e
l'oratorio di Sant'Agata a Novaglio. Il campanile della parrocchiale di Gonte è alto ben 42 metri e al
suo interno c'è un crocifisso miracoloso legato ad una storia curiosa.
Questo crocifisso fino al Settecento si trovava in una chiesa milanese.
Gli abitanti di Oggebbio lo chiesero in dono lamentando l'assenza di un crocifisso nella loro chiesa.
Il crocifisso fu ceduto malvolentieri dai milanesi, fu rinchiuso in una botte piena per metà di vino e
trasportata in paese.
Ci spostiamo ora sulle sponde del lago Maggiore
dopo la località di Intra e in particolare
raggiungiamo Ghiffa, ridente località turistica
verso il confine svizzero e poi Oggebbio, al cui
comune appartiene anche la località di
Piancavallo.
Ma attenzione! Piancavallo non si trova sul lago
bensì a 1300 metri circa.
A Oggebbio visiteremo i giardini di Villa Anelli
che ospitano una ricca coltivazione di camelie,
alcune molto antiche e rare.
40
UN NOTAIO DAL POLLICE VERDE
L'impianto del giardino e la costruzione di villa Anelli risalgono al 1872 quando un antenato degli
Anelli, Carlo Berzio, notaio di Milano, si ritirò dalla professione e si stabilì sul lago.
I lavori iniziarono con la progettazione del giardino, in quanto l'uomo di legge ed esperto botanico
era più interessato al verde che alla costruzione dell'abitazione, risiedendo già in una bella villa
nella vicina frazione di Piazza.
La costruzione dell'edificio principale si rese necessaria in un secondo tempo (1875), per accudire
più da vicino le rare specie botaniche che all'inizio arricchirono il giardino all'inglese di gusto
romantico ma che non rifuggiva dall'elemento esotico.
L'INTERVENTO DELL'UOMO SULL'AMBIENTE NATURALE
Il notaio Carlo Berzio dovette affrontare una grande sfida con l'ambiente per realizzare il giardino
che aveva progettato.
L'ambiente naturale che si presentava ai suoi occhi non aveva mai subito l'intervento dell'uomo e si
mostrava, dunque, in maniera piuttosto “selvaggia”.
La forte pendenza del terreno sul quale sorgeva il giardino richiese interventi di terrazzamenti e la
realizzazione di sentieri e scalette.
Sul torrente (chiamato Rio Paradiso) che scorreva nella valletta sottostante alla villa e che
assicurava acqua e frescura alle piante, il notaio-architetto fece costruire due ponticelli.
Studiando con competenza le rocce e la conformazione del terreno, Carlo Berzio abbellì il giardino
con grotte, fontane e statue trasformando l'ambiente naturale in un luogo incantevole e molto vario.
Il giardino è famoso soprattutto per la grande varietà di camelie che lì sono raccolte, specie anche
molto rare.
41
ETIMOLOGIA di Camelia
Il nome camelia deriva dal cognome del gesuita G. J. Kamel (1661-1704), botanico boemo che,
secondo la tradizione, portò i primi esemplari di camelia dal Giappone in Europa.
In Giapponese, la camelia viene chiamata "Tsubaki", parola che in italiano richiama il significato di
"pianta dalle foglie spesse" o "pianta dalle foglie lucide".
IL GUSTO ORIENTALE E OCCIDENTALE
Gli orientali, nella scelta delle camelie preferivano la varietà dal fiore semplice con petali centrali
che coprono gli stami. Anche i samurai custodivano preziosamente queste piante. In Cina e in
Giappone le varietà più prestigiose erano riservate a ai nobili.
Gli europei hanno sempre preferito fiori dalle forme complesse con petali disposti a spirale come la
“Vergine di Collebeato” che è anche simbolo della Società Italiana della Camelia.
42
CENNI ALLA CAMELIA NELL'ARTE
Tra le opere letterarie più famose che vedono come protagonista questo fiore, la più famosa è
senz'altro “ La signora delle camelie ” del romanziere francese Alexandre Dumas . La protagonista
di questa vicenda è Marguerite Gautier , una donna molto affascinante che per venticinque giorni al
mese portava con sé una camelia bianca, negli altri cinque una camelia rossa perché non sopportava
il profumo penetrante di altri fiori. Il romanzo ebbe molto successo tanto che il famoso musicista
Giuseppe Verdi mise in musica la vicenda narrata da Dumas nell'opera lirica “ La traviata”.
PARTICOLARITA'
Le camelie presenti a Villa Anelli provengono da tutto il mondo e sono più di seicento qualità.
Tra gli esemplari più rari si può incontrare un tipo di camelia chiamata “Camelia reticulata ” che
proviene dalla Cina ed è uno dei pochi esemplari presenti in Europa.
Altre particolarità rendono unico il giardino di Villa Anelli: molte piante di camelia presentano
sullo stesso ramo fiori di forme e colori differenti; alcune specie, in alcuni periodi dell'anno, hanno
fiori talmente fitti che nascondono il verde della vegetazione.
Passeggiando per il giardino, possiamo incontrare alberi centenari come un esemplare di
“Metasequoia” che è tra i più vecchi d'Italia o, ancora, antiche piante di conifere che convivono
tranquillamente con esemplari esotici come la palma e il bambù.
43
La camelia è da lungo tempo considerata simbolo di legame d'amore, felicità, lunga vita,
matrimonio felice, fortuna, vittoria.
La camelia bianca esprime "eleganza eterna".
La camelia rossa è simbolo di "bellezza delicata e discreta”.
La camelia rosa promette: “Saprò tenerti non mi sfuggirai”
La camelia variegata è simbolo di amore, fede, speranza.
44
Giardino Botanico Alpinia
Il Giardino Botanico Alpinia si trova sulle colline sopra Stresa, sul lago Maggiore, poco distante da
Gignese, in località Alpino, con una vista ineguagliabile sul Golfo Borromeo.
Il giardino è raggiungibile da Stresa con una splendida e panoramica funivia che parte dal Lido di
Carciano e raggiunge la vetta del Mottarone, con una fermata intermedia ad Alpino, che dista solo
400 metri dal giardino.
In auto si sale da Baveno, da Stresa o dall’uscita di Brovello Carpugnino della A26, percorrendo la
strada che sale al Mottarone.
Lasciamo per ora il lago e saliamo a
circa 800 metri di quota per visitare
il particolare e spettacolare giardino
Alpinia, ma anche per ammirare un
panorama considerato a ragione tra i
più belli della nostra zona…
45
Il giardino si trova a 800 metri di quota e si estende su di una superficie di circa 40000 metri
quadrati con una balconata con ampia vista sul lago Maggiore, sulle isole Borromee, sul lago
d’Orta, su cinque laghi lombardi e sulle Alpi circostanti, italiane e svizzere, con un colpo d’occhio
che non ha eguali.
46
La zona su cui sorge è caratterizzata da un particolare microclima che mantiene la temperatura più
fresca nei mesi estivi e con un’umidità inferiore rispetto alle zone circostanti.
In inverno si copre facilmente di neve consentendo alle piantine di sopravvivere alla stagione fredda
protette dalla coltre bianca.
Rilevante è la presenza di una fonte di acqua oligominerale molto apprezzata.
Il giardino fu istituito nel 1934 per salvaguardare una zona particolarmente panoramica, il secondo
orto botanico alpino in Italia, per iniziativa dell’ingegnere Igino Ambrosiani e di Giuseppe Rossi.
Inizialmente il suo nome fu “Duxia”, nome che rimase fino al termine del periodo fascista.
Henry Correvon, fondatore nel 1889 del Giardino alpino “La Linnea” in Val d’Entremont
(Svizzera), in una conferenza tenuta a Milano nel 1934 presso l’aula Magna del liceo Beccaria,
affermò:
“Ho visto dove Duxia nasce, ho visto molti bei luoghi d’Europa e d’America, dichiaro che il
belvedere dell’Alpino è il più bello del mondo. Mi hanno detto che esagero, nego l’esagerazione.”
Nacque così una raccolta di flora alpina, dei cui esemplari si intendeva far conoscere le
caratteristiche e le possibilità di utilizzo.
47
La specializzazione principale di Alpinia è costituita da specie botaniche provenienti dal piano
alpino e subalpino delle Alpi.
Il giardino ospita, in una serie di giardini rocciosi, circa 700 specie, alcune delle quali assai rare,
tutte rigorosamente classificate.
Il periodo di fioritura va da marzo a ottobre.
In particolare evidenza sono le specie officinali, aromatiche e medicinali.
Gli studiosi sono ammessi alla consultazione di una biblioteca specializzata e di un archivio
fotografico.
48
Si possono osservare specie provenienti dal Caucaso, dalla Cina e dal Giappone.
Alcuni generi sono ben rappresentati, tra i quali: Artemisia, Campanula, Centaurea, Dianthus,
Geranium, Silene.
Sul lato est del giardino si sviluppa una comoda ed interessante passeggiata naturalistica che
consente di ammirare pregevoli esemplari di specie arboree ed arbustive.
Nel 1954 l’Ambrosiani abbandonò la direzione del giardino che conteneva già innumerevoli specie
di piante alpine.
Restano ancora le intenzioni del fondatore che ponevano l’accento, non tanto sui contenuti
scientifici del Giardino, quanto sulla bellezza del panorama e sulla poesia e amenità del luogo.
Attualmente il giardino è gestito da un Consorzio costituito da enti locali, e fa parte
dell’Associazione Ecomuseo del Lago d’Orta e del Mottarone.
Apertura da metà aprile a metà ottobre
49
Le Isole Borromee
Le isole Borromee rappresentano sicuramente le gemme di maggiore splendore di quella corona di
bellezze naturali che è il Verbano.
La natura le ha fatte emergere dalle acque, le ha ornate di scogli e ricoperte di vegetazione
lussureggiante.
L’arte le ha arricchite di palazzi e di capolavori che decorano le sale e i giardini.
Il piccolo arcipelago che emerge dalle azzurre acque del lago Maggiore di fronte a Stresa ha legato
la sua storia al nome dei Borromeo, che per secoli hanno governato queste terre.
Le isole che lo compongono: isola Madre, isola Bella, isola Superiore o isola Pescatori, isolino di
San Giovanni davanti a Verbania e un isolotto la Malghera, poco più di uno scoglio disabitato.
Dopo essermi riposato per un po’
all’ombra di un grande faggio,
riprendiamo il nostro viaggio!!!
Oggi ci imbarchiamo insieme per
visitare le belle isole Borromee…
Attenzione!
Potreste avere qualche problema di
stomaco se il lago è un po’
agitato...
50
Isola Madre
Il suo utilizzo da parte dell’uomo risale al Medioevo.
L’isola Madre è cosi chiamata perché è la più grande, con i suoi 330 metri di lunghezza per 220 di
larghezza, ma anche per la presenza di un’antichissima chiesa dedicata a di San Vittore, “matrice”
delle parrocchie delle isole vicine, documentata da una pergamena dell’846 che attesta anche la
presenza sull’isola di un uliveto.
Il palazzo fu costruito nel 1590 dal conte Renato Borromeo. Nel 1599 vi si rifugiò Carlo Emanuele
di Savoia scampando alla peste che allora infuriava in tutto il Piemonte.
L’isola è caratterizzata da un clima così favorevole da consentire la coltivazione di specie
botaniche di origine sub-tropicale. Per la sua vegetazione il giardino è considerato una tra i più
importanti ed antichi in Italia.
Venne iniziato seguendo la moda del pittoresco e successivamente trasformato all’inglese.
Particolarmente apprezzata è la fioritura primaverile di azalee, rododendri e camelie ma anche per i
pergolati di glicini, il secolare cipresso del Kashmir, le spalliere di cedri e limoni, la collezione di
ibiscus, il Ginkgo biloba.
Nel giardino, in piena libertà vivono pavoni bianchi, pappagalli e fagiani.
Isola Madre
51
Dal 1978 è aperto alle visite il Palazzo, del XVI secolo, particolarmente interessante per la
ricostruzione di ambienti d’epoca, per le collezioni di livree, bambole, porcellane e un’esposizione
eccezionale dei “Teatrini delle marionette” del ‘700/’800.
Isola Bella
È la più famosa delle isole dell’arcipelago, si trova a 400 metri dalla costa, è lunga 320 metri e larga
80.
L’isola Bella è detta anche Vitaliana perché fu il conte Vitaliano Borromeo che ideò la sua
trasformazione facendo costruire il palazzo e creare il giardino (1650-1671).
Il palazzo, di stile barocco, accessibile attraverso ampie gradinate, è una meraviglia per le sue linee
e racchiude inestimabili opere d’arte: arazzi, mobili, quadri, armature, sculture.
Si tratta di un edificio centrale a 4 piani e corpi laterali a tre piani, costruito a partire dal 1632.
Tra gli ambienti di maggiore interesse si segnalano: la Cappella, con sculture di età rinascimentale,
il Salone da ballo; la Sala dell’alcova; la Sala del trono; la Sala Napoleonica; la Sala della Musica,
sede della Conferenza di Stresa del 1935 tra Inghilterra, Francia e Italia, rappresentate
rispettivamente da Mac Donald, Laval e Mussolini.
Nei suoi sotterranei ci sono delle grotte di tufo, sistemate ad imitazione di quelle naturali, con le
pareti ricoperte di conchiglie marine, specchi di marmo nero, figure di ninfe e najadi. Le grotte sono
movimentate da finte stalattiti e vi sono esposti reperti archeologici della cultura di Golasecca e un
modellino con il progetto originario di sistemazione dell’isola.
I suoi giardini sono ricchi di piante e fiori rari e si sviluppano su terrazze sovrapposte riflettendo il
gusto tipico del periodo barocco del “giardino all’italiana”, dove la natura è considerata spettacolo
dal punto di vista scenografico che si rinnova continuamente.
Sono arricchiti da esedre, statue allegoriche e mitologiche, obelischi e fontane, pregiate essenze
arboree come cedri, aranci, limoni, magnolie, allori, camelie e conifere.
Nel caso dell’isola Bella, lo scopo era quello di evocare alla vista un vascello. Ci sono infatti dieci
terrazze a forma di tronco di piramide che viste dalle sponde del lago ricordano la forma di
un’imbarcazione.
In origine le terrazze erano ricoperte da aiuole di erbe e fiori con spalliere di sempreverdi e agrumi.
52
Con il passare del tempo, la crescita degli alberi ha donato all’isola un volto di “paradiso terrestre”.
A ridosso del palazzo e dei giardini rimane una parte del villaggio che occupava l’isola prima della
loro edificazione.
Isola Superiore o isola Pescatori
L’isola Pescatori deve il proprio nome alla attività, soprattutto in passato, dei suoi abitanti, la pesca
sul lago.
Essa è l’unica isola del golfo che non appartiene al patrimonio della famiglia Borromeo.
Il suo fascino è dato dalla semplicità e dal rustico candore delle sue case e delle strette viuzze che la
attraversano.
Il borgo si stringe intorno al campanile della chiesa sorta in luogo di una chiesa romanica. Ampliata
nel 1300 e poi nel 1600, custodisce un pregevole affresco del ‘500 e i busti lignei di Pietro e
Andrea, gli apostoli patroni dei pescatori.
L’isola lunga 300 metri e larga 100 metri appena, un tempo era selvaggia e abitata solo da pescatori.
Isola Pescatori
53
Vicoli antichi, ristorantini tipici, scorci improvvisi, ripide scalinate a ciottoli sono la sua
caratteristica che la rendono rifugio per animi romantici in cerca di emozioni, artisti e sognatori.
Ottimi sono i ristoranti che offrono l’opportunità di gustare il pesce di lago.
Il centro abitato dell’isola, di impronta medievale, in alta stagione è affollato da turisti, che si
aggirano tra negozi e bancarelle, in un saliscendi di battelli e barche.
L’isola ha avuto ospiti illustri come il grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini, che era solito
frequentare il più noto ristorante dell’isola, il violinista Ugo Ara, il compositore Ildebrando Pizzetti.
Nel 1935 arrivarono per la Conferenza di Stresa alcuni grandi protagonisti della storia politica
internazionale di quel tempo, giunti sull’isola al solo scopo di gustare i deliziosi e famosi filetti di
pesce persico. Infatti la cucina di queste isole si basa principalmente sull’utilizzo del pesce di acqua
dolce: persici, alborelle, trote, salmerini, lucci e coregoni che compaiono in ottimi risotti e in
delicate pietanze.
L’isola è abitata tutto l’anno da una cinquantina di residenti stabili. Le particolari condizioni di vita
spingono i pochi abitanti ad una grande solidarietà spontanea in caso di necessità.
La pesca, un tempo attività principale, è ancora praticata da alcune famiglie. Sulla striscia di terra
alberata con cui termina l’isola ci sono ancora alcuni elementi in ferro un tempo usati come
supporto per le reti. Nel piccolo porto si conservano i resti di una caldaia utilizzata un tempo per
tingere le reti perchè il colore delle reti varia a seconda dell’uso.
Inoltre l’isola è popolata da molti gatti, ben integrati in questo ambiente tranquillo e privo di
pericoli.
54
Con i primi caldi si svegliano anche i rospi che si possono vedere sotto i lampioni nelle calde serate
estive. Spettacolare, nel mese di luglio, la quantità di piccoli rospetti, non più grandi di un fagiolo,
che saltellando invadono le stradine. Non mancano gabbiani, germani reali, cigni e rondini.
Nella sua millenaria storia, l’Isola Pescatori è stata probabilmente testimone dell’omicidio di un
Santo Arialdo ucciso all’Isola Madre.
Ma alcuni lumi sul lago insospettirono i pescatori, cosi gli assassini, temendo di venire scoperti,
trasportarono il cadavere all’Isolotto di San Giovanni, di fronte a Pallanza, perché era disabitato e
lontano dalle altre isole.
Sembra che questo accadde intorno al 1066: anche il Vescovo Carlo Bascapè nel suo libro “ la
Novaria Sacra “ nel ‘600 ricorda il triste evento.
Gli isolani conservano ancora alcune loro feste tradizionali. La più rinomata è quella di Ferragosto
che si conclude a sera con la processione delle barche illuminate che portano la bella statua
dell’Assunta attorno all’Isola.
La sera precedente un grandissimo falò illumina di bagliori la notte sul lago.
Per Carnevale l’appuntamento è a riva dove si snoda una lunga tavolata attorno alla quale gli isolani
si riuniscono per gustare una buona polenta e un bel bicchiere di vino rosso. La sera della vigilia
dell’Epifania tutti i bambini sono impegnati a svegliare la Befana con la “carca vegia” essi corrono
per tutta l’Isola trascinandosi dietro, legate ad una corda, latte, marmitte, coperchi e tutto ciò che
rotolando produce rumore.
Isola Pescatori
55
Un fenomeno, che in genere si verifica in autunno e in primavera, è quello dell’acqua alta. In
seguito ad abbondanti precipitazioni, il livello del lago sale invadendo passeggiate, case, alberghi e
negozi. Ma le vecchie abitazioni dimostrano una grande saggezza architettonica. Le soglie sono
sempre collocate nelle stradine interne a livelli rialzati rispetto alla riva in modo che l’acqua non
entra nelle case.
Le abbondanti piogge portano nel lago tronchi di alberi che galleggiano sulle acque in mezzo a
grandi macchie di vegetazione secca e divelta, trascinata a valle da fiumi e torrenti che sfociano nel
lago. Questo fenomeno viene chiamato la Buzza. La legna tagliata ed accatastata, fatta asciugare al
sole costituisce una preziosa risorsa per l’inverno.
Tutte le isole sono esposte ai “quattro venti” che qui sul lago hanno un loro nome che li distingue
per la provenienza:
il Mergozzo proviene dal vicino lago omonimo e batte la sponda occidentale;
il Maggiore soffia impetuoso dalla Svizzera sulla sponda orientale;
l’Inverna muovendosi in direzione opposta al Mergozzo, increspa leggermente il lago e si dice porti
il bel tempo.
Isola Bella
Isola Bella
56
I SACRI MONTI
I Sacri Monti sono particolari itinerari devozionali sorti nei secoli passati, cui oggi è riconosciuto un
valore storico, artistico e culturale.
Per “Sacro Monte” si intende un complesso articolato di cappelle, disposte secondo un ordine ben
preciso che talvolta si conclude nei pressi di un santuario preesistente o in luoghi già sede di forme
spontanee di devozione o di culto.
All’interno delle cappelle sono raffigurati, in pittura e scultura, episodi della storia sacra, le vicende
della vita di Cristo, della Vergine o dei Santi.
I protagonisti delle singole rappresentazioni sono effigiati a grandezza naturale con statue di terracotta
policroma e lignee, in genere caratterizzate da notevole realismo, su un fondale dipinto costituito dalle
pareti della stessa cappella che li ospita.
Lasciamo le isole e torniamo sulla terra
ferma…andiamo in un posto molto bello,
tranquillo e particolare.
Visiteremo il Sacro Monte di Ghiffa,
graziosa località che incontriamo poco dopo
Intra percorrendo la statale 32 che porta
verso il confine svizzero.
Prima di iniziare il cammino intanto che
prendiamo un po’ di fiato vi do alcune
informazioni sui Sacri Monti…
Statue al Sacro
Monte Calvario di
Domodossola
57
Il fenomeno affonda le proprie radici nel Medioevo con le rappresentazioni sacre, i laudari e le
processioni in costume, ma trova la sua realizzazione più compiuta e coerente nell’età della
Controriforma, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento.
In questo periodo ogni tipo di espressione artistica deve coinvolgere lo spettatore nella scena che si svolge
davanti ai suoi occhi per istruirlo e per rafforzare il suo sentimento religioso.
Nelle zone maggiormente minacciate dal diffondersi dell’eresia luterana, seguendo le indicazioni emerse
dal Concilio di Trento, viene promossa la trasformazione di alcuni luoghi già sede di devozione.
Il primo Sacro Monte realizzato è stato quello di Varallo, in Valsesia.
In realtà esso è nato con intenti profondamente diversi dagli altri, sul finire del Quattrocento, quando un
frate francescano al ritorno dalla Terra Santa, pensò di costruire sulla collina sopra a Varallo alcuni luoghi
che rappresentassero la Palestina, come Nazaret e Betlemme.
Sul finire del Cinquecento anche questo Sacro Monte fu influenzato dai grandi cambiamenti avvenuti in
campo religioso subendo radicali trasformazioni.
I Sacri Monti si concentrano in prevalenza in Piemonte e in Lombardia soprattutto nella zona di influenza
della diocesi milanese, ma sono presenti anche in Toscana, Canton Ticino, Francia, Portogallo, Polonia,
Germania, Ungheria ed in altre zone d’Europa.
La loro collocazione geografica fa pensare ad una barriera posta a ridosso delle Alpi, per arginare la
dilagante Riforma protestante.
L’Edificazione del Sacro Monte fu soprattutto un grande evento di comunicazione, un’opera mirata della
Chiesa per fornire insegnamenti.
Nel Medio Evo un uomo vedeva, nel corso della sua vita, circa 400 immagini.
Quindi le immagini assumevano ulteriore rilevanza perché fruite da persone per lo più analfabete.
I Sacri Monti ci mostrano una grande opera di comunicazione che nasce dalla cura del generale e del
particolare.
Un sacro che potesse “essere visto”, un teatro immobile ma palpitante di emozioni, per rivivere attraverso
quelle figure, quegli scenari, le emozioni “forti” del racconto della vita di Gesù o di un santo.
Nella storia più recente è stata decisiva la trasformazione dei Sacri Monti in Parchi o Riserve naturali,
riconoscendone il valore di luogo di devozione e preghiera ma anche sotto il profilo architettonico,
artistico, paesaggistico e naturalistico.
La freschezza dei paesaggi, il silenzio dei sentieri nei boschi, i ghigni, le smorfie, i gesti di centinaia di
statue fanno di questi luoghi simboli perfetti di sintesi tra natura e cultura.
I Sacri Monti, con un linguaggio attuale, potrebbero essere definiti “operazioni di comunicazione” per
pellegrini alla ricerca del mistero e della fede.
Infatti, il popolo che sale gli scalini, si affaccia alle grate e prega, è ad un tempo un popolo “di santi e
peccatori insieme, che prestano i loro volti, i loro atteggiamenti di ira o di pietà, di misericordia,
d’orgoglio, di violenza, di prepotenza o di sottomissione”, gli stessi peccati, santità o passioni che
raccontano le statue.
I Sacri Monti sono lì ad aspettare anche l’uomo di oggi, come hanno atteso le schiere immense di uomini
e donne che vi si sono recati in pellegrinaggio nei secoli alla ricerca del Mistero.
58
La nostra provincia è suddivisa in tre diverse aree da cui prende il nome VCO, cioè l’area del Verbano o
Lago Maggiore, l’area del Cusio o Lago d’Orta e l’area dell’Ossola con Domodossola e le sue valli.
Nella nostra provincia abbiamo:
la SS. Trinità di Ghiffa nel Verbano e il Sacro Monte Calvario nell’Ossola.
Vi porto oggi a vedere il Sacro Monte di Ghiffa
IL SACRO MONTE DELLA SS. TRINITA’ DI GHIFFA
RISERVA NATURALE SPECIALE dal 1987
Superficie: 198 ettari.
Il Santuario della Trinità nel Comune di Griffa, che sorge a mezza costa, lungo le pendici del monte
Carciago, sopra la frazione di Ronco, ha sempre costituito meta di frequenti pellegrinaggi.
Il ricco bosco di castagni nel quale è immerso, i filari di tigli che ne adornano i piazzali, il terrazzo
panoramico verso il lago, l’intima fusione della sua architettura con la componente naturale, i dislivelli di
quota e la presenza di rocce affioranti, imprimono un particolare fascino e fanno di questo complesso non
solo un insieme di grande interesse architettonico ed ambientale, ma anche il grande valore paesaggistico.
Anche a Ghiffa l’attrazione del Sacro Monte è connessa all’esistenza di un precedente luogo di culto,
l’oratorio della SS. Trinità ove si venerava la miracolosa “effigie trifonte di Cristo.”
Tra la fine del XVII secolo e la metà del XVIII si volle realizzare, intorno all’oratorio un Sacro Monte
che rappresentasse alcuni episodi dell’Antico e Nuovo Testamento.
Tra i Sacri Monti allora esistenti, quello della SS. Trinità si ispirò al modello gia realizzato nei pressi di
Varese, più che a quello piemontese di Varallo. Infatti, venuta meno in questa zona l’influenza della
Chiesa novarese, si affermò con maggiore forza nell’area del lago Maggiore, il prestigio dei Borromeo
quindi l’influenza della Chiesa lombarda.
59
Questo Sacro Monte si compone di cinque edifici, variamente ubicati sul terreno ed a quote differenti: la
Chiesa della SS. Trinità, il portico della Via Crucis, la Cappella della Incoronazione della Vergine, la
Cappella di S. Giovanni e la Cappella di Abramo.
Rimangono tutt’ora ignoti sia gli ideatori sia gli artefici del complesso monumentale seicentesco.
Peculiarità di questo Sacro Monte sono sia il suo essere “in costruzione”, iniziato, ma mai concluso, sia
l’essere il luogo, un’estesa area boschiva con un ampia radura ove sorge il complesso.
Per lungo tempo fu luogo di feste religiose ma anche luogo di sosta, di incontro, di mercato, un po’ la
piazza per i paesi circostanti.
Gli edifici religiosi sono stati posti al centro della fitta rete di mulattiere, un tempo l’unico collegamento
fra il lago e la montagna; la zona era allora costituita da aree destinate al pascolo e terreni coltivabili a
vite.
Dopo la costruzione della strada e mutate le vie di comunicazione, i pascoli e i campi furono abbandonati.
Presto il bosco si impadronì nuovamente del territorio.
È un bosco con predominanza di castagno, accompagnato da altre latifoglie tra cui querce, tigli, aceri,
frassini, ontani e betulle. Fra le specie arbustive si trovano: tasso, agrifoglio, pungitopo e lauroceraso.
Vi si trova una discreta varietà di mammiferi: caprioli, cinghiali, tassi, scoiattoli rossi, lepri ed altri
ancora, nonché rettili e anfibi. Ma soprattutto è molto ricca la avifauna che trova tra gli altri alcune varietà
di: picchi, usignoli, ghiandaie, poiane, gufi e barbagianni.
Attualmente il Parco è percorso da vari sentieri ed è dotato di un “percorso vita”.
La sua principale caratteristica rispetto agli altri Sacri Monti è di essere stato realizzato in scala più
modesta e in formula “paesana”.
Tuttavia lo qualificano la serenità e la mistica suggestione del luogo sacro, il silenzio ed il valore
dell’ambiente in cui è immerso.
Una curiosità: sul lato nord della chiesa, fu costruito nel 1728 l’alloggio del romito, incaricato della
custodia del santuario.
Il primo eremita apparteneva all’ordine dei Trinitari, religiosi della SS. Trinità fondato nel 1198.
A questo romito è stata dedicata nel dialetto ghiffese una simpatica e tenera poesia che riassume in breve
la sua vicenda umana al Sacro Monte.
60
Eccone la traduzione:
Il Romito
era un omino,
non tanto grande
né grasso né magro,
con due occhi da furetto,
e abitava su alla Trinità
nei locali della Chiesa.
Viveva con quello
che la gente gli dava,
e lui,
povero ometto,
ringraziava sempre
allo stesso modo:
“un requiem per i vostri poveri morti”.
Non dava fastidio a nessuno,
anzi aggiustava qualche paio di scarpe,
insomma faceva un po’ da calzolaio.
Ogni tanto si vestiva
come un prete,
perché (secondo lui) era più vicino al Signore,
e andava in giro per il paese
dicendo di prepararsi perché
stava arrivando la fine del mondo.
Tutti i giorni che passavano
era sempre peggio,
finché un bel giorno (povero Romito)
hanno dovuto prenderlo e portarlo a Novara,
in mezzo a tutti quelli che
hanno perso la testa,
e da li non è più tornato indietro.
Chissà
povero uomo,
prima di morire quanto avrà pensato
alla sua Trinità,
e alla sua beata solitudine
in tutti quegli anni che da solo
ha vissuto nei locali del santuario.
Povero Romito,
lui è morto,
e la fine del mondo non è ancora arrivata.
61
La chiesa della Madonna di Campagna
a Pallanza
A nord di Pallanza, in posizione comoda da raggiungere anche dalle località di Suna e Intra, ai piedi
del Monte Rosso, sorge la celebre e bella struttura della Madonna di Campagna, dedicata a Maria
Assunta.
Il monumento è anche oggi, almeno in parte, tra il verde della campagna.
Continuiamo a pensare un po’ anche allo
spirito…rimaniamo tra il verde, l’arte, la
storia! Seguitemi e vi porterò a vedere la
spettacolare chiesa di Madonna di
Campagna a Pallanza.
Non sarà un percorso faticoso ma
sicuramente piacevole ed interessante.
62
Ai tempi della precedente chiesa medievale, e poi ancora per quattro secoli dopo la riedificazione,
in quella zona il verde regnava solenne e indisturbato.
Per questa sua ubicazione già la preesistente chiesa aveva la definizione di campestre. Infatti in un
documento del 1341 viene indicata come Santa Maria de Egro cioè di campagna.
Pur mantenendo un solido legame con la tradizione romanico - gotica, rappresenta la più
significativa realizzazione di età rinascimentale nella zona del verbano.
L’edificio attuale venne costruito tra il 1519 e il 1527 sull’area ove già sorgeva una chiesa più
antica, conservando il campanile romanico dell’XI secolo, con l’aggiunta di una nuova cella
campanaria.
Alla direzione del cantiere prese parte l’architetto Giovanni Beretta di Brissago, la cui opera è
riconoscibile anche nella chiesa di San Leonardo sempre a Pallanza.
Madonna di Campagna è a tre navate di quattro campate ciascuna, divise da colonne ottagonali in
serizzo, materiale estrattivo dell’Ossola.
Una quinta campata costituisce la parte presbiteriale e si conclude con absidi semicircolari.
L’abside centrale si trova all’esterno ed è poligonale.
Al centro del presbiterio si trova la luminosa cupola a spicchi rivestita da un tiburio ottagonale e da
un elegante loggiato bramantesco. Alla sommità è posta una lanterna pure ottagonale.
La facciata è a capanna con un rosone centrale, rivestita con blocchi squadrati di serizzo e appare di
gusto tardo gotico.
Al centro si apre un portale in pietra calcarea con architrave la cui struttura esterna è ad archivolta
sormontata da un timpano: le superfici sono suddivise in formelle con vari motivi decorativi e
simbolici come l’Agnello nella chiave di volta.
Il rosone e le due finestre monofore laterali sono in pietra d’Angera.
63
La consacrazione della nuova chiesa risale al 1547. La decorazione interna fu realizzata, ma non
conclusa, solo nei decenni successivi e nella prima metà del Seicento.
Le prime pitture in ordine di tempo sono quelle degli spicchi della cupola; esse raffigurano i quattro
Dottori della Chiesa intervallati da coppie di Angeli.
Un’attenzione particolare merita la seconda cappella laterale sinistra, detta “Della Madonna delle
Grazie”, con al centro l’affresco della Madonna del Latte del XV secolo, proveniente dalla chiesa
più antica. Raffigura la Madonna in trono, incoronata e con l’aureola che allatta il bambino, già
grandicello e vestito. Questo della “Madonna del latte” è un motivo pittorico che ricorre spesso
nell’iconografia sacra, particolarmente in quella senese, del Duecento e del Trecento. Di quale
epoca sia l’affresco non si può precisare: probabilmente è del Trecento, forse ritoccato e arricchito
nel secolo successivo.
Fu chiamata Madonna dei Miracoli e più tardi delle Grazie perché i fedeli la ritenevano miracolosa.
In passato, come noto, abbondavano i santuari frequentati dagli abitanti del luogo e delle zone
vicine. In quei tempi non c’era la possibilità, come oggi, di spostarsi agevolmente in poche ore a
santuari prestigiosi quali Lourdes, Pompei o Caravaggio. Per questo, quasi in ogni angolo di
provincia v’era un immagine o una reliquia che richiamavano il culto dei fedeli.
Nei primi anni del Cinquecento i parrocchiani della Madonna di Campagna espressero il desiderio
di ricostruire più bella e grandiosa la loro chiesa.
L’ornamentazione pittorica e plastica furono eseguite tra il 1594 e 1596 e sicuramente il livello
artistico più elevato è raggiunto dalle cinque tele dipinte a olio.
Sempre negli ultimi decenni del Cinquecento l’abside si è arricchita di due vetrate dipinte che
illustrano l’Annunciazione e del coro ligneo suddiviso in 13 stalli.
Altre sculture lignee di pregevole fattura si aggiunsero nel seicento: il leggio, il pulpito e la
copertura del fonte battesimale.
64
Nella parete laterale destra, dopo la nicchia che ospita un Crocefisso ligneo del XVI secolo, si apre
la cappella di Santa Marta, con una raffinata decorazione a stucco.
Nel battistero è stata recentemente collocata la Deposizione della Croce, un olio su tela del 1920.
L’intero complesso monumentale comprende inoltre alcune costruzioni meno pretenziose che sono
evidenti aggiunte posteriori. A nord della chiesa troviamo un edificio di inizio XVII secolo, già sede
di un seminario e poi canonica con antistante cortiletto; una casetta addossata sulla parete a sud tra
l’abside e il campanile, funge da sacrestia con locale soprastante per le riunioni delle confraternite,
e verso mezzogiorno, un minuscolo camposanto, che tale rimase sino all’inizio del secolo scorso.
A sud si trova un ossario settecentesco, oggi trasformato in archivio e piccolo museo che faceva
appunto parte del cimitero.
L’edicola, di forma ottagonale, che sta a lato della facciata della chiesa ha due ampie finestre
protette con inferriate di antica lavorazione barocca.
65
Il campanile, è sul fianco a mezzogiorno della chiesa mentre la cupola con la loggia del tiburio a
otto facce simmetriche appare bellamente affiancata o, a seconda del punto d’osservazione, fa da
sfondo al campanile. Sono due epoche, due gusti, due stili che si accompagnano con armonia.
Il campanile è romanico: c’era nella preesistente chiesa medioevale e tale è rimasto. È una torre
relativamente alta e snella, su pianta quadrata; la cella campanaria fu aggiunta successivamente, ma
le bifore romaniche sono autentiche e appartengono alla prima costruzione.
Elementi che conferiscono al tiburio un aspetto tipicamente rinascimentale, proprio del primo
Cinquecento, che è stato da taluni definito “bramantesco” per la somiglianza con alcune architetture
del celebre artista marchigiano.
Il tiburio ha infatti un doppio ordine di pilastrini, la loggia emerge dalla massa con slancio
conferendo alla cupola un senso di leggerezza. Il motivo è ripreso anche dalle colonnine che
circondano la sovrastante lanterna.
66
Una curiosità: questo splendido monumento fu al centro di furiose dispute tra gli abitanti di Suna e
quelli di Pallanza che ne rivendicavano la proprietà tanto da arrivare persino a violente “risse con
coltelli”.
67
Cannero e i suoi Castelli
Cannero è una località che si trova su di un promontorio che penetra le acque del lago Maggiore, un
ambiente dal clima mite per effetto delle acque del grande lago prealpino e delle montagne
protettrici alle sue spalle. Un clima che permette la crescita di cedri e limoni, una vera riviera
mediterranea tra le montagne.
Qui gli inverni sono piuttosto miti e le stagioni sono molto simili a quelle delle località sul mare.
Subito alle spalle di Cannero sale ripido un monte molto boscoso, ricco di vitigni e castagneti su cui
sono incastonati come gemme graziosi piccoli paesini, tutti ben raggiungibili con strade. Villaggi
dove gli abitanti hanno saputo usare la montagna per ricavarne coltivazioni.
Un ambiente dove dominano le rocce e l’acqua.
Il suo nome infatti è legato all’acqua: dal celtico Cenn in ar che starebbe a significare punta
sull’acqua, oppure dal latino Canore o Canerum, canneto. Il secondo nome Riviera è stato aggiunto
nel 1947.
Ci spostiamo verso la parte finale del
nostro bel lago Maggiore, che a poco a
poco abbiamo iniziato a conoscere,
seguiamo la statale che porta verso il
confine di stato con la Svizzera…ci
fermiamo poco prima…in una località
molto gradevole sia come ambiente sia
come clima: Cannero Riviera.
Di fronte troveremo i resti dei
“misteriosi” castelli!
68
Cannero sorge su una piana alluvionale formata dalle piene dell’omonimo torrente, in millenni di
trasporto di materiale verso il lago. Nel 1829 ci fu una disastrosa esondazione che distrusse la
chiesa parrocchiale, successivamente ricostruita più a monte.
Fino a pochi decenni fa era molto praticata la pesca, soprattutto da parte di pescatori appartenenti a
famiglie locali. Oggi invece è diffusa la pesca sportiva, anche da parte di turisti.
La fertilità del terreno e il clima salubre hanno da sempre favorito insediamenti umani sulle sponde.
69
Dal XV secolo in poi, come tutta la zona del lago, anche Cannero fu soggetta per molti secoli, al
Ducato di Milano.
Nel 1524, il villaggio allora esistente fu completamente distrutto dagli Sforza, potente famiglia
milanese, per punire la fedeltà di queste terre alla famiglia nemica dei Visconti.
Un episodio storico fu la partecipazione del popolo alle Guerre di Indipendenza, ricordate anche da
una lapide dedicata a Giuseppe Garibaldi.
Laura Mantegazza detta la “Garibaldina senza fucile” diede più volte ospitalità al grande
condottiero nella sua villa “Sabbioncella”, che si trova proprio di fronte ai Castelli.
Anche un altro celebre personaggio del Risorgimento, Massimo d’Azeglio, fece costruire una
grande villa dove, nella grande quiete del lago scrisse “I miei ricordi”.
La dolcezza e la serenità del luogo attrassero, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento,
importanti personaggi da tutta Europa come la regina d’Inghilterra, alcuni lord britannici, Winston
Churcil, Galileo Ferrarsi.
Ancora oggi su di un lungolago signorile si affacciano alberghi e ristoranti, molto attenti alla
tradizionale cucina lacustre, un’ampia e ben attrezzata spiaggia, un moderno centro sportivo e un
attivo centro canottiero.
70
Cannero tuttavia non è sempre stata solo turismo. Una intensa stagione industriale ebbe il suo centro
nello spazzolificio “Verbania”, le cui spazzole erano vendute in tutto il mondo.
Generazioni di immigrati soprattutto dal Veneto e dall’Emilia Romagna arrivarono qui proprio per
lavorare nello stabilimento, ormai chiuso dal 1975 ed attualmente trasformato in residence.
Tramontata la stagione industriale, oggi Cannero vive di turismo e di frontalierato data la vicinanza
con la Svizzera.
Alle sue spalle una grande rete di sentieri sulla montagna offre possibilità per numerose piacevoli
passeggiate, sentieri e mulattiere che percorrono i boschi e collegano diversi villaggi. Percorrendo
queste antiche vie è possibile ancora oggi leggere il passato contadino, l’agricoltura e l’allevamento
di un tempo ormai alle spalle.
Lungo il sentiero che collega la località di Oggiogno con Trarego è ancora ben visibile una grotta –
ghiacciaia. È un locale scavato nel terreno e rinforzato con pile di sassi che si trova in un luogo ben
ombreggiato e particolarmente fresco. Durante le nevicate invernali, un tempo, vi si accumulavano
grandi quantità di neve che fortemente pressata nella grotta si induriva fino a diventare un blocco di
ghiaccio. Il lento scioglimento del blocco di ghiaccio permetteva di conservare, in assenza di
frigoriferi, le carni macellate per il fabbisogno locale.
I Castelli di Cannero
Davanti a Cannero, anche se leggermente spostati, ci sono due isolotti ed uno scoglio, abbastanza
vicini alla riva, su cui si trovano i resti dei suggestivi castelli cinquecenteschi.
La storia di questi castelli è in effetti piuttosto complicata.
Dapprima, con il nome di Castello della Malaga, furono rocca – rifugio di cinque terribili fratelli, i
Mazzarditi (XV secolo) che con le loro imprese terrorizzavano i pacifici abitanti dei paesi
rivieraschi.
I fratelli Mazzarditi, all’audacia brigantesca e ad un certo genio strategico non seppero accoppiare
un minimo di iniziativa politica che avrebbe potuto trasformare le loro conquiste territoriali in una
vera organizzazione feudale.
In un secondo tempo, la rocca fu assediata, conquistata e poi rasa al suolo dal Duca Filippo Maria
Visconti.
71
Nel 1519 il conte Ludovico Borromeo, intraprese ad edificare sulle fondamenta della Malpaga,
quella rocca Vitaliana i cui ruderi pittoreschi e massicci ancora resistono.
Con il nome “La Vitaliana” divennero abitazione – fortezza della famiglia Borromeo, i signori del
lago, costruita nel XVI secolo per difendere le loro proprietà.
Questi isolotti furono testimoni, in quest’epoca, dei rapporti più o meno burrascosi tra Ludovico
Borromeo e le armate francesi, spagnole e sforzesche.
Da ultimo, abbandonati ad un lento declino, i castelli divennero covo di contrabbandieri e di falsari
e poi agrumeto e conigliera della famiglia Borromeo nel lontano 1645.
Tuttavia nel tempo non persero il loro fascino: la principessa di Galles, nel 1815, li avrebbe voluti
trasformare in residenza estiva; Garibaldi nel 1848 vi trovò rifugio durante la sua fuga verso la villa
dell’amica Laura; Pietro Milani li costeggiava con il suo battello a vapore.
Ancora oggi i loro resti un po’ spettrali e un po’ romantici danno al visitatore un’occasione di
piacere per la vista e un momento di ritorno con il pensiero al loro difficile e burrascoso passato.
72
Concludiamo con le parole di Piero Chiara nel racconto “Fioriva una rosa”:
- E cosa c’è dietro i castelli?
- Niente: rovine, scale rotte, stanze dove i pescatori stendono le reti ad asciugare, archi di
muro, qualche stanza vuota con dei residui di affreschi.