>> Cheratoplastica lamellare descemetica enzimatica: studio pilota
>> Cheratoplastica in Day Hospital: un'esperienza decennale
>> Chirurgia della cataratta e pressione intraoculare post-operatoria
>> Viscomateriale con effetto “scavenger”
>> Synchrony e Crystalens AO: studio UBM della pseudoaccomodazione con lenti
>> Degenerazione maculare atrofi ca e fattori di crescita
>> Terapia combinata con fotodinamica- verterporfi rina e Ranibizumab versus monoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell'AMD essudativa. 12 mesi di follow-up
>> Vitrectomia 23 gauge suturless e uso di lente Sclerale Quotidiana Aloe
>> Utilizzo del triamcinolone acetonide in chirurgia oculare
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ATTENZIONE: Per informazioni complete sulle modalità di prescrizione, fare riferimento alle Informazioni per il medico.
>> Cheratoplastica lamellare descemetica enzimatica: studio pilota
>> Cheratoplastica in Day Hospital: un'esperienza decennale
>> Chirurgia della cataratta e pressione intraoculare
>> Viscomateriale con effetto scavenger
>> Synchrony e Crystalens AO: studio UBM della pseudoaccomodazione con lenti
>> Degenerazione maculare atrofi ca e fattori di crescita. Case report
>> Terapia combinata con fotodinamica- verterporfi rina e ranibizumav versus monoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell'AMD essudativo: 12 mesi di follow-up
>> Vitrectomia 23 gauge suturless e uso di lente Sclerale Quotidiana Aloe
>> Utilizzo del triamcinolone acetonide in chirurgia oculare
Editoriale 3Vittorio Picardo
LE VISCO INTERVISTE Intervista a... Donald Tan 4
Cheratoplastica lamellare descemetica enzimatica: studio pilota 8Paolo Bonci, Andrea Saitta, Paola Bonci
RISULTATI DI UN’ESPERIENZA Cheratoplastica in Day Hospital: un’esperienza decennale 14Alessandro Galan, Velika Deligianni
GIRO D’ITALIA Una giornata con... Simonetta Morselli 18
Chirurgia della cataratta e pressione intraoculare post-operatoria 22Luigi Vitale, Giovanni Acerbi, Paola Lencarelli
ESPERIENZA PERSONALE Viscomateriale con effetto “scavenger” 26Vittorio Picardo, Patrizia Vincenti, Edoardo Stagni, Vincenzo Cannemi
Synchrony e Crystalens AO: studio UBM della pseudoaccomodazione con lenti 32Marina Modesti, Maria Trinchi, Roberto Muscella, Giacomo Pasqualitto
GIRO D’ITALIA Una giornata con... Antonio Scialdone 36
Degenerazione maculare atrofi ca e fattori di crescita 40Paolo Limoli, Sergio Z. Scalinci, Filippo Tassi, Laura D’Amato, Giulia Corradetti
Terapia combinata con fotodinamica-verterporfi rina e Ranibizumab versusmonoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell’AMD essudativa: 12 mesi di follow-up 44Rosalia Giustolisi, Nicoletta Fantozzi, Mariateresa Staltari, Jessica Marchiori,Olga Mastrangelo, Paola Mazzotta, Federica Mirra, Corrado Balacco Gabrieli
ESPERIENZA PERSONALE Vitrectomia 23 gauge suturless e uso di lente Sclerale Quotidiana Aloe 52Alberto Montericcio
CASO CLINICO Occlusione venosa retinica e coroidite serpiginosa. Case Report 56Vito Gasparri, Giovanni Catarinelli, Enza Pirozzi, Carlo Monaco
Utilizzo del triamcinolone acetonide in chirurgia oculare 60Cesare Forlini, Adriana Bratu, Matteo Forlini, Paolo Rossini
LE VISCO INTERVISTE Intervista a... Massimo Camellin 66
NEWS DALLE AZIENDE Un fl usso laminare mobile per ridurre il rischio di un’infezione in oftalmologia Normeditec 70
ISSN 0349 - 61
Anno XXVIN. 2 • 2011contiene I.P.
Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 335 del 14-06-1986
Fabiano Group srlReg. S. Giovanni, 40 - 14053 Canelli (AT)Tel. 0141 827802 - Fax 0141 827830e-mail: [email protected]
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monoterapia con Ranibizumab neltrattamento dell'AMD essudativo:12 mesi di follow-up
>> Vitrectomia 23 gauge suturless e usodi lente Sclerale Quotidiana Aloe
>> Utilizzo del triamcinolone acetonidein chirurgia oculare
monoterapia con Ranibizumab nel
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Momenti diffi cili nella Sanità italiana con tagli di qua e di là, Ospedali che ven-gono chiusi o come si dice “riconvertiti”, Ambulatori ASL sempre più affollati e mal attrezzati.Disposizioni di Legge e amministrative che tentano di accorpare le Strutture, creazione di gare per vaste aree, limitazioni nell’uso di farmaci, protocolli sempre più rigidi…Uffa!Mi ero laureato per fare il Medico e la burocrazia da un po’ mi soffoca.E immagino cosa avvenga per i Colleghi che lavorano negli Ospedali pubblici, dove oggi un manager, domani un altro, ti cambiano le carte in tavola, ti affondano un acquisto, ti sottraggono personale, ti tolgono ambienti e, qualora ti concedano qual-cosa, te la fanno sudare per tanto tempo.Quando fi nirà tutto ciò?Non lo so, ma certo mi rendo conto che ognuno di noi deve fare la sua parte, cercan-do di svolgere al meglio il proprio ruolo, aiutando lo Stato a contenere alcune spese inutili, a non infi erire sulle Aziende, chiedendo troppi aiuti per “elementi accessori”, come nelle attività congressuali.Di fatto, dovremmo tutti quanti sentirci più responsabili e cercare di capire che di questi tempi, va difeso ciò che serve e ridotto o meglio eliminato il superfl uo.E continuo a ripetere che i congressi sono troppi e che la loro riduzione sarebbe una vera svolta perché oltre che ridurre i costi, ci consentirebbe di portare dati clinici su casistiche più ampie e su follow-up più signifi cativi e prolungati.Lo so che sono fuori dal coro e che posso sembrare uno sciocco e un sognatore.Ma dobbiamo pur rifl ettere un po’ tutti!Anche il mondo del farmaco vive la sua crisi per le continue modifi che sul prezzo dei farmaci generici rispetto agli specialistici di Aziende rinomate e così si rincorre al ribas-so del prezzo con conseguenze anche sulla vitalità delle Aziende medio-piccole.Cosa c’entra tutto ciò con questa rivista?Nulla! Ma è solamente un pensare a voce alta, o meglio per iscritto, per vedere cosa ne pensiate e se è possibile migliorare le cose, sapendo che chi fruisce del nostro lavoro è un paziente, cioè una persona come noi!
Vittorio Picardo
3viscochirurgia2 • 2011
4 viscochirurgia 2 • 2011
LE VISCO INTERVISTE
Intervista a...
Donald Tan
>>
VISC
OC
HIRU
RGIA
aro Professor Tan, mi dai qualche notizia del tuo curriculum? Dove ti sei formato?
Ho seguito il corso di Laurea e di Specializza-
zione a Singapore, avendo come riferimento per
l’Oftalmologia il Professore Arthur Lim. In que-
gli anni, tra la fi ne degli anni ’80 e l’inizio degli
anni ’90, fu realizzato il Singapore National Eye
Center dove ho avuto così modo di cominciare
le mie attività sia cliniche che di ricerca.
Di cosa ti occupavi in quegli anni?Già negli anni ’90 grazie alla collaborazione con
la Morìa, famosa Società di strumentazione chi-
rurgica francese, avevamo iniziato le nostre pri-
me ricerche sulla chirurgia lamellare anteriore
della cornea e in quegli anni ero stato nominato
Direttore del Laboratorio di Ricerca che è ospi-
tato presso le SNEC. In oltre 10 anni di lavoro,
ho sviluppato e approfondito sempre più le mie
ricerche sulla fi siopatologia corneale sulla chi-
rurgia corneale in particolar modo fi no a farli
diventare i miei unici argomenti di ricerca vera
e propria.
Come mai proprio la cornea e la chirur-gia del segmento anteriore in genere?
Ti rispondo con una battuta che nasconde però
una certa verità: nel campo del glaucoma, così
come delle patologie retiniche, molte volte il
successo chirurgico non è consono al recupe-
ro visivo del paziente, che anzi molto spesso
continua a rimanere con gravi defi cit visivi, se
non addirittura quasi cieco. Intervento perfetto,
chirurgo contento, paziente… un po’ meno. En-
trambi questi campi, quindi, non mi avrebbero
dato soddisfazione, perché a me piace vedere
subito cosa ho fatto e come funziona e non ac-
contentarmi di un successo parziale.
Una motivazione più seria è che, dalle nostre
parti, anche per affl uenza dalle nazioni vicinio-
ri ci sono molti casi di patologia corneale e del
segmento anteriore e in quegli anni la nostra
dipendenze per i trapianti era esclusivamente
legata all’importazione di cornee dagli USA o
da altre Banche Internazionali. Oggi, invece, la
nostra banca è autosuffi ciente per coprire tutte
le nostre esigenze, cliniche e di ricerca.
E quindi cosa succede in quegli anni?Per l’ampia libertà di ricerca e di organizzazio-
ne di cui disponevo in Istituto, pur continuando
le normali attività clinico assistenziali e didatti-
che, cercai di creare i presupposti per una pic-
cola rivoluzione organizzativa dell’Istituto e così
C
Ospite a Roma per un Congresso sulla chirurgia della cornea, il Professor Donald Tan è arrivato da Singapore dopo 12 ore di viaggio, carico di entusiasmo e di passione per il Suo lavoro e le ricerche sulla chirurgia della cornea, che lo hanno reso celebre negli ultimi tempi.Tra una pausa e l’altra del congresso, abbiamo scambiato quattro chiacchiere. Mi ha molto colpito la Sua enorme affabilità e semplicità di uomo che a soli 51 anni è Direttore della più grande e importante Strut-tura Oftalmologica di Singapore, famosa ed unica città Stato dell’est asiatico.
Vittorio Picardo
5viscochirurgia2 • 2011
nacque l’idea di una Banca degli Occhi presso
il nostro Istituto, che volevo diventasse, nel più
breve tempo possibile, autonoma nella raccol-
ta di tessuti e perfettamente organizzata per la
conservazione e valutazione degli stessi ai fi ni
terapeutici. Intanto, la mia carriera accademica
procedeva, diventando Professore Associato, e la
mia produzione scientifi ca si allargava su respiri
internazionali, consentendomi il confronto con i
Colleghi d’oltreoceano americani ed europei.
Oggi il tuo nome è legato fondamentalmen-te alla chirurgia dell’endotelio corneale. Cosa puoi dirmi a proposito di questo affa-scinante capitolo di ricerca?
Dal 2003 mi sono particolarmente dedicato,
come dici giustamente tu, alla chirurgia endote-
liale, in tutte le sue implicazioni, e pur essendo
diventato nel 2006 Direttore del SNEC, Profes-
sore di Oftalmologia nella nostra Università na-
zionale, Chairmen del SERI e Direttore Medico
della Banca degli Occhi, nonché, inevitabilmen-
te, Consulente del Governo di Singapore per i
problemi della nostra Specialità, ho proseguito
nelle mie ricerche,e perché ritengo questo tipo
di chirurgia veramente affascinante e di grande
soddisfazione. A te che ti interessi di cataratta,
dico che la chirurgia dell’endotelio sta al tra-
pianto perforante come la ECCE sta alla faco.
Capito che vantaggi?
Sì certo, parliamo di incisioni più piccole, di una chirurgia quasi a bulbo chiuso, di un recupero visivo molto più rapido, di minori complicanze nel post-operatorio. Allora mi viene inevitabile chiederti cosa possiamo avere oggi da questa chirurgia, e cosa ci riserva il futuro?
Ti rispondo volentieri, dicendoti che il laser a
femtosecondi, che non è più futuro ma realtà,
sta ulteriormente semplifi cando le tecniche di
DALK che di DSAEK, anche se quest’ultima tec-
nica può migliorare ancora.
Di recente è stata anche sperimentata una tec-
nica di DMEK, che è ancora in fase embrionale,
che ci darebbe la possibilità di sostituire sola-
mente il foglietto endotelio-descemetico, cioè
una sottile striscia di tessuto di circa 20 micron,
con ulteriori vantaggi per il paziente.
Ma, ad oggi la tecnica è ancora esclusivamente
manuale, diffi cile e non applicabile su larga sca-
la. Nel futuro vedo sicuramente un miglioramen-
to di ciò che oggi già facciamo.
E, a proposito della chirurgia posteriore, anche
se al momento impiantiamo lamelle di stroma,
descemet ed endotelio da circa 150 micron, stia-
mo lavorando per produrre uno spray di fi brina
che possa avvolgere e proteggere il sottile len-
ticolo durante tutte le fasi chirurgiche, consen-
tendone una manovrabilità intra-operatoria più
sicura, con minor mortalità cellulare. In fondo, da
LE VISCO INTERVISTE
6 viscochirurgia 2 • 2011
LE VISCO INTERVISTE
queste osservazioni viene fuori anche l’idea del
Glide, che sicuramente conosci e che mi hai vi-
sto adoperare in sala operatoria stamattina.
Già la Tan EndoGlide, uno dei devices at-tualmente disponibili per la chirurgia en-doteliale. Ma mi accennavi allo spray…
Sì, partendo dall’uso delle colle di fi brina nella
chirurgia dello pterigio senza sutura, abbiamo
spostato la loro applicazione nel campo del-
la chirurgia endoteliale. Il lenticolo viene così
protetto, è più “maltrattabile” e qualunque tipo
di tecnica tu voglia usare per impiantarlo avrai
sicuramente un risultato migliore sulla integrità
endoteliale.
Donald, ricordare tutti i premi e le bene-merenze che tu hai ricevuto, è diffi cile per-ché essi sono più di 20 e di livello interna-zionale, non solo nell’emisfero asiatico ma anche in America; sicuramente è impor-tanter ricordare nel 1997 quello dell’APAO, quello dell’AAO nel 2001 e nel 2009 quello ricevuto nella tua nazione, Singapore, de-nominato President’s Science Award, e la Casebeer Award dell’ISRS. Nel 2010 inve-ce è la Società dell’Arabia Saudita ad insi-gnirti della medaglia d’oro. Le tue attività di ricerca si possono sintetizzare in circa 270 lavori a stampa, 17 capitoli in volumi monografi ci e 12 brevetti. Ma, vorrei mi dessi qualche numero anche sulle attività dell’Istituto.
Nel 1990 abbiamo acquisito il nuovo Istituto che
è realizzato su 2 blocchi, uno di 8 e uno di 4 pia-
ni. Nella torre a 8 piani, 2 sono dedicati al SERI
il nostro centro di ricerche. L’Istituto che è anche
sede universitaria, ha 50 Oculisti dipendenti, che
formano anche il corpo docente, che fa sempre
capo a me, e 30 Specializzandi. È strutturato
in maniera tradizionale più o meno seguendo
le impostazioni del mondo accadrei inglese (ti
ricordo che Singapore è stata colonia) con am-
bulatori generali e specialistici per cornea, seg-
mento anteriore, glaucoma, retina, oftalmologia
pediatrica…
Dammi qualche numero…Non saprei dirti quante prestazioni ambulatoriali
ma certamente posso confermarti 12000 cata-
ratte l’anno eseguite da tutti, tra Docenti e gio-
vani Chirurghi, con 100% di chirurgia registrata,
anche la mia, che utilizziamo per le necessità
didattico-scientifi che, di ricerca, e per il control-
lo di qualità, cosa cui teniamo molto. Effettuiamo
anche circa 300 interventi di chirurgia cornea-
le di cui il 25% PK, il 45% DSAEK, il 30% circa
DALK. Come vedi il 75% della nostra chirurgia
corneale è comunque lamellare. Registrare gli
interventi ci è utile per avere un abbondante
materiale di differenti quadri clinici,con scelte
terapeutiche e tecniche differenti e non tanto a
fi ni medico legali, ma principalmente, credimi,
per autocritica,. Le nostra sale operatorie nuo-
ve lavorano 5 giorni su 7 con due turni, mattina
e pomeriggio, secondo lo schema normale di
sale dedicate alla vitreo-retina e sale per la chi-
rurgia del segmento anteriore e quella minore.
Il nostro staff è ormai molto esperto, per assi-
sterci in tutte le necessità e ci aiuta nelle attività
didattiche ogni giorno.
E la tua giornata tipo?Arrivo presto al mattino, tra le 06.30-07.00 al
massimo e fi no alle 08.00 svolgo nella mia stan-
za tutto il lavoro relativo alla corrispondenza, alle
necessità organizzative ed amministrative.
7viscochirurgia2 • 2011
LE VISCO INTERVISTE
Poi 2 o 3 mattine a settimana vado in sala ope-
ratoria, mentre dedico il pomeriggio alle visi-
te specialistiche, a controllare le attività degli
altri colleghi, a girare per i laboratori e centri
di studio, non solo per verificare il lavoro svol-
to, ma anche per dare una parola di incorag-
giamento a tutti.
Un’altra parte del mio tempo in Istituto è natu-
ralmente dedicata alla preparazione dei lavori
scientifi ci a stampa e come contributi congres-
suali. Ogni tanto ci sono anche gli impegni istitu-
zionali, dell’Università e quelli di tipo politico cui
non posso sottrarmi, perchè da questi incontri
arrivano i fi nanziamenti per le attività.
In un’oretta di chiacchierata, Donald Tan, tra un
intervento e l’altro, mi ha raccontato della Sua
carriera, del Suo impegno professionale, dei
suoi successi e delle sue speranze.
Mi ha anche detto che Sua moglie è un avvocato
e che i Suoi fi gli hanno 21 e 19 anni ed il grande
è già studente di Medicina.
Il Suo viso sorridente ed aperto, dietro un paio
di occhiali bifocali, conferma l’impressione che
ho avuto a prima vista questa mattina, di una
persona semplice e sincera, fattiva e concreta.
Un Collega, ma anche un esempio professiona-
le, una persona cui poter chiede senza paura un
consiglio ed un aiuto, sempre pronto a scambi
di opinione.
E sorridendo, ci siamo lasciati, ricordando che
nel 1990, durante il Congresso mondiale di
Oftalmologia a Singapore che seguì quello di
Roma del 1986, forse c’eravamo incontrati ad
un meeting satellite che avevo organizzato con
il mio Maestro, Professore Giuseppe Scuderi e
con il Suo Maestro, Professore Arthur Lim.
In quell’occasione, mi ha detto scherzando che
forse lui poteva essere al massimo direttore del...
centro slides del Suo Istituto.
Ed anche io in fondo, in quell’epoca, avevo un
ruolo simile con il mio Maestro, che mi consi-
derava la persona di sua fi ducia non solo per le
attività all’estero.
Ma, la Sua carriera è stata diversa… dalla mia!
Vittorio Picardo
8 viscochirurgia 2 • 2011
Cheratoplastica lamellare descemetica enzimatica: studio pilota
Paolo Bonci Andrea Saitta Paola Bonci
Ospedale S. Maria della Scaletta, Dipartimento di Oculistica, Imola (Bologna)
>>
PAROLE CHIAVE acido ialuronico
cheratoplastica lamellare dissezione stromale
cheratocono
KEY WORDS hyaluronic acid
lamellar keratoplastystromal dissection
keratoconus
RIASSUNTO Scopo: Questo studio ha come scopo quello di valutare l’effi cacia di una nuova tecnica chirurgica di cherato-plastica lamellare descemetica utilizzando una soluzione enzimatica contenente ialuronidasi nel procedimento di dissezione della membrana di Descemet.Materiali e Metodi: Abbiamo selezionato 10 pazienti (6 maschi e 4 femmine) affetti da cheratocono, con un’età media compresa di 45 anni (range dai 29 ai 61 anni), con la miglior correzione dell’acuità visiva (BCVA) ≤ 20/70 logMAR. Lo studio è iniziato il 1 febbraio 2008 e si è concluso il 3 novembre 2008 nell’ospedale Santa Maria della Scaletta di Imola (BO). Abbiamo utilizzato una soluzione salina sterile contenente ialuronidasi (Jaluronidasi, Bioindustria-L.I.M.) 200 UI/mL preparata nella Banca degli occhi di Imola. Abbiamo valutato pre e post-operatoria-mente i seguenti parametri: BCVA con tavole di Snellen, densità endoteliale misurata con microscopio speculare (SP 2000P, Topcon, Giappone) ed il principale astigmatismo misurato con la topografi a computerizzata (Keratron Scout, Optikon 2000, Roma, Italia). I seguenti parametri sono stati valutati mensilmente arrivando ad un follow-up massimo di 8 mesi.Risultati: Non ci sono state perforazioni ma solo complicanze minime il primo giorno (formazione di una seconda camera anteriore in 4 occhi), che poi si sono risolte spontaneamente dopo 7 giorni. In due pazienti si è dovuto effettuare una seconda sutura a causa di un cedimento dei punti durante il secondo giorno post-operatorio. Il re-cupero visivo è stato comparabile a quello ottenuto da altri Autori dopo DALK. Il principale astigmatismo centrale misurato alla fi ne del follow-up è stato di 2 (± 0.88) Diottrie. Discussione e Conclusioni: L’applicazione di enzimi sulla cornea del ricevente rende la dissezione stromale più facile ma sono necessari altri studi sul tipo e la concentrazione degli enzimi da utilizzare e sui tempi di applicazione.
ABSTRACT Purpose: This was a pilot study to evaluate the effi cacy of a new surgical technique of descemetic anterior lamel-lar keratoplasty (DALK) with the help of enzymatic hyaluronidase solution.Materials and Methods: We selected 10 patients, 6 male and 4 female, with surgical keratoconus, with a mean age of 45 ± 16 years (range 29-61), with best-corrected visual acuity (BCVA) ≤ 20/70 logMAR. The study period was from February 1, 2008, to November 3, 2008, at the S. Maria della Scaletta Hospital (Imola, Italy). At the eye bank of Imola (branch of Emilia-Romagna Eye Bank) we prepared a sterile solution of hyaluronidase enzyme (Jaluronidasi, Bioindustria-L.I.M.) 200 UI/mL in saline. We evaluated the following parameters preoperatively and postoperatively: BCVA with Snellen card; endothelial density measured by specular microscope (SP 2000P, Topcon, Japan); and mean astigmatism measured by computerized topography (Keratron Scout, Optikon 2000, Rome, Italy). The parameters were evaluated monthly, with a maximum follow-up of 8 months. Results: There were no perforations and minimal complications (second anterior chamber in 4 eyes) on the fi rst day, which spontaneously resolved after 7 days. Two patients required resuturing because of loose suture on the second postoperative day. The visual recovery was comparable to that obtained by most authors after DALK. The fi nal mean BCVA was 20/25. There was a drop in endothelial cells of approximately 10.1% after 7 months. The mean central astigmatism at the end of the follow-up was 2 diopters (± 0.88).Conclusions: The enzyme application to the recipient cornea makes the stromal dissection easier, but other stu-dies are needed about type and concentration of the enzyme, and the application times.
9viscochirurgia2 • 2011
Cheratoplastica lamellare descemetica enzimatica: studio pilota
>> IntroduzioneLa cheratoplastica lamellare profonda anteriore
è attualmente considerata l’intervento di prima
scelta nei pazienti con patologie corneali che
non coinvolgono lo strato endoteliale, compreso
il cheratocono1-4. Questa consiste nell’incisione
e nella rimozione dell’epitelio e dello stroma
corneale lasciando inalterati in sede i due strati
più interni, la membrana di Descemet e l’endo-
telio. I vantaggi di questa tecnica, rispetto alla
cheratoplastica perforante, sono l’assenza di
rischio di rigetto endoteliale, un recupero post-
operatorio più rapido, un minore astigmatismo
residuo ed una maggiore disponibilità di tessuti
corneali idonei perché in tal caso la popolazione
endoteliale è ininfl uente3.
Tuttavia, si tratta di una tecnica diffi cile che ri-
chiede lunghi tempi chirurgici e che spesso può
portare ad una perforazione dell’endotelio (so-
prattutto nei pazienti anziani) e dunque a dover
effettuare una conversione in cheratoplastica
perforante in sala operatoria4-10.
Se si vuole ottenere il miglior risultato visivo e
la minore frequenza di rigetto, tutte le tecniche
chirurgiche descritte sino a questo momento da
diversi Autori5-7 concordano con l’obiettivo di
rimuovere l’intero stroma corneale fi no a scopri-
re completamente la membrana di Descemet.
Il passaggio chirurgico più diffi cile nella DALK
è proprio quello di trovare il piano di clivaggio
tra lo stroma corneale profondo e la membrana
di Descemet e di rimuovere il primo lasciando
inalterata ed in sede quest’ultima11-12.
Lo stroma corneale costituisce il 90% dello spes-
sore corneale ed è principalmente composto da
circa 250 strati di fi brille di collagene (soprattut-
to di tipo I, III e V) regolarmente orientate, il cui
spazio è mantenuto da una sostanza composta
da proteoglicani, macromolecole composte da
un core proteico con catene laterali di glico-
samminoglicani (GAG) legate covalentemen-
te12-14. Nello stroma il GAG più rappresentato
è il cheratan solfato (65%) con piccole quantità
di condroitin solfato ed in particolare di acido
ialuronico. Anche la membrana di Descemet
è composta da fi brille di collagene (principal-
mente quelle di tipo IV e II che la rendono molto
resistente ed elastica) e da proteoglicani, ma i
GAG che li compongono maggiormente sono
l’eparan solfato ed il condroitin solfato13.
Si pensa che i proteoglicani della cornea inter-
vengano sia nella fi brillogenesi del collagene
sia nell’assemblaggio della matrice, e sembra
che le interazioni tra i proteoglicani ed il collage-
ne giochino un ruolo fondamentale nell’assem-
blaggio delle fi brille corneali, nell’organizza-
zione della matrice ed anche nella trasparenza
corneale20.
Fatte queste premesse, abbiamo ipotizzato che
un’azione litica sulle componenti dello stroma
possa facilitare la rimozione dello stroma corne-
ale fi no alla membrana di Descemet nella pro-
cedura della cheratoplastica lamellare profonda.
Abbiamo così testato l’attività della ialuronidasi,
un enzima che depolimerizza selettivamente
l’acido ialuronico, come agente litico specifi co
per lo stroma corneale ed abbiamo diviso la
cornea di un donatore (idonea per il trapianto)
in due parti: la prima è stata immersa in una so-
luzione contenente ialuronidasi (Jaluronidasi, Bio-
industria-L.I.M.) per 15 minuti, mentre la seconda
è stata immersa in una soluzione salina bilancia-
Figura 1A sinistra, uno stroma corneale come appare prima dell’immersione nella soluzione contenente ialuronidasi: le lamelle sono molto compatte.
A destra, lo stesso stroma come appare dopo l’immersione nella soluzione enzimatica: le lamelle sono molto più distanziate fra di loro
10 viscochirurgia 2 • 2011
ta (BSS, Alcon Laboratories Inc.) per il medesimo
tempo; infi ne le due parti sono state fi ssate sepa-
ratamente in formalina ed inviate in laboratorio
per l’esame istologico. Da quest’ultimo è emerso
che la soluzione enzimatica provoca una separa-
zione litica dello stroma corneale conseguente
ad un’importante distanziamento fra le lamelle
stromali (come mostrato in Figura 1), mentre nei
tessuti immersi nella BSS l’architettura dello stro-
ma si mantiene inalterata senza alcuna separa-
zione delle lamelle.
>> Materiali e Metodi
Popolazione studiataAbbiamo selezionato 10 pazienti (6 maschi e 4
femmine) affetti da cheratocono, con un’età me-
dia di 45 anni (il range andava dai 29 ai 61 anni)
e con la migliore acuità visiva corretta (BCVA)
≤ 20/70 logMAR.
Tutti questi pazienti sono stati operati dallo stes-
so chirurgo nell’ospedale S. Maria della Scaletta
di Imola (BO).
Parametri consideratiSono stati considerati i seguenti parametri:
l’acuità visiva misurata con le tavole di Snellen;
la BCVA pre- e post-operatoria con un follow-
up di 8 mesi; la densità endoteliale pre- e post-
operatoria misurata dal contatore endoteliale
con microscopio speculare (SP 2000P, Topcon,
Giappone); e l’astigmatismo medio post-opera-
torio misurato col topografo corneale compu-
terizzato (Keratron Scout, Optikon 2000, Roma,
Italia).
Soluzione enzimatica utilizzataNella Banca degli occhi di Imola (fi liale della
Banca degli occhi dell’Emilia Romagna) abbia-
mo preparato una soluzione salina sterile con-
tenente ialuronidasi (Jaluronidasi, Bioindustria-
L.I.M.) 200 UI/ml.
Tecnica chirurgica eseguitaNella cornea del ricevente abbiamo eseguito
una trapanazione col Trapano Hanna (Moria,
Francia) usando una lama di 8,5 mm e calcolan-
do una profondità circa i 2/3 della pachimetria
periferica.
Poi abbiamo eseguito un piccolo taglio lungo il
solco periferico, tentando di arrivare il più pos-
sibile vicino alla membrana di Descemet. Con
l’uso delle pinze, abbiamo afferrato il margine
interno del taglio, e, sollevando il bottone stro-
male, abbiamo scavato il piano attraverso le
fi brille di collagene per arrivare il più vicino
possibile alla membrana di Descemet lungo la
mezza circonferenza del taglio.
Sollevando poi il margine interno del taglio,
abbiamo iniettato attraverso una cannula la so-
luzione enzimatica in una piccola tasca creata
nello stroma. Dopo 5 minuti la cornea aveva
assorbito la soluzione e così con l’aiuto di una
spatola liscia è stato possibile estrarre il mar-
gine corneale sezionato e raggiungere il piano
della membrana di Descemet; questo strato è
facilmente riconoscibile per la sua superfi cie
liscia, lucida e trasparente. A questo punto sul
piano creato abbiamo instillato altre gocce del-
la soluzione enzimatica per poter ottenere una
dissezione completa del bottone stromale me-
diante una delicata estrazione.
Prima di questa tecnica, eseguivamo una che-
ratoplastica lamellare con idratazione (idro-de-
laminazione) usando la soluzione salina basica
ed in questo caso per ottenere la dissezione
stromale dovevamo compiere con la spatola
liscia dei movimenti meccanici meno delicati
per riuscire a rompere le briglie corneali den-
tro lo stroma e sopra la membrana di Descemet;
quella tecnica era dunque laboriosa, diffi cile e
lunga, ed inoltre la perforazione del piano de-
scemetico era una complicanza frequente. Al
contrario, con questa nuova tecnica l’enzima già
di per sé rompe i legami tra le lamelle stromali e
tra le lamelle e la membrana di Descemet, il che
riduce il rischio di perforazione visto che non si
tratta di una vera dissezione meccanica. Inoltre
quando il bottone stromale è immerso nella so-
luzione enzimatica è possibile notare un cam-
bio di consistenza del tessuto completamente
differente rispetto all’effetto che ottenevamo
con l’idratazione stromale. Per confermare que-
sta osservazione, abbiamo eseguito sugli occhi
operati esami al microscopio confocale (Con-
foScan 3, Nidek, Giappone) che sembrano evi-
denziare un perfetto clivaggio della membrana
di Descemet ed un’interfaccia liscia e regola-
Paolo Bonci, Andrea Saitta, Paola Bonci
11viscochirurgia2 • 2011
re. Con questa tecnica siamo quindi riusciti ad
eseguire una cheratoplastica lamellare senza
perforazioni, ottenendo un completo clivaggio
della membrana di Descemet. L’operazione è
poi proseguita posizionando il lembo deidratato
(preparato nella Banca degli occhi di Imola) sul-
la cornea, con suture interrotte.
In tutti i pazienti, abbiamo iniziato a rimuovere le
suture dal quinto mese, seguendo le indicazioni
topografi che in caso di un astigmatismo impor-
tante. In tutti i casi entro l’ottavo mese la rimozio-
ne dei punti è stata completa.
Tutte le procedure sin qui descritte sono state
eseguite secondo le linee guida del Centro Na-
zionale Trapianti per la raccolta, il trattamento
e la distribuzione dei tessuti allo scopo del tra-
pianto (2007).
>> Risultati
ComplicanzeNei primi giorni dopo l’intervento chirurgico si
è formata in 4 occhi una seconda camera ante-
riore tra il lembo e la membrana di Descemet,
che comunque si è riassorbita spontaneamente
nei primi 7 giorni post-operatori. Due pazienti
infi ne hanno richiesto una nuova sutura a causa
della presenza di distacchi dei punti nel secon-
do giorno post-operatorio; poi la situazione si è
stabilizzata.
Acuità visivaIl follow-up è stato di 7 mesi per ogni occhio
operato. La Figura 2 mostra l’aumento progres-
sivo nell’acuità visiva dei pazienti operati: nei
primi 4 mesi dopo la chirurgia c’è stato un pro-
gressivo aumento della BCVA che poi ha rag-
giunto un plateau; alla fi ne del follow-up la BCVA
fi nale media è stata di 20/25 logMAR. Il recupero
visivo ottenuto alla fi ne del follow-up è parago-
nabile a quello descritto da molti Autori dopo
DALK1, 8,15.
Densità endotelialeCome mostrato in Figura 3, nei pazienti opera-
ti la variazione della densità endoteliale è pa-
ragonabile a quella descritta da diversi Autori
dopo DALK9,13,15,16. Infatti Van Dorren et al han-
no evidenziato un abbassamento della densità
Cheratoplastica lamellare descemetica enzimatica: studio pilota
delle cellule endoteliali approssimativamente
dell’11% a 6 mesi dopo DALK16, mentre noi del
10,1% dopo 7 mesi.
AstigmatismoL’astigmatismo centrale medio misurato con la
topografi a computerizzata è stato di 2 diottrie
(± 0.88) alla fi ne del follow-up, come mostrato
in Figura 4.
Figura 2L’andamento dell’acuità visiva (BCVA) nel follow-up
Figura 3L’andamento della densità endoteliale (cellule/mm2) nel follow-up
Figura 4L’andamento dell’astigmatismo topografi co (diottrie) nel follow-up
12 viscochirurgia 2 • 2011
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>> Bibliografia
Paolo Bonci, Andrea Saitta, Paola Bonci
>> Discussione e ConclusioniLa novità più interessante di questa tecnica chi-
rurgica è che le briglie tra le lamelle stromali e
quelle tra lo stroma e la membrana di Descemet
vengono sciolte dalla soluzione enzimatica, ren-
dendo così di fatto più facile la dissezione e sen-
za la necessità di una rottura meccanica di questi
strati tipica della tecnica manuale con idratazione
salina. Per giunta, un risultato interessante è stato
quello di essere riusciti ad ottenere un completo
clivaggio della superfi cie liscia e rifl ettente del-
la membrana di Descemet senza lasciare alcun
tipo di fi bre stromali sopra, come confermato
anche dagli esami successivi eseguiti col micro-
scopio confocale che mostrano negli occhi ope-
rati un’interfaccia regolare e pulita tra la cornea
impiantata e la membrana di Descemet.
C’è inoltre una differenza tra l’effetto delaminante
ottenuto iniettando soluzione salina e quello ot-
tenuto usando la soluzione enzimatica, poiché
nel primo caso è necessario rompere le briglie
stromali con un’azione meccanica di una spa-
tola liscia mentre nella tecnica enzimatica sono
suffi cienti dei movimenti delicati per riuscire a
raggruppare le lamelle stromali ed ottenere così
il clivaggio della membrana di Descemet. La me-
todica chirurgica proposta fornisce è vantaggio-
sa per le seguenti ragioni: la riduzione dei tempi
chirurgici (un’ora rispetto alle 2 ore della DALK
mediante idratazione salina dello stroma), la faci-
lità della dissezione tra lo stroma e la membrana
di Descemet, il completo clivaggio della Desce-
met, ed il basso rischio della perforazione della
Descemet1,15-18. Tuttavia è necessario ottenere
altre informazioni su questa nuova tecnica e difat-
ti stiamo proseguendo gli studi nel nostro dipar-
timento per valutare i differenti tipi di enzimi litici,
le concentrazioni ed i tempi di applicazione19.
Idrofobo di nuova generazioneI-Stream è realizzata in un nuovo materiale idrofobo ottenuto dalla polimerizzazione di materiali da sempre usati in oculistica. La sola modifi ca dell’agente UV Filter ha per-messo di ottenere un materiale più elastico con minore contenuto di acqua minimiz-zando l’insorgenza di glistening.
Fitro Natural Yellow®Filtro innovativo in grado di bloccare la luce blu dannosa per la retina senza alterare in nessun modo i colori.
Square Edge 360°L’assenza di discontinuità lungo tutto il profi lo della IOL unita ad un’inclinazione di 5°, previene effi cacemente l’insorgenza della PCO.
Micro-grip Structures®Sono delle piccole zigrinature pre senti a livello della superfi cie po steriore delle anse che dimezzano il tempo di dispiegamento della IOL nel sacco capsulare e garantisco-no la massima stabilità della IOL nel tempo.
Glare Stop Barrier®Ogni I-Stream è dotata di una zona anulare che circonda la zona ottica in grado di deviare le luci parassite oltre l’equatore, neutralizzandone così ogni effetto nega-tivo sulla visione.
Zero Spherical Aberration L’Ottica biconvessa, induce aberrazione sferica negativa -0,26 µm in grado di neutra-lizzare l’aberrazione sferica corneale riportando l’occhio alla sua condizione ideale: un occhio emmetrope giovane.
Controllo sicurezzaOgni I-Stream è controllata singolarmente, deve rispettare rigidi controlli di qualità ri-spettando elevati standard qualitativi.
Iniettore precaricatoI-Stream può essere impiantata grazie all’Iniettore precaricato monouso tramite inci-sioni da 2.2 a 2.6 mm. Nessuna manovra aggiuntiva per l’impianto, tempo di iniezione estremamente ridotto ed assoluta sicurezza.
I-STREAM IOL idrofoba / asferica / precaricataI-Stream, l’ultima nascita in casa Alfa Intes, testimonia il ritrovato impegno di quest’azienda, da sempre tutta italiana, nell’ambito della Chirurgia Oftalmica. A partire da inizio 2011 una nuova squadra di professionisti è al lavoro per realiz-zare la nuova Mission aziendale: Servizio a 360°. Con l’aggiunta della Divisione Chirurgica, Alfa Intes si confi gura essere un partner completo per l’oculista riunendo: Chirurgia, Diagnostica e Pharma. I-Stream si inserisce a pieno titolo nel mondo delle IOL unendo a sicurezza e qualità caratteristiche decisamente innovative. I-Stream è prodotta dal-l’azienda md tech. Alfa Intes la commercializza in esclusiva per l’Italia.
Alfa Intes invita tutti nell’edizione della SOI di
Maggio del 2011, presso lo stand md tech, a partecipare al concorso:
“I-STREAM, A TRIP OF A THOUSAND MILES”.Ogni giorno si potranno vincere pacchetti
vacanza per le più belle località d’Italia.
14 viscochirurgia 2 • 2011
RISULTATI DI UN’ESPERIENZA
Cheratoplastica in Day Hospital: un’esperienza decennale
Alessandro Galan Velika Deligianni
Ospedale S. Antonio, Centro Oculistico San Paolo, Padova
>>
In questo lavoro vengono presentati i risultati di uno studio retrospettivo su una casistica di oltre 400 pazienti sottoposti consecutivamente a che-ratoplastica (lamellare e perforante) dal 1999 al 2009 presso il Centro Oculistico San Paolo del-l’Ospedale S. Antonio di Padova. L’esperienza riportata dimostra come il regime di Day Hospital risulti meno traumatico per il paziente stesso, di minor impatto economico per il sistema sanitario, senza indurre alcun tipo di complicanza nelle fasi intra e post-operatorie.
Vittorio Picardo
VISC
OC
HIRU
RGIA
La storia degli ultimi 130 anni dell’interven-
to di sostituzione totale o parziale della
cornea è stata segnata da alcune tappe fonda-
mentali, che vanno dal primo trapianto lamellare
umano, eseguito con successo da Von Hippel nel
18881, alla fondazione della prima Banca degli
Occhi da parte di Paton2 nel 1944 a New York.
Nel corso degli ultimi 10 anni si è assistito, in
particolare, ad uno sviluppo signifi cativo dei tra-
pianti di cornea anche in Italia. Questa chirurgia,
da attività sporadica, eseguita in modo pioneri-
stico in alcuni centri, si è trasformata in attività
programmata e diffusa su tutto il territorio na-
zionale. Tale processo è stato reso possibile dal
progresso tecnologico (moderni microscopi,
trapani, sostanze viscoelastiche, suture, topo-
grafi ), ma anche dalla crescente disponibilità di
tessuti, e quindi dalla signifi cativa riduzione dei
tempi d’attesa, prodotta dalla nascita e dalla dif-
fusione di numerose banche degli Occhi in Eu-
ropa, negli Stati Uniti e nel resto del mondo.
Inoltre, la chirurgia della cornea è radicalmen-
te cambiata negli ultimi anni. La cheratoplastica
perforante, ancora ad oggi l’intervento con più
ampie indicazioni, ed un tempo il maggiormen-
te utilizzato nei casi che richiedessero sostitu-
zione del tessuto corneale opaco o alterato,
viene sempre più spesso sostituita dalla che-
ratoplastica lamellare manuale o automatizzata.
I risultati della cheratoplastica lamellare sono
molto buoni, con minor rischio di complicanze,
ridotta probabilità di rigetto, e più rapido recu-
pero funzionale.
La tecnica scelta per la cheratoplastica deter-
mina, in generale, anche il tipo di anestesia
da eseguire. Molti chirurghi, infatti, preferi-
scono eseguire la cheratoplastica perforante
in anestesia generale, sia perché l’anestetico
utilizzato per l’anestesia loco regionale può
esercitare una pressione sul segmento poste-
riore (che, in presenza di una vasta apertura
corneale, può risultare potenzialmente peri-
15viscochirurgia2 • 2011
RISULTATI DI UN’ESPERIENZA
colosa), sia per una maggiore tranquillità psi-
cologica per il chirurgo stesso.
Negli anni recenti però la chirurgia oftalmica si
è sviluppata con l’impiego quasi esclusivo del-
l’anestesia loco regionale, eseguita dal chirurgo
stesso, sempre comunque con l’assistenza del-
l’anestesista. Tale tecnica è di solito preferita, sia
per la maggiore semplicità di esecuzione, sia
per la certezza, da parte del chirurgo, di ottene-
re il cosiddetto “silenzio oculare”.
La diffusione dell’anestesia loco regionale, che
sta trovando negli ultimi anni nei confronti del-
l’anestesia generale uno spazio sempre più am-
pio per quanto riguarda la scelta dei pazienti e
del tipo di intervento da eseguire, è stata favo-
rita da una maggiore durata d’azione dei nuo-
vi farmaci anestetici locali ed una loro ridotta
tossicità, associate ad un accorciamento dei
tempi operatori. L’anestesia loco regionale ha
permesso inoltre un ampliamento delle fasce
di età operabile; è possibile, infatti, intervenire
chirurgicamente su persone di età anche molto
avanzata o per le quali l’anestesia generale ri-
sulti sconsigliata.
L’anestesia loco regionale ha come principale
conseguenza la riduzione dei tempi di degenza
sia pre che post-operatori, da cui derivano, oltre
alla riduzione dei costi della gestione sanitaria,
numerosi vantaggi psicologici per i pazienti. Nei
casi in cui l’anestesia loco regionale risulti non
indicata la tecnica di anestesia generale che ga-
rantisce il più rapido recupero sensorio e moto-
rio, e quindi più adatta al regime di Day surgery,
è la cosiddetta “Fast-tracking”3, che, associata
ad una miniinvasività chirurgica, prevede una
mobilizzazione precoce del paziente.
Nel presente lavoro riportiamo l’esperienza più
che decennale nell’ambito del trapianto di cor-
nea del Centro Oculistico San Paolo dell’Ospe-
dale S. Antonio di Padova. Tale esperienza di-
mostra come il trapianto di cornea possa essere
eseguito con facilità e in sicurezza in pazienti,
in regime di Day Hospital (DH), negli ospedali
pubblici in Italia.
L’attività è iniziata nel 1998 con circa dieci casi
per anno, mentre allo stato attuale vengono ese-
guiti quasi 90 interventi, come illustrato nella
Figura 1, nella quale gli interventi di cheratopla-
stica effettuati sono stati distinti a seconda della
tecnica utilizzata: lamellare e perforante. La ca-
sistica considerata si compone quindi di 413 in-
terventi di cheratoplastica, il 48% dei quali (200)
effettuati con tecnica lamellare.
L’analisi delle fasi post-operatorie degli inter-
venti eseguiti ha dimostrato come solo una fra-
zione prossima al 9% del totale dei pazienti ope-
rati (37) abbia richiesto ricovero ospedaliero
dopo la procedura. Questi sono casi particolari,
che si riferiscono a pazienti con patologie quali
la sindrome di Down, o pazienti pediatrici. Non
rientrano nei casi, inoltre, i pazienti che siano
stati sottoposti simultaneamente a chirurgia vi-
troretinica che richiede, in fase di recupero, una
posizione prona ed un monitoraggio costante.
Nella struttura dell’Ospedale S. Antonio di Pa-
dova, l’anestesia locale è diventata una routine
nel trapianto di cornea. Solo in casi complessi,
dal punto di vista generale o sistemico, la tec-
nica anestesiologica utilizzata è la sedazione
cosciente. Anche tale metodo consente, comun-
que, una breve permanenza in ospedale: il pa-
ziente viene operato la mattina e dimesso nel
pomeriggio,
Cheratoplasticaa lungo termine
Cheratoplasticaperforante
16 viscochirurgia 2 • 2011
Possono insorgere potenziali problemi con
la chirurgia in DH quando il domicilio dei pa-
zienti è lontano dall’Ospedale stesso. Alcuni dei
pazienti operati nella nostra struttura vengono,
infatti, da regioni lontane dal Veneto, come ad
esempio, la Sicilia (distante circa 1000 km). Per
questi casi, sono state istituite delle convenzioni
con Hotel e strutture alberghiere di diverse ca-
tegorie nelle vicinanze dell’Ospedale, che offro-
no prezzi speciali ai pazienti stessi, così come ai
loro familiari.
La chirurgia in DH porta diversi vantaggi: per i
pazienti è meno traumatica e rende meno pe-
sante l’impatto dell’intervento, incidendo in
modo molto lieve nella normale vita familiare.
Una camera d’albergo, pur non essendo esatta-
mente accogliente come la propria casa, è co-
munque di solito preferita all’ospedalizzazione,
in quanto in grado di offrire maggiore comfort e
soprattutto maggiore privacy.
Tali pazienti non risultano così esposti a infezioni
crociate, che rappresentano spesso ancora oggi
un severo rischio nell’ambiente ospedaliero.
È inoltre da ricordare come nei pazienti sotto-
posti a cheratoplastica, uno dei fattori che pos-
sono infl uenzare il buon esito dell’intervento
chirurgico nell’immediato/breve post-operato-
rio sia rappresentato dai movimenti (involonta-
ri) del capo e degli occhi nelle fasi di sonno
notturne.
Poiché su tali movimenti l’ospedalizzazione non
ha impatto positivo, appare ragionevole dedurre
che, anche da questo punto di vista, l’indicazio-
ne per il ricovero venga a mancare.
Per quanto riguarda gli aspetti gestionali ed
amministrativi, il regime di Day Hospital, come
ben noto ad esempio dall’esperienza più che
ventennale degli Stati Uniti, nei quali la chirurgia
ambulatoriale è molto sviluppata, comporta una
signifi cativa riduzione dei costi e quindi un mi-
nore impatto economico per il Servizio Sanitario
Nazionale.
Va inoltre sottolineato come la non necessità,
per questi casi, dell’assistenza notturna implichi,
come ovvia conseguenza, una maggiore dispo-
nibilità dello staff medico verso i casi chirurgici
più impegnativi.
Presso l’Ospedale S. Antonio si è osservato
come la scelta dell’anestesia loco regionale sia
in grado di diminuire sensibilmente i costi del-
la preparazione pre-operatoria, in quanto essa
non richiede costosi esami specifi ci, come ad
esempio la radiografi a del torace o l’elettrocar-
diogramma.
La fase pre-operatoria consiste, infatti, in una vi-
sita oftalmologica completa e l’esecuzione de-
gli esami ematochimici di routine. L’eventuale
necessità di ulteriori esami viene valutata dal-
l’Anestesista in una visita dedicata, sulla base
dell’anamnesi del paziente, seguendo la classi-
fi cazione dell'American Society of Anesthesio-
logists (ASA)4.
L’anestesia loco regionale, adottata presso la
nostra struttura, si basa sull’utilizzo di Naropina
Figura 1Numero di interventi
di trapianto di cornea, per anno, eseguiti presso
il Centro Oculistico S. Paolo dell’Ospedale S. Antonio
di Padova
RISULTATI DI UN’ESPERIENZA
17viscochirurgia2 • 2011
in quantità utile al riempimento dell’orbita. Tale
quantità varia tipicamente nel range compreso
tra 3 e 7 ml. L’uso associato di Ialuronidase au-
menta la diffusione dell’anestetico, minimizzan-
do, allo stesso tempo, la pressione intravitreale.
Il numero di interventi da noi eseguiti con tec-
niche lamellari ha superato, negli ultimi anni,
come si osserva dai dati riportati in fi gura 1,
quello dei casi in cui si è scelta la cheratoplasti-
ca perforante.
Tra le tecniche lamellari, le più utilizzate sono la
Descemet Stripping Automated Endothelial Kera-
thoplasty (DSAEK) e la Big Bubble (B.B.).
I tessuti oculari necessari vengono forniti dalla
Banca degli Occhi del Veneto, con sede a Me-
stre (VE), a solo pochi chilometri di distanza da
Padova.
La fase postoperatoria è basata su uno schema
di controlli, che prevede visite in prima e terza
giornata e a tre settimane dall’intervento. Tale
schema si applica, come ovvio, nel caso in cui
non si presentino complicanze. In particolare,
ogni cattivo posizionamento o imprevisto spo-
stamento del lembo, così come eventuali lassità
o irregolarità delle suture risultano, di norma,
verifi cabili nei primi tre giorni.
Tipicamente, una buona compliance da parte
del paziente, nel postoperatorio, comporta che
non siano necessarie ulteriori visite di control-
1. Von Hippel A: Eine neue Methode der Hornhlauttransplantatioll. Albrecht von Graefes Arch Ophthalinol 34:108-130, 1888.
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3. Wilmore DW, Kehlet H , BMJ 2001;322:473-476.
4. Guidelines for preanesthesia evaluation. The American Society of Anesthesia (draft).
>> Bibliografia
lo prima di 3 mesi. È da sottolineare, a questo
riguardo, come, nei casi in esame, non si siano
verifi cate complicanze direttamente ascrivibili
al tipo di anestesia adottato o alla non ospeda-
lizzazione della fase postoperatoria.
Tale tipo di organizzazione risulta quasi unica
tra le strutture ospedaliere pubbliche in Italia,
e comunque molto rara anche tra le strutture
europee.
Sulla base dei risultati ottenuti, si ritiene, quindi,
che una maggiore diffusione del protocollo qui
proposto per la gestione dei pazienti sottoposti
a cheratoplastica, potrebbe portare importanti
vantaggi al Sistema Sanitario Nazionale, sia dal
punto di vista della capacità di rispondere alla
crescente domanda di interventi chirurgici, sia
nella riduzione dei costi da parte del sistema
stesso, accompagnata in più dallo snellimento
delle procedure. Il maggior e più rilevante van-
taggio deriverebbe comunque dalla soddisfa-
zione dei pazienti stessi, ai quali viene offerto un
recupero meno traumatico nella fase postope-
ratoria in ambiente psicologicamente più con-
fortevole.
La nostra esperienza ci permette quindi di
concludere che, una volta introdotta la pratica
del Day Hospital, i vantaggi ottenuti rendano il
ritorno all’ospedalizzazione “ordinaria” di fatto
impossibile!
RISULTATI DI UN’ESPERIENZA
18 viscochirurgia 2 • 2011
GIRO D’ITALIA
Prosegue il nostro viaggio per l’Italia, per incontrare alcuni
Amici, visitare le loro strutture e vedere come si svolgono le
loro giornate di “lavoro tipo”. Il confronto di esperienze è
sempre utile per tutti.
Vittorio Picardo
Una giornata con...
Simonetta Morselli
>>
na delle poche Primario Oculista in Italia,
chirurgo e ricercatore ben conosciuta e
apprezzata, Simonetta Morselli dirige l’U.O. di
Oculistica dell’Ospedale di Bassano del Grap-
pa dal 1 ottobre 2008.
Studi universitari a Verona, in Clinica Oculistica
con il Prof. Bonomi e poi strutturata nell’U.O. di
Oculistica Ospedaliera dello stesso Policlinico,
con Roberto Bellucci, Simonetta Morselli ha
sempre caratterizzato la sua attività con l’entu-
siasmo del neofi ta e la abilità del professionista,
esperto e rifl essivo.
Dopo i dovuti contatti telefonici, l’appuntamento
è per una fredda mattina di febbraio all’aero-
porto di Venezia.
«Allora ti vengo a prendere io in aeroporto do-
mani mattina con la mia macchina nuova!»
Il mio sguardo alle 8.30 del mattino, fuori dal-
l’aeroporto cercava disperatamente una mac-
china nuova con la guida un volto conosciuto,
ma ad un certo punto è squillato il cellulare e
una voce maschile mi ha detto: “Sono il dottor
Toso, ti aspetto al parcheggio B”.
E così il viaggio l’ho fatto con lui, mentre avevo
sperato di chiacchierare con Simonetta.
Il tempo è trascorso piacevolmente perché ho
ricevuto le prime informazioni sulla loro orga-
nizzazione, sulla giornata tipo del loro reparto,
sulle principali attività di ricerca.
Arriviamo in questa struttura di Bassano piace-
vole a vedersi e di recente costruzione.
L’Oculistica è suddivisa tra il 2°, il 4° e il 7° pia-
no: al 2° la sala operatoria delle generali, al 4°
la sala di chirurgia per pazienti ambulatoriali
(cioè oggi giorno quasi tutte le cataratte), la
stanza di Simonetta e tutti gli ambulatori e i 2
centri regionali di riferimento, quello sul glau-
coma e quello per la retinopatia diabetica, al
7° piano invece in un reparto di degenza misto
sono ospitati pazienti che necessitano di rico-
vero ordinario, come i casi urgenti di pronto
soccorso, le patologie traumatiche poli spe-
cialistiche o pazienti con patologie mediche di
particolare gravità.
Simonetta è già al lavoro e, poiché è lunedì mat-
tina, è nella sala del 2° piano dove effettuano le
anestesie generali e locali e le sedazioni.
La riconosco, non solo perché amici da tanto
tempo, ma per i famosi mocassini rossi e per
gli occhietti che sporgono sopra la mascheri-
na, «… ciao scusami, mi sono avvantaggiata il
lavoro».
U
VISC
OC
HIRU
RGIA
Primario... “in quota rosa“
19viscochirurgia2 • 2011
GIRO D’ITALIA
La affianco per un po’ della mattinata e così
vengo a sapere che il lunedì e il mercoledì
la loro attività chirurgica per i casi più impe-
gnativi si svolge proprio in quella sala, men-
tre quando è in uso la sala del 4° piano per i
pazienti ambulatoriali, a lei tocca salire e scen-
dere di corsa due piani di scale con una situa-
zione alla Verdone: togli le scarpe rosse, metti
gli zoccoletti, bussa all’altra sala operatoria,
metti altre scarpine colorate, cambia cuffiet-
ta, cambia mascherina, insomma un buffo sali
e scendi, un togli e metti che aiuta a mante-
nere il fiato.
Le sale operatorie hanno un’attrezzatura di
biamo visto tante volte. Per il resto? Lenti
premium? Organizzazione del lavoro?
Sì, le cataratte sono appunto espletate per via
ambulatoriale con una cartella semplifi cata
e per i pazienti in condizioni generali suffi -
cientemente buone, senza effettuare esami
di laboratorio e ECG, allegando semplice-
mente in cartella la dichiarazione del medico
famiglia. Nei casi in cui, invece, per motivi no-
stri, cioè di patologie oculari o per problema-
tiche patologiche del paziente sia necessario
aggiungere una sedazione, un’anestesia loca-
le o addirittura una generale, i nostri pazienti
shiftano verso un percorso che preveder esami,
prim’ordine e 2 Stellaris PC di cui il “Primario”
è particolarmente orgoglioso.
Il gruppo di lavoro è composto da 7 Colleghi
e Simonetta e il loro punto di ritrovo è proprio
la sua stanza dove esiste un piccolo angolo re-
lax con frutta, bibite, yogurt e poltroncine molto
tecnologiche, che rispecchiano perfettamente
il temperamento ultra moderno e determinato
del capo.
Allora Simo, cataratta coassiale, incisioni
da 2 mm, chirurgia cosiddetta MICS, sap-
piamo essere il tuo standard perchè lo ab-
ECG e valutazione anestesiologica.
In questa maniera riusciamo a svolgere circa
2000 interventi l’anno assicurando a tutti un al-
tro livello qualitativo delle prestazioni e un’assi-
stenza post operatoria adeguata.
Anche la vitreoretina e i trapianti sono nel no-
stro pacchetto di prestazioni così come e stra-
namente, una certa di IOL fachiche.
Come riesci a ottenere tutto ciò?
Il nostro Ospedale è un presidio e quindi non è
schiavo dei DRG vero e proprio, ma vive di bu-
dget e quindi io posso disporre del mio budget
L’equipe
20 viscochirurgia 2 • 2011
purché sappia far quadrare i conti, assicurare le
prestazioni e il buon funzionamento di tutte le
attrezzature nei vari ambulatorio,insomma devo
interessamenti dal falcone di fl ebo, al rotolino di
cerotto passando per i colliri e le IOL.
Certo tutto ciò ti ruba tempo.
Beh, il mercoledì pomeriggio è difatti dedicato
a questi impegni e così mi tuffo tra le cartacce
per non tenere indietro il lavoro e aggiornare
la Direzione Sanitaria ed Amministrativa della
nostra attività.
Mentre lei sta per iniziare un altro intervento,
una cataratta giovanile in paziente con qualche
defi cit mentale, io vengo affi dato ad una sim-
patica ortottista che mi porta a spasso per gli
ambulatori: ogni porta che apriamo mi mostra
una sala di lavoro completamente attrezzata,
a seconda della sua utilizzazione, quindi con
fessura, Visante, IOL Master, conta endoteliale,
oftalmoscopio di Schepens per il segmento an-
teriore. Le sale per la retina hanno invece gli
ultimi modelli di OCT, ecografi , fuorangiografi e
particolarmente attrezzato ho trovato anche, ma
era logica, il centro glaucoma. I Colleghi sono
tutti impegnati nella sequenza di lavoro orga-
nizzato nei dettagli all’ombra del motto “non
perdiamo tempo”, ma devo dire che ciascun
medico, ortottista, tecnico, svolte il proprio la-
voro sorridendo, con garbo e competenza.
Il tempo passa velocemente e così come velo-
cemente le sale d’aspetto si svuotano e si riem-
piono in continuazione.Certo a Roma un caffè
l’avremmo già preso, lì a Bassano un bicchiere
di vino sarebbe più nelle tradizioni, ma il relax
sarà in tarda mattinata nella sala del Primario
dove tutti però possono accedere per riposare
un momento.
Mi piacerebbe riuscire a descriver meglio
l’entusiasmo che ho trovato, e la cordialità che
pervade tutta l’equipe. I loro impegni scientifi ci
sono anche conosciuti da tutti noi per le comu-
nicazioni ai congressi in Italia e all’estero.
In tutto questo frenetico correre da un piano
GIRO D’ITALIA
all’altro, da un ambulatorio all’altro Simonetta
riesce anche a trovare il tempo per i suoi pas-
satempo preferiti: andare sott’acqua, sciare,
viaggiare. Mens sana in corpore sano.
Soddisfatta del tuo nuovo incarico?
Certamente sì. Perché ormai dopo le fatiche
iniziali nel costituire un gruppo di lavoro omo-
geneo, ma anche diversifi cato nelle competen-
ze, ora tutti quanti raccogliamo i frutti di questa
panifi cazione per cui ciascuno di noi è un lea-
der nel suo campo di ricerca ed attività ed io li
guardo con soddisfazione.
Non certo dall’alto al basso! Come del re-
sto capita anche a me …
L’ora di pranzo ormai si è avvicinata ed io mentre
loro si radunano in questa confortevole stanza
con divano trendy approfi tto per stringere le mani
a tutti, ringraziali per l’ospitalità e abbracciare
Simonetta.
Vittorio Picardo
Il Primario... in quota
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TOTALE
22 viscochirurgia 2 • 2011
Chirurgia della cataratta e pressione intraoculare post-operatoria
Luigi Vitale Giovanni Acerbi Paola Lencarelli
Clinica S. Carlo, Unità Operativa Oculistica, Paderno Dugnano (MI)
>>
PAROLE CHIAVE cataratta
pressione intraocularepicco pressorio
ipotono
KEY WORDS cataract
IOPIOP spikehypotony
RIASSUNTO Scopo del lavoro: Valutare il corso naturale della pressione intraoculare (IOP) dopo intervento di cataratta. Materiali e Metodi: È stato effettuato uno studio prospettico su 150 pazienti consecutivi, sottoposti a intervento di facoemulsifi cazione con impianto di IOL in camera posteriore. La pressione intraoculare è stata misurata con tonome-tro a soffi o a un’ora, 24 ore e 7 giorni dopo l’intervento.Risultati: Nelle 24 ore successive all’intervento, si è riscontrato un aumento signifi cativo della IOP, con comparsa di picchi pressori anche severi nel 10-15% dei pazienti. Si è rilevata anche la comparsa di ipotoni nel 18,6% dei pazienti. Nell’intervallo tra il primo e il settimo giorno la pressione elevata è ritornata nella norma nella quasi totalità dei casi. Nello stesso intervallo di tempo, la percentuale di ipotoni, dopo una iniziale drastica riduzione (1,33%), è tornata ad aumentare fi no al 3,33%. Conclusioni: Gli ipertoni e i picchi pressori successivi all’intervento di facoemulsifi cazione tendono a normalizzarsi quasi completamente, senza ricorso a terapia ipotonizzante, nell’arco di 7 giorni. La presenza di ipotoni, probabilmen-te dovuti a incompleta tenuta della ferita chirurgica, non deve essere sottovalutata.
ABSTRACT Study Purpose: To evaluate the natural course of intraocular pressure (IOP) following cataract surgery.Materials and Methods: A prospective study was conducted on 150 consecutive patients undergoing phacoemulsi-fi cation with posterior chamber IOL implantation. Intraocular pressure was measured by non-contact tonometry at 1 hour, 24 hours and 7 days after surgery.Results: The IOP increased signifi cantly in the 24 hours following cataract surgery. Pressure spikes, severe in some cases, were detected in 10-15% of the patients. Hypotony was observed in 18,6% of the patients. In the interval between day 1 and day 7, high IOP went back to normal levels in almost the totality of cases. The percentage of patients with postoperative hypotony, after an initial drastic reduction (1.33%), increased again to 3,33% between day 1 and 7. Conclusions: IOP elevation and pressure spikes following phacoemulsifi cation surgery tend to normalize almost com-pletely without pressure-lowering therapy within 7 days. The occurrence of hypotony, probably due to incomplete sealing of the surgical wound, should not be underestimated.
>> IntroduzioneL’intervento chirurgico per la cataratta deter-
mina solitamente una riduzione della pressione
intraoculare (IOP) che persiste per mesi o anni,
successivamente all’intervento stesso.
Bisogna però tener conto che, specialmente nel
periodo postoperatorio precoce (24 ore), è pos-
sibile osservare una signifi cativa variabilità del-
la pressione, con possibilità di picchi pressori
talora anche severi.
Questi eventi non sono infrequenti nella routine
operatoria e sono solitamente ben tollerati dai
pazienti, anche se sono stati descritti in Lette-
ratura casi molto rari di occlusione della vena
centrale della retina, neurotticopatia ischemica
anteriore e conseguente atrofi a ottica, come
complicanze di ipertoni postchirurgici transitori,
ma particolarmente elevati1,2.
Sempre secondo la Letteratura, le cause di que-
sto aumento della IOP sono molteplici e da ricer-
carsi prevalentemente nella ritenzione di sostan-
za viscoelastica o, in misura nettamente inferiore,
23viscochirurgia2 • 2011
nelle complicanze intraoperatorie (rottura della
capsula posteriore con prolasso di vitreo in ca-
mera anteriore), nei processi di fl ogosi postope-
ratoria per lesioni e traumi dell’iride, in una par-
ticolare reattività ai corticosteroidi topici o, infi ne,
in un’eventuale dispersione di pigmento.
>> Scopo del lavoroCon il nostro lavoro, ci siamo proposti di misu-
rare l’andamento della IOP a un’ora, 24 ore e 7
giorni dall’intervento di cataratta (facoemulsifi -
cazione con impianto di IOL in camera poste-
riore) e verifi care la comparsa, la frequenza e
l’andamento di eventuali picchi di pressione
postoperatori (IOP> 25-28 mmHg) in assenza di
terapia ipotonizzante.
>> Materiali e MetodiSono stati esaminati consecutivamente, nell’arco
di circa 2 mesi (9 settimane), 150 pazienti sot-
toposti a intervento di cataratta presso la nostra
Unità Operativa.
La tecnica usata è stata ‘stop and chop’ o nucleo
frattura in 4 quadranti, IOL nel sacco, asportazio-
ne di tutta la sostanza viscoelastica (PROVISC®,
Alcon or VISTHESIA®, Carl Zeiss Meditec), idro-
sutura terminale e controllo della tenuta della
sutura con test di Seidel. Tutti i pazienti sono stati
operati in anestesia topica.
Come terapia post chirurgica è stata prescritta
l’istillazione per 4-5 volte al giorno di un’asso-
ciazione tobramicina-desametasone in collirio.
Sono stati esclusi preventivamente dallo studio
tutti i pazienti affetti da glaucoma, da ipertono e
da sindrome pseudoesfoliativa.
Sono stati inoltre esclusi tutti i pazienti che in-
traoperatoriamente avevano avuto complicanze
o che erano stati sottoposti a sutura del tunnel
corneale.
Per la valutazione della IOP abbiamo utilizza-
to il tonometro a soffi o TOPCON. Non abbiamo
ritenuto opportuna la misurazione con tonome-
tro di Goldmann ad applanazione, pur consape-
voli della sua maggiore attendibilità, per evitare
ogni contatto con la superfi cie oculare e ridurre
il rischio di insorgenza di fenomeni settici
secondari.
>> RisultatiLa misurazione della IOP è stata effettuata su 86
(57,4%) dei 150 pazienti sottoposti a controllo
dopo un’ora. In 64 pazienti (42,6%) la misurazio-
ne non è stata eseguibile.
Le cause d’insuccesso a un’ora sono da ricer-
carsi verosimilmente tra le seguenti:
1. alterazione della superfi cie corneale conse-
guente all’intervento stesso;
2. diffi coltà a mantenere aperto l’occhio da
parte del paziente operato e nel sottoporsi a
tale misurazione;
3. IOP troppo elevata per essere misurabile.
Abbiamo pertanto valutato l’andamento della
IOP nelle prime 24 ore successive all’intervento
in 86 pazienti.
Si è così osservato che in 51 pazienti (59,3%) la
pressione aumentava o rimaneva uguale, mentre
in 35 pazienti (40.7%) la pressione diminuiva.
A 24 ore e 7 giorni è stato possibile effettuare
la misurazione della pressione in tutti i 150 pa-
zienti. Si è potuto verifi care che la IOP in quel-
l’arco di tempo era diminuita o rimasta stabile
in 135 pazienti (90%), ed era aumentata in 15
pazienti (10%).
Chirurgia della cataratta e pressione intraoculare
24 viscochirurgia 2 • 2011
L’andamento degli spike pressori è signifi cativo
a un’ora dall’intervento. Su 86 pazienti esamina-
ti, 63, pari all’85% del totale, presentava un tono
accettabile. Il restante 15% (13 pazienti) aveva
un tono superiore a 25-28 mmHg con il valore
più elevato a 43 mmHg.
A 24 ore dal’intervento, esaminando tutta la po-
polazione arruolata, il dato era sovrapponibile:
l’85% del totale, pari a 128 pazienti, presentava
una pressione normale, mentre il 15%, pari a 22
pazienti, manteneva valori di IOP superiori a
25-28 mmHg.
Dopo 7 giorni si osservava che soltanto l’1,33%,
pari a 2 pazienti, presentava valori di IOP supe-
riori a 25-28 mmHg.
Constatata – con soddisfazione – la normaliz-
zazione del tono nel 98,67% dei pazienti, ab-
biamo voluto proseguire ulteriormente il mo-
nitoraggio per i 2 soggetti che mostravano un
ipertono residuo.
In un caso, la pressione è tornata nei limiti di
norma (16 mmHg), senza terapia, nelle succes-
sive 2 settimane.
Nel secondo caso si sono osservati valori pres-
sori in decremento, ma non accettabili come
normali (20 mmHg) nelle misurazioni effettuate
a 2 e a 4 settimane.
Sottoposto a screening per il glaucoma (curva
tonometrica, pachimetria corneale, perimetria
computerizzata e GDX), il paziente è risultato
positivo per questa patologia, fi no allora non
evidenziata e ha potuto iniziare uno specifi co
trattamento ipotonizzante.
È di particolare interesse il dato riguardante
l’andamento della IOP a 1 ora.
Su un totale di 86 pazienti, quasi la metà (45,35%)
presentava valori compresi tra 10 e 19 mmHg,
quasi un terzo (29,07%) valori tra 20 e 29 mmHg,
4 pazienti (4,65%) valori compresi tra 30 e 39
mmHg e 2 pazienti (2,32%) valori superiori a
40 mmHg. Il 18,61%, pari a 16 soggetti operati,
presentava valori compresi tra 0 e 9 mmHg. Tale
dato, di per sé allarmante, è verosimilmente at-
tribuibile a una scarsa tenuta del tunnel.
A 24 ore dall’intervento è stato possibile consi-
derare tutta la popolazione arruolata (150 pz).
I pazienti con valori compresi tra 10 e 19 mmHg
erano il gruppo più consistente (59,34%), segui-
to dal gruppo di 56 pazienti (37,33%) con IOP
compresa tra 20 e 29 mmHg.
Due pazienti (1,33%) presentavano IOP com-
presa tra 30 e 39 mmHg e 1 paziente (0.67%)
una IOP maggiore di 40 mmHg. Il gruppo degli
ipotoni, con IOP compresa tra 0 e 9 mmHg, si era
ridotto numericamente rispetto alle misurazioni
effettuate ad un’ora dall’intervento, e risultava li-
mitato a 2 soli pazienti (1,33%).
Luigi Vitale, Giovanni Acerbi, Paola Lencarelli
25viscochirurgia2 • 2011
A 7 giorni di intervallo dall’intervento i valori
erano i seguenti.
L’87,34% (131 pazienti) aveva valori tra 10 e 19
mmHg, l’8,66% (13 pazienti) presentava valori
tra 20 e 29 mmHg.
Nessun paziente aveva valori superiori a 40
mmHg, mentre il gruppo di pazienti con ipoto-
no, tra 0 e 9 mmHg, era aumentato al 3,33% (5
pazienti).
>> ConclusioniAl termine del nostro studio siamo in grado di
affermare che il tono tende ad aumentare in un
60% dei casi nelle 24 ore successive all’inter-
vento di cataratta e giunge a normalizzarsi per
quasi tutti i pazienti nell’intervallo tra il primo
e il settimo giorno. I picchi pressori sono com-
plessivamente abbastanza contenuti nel numero
e nell’entità e tendono a normalizzarsi in un in-
tervallo compreso tra il primo e il settimo giorno
dopo l’intervento senza dover ricorrere a terapie
ipotonizzanti o, come suggerito da alcuni autori,
a manovre parachirurgiche3,7. Escludendo ovvia-
mente i casi in cui vi sia una concomitante patolo-
gia glaucomatosa.
Mentre l’attenzione di tutta la Letteratura si è
sempre focalizzata sugli ipertoni, quello che ci
sembra particolarmente interessante far notare
è che il riscontro di ipotoni postoperatori non è
rarissimo. Nella popolazione del nostro studio si
è verifi cato a 24 ore dall’intervento nel 18,61%
dei casi. Nelle 24 ore successive gli ipotoni si
sono ridotti all’1,33%, ma sono nuovamente au-
mentati a 3,33% nell’intervallo compreso tra il
primo e il settimo giorno dall’intervento. Dopo 4
settimane, in tutti i pazienti è stata riscontrata una
IOP > 10 mmHg.
Ci sembra importante sottolineare che la più
probabile causa degli ipotoni deve essere sem-
pre ascritta alla incompleta tenuta della ferita
chirurgica (tunnel e/o servizio), anche se il test
di Seidel eseguito al termine della procedura di
idrosutura risulta negativo.
La presenza di ipotono è pertanto sintomatica
di una condizione di rischio postoperatorio che
non deve essere sottovalutata.
1. Vannas S, Tarkkanen A. Retinal vein occlusion and glaucoma. Tonographic study of the incidence of glaucoma and of its prognostic signifi -cance. Br J Ophthalmol. 1960 Oct;44:583-9.
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5. Arshinoff S. Postoperative intraocular pressure spikes. J Cataract Refract Sur. 2004 Apr;30:733-4.
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>> Bibliografia
Chirurgia della cataratta e pressione intraoculare
26 viscochirurgia 2 • 2011
Viscomateriale con effetto “scavenger” Vittorio Picardo1,2 Patrizia Vincenti1 Edoardo Stagni2 Vincenzo Cannemi2
1. Casa di Cura Nuova Itor Roma, Unità Operativa di Oculistica (Responsabile: Dott. Vittorio Picardo)2. Casa di Cura Regina Pacis, S. Cataldo (CL) Day Service polispecialistico chirurgico, Ambulatorio di chirurgia Oculare (Responsabile: Dott. Vittorio Picardo)
>>
el corso del secolo scorso, nell’ambito
della chirurgia della cataratta, si sono fatti
alcuni passi da gigante che hanno prodotto cam-
biamenti epocali per questa tecnica chirurgica.
All’inizio del 1900 infatti, la chirurgia di questa
comune affezione era una extracapsulare piut-
tosto grossolana che produceva spesso cataratta
secondaria, irregolarità pupillari, sinechie poste-
riori, uveiti…
Intorno al 1930 e più avanti la tecnica viene so-
stituita dall’intracapsulare con pinza di Arroga, e
successivamente dalla sonda criogenia.
Si faceva così un passo avanti perché si evitava
la secondaria, ma il rischio di perdite vitreali o
complicanze retiniche centrali o periferiche era
piuttosto alto.
Negli anni 60 il microscopio operatorio diventa
un’altra conquista defi nitiva e la tecnica diventa
così microchirurgia della cataratta: migliorano i
taglienti, si aggiungono suture molto sottili, il det-
taglio viene valutato singolarmente.
Ma proprio l’avvento del microscopio riporta in
auge la tecnica extracapsulare che diventa così
“pianifi cata” ed essendo eseguita a forte ingran-
dimento consente al chirurgia la rimozione del-
le sfoglie corticali residue sotto diretto controllo
visivo.
Contemporaneamente nascono le prime lentine
intraoculari così la chirurgia della cataratta di-
ventava anche riabilitazione visiva precoce pa-
rafi siologica.
Le intuizioni di C. Kelmann e i suoi studi svilup-
pano poi negli anni ’70 la tecnica di facoemulsifi -
cazione che oggi giorno è la chirurgia di elezio-
ne per la cataratta, in tutte le sue forme.
L’introduzione della facoemulsifi cazione, ma già
anche nell’era dell’extracapsulare con IOL, ne-
cessitò di disporre di liquidi densi per il mante-
nimento degli spazi, l’esecuzione della capsulo-
tomia, la rimozione del nucleo, e l’impianto della
IOL hanno generato gli studi sui viscomateriali e
la loro successiva produzione industriali, fi no a
farli diventare un devices indispensabile in que-
sta chirurgia.
Agli inizi della tecnica di faco, quando si parlava di
un tempo di scolpitura, un altro di cattura dei qua-
dranti, quello di rimozione della corticale residua
ed infi ne quello dell’impianto della IOL, sul tavolo
servitore erano presenti 2 viscomateriali con carat-
teristiche fi sico chimiche differenti (Figura 1).
N
ESPERIENZA PERSONALE
VISC
OC
HIRU
RGIA
27viscochirurgia2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
Figura 3Bolla di viscomateriali coesivo
quello utilizzato nella fase di scolpitura, che era
un adesivo dispersivo, aveva lo scopo di pro-
teggere meccanicamente l’endotelio cornea-
le dagli insulti del facoemulsifi catore, fi no alla
fase di impianto (Figura 2);
quello utilizzato per l’impianto della IOL, un co-
esivo, doveva semplicemente riempire il sacco
capsulare per facilitare la manovra ed essere
invece facilmente rimovibile con le cannule di
IA al termine dell’intervento (Figura 3).
In quegli anni, Healon faceva da protagonista tra
i viscomateriali coesivi, mentre Viscoat era il pro-
totipo dei dispersivi.
Nel corso degli anni, comunque, la ricerca ha
acquisito nuove informazioni per la produzione
dei viscomateriali, perfezionandone la struttura
molecolare, molto spesso di origine per fermen-
tazione batterica, e modifi candone la concen-
trazione per ottenere caratteristiche reologiche
differenti.
Pertanto, a seguito di queste attività di ricerca, il
chirurgo oculare ha ormai a disposizione diffe-
renti viscomateriali con specifi che caratteristi-
che che possono correlarsi al meglio con la sua
tecnica chirurgica.
Sulla base di queste osservazioni, ed avendo più
volte analizzato il panorama commerciale, nel-
le Strutture chirurgiche di Roma e della Sicilia,
dove la nostra equipe effettua chirurgia della ca-
taratta, abbiamo introdotto come viscomateriali
di routine, un prodotto monouso in siringa sterile
a base di acido ialuronico 2% cui è aggiunto del
mannitolo 0,5% per la particolare attività scaven-
ger che questa molecola esercita nel corso della
facoemulsifi cazione (Visiol Medivis).
L’attività dei viscomateriali è quindi non solo
tettonica, ma anche e principalmente chimico-
fi sica. Infatti, durante le fasi della facoemulsifi -
cazione si produce una sonolisi dell’acqua con
conseguente formazione di radicali superossido.
Questo viene dismutato in ossigeno e acqua os-
sigenata che, interagendo con il radicale, forma
l’idrossile (reazione di Haber-Weiss), molecola
estremamente reattiva, che danneggia il DNA
cellulare. Il processo, detto “effetto scavenger”,
Figura 1Schema di riempimento della CA con visco
Figura 2Bolla di viscomateriale adesivo - dispersivo
cioè di pulizia dall’ossidrile, determina la rottura
della catena molecolare del viscomateriale che
perde così in parte la sua funzione di protettore
fi sico della barriera endoteliale.
Nel nostro studio però abbiamo voluto utilizzare
un particolare viscomateriale che oltre a con-
28 viscochirurgia 2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
tenere acido ialuronico al 2%, contiene anche
mannitolo allo 0.5% con peso molecolare di 1.6
milioni di Dal ton.
In questo prodotto invece è il mannitolo la mole-
cola che effettua la funzione di scavenger dell’os-
sidrile, lasciando inalterata la catena dell’acido
ialuronico che può così svolgere a pieno la sua
funzione tettonica di mantenimento degli spazi e
protezione dell’endotelio.
>> Facoemulsifi cazione e ruolo del mannitolo
La fase di facoemulsifi cazione utilizzata durante
gli interventi di cataratta è il processo attraverso
il quale il cristallino viene frammentato ed emul-
sifi cato mediante l’uso di ultrasuoni ad elevata
energia.
Le bolle dei gas disciolti nella soluzione di irri-
gazione sono sottoposti ad espansione e rapida
compressione (cavitazione) processo questo
attraverso il quale l’energia meccanica in gioco
viene convertita in energia termica, elettroma-
gnetica e chimica con formazione di specie ra-
dicaliche reattive dell’ossigeno. Numerosi studi
hanno dimostrato la formazione di radicali duran-
te l’utilizzo di ultrasuoni1-3. Shimmura et al.4 han-
no dimostrato in vitro, la formazione di radicali
liberi durante la facoemulsifi cazione. Holst et al.5
hanno verifi cato questo fenomeno in interventi di
cataratta sui conigli.
Il meccanismo della cavitazione acustica è an-
cora oggi oggetto di dibattito Cameron et al6
ad esempio affermano che il radicale idrossile
OH· proviene dall’ossigeno molecolare disciol-
to nell’acqua mentre altri gruppi sostengono
che le elevate temperature e pressioni genera-
te dagli ultrasuoni generano i radicali idrossili-
ci e atomi di idrogeno per scissione omolitica
dell’acqua indipendentemente dalla presenza
di ossigeno.
H2O ➝ OH· + H·
OH· + OH· ➝ H2O2 (Acqua Ossigenata)
Il radicale idrossilico generato reagisce in modo
non selettivo rompendo i legami tra il carbonio e
l’idrogeno di molti composti biologici, conduce
inoltre a radicali secondari reattivi e ad altre spe-
cie reattive compresa l’acqua ossigenata con un
complessivo e signifi cativo effetto citotossico.
L’addizione di antiossidanti solubili in acqua nei
viscomateriali utilizzati durante la facoemulsifi -
cazione può aiutare ed eliminare i radicali idros-
silici e a prevenire la formazione delle specie
reattive dell’ossigeno.
Un recente studio condatto da Belda I et al.7 ha
dimostrato la superiorità dell’associazione Aci-
do Ialuronico-Mannitolo rispetto ad altre visco-
elastiche, nel proteggere l’endotelio dal danno
radicalico causato dall’acqua ossigenata. È stato
dunque dimostrato che l’utilizzo di viscomateria-
li (acido ialuronico) in associazione a molecole
antiossidanti idrosolubili (mannitolo) protegge le
cellule endoteliali dal danno radicalico.
L’utilizzo di mannitolo come scavenger di radica-
li favorisce l’eliminazione dei radicali ossidirilici
secondo questo meccanismo:
+OH H2O + prodotti stabili del mannitolo (non tossici)➝
Mannitolo Radicale
29viscochirurgia2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
Il mannitolo non modifi ca la cavitazione acustica
durante la fase di facoemulsifi cazione ma riduce
notevolmente l’effettiva concentrazione dei radi-
cali liberi generati nella fase acquosa evitando
danni alle cellule dell’endotelio.
>> Materiali e Metodi
Nel nostro studio, che si è svolto nell’arco di 28
mesi (da gennaio 2009 a aprile 2011) presso la
Casa di Cura “Nuova Itor” di Roma e la Casa di
Cura “Regina Pacis” di San Cataldo (CL), abbia-
mo effettuato rispettivamente 2186 e 2034 inter-
venti di cataratta adoperando unità faco Alcon,
Laureate a Roma e Legacy in Sicilia, settando
l’unità sempre in cosiddetta fase 2, US 40% line-
are, Flow Rate da 20 a 60 cc/min lineare o fi sso,
Vacuum 400 mmHg lineare, bottiglia 80-100cm,
punta 30° microtip fl ared ABS, incisione 2.75mm.
Figura 4Riempimento CA (immagine chirurgica)
Nel 95% dei casi è stato usato come viscoma-
teriale VISIOL, perché siamo rimasti particolar-
mente colpiti dalla particolarità e dalla peculiari-
tà del prodotto che abbiamo ritenuto utile anche
in relazione all’aspetto costo-benefi cio come
viscomateriali di routine da adoperare all’inter-
no di strutture con equipe chirurgiche allargate
e chirurghi con differenti esperienze e abilità
tecnica. Lo studio ha quindi valutato prevalente-
Figura 5
Figura 6
Pre-operatorio Post-operatorio
30 viscochirurgia 2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
Figura 7
Figura 8
Pre-operatorio Post-operatorio
mente lo status endoteliale e le modifi cazioni
nello spessore ai fi ni di poter garantire l’effi ca-
cia dell’endotelio protezione in una casisitica
signifi cativamente ampia (Figura 4).
Abbiamo quindi effettuato controlli clinici e
strumentali (esame a lampada a fessura, fo-
nometria, pachimetria, conta endoteliale) a 24
ore, 1 settimana e 3 settimane dall’intervento,
adoperando il fonometro a soffi o Keeler Pulsair
e la conta endoteliale automatizzata CSO, con
immagini nel pre e post-operatorio (Figura 5).
Nelle immagini cliniche rilevate (Figure 6, 7, 8),
abbiamo riscontrato un lievissimo incremento
dello spessore corneale a 24 ore dall’atto chi-
rurgico, e sostanzialmente un mantenimento
del mosaico endoteliale pre–operatorio, non
riscontrando mai uno scompenso cornea-
le sul totale di 4220 interventi in due anni e
mezzo circa.
>> Risultati e Conclusioni
I risultati ottenuti in senso anatomo clinico e
funzionale sono stati eccellenti in entrambe le
Strutture. Gli ipertoni in prima giornata post-
operatoria, sono stati dell’1%, giustifi cati dall’am-
pio numero di chirurghi (7) non tutti allo stesso
livello di esperienza pratica.
In alcuni casi si è solamente constatata una pic-
cola permanenza di viscomateriali sul piano en-
doteliale, a conferma delle sue caratteristiche
molecolari che ne rendono la rimozione com-
plessivamente abbastanza agevole ma comun-
que da effettuare con cura per evitare piccole
isole residue di visco in CA.
Non abbiamo evidenziato, in due anni pieni di
attività, alcuno scompenso corneale, mentre ab-
biamo utilizzato lo stesso prodotto anche nella
chirurgia combinata di faco trab, che eseguiamo
31viscochirurgia2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
a vie separate (Figure 9a, 9b, 10).
Sulla base dell’esperienza maturata in circa due
anni e mezzo di attività chirurgica continuativa,
abbiamo potuto constatare su una casistica am-
pia e diversifi cata anche per i tipi di cataratta
trattati (corticale, nucleare, pseudoesfoliativa,
bianca, giovanile) che l’attività di protezione en-
doteliale è stata svolta egregiamente dal visco-
materiali adoperato, evidentemente per una rea-
le attività scavenger svolta dal mannitolo che ha
così valorizzato la attività dell’acido ialuronico al
2% contenuta nel prodotto oggetto del presente
studio. Possiamo pertanto concludere che, ado-
perando i devices più consoni alla nostra tecnica
chirurgia, oggi è possibile ottenere una chirurgia
di qualità della cataratta, con una ulteriore dimi-
nuzione dei fattori di rischio ed un aumentato ri-
spetto dei tessuti endoculari.
Figura 9aQuadro post operatorio a 21 giorni in midriasi
Figura 9bQuadro post operatorio a 21 giorni a pupilla stretta
Figura 10Controllo endoteliale a distanza
1. Riesz P, Kondo T. Free radical formation induced by ultrasound and its biological implications. Free Rad Biol Med 1992; 13:247–270.
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>> Bibliografia
32 viscochirurgia 2 • 2011
Synchrony e Crystalens AO: studio UBM della pseudoaccomodazione con lenti
Marina Modesti1 Maria Trinchi1 Roberto Muscella1 Giacomo Pasqualitto2
1. Ospedale San Carlo, Unità Operativa Complessa di Microchirurgia Oculare, IDI Roma (Direttore: Prof. Scipione Rossi)2. Centro Ricerca, Optikon 2000, Roma
>>
PAROLE CHIAVE UBM
(ultrabiomicroscopia)IOL accomodative
sacco capsularepseudoaccomodazione
KEY WORDS UBM
(ultrabiomicroscopy)accommodative IOLs
capsular bagpseudoaccommodation
RIASSUNTO Questo studio preliminare sulla pseudoaccomodazione condotto con UBM su due modelli di lenti accomodative (Syn-chrony e Crystalens AO) dimostra che tali IOL sono probabilmente troppo grandi per assicurare una reale accomoda-zione. Il diametro del sacco capsulare risulta sempre disteso dopo l’impianto delle lenti. Il complesso sacco capsulare e lente Crystalens in alcuni casi occupa tutto lo spazio disponibile, rappresentato dal diametro ciliare, e a volte si posiziona in sede retrociliare, annullando la funzione zonulare.
ABSTRACT This preliminary study conducted with UBM on pseudoaccomodation shows that, in the cases studied so far, the two models of accommodative IOLs (Synchrony and Crystalens AO) are probably too large to ensure effective accommo-dation. The capsular bag diameter is always stretched after IOLs implantation. The complex Crystalens IOL - capsular bag in some cases takes up the all available space, represented by the ciliary diameter, and sometimes is placed in the back of the ciliary area, cancelling the zonular function.
>> Introduzione
La moderna chirurgia della cataratta si prefi gge
di ottenere la migliore qualità visiva, un risultato
refrattivo ottimale e una riabilitazione nella visio-
ne da vicino.
Ultimamente c’è stato un grande interesse nella
produzione della IOL accomodativa1-2-3 “idea-
le”, che permetta uno shift anteriore dell’ottica
nella fase attiva, ma i risultati non sono stati fi no-
ra soddisfacenti.
Nonostante le differenze individuali4 dei diame-
tri dei sacchi capsulari (CBD), non è stata posta
suffi ciente attenzione alle loro dimensioni preo-
peratorie.
Complicazioni di un‘inappropriata dimensione
della IOL includono un overstretching del sac-
co e/o un decentramento/tilting del complesso
sacco più IOL5.
Questo preliminare studio pilota ci ha aiutato a
capire e a valutare l’importanza dei “prerequisi-
ti” anatomici per l’accomodazione, impiegando
l’ecografi a ad alta frequenza.
>> La nostra esperienza con lenti accomodative Synchrony e Crystalens AOAbbiamo studiato con UBM in fase pre- e posto-
peratoria (1-3 mesi) 4 occhi di 2 pazienti di età
compresa tra 69 e 77 anni, impiantati con lente
Synchrony (Visiogen Inc, Irvine, CA, USA)6,7,8
(Figura 1) e 6 occhi di 3 pazienti di età compre-
sa tra 72 e 82 anni, impiantati con Crystalens AO
(B+L, Aliso Viejo, CA, USA)9 (Figura 2).
La Synchrony in silicone, monopezzo, è la prima
lente a doppia ottica. La lente anteriore, ad eleva-
to potere positivo, è connessa a quella posterio-
re, di potere negativo, mediante un sistema a due
anse, posizionate alle ore III e IX, che dovrebbero
contrarsi in accomodazione attiva, sotto la spin-
ta dei processi ciliari, in accordo con la teoria di
Helmholtz, e far spostare in avanti l’ottica anterio-
re. Il diametro trasversale orizzontale totale della
lente è di 9.8 mm, quello verticale è di 9.5 mm.
La Crystalens AO, altra IOL esaminata è compo-
sta da un’ottica asferica e aptiche in Biosil e due
anse di posizionamento in poliammide. La lun-
33viscochirurgia2 • 2011
Synchrony e Crystalens AO: studio UBM della pseudoaccomodazione con lenti
ghezza totale è di 11.50/12 mm, il diametro del-
l’ottica è di 5 mm. Entrambe le lenti sono dotate
di cartridge e iniettore dedicati, la Synchrony è
già precaricata.
Lo studio anatomico dell’accomodazione pseu-
dofachica è dominio dell’UBM, perchè è l’unico
sistema di imaging che supera la barriera del-
l’epitelio pigmentato dell’iride10 e permette di
esaminare nei dettagli l’area chirurgica. Le misu-
re pre- e postoperatorie dei parametri anatomi-
ci sono state eseguite con l’HiScan Optikon 2000
(Roma), con sonda da 35 MHz, che raggiunge
una risoluzione assiale e laterale rispettivamen-
te di 35 e 50 µm (Figura 3). La tecnica d’esame è
quella del B-scan ad immersione. La condizione
di accomodazione attiva è stata creata facendo
fi ssare al paziente una lettera a 30 cm di distan-
za con l’occhio controlaterale, inducendo una
accomodazione fi siologica. Ai parametri studiati
sui meridiani orizzontale e verticale per la len-
te Crystalens AO (Figura 4), abbiamo aggiunto
le misure delle due ottiche e dello spazio inter-
lenticolare per le lenti Synchrony (Figura 5). Le
immagini sono state ottenute da video registrati
nelle fasi rilassata (visione per lontano) e attiva
(visione per vicino), selezionando quelle con il
diametro solco-solco maggiore. I dati sono stati
elaborati utilizzando il sistema di analisi statistica
SPSS, confrontando i valori ottenuti in accomo-
dazione rilassata ed attiva, sono stati calcolati il
coeffi ciente di correlazione di Pearson ( p value
statisticamente signifi cativo: ≤ 0.05; fortemente
signifi cativo: ≤ 0.01) e il Coeffi ciente di Variazio-
ne (CV), indice di accuratezza delle misure.
>> RisultatiLe misure dei parametri anatomici pre- e posto-
peratori più signifi cativi, calcolate durante le fasi
dell’accomodazione mediante il sistema ad ul-
Figura 1Lente accomodativa Synchrony
Figura 2Lente accomodativa Crystalens AO
Figura 3HiScan Optikon 2000
Figura 4Crystalens AO: parametri misurati per entrambe le lenti con UBM(• ACD = Anterior Chamber Depth • CBT = Capsular Bag Thickness • CBD = Capsualar Bag Diameter • CRD = Ciliary Ring Diameter• SSD = Sulcus-to-Sulcus Diameter • CP-CBD = Ciliary Process-Capsular Bag Distance • CA-CB plane = posizione del complesso sacco capsulare - IOL rispetto all’apice ciliare)
Figura 5Synchrony: parametri misurati con UBM solo per questa lente a doppia ottica (anterior IOL = spessore della lente anteriore;posterior IOL = spessore della lente posteriore; interlenticular space = spazio tra le due ottiche)
34 viscochirurgia 2 • 2011
Marina Modesti, Maria Trinchi, Roberto Muscella, Giacomo Pasqualitto
trasuoni HiScan, sono riportate nella (Tabella 1).
Il ciliary ring è il motore dell’accomodazione; lo
studio conferma che si riduce, insieme alla di-
stanza solco-solco, in accomodazione attiva11,12.
La distanza tra l’apice dei processi ciliari e il sac-
co capsulare è azzerata con le lenti Crystalens,
mentre è fi siologicamente occupata dal crossing
delle fi bre zonulari con le Synchrony (Figura 6).
La camera anteriore non ha mostrato signifi ca-
tiva riduzione in accomodazione attiva, anzi la
media dei valori è negativa con le lenti Crysta-
lens, il che vuol dire che a volte la lente ha uno
shift posteriore nella visione da vicino. I risultati
della posizione del piano del complesso sacco
più IOL sono coerenti con quelli della camera
anteriore13.
L’effetto dell’energia cinetica trasmessa dai
processi ciliari sull’equatore del sacco, durante
la fase attiva dell’accomodazione, fa ridurre il
Figura 6Lente Synchrony: la linea verde corrisponde allo spazio tra il processo ciliare e l’equatore del sacco capsulare, quella rossa al diametro del sacco
Figura 7Lente Crystalens AO in posizione retrociliare: il diametro del sacco capsulare + IOL (linea rossa) è maggiore del diametro ciliare(linea verde)
Tabella 1Principali parametri anatomici misurati con UBM sul piano
orizzontale durante le fasi accomodative
(ACD = Anterior Chamber Depth; CBD = Capsular
Bag Diameter; CRD = Ciliary Ring Diameter;
CP-CBD = Ciliary Process-Capsular Bag
Distance; CP-CB plane = posizione del complesso
sacco capsulare- IOL rispetto all’apice ciliare; Interlenticular space =
spazio tra le due ottiche della lente Synchrony)
35viscochirurgia2 • 2011
Synchrony e Crystalens AO: studio UBM della pseudoaccomodazione con lenti
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>> Bibliografia
diametro del sacco capsulare. Rispetto ai valori
preoperatori il sacco è più disteso in presenza di
entrambe le lenti; spesso, in presenza delle len-
ti Crystalens, occupa tutto lo spazio disponibile
posizionandosi in sede retrociliare (Figura 7).
Negli occhi fi nora impiantati con lenti Synchrony,
in accomodazione attiva indotta fi siologicamen-
te, non abbiamo osservato aumento dello spazio
interlenticolare. Nelle scansioni UBM orizzontali
e verticali e ai follow up di 1-3 mesi le misure
sono risultate stabili.
>> ConclusioniNonostante i confortanti risultati aberrometrici,
ottenuti dal nostro gruppo di ricerca con LSA
(Longitudinal Spherical Aberration), dobbiamo
ancora capire come funzionino queste lenti, al-
meno in alcuni casi.
Certamente interverranno ad assicurare una
parziale pseudoaccomodazione l’aumentata
profondità di fuoco postoperatoria14, l’asfericità
della Crystalens e la funzione telescopica della
Synchrony, ma dal punto di vista anatomico ab-
biamo confermato la teoria di Helmholtz soltan-
to fi no al primo step, ovvero alla contrazione dei
processi ciliari.
Le misure dei sacchi capsulari preoperatori rap-
presentano probabilmente la chiave di volta del
problema. C’è una grande variabilità nel dia-
metro preoperatorio (8.20-11.94 mm): 3.7 mm
di differenza diffi cilmente si possono adattare
a lenti di dimensioni standard. Inoltre abbiamo
sempre riscontrato una distensione del sacco
negli occhi impiantati, che pensiamo impedisca
alle lenti di spostarsi anteriormente.
Tutto questo rappresenta un ostacolo alla rige-
nerazione anatomica della funzione accomoda-
tiva dopo chirurgia della cataratta e suggerisce
un futuro tailoring delle lenti, in particolare delle
lenti accomodative, che tenga conto della reale
dimensione del sacco capsulare in ogni singolo
paziente, ottenibile attualmente soltanto con lo
studio UBM.
36 viscochirurgia 2 • 2011
GIRO D’ITALIA
Una giornata con...
Antonio Scialdone
>>
iao Antonio, ci rivediamo qui da te dopo
un paio d’anni, quando passai una matti-
nata tra una sessione e l’altra di Videoca-
taratta. Tanti cambiamenti, vedo.
Sì, Vittorio, ricordi bene. Qualche anno fa erava-
mo nell’edifi cio qui di fronte, dove è ospitato da
sempre l’Ospedale Fatebenefratelli, con tutte le
sue Divisioni Specialistiche.
Da poco tempo siamo ritornati nella tradizionale
sede dell’Oftalmico, dove insieme a Patrizio Sei-
denari svolgiamo la nostra attività quotidiana.
Ricorderai, infatti, che le Divisioni sono 2, pra-
ticamente gemelle, con un ottimo affi atamento
tra le equipes, massima armonia nella gestione
delle problematiche sia cliniche che organizza-
tive ed amministrative. Del resto, non potrebbe
che essere così, quando c’è da condividere
Reparto, Sala operatoria, Ambulatori generali e
Specialistici ed anche il Pronto Soccorso.
Sia il mio gruppo che quello del Collega Sei-
denari, sono composti da 7 Oculisti, mentre
dobbiamo dividerci gli attuali 20 posti letto che
a breve scenderanno a 10, così come la Sala
Operatoria, che invece a breve verrà affi ancata
da una seconda, permettendoci di lavorare me-
glio, e con meno affanno.
Per comodità, abbiamo suddiviso i turni di sala
operatoria in giornate fi sse, lunedì/mercoledì e
martedì/giovedì, mentre il venerdì lo usiamo a
settimane alterne.
Lo stesso avviene per gli ambulatori, che fun-
zionano all’opposto dei turni di sala operatoria.
Il nostro Ambulatorio, che è quello che vedi
adesso qui al piano terra, esegue circa 25.000
prestazioni l’anno, sia di Oftalmologia generale
che di super-specialità come cornea, glaucoma
e retina. Gli ambulatori lavorano fi no alle 18, ac-
cogliendo anche prestazioni provenienti da PS,
C
VISC
OC
HIRU
RGIA
Cresciuto in ambiente universitario qualifi cato, il San Raffele di Milano, capostipite di una lunga serie di Ospedali San Raf-faele, in Italia e nel mondo, Antonio Scialdone diventa presto il chirurgo del segmento anteriore di fi ducia del Prof. Rosario Brancato, Suo Maestro.Dal 1983 al 2000 struttura, dirige e organizza l’attività della chirurgia della Clinica Oculistica. Alla fi ne degli anni 80 il Day Hospital di chirurgia oculistica del S. Raffaele diventa il più grande di Milano. Dal 2000 assume la Direzione dell’U.O. di Oculistica 1 dell’Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano.È anche lui ospite di Viscochirurgia per la rubrica “Una giornata con…” Vittorio Picardo
37viscochirurgia2 • 2011
come campi visivi, screening ortottici, laser re-
tinici e via dicendo.
Questo tipo di organizzazione ci consente di
effettuare quell’ampio numero di prestazioni
che ti dicevo, non senza tenere impegnati in
maniera costante e signifi cativa tutti i Colleghi.
E comunque mi impegno per organizzare ogni
anno borse di studio per giovani oculisti, ed in-
serirne alcuni nella “organizzazione”.
Mentre parliamo e camminiamo, squilla ripetu-
tamente il cellulare di Antonio, chiamato dal ca-
posala, da colleghi, dalla direzione aziendale.
Salutiamo pazienti, vediamo se tutto è a posto, e
andiamo anche in Reparto per i controlli.
Arriviamo nella stanza di Antonio, dove natu-
ralmente tante carte, circolari e fascicoli sono
poggiati sulla scrivania e su qualche altra men-
sola della stanza, e che Antonio guarda con oc-
chio languido, ricordandomi la stessa avversio-
ne che ha il Commissario Montalbano quando
deve fi rmare documenti e cartacce.
Antonio, ormai sei qui da parecchi anni, e
quindi hai imparato a organizzare le tue
giornate al meglio per poter conciliare le
attività cliniche ed anche un po’ di ricerca
con quelle legate alla gestione della Strut-
tura e del Pronto Soccorso.
Sì è vero. Bisogna diventare programmatori di
se stessi e una volta stabilito il piano di lavo-
ro per tutti, me compreso, questo va rispettato
per non creare disservizi, disguidi, vuoti assi-
stenziali. Ad esempio, il lunedì mattina, poiché
arrivo un po’ dopo in Ospedale, verso le 10.30,
mi trattengo un po’ di più per controllare le lista
operatorie della settimana, rivedere alcuni pa-
zienti ricoverati più impegnativi, defi nire i turni
di lavoro per i periodi di assenza o vacanza. La
mattinata, sai, vola e il tempo sembra essere
sempre troppo poco.
Come è organizzato l’Ambulatorio Genera-
le e quelli Specialistici?
Gli ambienti, come hai visto, sono in comune,
per cui gli Ambulatori, la Sala e il PS funzionano
a giorni alterni tra le 2 Unità Operative; bisogna,
quindi, ottimizzare l’organizzazione dei Colle-
ghi nelle varie attività, anche in considerazione
del fatto che per ora abbiamo l’attività di sala
operatoria costretta in una sala unica dalle 8
alle 19 e la programmazione deve essere una
vera catena produttiva. Consideriamo anche
che Il Pronto Soccorso, aperto H24, utilizza 2
medici nel turno di mattina, 2 di pomeriggio ed
1 di notte, ed un altro è smontato dalla notte e
quindi riposa.
In tutto questo turn over, la Struttura PS eroga
42.000 prestazioni l’anno.
Però, nonostante questo, riusciamo a soppe-
rire alla domanda che ci viene dal pubblico,
cercando di ottimizzare anche i percorsi dia-
gnostici, ed avvalendoci anche della collabo-
razione dei nostri tecnici ortottisti-assistenti
di Oftalmologia.
E per la chirurgia?
Bene, se vuoi dei numeri, perché purtroppo
oggi valiamo per quanto… fatturiamo, l’oculi-
stica svolge circa 3.300 interventi l’anno, di cui
2.500 cataratte, 400 vitrectomie, 300 distacchi
di retina, 90 trapianti di cornea, su un solo let-
to operatorio per ora. Eseguiamo anche della
chirurgia orbito-palpebrale, che sta iniziando a
decollare. Tutto ciò produce un fatturato di circa
4,7 milioni di euro.
GIRO D’ITALIA
Le carte... sul tavolo
38 viscochirurgia 2 • 2011
E quindi hai ampia possibilità di manovra
per le novità in chirurgia?
Non moltissimo, ma riesco comunque ad “as-
saggiare” quasi tutto, valutando il rapporto co-
sto/benefi cio e ad avere ad esempio un centi-
naio di lenti toriche e Premium all’anno. Tieni
conto che l’80% delle vitrectomie sono in 25G.
Possiamo se vuoi entrare in sala, ma, al momen-
to, tutto è raccolto in un unico ambiente che
lavora a ritmi continui, mattina e pomeriggio,
mentre mi piacerebbe mostrarti le nuove che
avremo a breve.
Promesso, Antonio, anzi questo è un ottimo
Ambulatorio di cataratta
motivo per tornare a trovarti e passare un’altra
mattina insieme.
Del resto abbiamo già scambiato le nostre
esperienze e unito i nostri entusiasmi quando
abbiamo collaborato per più anni ai congressi
di Lucio Buratto, quando abbiamo organizzato
alcuni corsi alla SOI e scritto assieme articoli
per varie riviste.
E chiacchierare con te è sempre piacevole per-
ché in fondo, hai un piglio alla James Bond come
si vede dalla tua foto.
Vittorio Picardo
GIRO D’ITALIA
39viscochirurgia2 • 2011
titolo titolo titolo ??????????????
P
40 viscochirurgia 2 • 2011
>> Introduzione e ScopoÈ opinione comune che la degenerazione macu-lare atrofi ca non sia suscettibile di vere terapie.L'evoluzione di tale malattia porta alla formazione di aree atrofi che che ingrandendosi fi niscono per confl uire e creare ampie chiazze retiniche non più funzionali. La patologia atrofi ca senile appare essere geneticamente predeterminata, in quanto sono presenti antigeni di istocompatibilità comu-ni tra i pazienti. È possibile dunque equipararla a una forma ereditaria tardiva. Abbiamo ipotizzato di proporre nella degenerazione maculare senile atrofi ca la medesima terapia utilizzata nelle ere-dodistrofi e, ossia l'impianto di lipociti subsclerali,
il quale determina l'increzione a livello corioreti-nico di fattori di crescita del tipo bFGF al fi ne di infl uenzarne la storia naturale.
>> Case reportIl caso riguarda una paziente di 68 anni che giunge all'osservazione per riduzione del visus. La signora riferisce che nell'ultimo mese vede meno nitido soprattutto in condizioni di forte luce, mentre non ha notato cambiamenti signifi -cativi nella visione per vicino.L’acuità visiva per lontano con la migliore corre-zione in OD era 8/10, per vicino 6 cp + 3 add.,
Degenerazione maculare atrofi ca e fattori di crescita
Paolo Limoli1 Sergio Z. Scalinci2 Filippo Tassi1 Laura D’Amato1 Giulia Corradetti1
1. Low Vision Research Centre, Milano2. Università di Bologna
>>
RIASSUNTO Introduzione e Scopo: Scopo di questa presentazione è quella di illustrare il cambiamento della performance visiva in un paziente affetto da degenerazione maculare senile atrofi ca (dry AMD), trattato con Impianto di lipociti subsclerali. Materiali e Metodi: La paziente, 68 anni, si presenta all’osservazione riferendo un calo della qualità visiva. Viene effettuata visita oculistica completa, analisi della sensibilità retinica con microperimetro e fl uorangiografi a retinica. Si evidenzia degenerazione maculare senile atrofi ca (dry AMD). Viene sottoposta a intervento con impianto di lipociti subsclerali.Risultati: Abbiamo osservato dopo l’intervento un miglioramento sensibile, stabile nel tempo (2 anni di follow-up), della BCVA e della sensibilità retinica esaminata con microperimetria.Conclusioni: È possibile ipotizzare che i fattori di crescita increti dal peduncolo adiposo impiantato nello spazio sovra-coroideale possa interferire nell’evoluzione dell’atrofi a retinica associata alla degenerazione maculare correlata all’età di tipo secco, analogamente a quanto avviene nella retinopatia pigmentosa.
ABSTRACT Introduction and Purpose: The purpose of this presentation is to illustrate the change in visual performance in a patient with atrophic age-related macular degeneration (dry AMD), treated with Adipocities Subscleral Implant.Materials and Methods: The patient, 68 years old, reports drop in visual quality. It made an complete eye exami-nation, analysis of retinal sensitivity with microperimetry and retinal fl uorangiography. It should be noted atrophic age-related macular degeneration (dry AMD). Undergoes Adipocities Subscleral Implant.Risults: After surgery we observed a signifi cant improvement, stable over time (2 years of follow-up), of BCVA and retinal sensitivity examined with microperimetry.Conclusions: You can assume that growth factors released from adipose stem implanted in the suprachoroidal space could interfere in the evolution of dry age-related macular degeneration, similar to what occurs in Retinitis pigmentosa.
PAROLE CHIAVE microperimetria
DMSfattori di crescita
KEY WORDS microperimeter
ARMDgrown factor
41viscochirurgia2 • 2011
Variazioni della BCVA e della sensibilità in dB misurata con microperimetria
in OS 9/10, 6 cp + 3 add. Il segmento anteriore appare indenne se non per la presenza di un'ini-ziale pseudoexfoliatio capsulae.PIO 16 mmHg OO.Al fondo si osservano alterazioni tipiche da ARMD confermate dalla fl uorangiografi a.All'esame della sensibilità retinica effettuata con microperimetria MP1 si osservano i seguenti ri-sultati (Figura 1): OD: sensibilità 6,8 db, fi ssazione instabile
2° = 25% 4°=59%, scotoma parafoveale, in-grandimento della macchia cieca OS: sensibilità 6,7 db, fi ssazione instabile
2° = 10% 4°=36%, scotoma parafoveale, in-grandimento della macchia cieca.
All'esame del campo visivo effettuato con peri-metria computerizzata Octopus 123 si osserva-no i seguenti risultati: OD: scotoma centrale assoluto parafoveale
2° in difetto centrociecale relativo esteso fi no ai 15°. OS: scotoma centrale assoluto parafoveale, ingrandimento della macchia cieca, difetto re-lativo esteso dai 10° nasali ai 30° temporali.
La presenza di scotomi paracentrali e bassa sensibilità determinati da una ARMD di tipo secco non impedisce una compliance visiva, in quanto l'area centrale appare ancora dispo-nibile, e questo spiega una BCVA ancora poco
compromessa e un buon visus per vicino. Ma il lento progredire della patologia ha causato una variazione della qualità visiva, specie in condi-zioni fotopiche, tale da spingere la signora ad effettuare una visita di controllo. Visto il quadro atrofi co viene proposto un intervento di impian-to di lipociti subsclerali al fi ne di stabilizzare la patologia seguito da trattamento fotostimolativo per potenziare la funzionalità residua.Viene spiegato alla paziente che il razionale dell’intervento deriva dalla particolare attitudine dei lipociti orbitari a produrre fattori di crescita che fungono da stimolo trofi co per le cellule re-tiniche.La tecnica adottata è quella di Palaez, modifi cata da Meduri prima e perfezionata in seguito da Limoli e Carpi, che l’hanno resa meno invasiva.
>> RisultatiL'intervento procede senza complicanze. I con-trolli vengono effettuate a 1, 3, 6, mesi, 1 anno e 2 anni (Tabella 1) (Figure 2 e 3). Non viene ri-portato il visus per vicino in quanto è rimasto sempre stabile nel tempo, 6 cp +3 add.Come si può osservare abbiamo nel tempo un netto miglioramento delle performance visive sia in termini di acutezza visiva che in termini di sensibilità retinica.
Figura 1Microperimetria che mostra uno scotoma parafoveale in OO
Tabella 1
T0 T30 T90 T 180 T 360 T 720
OD
BCVA 0,8 0,5 0,8 0,9 1,0 1,0
dB 6,8 12,7 13,1 16,8 17,4 16
OS
BCVA 0,9 0,63 0,9 0,9 1,0 1,0
dB 6,7 11,1 13,1 16,1 16,5 15,8
Degenerazione maculare atrofi ca e fattori di crescita
01. Meduri R, Scorolli L, Morara M, Scalinci SZ, Greco P, Meduri RA. Effect of basic fi broblast growth factor on the retinal degeneration of B6(A)- Rpe rd12/J (retinitis pigmentosa) mouse: a morphologic and ultrastructure study. 2007 ARVO Annual Meeting, Fort Lauderdale, 6-10 May 2007.
02. Friedemann L, Heister M, Scholz C, Borchardt T, Braun T: Re-programming of new cardiomyocytes is induced by tissue regeneration. Journal of Cell Science, 119(22), 2006.
03. Scalinci SZ, Scorolli L, Meduri A, Morara M, Degli Esposti S, Meduri RA. Evaluation of basic Fibroblast Growth Factor (bFGF) level in pig eyes that underwent surgical adypocites implant under the sclera plane. ARVO 2005, May 1-2 2005, Fort Lauderdale.
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>> Bibliografia
>> Discussione e ConclusioniEsistono evidenze che in molteplici patologie genetiche, la turba metabolica causa morte cel-lulare per apoptosi, basti considerare la degene-razione tapeto-retinica e le degenerazioni ma-culari atrofi che in cui la perdita dei fotorecettori si ha proprio per apoptosi. La via dell’apoptosi può essere evitata o comunque procrastinata, attivando il gene Bc12. I fattori di crescita hanno, fra le altre molteplici peculiarità, la capacità di attivare l’espressione di questo gene indipen-dentemente dalla causa innescante.Considerando che i fattori di crescita sono se-creti dalle cellule quando il tessuto è esposto ad insulti ischemici-fl ogistici, o comunque quando subentrino danni cellulari, si è proposto l’impian-to subsclerale di lipociti peduncolati. Il razionale dell’intervento deriva dalla particolare attitudine dei lipociti orbitari che, quando immersi in am-biente eterotopico, producono quantità elevate
di fattori di crescita ed in particolare bFGF. Il pe-duncolo ha un apporto nutrizionale autonomo quindi tali cellule si mantengono vitali, differen-temente da quanto si verifi ca in caso di impianto cellulare libero. Inoltre, l’incompleta chiusura dello sportello sclerale, che si cicatrizza su due dei tre lati pra-ticati restando pervio l’ingresso del peduncolo adiposo, favorisce l’increzione continua di VeGF. L’increzione dei fattori di crescita nello spazio coroideale si è dimostrata essere, in questo caso, capace di rallentare l’apoptosi cellulare retinica e, come conseguenza del migliorato trofi smo retinico, le performance visive tendono a miglio-rare. Possiamo considerare l'impianto di lipociti subsclerali come un nuovo approccio terapeutico alle patologie atrofi che. Ci poniamo come obiet-tivo futuro l'identifi cazione della tipologia di pa-zienti che potrebbero benefi ciare maggiormente dell'intervento.
Figura 2Microperimetria
che mostra uno scotoma parafoveale in OO
Figura 3Andamento
della sensibilità retinica in OS dopo Impianto di lipociti subsclerali
e fotostimolazione customizzata
Paolo Limoli, Sergio Z. Scalinci, Filippo Tassi MD, Laura D’Amato, Giulia Corradetti
43viscochirurgia2 • 2011
Degenerazione maculare atrofi ca e fattori di crescita
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Elettrofi siologia clinicae basi fi siologiche
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44 viscochirurgia 2 • 2011
Terapia combinata con fotodinamica-verterporfi rina e Ranibizumab versus monoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell’AMD essudativa: 12 mesi di follow-up
Rosalia Giustolisi Nicoletta Fantozzi Mariateresa Staltari Jessica Marchiori Olga Mastrangelo Paola Mazzotta Federica Mirra Corrado Balacco Gabrieli
Università “Sapienza”, Facoltà di Medicina, Dipartimento di Oftalmologia, Roma
>>
PAROLE CHIAVE CNV
AMDRanibizumab
PDT
KEY WORDS CNV
AMDRanibizumab
PDT
RIASSUNTO Scopo del lavoro: Valutare l’effi cacia e la sicurezza della terapia combinata, costituita dalla somministrazione, nello stesso giorno, di terapia fotodinamica con verteporfi na (PDT-V) e di una intravitreale (IV) di Ranibizumab comparan-dola con la monoterapia con Ranibizumab (tre iniezioni in tre mesi) per il trattamento della neovascolarizzazione coroidale (CNV) conseguente a degenerazione maculare senile (AMD) .Tipo di studio: Studio randomizzato controllato prospettico, open-label, monocentrico.Materiali e Metodi: 17 occhi di 17 pazienti con CNV sono stati consecutivamente arruolati e trattati con terapia combinata defi nita come PDT-V e Ranibizumab per via intravitreale comparandoli con un gruppo di controllo costitu-ito da 30 occhi di 30 pazienti trattati con monoterapia (Ranibizumab 0.5 mg). Il follow-up è stato eseguito con visite ogni 4 settimane comprendenti la misurazione della Best corrected visual acuity (BCVA), la tomografi a a coerenza ottica (OCT) con valutazione dello spessore maculare centrale (CMT) e la fl uorangiografi a (FA). La durata totale dello studio è di 12 mesi.Risultati: Nel gruppo in terapia combinata la BCVA iniziale prima della terapia (T0) è pari in media a 32.6 (LogMar 0.482) lettere, mentre a T12 è pari a 35.5 (LogMar 0.41) lettere in media con un guadagno medio rispetto a T0 di 2.9 (LogMar 1.618) lettere. Il CMT medio a T0 è di 314.6 µm, mentre a T12 è di 216.9 µm con una riduzione fi nale pari a 97.7 µm. Nel gruppo in monoterapia la BCVA iniziale media è pari a 29.1 (LogMar 0.522) lettere, dopo la conclusione del trattamento, a T12, ha un valore di 31.8 (LogMar 0.496) lettere in media, con guadagno medio di 2.7 (LogMar 1.614) lettere. Il CMT medio a T0 è pari a 297.6 µm mentre a T12 è pari a 223.6 µm.Discussione e Conclusioni: I due trattamenti mostrano la medesima effi cacia da un punto di vista anatomico e funzionale, con un vantaggio del gruppo in terapia combinata in termini di minore necessità di ritrattamenti. Non si sono verifi cati severi eventi avversi oculari quali endoftalmite, distacco di retina e ipertono oculare.
ABSTRACT Purpose: To evaluate the effi cacy and safety of combined therapy with Photodynamic Therapy with Verteporfi n (PDT-V) and intravitreal Ranibizumab same-day compared with monotherapy with Ranibizumab (three monthly injec-tions) for the treatment of the choroidal neovascularization (CNV) due to age-related macular degeneration (AMD).Type of study: Open-label, monocentric, randomized controlled trial (RCT).Materials and Methods: 17 eyes of 17 patients were consecutively enrolled and randomly assigned to Ranibizumab intravitreal injection + PDT compared with a control group of 30 eyes of 30 patients treated with only Ranibizumab 0.5mg in three monthly injections. Best corrected visual acuity (BCVA), central macular thickness (CMT) on optical coherence tomography were examined before and after treatment. Patients were followed-up for twelve months.Results: In the combined therapy group, the mean baseline BCVA is 32.6 (LogMar 0.482) letters (Snellen Equiva-lent: 20/59), at 12-months after treatment it’s 35.5 (LogMar 0.41) letters with a mean improvement of 2.9 (LogMar 1.618) letters. (Snellen Equivalent: 20/42). The mean central thickness at baseline is 314.6 µm. After twelve months the mean CMT is 216.9 µm, with mean CMT reduction of 97.7 µm. In the Ranibizumab-alone group, the mean baseline BCVA is 29.1 (LogMar 0.522) letters (Snellen Equivalent: 20/70), at 12-months it’s 31.8 (LogMar 0.496) letters with a mean improvement of 2.7 (LogMar 1.614) letters. (Snellen Equivalent: 20/57). The mean baseline CMT is 297.6 µm, at 12-months it is 223.6 µm. Discussions and Conclusions: The two treatments showed the same effi cacy from a functional and anatomic point of view with a less number of retreatments in the combined therapy group. There were no serious ocular adverse events such as retinal detachment, endophthalmitis or ocular hypertone.
45viscochirurgia2 • 2011
>> IntroduzioneL’Age related Macular Degeneration (AMD) è
un’affezione della regione maculare che compa-
re in età senile. All’età di 75 anni, un terzo della
popolazione presenta segni o sintomi dell’AMD,
condizione responsabile del 75% dei casi di ce-
cità legale in individui sopra i 50 anni1. Sebbene
la maggioranza dei pazienti affetti da AMD pre-
sentino la forma atrofi ca, caratterizzata da dru-
sen ed atrofi a a livello dell’epitelio pigmentato
retinico (EPR), ben il 90% dei casi con severa
perdita della visione è dovuto alla forma essu-
dativa, caratterizzata dalla formazione di una
neovascolarizzazione coroideale (CNV)2. La pa-
tologia può progredire dalla forma atrofi ca alla
forma essudativa nel 10-20% dei casi3, inoltre
circa il 40% dei pazienti ha la forma bilaterale4.
La formazione della CNV comporta la perdita di
sangue e liquido a livello maculare, con grave
perdita in breve tempo di acuità visiva (BCVA)
e se non trattata determina a lungo termine una
prognosi visiva decisamente scarsa5.
Allo stato attuale esistono varie modalità di trat-
tamento per quel che riguarda l’AMD di tipo
essudativo in quanto negli ultimi anni le opzioni
terapeutiche per il trattamento hanno avuto un
notevole sviluppo. Nel 2000 la terapia fotodina-
mica con verterporfi rina (PDT-V) è stata appro-
vata dalla Food and Drag Administration (FDA)
per il trattamento delle CNV subfoveali dovute
ad AMD e ha rappresentato, per diversi anni, il
trattamento di prima linea nei casi eleggibili di
CNV correlata ad AMD6-7.
Recentemente è stata introdotta la terapia an-
tiangiogenica che comprende sia fattori antian-
giogenetici anti-VEGF come il Bevacizumab, il
Ranibizumab e il pegaptanib sodico per via in-
travitreale sia steroidi intravitreali come il triam-
cinolone acetonide8-15.
Un’altra opzione è data dalla combinazione di
due o più opzioni terapeutiche al fi ne di attuare
la cosiddetta terapia combinata, al fi ne di colpire
in più punti chiave la cascata patogenetica16-17.
Lo scopo dello studio è quello di valutare l’effi -
cacia e la sicurezza del nostro modello di tera-
pia combinata, costituito dalla somministrazione,
nello stesso giorno, di terapia fotodinamica con
verteporfi na a fl uenza standard e di una dose di
anti-VEGF (Ranibizumab 0.5 mg/0.05 ml) per
via intravitreale rispetto alla monoterapia con il
Ranibizumab per via intravitreale, somministrata
secondo il protocollo standard (tre iniezioni in
tre mesi).
>> Materiali e MetodiIl nostro è uno studio prospettico randomizzato,
monocentrico, caso-controllo, in cui 47 occhi af-
fetti da CNV correlata ad AMD sono stati divisi
in due bracci: nel primo 17 occhi di 17 pazienti
sono stati trattati con terapia combinata secondo
il nostro modello, ovvero con la somministrazio-
ne nello stesso giorno di terapia fotodinamica e
Ranibizumab 0.5 mg per via intravitreale riser-
vando ulteriori ritrattamenti per le lesioni ancora
in fase attiva; nel secondo braccio 30 occhi di al-
trettanti pazienti sono stati sottoposti al solo trat-
tamento con Ranibizumab secondo il protocollo
internazionale, ovvero con la somministrazione
mensile di 0.5 mg/0.05 ml di Ranibizumab per
via intravitreale per 3 mesi indipendentemente
dallo stato di attività della membrana neovasco-
lare. Tutti i pazienti risultati eleggibili per lo stu-
dio hanno fi rmato il consenso informato. Que-
sto studio non ha specifi che limitazioni circa il
numero di pazienti arruolati ed è in linea con le
Good Clinical Practice e Declaration of Helsinki.
Criteri di inclusione comprendono una Best
Corrected Visual Acuity (BCVA) ≥ 10 lettere
ETDRS, CNV maculare correlata ad AMD di tipo
classico, prevalentemente classico od occulta,
Greatest Linear Dimension ≤ 5400 µm, età ≥ 55
anni e presenza di una CNV correlata ad AMD
in fase attiva defi nita come la presenza di ede-
ma alla tomografi a a coerenza ottica (OCT) e di
leakage alla fl uorangiografi a (FA).
Criteri di esclusione sono stati precedenti trat-
tamenti con Bevacizumab o pegaptanib. Non
sono stati esclusi pazienti precedentemente trat-
tati con PDT-V. Sono sati esclusi pazienti affetti
da diabete non controllato, disordini della coa-
gulazione, accidenti cerebrovascolari, embolia
polmonare o trombosi venosa, ipertensione si-
stemica non controllata, insuffi cienza renale cro-
nica, infarto del miocardio nei precedenti 6 mesi
o interventi chirurgici nei 6 mesi antecedenti il
Terapia combinata con fotodinamica-verterporfi rina e Ranibizumab versus monoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell’AMD essudativa: 12 mesi di follow-up
46 viscochirurgia 2 • 2011
trattamento, qualsiasi affezione oculare capace
di infl uire sull’acuità visiva come glaucoma, strie
angioidi, traumi, coroiditi, patologia ereditarie,
afachia, precedente chirurgia vitreoretinica.
Gli occhi arruolati sono stati sottoposti mensil-
mente a visita di controllo comprendente la mi-
surazione della BCVA intesa come logaritmo del
minimo angolo di risoluzione (LogMAR) misura-
ta su tavole di Bailey-Lawson secondo la proce-
dura ETDRS, valutazione dello spessore retinico
centrale attuata mediante esame OCT-HRT ed
esame angiografi co con fl uoresceina e verde di
indocianina.
La terapia laser fotodinamica è stata condotta
secondo gli standard internazionali: dose di far-
maco pari a 6 mg/m2 ricostituito in acqua sterile;
volume totale di infusione pari a 30 ml (aggiunta
di soluzione di glucosio al 5% al volume di far-
maco ricostituito); tempo di infusione di 10 mi-
nuti (velocità 3 ml al minuto); luce lasercon lun-
ghezza d’onda 689 nm (colore rosso), intensità
600 mW/cm2, dose 50 J/cm2; inizio applicazione
laser pari a 15 minuti dopo l’inizio dell’infusione;
tempo di esposizione al laser di 83 secondi.
La terapia intravitreale con Ranibizumab è at-
tuata con fl aconcini da usare una sola volta, solo
per uso intravitreale. Il Ranibizumab è stato som-
ministrato da un oculista qualifi cato, esperto in
iniezioni intravitreali. La dose raccomandata per
Ranibizumab è 0.5 mg (0.05 ml). L’iniezione è
attuata a ore 6 a 3.5/4 mm dal limbus, in stret-
te condizioni di asepsi. Prima del trattamento, il
paziente deve essere istruito ad instillarsi gocce
antibiotiche (quattro volte al giorno nei 3 giorni
precedenti e successivi ad ogni iniezione).
In generale dopo il primo ciclo di trattamento
abbiamo considerato migliorati o peggiorati i
pazienti in base a:valutazione dell’acuità visiva
misurata in lettere e linee ETDRS per cui consi-
deriamo migliorati i pazienti con incremento ≥
di 15 lettere (pari a tre linee ETDRS), peggiorati
i pazienti con perdita ≥ di 15 lettere e stabili i
A B
C D
Figura 1. Monoterapia
A. Alterazione della mor-fologia retinica con area di iperefl ettività in sede maculare, edema intraretinico sovrastan-te in stadio cistoide, sollevamento dell’EPR e del neuroepitelio pe-rilesionale
B. Area di leakage angio-grafico in sede ma-culare
C. Ripristino della morfo-logia retinica in sede maculare con scom-parsa dell’edema in-traretinico e riduzione del sollevamento del-l’EPR sottostante
D. Scomparsa del leakage angiografico in sede maculare
R. Giustolisi, N. Fantozzi, M. Staltari, J. Marchiori, O. Mastrangelo, P. Mazzotta, F. Mirra, C. Balacco Gabrieli
47viscochirurgia2 • 2011
restanti; valutazione dello spessore retinico cen-
trale misurata mediante OCT-HRT,da cui consi-
deriamo migliorati i pazienti con riduzione dello
spessore > 10%, peggiorati i pazienti con incre-
mento dello spessore > 10%, stabili i rimanenti;
presenza di attività della membrana all’esame
fl uorangiografi co e al verde d’indocianina.
>> RisultatiNel gruppo in terapia combinata l’età media dei
pazienti è 72 anni (DS ±10 anni) con rapporto M/
F di 0.9:1. Nel gruppo in monoterapia l’età me-
dia è 72.1 (DS±10.1 anni) e rapporto M/F pari
a 1:1.
I pazienti sono stati valutati per 12 mesi in en-
trambi i gruppi.
I due parametri da noi considerati sono stati:
BCVA in linee ETDRS
spessore centrale retinico all’OCT-HRT.
Entrambi i parametri sono stati valutati a T0 (pri-
ma dell’inizio del trattamento), quindi mensil-
mente fi no al completamento del follow-up.
Gli occhi trattati con il nostro modello di terapia
combinata sono 17 con un’acuità visiva iniziale
prima della terapia (T0) pari in media a 32.6 let-
tere, a T12 con o senza ulteriore IV si è passati
a 35.5 lettere in media con un guadagno medio
rispetto a T0 di 2.9 lettere. Ulteriori IV durante il
follow-up sono state necessarie in 7 pazienti.
La percentuale di pazienti che a T12 hanno ne-
cessitato di ritrattamento è del 41.1% (7 pazien-
ti su 17 necessitano di ulteriore ciclo di terapia
combinata).
A T12 la quota totale di IV necessarie è stata pari
a 40, con 2.35 IV in media.
A 12 mesi, quindi in T12, 1 paziente pari al 5.8%
ha un guadagno ≥15 lettere, 15 pazienti pari
all’82.2% sono stabili e infi ne 1 paziente pari al
5.8% ha una perdita ≥15 lettere.
Nel gruppo di pazienti sottoposto a monotera-
pia (un ciclo di tre IV di Ranibizumab), gli occhi
A B
C D
Figura 2Terapia combinata
A. Alterazione della mor-fologia retinica in sede maculare con edema intraretinico, solleva-mento dell’EPR e del neuro epitelio
B. Area di iperfl uorescenza di leakage angiografi co in sede maculare con aree di ipofl uorescenza da mascheramento pe-rilesionale
C. Ripristino della norma-le morfologia retinica al polo posteriore as-senza di edema intrare-tinico in sede maculare
D. Scomparsa del leakage angiografi co
Terapia combinata con fotodinamica-verterporfi rina e Ranibizumab versus monoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell’AMD essudativa: 12 mesi di follow-up
48 viscochirurgia 2 • 2011
trattati sono stati 30 con una BCVA iniziale media
in T0 pari a 29.1 lettere, che dopo la conclusione
del trattamento, a T12, ha un valore di 31.8 lettere
in media, con guadagno medio di 2.7 lettere. Un
ulteriore ciclo di trattamento con Ranibizumab
a T12 si è reso necessario in 13 pazienti, pari al
43.3% del totale.
A T12 la quota totale di IV necessarie è stata pari
a 144, con in media 4.8 IV a testa.
A T12, 8 pazienti pari al 26.7% hanno avuto un
guadagno ≥15 lettere, 20 pazienti pari al 66.6%
sono rimasti stabili, infi ne 2 pazienti pari al 6.7%
del totale ha avuto una perdita ≥15 lettere.
Il secondo parametro da noi considerato è lo
spessore retinico centrale, valutato mediante
l’acquisizione della Macular Thickness Map tra-
mite scansioni OCT-HRT.
I risultati del gruppo in terapia combinata, mo-
strano a T0, ovvero prima dell’inizio del tratta-
mento, una CMT media di 314.6 µm, mentre
a T12 si ha uno spessore medio di 216.9 µm
con una riduzione fi nale dello spessore centra-
le retinico rispetto allo spessore iniziale pari a
97.7 µm.
A T12 su 17 pazienti considerati, 2 pazienti pre-
sentano un incremento dello spessore retinico
≥ del 10% pari al 11.8%, 3 pazienti sono stabili
pari al 17.6% e infi ne 12 pazienti pari al 70.6%
presentano una riduzione dello spessore retini-
co centrale ≥ del 10%.
Nel gruppo di pazienti in trattamento con il ciclo
di tre iniezioni di Ranibizumab, lo spessore reti-
nico iniziale medio a T0 è pari a 297.6 µm men-
tre a T12 si ha uno spessore centrale medio pari
a 223.6 µm. A T12 su 30 pazienti considerati, 3
presentano un incremento dello spessore reti-
nico centrale ≥ del 10% pari al 10% del totale,
4 pazienti pari al 13.3% del totale sono stabili
e infi ne 23 pari al 76.6% del totale presentano
una riduzione dello spessore retinico centrale ≥
del 10% (Grafi ci 1, 2, 3).
In entrambi i gruppi il guadagno in BCVA e
la riduzione del CMT è statisticamente signi-
fi cativa (p<0.05). Non vi sono però differenze
signifi cative nell’azione terapeutica fra le due
terapie (p>0.05). Risulta invece statisticamente
signifi cativa la differenza nel numero di ritratta-
menti a 12 mesi (p=0.025) dimostrando che il
gruppo in terapia combinata subisce un nume-
ro di ritrattamenti inferiori rispetto al gruppo in
monoterapia.
>> Discussione e ConclusioniIl trattamento dell’AMD essudativa ha subito, nel
corso degli anni, numerosi cambiamenti. Fino
agli anni ‘90, la fotocoagulazione laser ha rappre-
sentato l’unico trattamento in grado di rallentare
Grafi co 1
Grafi co 2
Grafi co 3
R. Giustolisi, N. Fantozzi, M. Staltari, J. Marchiori, O. Mastrangelo, P. Mazzotta, F. Mirra, C. Balacco Gabrieli
49viscochirurgia2 • 2011
il decremento visivo causato dalla membrana
neovascolare. Attualmente la fotocoagulazione
rimane una opzione terapeutica esclusivamen-
te per le CNV a localizzazione juxta ed extrafo-
veale poiché il trattamento di una membrana a
sede subfoveale risulterebbe inevitabilmente in
uno scotoma centrale.18-19 Successivo a quello
della fotocoagulazione risulta essere il tratta-
mento delle CNV correlate ad AMD attraverso
la terapia fotodinamica. Sin dal 2001 la terapia
fotodinamica con verterporfi rina è stata il gold
standard per il trattamento delle CNV con com-
ponente classica o prevalentemente classica.
La verteporfi na viene immessa in circolo me-
diante iniezione endovenosa, e, una volta rag-
giunti i neovasi patologici, vi si lega con una
elevata affi nità. La successiva irradiazione non
termica del farmaco permette la produzione
di radicali liberi che si rendono responsabili
dell’aggregazione piastrinica e, conseguente-
mente, della trombosi biochimica del neovaso.
La verteporfi na è l’unico farmaco fotosensibi-
lizzante per PDT approvato dall’FDA nel 2000.
Le linee guida per l’utilizzo della PDT-V nel
trattamento delle CNV correlate ad AMD sono
state pubblicate nel 2002 e, in accordo con que-
ste, il trattamento risulta indicato per le lesioni
classiche e predominantemente classiche20-21.
Nonostante ciò la PDT-V non mostra signifi cativi
risultati nei pazienti con CNV di tipo puramen-
te occulto. Inoltre nei pazienti trattati con sola
PDT-V l’espressione del VEGF e dei VEGF-R è
aumentata, in conseguenza delle condizioni di
ipossia, mentre è diminuita l’espressione del
PEDF. Ciò determina la ricrescita della neova-
scolarizzazione dovuta alla neoangiogenesi, e di
conseguenza si ha la ricorrenza della CNV con
necessità di trattamenti multipli e incremento del
rischio di potenziali effetti avversi.7 Le nuove te-
rapie farmacologiche che hanno come target il
VEGF-A hanno signifi cativamente migliorato il
trattamento dell’AMD limitando la progressione
della patologia e, in una buona percentuale dei
casi, migliorando l’acuità visiva.
Il successo della terapia antiangiogenica non è
solo legato al controllo della progressione della
patologia, ma anche nell’impedire il leakage dei
vasi anomali, nel revertire la CNV e nel preveni-
re le ricorrenze della patologia. I farmaci attual-
mente a disposizione comprendono: il pegapta-
nib sodico diretto contro il VEGF165, approvato
dall’FDA nel 2004; il Ranibizumab frammento di
un anticorpo monoclonale umanizzato in grado
di reagire con tutte le isoforme del VEGF, appro-
vato dall’FDA nel 2006; il Bevacizumab anche
questo è in grado di legare il VEGF, ma attual-
mente off-label per il trattamento delle CNV cor-
relate ad AMD8-14.
La terapia anti-VEGF richiede iniezioni intravi-
treali con signifi cativa frequenza (una ogni 4-6
settimane). Sebbene il trattamento sia indubbia-
mente effi cace, alcuni recenti modelli sperimen-
tali hanno dimostrato che il trattamento diventa
meno valido nel bloccare la neovascolarizzazio-
ne e nel farla regredire dopo un certo periodo
di tempo. Di conseguenza l’uso della sola tera-
pia anti-VEGF negli stadi avanzati dell’AMD può
essere limitato22.
L’associazione della terapia fotodinamica agli
anti-VEGF in una modalità defi nita terapia com-
binata, permette di intervenire con un effetto ad-
ditivo sia sui vasi già formati che sullo stimolo
vasoproliferativo che ne induce l’ulteriore for-
mazione. La terapia combinata infatti consente
di trattare la neovascolarizzazione colpendo in
più punti chiave la cascata di fattori che ne indu-
ce la progressione. In questo modo l’utilizzo di
due farmaci associati con diverso meccanismo
d’azione potrebbe essere più effi cace del sin-
golo farmaco in monoterapia e la combinazione
dei due trattamenti potrebbe ridurre la quota di
ricrescita dei neovasi e quindi il numero di ritrat-
tamenti. Infatti l’utilizzo della PDT-V determina
l’ablazione dei neovasi già formati, e l’associa-
zione con l’anti-VEGF ne impedisce la ricrescita
grazie all’azione antiangiogenetica16-17. Inoltre
in un recente studio che valuta i livelli di VEGF
presenti nell’umor acqueo prima della terapia e
ad un mese da essa ne dimostra un signifi cativo
decremento, correlato positivamente con una
diminuzione dello spessore retinico centrale va-
lutato tramite OCT23.
Alcuni studi multicentrici hanno valutato l’effi ca-
cia dell’utilizzo di un associazione simultanea fra
terapia fotodinamica con verterporfi rina e anti-
VEGF in pazienti con neovascolarizzazione sot-
toretinica valutandone l’effi cacia e la sicurezza
in comparazione con la sola terapia fotodinami-
Terapia combinata con fotodinamica-verterporfi rina e Ranibizumab versus monoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell’AMD essudativa: 12 mesi di follow-up
50 viscochirurgia 2 • 2011
ca. Lo studio FOCUS condotto da Antoszyk AN
et al (2008) valuta l’effi cacia della terapia con
Ranibizumab combinato con la PDT-V (un‘ap-
plicazione di PDT con tre applicazioni di Rani-
bizumab nell’arco di tre mesi) in comparazione
con la sola PDT in pazienti con CNV di tipo pre-
valentemente classica a localizzazione subfove-
ale, non eccedente i 5400 µm di GLD. A 12 mesi
il 90.5% dei pazienti trattati con combinata e il
67.9% dei controlli hanno perso meno di 15 let-
tere. Il 23.4% del primo gruppo ha guadagnato
tre linee all’ETDRS con un incremento medio
dell’acuità visiva di 4.9 lettere, mentre il gruppo
di controllo nel 5.4% ha subito una perdita me-
dia di 8.2 lettere. La percentuale di pazienti che
ha ripetuto la PDT-V è signifi cativamente inferio-
re nel gruppo che ha effettuato l’intravitreale di
Ranibizumab24.
Lo studio CAM condotto da Debefve E (2009)
dimostra che il tempo ottimale per somministra-
re Ranibizumab è entro le 24 ore dalla PDT25. Lo
studio PROTECT condotto da U. Schmidt-Erfurth
et al (2007) valuta l’effi cacia dell’associazione di
un’applicazione di PDT-V e una IV di Ranibizu-
mab somministrate nello stesso giorno seguite
da altre due IV in un ciclo di tre mesi, in 32 pa-
zienti con CNV secondaria ad AMD. Il follow-up
è di nove mesi, al termine dei quali il 70% (22/32
pazienti) hanno ricevuto alla baseline la sola
dose obbligatoria di 4 iniezioni di Ranibizumab
e 1 PDT, mentre il 21.8% ha ricevuto 1 trattamenti
addizionali con verteporfi na26. Da ciò consegue
che la terapia combinata è più effi cace della sola
PDT nel trattamento della CNV, con incremento
dell’acuità visiva, sebbene vi sia un incremento
delle infezioni intraoculari dovuta all’utilizzo del
Ranibizumab.
Il nostro studio introduce una nuova possibilità
terapeutica che si integra nel vasto panorama
delle opzioni attualmente disponibili. Lo scopo
del trattamento è quello di ottenere una terapia
effi cace, sicura e con buona compliance del
paziente attraverso la riduzione del numero di
trattamenti con signifi cativi vantaggi sia per quel
che riguarda i costi sostenuti dalla sanità pub-
blica, sia per il paziente che guadagna acuità
visiva con un minor numero di visite e quindi
maggiore compliance.
I risultati del nostro studio mostrano come, per
ciò che concerne l’acuità visiva, a 12 mesi, negli
occhi trattati con terapia combinata (Ranibizu-
mab 0.05 mg/0.5 ml + PDT), un occhio, pari al
5.8% ha un guadagno ≥15 lettere, 15 occhi pari
all’ 82.2% sono stabili e infi ne un occhio pari
al 5.8% ha una perdita ≥15 lettere; nel gruppo
sottoposto a monoterapia (Ranibizumab 0.05
mg/0.5 ml) a T12, 8 occhi pari al 26.7% hanno
avuto un guadagno ≥15 lettere, 20 occhi pari al
66.6% sono rimasti stabili, infi ne 2 occhi pari al
6.7% del totale ha avuto una perdita ≥15 lettere.
Il secondo parametro da noi considerato è lo
spessore retinico centrale, che nel gruppo trat-
tato con terapia combinata mostra a T12 su 17
occhi considerati, un incremento dello spesso-
re retinico ≥ del 10% pari al 11.8% in 2 occhi,
3 pari al 17.6% sono stabili e infi ne 12 occhi
pari al 70.6% presentano una riduzione dello
spessore retinico centrale ≥ del 10%; nel grup-
po trattato con il solo Ranibizumab a T12, su 30
occhi considerati, 3 presentano un incremento
dello spessore retinico centrale ≥ del 10% pari
al 10% del totale, 4 occhi pari al 13.3% del totale
sono stabili e infi ne 23 pari al 76.6% del totale
presentano una riduzione dello spessore retini-
co centrale ≥ del 10%. Questi dati dimostrano la
parziale sovrapponibilità dei risultati ottenuti.
Va tenuto però in considerazione che il numero
di iniezioni totali necessarie è minore nel grup-
po di pazienti trattati con terapia combinata (4.8
iniezioni medie nella monoterapia versus 2.35
nella terapia combinata), risultando un minore
stress psicofi sico per il paziente ed un aumento
della qualità della vita.
Non ultimo va considerata la riduzione del ri-
schio correlato alle IV in quanto essendo delle
manovre invasive necessitano di un continuo
monitoraggio e non sono esenti da complican-
ze quali endoftalmite e distacco di retina. Infi ne
nella valutazione dei costi è risultato che nel
gruppo in terapia combinata il minor numero di
iniezioni necessarie rispetto alla monoterapia
comporta una riduzione della spesa (valutata
come solo costo della fi ala di Ranibizumab) pari
al 48.78%. Un maggior numero di pazienti e un
più lungo follow-up potranno fornirci ulteriori
risultati.
R. Giustolisi, N. Fantozzi, M. Staltari, J. Marchiori, O. Mastrangelo, P. Mazzotta, F. Mirra, C. Balacco Gabrieli
51viscochirurgia2 • 2011
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Terapia combinata con fotodinamica-verterporfi rina e Ranibizumab versus monoterapia con Ranibizumab nel trattamento dell’AMD essudativa: 12 mesi di follow-up
52 viscochirurgia 2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
Vitrectomia 23 gauge suturless e uso di lenteSclerale Quotidiana Aloe
Alberto Montericcio
Clinica Oftalmica Casa Verde, Trapani
>>VI
SCO
CHI
RURG
IA R obert Machemer, considerato il padre del-
la vitrectomia via pars plana, intorno agli
anni ‘70 ha messo a punto un vitrectomo con
inserzione in pars plana, che comprendeva in-
fusione taglio ed aspirazione insieme (VISC). Le
dimensioni erano di 17 gauge pari ad una in-
cisione nella sclera di 2,3 mm. Subito dopo nel
1974 O’Malley e Heintz hanno ridotto il calibro
a 20 gauge (0,9 mm), separando il sistema di
infusione da quello di taglio.
Nel 2002 Fujii, de Juan e coll. presentarono il si-
stema di vitrectomia 25 gauge dotato di cannule,
infusione ed illuminazione con lo scopo di sosti-
tuire completamente il 20 gauge.
I principali problemi riscontati nella fl essibilità
degli strumenti, che non permettono una vitrec-
tomia completa o determinate manovre endo-
culari complesse, nella poca illuminazione della
fi bra 25g, nel riscontro di ipotono post operato-
rio e nel teorico aumento delle endoftalmiti post
operatorie per l’assenza di suture, non hanno
permesso a questa tecnica di soppiantare com-
pletamente la chirurgia tradizionale 20g.
I limiti della vitrectomia 25g vengono parzial-
mente superati da Claus Eckardt che nel 2004
introduce la tecnica 23 gauge. Questo sistema
presenta un calibro leggermente più grande del
25g (0,7 mm).
La vitrectomia 23g sembra ovviare in parte ai
problemi del 25g: strumenti più rigidi, ottima
illuminazione, una maggiore fl uidica, che con-
sente di attuare scambi con silicone che risulta-
vano lenti e complessi con il 25g, la possibilità di
poter operare qualsiasi caso. L’unico problema
resta la necessità di suturare spesso le scleroto-
mie soprattutto nella tecnica “one step”.
Particolare interesse destano, in questo ambito,
i nuovi trocar “drop free” ideati da S. Rizzo che,
grazie ad un meccanismo a valvola, riducono la
fuoriuscita e la perdita di fl uido vitreale, con di-
minuzione delle turbolenze in camera vitrea e
consentono, grazie ad per un completo controllo
su vacuum e fl ow rate, una notevole stabilizza-
zione della IOP, oltre ad eliminare il rischio di
incarceramento retinico e vitreale.
Nonostante tutto, una perfetta valutazione delle
sclerotomie alla fi ne della chirurgia, può evitare
Figura 1Utilizzo trocar nella vitrectomia 23g
53viscochirurgia2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
complicanze post operatorie legate alla loro non
perfetta chiusura.
La perdita di tonicità tono oculare nell’immedia-
to post operatorio, sia utilizzando aria che gas,
viene riscontrata nel 3,9% dei casi e di questi,
molti richiedono una sutura per stabilizzare il
tono oculare.
Anche l’uso di mezzi tamponanti, quale l’olio
di silicone, necessita un controllo accurato del-
Figura 2Profi lo asferico della LAC
Figura 3Geometria LAC
Figura 4Diametro LAC
le sclerotomie e anche in questo caso molti di
questei richiedono la sutura. A tal fi ne è utile, a
nostro avviso, in tutti i casi di chirurgia suturless
23 G, l’uso di una lente sclerale avente un diame-
tro di 18 mm. (Figure 2-3-4) Lo scopo è quello
di avere un’azione tettonica sulle sclerotomie ed
evitare ipotonie post operatorie.
La lente utilizzata è la Quotidia Sclerale Aloe,
una lente in Methafi lcon A 55% di acqua.
Figura 5Lac sclerale
Figura 6Lac Sclerale
Figura 7LAC one day Post-op
Figura 8LAC one day Post-op
54 viscochirurgia 2 • 2011
ESPERIENZA PERSONALE
La Ionicità della superfi cie della lente determi-
na la compatibilità del materiale con i farmaci,
permettendo il loro comune utilizzo topico.
L’ ampio diametro, oltre a determinare una chiu-
sura controllata delle sclerotomie, crea una pro-
tezione da eventuali infezioni (Foto 5-6-7-8).
La lente inoltre, essendo idratata, quindi ingloba-
ta nella matrice polimerica, e blisterata di acido
ialuronico e aloe, garantisce oltre a un comfort
per il paziente, un’azione antibatterica e antifl o-
gistica naturale caratteristica dell’aloe.
>> Proprietà cicatrizzante dell’AloeL’Aloe partecipa al processo di cicatrizzazione
di ferite attraverso due componenti: quella ad
alto peso molecolare degli acemannani e quel-
la a basso peso molecolare degli antrachinoni,
degli steroli vegetali, dei triterpeni e delle sa-
ponine.
In questo contesto gli acemannani stimolano l’at-
tività dei macrofagi con produzione di segnali
chimici che incidono sulla proliferazione cellula-
re, in particolare dei fi broblasti, che sono anche
coinvolti nella fasi terminali della rimarginazione
delle ferite, favorendo la riepitelizzazione.
>> Proprietà antinfi ammatoria e antidolorifi ca La proprietà antinfi ammatoria e quella antido-
lorifi ca è la caratteristica fi toterapica più cono-
sciuta ed apprezzata dell’Aloe.
L’azione svolta, calmante e lenitiva su tessuti,
richiama quella di farmaci antinfi ammatori ste-
roidei di sintesi, ma senza coinvolgere produrre
le complicanzezioni collaterali a questi associa-
te. I componenti attivi antinfi ammatori dell’Aloe
si possono identifi care in tre molecole steroi-
dee vegetali: il composterolo, il sistosterolo ed
il luteolo, che agiscono producendo inibizione
dell’azione degli effetti delle prostaglandine.
Il controllo del processo infi ammatorio è dovu-
to anche all’intervento dell’acemannano e della
bradichinasi dell’Aloe, che, rispettivamente, at-
tivano fagociti e determinano degradazione di
bradichinina e di altre interleuchine, liberate dal
processo infi ammatorio. Questa intensa attività
sviluppata nel sito infi ammato ha anche effetto
anche antidolorifi co e lenitivo al cui contribui-
scono anche molecole antrachinoniche, come
l’acido cinnammico e l’isobarbaloina, e l’acido
salicilico, anch’essi componenti del pool di prin-
cipi attivi dell’Aloe.
>> Proprietà antibatteriche antimicotiche e antivirali Ciascuna di queste proprietà è sostenuta da spe-
cifi che molecole, patrimonio della pianta Aloe.
La capacità di contrastare lo sviluppo di batteri
e di funghi è conferita all’Aloe dalla presenza di
due acidi organici, l’acido cinnamomo e l’acido
crisofanico; le loro caratteristiche citotossiche
dovute alla componente antrachinonica della
molecole hanno effi cace azione sulla cellula
degli agenti patogeni. In particolare l’acido cri-
sofanico ha azione su funghi che si possono insi-
diare nel nostro organismo.
La proprietà antibiotica è conferita all’Aloe dalla
presenza di glucosidi a struttura antrachinonica,
come l’acido Aloetico e le aloine, con il contri-
buto del polisaccaride acemannano e dell’enzi-
ma bradichinasi, particolarmente rappresentato
nell’Aloe.
L’azione coordinata e sinergica di questi fatto-
ri coinvolge anche il sistema immunitario con
attivazione di macrofagi e produzione di inter-
leuchine.
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3. Rizzo S, Genovesi-Ebert F, Murri S et al. 25-gauge sutureless vitrectomy and standard 20-gauge pare plana vitrectomy in idiopathic epireti-nam membrane surgery: a comparative pilot study. Graefes Arch Clin Exp Ophthalmol 2006;19:1-8
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6. Okuda T, Nishimura A, Kobayashy A et al. Postoperative retinal break after
>> Bibliografia
56 viscochirurgia 2 • 2011
Caso clinico
Occlusione venosa retinica e coroidite serpiginosa Vito Gasparri Giovanni Catarinelli Enza Pirozzi Carlo Monaco
Ospedale “S. Giovanni Calibita” Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma Unità Operativa Complessa di Oculistica (Direttore: Dott. Vito Gasparri)
>>
VISC
OC
HIRU
RGIA
CASE REPORT
Ogni tanto capita di vedere fondi oculari strani, inquadrabili nel grosso capitolo delle corioretiniti, ma che non sempre riusciamo ad identifi care completamente. Ho chiesto a Vito Gasparri, Diret-tore della Unità Operativa di Oculistica dell'Ospedale Fatebene-fratelli dell'isola Tiberina di Roma, che invece di questi argomenti si è interessato sin dal periodo della sua formazione universitaria, di descriverci un caso particolare, per inquadrare meglio queste forme fl ogisitche del segmento posteriore. E lui, con grande ge-nerosità e cortesia, ci ha fornito un case report che loro hanno seguito dalla A alla Z fi no alla alla felice e positiva conclusione.
Vittorio Picardo
>> IntroduzioneLa Coroidite Serpiginosa (CS) è una malattia
rara, progressiva e ricorrente che colpisce pri-
mitivamente la coriocapillare e l’epitelio pig-
mentato della retina e che talvolta coinvolge tutti
gli strati retinici.
La CS inizia nella regione peripapillare e si
estende centrifugamente, con un andamento a
serpentina, verso le aree adiacenti del polo po-
steriore, della macula e della fovea, potendo de-
terminare quindi una grave perdita del visus.
I segni clinici e angiografi ci sono stati descritti
già negli anni settanta da Schatz, Maumenee e
Patz1, Hamilton e Bird2 e Laatikainen et Erkkila3.
La CS è caratterizzata da lesioni bianco-grigia-
stre sottoretiniche confl uenti a livello dell’epite-
lio pigmentato, che dopo alcuni mesi diventano
delle cicatrici atrofi che, a causa della marcata
perdita dell’epitelio pigmentato e della corioca-
pillare1,2, associate a vari gradi di iperpigmenta-
zione e proliferazione fi brosa1.
L’etiologia è ancora sconosciuta e la patologia è
normalmente bilaterale e colpisce tra la terza e
la sesta decade di età.
La terapia d’elezione sono i corticosteroidi, as-
sociati alla azatioprina o alla ciclosporina5,6.
>> Caso clinico Un uomo di 40 anni è giunto alla nostra osser-
vazione per un progressivo annebbiamento del
visus associato a metamorfopsie nell’occhio
destro (OD). Il paziente è stato sottoposto ad
esame oculistico completo: esame dell’acuità
visiva, biomicroscopia del segmento anteriore,
tonometria, esame del fundus con oftalmosco-
pia diretta e indiretta con i seguenti risultati:
acuità visiva in OD 7/10 e in OS 10/10, tono-
metria OD 16 mmmHg, OS 16 mmHg;
camera anteriore e vitreo in quiete in entram-
bi gli occhi.
All’anamnesi non si evidenziavano fatti rilevanti
né veniva riferita una storia recente di episodi
simil-infl uenzali.
L’esame del fundus in OD evidenziava nella re-
gione peripapillare lesioni acute, confl uenti, al di
sotto della retina a livello dell’epitelio pigmen-
tato; le lesioni si estendevano centrifugamente
dal disco ottico verso le grandi arcate vascola-
ri e l’area nasale perifoveolare; si apprezzava
inoltre un inguainamento delle vene retiniche
temporali superiore e inferiore nel tratto peri-
papillare causato da perifl ebite. Il fundus in OS
era normale.
57viscochirurgia2 • 2011
CASE REPORT
Venivano eseguite retinografi a ed angiografi a
a fl uorerscenza con l’angiografo Zeiss (Zeiss,
Oberkochen, Germany). Nelle fasi iniziali della
fl uorangiografi a si rilevava ipofl uorescenza del-
le lesioni con aspetto a pseudopodi (Figura 1);
nelle fasi tardive si apprezzava una modica iper-
fl uorescenza associata ad aree ipofl uorescen-
ti; vi era inoltre leakage perivascolare dei vasi
venosi affetti da perifl ebite nelle aree colpite da
corioretinite; per il resto i vasi retinici non erano
interessati (Figura 2). In OS la fl uorangiografi a
era normale.
I dati clinici erano compatibili con la diagnosi di
Coroidite Serpiginosa.
Il paziente veniva trattato con bolo intravenoso
di metilprendisolone 1 gr, x 3 giorni poi con
prednisone orale 50 mg/die a dosi scalari e con
ciclosporina A (5mg/Kg).
Dopo la risoluzione della fase attiva, si assisteva
alla scomparsa delle metamorfopsie con un re-
cupero visivo di 10/10; dopo 5 mesi dall’esordio
della malattia non vi erano segni di recidive e il
paziente proseguiva la terapia con ciclosporina
A (3 mg/kg) ed il quadro clinico si manteneva
stabile come evidenziato dalla retinografi a e
dalla fl uorangiografi a (Figura 3).
Otto mesi dopo l’esordio, quando il paziente era
ancora in cura con ciclosporina A (3 mg/Kg),
durante una visita di controllo il visus in OD ri-
sultava 9/10; il segmento anteriore, il tono ed il
vitreo apparivano normali; all’oftalmoscopia si
apprezzavano aree di iperpigmentazione asso-
ciate a zone di atrofi a corioretinica a livello delle
vecchie lesioni. Si evidenziava inoltre un‘occlu-
sione venosa del tratto peripapillare della vena
retinica supero temporale, la stessa che presen-
tava un manicotto di perifl ebite otto mesi prima
(Figura 4).
Gli esami ematochimici eseguiti (emocromo, si-
deremia, ferritina, PT, PTT, INR, fi brinogeno, LAC,
defi cit Antitrombina III, proteina C e S, MTHFR,
fattori VII e VIII, Dimero D e Omocistinemia) non
mostravano fattori predisponesti a fenomeni
trombotici.
Veniva prescritta Nadropina calcica alla dose
iniziale di 0,4 mg x 2/die e successivamente x
Figura 3Retinografi a e fl uorangiografi a OD dopo 5 mesi dall’esordio: quadro clinico stabile ed in quiete
Figura 1Fluorangiografi a OD Fase iniziale: aree di ipofl uorescenza e lesioni pseudopodali
Figura 2Fluorangiografi a OD Fase tardiva: le lesioni diventano variamente iperfl uorescenti e si associano a piccole aree di ipofl uorescenza; è presente leakage del vasi venosi che si trovano al di sopra delle aree di corioretinite
58 viscochirurgia 2 • 2011
1/die; dopo 15 gg. si assisteva alla completa ri-
soluzione dell’occlusione (Figura 5).
Nella stessa sede compariva però una tipica
lesione di corioretinite non presente prece-
dentemente all’occlusione (Figure 6 A e 6 B). Il
paziente veniva trattato nuovamente con bolo
intravenoso di metilprendisolone 1 gr, x 3 giorni
e successivamente con prednisone orale 50 mg/
Figura 4Retinografi a e
fl uoragiografi a OD dopo 8 mesi dall’esordio:
occlusione di branca del tratto peripapillare supero
temporale della vena precedentemente affetta
da perifl ebite (vedi Figura 2)
Figura 5Retinografi a e
Fluorangiografi a OD: risoluzione dell’occlusione
supero temporale
Figura 6Lesione serpiginosa (A)
non presente al momento dell’occlusione (B)
A B
die a dosi scalari e la dose di ciclosporina A ve-
niva riportata a 5mg/Kg con rapida risoluzione
del nuovo episodio infi ammatorio.
La ciclosporina A è stata gradualmente sospesa
nel corso dei 6 mesi successivi.
Dopo un anno di follow-up non si sono verifi cati
nuovi episodi infi ammatori ed il visus si è man-
tenuto a 10/10 in ambo gli occhi.
CASE REPORT
59viscochirurgia2 • 2011
01. Schatz H, Maumenee A E, Patz A. Geographic helicoids peripapillary choroidopathy. Trans. Am. Acad. Ophthalmol. Otolaryngol. 78:747, 1974.
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13. Baglivo E. Vascular occlusion in serpiginous choroidopathy British Journal of Ophthalmology 2005;89:387-388 etiology.
>> Bibliografia
>> DiscussioneSebbene l’esatta etiologia della CS non sia anco-
ra chiarita1,3, è presumibile che si tratti di un di-
sordine infi ammatorio, probabilmente originato
da una immunovasculite indotta da un antigene
esterno o da un antigene tissutale, in particolari
soggetti sensibilizzati, associato ad una occlu-
sione coroideale secondaria.
Alcuni AA suggeriscono che possa essere coin-
volto un fattore vascolare1.
Il processo infi ammatorio non è limitato solo alla
coroide e all’epitelio pigmentato, ma durante la
fase acuta della malattia si possono osservare
vasculiti retiniche, vitreiti e uveiti.
La complicanza più grave nella CS resta la neo-
vascolarizzazione maculare sottoretinica.
In letteratura è raramente riportata l’associazio-
ne tra CS e occlusioni venose retiniche2,3,4,5 ma
non è mai stata descritta un’occlusione a carico
di un vaso venoso precedentemente affetto da
perifl ebite in corso di CS.
Abbiamo voluto descrivere questo caso, a no-
stro avviso interessante, in cui il paziente in tera-
pia immunosoppressiva e senza segni di attività
ha presentato un’occlusione venosa di un vaso
precedentemente affetto da perifl ebite. Questo
suggerisce che l’occlusione di branca possa
essere secondaria a una perivasculite e ciò raf-
forzerebbe l’ipotesi di una patogenesi immuno-
logia della CS.
D‘altro canto un‘occlusione venosa sotto terapia
con immunosoppressori ed in assenza di con-
temporanei segni di fl ogosi, rende plausibile
la teoria secondo la quale un fattore vascolare
possa giocare un ruolo addizionale nella pato-
genesi della CS.
L’etiologia della CS è per molti versi ancora sco-
nosciuta; inoltre la sua relativa rarità non con-
sente studi su ampie coorti di pazienti; pertanto
ogni nuova acquisizione clinica, come quella ri-
portata, può assumere un ruolo importante per
migliorare la conoscenza della malattia.
CASE REPORT
60 viscochirurgia 2 • 2011
Utilizzo del triamcinolone acetonidein chirurgia oculare
Cesare Forlini2 Adriana Bratu2 Matteo Forlini1 Paolo Rossini2
1. Università degli Studi di Modena - Clinica Oculistica (Direttore: Prof. Gian Maria Cavallini)2. Ospedale “S. Maria delle Croci”, Unità Operativa di Oculistica, Ravenna (Direttore: Dott. Cesare Forlini)
>>
PAROLE CHIAVE triamcinolone acetonide
vitrectomiainfusione anteriore
ialoide posteriore
KEY WORDS triamcinolone acetonide
vitrectomyanterior infusionposterior hyaloid
ABSTRACT L’elaborato mostra le indicazioni e tecniche di utilizzo del Triamcinolone Acetonide (TA) in chirurgia oftalmica. In particolare gli Autori si soffermano sull’utilizzo in chirurgia vitreo-retinica e nella chirurgia del segmento anteriore in caso di complicanza durante facoemulsifi cazione. La chirurgia del segmento posteriore presenta numerose patologie che giustifi cano l’uso del TA. Dalle patologie ma-culari (pucker, edema e foro maculare) ai vari tipi di distacco di retina (regmatogeno, trazionale recidivante, con foro maculare in miope elevato) e nei casi di retinopatia diabetica proliferante. In tutti questi casi iniezioni e re-iniezioni di TA durante la vitrectomia, assicurano radicalità e precisione della chirurgia. Nel caso invece delle complicanze della faco, il TA è un utilissimo strumento di visualizzazione intraoperatoria del vitreo eventualmente prolassato in camera anteriore e dei residui capsulari per valutare il tipo di impianto.
ABSTRACT The paper shows information and techniques on how to use Triamcinolone Acetonide (TA) in ophthalmic surgery. The authors dwell on its use during vitreoretinal surgery and anterior segment surgery in case of complications du-ring phacoemulsifi cation.Posterior segment surgery presents different pathologies that justify the use of TA: macular pathologies (pucker, ede-ma and macular hole), different kinds of retinal detachment (regmatogeno, recurrent tractional, with macular hole in high myopic patient), and in proliferative diabetic retinopathy cases. In all these occasions, several TA injections during vitrectomy guarantee a radical and accurate surgery.In case of phaco complications, TA is very useful to visualize the vitreous that is eventually prolapsed in the anterior chamber, and the capsular residuals to better assess the implantation type.
>> BackgroundIl Triamcinolone Acetonide (TA) è un farmaco
utilizzato routinariamente in diverse discipline
della Medicina ed introdotto in Oculistica da Ma-
chemer1 negli anni ‘80.
Nonostante quindi i reports circa il suo utilizzo
siano presenti in Letteratura da diversi decenni,
solo dal 2001 con gli studi di Jonas2, il TA è entra-
to a far parte della pratica quotidiana sia medica
che chirurgica dell’Oculistica.
Inizialmente, il TA è stato introdotto in Oculistica
per il trattamento di varie forme di edema ma-
culare3 e maculopatie essudative4 (con iniezioni
cicliche via pars plana di 4mg/mL), ma ben pre-
sto il suo utilizzo si è esteso alla chirurgia ocula-
re e quella vitreo-retinica5-6-7 in particolare.
Infatti la capacità di legarsi in modo estrema-
mente selettivo ad alcune strutture endoculari,
lo rende un validissimo “strumento” intra-opera-
torio per il chirurgo vitreo-retinico (e non solo).
>> Triamcinolone in chirurgia vitreo-retinicaL’evoluzione delle tecniche di chirurgia vitreo-
retinica negli ultimi anni, grazie anche allo svi-
luppo dei sistemi mini-invasivi trocar-guidati8-9
ed il miglioramento delle performances dei vi-
trectomi, ha rappresentato un importante passo
avanti in termini di risultato anatomico-funziona-
le per i pazienti.
L’introduzione dei coloranti vitali per evidenziare
le strutture pre-retiniche10-11-12 è stato un ulterio-
re strumento di aiuto per il chirurgo, per avere
61viscochirurgia2 • 2011
Utilizzo del triamcinolone acetonide in chirurgia oculare
la certezza sulle manovre chirurgiche eseguite
e ridurre il rischio di traumi iatrogenici da “over-
peeling”.
In quest’ottica, l’utilizzo del TA, si pone come
strumento con doppia fi nalità: farmacologia,
quale agente con riconosciuta azione anti-ede-
migena ed anti-infi ammatoria, e come vero e
proprio strumento chirurgico, che guida la mano
del chirurgo nell’asportazione del vitreo e delle
membrane epiretiniche.
Tecnica chirurgicaAll’inizio della vitrectomia si esegue una rimo-
zione del vitreo centrale (core vitrectomy) e
quindi si procede all’iniezione di una piccola
quantità di TA, che verrà dispersa in camera vi-
trea e sulla superfi cie anteriore, in modo che i
cristalli di cortisone si leghino alle strutture en-
dovitreali. In caso di distacco posteriore di vitreo
(DPV) presente, il TA evidenzierà solamente la
membrana pre-retinica, mentre invece se vi è un
DPV parziale, come spesso si riscontra, il TA evi-
denzierà l’aderenza della corticale vitreale sul
nervo ottico e l’area maculare. Sarà quindi pos-
sibile procedere all’induzione del DPV comple-
to con il vitrectomo. Nella chirurgia maculare, in-
vece, utilizziamo piccole quantità di TA iniettate
direttamente sulla superfi cie retinica; procedia-
mo poi all’aspirazione dell’eccesso, ottenendo
così un sottile strato utile ad evidenziare la sola
membrana epiretinica da asportare. In partico-
lare, nei casi di foro maculare usiamo iniettare
una piccola quantità di TA nel foro, al fi ne di evi-
tare la penetrazione di colorante nel foro stesso
ed evitare così un contatto diretto con l’EPR13.
Fondamentale risulta a nostro avviso, l’utilizzo
del TA nei casi di chirurgie complicate, quali
distacco di retina (con o senza PVR), trattamen-
to di bulbi miopi elevati e retinopatia diabetica
proliferante. Qui infatti, ci avvaliamo del TA per
Caso 1 - Pucker maculare
Figure 1-2Peeling di membrana epiretinica maculare ben evidenziata dal TA
Caso 2 - Foro maculare
Figure 3-4-5Peeling di membrana epiretinica maculare ben evidenziata dal TA in un caso di foro maculare
Figure 6-7-8Iniezione di TA a protezione del foro maculare. Dopo staining con ICG e rimozione del colorante, l’area del foro appare priva di colorante
62 viscochirurgia 2 • 2011
Cesare Forlini, Adriana Bratu, Matteo Forlini, Paolo Rossini
evidenziare non solo le membrane maculari
semplici, ma anche la eventuale schisi della ia-
loide posteriore (frequente nel miope elevato e
nei pazienti diabetici) ed il vitreo della base, co-
lorato e rimosso grazie a ripetute iniezioni di TA
(eseguite generalmente dopo aver stabilizzato
il polo posteriore con del perfl uoro-carbonato
liquido). Questi passaggi sono, a nostro avviso,
fondamentali per ottenere una chirurgia che sia
precisa ma radicale, in modo da ridurre dram-
maticamente il rischio di complicanze o recidive
post-operatorie.
Certamente l’utilizzo di sistemi illuminanti tran-
scongiuntivali a candeliere, e la possibilità di
eseguire manovre bimanuali, concorrono all’ot-
tenimento di un successo chirurgico.
Figure 9-10Peeling di membrana
limitante interna, ben evidenziata
in questo caso di distacco di retina,
dal TA.
Figure 12-13Rimozione
con manovre bimanuali di ialoide posteriore residua
contratta in un caso di distacco di retina recidivato.
Caso 3 - Distacco di retina in microftalmo afachico
Caso 4 - Distacco di retina trazionale recidivato
Caso 5 - Retinopatia diabetica proliferante
Figure 14-15Peeling bimanuale
di ialoide posteriore schistica, dopo re-iniezione di TA.
Figura 11Dopo re-iniezione di TA,
si completa la vitrectomia (shaving) della base vitreale,
ben evidenziata dal colorante.
63viscochirurgia2 • 2011
Utilizzo del triamcinolone acetonide in chirurgia oculare
>> Triamcinolone nella gestione delle complicanze della chirurgia della catarattaLa rottura della capsula posteriore ed il prolas-
so di vitreo durante la chirurgia della cataratta,
sono comuni complicanze di questa chirurgia, e,
se non gestite al meglio, possono portare ad una
serie di problematiche nel periodo post-opera-
torio, tali da compromettere il risultato anatomo/
funzionale, anche in modo serio. Ciò perchè tal-
volta il chirurgo del segmento anteriore può non
essere in grado di gestire un evento inaspetta-
to. La rottura capsulare con prolasso vitreale in
corso di facoemulsifi cazione è una complicanza
intraoperatoria con incidenza molto variabile,
sicuramente legata alla capacità ed esperienza
del chirurgo. Dalla Letteratura, sappiamo che
essa spazia dallo 0.45 % fi no al 7%14-15. E le più
comuni conseguenze sono l’edema maculare
cistoide ed il distacco di retina. È bene quindi
che il chirurgo sia pronto e preparato a dover
gestire tale evenienza.
È anche vero però che spesso non solo il neofi ta,
ma anche il chirurgo esperto, può incorrere in
un’errata valutazione e produrre manovre incer-
te in caso di complicanza, e non gestire la stessa
al meglio. Ciò perchè si tratta spesso di casi in
cui la pupilla stretta, l’edema corneale/epiteliale
o la trasparenza del gel vitreale possono ingan-
nare l’operatore.
A tal proposito, l’uso del TA può essere estrema-
mente utile nella gestione del prolasso di vitreo
durante una facoemulsifi cazione che si sia com-
plicata. Infatti, una volta iniettato in camera ante-
riore il TA si lega alle fi brille vitreali, alla ialoide
anteriore e ai residui capsulari rendendoli estre-
mamente visibili. È possibile quindi evidenziare
la presenza di vitreo in campo pupillare, in ca-
mera anteriore e nelle brecce corneali. A questo
punto sarà possibile eseguire, in tutta sicurezza
e in modo assolutamente radicale, una vitrecto-
mia anteriore.
Tecnica chirurgicaIn tali casi il nostro modus operandi16 prevede
l’utilizzo di un vitrectomo posteriore ad alta ve-
locità (25 o 23 gauge) associato ad un’infusione,
sempre 25/23g, posizionata in camera anteriore,
al fi ne di stabilizzare il bulbo oculare.
I parametri che utilizziamo sono quelli della vi-
Caso 6 - Rottura capsulare in corso di facoemulsificazione
Figure 16-17-18Vitrectomia anteriore 25g via limbus dopo iniezione di TA: si evidenziano i residui capsulari e la fi bre vitreali prolassate in camera anteriore.
Caso 7 - Avulsione del sacco capsularein corso di facoemulsificazione
Figura 19Dopo iniezione di TA e lavaggio della camera anteriore si apprezza ialoide anteriore integra senza prolasso di vitreo
64 viscochirurgia 2 • 2011
Cesare Forlini, Adriana Bratu, Matteo Forlini, Paolo Rossini
trectomia posteriore (cut min 3000-5000, vacu-
um 200-250 mmHg) con altezza dell’infusione
minima, facendo attenzione ad evitare il collasso
della camera anteriore. Appena avvenuta la rot-
tura capsulare, si posizione l’infusione via limbus
e, dopo aver rimosso il viscoelastico, si inietta
una piccola quantità di TA in camera anteriore. Il
fl usso proveniente dall’infusione provvede a di-
sperdere i cristalli di TA in eccesso evidenzian-
do, se presenti, le fi bre vitreali prolassate.
Si procede quindi ad una accurata vitrectomia
anteriore spingendosi, ove necessario, anche
nella camera vitrea anteriore, in modo da ri-
muovere con certezza tutto il vitreo che si spin-
ge anteriormente oltre il forame pupillare. Fon-
damentale è inoltre poter risparmiare i residui
capsulari (utili per l’impianto), che sono ben
evidenziati dai cristalli del TA iniettato.
Ripetute iniezioni di TA, che viene “lavato” dal
fl usso continuo proveniente dall’infusione via
limbus, permettono di appurare la presenza o
meno di residui vitreali incarcerati anteriormen-
te e procedere così all’impianto della IOL in tut-
ta sicurezza. La possibilità di lasciare in camera
vitrea piccole quantità di TA, rappresenta, infi ne,
un aiuto in più per contrastare lo sviluppo di un
edema maculare cistoide.
DiscussioneL’utilizzo del TA in chirurgia vitreo-retinica e an-
teriore, si dimostra certamente come un mezzo
insostituibile per poter “vedere” delle strutture
altrimenti non facilmente evidenziabili.
Al pari del Trypan blue, introdotto per lo stai-
ning della capsula anteriore, o i coloranti vitali
utilizzati per evidenziare la membrana limitante
interna, esso rappresenta un aiuto sia per il chi-
rurgo esperto che per quello in training, poiché
riduce il rischio di danni iatrogeni.
Il TA migliora la precisione e la radicalità (ove
richiesto) della chirurgia stessa, esercitando
inoltre anche un utilissimo ruolo di agente anti-
infi ammatorio nel periodo post-operatorio.
Gli svantaggi sono legati essenzialmente ed
unicamente ai costi del prodotto, che certa-
mente incidono, ricompensati però dalla dra-
stica riduzione dell’incidenza di complicanze
e/o recidive e quindi della necessità di ulte-
riori interventi. Negli ultimi anni lo sviluppo di
preparati di TA sterile per uso chirurgico e quin-
di “ready-to-use” (IVTA-Vitreal S, BIOOS, Italia),
ha rappresentato un ulteriore passo avanti in ter-
mini di sicurezza ed effi cacia, riducendo i rischi
di contaminazione dovuta alla manipolazione
dei prodotti utilizzati in regime off-label.
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in Ophthalmology: Sep 2006 - Volume 4 - Issue 3 - pp 96-101
>> Bibliografia
66 viscochirurgia 2 • 2011
Intervista a...
Massimo Camellin
>>
VISC
OC
HIRU
RGIA
LE VISCO INTERVISTE
a fi gura del pater familias ha un forte signi-
fi cato nella struttura dell’antica famiglia ro-
mana, anche se, in effetti, spesso comandavano
le donne. Il padre diventava così il centro della
vita familiare, intorno alla cui fi gura, ruotava la
vita quotidiana.
Vivendo appieno questo ruolo, Massimo Camel-
lin ha istituito a casa sua la bella tradizione di
preparare il pane la sera per la cena.
Tutto nasce come un hobby, ma in fondo a mio
parere acquisisce un signifi cato ben più ampio e
profondo, da non sottovalutare in un’epoca come
la nostra dove alcuni valori tendono a perdersi.
Come hai scoperto questo hobby?In realtà la mia passione è per la cucina in ge-
nerale e devo dire che a memoria i miei primi
esperimenti risalgono ai tempi della scuola ele-
mentare.
Ovviamente da bambino erano più i “pastic-
ci” che i risultati positivi, ma ricordo ancora un
“panino pizza” che uscito dal forno fumante
risulta apprezzato ancora oggi o la “frittata al
cioccolato” con marmellata di ciliegie, entram-
bi buoni!
Una decina di anni fa ho conosciuto un collega
(Carlo Giordano) già molto esperto nell’”arte
bianca” e mi aveva affascinato questa sua pas-
sione per il pane.
Negli anni poi ho deciso di provare anch’io.
L
Collega ben apprezzato, e conosciuto soprattutto nell’ambito della chirurgia rifrattiva e del segmento anteriore, Massimo Camellin mi ha stupito per un suo hobby davvero originale: cucinare il pane. Abbiamo deciso di parlarne insieme.
Vittorio Picardo
67viscochirurgia2 • 2011
LE VISCO INTERVISTE
Aiutavi forse la tua mamma da bambino in cucina?
Mia madre era per lo più terrorizzata dai miei
esperimenti, ma mi lasciava fare. In ogni caso
quando ero piccolo, mi piaceva farle compagnia
mentre cucinava e tuttora ho molti ricordi delle
sue ricette.
Ti interessi di tutto, dall’acquisto degli in-gredienti alla preparazione e alla cottura del piatto?
Assolutamente sì. La base della cucina sono gli
ingredienti ed è mia cura e gran divertimento
scegliere la carne giusta, il pesce fresco (ma
frollato al punto giusto) e la verdura, possibil-
mente nello spaccio di campagna. Per la fari-
na, poi, ho un amico che ha un mulino e me la
omaggia al bisogno. In realtà, quando vado in
Alto Adige per turismo faccio scorta di farine
artigianali di ogni tipo. L’importante è però con-
sumare la farina entro circa un anno, pena una
sua scarsa lievitazione.
Quanto tempo ti ruba questa attività? Non molto nel senso che quando cucino lo fac-
cio per gli amici al fi ne settimana ed allora posso
dedicare anche due giornate intere a sviluppa-
re ricette, in parte lette ed in parte rielaborate.
Nella routine, invece, mi limito a fare il pane che
porta via circa 30 minuti alla sera.
Durante l’estate nella mia casa al mare invece,
in ferie od al fi ne settimana, mi sveglio al mat-
tino con la precisa volontà di cucinare qualcosa
di diverso, per cui preparo dalla caponata alla
pasta con le sarde, la piadina, le sardine spinate
impanate e fritte, la crema di asparagi ed ogni
altra cosa che mi piace.
Di solito invito qualche amico per il piacere del-
la compagnia ed in parte anche dei complimenti
(una piccola vena di narcisismo è dentro ognuno
di noi).
Il Pane è l’ultima delle mie passioni (in senso
temporale) e penso che sia la più “straordinaria
magia” della cucina.
Per iniziare ho letto alcuni libri e dopo ho inizia-
to a studiare i processi di lievitazione, dapprima
con la pasta madre e poi con il lievito di birra.
Ho registrato i risultati dei vari tentativi, fi no ad
arrivare al mio standard attuale.
Ti affi di alla fantasia o preferisci consultare un buon testo di cucina?
Mescolo sempre le due cose, ma se mi conosci
un po’, sai che sono molto pragmatico, per cui stu-
dio sempre prima quello che fanno gli altri. Credo
che sia più logico cercare di modifi care (a volte
migliorare) una ricetta altrui, piuttosto che rifare
gli stessi errori e perdere un’infi nità di tempo.
I tuoi strumenti di lavoro preferiti? Usi forni particolari o sono sufficienti quelli domestici?
Per il pane si potrebbe impastare tutto con le
mani, ma vi garantisco che dopo due volte vi
passa la voglia di farlo!
Io utilizzo un Robot Kenwood (il modello più
grosso per poter impastare 2 Kg di farina) e
questo lo uso per fare pani grandi da cucinare
nel forno in pietra. Ho anche una semplice mac-
china da pane della Moulinex che impasta quasi
1 Kg e che utilizzo nella quotidianità, senza però
fare il pane a cassetta che svilisce un po’ la tec-
nica. La macchina per il pane è ideale per impa-
68 viscochirurgia 2 • 2011
LE VISCO INTERVISTE
stare ed è semplicissima da pulire.
Il ciclo completo comprende la lievitazione, per
cui alla fi ne non dobbiamo fare altro che dare la
forma ai nostri pani ed infornare.
Uso due tipologie di forni, uno con catalizzatore
a gas ad alta temperatura per fare anche la pizza
ed il più classico ventilato, domestico, per panini
e focacce; in quest’ultimo è necessario inseri-
re un contenitore con acqua per non asciugare
troppo l’impasto durante la cottura.
Il pane che preparo nel forno da pizza è solita-
mente di grande formato, in quanto prevede di
essere ruotato almeno una volta per ottimizzar-
ne la cottura. Normalmente impasto 2 Kg di fari-
na (con impastatrice automatica) che corrispon-
de a 3 Kg di impasto umido. Il pane cotto può poi
essere conservato in freezer per tempi indefi ni-
ti. Con la pratica poi ci si inventa ogni forma di
farcitura, dalle olive, peperoni o cipolla ai semi
di sesamo, papavero o girasole, per non parla-
re poi delle farine integrali che conferiscono al
pane un aroma ed un colore indescrivibile.
Tra le varianti interessanti c’è poi il tipo di olio da
aggiungere (anche lo strutto, per chi ama il sa-
pore più forte), ed ultimamente uso olio di semi
di zucca (o multi cereali) che si trova facilmente
in Austria.
Che signifi cato assume il preparare il pane nell’ambito del legame intimo della tua fa-miglia?
Quando faccio il pane nell’abitazione di Rovigo,
solitamente imposto l’impastatrice alle 20, alle
21 termina la 1° lievitazione, alle 21,30 prepa-
ro la forma dei panini e li lascio riposare per
30 minuti coperti da un canovaccio umido (2°
lievitazione). L’infornata a 210° x 22 min fi nisce
quindi alle 22 circa. Quando apro il forno (mai
aprire per controllare durante la cottura!) esce
un profumo inebriante in tutta la casa e da ogni
rispettiva stanza arrivano moglie e fi gli ad as-
saggiare! In realtà il pane andrebbe fatto riposa-
re dopo averlo capovolto per circa 30’ in quanto
deve perdere l’umidità depositata nello strato
inferiore durante la cottura, ma non resistiamo
mai al piacere di aprirne un pezzo e sentirne
uscire l’aroma.
A fi ne serata trovi anche il tempo di collabo-rare al riordino della cucina?
Non sporco molto la cucina nella preparazione ed
il vantaggio è che ogni cosa si lava solo con acqua,
per cui non ci vuole molto per riassettare il tutto.
E in ultimo: Massimo, in sala operatoria indossi il cappello da cuoco o da chirurgo?
In sala operatoria assolutamente il cappello da
chirurgo, anche se nelle pause tra un intervento
e l’altro, a volte penso a qualche variante culina-
ria, quando non penso agli altri miei hobbies…
ma te li racconto un’altra volta!
Vittorio Picardo
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70 viscochirurgia 2 • 2011
Un fl usso laminare mobile per ridurre il rischio di un’infezione in Oftalmologia
>>
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LLE
AZI
END
ENEWS DALLE AZIENDE
Aumentiamo le rubriche di Viscochirurgia con una nuova pagina dedicata alle “News dalle Aziende”, dove esse potranno far conoscere le loro ultime novità commerciali.
Vittorio Picardo
Tutte le chirurgie del bulbo (cataratta, glauco-
ma, PK, distacco di retina, vitrectomia), possono
presentare nell’immediato post-operatorio o a
distanza da esso complicanze di tipo infettivo.
La percentuale più alta è quella delle endoftal-
miti post cataratta per l’elevata incidenza di tale
intervento in Oftalmologia. Si tratta di una pato-
logia devastante a causa dalle scarse capacità
difensive immunologiche del bulbo oculare. Le
caratteristiche anatomiche del bulbo e in parti-
colare della camera vitreale totalmente priva di
vascolarizzazione e senza ricambio signifi cativo
di liquidi rappresentano un ottimo ambiente per
la crescita e la proliferazione di microrganismi.
Inoltre, la rapida successione di pazienti nello
stesso ambiente chirurgico può aumentare il ri-
schio dell’incidenza di questa importante com-
plicanza.
>> Soluzione economico: il fl usso laminare mobile FunzionamentoÈ un fl usso d’aria laminare che si posiziona nello
spazio peri-operatorio diretto, senza interposizione di ostacoli, nella ferita chirurgica. Tale tecnologia
produce continuamente aria sterile allontanando le particelle e i microrganismi aereosdispersi dalla
zona critica del campo operatorio. Il fl usso laminare mobile aspira l’aria intorno al campo operatorio
e la fi ltra tramite un sistema di fi ltri Hepa pulendo la stessa aria dai batteri e dai microorganismi al
99,995 %. Quindi l’aria ultrapulita è indirizzata verso il campo operatorio e gli strumenti che così
sono protetti dal rischio della contaminazione batterica. La bassissima carica batterica sul campo
operatorio, sugli strumenti chirurgici e sui materiali protesici è assicurata da un sofi sticato sistema di
purifi cazione dell’aria attraverso fi ltri Hepa che la rendono priva di microbi.
Al contrario dei sistemi d’aerazione tradizionale, il flusso laminare mobile agisce direttamente
sul campo operatorio e sul tavolo degli strumenti, senza essere ostacolato dalla testa del chi-
rurgo o dalle lampade scialitiche, riducendo fino a 95% la carica batterica sul sito chirurgico e
sul tavolo porta ferri.
71viscochirurgia2 • 2011
Diversi studi svedesi e italiani hanno confermato che la contaminazione batterica nei punti critici del-
la sala operatoria è stata abbassata signifi cativamente con il fl usso laminare. Ciò ha comportato una
drastica riduzione del numero delle infezioni in sala operatoria dopo interventi chirurgici.
Essendo mobile questa tecnologia può essere utilizzata immediatamente e in qualsiasi sala opera-
toria esistente.
Il fl usso laminare mobile non richiede nessuna predisposizione.
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