DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO -
LETTERALI,
STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI
Corso di laurea magistrale in
Giurisprudenza
LA RESPONSABILITÀ MEDICA:
PROBLEMI INTERPRETATIVI ED APPLICATIVI
DELL’ART. 3 DELLA “LEGGE BALDUZZI”
Cattedra
Diritto penale progredito
STUDENTI Leonardo Lilli e Claudia Cenani
Prof. Carlo Sotis e dott.ssa Martina Galli
Viterbo, 11 aprile 2016
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INDICE
1. Normativa di riferimento: art. 3 della Legge 8 novembre 2012 n. 189. p. 3
2. La responsabilità medica prima della “Legge Balduzzi”. p. 4
3. Prime reazioni giurisprudenziali. p. 6
3.1 Questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Milano. p.7
4. Problemi rilevanti del novum legislativo. p. 9
4.1 Cosa sono le “linee guida”? p. 9
4.1.1 Cosa si intende per “buone pratiche”? p. 11
4.2 Elemento psicologico nella responsabilità medica: la “colpa non lieve”. p. 12
4.3 Ambito applicativo della norma: imperizia, negligenza e/o imprudenza? p. 14
4.3.1 Applicabilità della norma al solo profilo dell’imperizia. p. 15
4.3.2 Apertura al profilo della negligenza. p. 16
5. Sentenza Manzo: la prima assoluzione per la “Legge Balduzzi” giunge
in Cassazione. p. 17
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1. Normativa di riferimento: art.3 della Legge 8 novembre 2012 n. 189.
Nel 2012 l’ordinamento italiano si è dotato di una norma sulla responsabilità penale del
medico: l’art. 3 del D.L. del 13 settembre 2012, n. 1581, convertito, con modificazioni, dalla L. 8
novembre 2012, n. 189 (c.d. Legge Balduzzi).
Può essere interessante, a fini introduttivi, notare come questo decreto non avesse, nella sua
versione originaria, lo scopo di disciplinare penalmente l’attività sanitaria: emanato al fine
principale di argomentare diversi aspetti amministrativi, organizzativi e ordinatori della sanità
italiana, solo in sede di conversione i suoi contenuti sono transitati dal piano civilistico a quello
penalistico.
Il testo originario del decreto in questione recitava testualmente: «Fermo restando il disposto
dell'art. 2236 del codice civile2, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le
professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’art. 1176 del codice civile3, tiene conto in particolare
dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica nazionale e internazionale».
In tale forma, dunque, il decreto non avrebbe comportato nessuna innovazione e non
avremmo avuto a che fare con una responsabilità penale medica “ex Legge Balduzzi”.
Il comma 1° dell’art. 3 della Legge Balduzzi, in una commistione tra profili civilistici e
penalistici, prevede oggi che «L’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della
propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non
risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all’art.
2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene
debitamente conto della condotta di cui al primo periodo».
Questa norma, oltre a indicare quando possa considerarsi realizzata una fattispecie di
rilevanza penale nell’esercizio di una professione sanitaria, presenta rilevantissimi risvolti teorici
di portata generale. Nell’assumere che in presenza di una colpa “lieve” – ossia la colpa
«dell’operatore sanitario che si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica»4 – la condotta tenuta dal medico sia penalmente irrilevante, la norma va a 1 “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, conosciuto anche come “Decreto Sanità”.2 Art. 2236 c.c.: «Responsabilità del prestatore d’opera. Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave». Vedi par. successivo.3 Art. 1176 c.c.: «Diligenza nell’adempimento. Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata».4 Cfr. D. PULITANÒ (a cura di), Responsabilità medica: letture e valutazioni divergenti del novum legislativo, in Dir. Pen. Cont., 4/2013, p. 75.
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ridefinire il ruolo del grado della colpa, non più solo parametro per la determinazione della pena
ai sensi dell’art. 133 c.p., ma elemento che presenta una diretta incidenza sulla tipicità del fatto5.
Prima di addentrarci nella trattazione, appare opportuno sottolineare come l’art. 3 citato,
benché in diversi punti poco chiaro6 e foriero di interrogativi di non facile soluzione, costituisca
ad oggi la normativa di riferimento della responsabilità penale medica. Proprio in ragione della
sua rilevanza, la giurisprudenza ha ritenuto necessario «tentare, costruttivamente, di cogliere e
valorizzare il senso delle innovazioni»7 apportate dalla norma, e così evitare di rimanere
imbrigliati nelle numerose incertezze.
2. La responsabilità medica prima della “Legge Balduzzi”.
Prima dell’emanazione del decreto Balduzzi mancava all’interno dell’ordinamento una norma
sulla responsabilità del medico in ambito penale, che selezionasse – come invece accadeva in
altri settori – il grado di colpa rilevante.
Per questa ragione, in tempi ormai risalenti la giurisprudenza ha ritenuto, di poter estendere
all’ambito penale l’art. 2236 del codice civile. Detto articolo disciplina la responsabilità del
prestatore d’opera e prevede che il professionista, svolgendo un’attività che richiede la
«soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà»8, sia responsabile solo qualora abbia agito
con dolo o colpa grave.
La dottrina riteneva ammissibile l’applicazione di questa norma civilistica in ambito penale al
fine di garantire la coerenza interna dell’ordinamento giuridico, ossia per evitare che l’errore del
professionista dovuto da una colpa lieve fosse allo stesso tempo lecito sul piano Civilistico –
quindi esente da risarcimento del danno – e illecito nel più grave ambito penale.
Applicando suddetto articolo la giurisprudenza limitava «la responsabilità ai soli casi di
errore macroscopico»9, e dunque ai casi in cui la condotta del medico fosse assistita
5 Questo fondamentale aspetto di novità è portato alla luce in Cass. Pen. Sez. IV, Sent., 16 novembre 2015, n. 45527, dove si chiarisce che in seguito alla legge Balduzzi la valutazione del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, unitamente al grado della colpa, costituiscono “le premesse per discernere l’ambito del penalmente rilevante in ambito di responsabilità del medico”.6 La Legge Balduzzi è definita “laconica” ed “incompleta” in Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237 (c.d. Sentenza Cantore).7 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237.8 Art. 2236 c.c.: «Responsabilità del prestatore d’opera. Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.»9 Si veda Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237, dove, nel ricostruire la storia della responsabilità medica, si specificava che la colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c. «nell’ambito della professione medica si riscontra nell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria».
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dall’elemento soggettivo riconducibile al dolo o alla colpa grave, in questo anticipando la
disciplina dell’art. 3 della Legge Balduzzi.
A differenza di quanto accade per l’art. 3 della Legge Balduzzi10, la Corte Costituzionale in
una importante sentenza11 aveva però precisato che l’art. 2236 potesse essere applicato in
funzione limitatrice dell’addebito di responsabilità esclusivamente nei casi di “interventi
particolarmente delicati e complessi” e nell’ipotesi in cui la colpa grave del medico riguardasse
l’ambito della perizia (ossia l’ambito più squisitamente scientifico dell’arte medica), non
estendendosi invece a quelli della prudenza e diligenza12.
Contrariamente all’interpretazione restrittiva fornita dalla Corte Costituzionale, l’art. 2236
c.c. è stato applicato da una giurisprudenza forse troppo comprensiva anche nei casi in cui
l’errore fosse dovuto a una “grave leggerezza” del medico, andando così a determinare un
insopportabile privilegio per la sola categoria professionale medica13.
Per contrastare questo orientamento ritenuto eccessivamente “benevolo”, a partire dagli anni
ottanta si è affermata una giurisprudenza che escludeva del tutto la possibilità di applicare l’art.
2236 c.c. in ambito penale.
Si riteneva infatti che l’ordinamento penale avesse già tutte le disposizioni in tema di colpa
necessarie e sufficienti per identificare la responsabilità del medico, senza dover ricorrere alla
normativa civilistica. Infatti, questa giurisprudenza imponeva «di valutare la colpa professionale
sempre e comunque sulla base delle regole generali in tema di colpa contenute nell’art. 43 cod.
pen.»14, dovendosi perciò considerare in colpa il medico che avesse causato un evento lesivo per
negligenza, imprudenza o imperizia, o per violazione di “leggi, regolamenti, ordini o
discipline”15.
10 Questa differenza di ambito applicativo tra l’art. 2236 c.c. e la normativa Balduzzi è messa in luce da Cass. pen., Sez. IV, 17 novembre 2014, n. 47289, dove si chiarisce che la norma innovatrice trova applicazione non solo nei casi di particolare difficoltà e «a tale riguardo la richiamata sentenza Cantore ha posto enunciazioni». La Cassazione nella sentenza Cantore (Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237) chiariva come l’art. 2236 c.c. «è stato ritenuto applicabile ai soli casi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e riguarda l’ambito della perizia e non quello della diligenza e della prudenza». 11 Corte Cost., 22 novembre 1973, n. 166, che ha ritenuto non contrastante con il principio di uguaglianza un’applicazione dell’art. 2236 c.c. ristretta ai soli casi in cui la prestazione medica comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà ed entro circoscritto tema della perizia.12Cfr. A. VALLINI, L’art. 3, 1° comma, della legge Balduzzi: reazioni, applicazioni, interpretazioni, in Giur. It., 2014, 8-9 (dottrina), p. 2.13 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237.14 Ibidem.15 Art. 43, comma 3, c.p.: «Elemento psicologico del reato. […] è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».
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In sostanza, la possibilità di applicare l’art. 2236 c.c. era negata sulla base del fatto che nella
materia penale il grado della colpa – quando un profilo di colpa sia comunque accertato –
normalmente non incide sulla possibilità di configurare la responsabilità del soggetto agente,
rilevando ai soli e limitati fini della commisurazione della pena ex art. 133 c.p..
3. Prime reazioni giurisprudenziali.
L’art. 3 della legge 8 novembre 2012, n.189 recita: «L’esercente la professione sanitaria che
nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve».
Ad un primo sguardo questa norma potrebbe anche sembrare di non difficile interpretazione,
potendosi semplicemente ritenere che il suo significato consista nel prevedere che un esercente
la professione sanitaria non sia responsabile penalmente qualora abbia rispettato le “linee guida”
e l’evento causato dalla sua attività derivi esclusivamente da colpa lieve.
In realtà questa norma è tutt’altro che chiara e inequivoca. Fin dalle prime reazioni sono
emerse non poche difficoltà interpretative: cosa si intende per “linee guide e buone pratiche”?
Cosa si intende per “colpa lieve”? Cosa si intende per “esercente la professione sanitaria”?
Inoltre, «una prima lettura della norma induce a cogliervi una contraddizione: un terapeuta
che rispetta le linee guida e che è al contempo in colpa»16. Ma come si può immaginare di
rimproverare un soggetto di aver agito con colpa quando questi abbia rispettato le direttive?
Le suddette questioni problematiche sono emerse in giurisprudenza fin dai primi mesi di
applicazione dell’art 3: alcune di esse sono state al centro della già citata sentenza Cantore,
mentre altre, fatte oggetto dell’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di
Milano17.
3.1 La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Milano.
All’epoca dell’entrata in vigore dell’art. 3, il Tribunale di Milano era investito di un processo
che vedeva come imputati del reato di lesioni personali gravi alcuni operatori sanitari esercenti
la professione all’interno di un istituto ortopedico.
16 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237: «La contraddizione è in realtà solo apparente. Per risolverla occorre considerare che […] le linee guida […] non indicano una analitica, automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti. […] Potrà ben accadere che il professionista debba modellare le direttive, adattandole alle contingenze che momento per momento gli si prospettano nel corso dello sviluppo della patologia e che, in alcuni casi, si trovi a dovervi addirittura derogare radicalmente.» Per questo può accadere che il medico sia in colpa pur avendo rispettato le “direttive generali”.17 Giudizio di legittimità costituzionale promosso con ordinanza del 21 marzo 2013, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2013.
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Nel corso del processo il Tribunale milanese decideva di promuovere un giudizio di
legittimità costituzionale18, incentrando la censura su profili perlopiù riguardanti caratteri di
genericità e vaghezza della nuova previsione normativa, ritenuta in contrasto con diversi
parametri costituzionali (tra questi i principi di tassatività e precisione della legge penale, oltre
che di uguaglianza/ragionevolezza).
In particolare, il giudice dell’eccezione ha ritenuto che la norma violasse il principio di
tassatività19 (art. 25, 2° comma, Cost.) a causa della mancata definizione del concetto di “colpa
lieve”: elemento, questo, di grande rilevanza, che se un tempo – come già precisato – poteva
rilevare ai soli fini della commisurazione della pena (ex art. 133 c.p.), ad oggi delimita l’area
della rilevanza penale dei comportamenti (pur colposi) del sanitario20.
Una diversa violazione del principio di tassatività veniva poi rintracciata in riferimento alle
«linee guida» e alle «buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica», delle quali la norma
– in questo assolutamente imprecisa – non indica le fonti, le modalità di produzione e le
procedure di diffusione, «con il risultato di rendere indeterminabile l’area della non punibilità»21.
Di come la giurisprudenza e la dottrina abbiano risolto le questioni relative alle linee guida e
buone pratiche avremo modo di approfondire nel prosieguo: è però qui possibile anticipare che
la maggior parte delle incertezze sono infine state risolte dalla Corte di Cassazione per mezzo
della «interpretazione costruttiva» di cui si è detto in apertura, fondata sull’osservazione e
qualificazione delle guidelines.
Con la stessa ordinanza il Tribunale in questione ha denunciato la violazione del principio di
precisione22 e determinatezza23, determinata dall’eccesiva «genericità delle espressioni usate»24:
esse, per come sono formulate, rendono infatti riferibile la previsione di non punibilità
dell’articolo de quo «anche ad operatori sanitari non chiamati ad adottare scelte diagnostiche o
terapeutiche, o le cui scelte non attengono alla salute umana (veterinari, farmacisti, biologi o
psicologi, tutti compresi nel genus degli esercenti le professioni sanitarie)». È peraltro opportuno
segnalare come la questione appaia oggi completamente risolta dalla giurisprudenza e dalla
dottrina, le quali affermano che «l’esercente la professione sanitaria» non possa essere
18 Corte cost., 6 dicembre 2013, n. 295.19 Cfr. G. MARINUCCI - E. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale Parte Generale, IV Ed., 2012, Milano, p. 64.20 Cfr. A. VALLINI, op. cit., p. 3: «Il “grado della colpa” è coefficiente duttile, che da sempre si presta ad esercizi di commisurazione della pena ex art. 133 c.p., affidati, per lo più, alle libere intuizioni del giudicante. Adesso, però, uno specifico grado della colpa […] viene assai più problematicamente a tracciare, addirittura, il discrimine tra ciò che è e ciò che non è penalmente rilevante.».21 Tribunale di Milano, sollevando la questione di legittimità costituzionale con ordinanza del 21 marzo 2013.22 Cfr. Ivi, p. 57.23 Cfr. Ivi, p. 63. 24 «L’esercente la professione sanitaria […]», incipit della norma Balduzzi.
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considerato soggetto diverso dagli «operatori sanitari che svolgono attività diagnostica e
terapeutica, volta alla cura della salute di esseri umani»: questo il frutto dell’interpretazione
testuale e teleologica delle formule generiche utilizzate dal nostro legislatore25.
Il Tribunale milanese considerava inoltre violato il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) per
l’eccessiva «disparità di trattamento tra gli operatori sanitari e i soggetti con diversa qualifica
che cooperino colposamente alla realizzazione del medesimo evento lesivo», dal momento che
l’art. 3 della Legge Balduzzi, a parità di grado di colpa (lieve), appare applicabile solo ai primi
soggetti indicati. Anche a questa obiezione hanno tentato di dare risposta gli interventi della
giurisprudenza e della dottrina, affermando che la «discriminazione – apparente – tra operatori
sanitari e soggetti adibiti ad altre funzioni sarebbe giustificata dal fatto che solo la colpa dei
primi è “medica”. Se, dunque, ha senso una peculiare considerazione della “colpa medica”, ha
senso altresì quella discriminazione»26.
Infine nell’ordinanza in questione si è sottolineata la sostanziale contraddittorietà tra ratio
originaria della norma e risultati del sistema punitivo impostato dall’art. 3. Si è detto che se la
ratio della norma davvero risiede nell’intento di contrastare la c.d. «medicina difensiva»27, allora
la soluzione concretamente adottata sembra tradire tale finalità: a detta dei giudici milanesi,
infatti, la norma rischia di «burocratizzare le scelte del medico e quindi di avvilire il progresso
scientifico», premiando colore che prestano una «acritica e rassicurante adesione alle linee guida
e buone pratiche», ostacolando così l’evoluzione scientifica e la sperimentazione clinica (art. 33
Cost.) e violando il diritto alla salute (art. 32 Cost.).
In conclusione, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, sollevata
dal Tribunale di Milano. Tale decisione sarebbe giustificata dal fatto che il rimettente non ha
fornito un’adeguata descrizione della fattispecie concreta sottoposta a giudizio, né una
motivazione in ordine alla rilevanza della questione in esame. La Corte ha tuttavia specificato –
con un’indicazione di merito utile a suffragare la scelta di rigetto – di non ritenere comunque
censurabile l’art. 3, in quanto la limitazione di responsabilità da questo prevista riguarderebbe
25 D. PULITANÒ (a cura di), op. cit., p. 74.26 A. VALLINI, op. cit., p. 4. 27 Con tale espressione si intende la situazione in cui il medico, per “tutelarsi”, tende a rinunciare ai casi clinici più rischiosi e problematici, non tentando di curare il paziente con interventi (anche) non di routine, oppure quando il medico adotti eccessive misure cautelari; tutto questo per evitare di incorrere in sanzioni. Dunque la medicina difensiva comporta, in poche parole, che il medico agisce non tenendo conto della miglior soluzione per la cura del paziente, ma di quella che a lui garantirebbe la minor possibilità di essere ritenuto responsabile di un eventuale evento lesivo. A riguardo, cfr. Ivi, pp. 1 e 3.
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solo l’ambito dell’imperizia, non operando invece quando all’esercente la professione sanitaria
sia ascrivibile, sul piano della colpa, un comportamento negligente o imprudente28.
4. Problemi rilevanti del novum legislativo.
4.1 Cosa sono le “linee guida”?
La questione delle linee guida è uno degli aspetti centrali dell’art. 3 della Legge Balduzzi. È
infatti fondamentale capire cosa sono e come si individuano le linee guida che, se rispettate dal
medico nello svolgimento delle sue attività, fanno sì che questi risponda penalmente soltanto in
caso di colpa grave.
Il ricorso del Tribunale di Milano alla Corte Costituzionale appena analizzato ha messo in
risalto, tra gli altri, questo aspetto problematico, ritenendo che la norma fosse sul punto
assolutamente imprecisa.
Benché il riferimento alle linee guida e buone pratiche si segnali positivamente, avendo con
ciò il legislatore «evidentemente colto l’importanza del sapere scientifico e tecnologico»29
rimane però da capire se e in che modo dette linee guida siano in grado di racchiudere e indicare
direttive valide: la norma sul punto si limita a stabilire che le linee guida e buone pratiche da
prendere in considerazione siano quelle «accreditate dalla comunità scientifica», ossia derivanti
da «fonti autorevoli e caratterizzate da un adeguato livello di scientificità»30.
La Corte di Cassazione nella citata sentenza Cantore31 ha tentato di fornire alcuni
delucidazioni sul punto, prendendo atto di come la categoria delle linee guida sia assai
eterogenea a causa delle «diverse fonti, diverso grado di affidabilità, diverse finalità specifiche,
metodologie variegate, vario grado di tempestivo adeguamento al divenire del sapere
scientifico». Difatti le direttive in questione possono ricavarsi da documenti provenienti da
gruppi di esperti, società scientifiche, oppure organismi e istituzioni pubblici; di conseguenza
anche l’impostazione delle direttive può essere differenziata: alcune presentano un approccio più
speculativo, altre sono orientate a cercare un equilibrio tra efficienza e sostenibilità, altre ancora
sono espressione di scuole di pensiero differenti in termini di strategie diagnostiche e
terapeutiche. Questo fa sì che le linee guida non costituiscano «uno strumento di precostituita e
28 Dell’applicazione della normativa al solo ambito dell’imperizia, o della sua estensione agli ulteriori profili della diligenza e prudenza, si parlerà nel paragrafo dedicato (par. 4.3, Ambito applicativo della norma: imperizia, negligenza e/o imprudenza?, p. 13).29 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237.30 D. PULITANÒ, op. cit., p.80.31 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237.
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ontologica affidabilità». Come ricorda la Cassazione, «le linee guida, a differenza dei protocolli
e delle checklist, non indicano un’analitica e automatica successione di adempimenti, ma
propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti»: da questo consegue
che esse debbano in concreto «essere applicate senza automatismi, ma rapportandole alle
peculiari specificità di ciascun caso clinico». Sarebbe proprio questa definizione di linee guida a
consentire di risolvere l’apparente contraddizione di un terapeuta che rispetta le linee guida e che
è al contempo in colpa insita nella normativa.
Sulla scorta di quanto affermato dalla Corte, possiamo dunque affermare, in breve, che le
linee guida accreditate non operano come regole stringenti, non divenendo mai regole cautelari
secondo il classico modello della colpa specifica: esse, non essendo in grado di offrire standard
legali precostituiti, operano come «direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie»32.
Di conseguenza, il medico, nello svolgere la sua attività, non dovrà sempre attenersi
perfettamente a queste “istruzioni d’uso”, ben potendo accadere che nell’ipotesi concreta nel
singolo caso – per esempio a causa di compresenza di patologie – occorra adattare le linee guida
al singolo caso clinico, oppure distaccarsene completamente33.
L’osservanza delle linee guida sembra dunque operare come una sorta di “scudo protettivo”
qualora l’errore commesso nel processo di adattamento delle linee guida alle peculiarità del caso
concreto non sia grave34.
A questo punto possiamo capire in quali casi può operare l’art. 3 della Legge Balduzzi,
ripercorrendo le ipotesi suggerite nella sentenza Cantore.
La prima ipotesi in cui si può considerare rimproverabile penalmente la condotta del medico è
quando il professionista abbia svolto correttamente l’attività diagnostica e terapeutica, avendo
dunque individuato correttamente le strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, ma
abbia commesso qualche errore nell’adattare le direttive di massima allo specifico caso clinico.
In questo caso, il medico sarà responsabile ex art. 3 della legge Balduzzi esclusivamente qualora
il suo errore sia caratterizzato da colpa non lieve.
32 Cass. pen., Sez. IV, Sent. 17 novembre 2014, n. 47289.33Cfr. G.M. CALETTI, La colpa professionale del medico a due anni dalla legge Balduzzi, in Dir. Pen. Cont., 1/2015, p. 174: «L’accertamento della responsabilità in ambito sanitario è tradizionalmente caratterizzato da una diffusa diffidenza nei confronti di ogni processo di “positivizzazione” delle regole cautelari. Le resistenze provengono non solo dalla giurisprudenza ma anche dalla stessa classe medica, entrambe concordi nel rilevare come le peculiarità dell’arte clinica, che incide sul “più complesso degli organismi”, impongano una sua valutazione sempre ancorata alla specificità del caso concreto, con la conseguenza che, non di rado, l’inosservanza di una regola standardizzata potrebbe risultare più efficace dal punto di vista terapeutico.»34 In questo senso la Corte di Cassazione nella sentenza Cantore: «L’osservanza [delle linee guida] costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti».
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La seconda ipotesi coincide con la situazione in cui il medico abbia inquadrato correttamente
il caso nelle sue linee generali, ma non abbia individuato la necessità di disattendere le linee
guida, per perseguire una strategia differente rispetto alla prassi ordinaria: anche in questo caso
il medico risponderà solo qualora abbia agito con colpa non lieve.
4.1.1 Cosa si intende per “buone pratiche”?
Non dobbiamo dimenticare che il testo normativo nomina, accanto alle linee guida, anche le
buone pratiche: anch’esse devono essere accreditate dalla comunità scientifica e anch’esse
limitano la responsabilità del medico che vi si sia attenuto ai soli casi di colpa non lieve.
Una parte della dottrina ha tentato di identificate le buone pratiche con i protocolli medici (di
cui fanno parte anche le c.d. checklist35), i quali presentano un carattere molto rigido: essi infatti
non indicano un “percorso terapeutico ideale”, bensì vere e proprie istruzioni di comportamento
terapeutico-diagnostico36.
Considerare le “buone pratiche” come “protocolli” porta a due inconvenienti: se le buone
pratiche avessero carattere così rigido, non si potrebbe ipotizzare una colpa in capo al medico
che si sia attenuto a procedure dettagliate come descritte da protocolli e checklist; inoltre, poiché
i protocolli contengono anche regole di prudenza e diligenza, se le buone pratiche si
considerassero coincidenti con questi, si finirebbe per includere nell’area dell’irrilevanza penale
delineata dall’art. 3 Legge Balduzzi anche casi di negligenza e imprudenza lievi37.
Al fine di aggirare i suddetti problemi, la dottrina ha ritenuto che con l’espressione “buone
pratiche” il legislatore abbia voluto rafforzare il concetto di linee guida, considerando così
l’espressione in questione un «“pleonasmo giuridico” e un’endiadi priva di ogni rilievo
pratico»38.
4.2 Elemento psicologico nella responsabilità medica: la “colpa non lieve”.
35 Le checklist sono state definite dal Ministero della Salute come «uno strumento guida per l’esecuzione dei controlli, a supporto delle équipe operatorie, con la finalità di favorire in modo sistematico l’aderenza all’implementazione degli standard di sicurezza raccomandati per prevenire la mortalità e le complicanze post-operatorie»; definizione reperibile nel seguente sito web: http://www.salute.gov.it .36 Cfr. G.M. CALETTI (a cura di), op. cit., p. 187.37 Ibidem.38 Ivi, p. 188.
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Secondo il disposto dell’art. 3 della legge Balduzzi sarà punibile esclusivamente il medico
che, pur attenendosi alle “linee guida e buone pratiche accreditate”, abbia agito con colpa39 grave
o dolo; quando invece l’errore sia stato determinato dall’elemento psicologico della colpa di
grado lieve, la condotta non sarà rilevante sul piano penale.
In questi termini può rilevarsi che questa norma abbia realizzato un’ipotesi di abolitio
criminis parziale che incide su una disposizione di parte generale: l’art. 43 c.p. prevede che per
la realizzazione di una fattispecie criminosa sia sufficiente un profilo colposo, mentre per l’art. 3
della Legge Balduzzi non è sufficiente semplicemente una condotta colposa, ma è necessario che
questa sia grave. Una parte della dottrina ha inoltre ipotizzato che tale norma potesse essere
qualificata alla stregua di una causa di giustificazione oppure come scusante soggettiva40. La
giurisprudenza più attenta ha tuttavia questo inquadramento dogmatico e, nel tornare a
configurare un’ipotesi di abolitio criminis parziale, ha affermato a chiare lettere che «non si è in
presenza di una giustificazione che trovi la sua base in istanze germinate in altre parti
dell’ordinamento giuridico», e che neppure possa «pensarsi ad una scusante, cioè ad una causa
di esclusione della colpevolezza».
Al di là dei problemi che attengono alla qualificazione giuridica della norma, la questione che
qui più interessa riguarda la definizione di cosa debba intendersi per «colpa lieve», non
potendosi rintracciare nella norma alcuna indicazione sul punto.
In merito all’assenza di una definizione del concetto di “colpa lieve”, il Tribunale di Milano,
sollevando la questione di legittimità costituzionale41, ha infatti affermato che «la norma
violerebbe il principio di tassatività, in ragione dell’omessa definizione del concetto di “colpa
lieve”: concetto venuto sinora in rilievo nell’ordinamento penale solo nell’ambito della
valutazione del grado della colpa, richiesta dall’art. 133 del codice penale42 ai fini della
quantificazione della pena».
Una definizione di colpa lieve avrebbe consentito di tracciare con certezza i confini della
“colpa lieve” rispetto alla diversa nozione di “colpa grave”: compito, quest’ultimo, che è invece
oggi affidato al giudice, al quale di volta in volta spetterà di «segnare l’essere o il non essere del
reato»43, secondo valutazioni discrezionali.
39 Art. 43 c.p.: Elemento psicologico del reato.40 D. PULITANÒ, op. cit., p.75.41 Vedi par. 3.1 Questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Milano, p. 7.42 Art. 133 c.p. «Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena.. Nel’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente [potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena], il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: […] 3) dall’intensità del dolo o dal grado della colpa».43 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237.
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Tuttavia, per limitare il grado di discrezionalità nell’attività del giudice, la Cassazione nella
citata sentenza Cantore, ha individuato alcuni parametri che devono essere tenuti in
considerazione per valutare la colpa nel caso concreto, poi ripresi dalla stessa Corte per risolvere
successivi casi44.
Il primo parametro attiene al profilo della diligenza45, che viene preso in considerazione per
determinare il grado della colpa: la diligenza si misura tenendo conto della corrispondenza tra la
condotta tenuta e quella che ci si aspettava sulla base della norma cautelare46; quindi tanto
maggiore sarà il divario tra il rispetto delle “linee guida e buone pratiche” da parte del medico,
tanto maggiore sarà il rimprovero di colpa nei suoi confronti47.
Gli altri parametri attengono invece al profilo soggettivo e impongono di misurare la colpa in
base alle condizione e caratteristiche del medico agente in concreto.
Il giudice deve tener conto se il medico operante abbia capacità e conoscenze tali da potersi
aspettare un certo livello di osservanza delle “regole cautelari”. La valutazione di questo aspetto
comporta che «l’inosservanza di una norma terapeutica ha un maggiore disvalore per un insigne
specialista che per un comune medico generico».
Inoltre, l’inosservanza di linee guida dovrà essere valutata meno gravemente qualora il
medico si sia trovato in difficoltà durante lo svolgimento dell’attività sanitaria a causa di «un
leggero malessere, uno shock emotivo o un’improvvisa stanchezza».
Altro elemento che viene in rilievo per misurare la colpa è quello della “motivazione della
condotta”, ossia si deve vedere quale circostanza abbia spinto il medico a tenere un determinato
comportamento: secondo la Cassazione «un trattamento terapeutico sbrigativo e non appropriato
è meno grave se compiuto per una ragione d’urgenza».
Infine, dovrà essere indagato il profilo soggettivo della consapevolezza, per discernere se il
medico fosse consapevole di tenere una condotta pericolosa e quindi in grado di prevedere
l’evento. In caso di risposta positiva ci troveremmo nell’ambito della colpa cosciente, forma più
prossima al dolo48.
44 Cass. pen., Sez. IV, 17 novembre 2014, n. 47289 ; Cass. pen., Sez. IV, 6 marzo 2015, n. 9923.45 Secondo l’art. 43 c.p. un comportamento negligente rende una condotta colposa.46 Cfr. G. MARINUCCI - E. DOLCINI, op. cit., p.333.47 Cass. pen.,Sez. IV, Sentenze n. 16237/2013, n. 47289/2014: «Così, ad esempio, occorrerà analizzare di quanto si è superato il mite di velocità consentito; o in che misura si è disattesa una regola generica di prudenza.»48 Cfr. Ivi, p. 300: la colpa cosciente presenta un elemento in comune con il dolo: la previsione dell’evento; tuttavia ha elementi profondamente diversi. «Nella colpa con previsione l’agente si rappresenta il possibile verificarsi di un evento, ma ritiene per colpa che non si realizzerà nel caso concreto, e ciò in quanto, per leggerezza, sottovaluta la probabilità del verificarsi dell’evento ovvero sopravvaluta le proprie capacità di evitarlo. Viceversa, agisce con dolo eventuale chi ritiene seriamente possibile la realizzazione del fatto e agisce accettando tale eventualità».
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Dunque, il giudice dovrà valutare il grado della colpa tenendo conto di tutti i suddetti
parametri e circostanze, effettuando una ponderazione nel caso in cui conducano a risultati tra
loro configgenti49.
4.3 Ambito applicativo della norma: imperizia, negligenza e/o diligenza?
È giunto il momento di chiedersi se la sfera applicativa della norma comprenda
esclusivamente il profilo della perizia o anche quello della diligenza e della prudenza. Conviene
domandarsi, cioè, se l’art. 3 della Legge Balduzzi abbia efficacia “scriminante”50 anche nei
confronti del medico che abbia realizzato un evento lesivo con colpa lieve a causa di negligenza
e di imprudenza, oppure se la norma possa applicarsi soltanto nei casi in cui la condotta lesiva
del medico sia dovuta ad imperizia.
La domanda appare ineludibile una volta che è stato confermato il carattere non tassativo
delle linee guida: queste sono direttive che indicano come sarebbe meglio comportarsi in un
contesto e sono state inquadrate come “fonti di cognizione”; esse non possono essere mai
considerate “regole cautelari di colpa specifica”51.
In altre parole: la riforma Balduzzi non ha tipizzato la leges artis medica ed ha così lasciato
invariata la colpa medica che continua ad essere una colpa generica52 e non diviene colpa
specifica53.
Dunque, dopo aver ricondotto le linee guida nell’alveo della colpa generica, occorre capire se
l’eventuale esenzione ex art. 3 operi solo in caso di imperizia, o anche in caso di negligenza ed
imprudenza.
Prima di esporre le tesi della giurisprudenza e della dottrina, è opportuno esporre le
definizioni di negligenza, imprudenza e imperizia: la negligenza consiste in una condotta
omissiva, è caratterizzata dal non agire quando si dovrebbe agire (i sinonimi potrebbero essere 49 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237.50 Qui il termine “scriminante” non è utilizzato in senso tecnico - penalistico, ossia non si intende indicare la locuzione “causa di giustificazione”, volendo invece attribuirgli il significato letterale di elemento che rende irrilevante penalmente una condotta. Infatti, la norma non configura né una causa di giustificazione, né una scusante soggettiva, ma un’ipotesi di abolitio criminis parziale; vedi par. 4.2 Elemento psicologico nella responsabilità medica: la “colpa non lieve”, p. 11 e par. 5 Prima assoluzione per la “Legge Balduzzi”, p. 17.51 Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237: «Diverse sono le ragioni per le quali le direttive di cui si discute non divengono regole cautelari secondo il classico modello della colpa specifica: da un lato la varietà e il diverso grado di qualificazione delle linee guida; dall’altro soprattutto la natura di strumenti di indirizzo ed orientamento, privi di prescrittività propria della regola cautelare, per quanto elastica».52 Art. 43, comma 3, c.p.: «Elemento psicologico del reato. […] è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia […]». Cfr. G. MARINUCCI - E. DOLCINI, op. cit., p. 316, per comprendere, in breve, che la colpa generica è quella per negligenza o imprudenza o imperizia. 53 Ivi: «[…] ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline»; cfr. G. MARINUCCI - E. DOLCINI, op. cit., p. 314. Cfr. G.M. CALETTI, op. cit., p. 182: «non poteva essere altrimenti: come visto, essa sconta i limiti ontologici presentati dallo strumento scelto per siffatta positivizzazione del sapere medico, le linee guida».
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disaccortezza, disattenzione, noncuranza); l’imprudenza invece è caratterizzata da una condotta
commissiva, si agisce quando non si dovrebbe o si agisce con modalità diverse da quelle
doverose (termini sinonimi sono avventatezza, temerarietà); l’imperizia, infine, può essere una
condotta omissiva o commissiva ed è caratterizzata dal contrasto con regole tecniche, proprie di
una professione54.
4.3.1 Applicabilità della norma al solo profilo dell’imperizia.
Fin dalle prime interpretazioni, la giurisprudenza ha ritenuto che la disciplina dell’art. 3
riguardasse esclusivamente il profilo della perizia. Questa tesi è stata affermata dalla Corte di
Cassazione nella sentenza Cantore, dove si è spiegato che, contenendo le linee guida
esclusivamente regole di perizia la restrizione della responsabilità prevista dalla Balduzzi possa
operare solo sul terreno dell’imperizia (lieve)55.
Anche la Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità ha confermato che «la limitazione di
responsabilità prevista dalla norma censurata viene in rilievo solo in rapporto all’addebito di
imperizia, giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di
perizia: non, dunque, quando all’esercente la professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della
colpa, un comportamento negligente o imprudente»56.
Una parte della dottrina, riprendendo e confermando tale tesi, ha elaborato il principio “culpa
levis sine imperitia non excusat”57, quale «frutto interpretativo dell’art. 3» che imporrebbe di
ritenere inapplicabile la Legge Balduzzi alle ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza,
rilevando nell’applicazione di tale norma solo l’imperizia e non le altre due forme di colpa58.
In base a tale costruzione si dovrà ritenere che nel caso in cui sia rimproverabile un difetto di
negligenza o imprudenza, e non di imperizia, operi la disciplina ordinaria secondo la quale la
distinzione tra colpa lieve e colpa grave è rilevante ai soli fini della commisurazione della pena
ex art. 133 c.p.59.
4.3.2 Apertura al profilo della negligenza.
54 P. PIRAS, Culpa levis sine imperitia non excusat: il principio si ritrae e giunge la prima assoluzione di legittimità per la legge Balduzzi, p.3.55 Cfr. G.M. CALETTI, op. cit., p. 182.56 Corte cost., 6 dicembre 2013, n. 295.57 Principio plasmato dalla Corte di Cassazione: prima nella sentenza Pagano (Cass. pen., Sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493), poi nella sentenza Cantore (Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237).58 Cfr. P. PIRAS, op. cit., p.1.59 A. VALLINI, op. cit., p. 5; ricorda inoltre che la disciplina ordinaria sarà applicata anche nel caso in cui non ci sia stato il rispetto delle linee guida.
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Parte della dottrina non condivide l’ipotesi secondo la quale l’art. 3 della Balduzzi possa
essere applicato esclusivamente nelle ipotesi di imperizia, in quanto osserva che non di rado le
linee guida hanno lo scopo di assicurare la perizia del medico, ma anche la diligenza e puntualità
del suo intervento60.
A conforto di questa tesi possiamo citare la sentenza del 17 novembre 2014, n. 47289 della
Corte di Cassazione: in questa occasione la Suprema Corte ha infatti annullato la sentenza con
cui la Corte d’Appello di Bologna aveva condannato un medico “imperito” sulla base
dell’inapplicabilità dell’art. 3 della Legge Balduzzi. Il giudice di secondo grado aveva ritenuto
che la disposizione in parola non fosse tale da escludere la tipicità della condotta del medico che
avesse eseguito l’atto chirurgico con modalità inidonee, maldestre e malaccorte, sottolineando
inoltre come tale norma fosse applicabile alle sole «prestazioni che presentino speciali difficoltà
tecniche e comunque al solo ambito della perizia»61.
La Suprema Corte ha invece stabilito che la nuova disposizione non possa essere applicata
esclusivamente alle ipotesi di speciale difficoltà, aggiungendo che, sebbene «tale disciplina,
trovi il suo terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia»62, non possa tuttavia «escludersi che le
linee guida pongano regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell’agente
sia quello della diligenza»63.
La limitazione al solo ambito dell’imperizia è stata ritenuta ingiustificata per diversi motivi64:
- la lettera della disposizione non opera una distinzione in merito alle forme della colpa
(imperizia, negligenza, imprudenza);
- l’intento della legge era principalmente quello di «determinare i casi di esclusione dalla
responsabilità per i danni derivanti dall’esercizio della professione sanitaria»65;
- la limitazione al profilo dell’imperizia viene giustificata dal fatto che le linee guida nominate
dalla disposizione contengono regole esclusivamente di perizia, senza invece considerare che
queste possano contenere anche regole procedurali improntate a diligenza e/o prudenza;
- la distinzione tra le tre forme di colpa non è diffusa nella prassi ed è spesso difficile
distinguere quando una condotta inadeguata derivi da effettiva capacità tecnica del
professionista e quando, invece, da negligenza o imprudenza di un medico pur adeguatamente
esperto66;60 Cfr. G.M. CALETTI, op. cit., p. 182.61 Cfr. A. ROIATI, Prime aperture interpretative a fronte della supposta limitazione della Balduzzi al solo profilo dell’imperizia, in Dir. Pen. Cont., 1/2015, p. 232.62 Già nella sentenza Cantore, del 29 gennaio 2013, n. 16237.63 Cass. pen., Sez. IV, 17 novembre 2014, n. 47289.64 Ivi, pp. 234 – 235.65 Tale argomentazione si desume dai lavori preparatori del decreto Balduzzi.66 A. ROIATI, op. cit., Nota 10, p. 234.
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- il richiamo alla sola imperizia è dovuto dalla precedente applicazione dell’art. 2236 c.c.67 il
quale circoscriveva la colpa esclusivamente al profilo della perizia, in forza del riferimento
letterale alla “soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”; al contrario si deve ritenere
che la nuova normativa non è applicabile solo nei casi di speciale difficoltà perché la
disposizione non prevede letteralmente questa ipotesi68.
Nonostante queste puntualizzazioni, la giurisprudenza tende a respingere l’apertura al profilo
della diligenza e mantiene come sfera applicativa solo quello della perizia69, limitando così
fortemente l’ambito di applicazione della Legge Balduzzi, principalmente per evitare che questa
diventi un ingiustificato privilegio per la categoria dei sanitari70.
5. Sentenza Manzo: la prima assoluzione per la “Legge Balduzzi” giunge in Cassazione.
Nel 2015 giunge in Cassazione la prima assoluzione per la legge Balduzzi71.
I medici erano accusati di aver omesso per negligenza e imperizia di effettuare accertamenti
diagnostici cardiologici, quali radiografia toracica ed ecocardiogramma, e, conseguentemente, di
non aver prescritto adeguata terapia farmacologica per curare lo scompenso cardiaco che ha
portato alla morte del paziente.
Il Tribunale di Taranto aveva escluso che i medici in questione potessero essere ritenuti
responsabili ai sensi dell’art. 3 della Legge Balduzzi nel pieno rispetto delle linee guida ESC72
2012, essi avevano eseguito un elettrocardiogramma (ECG) che non aveva evidenziato una
patologia tale da richiedere esami ulteriori quali radiografia toracica ed ecocardiogramma. Il
giudice di prime cure configurava in capo ai medici un’ipotesi d colpa lieve (il mancato
approfondimento sarebbe stato soltanto “aggiuntivo” rispetto al quadro clinico risultante
dall’ECG), procedendo quindi ad assolverli, nonostante si trattasse di colpa dovuta a negligenza,
non solo a imperizia.
Le parti civili ricorrevano in Cassazione sostenendo che la condotta tenuta dai medici fosse
riconducibile a negligenza ed imprudenza, su tale base contestando l’applicabilità della Legge
Balduzzi, limitata ai casi d’imperizia; si adduceva inoltre l’inapplicabilità della Legge Balduzzi
67 Articolo che veniva richiamato anche dal D.L. 13 settembre 2012, n. 158, prima che venisse convertito con modificazioni dalla l. 8 novembre 2012, n. 189.68 Ricordiamo che è stata negata una qualsiasi applicazione dell’art. 2236 c.c. in ambito penalistico. Vedi par. 2, La responsabilità medica prima della “Legge Balduzzi”, p. 4.69 Tesi accreditata dalla Corte di Cassazione nella sentenza Cantore (Sent. 16237/13) e dalla Corte Costituzionale (Sent. 295/2013).70 Cfr. A. ROIATI, op. cit., pp. 239.71 Cass. Pen., Sez. IV, 19 gennaio 2015, n. 9923. Cfr. P. PIRAS, op. cit., p. 5.72 European Society of Cardiology.
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sotto il profilo temporale, non essendo tale normativa in vigore all’epoca dei fatti, risalenti al
2007.
La Cassazione ha rigettato il ricorso basando la decisione principalmente su due
argomentazioni:
- la legge Balduzzi, anche se successiva al fatto, può essere applicata in quanto ha realizzato
una abolitio criminis parziale73 e per questo avente efficacia retroattiva ex art. 2, comma 2,
c.p.74;
- i medici si sono attenuti alle linee guida (come già sostenuto dal Tribunale di Trapani) e per
questo possono essere assolti in forza dell’art. 3 della Legge Balduzzi, non configurandosi,
peraltro, alcun profilo di colpa.
Il fatto che in questo caso siano stati assolti dei medici, nonostante l’accusa iniziale di aver
agito con negligenza e imprudenza, potrebbe far sembrare che si sia fatto da parte il già citato
principio “culpa levis sine imperitia non excusat”75. A ben guardare, tuttavia, un vero e proprio
arretramento del principio non può essere ravvisato. L’assoluzione è infatti fondata in primis
sull’assenza di dati che inducessero a discostarsi dalle linee guida. Quindi, poiché le linee guida
sono state rispettate e non si è ravvisato motivo per discostarsi, molto semplicemente non c’è
colpa.
Proprio perché la Cassazione ha assolto i medici non avendo ravvisato alcun profilo di
colpa76, non si può dire che la sentenza Manzo abbia applicato – in controtendenza rispetto al
principio “in culpa levis sine imperitia non excusat” – l’art. 3 della Legge Balduzzi a un’ipotesi
di colpa lieve per negligenza o imprudenza.
A tutt’oggi l’applicazione dell’art. 3 appare limitata all’ambito dell’imperizia, ma parte della
dottrina auspica che la giurisprudenza muti il suo orientamento – riprendendo l’indirizzo
inaugurato dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 17 novembre 2014, n. 4728977 e dal
73 Tesi affermata dalla Corte di Cassazione nella sentenza Cantore: «Tale struttura della riforma dà corpo ad un tipico caso di abolitio criminis parziale. Si è infatti in presenza di norma incriminatrice speciale che sopravviene e che restringe l’area applicativa della norma anteriormente vigente. Si avvicendano nel tempo norme in rapporto di genere e specie: due incriminazioni di cui quella successiva restringe l’area del penalmente rilevante individuata da quella anteriore, ritagliando implicitamente due sottofattispecie, quella che conserva rilievo penale e quella che, invece, diviene penalmente irrilevante».74 «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».75 Vedi par. 4.3.1 Applicabilità della norma al solo profilo dell’imperizia, p. 15.76 Cfr. P. PIRAS, op. cit., p. 6 : «Perché il colosso si è fatto da parte? Ha davvero provato pietà? O è successo qualcos’altro? No. Nessuna pietà. È un colosso che non prova pietà per nessuno. Ma combatte con lealtà. Non entra in scena quando ancora non è il suo turno».77 Par. 4.3.2, Aperture al profilo della negligenza, p. 16.
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Tribunale di Taranto nella sentenza giunta in Cassazione nel 201578 della Corte di Cassazione –
ed estenda l’applicazione della norma anche ai casi di negligenza ed imprudenza, non
ritenendosi giustificata la distinzione con il profilo dell’imperizia79.
78 In commento in questo par. (Sentenza Manzo: la prima assoluzione per la “Legge Balduzzi” giunge in Cassazione).79 Cfr. A. ROIATI, op. cit., p. 240.
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