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mario cina – padova - 2013
Storia della Filosofia
3. La Sofistica in 20 schede
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44. Conclusione sul periodo cosmologico
45. L’evoluzione del pensiero umano
46. Nascono i Sofisti
47. Chi sono i Sofisti
48. I Sofisti e la società moderna
49. La Sofistica e l’Illuminismo
50. La Sofistica e la rivoluzione pedagogica
51. Protagora (1/2)
52. Protagora (2/2)
53. Gorgia (1/3)
54. Gorgia (2/3)
55. Gorgia (3/3)
56. La modernità della Sofistica: la Storia
57. La modernità della Sofistica: la Politica
58. La modernità della Sofistica: la Religione
59. La modernità della Sofistica: l’uomo e la legge
60. La modernità della Sofistica: la legge e i potenti
61. La modernità della Sofistica: la filosofia del linguaggio
62. La modernità della Sofistica: la potenza del linguaggio
63. La crisi della Sofistica e la sua rivalutazione
Riflessioni personali sul Relativismo
1. Il Relativismo etico
2. La filosofia dell’immanenza
3. Chi decide il valore morale
4. Democrazia e relativismo etico
5. Morale e selezione naturale
6. La visione atea del mondo
7. I valori oggettivi
8. Il Dio dei cristiani
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mario cina – padova - 2013
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 44 -
Conclusione sul periodo cosmologico
Alla fine del periodo cosmologico subentrano nel campo della ricerca filosofica le
novità portate dalla Sofistica. Facciamo allora una breve sintesi della filosofia
presocratica, filosofia che dominò il periodo iniziale di questa avventura del
pensiero umano. Questo primo periodo è chiamato, come già anticipato, periodo
cosmologico.
Chiariamo che il termine presocratico non è da intendere in senso
cronologico bensì concettuale.
I Presocratici, o meglio Presofisti, studiano la natura mentre i
Sofisti e Socrate si occuperanno dell’uomo.
I Presofisti rifiutano le spiegazioni mitologiche dei fenomeni naturali (physis) e
cercano soluzioni razionali.
Essi si chiedono quale sia l'origine (arché) delle cose, ovvero cosa sia la realtà
unica ed eterna di cui la natura è solo mutevole manifestazione.
Questo è il quadro riassuntivo dei Presofisti.
Il Problema fondamentale è Cosmologico ossia è la ricerca sulla natura (physis)
Scuole Componenti Archè Caratteristiche
Gli Ionici di Mileto
-Talete
-Anassimandro
-Anassimene
-Acqua
-Àpeiron (infinito)
-Aria
Aristotele definì, questi
primi pensatori come
fisiologi, ovvero filosofi
della natura (physis).
I Pitagorici
-Pitagora
(Filolao, Timeo di Locri,
Archita di Taranto)
-Numero Elaborazione scientifica
della matematica.
Gli Eraclitei -Eraclito
-Logòs (ragione) di cui
il fuoco ne è il principio
fisico.
La vita nasce dalla lotta
dei contrari.
Gli Eleati
-Senòfane
-Parmenide
(Zenone, Melisso)
-Terra
-Parmenide non cerca
l’arché ma l’Essere
(Ontologia).
Le cose non sono come
appaiono ai sensi ma
come la ragione le pensa.
I Fisici pluralisti
-Empedocle
-Anassagora
-Democrito e Leucippo
-quattro radici (fuoco, acqua, terra e aria)
-infiniti semi (spèrmata).
-atomi
Non c’è un solo archè ma i
princìpi sono molteplici.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 45 -
L’evoluzione del pensiero umano
Affinché qualche cosa possa diventare oggetto di ragionamento coerente è
necessario che questo qualcosa sia univocamente individuabile e circoscritto
mentre è del tutto evidente come non si possa indagare razionalmente una
molteplicità di temi quando questi ci appaiono sconnessi tra di loro.
Ebbene agli albori della ricerca filosofica il cosmo appare un singolo tema
mentre l’uomo no o meglio l’uomo è considerato facente parte del cosmo ossia
cosa tra le cose senza alcuna posizione privilegiata.
Questo è il motivo in base al quale la Filosofia nasce come tentativo di
spiegazione del cosmo e della ricerca del principio del tutto (arché) mentre
trascura la comprensione logica della particolare natura dell'uomo.
La Filosofia degli inizi non può che essere filosofia cosmologica.
Ma il pensiero umano si evolve e quindi solo successivamente, dopo più di un
secolo, si arriva alla filosofia morale volta allo studio dell’uomo.
La filosofia del cosmo ha il suo punto di partenza dall’esperienza diretta e da
quanto ci comunicano i sensi. Essa poi si sviluppa riconducendo i diversi
avvenimenti cosmici al principio primo (arché) evidenziandone le loro
connessioni con detto principio.
Allo stesso modo nasce e si sviluppa la filosofia morale.
Essa non può che partire dai princìpi morali correnti e successivamente si
chiede se tali principi morali siano veri/falsi, giustificabili/ingiustificabili.
Se io conosco la natura del leone mi aspetto che questo mi azzanni ed allo
stesso modo, se conosco la natura dell’uomo, posso definire fondato o
infondato il suo agire.
Pertanto, la condizione necessaria perche sorgesse una filosofia
morale era che venisse prima determinata la natura dell’uomo
perche essa si differenzia dall'essenza di tutti gli altri esseri.
Se io non conosco la natura dell’uomo, in che cosa consista la sua essenza, io
non posso sapere che in che cosa si possa realizzare questa natura.
E solo su queste basi, in connessione con l'essenza dell'uomo e della sua
vera areté (Virtù), era possibile fissare la determinazione degli autentici
valori: il bene, il giusto, il bello, il santo, e cosi di seguito.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 46 -
Nascono i Sofisti
La ricerca condotta dai filosofi Presofisti sullo studio del cosmo e sull’origine del
tutto non era approdata ad un’unica soluzione, le varie scuole e i diversi filosofi
avevano dato risposte diverse. A questo punto la ricerca dei filosofi naturalisti
entrò in crisi proprio perché non si era giunti ad una visione organica del mondo.
Ma c’è anche dell’altro.
Tutte queste filosofie più o meno ateistiche, nate e sviluppatesi soprattutto nelle
colonie della Ionia e della Magna Grecia, avevano turbato gli aristocratici della
madrepatria, rimasti fermi alla mitologia di Omero ed Esiodo.
Ma nel frattempo era accaduto un importante fatto politico-militare ovvero il
trionfo dei greci sui persiani. A questa vittoria avevano dato il grosso dei
contributi le classi dei mercanti e dei piccoli proprietari terrieri sia in danari e sia
in soldati di fanteria (opliti) che costituivano ora il nerbo dell’esercito sostituendo
in tale ruolo la cavalleria rimasta appannaggio dei nobili.
Il nuovo contesto sociale, storico e politico vedeva ormai il trionfo assoluto della
democrazia che trova l’apice nella famosa orazione tenuta da Pericle in onore dei
caduti in guerra e nella quale è ribadita la specificità della democrazia ateniese
(... Qui ad Atene noi facciamo così...). Questo periodo storico vede dunque
una notevole trasformazione politica in senso democratico, che riflette una chiara
preponderanza del modello sociale basato su arte e artigianato, edilizia e
cantieristica navale, commercio e professioni liberali e scientifiche, rispetto al
modello tradizionale fondato sull'agricoltura. Ma conseguentemente sorgono
nuove necessità mirabilmente rappresentate da L. Geymonat.
“vivere attivamente in democrazia significa partecipare ad assemblee, prendervi
la parola, far valere con efficace discorso la propria opinione frammezzo alle altre
opinioni; e perciò saper pesare le varie accezioni e sfumature dei vocaboli, avere
nell’orecchio le più felici espressioni dei poeti, riuscire a disporre i periodi in un
ordine che incateni l’attenzione, accenda le fantasie e susciti i consensi: significa,
insomma, possedere quel complesso di cognizioni grammaticali, lessicali,
sintattiche, stilistiche, letterarie, che costituisce l’arte dell’eloquenza.
Alla crisi della filosofia naturalista ed alle necessità poste dal nuovo ordine sociale
rispondono i Sofisti. Il termine deriva da sophistès (=sapiente) ed è sinonimo di
sophòs (= saggio).
Nel V secolo a. C. i Sofisti indicarono gli intellettuali
che insegnavano dietro compenso il loro sapere
e che per questo motivo destavano scandalo.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 47 -
Chi sono i Sofisti
Con i Sofisti cambia l’oggetto della ricerca filosofica e, dallo studio della natura, si
passa allo studio dell’uomo: si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale.
Abbandonato il cosmo i Sofisti affrontano i problemi delle leggi,
della politica, della socialità, dell’educazione e così
diventano i filosofi dell’uomo e della polis.
Nei tempi antichi si indicavano come Sofisti gli uomini sapienti e illustri, Pitagora
era certamente un Sofista, i mitici Sette Savi (secondo Platone:Talete di Mileto,
Solone da Atene, Biante di Priene, Pittaco da Mitilene, Cleobulo da Lindo, Chilone
di Sparta, Misone di Chene) erano Sofisti.
Ma nel V secolo chi erano i Sofisti? Come erano considerati?
Il quel secolo i Sofisti erano intellettuali, certamente sapienti, che insegnavano la
loro sapienza dietro remunerazione e proprio qui, secondo gli aristocratici, si
annidava lo scandalo.
Furono definiti “prostituti della cultura” da Senofonte mentre Platone e
Aristotele li demonizzarono come falsi sapienti e venditori di merce spirituale.
Tanto è stata forte l’influenza dei due grandi filosofi che ancora oggi sofista ha
assunto il significato di sottile cavillatore, di colui che, in male fede, agisce solo
formalmente in modo corretto per raggirare il prossimo ed il cibo sofisticato
indica appunto cibo adulterato. La critica moderna ha però rivalutato la Sofistica
dando atto della sua importanza storica e filosofica.
Abbiamo detto che alle necessità poste dal nuovo ordine sociale rispondono i
Sofisti. Il loro scopo è rendere gli uomini, ceto dirigente, politici e avvocati in
particolare, più abili nello svolgimento delle competizioni civili. Sono
sorprendentemente moderni perché rendono servizio dietro pagamento.
Il loro insegnamento verteva principalmente sulla retorica ovvero l’arte del
parlare e dello scrivere in modo ornato ed efficace (Treccani) e dove si insegna la
distinzione tra l’essere vero e il sembrare vero.
In democrazia tutti i liberi cittadini partecipano alle cariche pubbliche e ciascuno
fornisce contributi alla vita politica. I Sofisti educano i membri delle assemblee
alla conoscenza dei mezzi con i quali l’individuo può acquistare successo negli
affari e potenza fra il popolo, indirizzandolo alla scelta del giusto, non più
ordinando, ma spiegando e convincendo.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 48 -
I Sofisti e la società moderna
Abbiamo già osservato come il primo momento della storia della filosofia sia
stato rappresentato dai filosofi naturalisti Presocratici, anzi Presofisti, la cui
attenzione era rivolta al mondo naturale ovvero al mondo oggettivo. Appare
quindi spiegabile come all’interesse dei primi filosofi per il mondo oggettivo,
esteriore - la natura -, sia seguito un periodo di attenzione indirizzata al mondo
soggettivo ossia nell’uomo.
Sono proprio i Sofisti ad essere gli autori di una rivoluzione culturale, si direbbe
“rivoluzione antropologica” nella Filosofia, perché al naturalismo orientato alla
conoscenza dell’oggetto, di ciò che è esterno a noi, fanno seguire una filosofia
che si rivolge al mondo propriamente umano, al mondo dei soggetti, a ciò che è
interno a noi.
Da Talete ad Anassagora furono condotti studi e meditazioni sull’essere, sulla
natura, ma quasi mai discorsi sull’uomo, sui rapporti umani, sulla politica, sul
contratto sociale, sulla convivenza civile, sulla morale: questo invece è l’oggetto
del secondo grande momento della storia della filosofia, la Sofistica.
I Sofisti costituiscono un momento obbligatorio nella storia della filosofia.
Sta nelle cose che dopo i naturalisti non possono che apparire loro, e, a loro
volta, loro non possono che essere successivamente superati dalle posizioni di
Socrate e di Platone. I Greci ritenevano giustamente che ci sia una logica in tutte
le cose, ma se ciò è vero, ed è vero, ci sarà ineluttabilmente una razionalità
anche nella storia della filosofia: la storia della filosofia segue un cammino di
sviluppo ben solido.
L’epoca odierna è sofistica, è segnata dal dominio dell’opinione,
dalla certezza che la verità non possa essere perseguita.
Viviamo in un tempo dominato dall’opinione, dalla sfiducia nell’
opportunità di raggiungere la verità, dallo scetticismo, e il dominio
dell’opinione si fa sentire oggi con i mezzi più potenti
cioè con i mezzi di comunicazione di massa.
I modelli di esistenza vengono imposti dagli “opinion leader” di turno
e non sono di certo ispirati da filosofi o da chi indaga la verità.
I Sofisti teorizzano il relativismo e lo scetticismo nella conoscenza, fattori che
comportano l’individualismo e l’egoismo nella vita pratica e tuttavia vedremo
come, alla luce della filosofia di Socrate e di Platone, queste culture possono
essere battute perché (a mio avviso) sono logicamente prive di fondamento.
Riassumendo i tratti della Sofistica affermiamo che Sofistica vuol dire regno
dell’opinione, sfiducia nella possibilità di raggiungere la verità, quindi
relativismo, scetticismo, soggettivismo, e di conseguenza individualismo.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 49 -
La Sofistica e l’Illuminismo
Secondo Hegel i Sofisti sono i “maestri della Grecia”. Sono considerati
“illuministi”, perché sono i primi che confrontano il tutto con il lume del pensiero,
del pensiero soggettivo.
Prima i Naturalisti, ovvero i Presofisti o Presocratici, avevano studiato la natura
mentre era mancata l’indagine filosofica sull’uomo, la morale, la politica. Sulle
questioni umane valeva l’autorità della tradizione, delle caste sacerdotali,
dell’aristocrazia.
I Sofisti contestano invece queste autorità rifiutando la fede nelle divinità olimpiche,
essi immettono il ragionamento al posto della passività, distruggono i contenuti
morali e introducono una mentalità critica abituando al confronto col pensiero.
Positivo nella Sofistica è che essa è “Illuminismo”, tentativo di illuminare col
pensiero il dogma, cioè le credenze non dimostrate. La Sofistica è contro
l’atteggiamento fideistico e dogmatico di ossequio all’autorità e alla tradizione
perché i contenuti non sono stati filtrati dal pensiero. Questo pensa il Sofista, e in
questo svolge un’azione innovativa nella civiltà. Dice Hegel: ”Il termine di ‘cultura’ è
indeterminato, significa in generale ‘coltivare’, ‘elevare coltivando’, se lo vogliamo
precisare ha questo significato: ciò che il pensiero libero deve conquistare lo deve
trarre da sé come propria convinzione”. I Sofisti accettano solo quello di cui si è
convinti, e respingono la regola tramandata o il comando di un’autorità; l’autorità e
la tradizione devono essere filtrati alla luce del pensiero, devono diventare libera
convinzione e quindi all’atteggiamento fideistico subentra l’atteggiamento riflessivo.
Illuminismo significa richiesta di legittimazione: se mi si vuol imporre qualche
cosa, mi si deve addurre il motivo della sua validità, non me lo si può imporre
sulla base di un’autorità.
Il pensiero diventa il punto di riferimento.
Per primi i Sofisti hanno introdotto la riflessione all’interno dei rapporti umani,
quindi nella morale, nella politica e nella società, mettendo l’uomo al centro
della realtà hanno compiuto una “rivoluzione antropologica”. La ragione non
investiga più l’essere, la natura, ma gli stessi rapporti umani.
Per i Sofisti il pensiero è la suprema istanza, è il supremo tribunale. Niente viene
accettato se non è passato davanti al tribunale del pensiero: “Il pensiero,
dunque, il pensiero identico a sé volge la sua forza negativa (si manifesta come
critica, perciò Hegel parla di “forza negativa”) contro le molteplici manifestazioni
particolari della teoria e della pratica, contro le verità della coscienza naturale
(cioè della coscienza ingenua) contro le leggi e i principi vigenti nella loro
immediatezza”. Tutto deve essere spiegato.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 50 -
La Sofistica e la rivoluzione pedagogica
I Sofisti furono ben consapevoli del valore educativo del sapere e si deve a loro il
concetto occidentale di “cultura” (paidèia) da considerare come formazione
globale della persona e non come somma di nozioni specialistiche.
Prima di loro accadeva che i cittadini della Polis fossero istruiti nella casa
paterna, dal padre stesso o dagli schiavi pedagoghi. Il sapere é inteso come
privilegio di casta e consiste essenzialmente in una formazione psico-fisica ed
etica ottenuta attraverso l’insegnamento di poesia, musica e ginnastica,
ginnastica che si era però estesa a un numero crescente di cittadini.
Quindi, dicono i sofisti, se si insegna l’areté (virtù, vigore fisico e morale) oltre i
limiti di casta, deve essere possibile farlo anche con l’areté intellettuale, cioè con
un tipo di sapere spendibile nella vita pubblica della Polis.
L’aretè non si fonda sulla nobiltà del sangue ma sul sapere.
I Sofisti insegnano le tecniche e le conoscenze che rendono tutti i liberi cittadini
eccellenti nella partecipazione democratica alla gestione del potere. Ma i cittadini
liberi, per eccellere, devono primeggiare nell’agorà con parole adeguate e
argomenti persuasivi (retorica) e attraverso la capacità di prevalere nello
scontro verbale (dialettica).
Pertanto i Sofisti non si pongono come “indagatori” bensì come educatori ovvero
come “dispensatori di sapere”.
L’importanza storica di tenere uniti sapere e pratica della vita è stato
puntualizzato da L. Geymonat:
“non può venir ritenuto secondario o inferiore rispetto a quello della ricerca
originale poiché le epoche più ricche di energia intellettuale (...) sono sempre
state epoche in cui è riconosciuta tutta l’importanza della divulgazione e in cui gli
uomini più preparati hanno dedicato ad essa una notevole parte della loro
preziosa attività. Non ci si può illudere infatti di incrementare seriamente la
ricerca senza allargare il campo di reclutamento dei ricercatori e per fare ciò
bisogna cominciare ad attirare all’interesse culturale il maggior numero di
persone attive della società. Anche sotto questo punto di vista il lavoro compiuto
dai Sofisti va considerato come uno dei più benemeriti per lo sviluppo della
società greca.”
Negando il valore della tradizione e dell’educazione intesa come privilegio
aristocratico i Sofisti entrano in conflitto con l’ordine costituito della Polis.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 51 -
Protagora (1/2)
Protagora (Abdera 486 a.C. – mar Ionio, 411 a.C.) è considerato il padre della
Sofistica, fu uomo di non comune eloquenza e di grande fascino intellettuale.
L’asserzione che lo consegna alla storia è, appunto, famosissima:
“L'uomo è la misura di tutte le cose di quelle che sono in quanto sono
e di quelle che non sono in quanto non sono”.
I critici hanno dato diverse interpretazioni sul significato di uomo e cose.
1. Uomo inteso come singolo individuo e cose come oggetti percepiti
attraverso i sensi: lo stesso cibo pare sapido a me e insipido a te;
2. Uomo inteso come comunità, civiltà e cose come valori: la mentalità
greca è diversa da quella persiana;
3. Uomo inteso come umanità e cose come visione della realtà universale.
Ma è possibile che Protagora intendesse l’uomo nella sua totalità, ai vari livelli di
sviluppo della sua umanità ossia come singolo, come comunità, come specie.
Le cose, in questa visione, sono gli oggetti fisici, i valori e la realtà tutta.
Dal momento che l’uomo è il metro di valutazione si può definire la posizione di
Protagora una forma di umanismo.
Peraltro l’uomo di Protagora non si può confrontare con la realtà così com’è (la
realtà avrebbe un solo aspetto, sarebbe un assoluto) ma con la realtà così
come appare (detta fenomeno). Quindi l’approccio del grande Sofista è il
relativismo conoscitivo e morale.
Per Protagora non esiste dunque un’unica verità ma una miriade di
interpretazioni soggettive.
La filosofia di Protagora si può riassumere così:
(spunto tratto dall’ Abbagnano-Fornero)
Uomo Cose Teoria filosofica
individuo oggetti percepiti Umanismo: l’uomo è giudice
comunità valori Fenomenismo: la realtà è come appare
umanità la realtà in generale Relativismo: la verità è relativa
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 52 -
Protagora (2/2)
Poiché L'uomo è la misura di tutte le cose consegue che per Protagora la
verità è relativa. Ciascun essere, ciascuna comunità si sceglie dunque la
propria verità, decide la propria legge, concorda le regole di convivenza civile
senza per questo contravvenire ad un Ordine superiore che non esiste.
La filosofia di Protagora sfocia allora in un soggettivismo anarchico che legittima
ogni comportamento?
Le cose non stanno proprio così. Lo stesso Protagora ritiene che esista pur
sempre un criterio di scelta che, beninteso può sempre cambiare in quanto non
assoluto.
L’unico criterio di scelta è il principio dell’utilità privata o pubblica.
Le teorie del vivere sociale devono aver riguardo soltanto
al bene del singolo ed al bene della comunità.
Protagora sostituisce alla verità assoluta e oggettiva il concetto di verità utile al
singolo, alla comunità, alla specie che è cosa ben differente dalla verità
soggettiva anarchica.
Sembrerebbe che la verità utile protagorea si fondi su un pragmatismo
amoralistico e tuttavia la si può intendere anche come un primo sforzo teso alla
responsabilizzazione dell’uomo nei confronti di se stesso e della società e forse la
nascita embrionale del concetto di pubblica utilità.
In definitiva secondo Protagora il Sofista deve essere un propagandista dell’utile,
egli è un intellettuale che attraverso l’abilità nella padronanza della parola
modifica le opinioni dei cittadini per il raggiungimento dell’utilità comune.
Se guardiamo gli intellettuali di oggi il pensiero di Protagora di 2.500 anni fa è
sorprendentemente attuale.
Quando Protagora afferma che compito del Sofista è rendere migliore il discorso
peggiore intende che occorre trasformare l’opinione meno utile in quella più utile.
Ma chi è che nella Polis stabilisce che cosa sia l’utile se non i più forti, i più ricchi,
i più potenti?
Questo fu l’esito negativo finale del Sofismo che divenne l’ideologia
dell’aristocrazia.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 53 -
Gorgia (1/3)
Gorgia, discepolo di Empedocle, nacque a Lentini, Siracusa, nel 480-485 a.C. e
morì circa un secolo dopo a Larissa (Grecia).
Se il pensiero di Protagora nasce dal relativismo, Gorgia parte invece da una
posizione di nichilismo (dal latino medievale nichil, "nulla"). Gorgia sosteneva
tre tesi interconnesse:
1. l'Essere (Verità assoluta) non esiste, ossia nulla esiste;
2. se esistesse, non sarebbe comprensibile;
3. se fosse comprensibile, non sarebbe comunicabile né spiegabile.
La dimostrazione delle tre proposizioni ha il fine di escludere la possibilità
dell'esistenza d'una verità oggettiva.
Secondo Protagora esisteva una verità relativa perché ciascun uomo ha una
sua verità, per Gorgia invece non esiste alcuna verità e tutto è falso, perché
l'Essere non c’è e se ci fosse non sarebbe né conoscibile né esprimibile.
1. l'Essere non esiste, ossia nulla esiste: Gorgia contrappone fra loro le
diverse (opposte) concezioni dei filosofi Fisici sull’Essere le quali sono tali da
annullarsi reciprocamente con risultato nullo;
2. se l’Essere esistesse, non sarebbe comprensibile: se due fenomeni (ad
es. vista e udito) avessero proprietà diverse non sarebbe possibile esprimere un
giudizio su uno di essi (vista) in base alle caratteristiche dell’altro (udito). Lo
stesso accade per la ragione e l’esperienza. In base alla ragione non si può
affermare la verità o la falsità dell’esperienza e quindi se l’Essere esistesse non
sarebbe comprensibile dalla ragione.
3. se l’Essere fosse comprensibile, non sarebbe comunicabile né
spiegabile: La terza tesi è dimostrata da Gorgia negando alla parola la sua
capacità di significare, in modo veritativo, qualcosa che sia altro da sé.
Noi diremmo più semplicemente che la parola tradisce il pensiero.
Così il divorzio fra essere e pensiero diventa anche divorzio (altrettanto radicale)
fra parola, pensiero e essere.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 54 -
Gorgia (2/3)
La Verità e la verità di Gorgia. Poiché Gorgia distrugge la possibilità di
raggiungere la Verità assoluta, ossia l'aletheia, non rimarrebbe che l’opinione,
cioè la doxa. Ma Gorgia considera la doxa “la più infida delle cose”. Il Filosofo
cerca dunque una terza via fra l'Essere (Verità) e l’opinione (doxa). Non la Verità
assoluta è la via ma la verità delle esperienze umane che illumina la vita degli
uomini di tutti i giorni.
C'è una virtù relativa a ciascuna azione e a ciascuna età, e per
ciascuna opera per ognuno di noi. E così ritieni il vizio.
La potenza della parola. Se per Gorgia non esiste una Verità assoluta e
neanche relativa (come invece riteneva Protagora), è chiaro che la parola viene
ad acquistare una sua autonomia pressoché sconfinata, perché non è legata dai
vincoli dell'Essere (Verità assoluta).
Gorgia scopre così quell’aspetto della parola per cui essa è portatrice (a
prescindere da ogni vero) di suggestione, di persuasione e di credenza.
Ed è proprio la retorica l'arte che sfrutta a fondo questo aspetto della parola.
La retorica può essere così definita l'arte del persuadere che prescinde dalla
Verità (che non esiste) bensì è legata alla pura credenza.
[La retorica è] l'esser capaci di persuadere i giudici nei tribunali, i consiglieri nel
Consiglio, i membri dell'assemblea popolare nell’Assemblea e così in ogni altra
riunione che si tenga fra cittadini.
Si spiega così anche l'enorme successo che, come Protagora, Gorgia raccolse
ovunque si recò. Il suo successo fu dovuto alla taumaturgica potenza della parola
capace di persuadere tutti su tutto si credeva di poter trovare lo strumento
insostituibile per dominare.
Definizione della poesia. Anche l'arte come la retorica, non mira al vero, bensì
alla mozione dei sentimenti; ma, mentre la retorica con la mozione dei
sentimenti persegue fini pratici, mirando a ingenerare persuasione e credenza in
relazione a questioni etiche, sociali e politiche, l'arte persegue fini teoreticamente
quanto praticamente disinteressate.
Gorgia non solo intravede, ma in una certa misura esplicita la valenza estetica
del sentimento, e quindi della parola che lo produce.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 55 -
Gorgia (3/3)
Un altro aspetto importante del pensiero gorgiano è il pensiero tragico della
vita: Gorgia è dell’avviso che l’esistenza sia qualcosa di sostanzialmente
irrazionale e oscuro. Per lui l’agire dell’umanità non è sostenuto da logica o verità
bensì da circostanze, menzogne, passioni e un destino sconosciuto, che lo
rendono “determinato” e “incolpevole”. Questa teoria è affermata nell’ “Encomio
di Elena”.
Sappiamo che Elena tradisce il marito Menelao, re di Sparta, con Paride, principe
di Troia, scatenando con la sua infedeltà la famosa e tragica guerra omerica.
Il Filosofo dimostra come Elena sia innocente, poiché il movente del suo gesto è
esterno alla sua responsabilità.
Schematizzando, Elena può aver agito per questi motivi:
1. Per decreto degli dèi non si era potuta opporre al Fato: Elena
non ha colpa, in quanto nemmeno gli dèi stessi potevano
opporsi al Fato;
2. Era stata rapita con la forza: Elena non ha colpa perché è una
vittima, e la colpa è da assegnare a Paride;
3. Era stata persuasa dalle parole di Paride: Elena non ha colpa
perché nelle parole è presente una fortissima carica
persuasiva se queste sono pronunciate da un abile oratore;
4. Era stata vinta dalla passione amorosa: Elena non ha colpa
perché è una vittima dal momento che fu Afrodite a farla
innamorare.
Ebbene Gorgia, consapevole della fragilità e della nullità umana, giustifica Elena
perché ritiene tutta l’umanità incolpevole.
Intelligenza tormentata, dal fondo tragico, Gorgia costituisce uno dei casi più
atipici del pensiero greco. Nonostante l’incomprensione dei secoli, da cui è stato
ridotto a puro giocoliere della parola, nella sua opera c’è qualcosa di profondo e
di inquietante, che solo la mentalità moderna può adeguatamente recepire.
Purtroppo la mancanza di testi non permette di svelare a fondo tutto l’enigma del
suo pensiero. (Abbagnano-Fornero)
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 56 -
La modernità della Sofistica: la Storia
Si vuole ricordare che la visione della storia degli antichi Greci si basava sul mito
di Esiodo per il quale la civiltà era una decadenza progressiva dell'umanità da
una iniziale età dell'oro.
La Sofistica sostituisce alla concezione regressiva una teoria della storia come
progresso che spiega il lento emergere dell’uomo dal suo essere primitivo al fine
di raggiungere l’armonia della convivenza civile mediante le “tecniche” e le leggi.
A dire di Protagora l'uomo si differenzia dagli animali e supera le sue naturali
debolezze entrando in società e creando le “tecniche”, cioè quel complesso di arti
(dall'agricoltura all'urbanistica) mediante le quali trasforma il mondo circostante
a proprio vantaggio.
La tecnica di tutte le tecniche è la politica, ossia l'arte di vivere insieme nella
città, che il sofista, non concepiva come un'arte che riguarda ogni uomo poiché
tutti si è uomini della polis.
Teorie simili esprime Prodico secondo il quale l’uomo, dalla condizione iniziale di
brutalità e soggezione alla natura, giunge alla fondazione di società organizzate
sul lavoro e sulle leggi.
Egli appare ottimista sulle possibilità umane ed esalta il lavoro come via che
conduce gli uomini alle conquiste più elevate.
Antifonte accenna all'idea della “concordia” fra gli uomini vissuta come
condizione e scopo della società.
Il filosofo prova un sentimento melanconico dell'esistenza tanto da essere
paragonato a Leopardi pur nella diversità del contesto storico culturale dei due.
La rilevanza di queste teorie sulla storia e sul progresso è ragguardevole.
Al di là di Protagora, di Prodico e di Antifonte, le manifestate teorie indicano
come l'Atene delle tecniche, della democrazia e dei Sofisti si sia sviluppata in un
concetto di civiltà inteso come sforzo progressivo di modifica dell'ambiente
naturale e sociale a vantaggio dell'uomo.
Smarrita in parte con la successiva filosofia greca e medioevale, tale
concezione filosofica ricomparirà nel Rinascimento e nel mondo
moderno, divenendo tipica dell'Occidente sino ai nostri giorni.
mario cina – padova - 2013
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 57 -
La modernità della Sofistica: la Politica
La Sofistica ritiene che l'uomo sia tale non soltanto perché possiede le
“tecniche” che governano la società ma anche l'arte del vivere insieme ossia la
politica, politica che appartiene a ciascun uomo. Questa visione è
magnificamente rappresentata nel mito di Prometeo esposto nel “Protagora” di
Platone di cui se ne trascrive il riassunto (Abbagnano-Fornero).
Quando gli Dèi ebbero plasmato le stirpi animali, incaricarono Prometeo (pro + métis = il preveggente) ed
Epimeteo (epi + métis = l'imprevidente) di distribuire ad esse le facoltà di cui ciascuna stirpe conveniva che
fosse dotata per poter sopravvivere. Epimeteo fece la distribuzione. Assegnò ad alcuni animali la forza senza la
velocità, ad altri, i più deboli, assegnò la velocità perché potessero salvarsi con la fuga di fronte ai pericoli; ad
altri dette mezzi di difesa e di offesa o altra capacità che rendesse possibile la loro conservazione. Agli animali
più piccoli dette la possibilità di fuggire con le ali o di nascondersi sotto terra. A quelli più grandi, dette, appunto
con la grandezza, il modo di conservarsi.
E così distribuendo ad ognuno una facoltà appropriata, fece in modo da evitare che qualche razza si spegnesse.
Distribuì inoltre spesse pelli e pellicce per difendere gli animali contro il freddo invernale e i calori estivi. E
procurò ad ogni specie animale un cibo diverso: o le erbe, o i frutti degli alberi, o le radici o, ad alcuni animali,
la carne degli altri animali. Ai carnivori tuttavia assegnò prole poco numerosa, mentre dette una prole
abbondante alle loro vittime in modo da garantire la conservazione delle loro specie.
Ora Epimeteo, che non era abbastanza saggio, non si accorse di aver distribuite tutte le facoltà agli animali
irragionevoli: il genere umano rimaneva ancora sfornito di tutto e Prometeo, che intervenne ad esaminare la
distribuzione fatta da Epimeteo, vide che mentre tutti gli altri animali erano attrezzaticonvenientemente per la
loro conservazione, l'uomo era nudo, scalzo, indifeso e inerme. Fu allora che Prometeo pensò di rubare a Efesto
e ad Atena il fuoco e l'abilità meccanica e di fame dono all'uomo.
Con l'abilità meccanica e col fuoco l'uomo fu così in grado di procurarsi la protezione, la difesa, le armi e gli
strumenti per procurarsi il cibo, dei quali l'incauta distribuzione di Epimeteo l'aveva lasciato privo.
Mediante l'abilità meccanica e il fuoco l'uomo poté inventare le case, le calzature, gli indumenti, nonché gli
strumenti e le armi per procurarsi il cibo. Cominciò anche ad articolare la voce con arte in modo da formarne
parole e nomi. E fu anche il solo essere mortale che, in quanto partecipe di un'abilità divina, onorò gli dèi e
costruì altari e immagini sacre. Ma tutto ciò non bastava ancora a garantire la vita degli uomini perché essi
vivevano dispersi e non erano in grado di combattere le fiere. Cercavano bensì di riunirsi e di fondare città per
difendersi; ma quando si riunivano, non possedendo l'arte politica, cioè l'arte di vivere insieme, si facevano
torto a vicenda e quindi di nuovo si disperdevano e perivano.
Dovette allora intervenire Zeus a salvare per la seconda volta il genere umano dalla dispersione: egli mandò
Hermes a portare fra gli uomini il rispetto reciproco e la giustizia affinché fossero principi ordinatori delle
comunità umane e creassero presso i cittadini vincoli di solidarietà e di benevolenza. E a differenza delle arti
meccaniche che non furono date tutte a tutti, giacché, per esempio, un sol medico basta a molti profani, Zeus
stabilì che tutti partecipassero dell’arte politica, cioè del rispetto reciproco e della giustizia, e che coloro che si
rifiutassero di parteciparne fossero allontanati dalla comunità umana od uccisi.
Emergono due verità:
a) che il genere umano non può conservarsi senza politica e senza
tecniche di governo;
b) che queste arti (non sono istinti o impulsi) devono essere apprese.
mario cina – padova - 2013
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 58 -
La modernità della Sofistica: la Religione
La problematica religiosa dei Sofisti risulta storicamente e
filosoficamente importante perché rompe la concezione sacrale
dell'esistenza nella Grecia antica e svela che l'uomo
“indipendentemente da ogni ordine già dato, indipendentemente dalla
necessità di una legge divina, è egli stesso che costruisce il suo
mondo, si costituisce in ordine civile, amministra la sua casa e la
città, fonda colonie e dà nuove leggi”. (F. Adorno)
Protagora afferma che “Degli dèi non sono in grado di sapere né se sono né se
non sono né quali sono: molte sono infatti le difficoltà che si frappongono: la
grande oscurità della cosa e la limitatezza della vita umana”.
Questa rappresenta la prima affermazione filosofica di agnosticismo religioso,
cioè di quella teoria secondo cui Dio non è razionalmente affermabile o negabile,
in quanto non si possiedono strumenti mentali adeguati per ammetterne od
escluderne l'esistenza.
Prodico sostiene invece che:
“Gli antichi consideravano dèi, in virtù dell'utilità che ne derivava, il sole, la luna,
i fiumi, le fonti e in generale tutte le cose che giovano alla nostra vita, come per
esempio, gli Egiziani, il Nilo. E per questo il pane era considerato come Demetra,
il vino come Dioniso ... “.
Egli riduce gli dèi a proiezioni dell'utile e del vantaggioso, e sotto sottintende
un'ipotesi sull'origine umana del fenomeno religioso che solo nel mondo moderno
conoscerà radicali sviluppi.
Crizia rivendica che gli dèi sono invenzione dei governanti i quali non potendo
opprimere direttamente i governati, fanno loro credere che esista una divinità
invisibile che conosce e punisce i comportamenti illegali stabiliti da chi governa.
La divinità è come la polizia segreta che controlla le coscienze dei sudditi!
Anche la teoria di Crizia della genesi politica della religione anticipa quei filoni
della filosofia moderna, quali ad esempio dell'illuminismo e del marxismo, che
tenderanno a ridurre la religione a stratagemma sociale o a strumento di dominio
delle classi dominanti, ad oppio dei popoli.
mario cina – padova - 2013
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 59 -
La modernità della Sofistica: l’uomo e la legge
Anticamente si credeva che le norme sociali derivassero dagli dèi. I Sofisti
proclamano invece la loro origine tutta umana. Del resto già nella democrazia
ateniese c’era dibattito di pareri nell’assemblea che poi si traduceva in leggi, e
quindi si evinceva la coscienza del carattere umano e sociale delle norme.
Ma se le leggi sono opera umana, che cosa obbliga a rispettarle?
Secondo Protagora l'uomo diventa uomo soltanto entrando in società e
inventando le tecniche tra cui la più alta è la politica senza la quale si tornerebbe
allo stato belluino. È proprio la genesi umana delle leggi ad implicare la
giustificazione della loro validità: pur non derivando dagli dèi e pur essendo
invenzione umana, le leggi devono essere rispettate, perché senza di esse non ci
sarebbe la società e quindi l'uomo.
In Protagora esiste continuità fra natura e legge perché l'uomo, attraverso la
società, realizza in pieno la propria natura ed il proprio utile. Invece nei Sofisti
posteriori c’è una antitesi fra natura e legge.
Ippia distingue nettamente fra legge naturale immutabile “valida in ogni paese e
nel medesimo modo” e legge umana mutevole. Egli preferisce la legge naturale
perché ritiene che unisca gli uomini al di là dello spazio e del tempo, mentre la
seconda li divide. Da questa distinzione Ippia fa derivare un ideale
cosmopolita ed egualitario che, già presente in Democrito, rappresenta una
novità per il mondo greco e per la civiltà antica in genere.
Antifonte porta alle estreme conseguenze questa teoria e compie un ulteriore
passo verso la totale “dissacrazione” delle leggi. Infatti egli ritiene “vera” solo la
legge di natura, mentre quella umana la reputa “opinabile”, oppure decisamente
falsa.
Ma che cos'è, precisamente, tale legge di natura? Secondo Antifronte
la legge di natura si identifica con la spinta verso il conveniente e la
concordia, cioè con valori che la legge della città, che opprime
l'individuo e lo mette contro i suoi simili, tende a ridurre a zero.
Su questa via, Antifonte riprende in modo più marcato le idee cosmopolite di
Ippia, affermando, contro ogni pregiudizio, l'uguaglianza di natura fra gli uomini.
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 60 -
La modernità della Sofistica: la legge e i potenti
Trasimaco afferma che la pretesa giustizia costituisce una semplice maschera
che nasconde gli interessi dei potenti.
La giustizia è “l'utile del più forte” e le leggi sono soltanto strumenti
di cui si servono i gruppi al potere per tutelare i propri interessi.
Anche secondo Crizia le leggi sono soltanto paraventi attraverso cui i potenti
tutelano i propri interessi. Ed è proprio per fare rispettare le leggi che essi, come
si è visto, inventano il timore degli dèi.
Callicle estremizza ancora questa visione sostenendo che la legge di natura si
identifica e deve identificarsi con “il diritto del più forte” e che le leggi civili sono
soltanto mezzi di difesa “inventati” dai deboli per salvaguardarsi dai potenti.
In altre parole i deboli, non reggendo lo scontro sul piano immediato
della forza, avrebbero cercato di difendersi da essa
con la mediazione della politica e delle leggi.
Licofrone e Alcidamante, seguendo Antifonte, approfondiscono il tema
dell’uguaglianza, giungendo alla soluzione che anche la stessa divisione fra
uomini liberi e schiavi è frutto di un arbitrio convenzionale, perché tutti gli uomini
sono uguali per natura:
“Il dio dette la libertà a tutti la natura non ha fatto alcuno schiavo”.
Si osservi che il dibattito sofista sulle leggi, attraverso le diversificate posizioni,
appare assai ricco e stimolante.
In particolare, la distinzione generale fra leggi di natura (non scritte)
e leggi umane (scritte) costituisce una delle loro eredità più preziose,
in quanto rappresenta lo schema teorico che starà alla base di gran
parte della filosofia giuridica occidentale e delle moderne
“Dichiarazioni dei diritti dell'uomo”.
mario cina – padova - 2013
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 61 -
La modernità della Sofistica: la filosofia del linguaggio
Gli antichi filosofi ponevano in relazione la realtà, il pensiero che la conosce e la
parola che l'esprime per cui il linguaggio non costituiva un problema. Anzi,
ritenevano (Parmenide) che pensiero = essere = verità.
I Sofisti invece demoliscono queste originarie certezze e mettono in crisi il
rapporto fra il linguaggio da una parte, la verità e la realtà dall'altra.
L'importanza della parola è una delle grandi scoperte dei Sofisti. Ma essi non si
limitarono a celebrarne la forza dirompente ma la portarono sul piano filosofico e
ne approfondirono i rapporti con la realtà e la verità.
Protagora, che aveva concepito l’uomo a misura di tutte le cose, sosteneva il
metodo dell'antilogia (anti = contro e logos = discorso) o del discorso doppio
(antitesi), cioè l'arte di costruire, su ogni questione, due discorsi contrastanti.
Secondo Platone il criterio dell'antilogia dimostrava la poca autorevolezza
filosofica dei Sofisti. Ma tale giudizio rimane valido per i Sofisti dell’ultimo periodo
mentre gli studiosi attuali tendono a vederne anche gli aspetti positivi se riferiti
ai fondatori della Sofistica.
È un fatto però che il principio dell'antilogia perda istantaneamente il suo
carattere “scandalistico” e mostri un impensabile spessore filosofico, non appena
si conducano le osservazioni che seguono.
Gli antichi pensavano che su ogni questione esistesse un solo e vero punto di
vista ed un unico discorso che lo potesse esprimere. Protagora ritiene invece
che non ci possa essere una situazione che non possa essere sviluppata da una
diversa visione e che quindi non possa dare luogo ad una interpretazione
differente.
L'antilogia può intendersi quindi come sana reazione all’assolutismo
teorico e pratico secondo cui una sola (possibile) interpretazione
della verità e della realtà coincida con la Verità e la Realtà stessa,
ignorando la molteplicità delle opinioni sulle cose e la complessità
inestinguibile delle prospettive da cui può essere osservata la realtà.
Se il punto di vista dogmatico esclude l’apertura verso, “l'altro”, il metodo
antilogico ha il merito, di far posto al “diverso” e al “nuovo” e quindi l'antilogia è
in connessione storico-politica con la democrazia secondo cui intorno ad ogni
problema vi possono essere opinioni opposte e che il dibattito indica apertura a
coloro che la pensano diversamente.
mario cina – padova - 2013
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 62 -
La modernità della Sofistica: la potenza del linguaggio
Ricordiamo che per Protagora, non esistendo nessuna Verità, l’unico criterio di
scelta è il principio dell’utilità privata o pubblica. Ciò premesso l’antilogia del
Filosofo non può rompere del tutto il legame linguaggio-realtà perché essa deve
pur confrontarsi con l'utile: il linguaggio deve essere finalizzato all’utile e l’utile è
realtà.
Secondo la retorica gorgiana invece la parola non può dire nulla della realtà e
diventa qualcosa di completamente autonomo da essa e il legame essere-
pensiero-linguaggio ne esce frantumato.
Poiché “nulla esiste” la parola è tutto, aumenta la sua importanza e
potenza acquistando un'illimitata capacità seduttrice: “La parola è un
gran dominatore che con un corpo piccolissimo e invisibilissimo
divinissime opere sa compiere”.
Per Gorgia la retorica, intesa come arte del ben parlare, diviene dunque l'arte
della suggestione e della persuasione, per cui chi la detiene può dire di avere in
mano le chiavi della città e quindi la politica si riduce a retorica. Con lui il
relativismo sofistico perviene così ai suoi esiti estremi. Le sue tesi paradossali
stimolarono tuttavia la meditazione filosofica sul problema del linguaggio e dopo
Gorgia non fu più possibile evitare il problema se il linguaggio sia natura o
artificio convenzionale. Ci si chiese se il linguaggio abbia un'origine naturale, che
possa spiegare la connessione fra parola significante e cosa significata,
oppure se esso sia convenzionale e quindi autonomo rispetto alla realtà.
Anche Prodico di Ceo si occupò della connessione linguaggio-realtà. Egli,
studioso dei sinonimi, da un lato accetta la teoria dell'autonomia e
convenzionalità del linguaggio (infatti esistono i sinonimi, termini differenti che
indicano lo stesso oggetto) e dall'altro non esclude una certa connessione,
almeno primitiva, di esso con la realtà, come dimostra l'etimologia delle
parole (etymo = vero e logos = discorso) ovvero l’origine reale delle parole.
Le discussioni sul rapporto linguaggio-realtà indicano il passaggio da uno stadio
acritico dell'identità fra i due termini ad uno stadio critico del loro rapporto. Si
pongono quindi una serie di problematiche che formano ancor oggi tema di
dibattito tra i filosofi.
mario cina – padova - 2013
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SCHEDA DI FILOSOFIA - 63 -
La crisi della Sofistica e la sua rivalutazione
Con la “seconda generazione” dei Sofisti (VI secolo) abbiamo la crisi e il
disfacimento del movimento. Portando alle estreme conseguenze il metodo
“antilogico” di Protagora e la teoria di Gorgia dell'autonomia del linguaggio nei
confronti della realtà, la sofistica giunge infatti alla creazione della cosiddetta
“eristica” (da éiro = dico) ossia l'arte di vincere nelle contese, contestando le
dichiarazioni dell'avversario, senza guardare alla loro sostanziale verità o falsità
concettuale.
Questa è la Sofistica contro la quale lotteranno Platone ed Aristotele, trascinando
però nella comune condanna la “prima” Sofistica.
La storia dei Sofisti, a cominciare dal mondo greco, è una storia di condanne. I
Sofisti sono sempre stati visti nei loro aspetti più negativi e degradati e sono
apparsi come una sorta di “demoni della pseudoscienza” da opporre agli “angeli
del vero sapere”: Socrate, Platone ed Aristotele. È soltanto nell'Ottocento che
abbiamo timide avvisaglie di rivalutazione. Uno dei primi a porsi su questa via è
G.F. Hegel, che tuttavia li considera ancora in funzione di Platone e di Aristotele,
interpretati come loro necessario “superamento”.
W. Jaeger, uno dei maggiori studiosi del pensiero greco, muovendosi in
quest'ottica, scrive ad esempio che “I Sofisti sono un fenomeno così necessario
come Socrate e Platone; questi, anzi, senza di quelli sono affatto
impensabili”.
Un’altra corrente della critica novecentesca ha osservato la Sofistica con
maggiore apertura, insistendo sulle dimensioni filosoficamente più vivaci e
profonde del loro pensiero. In base a questa visione si è concluso che la
Sofistica: a) è un momento decisivo della storia intellettuale dei Greci; b) è
importante non solo in relazione a Platone ed Aristotele, ma anche perché ha
dibattuto con acume problemi ragguardevoli del pensiero filosofico quali la teoria
dell'uomo-misura, la contestazione gorgiana della metafisica (impotenza umana
di parlare dell’essere e delle strutture del reale), la tematica delle leggi e del
linguaggio. Si è imparato a distinguere nettamente fra i grandi maestri della
prima generazione e quelli della seconda, evitando di ridurre i Sofisti ad un
blocco unico, riassumibile in uno stesso giudizio di condanna.
Tale approfondimento critico ha reso questi “enfants terribles” della
filosofia greca storicamente più “veri”, più interessanti
e provocatoriamente “attuali”.
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RIFLESSIONE PERSONALE - 1 –
Il Relativismo etico
Nell’anno 1936, per la prima volta e a firma Guido Calogero, fine intellettuale e
filosofo morto nel 1986, il lemma relativismo compare nel XXIX volume
dell’Enciclopedia italiana. La definizione è: Termine filosofico, designante in
generale ogni concezione che considera la conoscenza come incapace di
attingere la realtà nella sua assolutezza oggettiva.
Nel campo etico, il relativismo non ammette che ci siano
leggi, norme e valori morali validi sempre, senza se e senza ma,
in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni circostanza.
Il relativismo afferma che i valori etici non hanno carattere di assolutezza e di
immutabilità, ma sono “relativi” all’evoluzione storica delle idee e delle culture.
Tali valori possono cambiare e anche perdere ogni validità attraverso:
- il mutare dei tempi e delle condizioni di vita;
- il mutare delle idee e dei modi di comprendere il senso e il fine della vita;
- le nuove acquisizioni scientifiche e tecniche.
Il progresso della scienza apre infatti vie nuove al progresso umano, migliora la
vita fisica e psichica delle persone e risponde ai bisogni sempre crescenti delle
moderne società complesse che non possono più vivere secondo le norme morali
adatte alle società agricole del passato.
Così le vecchie norme morali e i vecchi valori etici possono, anzi oggi devono,
essere sostituiti da nuove norme morali e da nuovi codici e valori etici, alternativi
ad essi.
Per il relativismo etico:
I valori etici non hanno un fondamento oggettivo e una base
stabile, e perciò sono soggetti al variare dei tempi, dei luoghi,
delle culture e dei modi di sentire e di pensare, sono quindi
“relativi”, cioè sono quelli che le persone e le società
liberamente si danno in piena autonomia.
mario cina – padova - 2013
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RIFLESSIONE PERSONALE - 2 –
La filosofia dell’immanenza
Alla radice del relativismo moderno c’è la filosofia dell’immanenza, secondo la
quale tutto è nell’uomo, nella sua storia e nel suo mondo e niente è al di fuori
dell’uomo (niente trascende l’uomo).
Per il filosofo pre-socratico Protagora “L’uomo è la misura di tutte le cose”. La
filosofia del Novecento ha interpretato la parola "uomo" con "comunità" (o civiltà)
e con "cose" i valori, o gli ideali, che ne sono fondamento: è solo l’uomo,
quindi, che giudica e decide i valori della società di cui fa parte.
Non esiste nulla che “trascenda”, che superi, l’uomo e il mondo.
La filosofia dell’immanenza, affermando che tutto è nell’uomo, nega che nel
pensiero ci sia una verità trascendente (al di fuori dell’uomo) e quindi che ci
possa essere un bene assoluto da riconoscere e a cui si debba aderire.
Afferma invece che la sapienza dell’uomo è dentro l’uomo e ogni conoscenza è
una “rappresentazione mentale” immanente e dunque soggettiva.
Inoltre nel campo dell’agire morale è l’uomo che nella sua sovrana indipendenza
determina i beni da perseguire e i valori da attuare.
L’uomo stesso è arbitro e misura ultima del bene e del male,
di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto.
L’uomo in quanto individuo decide per quanto riguarda la sua vita e la sua
attività di privato cittadino, e l’uomo in quanto cittadino facente parte di una
comunità politica, di un popolo, decide per quanto riguarda il bene comune della
comunità stessa. La conseguenza logica è che
Il relativismo moderno, confinato nell’uomo, è radicalmente ateo.
Per il relativismo etico esistono soltanto “opinioni” soggettive, non “verità” né
“certezze” obiettive, e quindi queste non possono imporsi a tutti.
Il Relativismo mette in primo piano la libertà umana, come ciò che propriamente
costituisce l’uomo, per cui questi non è legato da nessuna norma morale che a lui
si imponga dall’esterno del proprio io - ad esempio, da Dio e dalla Chiesa - ma è
“libero” di fare quello che vuole, con l’unico limite di non fare danno agli altri e di
non impedire agli altri di fare quello che essi vogliono o ritengono necessario e
utile al proprio benessere o al libero svolgimento della propria attività.
mario cina – padova - 2013
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RIFLESSIONE PERSONALE - 3 –
Chi decide il valore morale
In una società democratica, fondata sul relativismo etico, chi dovrebbe
determinare ciò che è giusto o sbagliato?
In un paese democratico, e quindi tollerante, non c’è dubbio che la decisione
spetti alla maggioranza del popolo che, periodicamente, si alterna a seguito di
libere elezioni.
Se in un dato momento la maggioranza delle opinioni personali tra i cittadini
elettori di una comunità, di un paese, di una nazione dovesse ritenere che ... il
cannibalismo, ... la pedofilia, ... l’eutanasia, ... la poligamia, ... la tortura, ... lo
stupro, ... l’aborto, ... l’olocausto, ... fossero un bene per la società, o fossero
comunque accettabili in nome di un superiore interesse generale, allora queste
pratiche diverrebbero vigenti e attuate in quella società.
Cosa si potrebbe logicamente opporre?
In una società permeata di relativismo etico parlare di “sempre
sbagliato” sarebbe un errore logico perché tutto dipende
inevitabilmente ed esclusivamente dalle credenze
del popolo di quel dato momento e in quelle date
circostanze e potremo quindi legittimamente
affermare, ad esempio, che
la pedofilia non sempre è sbagliata.
Nel campo del Relativismo etico “sempre” è un avverbio di troppo.
Per dirla con lo scrittore non credente Samuel Butler (1835-1902):
“La moralità è il costume del proprio paese e l’attuale sensazione dei propri
coetanei.
Il cannibalismo è morale in un paese cannibalista”.
Se non c’è nessun Altro a cui fare appello, allora non esiste nulla di giusto o
sbagliato in modo oggettivo e ad esempio l’abuso di bambini, dunque, non può
essere considerato sbagliato in modo definitivo, ma dipenderà sempre
dall’opinione che la maggioranza della società, in un preciso momento storico e
in particolari, limitate e circoscritte condizioni (il politicamente corretto impone di
dire così), ha espresso con un libero referendum.
mario cina – padova - 2013
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RIFLESSIONE PERSONALE - 4 –
Democrazia e relativismo etico
In base a che cosa posso dire all’assassino, allo stupratore, al pedofilo, al
nazista, al cannibale che le loro azioni sono sbagliate? Posso dire che sbagliano
sol perché io la penso diversamente da loro, perché la mia è un’opinione
personale? Che diritto avrei di imporre la mia opinione personale di condanna al
nazista? Lui mi risponderebbe, legittimamente, che i suoi valori morali sono
diversi dai miei e prevedono, impongono e giustificano l’olocausto. E poiché le
opinioni sono personali il mio parere vale quanto il suo, mi ricorderebbe che i
valori morali sono soggettivi e che in ogni caso la maggioranza vince.
Una democrazia fondata sul relativismo etico, inteso come apertura e accoglienza
acritica di tutte le opinioni, rischia di far scomparire ogni confine morale nel
Potere.
Il relativismo è spesso presentato come necessario, in quanto atteggiamento
autenticamente democratico che consente di accogliere di buon grado tutte le
opinioni e di adeguarsi con velocità ai cambiamenti sociali. Nella visione
relativista, infatti, la democrazia è concepita come mero strumento, idoneo a
fissare le regole del gioco, cioè del confronto (e talora dello scontro) tra culture e
interessi, e a garantire, nel contempo, la pace sociale.
Non essendo riconosciuta a priori alcuna verità, come unico criterio
pratico di discernimento dei valori si assume la maggioranza come
regola aurea, al di là del bene e del male. Ogni scelta che riesca ad
avere il consenso dei più diventa, per ciò stesso, vincolante per tutti.
Se non esistono valori in grado di offrire un fondamento razionale e di porre un
limite, anche giuridico, alle decisioni della maggioranza, scompare ogni confine
morale al potere della maggioranza fino a ritenere inesistente un criterio
oggettivo e universale a fondamento della corretta gerarchia dei valori.
L'alleanza fra democrazia e relativismo etico toglie alla convivenza
civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più
radicalmente, del riconoscimento della verità.
Un’autentica democrazia si giustifica, e rivela il suo valore, nella
misura in cui consente la libera ricerca della verità, il confronto delle
opinioni, la correzione delle decisioni che si rivelano sbagliate.
mario cina – padova - 2013
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RIFLESSIONE PERSONALE - 5 -
Morale e selezione naturale
Quando si confrontano i valori dell’ateismo e i valori religiosi si deve rimanere nel
campo della razionalità e non dei singoli comportamenti.
Infatti è verissimo che esistono dei non cristiani, non credenti, laici, atei
(chiamiamoli come vogliamo), non solo nei paesi cristiani ma anche in quelli non
cristiani, che sono migliori dei credenti in Cristo.
Costoro vivono la “legge naturale”, che Dio ha messo nel cuore di ogni uomo,
sono docili alla voce dello Spirito “che soffia dove vuole”, più di molti battezzati
credenti e magari anche praticanti.
Ma questo non vuol dire nulla. Qui si parla di una legge morale codificata e valida
per tutti e in tutti i tempi, non della situazione personale di alcune o molte
persone.
Michael Ruse, zoologo e professore di filosofia presso la Florida State University,
ateo convinto e dichiarato, ha detto che la pedofilia è immorale e questa è una
verità oggettiva e non soggettiva.
“La mia posizione è che la biologia evolutiva pone su di noi alcuni assoluti. Si
tratta di adattamenti proposti dalla selezione naturale.”
“La morale allora non è una cosa tramandata a Mosè sul monte Sinai. E’ qualcosa
forgiata nella lotta per l’esistenza e la riproduzione, qualcosa modellato dalla
selezione naturale”.
Ma se anche fosse che oggi esistessero valori oggettivi derivati dalla selezione
naturale, come ad esempio la condanna della pedofilia, con lo stesso criterio
dell’evoluzione perché dovremmo escludere che domani, magari tra centomila
anni, la pedofilia non venga accettata? Sempre di evoluzione si tratta, o no?
Non essendoci nulla di prescritto, di tramandato da Dio agli uomini
attraverso una rivelazione, arrivando integralmente dalla selezione
naturale, il fatto che una cosa sia giusta o sbagliata, dunque, è
puramente una scelta emozionale del momento. L’unica cosa
che rende sbagliata una crudeltà sterminata è il fatto che
ora quella cosa sia personalmente spiacevole (e domani?).
mario cina – padova - 2013
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RIFLESSIONE PERSONALE - 6 -
La visione atea del mondo
Nella visione atea del mondo l’essere umano non è nient’altro che un primate
dalla posizione eretta, e i sistemi di valori hanno un significato identico a quello
degli abitanti della giungla. Immaginare che l’uomo sia qualcosa di più è quasi
una bestemmia per l’apparato culturale riduzionista-neodarwinista. L’amoralità
degli atei (ovvero l’impossibilità ad affermare qualcosa come perennemente
giusto o perennemente sbagliato, ma sempre relativo) si trasforma in una forma
di debolezza sociale nel contrastare i terribili mali che attanagliano la nostra
società. Il ”relativismo morale” infatti può gettare le basi filosofiche, ad
esempio, per aprire la strada all’accettazione e all’approvazione della pedofilia (e
altro).
È assiomatico dire che in una società atea non vi è qualcosa di
morale o di immorale, ma solo l’amoralità.
Nella comunità atea la morale è un termine utilizzato per descrivere il sistema
che un individuo (o una società di individui) preferisce soggettivamente. I
valori dunque non sono altro che riflessi delle preferenze soggettive
prevalenti, i quali ovviamente si adatteranno alle mutevoli esigenze. Non c’è
nulla di perennemente giusto o perennemente sbagliato.
Secondo il neodarwinista ateo Jerry Coyne in una visione atea della vita, non
può esservi nulla di intrinsecamente sbagliato, non è oggettivamente
sbagliata la pedofilia come non lo è qualsiasi altra cosa. La “morale laica” si basa
sulle preferenze personali del momento della società: oggi la pedofilia è
sbagliata, ma non è detto lo debba essere sempre. Dipenderà dai gusti che
avremo domani e dalla capacità della “società” (movimenti politici, intellettuali,
stampa, TV, cinema, ...) di condizionarci.
In una società che ha espulso Dio, una società radicalmente laica, è
implicito l’assenza di valori morali. Secondo Joel Marks, professore emerito
di filosofia presso l’University of New Haven “Anche se parole come “peccato” e
“male” vengono usate abitualmente nel descrivere per esempio le molestie su
bambini, esse però non dicono nulla ...”. Il ragionamento pare coerente: senza
un’Autorità Superiore, nulla è giusto e sbagliato. Dipende dall’opinione
sociale, dai media. L’opposizione alla pedofilia, ha continuato il filosofo non
credente, si basa solo su una sorta di preferenza: oggi preferisco così ma domani
sono libero di cambiare idea. Così è!
mario cina – padova - 2013
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RIFLESSIONE PERSONALE - 7 -
I valori oggettivi
Chiediamoci se oggi, per come si è evoluta la nostra società, esistano valori
morali oggettivi ossia validi a prescindere, valori validi senza se e senza ma, in
una parola se esistono valori morali sempre validi.
Affermare che l’omicidio è sempre sbagliato, lo stupro è sempre sbagliato,
torturare i figli è sempre sbagliato, la pedofilia è sempre sbagliata ecc.,
significa dichiarare valori morali oggettivi.
Diremmo forse che questi giudizi di condanna totale di omicidio, stupro, tortura,
pedofilia, sono opinioni personali?
Diremmo che lo stupro non è sempre sbagliato ma dipende da fatti e
circostanze?
Diremmo che la pedofilia non è sempre sbagliata ma dipende da fatti e
circostanze?
Un valore morale è ritenuto oggettivo quando rappresenta una verità
che si ritiene indiscutibile ovvero non negoziabile e la mia
conclusione è che sì, nella nostra società esistono valori
morali oggettivi, valori che valgono
sempre in ogni circostanza, tutte incluse, nessuna esclusa.
Quando non esistono valori morali oggettivi subentra il relativismo etico
e tutte le ignominie sono possibili e moralmente accettabili.
In una società relativista se io e il nazista manifestiamo valori morali diversi che
godono entrambi degli stessi diritti di cittadinanza, non è possibile definire un
valore giusto o sbagliato.
In tali circostanze sarebbe invece possibile definire soltanto un valore valido,
valido in quanto deciso come tale dalla maggioranza del momento. Nella società
relativista non esiste la moralità assoluta ma quella relativa a quel momento.
Affinché i miei valori siano sempre validi e quelli del nazista dichiarati sempre
fuorilegge occorre necessariamente un Giudice terzo che non cambia idea come
il popolo che, nel tempo e democraticamente, ha il diritto di cambiare opinione.
mario cina – padova - 2013
28
RIFLESSIONE PERSONALE - 8 -
Il Dio dei cristiani
Ma chi potrebbe essere il Giudice terzo che impone i suo volere all’umanità?
Potrebbe mai essere un uomo, o una comunità di uomini, dal momento che tutti
gli uomini sono uguali? Come potrebbero, il singolo o la comunità, esprimere
valori assoluti? Da cosa deriverebbe la loro autorità sugli altri uomini se sono
uomini anch’essi?
Per dare valori assoluti è necessario che questa Autorità sia al di fuori, anzi al di
sopra, degli uomini e al si sopra degli uomini si pone soltanto Dio.
Chi non crede in Dio può certamente vivere una vita etica o morale (lo abbiamo
già detto), ma senza Dio non ci può essere un valido fondamento logico su cui
basare i valori morali oggettivi.
Non a caso il grande laico Norberto Bobbio affermava: La morale razionale che
noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole (nel
senso che è priva di logica perché fondata sulla supremazia di un’opinione
sull’altra).
In genere si pensa che basti appellarsi alla coscienza per avere sufficienti
motivazioni per la moralità. La Chiesa dice che bisogna agire secondo
coscienza, ma la coscienza illuminata dalla Fede e dalla Parola di Dio, di
quel Dio che si è fatto uomo, non la coscienza personale di ciascuno.
L’uomo non può essere norma e giudice di se stesso, sopra di lui c’è il Creatore.
La “morale laica” non ha altro chiodo a cui attaccarsi che la coscienza personale e
il consenso popolare a una certa norma o comportamento.
Abbiamo compiuto un lungo percorso e penso che siamo arrivati a due importanti
conclusioni logiche:
1) Nella morale atea non possono esistere valori oggettivi ma solo soggettivi;
2) I valori morali oggettivi però esistono.
Se esistono i valori morali oggettivi, logica vuole che
deve esistere un Dio;
Chi non crede in Dio non ha un fondamento logico per i suoi valori
morali (e questo, ripetiamo, non significa che non ne possiede!).