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San Cataldo. Il reparto è un fiore all'occhiello dell'Asp Curare gli "inguaribili" la mission dell' Hospice «La nostra cura comprende anche gli aspetti psicologici» L´equipe dell´Hospice del presidio ospedaliero «Maddalena Raimondi» San Cataldo. Curare gli inguaribili: è
questa la missione dell'Hospice di San Cataldo. Il reparto diretto dal dott. Giuseppe Mulè, all'ospedale
"Maddalena Raimondi" è diventato un punto di riferimento per centinaia di famiglie. "Non esistono malati
incurabili - spiega il dott. Mulè - in quanto, anche i malati inguaribili possono e devono essere curati fino
all'ultimo giorno della loro vita. La cura non si limita alla malattia ma comprende anche gli aspetti psicologici e
religiosi". Il reparto è un fiore all'occhiello della sanità nissena e riceve continui apprezzamenti da parte degli
utenti e dei familiari, come è testimoniato dalle numerose lettere che pervengono alla nostra redazione. All'
Hospice lavorano tre medici: oltre al primario dott. Mulè, anche i dottori Fabio Naro e Rosario Paradiso
(quest'ultimo assegnato da poco). Il capo sala è l'infermiere Pio Alcamisi mentre il coordinatore dell'Unità
valutazione cure palliative, che si occupa dei pazienti esterni, è l'infermiere Calogero Di Prima. L'equipe del
reparto è completata da tre infermieri di ruolo e uno incaricato ed è integrato dagli infermieri del territorio
appositamente formati, dalla logopedista dott. Luana Naro e da diversi fisioterapisti del territorio. L'assistente
spirituale del nosocomio è padre Falletta. Il reparto è dotato di 8 posti letto a cui, dall'inizio dell'anno, si sono
aggiunti due posti di Day Hospice (DH), così come è avvenuto anche nel reparto gemello che ha sede a
Gela. L'Hospice nel corso dello scorso anno, ha gestito 112 ricoveri e quasi 500 pazienti a domicilio, grazie a
una cooperativa convenzionata dotata di 40 infermieri. Si occupa per il 90% di pazienti oncologici e per il
restante 10% malati di pazienti neurologici terminali come i malati di Sla. "Grazie ai posti di DH - continua il
dott. Mulè - adesso possiamo assicurare anche le prestazioni che si esauriscono nell'arco di una giornata
come le trasfusioni di sangue, il cateterismo venoso centrale con tecnica ecoguidata, la paracentesi ed altre. I
posti in reparto sono quasi sempre occupati ma cerchiamo di sopperire privilegiando l'assistenza domiciliare i
cui pazienti, lo scorso anno, si sono triplicati rispetto al precedente". Il reparto si occupa dell'assistenza
domiciliare dei pazienti che vivono della parte nord della provincia. "Ci occupiamo - spiega il dott. Fabio Naro,
anestesista - anche di terapia del dolore: non solo quello oncologico ma anche il dolore difficilmente trattabile
determinato da lombalgie, sciatalgie, ecc. Spesso i medici di famiglia ci indirizzano i loro pazienti più critici.
Contiamo di poter aprire presto un ambulatorio dedicato alla terapia del dolore". Il dott. Naro, oltre all'impegno
nell'hospice, svolge anche le funzioni di anestesista per le eventuali necessità degli altri reparti e servizi
presenti nell'ospedale (endoscopia, radiologia, ecc.). "Sono nel reparto da poche settimane - continua il dott.
Paradiso - dopo diversi anni di servizio nel Pronto soccorso. Ho trovato un ambiente di lavoro sereno sia in
reparto che tra i pazienti che seguo al loro domicilio: aiutare le persone è sempre gratificante". "L'assistenza a
domicilio - afferma l'infermiere Di Prima - è un servizio che stiamo cercando di potenziare per consentire ai
pazienti di rimanere a casa usufruendo di cure adeguate. E' un lavoro che mi appassiona, che svolgo da molti
anni in quanto ho iniziato la mia attività professionale come operatore della Samot". "Quello su cui puntiamo -
conclude il dott. Mulè - è il rafforzamento della collaborazione con i medici di famiglia e dell'integrazione delle
cure fornite dal nostro servizio con quelle del medico di medicina generale a vantaggio del paziente
terminale". Valerio Cimino 07/02/2015
07/02/2015 30Pag. La Sicilia - Ed. caltanissetta(diffusione:64550, tiratura:80914)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 17
La ricerca Pro e contro Dolore cronico, cannabis più efficace degli oppioidi Riscontri positivi in patologie come mal di schiena emicrania e artrite E si evita il rischio di creare dipendenza giovaNNa tomaselli La cannabis allevia il dolore cronico in modo più efficace dei farmaci oppioidi comunemente prescritti, che
hanno un alto rischio di creare dipendenza e causare overdosi accidentali. È quanto sostengono i ricercatori
del Centro nazionale australiano sui farmaci e alcol e dell'università di Melbourne, guidati da Louisa
Degenhardt, in uno studio pubblicato sulla rivista Drug and Alcohol Dependence IL CAMPIONE Nella ricerca
sono stati coinvolti 1500 pazienti, tra i 40 e 50 anni d'età, con problemi di mal di schiena, emicrania e artrite
cronica, a cui erano stati prescritti farmaci oppioidi come morfina e ossicodone. E si è scoperto che circa il
13% dei pazienti aveva usato nell'ultimo anno la cannabis, che è illegale, in cima ai farmaci prescritti, contro il
4,7% del resto della popolazione. "Uno su tre dice di averla trovata molto efficace per dare sollievo al dolore,
con un punteggio di 10 su 10 - spiega Degenhardt - Si tratta di punteggi soggettivi, che però dimostrano che
ci sono delle persone che ritengono molto efficace assumere cannabis''. NUOVE FRONTIERE Secondo un
altro studio, effettua to sui topi e pubblicato da Neurobiology of Disease, condotto da Roberto Di Maio,
ricercatore italiano che lavora all'università di Pittsburgh grazie a una borsa della Fondazione Rimed di
Palermo, la cannabis terapeutica potrebbe avere effetto pure nella prevenzio ne dell'epilessia. Lo studio infatti
sembra dimostrare che il potenziale anti epilettogenico dei cannabinoidi si espleti attraverso il recupero delle
disfunzioni neuronali.
07/02/2015 11Pag. La Notizia Giornale
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 20
Cannabis terapeutica, Puglia al via senza autorizzazione. «Lo Stato ci halasciati soli» Sociale primo piano Hanno deciso di piantarla, di coltivarla e di assumerla. Anche senza autorizzazione dello Stato italiano.
Perché sono stanchi di aspettare, di attendere che un loro diritto venga riconosciuto. Perché la cannabis
usata per scopi terapeutici allevia le sofferenze. Lo ha riconosciuto all'unanimità anche il Consiglio regionale
pugliese che lo scorso anno ha detto «sì» alla coltivazione e alla produzione dei farmaci a base di
cannabinoidi in terra di Puglia. Lo sanno bene soprattutto le persone affette da patologie per le quali le cure
con il cosiddetto "farmaco verde" risultano efficaci. Malattie come sclerosi multipla, cancro, dolore cronico,
sclerosi laterale amiotrofica, Parkinson, glaucoma e tante altre. Per loro si batte l'associazione
"LapianTiamo", nata nel 2013 grazie alla tenacia di Andrea Trisciuoglio e Lucia Spiri, due ragazzi affetti
entrambi da sclerosi multipla, che sognano di realizzare il primo Cannabis Social Club italiano. Ma perché il
sogno si concretizzi occorre che lo Stato dia attuazione all'approvazione della legge pugliese. Per questo,
Andrea Trisciuoglio ribadisce con forza, nel corso di un incontro svoltosi a Foggia, che «tempo fa abbiamo
dato un ultimatium alle istituzioni politiche: entro il 31 dicembre 2014 o ci autorizzate o ci autorizziamo da
soli».Mancano le autorizzazioni nazionaliE la data indicata è ormai scaduta da un mese. Ed allora, volontari
ed attivisti dell'associazione "LapianTiamo", sostenuti dai parenti delle persone che ogni giorno convivono
con le malattie, fanno sentire la loro voce. «Chiediamo allo Stato italiano di prendere in considerazione
quanto adottato dalla Regione Puglia, perché ad oggi mancano le autorizzazioni nazionali all'approvazione
della Legge» ricorda Trisciuoglio, che da nove anni fa i conti con la Sla. Ma proprio nella sofferenza, nella
malattia, trova la forza di reagire e di offrire l'opportunità di una vita migliore a quanti si trovano nelle sue
stesse condizioni. Anche perché l'accesso ai medicinali a base di inflorescenze di canapa, come il Bedrocan,
richiede costi troppo elevati, in quanto importanti dall'estero, ed in particolare dall'Olanda. Basti pensare, che
un grammo al giorno può costare dai 35 ai 37 euro, con costi che superano i 12mila euro l'anno a seconda
del dosaggio necessario. Non solo. Troppo spesso i medici non firmano la prescrizione o se c'è estenuanti
iter burocratici e difficoltà delle farmacie a fornire il medicinale, rallentano la cura dei pazienti. Ed allora non
rimane che una soluzione. «Importare i farmaci dall'Olanda, con spese sanitarie altissime, al mercato nero
dagli spacciatori, o coltivando marijuana, ben consapevoli che in Italia è illegale».Il progetto pilotaDi qui, l'idea
del «progetto pilota che abbiamo presentato alla Regione per coltivare in Puglia cannabis a uso medicale. Un
progetto - evidenzia Trisciuoglio - che può far calare il costo del grammaggio per l'uso della cannabis
terapeutica, garantendo un risparmio economico per il sistema sanitario e una migliorare la qualità della vita
per quanti affetti da dolore cronico o neuropatico». Idea che è piaciuta anche alla Regione Puglia, tanto che
nel mese di luglio dello scorso anno ha approvato la Legge dedicata che dà il via libera a sperimentazione di
progetti pilota per la produzione di cannabis ad uso teraputico.«Ed io mi curo dallo spacciatore»«Stiamo
attendendo la delibera per la centralizzazione degli acquisti per fornire il sistema sanitario pugliese di prodotti
che in questo momento vengono acquistate dall'estero - . Il progetto pilota può essere affidato o allo
stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze o ad altro soggetto autorizzato dall'Agenzia Nazionale
del Farmaco alla produzione di cannabis ad uso terapeutico. Ed è quello che stiamo cercando di fare:
costruire una società che avvii il percorso autorizzativo ai fini della produzione». Insomma, per promotori de
"LapianTiamo" con l'attivazione del progetto sarà possibile coltivare in Puglia cannabis garantendo un prezzo
contenuto, e sarà più agevole l'approvvigionamento del farmaco verde su prescrizione terapeutica. La
speranza, dunque, è che il progetto parta al più presto, perché come ricorda Savino Ivano Romagnuolo, vice-
presidente dell'associazione Viva la Vita Italia, a cui la Sla nel giro di quasi due anni ha ridotto al minino le
capacità motorie «il tempo dei malati non è, né può essere quello della politica. Urgono provvedimenti
immediati ed efficaci. Alla politica, al Governo, alle istituzioni chiedo una riflessione: andate a casa dei malati
07/02/201511:46
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 31
che assumono marijuana, guardateli, vedete come stanno, ascoltate le loro storie. Poi fatemi sapere per
quale motivo io dovrei andare dallo spacciatore per curarmi».@CorriereSociale
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 32
Cure palliative , la nuova sfida guarda ai bambini L'obiettivo: una rete diffusa sul territorio come per gli adultiIn aumento i pazienti in età pediatrica bisognosi del servizio Cure palliative , la nuova sfida guarda ai bambini Cure palliative,
la nuova sfida
guarda ai bambini
L'obiettivo: una rete diffusa sul territorio come per gli adulti
In aumento i pazienti in età pediatrica bisognosi del servizio
di Gianfranco Piccoli wRIVA Sono un centinaio i bambini in Trentino (il dato è presuntivo) che avrebbero
diritto alle cure palliative pediatriche. L'uso del condizionale è d'obbligo, perché il diritto garantito dalla legge
38 del 2010 è ancora lontano dall'essere compiuto, a differenza di quanto è stato fatto invece per gli adulti,
che possono già godere di un'ampia copertura sul territorio. Negli ultimi anni il Trentino ha però fatto
importanti passi avanti, con l'apertura dell'ambulatorio per le cure palliative pediatriche a Rovereto nell'agosto
del 2013 (120 visite solo nei primi mesi) e l'avvio, recentissimo, dei corsi di formazioni per chi deve operare
sul territorio in questo delicato settore. Un altro significativo tassello di questo mosaico arriverà con l'accordo
di collaborazione, in fase di definizione proprio in questi mesi, con il centro specialistico di Padova, una realtà
avviata qualche anno fa da Franca Benini, medico trentino (originario di Tenno) responsabile per la Regione
Veneto del Centro per la terapia del dolore e cure palliative pediatriche e fondatrice del primo (e unico)
hospice pediatrico italiano. L'avvio della rete per le cure palliative dedicate ai bambini è stato il tema al centro
del convegno organizzato nella Sala della Comunità dell'Alto Garda e Ledro a Riva, un'occasione in cui per la
prima volta tutti i soggetti interessati si sono trovati insieme attorno ad un tavolo. Oltre a Franca Benini e
all'assessora Donata Borgonovo Re, erano presenti Eugenio Gabardi, direttore generale dell'Azienda
sanitaria, il dottor Ermanno Baldo, dirigente del reparto di pediatria dell'ospedale di Rovereto, il dottor Gino
Gobber, dirigente dell'unità cure palliative dell'Azienda sanitaria, il dottor Giampaolo Albertini, di "No pain for
children", ed Erika Pederzolli, mamma di Maria. Proprio la vicenda di Maria, uccisa da un tumore a soli tre
anni e mezzo lo scorso maggio, è stata ispiratrice della serata. Il convegno si è mosso tra i "freddi" numeri del
problema (sino ad oggi in gran parte assorbito dalla neuropsichiatria infantile) e l'emozione delle
testimonianze. Con in sottofondo il paradossale ritardo con cui si è arrivati alla consapevolezza dell'esistenza
del bisogno delle cure palliative per i bambini, un ritardo figlio del senso di "inaccettabile" che il dolore dei
bambini e la morte di questi produce nella società. Arrivando - ha detto Franca Benini - anche alla negazione
del problema. La stessa Benini ha sottolineato come i bambini, sin da piccoli, siano consapevoli della malattia
e della vicinanza della morte, con domande, anche di tipo esistenziale, non diverse da quelle degli adulti. Di
certo c'è che in futuro le cure palliative pediatriche saranno un servizio sempre più richiesto, anche alla luce
delle nuove tecniche mediche che permettono la sopravvivenza di bambini un tempo destinati rapidamente
alla morte (si pensi solo ai prematuri). Un tema, quest'ultimo, che investe anche gli aspetti etici della
professione medica: "fino a che punto è giusto spingersi?" la domanda, per ora resta senza risposta, mentre
è impellente la cura di chi sopravvive. La missione delle cure palliative pediatriche è chiara: una risposta
multidisciplinare alla malattia cronica (e solo in parte destinata ai malati terminali), finalizzata alla drastica
riduzione dell'ospedalizzazione per consentire per quanto possibile ai bambini la permanenza tra le mura
domestiche, una vita relazionale soddisfacente e senza dolore. Una ricerca di "normalità" che vuole garantire
qualità della vita non solo ai bambini, ma anche ai genitori, che altrimenti rischiano di fronte alla malattia del
figlio non solo la frantumazione della relazione di coppia, ma anche problemi sul lavoro (una risposta
adeguata - un dato riportato da Franca Benini - permette al 78% delle madri il rientro al lavoro). Per poter
garantire tutto questo, 24 ore al giorno, serve una rete articolata e preparata sul territorio, un percorso che
richiederà la partecipazione di tutti i soggetti interessati («I pediatri sono il centro di questa rete», ha detto
Baldo) e preparazione specialistica: «La medicina non si misura in chili, i bambini hanno esigenze
08/02/2015 1.17Pag. Il Trentino(diffusione:38580, tiratura:292000)
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completamente diverse dagli adulti», ha detto Benini. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 14
«Le risorse ci sono, vanno ottimizzate» franca benini «Le risorse ci sono, vanno ottimizzate» «Le risorse ci sono, vanno ottimizzate»
franca benini
«Nessuno ha la bacchetta magica per trovare soluzioni». Così Franca Benini, pioniere delle cure palliative
pediatriche (un percorso iniziato 30 anni fa in Veneto), ha aperto il suo intervento. La dottoressa ha
sottolineato da una parte la difficoltà per il personale sanitario a vivere a stretto contatto con questa realtà (le
reazioni vanno dalla medicalizzazione estrema all'indifferenza, fino al coinvolgimento eccessivo), dall'altra ha
spiegato come le cure palliative non siano destinate a persone che muoiono, ma a persone inguaribili che
vivono. Una differenza tutt'altro che scontata. "Dobbiamo anche cambiare il concetto di insuccesso - ha
aggiunto Franca Benini - l'insuccesso in medicina non è la morte, ma una cura fatta male". La risposta ai
bisogni del bambino - ha continuato la dottoressa - non può arrivare da una singola persona, ma è una
risposta di gruppo: "Le risorse sul territorio già ci sono, ma vanno messe in rete e ottimizzate. L'ospedale - ha
proseguito - deve essere la risposta solamente alla fase acuta". Qual è dunque la vera sfida di oggi?
"Intercettare i bambini che necessitano delle cure palliative pediatriche, oggi sono meno del 5% di chi he ha
diritto». Da parte sua l'assessora Borgonovo Re ha garantito la regia della Provincia («che ha una visione
d'insieme») e le risorse: «Non ce ne sono meno di prima, ma vanno usate con più attenzione».
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Il futuro delle cure palliative pediatriche in Trentino. Qui la mortalità resta la più bassa d'Italia, ma non bastaIL CONVEGNO «Restare bambini fino all'ultima ora, con le cure a casa» GIORGIA ZAMBONI Una rete pediatrica per le cure palliative in Trentino che abbia come fine quello di
assistere il paziente a casa sua nella normalità dei ritmi familiari e scolastici, con attenzione alla qualità della
vita, che per un bambino, si sa, corrisponde al tornare ad essere tale nonostante la malattia. Questo
l'impegno che si sta profilando in regione a proposito del delicato tema delle cure palliative pediatriche: parole
scomode perché riguardano un fatto non accettabile, la morte di un bambino. Nel nostro paese sono 30 mila i
bimbi colpiti da una malattia inguaribile o terminale che necessitano delle cure palliative pediatriche regolate
dalla legge 38 del 2010, e se si considera l'impatto emotivo su famiglia e amici (300 persone coinvolte per
bambino) il problema riguarda 9 milioni di persone in Italia. Come affrontare una problematica così delicata e
in aumento è stato argomento di discussone alla sala della comunità di Riva durante l'incontro «Il dolore dei
bambini: cure palliative pediatriche», organizzato dalla Comunità di valle e dal Comune di Tenno, cui hanno
partecipato l'assessore provinciale alla salute Donata Borgonovo Re, il direttore sanitario dell'Apss Eugenio
Gabardi, il direttore dell'Unità operativa pediatrica dell'ospedale di Rovereto Ermanno Baldo, Gino Gobber,
direttore dell'Unità operativa Cure palliative dell'Apss, Giampaolo Albertini per «No pain for children Onlus»
ed Erika Pederzolli, mamma di Maria, scomparsa pochi mesi fa. Insieme a loro, tennese d'origine, la
dottoressa Franca Benini, responsabile del Centro Regione Veneto terapia del dolore e cure palliative
pediatriche che ha messo subito in luce la difficoltà del tema. «Le cure palliative devono corrispondere a una
risposta di gruppo - ha detto - perché nessuno ha le spalle così grandi ed è così competente da rispondere ai
bisogni delle persone che vivono quella situazione. Inoltre c'è una grossa differenza tra le cure palliative
dell'adulto e quelle pediatriche; non c'è niente di più sbagliato che equipararle visto che è l'età ciò che
condiziona la necessità di risposte specifiche. I bambini oncologici - ha continuato la dottoressa -
rappresentano solo il 20%, il restante 80% è una miscellanea drammatica di patologie: bambini con problemi
neurologici, muscolari, respiratori, cromosomici, tutt'altro che pochi e nell'ultimo decennio è aumentata la
permanenza dei bambini di 10 volte. Perché? Perché fino a 10 anni fa questi bambini morivano, adesso
abbiamo competenze, strumentazioni, tecnologie che fanno vivere e che però ci pongono interrogativi etici».
In accordo con l'assessore Borgonovo Re sulle risorse («Ci sono, sono preziose, vanno rivalutate e
ottimizzate») la pediatra punta sul cambiare la modalità di pensiero, la capacità di lavorare in rete perché i
numeri aumentano e aumenteranno sempre di più: «La prospettiva è che la medicina passerà a domicilio sul
territorio, gli ospedali devono essere focalizzati all'acuto, il malato grande o piccolo che sia ha il diritto di
rimanere a casa». A confermare l'aspetto positivo della deospedalizzazione il dottor Baldo, direttore dell'Unità
operativa pediatrica a Rovereto (in 2 anni 50 bambini): «L'assistenza in ospedale è una massa di lavoro
enorme che non porta all'obbiettivo. Ridurre i ricoveri ci ha permesso di costruire sul territorio l'equipe
assistenziale, in Trentino non si sa quanti abbiano bisogno di cure palliative, i dati sono variabili ma la
mortalità è la più bassa d'Italia». Intanto a Trento sono già attivi i corsi di formazione, aperti anche ai medici di
base, ed è già in atto, lo ha confermato il prof. Gavardi, una collaborazione formalizzata con l'azienda di
Padova per un supporto di consulenza, formazione seguita proprio dalla dottoressa Benini. I giovani coristi
tennesi hanno aperto la serata e a destra i relatori (Salvi)
La specialistaUna risposta di gruppo, nessuno ha spalle così larghe in questi casi dottoressa Franca Benini
08/02/2015 35Pag. L' Adige(diffusione:26515, tiratura:32211)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 16
Pronto un vademecum per evitare brutte sorprese Aifa: si consumanosempre più antidepressivi e oppiacei co; riporre sempre le medicine nella confezione originale, tenendole fuori dalla portata dei bambini; in
presenza di patologie non croniche consultare il medico o farmacista per un corretto dosaggio della cura;
evitare di acquistare più confezioni dello stesso prodotto, se non prescritto per la cura di patologie croniche.
Allarme per i consumi. «Se siamo soddisfatti per la riduzione generale dell'uso di antibiotici, un aspetto
preoccupante e con trend è in crescita è il consumo maggiore di antidepressivi e di oppiacei per la resistenza
al dolore, che mostrano un andamento su cui bisogna lavorare coinvolgendo maggiormente il territorio e
rafforzando le strutture psichiatriche e neurologiche», sono le parole del ministro della Salute, Beatrice
Lorenzin durante il suo intervento alla presentazione del Rapporto Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sui
farmaci del 2014. Sul tema dei vaccini, invece, il Ministro ha ribadito l'importanza della vaccinazione,
soprattutto quella obbligatoria per i bambini, e ha annunciato che presto sarà reso noto un rapporto
dettagliato».
08/02/2015 3Pag. Giornale dell'Umbria
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 22
Medicina Al via entro questo mese la fabbrica militare di cannabis terapeutica Il traguardo Una volta a pieno regime l'impianto preparerà ogni anno 100 chili di sostanza Ruggiero Corcella N essun imbarazzo: «Tutto sommato questo intervento nel settore della cannabis rientra in modo organico e
fisiologico nel quadro delle nostre attività per sopperire alle carenze di medicinali a livello nazionale». Negli
uffici al primo piano della palazzina bianca di via Giuliani, quartiere Rifredi di Firenze, i riflettori dei media
puntati addosso e le polemiche dei mesi scorsi non sembrano impensierire il generale Giocondo Santoni,
direttore dello Stabilimento chimico farmaceutico militare, che fa parte dell' Agenzia industrie difesa (AID).
Dentro la cittadella, la vita scorre tranquilla anche per lo staff di militari e civili dell'unica azienda farmaceutica
dello Stato.
In base all'accordo di collaborazione siglato il 18 settembre scorso, i ministeri della Salute e della Difesa
hanno affidato allo Stabilimento il delicato compito di produrre i 100 chilogrammi di cannabis terapeutica
l'anno stimati come fabbisogno nazionale (56 i chilogrammi importati nel 2014). E gli uomini con le stellette
sono consapevoli di vivere un'occasione irripetibile: «Siamo tutti professionisti dell'ambito chimico-
farmaceutico, ma ovviamente il nostro approccio non è così neutro - ammette il direttore - . È una situazione
decisamente stimolante, anche dal punto di vista culturale e scientifico. L'obbiettivo e l'auspicio è di dare un
esempio di come la pubblica amministrazione funzioni bene e possa diventare addirittura un modello da
esportare».
Conferma il generale Gian Carlo Anselmino, direttore dell'Agenzia industrie difesa: «Lo Stabilimento
farmaceutico militare di Firenze è una vera eccellenza italiana ed è un unicum in campo europeo, non solo
con la produzione dei cosiddetti farmaci orfani o difficilmente reperibili, ma ora anche con il progetto della
cannabis ad uso terapeutico».
Assieme al colonnello Antonio Medica, responsabile della Produzione, e al primo maresciallo Camillo
Borzacchiello, entriamo nel "cuore" dello stabilimento. Comandate da una tastiera a codice, le porte
scorrevoli dell'ingresso si aprono su un lungo corridoio di mattonelle rosse. A metà circa, svoltiamo nel
padiglione della "Sezione Forme Solide, Liquide e Prodotti Industriali". In fondo, una porta a vetri con i
maniglioni antipanico segna il confine della nuova area "riservata" alla coltivazione della canapa. I lavori sono
a buon punto ed entro fine mese dovrebbe essere pronta la serra-pilota.
«Dobbiamo partire con una produzione di tipo sperimentale - spiega il colonnello Medica - . È il primo passo
per completare l'iter autorizzativo e amministrativo previsto». Se ministero della Salute e Agenzia italiana del
farmaco daranno il nullaosta a questo primo nucleo, entro l'estate dovrebbe entrare a regime una serra di 50
metri quadrati. Per raggiungere il traguardo di un quintale di prodotto finito all'anno bisognerà allestire altre
serre e i responsabili dello Stabilimento hanno già pronta un'area di 600 metri quadrati nello stesso
capannone dove fino agli anni 80 si fabbricava sapone.
Il via definitivo? «Secondo me, - calcola il generale Santoni - se parliamo di capacità produttiva complessiva
dovremo aspettare almeno la fine del 2016».
La nuova area produttiva ha già preso forma: porte da laboratorio farmaceutico, con un sistema di
interblocco che consente di aprirne solo una alla volta per evitare l'inquinamento dei locali; spogliatoi per il
personale che dovrà indossare camici, mascherine e guanti. L'intero complesso avrà tutta una serie di sistemi
di sicurezza, di accessi e di controlli. Alla serra potrà accedere solo personale munito di badge, monitorato da
impianti di videosorveglianza.
Come si svolgerà il processo di lavorazione?
«Il ciclo di sviluppo della pianta di cannabis sativa dura mediamente dai 90 ai 110 giorni - spiega Medica - .
Viene fatto il raccolto, tagliando solo la parte che ci interessa, cioè le infiorescenze femminili non fecondate.
08/02/2015 50Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 6
Le infiorescenze sono messe ad asciugare in un essiccatoio, in una stanza dove un impianto di trattamento
immette aria a bassissimo contenuto di umidità. Poi si passa alla fase di lavorazione vera e propria sotto una
cappa a flusso laminare di aria, che garantisce un ambiente sterile. Infine, le infiorescenze vengono macinate
in un box dove sarà montato un mulino. Quindi gli operatori prenderanno il principio attivo ottenuto, lo
peseranno e lo confezioneranno in contenitori da 5 grammi. I flaconi o le bustine saranno etichettate,
conservate in un'area blindata e pronte per la distribuzione».
Lo Stabilimento riceverà gli ordini dalle farmacie e provvederà alla consegna anche tramite distributori
esterni. «Sarà compito del farmacista preparare le dosi - precisa Medica - . Sappiamo che in base al tipo di
patologia sono previsti dosaggi diversi. Ecco perché non possiamo fare il prodotto finito, come è accaduto
altre volte. I quantitativi medi di prodotto essiccato variano dai 20 ai 100 milligrammi al giorno per paziente,
pari a 30-35 grammi l'anno per paziente. Quindi i 100 chili di produzione previsti dal ministero della Salute
dovrebbero essere sufficienti a coprire le prime esigenze».
Quanto costa l'intero progetto? L'Agenzia industrie difesa preferisce non rispondere. «Grazie alla vendita del
prodotto, - dice il generale Santoni - gli investimenti saranno ammortizzati nel giro di pochi anni e potrebbero
essere reinvestiti per sviluppi futuri».
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Fonti: Organizzazione Mondiale della sanità; Ministero della salute; Ass. Luca Coscioni CdS Le possibili
indicazioni dei medicinali a base di cannabis INDICAZIONI STUDIATE CON RISULTATI NON DEFINITIVI
glaucoma traumi cerebrali ictus sindrome di Tourette epilessia artrite reumatoide CAMPI MENO
CONTROVERSI cure palliative terapia del dolore cronico (compreso quello neuropatico da sclerosi multipla)
terapia di supporto contro la nausea e il vomito nella chemioterapia USI IPOTIZZATI MA CON POCHI STUDI
CLINICI per l'asma bronchiale per le malattie auto-immuni nelle sindromi ansioso depressive per ridurre i
dosaggi degli oppiacei pazienti che in Italia potrebbero usufruire della cannabis terapeutica 600-900 mila Le
autorizzazioni all'importazione dall'Olanda preparati a base di cannabis rilasciate nel 2014 dal Ministero della
salute 149 chilogrammi di cannabis terapeutica importati nel 2014 56 Il costo per il preparato importato 30-75
euro al grammo Il costo del preparato se prodotto dallo Stabilimento farmaceutico militare 15 euro al grammo
Il progettoNon solo una risposta
alla carenza
di cannabis terapeutica. All'interno
del Gruppo di lavoro attivo
al ministero della Salute,
i responsabili dello Stabilimento di Firenze hanno proposto di avviare
in parallelo all'attività
di produzione anche un percorso di ricerca clinica. L'idea è di dimostrare con protocolli clinici validi e
standardizzati se esistono
i presupposti scientifici
in grado
di validare l'efficacia delle medicine
a base di cannabis
per alcuni tipi di patologie.
Foto: L'accordo sulla produzione della cannabis terapeutica tra ministeri della Salute e della Difesa
www.salute. gov.it
08/02/2015 50Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 7
Altra impresa a 60 anni Il biologo con il kayak lancia la sfida al Tirreno Parzanica: sul lago prepara il Neptune Challenge che lo porterà da Montecarlo a Porto Empedocle Duemilakm in un mese, per le Cure Palliative claudia mangili Molti, a sentirlo raccontare, scuotono la testa: a 60 anni... Ma lui non ha alcuna intenzione di mollare e non ci
pensa nemmeno ad appendere il kayak al chiodo. Anzi. Dopo il primo «assaggio» nel 2011, quando in canoa
ha messo in tasca il periplo della Sicilia, e dopo che l'anno successivo ha percorso la costa adriatica da
Trieste a Gallipoli, adesso ha deciso che non si poteva lasciare «inviolato» il Mar Tirreno. E così, sempre con
lo stesso obiettivo di spostare un po' più il là l'asticella dei propri limiti, ma anche e soprattutto quello anche
più nobile di sostenere l'Associazione Cure Palliative di Bergamo, Livio Marossi ha deciso che si parte,
ancora una volta: dal 15 luglio al 15 agosto, un mese da trascorrere in mare, a bordo di un kayak scendendo
lo Stivale da Nord a Sud e stavolta sconfinando. Partirà infatti a Monte Carlo il neonato «Neptune Challenge
2015» che porterà il biologo con il kayak a pagaiare per 2.000 chilometri fino a Porto Empedocle, la terra
natale del commissario Montalbano all'estremo sud della Sicilia.
Le tappe forzate dell'allenamento in vista di questa nuova impresa sono già cominciate sul Sebino, dove abita
in riva al lago a Portirone, la frazione di Parzanica con i «piedi» nell'acqua. Il sabato e la domenica è lui il
puntino rosso e giallo che solca il lago a grandi pagaiate, mentre il resto della settimana lo trascorre nei
laboratori del gruppo Bianalisi di Carate Brianza, dove lavora in qualità di biologo.
Il viaggio di quest'estate sarà anche l'occasione per un test sulla tenuta fisica e psichica di Marossi. E per
sfatare i luoghi comuni attorno alla cosiddetta terza età. «Io faccio le cose con giudizio - garantisce -: mi
alleno con costanza, senza sottoporre il fisico a sforzi eccessivi. E non improvviso mai, ma mi preparo a
lungo per queste imprese in cui sarò seguito da un team da terra per qualsiasi problema». In più, le
condizioni fisiche del biologo saranno monitorate costantemente grazie ad appositi sensori e i parametri
saranno a disposizione tramite un'App. I dati serviranno per elaborare modelli dietetici e di integrazione
alimentare, oltre a fornire informazioni scientifiche in ambito farmacologico. Dal 15 luglio al 15 agosto Marossi
sarà in mare lungo la costa tirrenica per 10 ore e una media di 60 km al giorno. Al tramonto lo «sbarco» nelle
varie tappe del viaggio, nelle sedi di leghe navali, circoli velici e yacht club lungo il percorso, dove Marossi
racconterà - brevemente, perché il giorno successivo lo aspettano altre 10 ore in mare - i progetti
dell'Associazione Cure Palliative. Al Neptune Challenge è abbinato anche un simpatico concorso, la «Caccia
al kayakista»: gadget e premi a chi lo «catturerà» con una foto in mare. •
09/02/2015 Eco di Bergamo(diffusione:54521, tiratura:63295)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 10
HOSPICE VIA DELLE STELLE Murales dell'accoglienza Inaugurata l'opera colorata che si propone quale percorso artistico per interagire coi pazienti "L'albero della vita è il simbolo dell'accoglienza e del valore dell'esistenza vissuta assieme e condivisa,
perché il Talento che ognuno possiede diventi dono prezioso per tutti". Recita così la frase scelta dallo staff
dell'Hospice Via delle stelle per presentare l'iniziativa di sensibilizzazione e promozione delle cure palliative
"L'albero della vita". Già nel mese di dicembre dello scorso anno, per avviare il percorso di crescita e
condivisione, è stato piantato l'albero di ulivo nel giardino dell'Hospice. Qualche giorno fa un altro momento
condiviso dai familiari dei pazienti, dai volontari, dagli operatori dell'equipe di cura e da tutti coloro che
seguono con interesse ed affetto la fondazione "Via delle Stelle". Alla presenza di numerosi ospiti è stato
inaugurato il murales "L'albero della vita", realizzato dall'illustratrice reggina Giusy Morabito, che avvolge il
muro d'ingresso ai reparti e che rappresenta un'opera in continuo mutamento. Un albero imponente e
maestoso che, nonostante le sue dimensioni, sembra muoversi delicatamente così da avvolgere con i suoi
rami sinuosi l'intera struttura. «Ringrazio tutte le persone che credono nel nostro lavoro e che ci sostengono
quotidianamente condividendo le proprie passioni e professionalità - spiega il presidente della Fondaziona
'Via delle Stelle' Vincenzo Trapani Lombardo - Le iniziative legate all'albero della vita hanno un significato
profondo perché la vita è alla base di ogni nostra attività. In alcuni momenti del nostro percorso, specialmente
nel momento finale, è molto importante curare la qualità della vita stessa. Abbiamo bisogno, oltre che delle
risorse economiche che scarseggiano, soprattutto dei volontari. In questi giorni stiamo lavorando ad una
rivista trimestrale che presto verrà presentata e pubblicata grazie al supporto di giornalisti e grafici volontari
che prestano il proprio ingegno ed entusiasmo. Siamo convinti - conclude il presidente Trapani - che ciò che
stiamo realizzando all'interno di questa struttura sia un percorso in continua crescita. La nostra forza non è
politica né economica. La nostra forza è solo una: quella delle idee». L'evento di inaugurazione è stato
preceduto dall'esibizione ed intrattenimento musicale a cura di Ludowika Tripodi e Cristina Caridi che ha
ricordato come non a caso «le persone che lavorano all'Hospice vengono chiamate "gli angeli della città". La
forza e l'entusiasmo che trasmettono sono meritori. Prestare il proprio talento ed essere coinvolti in progetti
come quello di oggi mi gratifica e mi onora». L'albero della vita, realizzato dall'illustratrice Giusy Morabito
verrà modificato nel tempo attraverso l'applicazione delle foglie di talento di tutti coloro che vorranno
partecipare alla crescita dell'Hospice. «L'albero della vita creato all'interno dell'Hospice è e sarà un'opera in
continua evoluzione - spiega l'artista Giusy Morabito - Nel dipinto nulla è definitivo. Con l'aiuto degli ospiti e
degli amici della struttura, l'albero crescerà ed evolverà attraverso l'integrazione delle foglie del talento che
arricchiranno la pianta. E' un vero e proprio albero che cresce così come avviene in natura. Ho creato solo la
base di un percorso artistico nel quale i pazienti dovranno interagire». Vincenzo Comi Trapani: «Stiamo
lavorando alla realizzazione di una rivista trimestrale grazie al supporto di giornalisti e grafici volontari»
PUBBLICAZIONE
Foto: L'inaugurazione del murales
09/02/2015 14Pag. Il Garantista - Ed. reggio calabria
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 19
PROFESSIONI UNA NUOVA ALLEANZA ISF-MEDICI DI FAMIGLIA PER IL DOLORECRONICO Mundipharma ha appena attivato una rete di informatori per interloquire con 500 generalisti italiani. L 'amministratore delegato Marco Filippini: "I tempi erano maturi per un passo del genere" Non sarà una "seconda giovinezza" ma di certo è il segnale che la primary care può ancora dire la sua. Dal
mese scorso Mundipharma Pharmaceuticals ha messo in azione una nuova rete di informatori scienti" ci del
farmaco per prendere contatto con 500 medici di medicina generale italiani e favorire la comunicazione sul
buon uso del farmaco oppioide in rapporto al dolore cronico. "I tempi erano maturi per un passo del genere"
spiega Marco Filippini, ad di Mundipharma South Europe, a margine di una recente conferenza stampa
organizzata a Milano dedicata proprio al trattamento del dolore cronico, patologia che sconta ancora gli e^ etti
di una notevole inappropriatezza prescrittiva. Prosegue Filippini: "Dai dati di mercato emerge che a un
leggero decremento dei Fans, non corrisponde un' adeguata crescita degli oppioidi, nonostante le evidenze
cliniche, le note Aifa e i warning speci" ci che le autorità regolatorie hanno comunicato nel 2014. A farne le
spese sono poi i pazienti, condannati a non ricevere cure antalgiche adeguate, a rischiare seri e^ etti avversi
e a convivere, nel quotidiano, con la so^ erenza". A sostegno della nuova strategia aziendale c'è anche un'
indagine che il Centro Studi Mundipharma ha commissionato a Doxa Marketing Advice, presentata proprio a "
ne 2014 e dedicata ai comportamenti del medico di famiglia nella gestione dei pazienti con dolore. "Da tempo
siamo impegnati nel supportare iniziative volte a informare e sensibilizzare clinici e cittadini sul problema
dolore - prosegue Filippini - e con questa nuova survey ci auguriamo di poter contribuire a stimolare
ulteriormente l' attenzione e il coinvolgimento dei medici di famiglia, snodo fondamentale all' interno della rete
territoriale auspicata dalla Legge 38". Dall' indagine risulta che l' 85% del campione (200 mmg in tutta Italia)
dichiara di conoscere la Legge 38 del 2010 e la nota 66 dell' Aifa che evidenzia le controindicazioni dell'
impiego di antin" ammatori non steroidei e Coxib nei pazienti con patologie cardiovascolare. Allo stesso
tempo, i medici di famiglia intervistati mostrano di essere al corrente delle recenti restrizioni sui medicinali che
associano paracetamolo e codeina, il cui impiego è stato limitato a 72 ore. E cresce la loro dimestichezza con
i farmaci oppioidi: il 94%, infatti, è in grado di citare i marchi principali contro il 70% rilevato nel 2013. Tuttavia
se da un lato le conoscenze sembrano ben consolidate, dall' altro più della metà dei medici dichiara di non
essere intenzionato a modi" care le proprie abitudini prescrittive. "I più anziani - commenta Massimo
Sumberesi, managing director di Doxa Marketing Advice - sono quelli che dimostrano una maggiore
resistenza al cambiamento. Analizzando le risposte relative alle prescrizioni e^ ettuate, i Fans restano la
soluzione più di^ usa (36%), seguiti dagli oppioidi (26%, in monoterapia oppure in associazione a
paracetamolo) e dagli antipiretici (22%). Rispetto a una nostra indagine condotta sempre sui generalisti nel
2013, si evince una situazione di stallo, dove l' evoluzione delle norme - che dovrebbero limitare l' impiego di
antin" ammatori e favorire quello di oppiacei, per una maggiore appropriatezza terapeutica - non si traduce
ancora in un comportamento concreto. Va tuttavia segnalato che, guardando al futuro, il 56% degli intervistati
ritiene che le proprie prescrizioni di oppioidi aumenteranno". Secondo l' indagine, un terzo dei pazienti visitati
ha dolore, lieve nel 34% dei casi, moderato nel 44% e severo nel 22%. Per quasi 7 assistiti su 10 si tratta di
una forma cronica: in questo caso, sia farmaci sia i medici di base considerano di riferimento sono gli oppioidi
(29%), seguiti dai Fans (28%) e dalle associazioni di paracetamolo e codeina (16%). Tuttavia - secondo Doxa
Marketing Advice - il 52% delle loro prescrizioni di Fans continua ad avvenire nei pazienti con dolore cronico.
E non solo: le associazioni paracetamolo/ codeina vengono prescritte per oltre 3 giorni dal 90% degli
intervistati, in media quasi per 10 giorni. "Il medico di medicina generale ha un ruolo cruciale nella presa in
carico del paziente che so^ re", spiega Fiorenzo Corti, responsabile comunicazione nazionale Fimmg. "L '
09/02/2015 51Pag. About Pharma and Medical Devices - Ed. n.125 - febbraio 2015
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MUNDIPHARMA - Rassegna Stampa 10/02/2015 5
indagine Doxa evidenzia come permangano ancora importanti margini di miglioramento sul fronte dell'
applicazione delle normative. Occorrono quindi nuovi sforzi per intensi" care le attività di formazione a
supporto delle cure primarie. Fimmg sta lavorando proprio in questa direzione, con l' obiettivo di promuovere
una maggiore appropriatezza. Il nostro Paese tende ancora a un impiego eccessivo di Fans, spesso usati
anche in presenza di controindicazioni (soggetti anziani e/o cardiopatici). Al contrario, esistono valide
alternative farmacologiche, maneggevoli, e caci e con minori e^ etti collaterali, come gli oppiacei". (S.D.M.)
Parole chiave Primary care, dolore cronico, informatori scientifi ci del farmaco, medici di medicina generale
Aziende/Istituzioni Mundipharma Pharmaceuticals, Aifa, Fimmg
09/02/2015 51Pag. About Pharma and Medical Devices - Ed. n.125 - febbraio 2015
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MUNDIPHARMA - Rassegna Stampa 10/02/2015 6
medicina ORTOPEDIA I legamenti spesso all'origine del mal di schiena Se lo zucchero batte il dolore Le tendinopatie possono essere trattate con la proloterapia: si iniettano destrosio e lidocaina Luigi Cucchi «Il dolore osteoarticolare non fa parte necessariamente del processo di invecchiamento. Ha sempre una
causa che non è la sindrome di vecchiaia. É sovente dovuto ad una alterazione dei legamenti», afferma
Luciano Bassani, medico, fisiatra, libero docente presso l'università di Milano, presidente della Società
italiana di Proloterapia (www. proloterapia.eu), costituita all'inizio dell'anno duemila e associata alla Hackett
Hemwall Foundation dell'Università di Madison Wisconsin(USA), che si occupa della formazione di specialisti
in proloterapia, tenendo più corsi annuali sia in Italia che all'estero organizzati e supervisionati dai propri soci.
La proloterapia, metodica ancora poco conosciuta in Italia, è un acronimo che deriva da proliferation therapy
(prolotherapy), coniato negli anni cinquanta dal professor Hackett, un chirurgo ortopedico americano. La
Proloterapia è una terapia infiltrativa ormai consolidata , molto diffusa negli Stati Uniti ed in Europa,
soprattutto in ambito medico-sportivo, inclusa nei protocolli evidence-based di trattamento delle patologie del
tessuto connettivo (tendinopatie e lesioni legamentose non chirurgiche). Risulta efficace in assenza di rotture
sub-totali per le quali l'indicazione primaria rimane, comunque, chirurgica. Nei casi di tendinosi di qualsiasi
distretto anche associate a rotture parziali, si riescono ad ottenere risultati molto soddisfacenti (sia dal punto
di vista funzionale che sul dolore). «La Proloterapia - precisa il professor Bassani - può aiutare a rafforzare i
legamenti a qualsiasi età ed è il trattamento di prima scelta per il dolore cronico». Questa branca della
medicina ortopedica comporta la somministrazione di una sostanza, che crea un'infiammazione localizzata,
nell'area in cui il tessuto connettivo è stato indebolito o danneggiato a causa di un sovraccarico funzionale o
di un trauma. Questo porta alla auto-stimolazione del tessuto lesionato favorendone la sua riparazione. Le
soluzioni che vengono comunemente usate sono il destrosio e la lidocaina anche se in alcuni rari casi si può
far uso di fenolo e glicerina.L'infiltrazione viene praticata all'interno dell'articolazione o nel punto in cui il
tendine o il legamento si connettono all'osso. A volte le iniezioni sono più di una ed i punti in cui iniettare
variano da caso a caso. La soluzione iniettata provoca una reazione infiammatoria iniziale che innesta un
meccanismo rigenerativo verso la guarigione. La proloterapia risulta di grande utilità nel trattamento del
dolore della colonna vertebrale come lombalgia o cervicalgia su base artrosica o post traumatica e talora
anche dopo il fallimento della chirurgia vertebrale. Spesso infatti l'indicazione alla chirurgia viene data più in
base alla RM che alla clinica e ciò puo' spesso comportare molte volte una persistenza della lassità
legamentosa con instabilità della colonna vertebrale e dunque a dolori residui persistenti che la proloterapia
può ridurre o in moti casi eliminare. Quando, quindi, avvalersi della proloterapia? «I nostri risultati mostrano
che la terapia rigenerativa è da preferirsi come prima scelta in caso di dolore cronico. Spesso la diagnosi
clinica è possibile solo con l'esplorazione manuale delle strutture anatomiche dolenti, che in questi casi sono
poco valutabili con degli esami di routine. La proloterapia è indicata nel dolore muscolo-scheletrico, in
particolare nei dolori della colonna e delle articolazioni periferiche tra cui spalle, gomiti, polsi, anche,
ginocchia e piedi. É una metodica non-invasiva, sicura, sia dal punto di vista della tecnica che delle sostanze
impiegate, a patto che venga praticata da un medico esperto.
Foto: BASSANI Il tessuto connettivo lesionato o danneggiato dal trauma si autoripara grazie allo stimolo
originato dal processo attivo della proloterapia
11/02/2015 29Pag. Il Giornale(diffusione:192677, tiratura:292798)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2015 7
FONDAZIONE ANT Ricostruiamo la buona vita con i malati di tumore L'assistenza domiciliare modello Eubiosia VITA - febbraio 2015 Sono medici, infermieri, fisioterapisti, professionisti esperti in oncologia e cure palliative
che ogni giorno in Italia assistono, gratuitamente, a domicilio 4.250 malati di tumore. Senza indossare il
camicie bianco. «Sarebbe una barriera fra noi e il paziente, fra noi e la famiglia del malato. In Fondazione Ant
gli operatori accompagnano il malato e la sua famiglia a vivere la malattia», chiarisce subito Maria Bruno uno
dei medici dell'organizzazione. Fondata 35 anni fa dal medico oncologo Franco Pannuti per diondere le cure
palliative per malati di tumore, Ant ha in carico in tutta Italia circa 10mila persone grazie a 21 équipe di
operatori che lavo rano in nome dell'Eubiosia (la buona vi- testi: Carmen Morrone foto: Stefano Pedrelli ta, in
greco antico), intesa come insieme di elementi per una vita dignitosa dal primo all'ultimo respiro. In particolare
si tratta di 400 professionisti - sanitari e non - a cui si aancano 1.800 volontari iscritti nell'albo
dell'associazione. Tutti protagonisti 365 giorni l'anno, 24 ore su 24, in 9 delle venti regioni italiane. A partire
da Bologna e dall'Emilia Romagna, dove è nato il progetto. Nel capoluogo emiliano l'attività di assistenza
domiciliare prende avvio dalla palazzina di via Jacopo di Paolo, dove medici e infermieri iniziano la loro
giornata con il prelievo dei farmaci da portare a casa dei 1.400 malati visitati ogni giorno. Prima di tutto, il
medico oncologo Maria Bruno, tarantina, ma bolognese d'adozione che lavora con Fondazione Ant da 12
anni, spiega come avviene l'incontro con i pazienti. «In certi casi è il malato che telefona al nostro call center,
altre volte è il medico ospedaliero o il medico di base che invita il paziente a rivolgersi a noi». Fatto sta che
«riceviamo ogni anno circa 7mila richieste. Tutte soddisfatte». Il prelievo dei farmaci al mattino è preceduto
dall'invio delle richieste, come spiega la dottoressa Bruno che ci accompagnerà lungo tutta la giornata. «Ogni
sera invio, tramite cellulare, l'elenco dei farmaci per il giorno dopo. La mattina li trovo nel nostro deposito
farmaceutico già insacchettati e li ritiro. Quando invece occorrono altre attrezzatura, ad esempio bombole di
ossigeno e altri apparecchi "pesanti", li trovo già al domicilio del paziente perché recapitati dal nostro Servizio
Famiglia, che si occupa del trasporto a domicilio degli ausili. I farmaci naturalmente sono quelli prescritti dal
medico che ha diagnosticato la malattia e che sta seguendo il paziente. Lavoriamo, infatti, in collaborazione
con i medici ospedalieri e di base, e ci confrontiamo per aggiornare le terapie in base ai bisogni del singolo
malato. Mi piace definire la nostra assistenza fatta su misura, come un abito». «Si tratta di un servizio unico
in Italia», interviene la presidente Raaella Pannuti, figlia del fondatore . «La presa in carico di un paziente da
parte di Ant comporta un costo di 2mila euro (esclusi i farmaci che spettano al Servizio sanitario nazionale e il
cui costo è assimilabile a quello della presa in carico) per una media di 132 giorni di assistenza l'anno a
paziente. Tenendo conto che il costo giornaliero di degenza in una struttura per cure palliative è di circa 240
euro e in un ospedale è di 780 euro, il risparmio è evidente». Il primo paziente della giornata è la signora
Teresa , 78 anni. «Dopo aver ascoltato la diagnosi non mi sembrava vero», racconta, «pensavo di avere
capito male. Sono arrivata sino a questa età senza gravi malattie. Eppure i referti medici erano chiari: così
sono entrata nel mondo dei malati di tumore». «Il mio primo pensiero», continua «è stato per Carlo, mio
marito da ben 56 anni, chi avrebbe pensato a lui? Avevo sentito parlare di Fondazione Ant e mi sono rivolta a
loro». Teresa è seguita da quasi un anno. «Sono molto soddisfatta per tanti motivi», dice, «il primo è perché
mi sto curando a casa mia che non può essere sostituita con nessuna camera di ospedale, nemmeno la più
bella. Ant è a disposizione tutti i giorni, Natale, Santo Stefano, Pasqua. Tutto agosto. Chiami e loro ti
rispondono. Ant è quello che cercavo, sopratutto per Carlo. Ora si è tranquillizzato perché sotto l'aspetto
medico e infermieristico sono assistita, così che lui può pensare a tutte le altre faccende domestiche. Mio
marito alla sua età, ha 80 anni, ha imparato pure a cucinare: un mezzo miracolo». «Che dici? È ancora lei il
cuoco», interviene Carlo guardano Teresa con gli occhi lucidi, «mi ha insegnato a fare anche il ragù alla
bolognese». A Bologna e in Emilia Romagna - così come nelle altre regioni dove la Fondazione Ant è
presente - è attivo anche un servizio di assistenza per i familiari che ogni anno si prende in carico centinaia di
11/02/2015 80Pag. Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015(diffusione:45000)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 30
parenti fornendo aiuti di vario tipo, a partire dalla compilazione e dall'inoltro delle pratiche per l'assegno di
cura, per la domanda di invalidità e per quella di esenzione dal ticket fino agli incontri di informazione sulla
malattia e a un vero e proprio supporto psicologico per i ca82 regiver. Solo nei primi sei mesi del 2014 sono
state oltre 1.700 le persone che hanno usufruito del servizio psicologico gratuito. La fondazione fornisce
anche un servizio di cambio biancheria e il trasporto gratuito del malato dal domicilio all'ospedale in
occasione di ricoveri e trattamenti in day hospital. Un lavoro che Ant riesce a svolgere in rete con i servizi
socio-sanitari del territorio. A casa di Teresa, suona il campanello : sono due volontari. Portano una
carrozzina. «Teresa in questi giorni ha un forte mal di schiena e fa molta fatica a camminare. La sedia a
rotelle le permetterà di spostarsi in casa e di poter fare qualche giretto nel quartiere», spiega Roberto Cesari,
a capo del Servizio Famiglia. Sono le 15 e a casa di Teresa arriva Monica Zanoni. Venticinque anni, Monica è
infermiera professionale e lavora per Fondazione Ant da sei mesi. «Ho sempre desiderato lavorare per
questa realtà che è molto conosciuta nel bolognese», dice. Per poi aggiungere: «Vengo da San Giovanni in
Persiceto e tutti i giorni raggiungo Bologna da quando ho iniziato la professione di infermiere domiciliare.
Faccio volentieri la pendolare perché il lavoro mi piace. L'infermiera di Fondazione Ant, infatti, non svolge
solo le sue mansioni tecniche, ma come tutti gli altri operatori è responsabile del benessere del paziente: qui i
principi dell'Eubiosia si toccano con mano». «Oggi Teresa ha bisogno di un'iniezione», continua, «poi, come
ogni giorno, verifico se ha assunto le pastiglie in programma. Infine preparo la terapia per la sera». Il tutto si
svolge in una calda cordialità e Monica e Teresa si scambiano i commenti su trasmissioni tv. «La signora
Teresa ha una vita familiare serena, in altre famiglie è molto diverso il clima che si respira», interviene Maria
Bruno. «Ci capita di visitare pazienti che vivono in case piccole e malsane. Persone sole, soprattutto anziani
soli che a causa del tumore non possono più svolgere attività semplici come fare la spesa. Per questo ci sono
i volontari della Fondazione che fanno le compere quotidiane, che vanno in posta a pagare le bollette della
luce e del gas. A volte, queste persone sole, anche se la malattia non è ancora invalidante, non si prendono
più cura di loro stessi: smettono di fare i tradizionali gesti quotidiani, come radersi la barba, lavarsi, pettinarsi.
Abbiamo verificato che la nostra presenza quotidiana li spinge a tornare a una vita dignitosa». Le reazioni alla
malattia sono diverse. «La famiglia può diventare ansiosa e iniziare una ricerca aannosa di chissà che cosa»,
continua Bruno, «oppure impietrirsi, diventando incapace di essere attiva anche nelle cose più semplici: come
se il familiare fosse entrato in una dimensione estranea alla loro. Qualche mese fa abbiamo seguito una
famiglia con sette figli, di cui uno malato terminale. È stato un intervento molto dicile per via delle condizioni
economiche precarie e per la scarsa informazione e formazione dei genitori». Gli operatori di Fondazione Ant
vivono situazioni emotive molto impegnative per questo c'è l'Unità di psico-oncologia (una trentina di operatori
in tutta Italia) che lavora per evitare fenomeni di burn out. La coordina Silvia Varani. «Non è sempre facile
instaurare una relazione con i malati di tumore:», spiega, «gli operatori sono preparati per gestire le situazioni
di stress e hanno il nostro costante supporto. Al di là degli aspetti strettamente terapeutici, con i malati di
tumore non si può essere superficiali, né drammatici, né si possono usare luoghi comuni, né essere fatalisti.
È un rapporto che richiede un grande sforzo comunicativo». L'altra parte dell'attività dell'Unità di psico-
oncologia è rivolta ai malati e alle famiglie sia durante l'assistenza sia nell'elaborazione del lutto. Una presa in
carico molto ampia svolta grazie soprattutto alle liberalità di privati cittadini e alle manifestazioni di raccolta
fondi (56%), al contributo del 5permille (11%) a lasciti e donazioni (7%), e a un contributo pubblico pari
all'18%. Nel 2013 sono stati raccolti 22 milioni di euro, il 76% dei quali è andato alle attività di assistenza.
Salutiamo Teresa appena in tempo perché suona il telefono di casa accanto alla poltrona e lei risponde
pronta. «Sono quelli di Fondazione Ant, devo rispondere e vi devo salutare», dice con un dolce sorriso. Che
sarà impossibile dimenticare. febbraio 2015 - VITA - DOVE Ant è presente in 9 regioni: Emilia Romagna,
Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Marche, Basilicata, Campania e Puglia. Ci sono progetti pilota anche a
Mestre, Mantova, Cosenza, Monfalcone e in Albania - COME L'attività di assistenza è svolta grazie a una rete
di 400 professionisti, sanitari e non, cui si aancano 1.800 volontari che si occupano di servizi alle famiglie e di
raccolta fondi - CHI Fondazione Ant nasce a Bologna nel 1978 per iniziativa del medico Franco Pannuti e
11/02/2015 80Pag. Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015(diffusione:45000)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 31
fornisce assistenza socio sanitaria gratuita a domicilio ai soerenti di tumore
Foto: Ogni giorno. La signora Teresa insieme all'infermiera Monica Zanoni, in un momento dell'assistenza
domiciliare svolta da Fondazione Ant
Foto: ORE 10.00 ORE 8.00 La giornata comincia nella farmacia, dove gli operatori prelevano i sacchetti di
farmaci confezionati dai farmacisti di Fondazione Ant che ricevono le richieste la sera prima Maria Bruno,
medico oncologo, arriva a casa del primo paziente della giornata, la signora Teresa. Maria Bruno è uno dei
37 medici di Fondazione Ant, che lavorano a Bologna Raffaella Pannuti Presidente di Fondazione Ant Maria
Bruno Medico oncologo
Foto: 1. Il deposito farmaceutico di Fondazione Ant . Qui i famacisti insacchettano i farmaci che ogni giorno
gli operatori sanitari prelevano per portare al domicilio dei pazienti 2. La dottoressa Maria Bruno per spostarsi
dalla sede di via Jacopo di Paolo alle case dei pazienti utilizza un veicolo della Fondazione 3.4. Maria e
Monica al lavoro a casa della signora Teresa. In Italia Fondazione Ant conta 122 medici, 87 infermieri, 29
psicologi, 2 nutrizionisti. A Bologna, i medici sono 37, gli infermieri 22 e 8 gli psicologi ORE 15.00 ORE 13.00
È il momento del pranzo cucinato dal marito di Teresa. L'assistenza domiciliare permette di continuare a
vivere la normalità, come pranzare e cenare insieme ai propri cari Teresa riceve la visita dell'infermiera,
Monica Zanoni. A Bologna ci sono una settantina di operatori. Monica ogni giorno visita una decina di pazienti
Foto: ORE 17,30 ORE 20.00 Nella biblioteca della fondazione si preparano i libri e i dvd da portare ai pazienti
il giorno dopo. È attivo infatti un servizio di prestito di volumi e film Al call center della fondazione, alcuni
volontari ricevono le chiamate dai pazienti e dai familiari. Il servizio è attivo 365 giorni l'anno 24 ore su 24 5.
Roberto Cesari, capo del Servizio Famiglia insieme a un collaboratore .Il Servizio Famiglia ogni giorno porta
al domicilio ausili come bombole d'ossigenzo, carrozzine 6. Carlo, 80 anni è il marito di Teresa . Da quando la
moglie si è ammalata è lui che sbriga le faccende domestiche 7. Teresa, 78 anni . In questo momento, la
malattia la costringe a stare molte ore in casa. Le telefonate rendono meno noiosa la giornata
11/02/2015 80Pag. Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015(diffusione:45000)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 32
Nuova legge Cannabis terapeutica, la dà il medico di base In Toscana i medici di famiglia potranno prescrivere medicinali a base di cannabis (che saranno prodotti a
Firenze). È stato il Consiglio regionale ad approvare, ieri, la nuova legge che riforma le norme che
consentivano solo ai medici specialisti di prescrivere questo tipo di farmaci, previsti per le cure palliative e
alcune patologie invalidanti. «L'obiettivo - ha detto la consigliera di Rifondazione, Monica Sgherri, che ha
presentato la legge approvata a maggioranza - era semplificare la burocrazia e facilitare l'accesso ai
farmaci». Entro la fine del mese, lo stabilimento farmaceutico militare di Firenze inizierà la produzione di
farmaci cannabinoidi. La Toscana fa così da apripista in Italia sulla cannabis terapeutica. (L.B.)
12/02/2015 9Pag. Corriere Fiorentino - Ed. firenze(diffusione:12000)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 23
Dolore . Un "problema" per 12 milioni di italiani. Ma solo il 40% sa a chirivolgersi Parte la campagna nazionale di associazioni malati e consumatori. Un "vademecum" a disposizione nei 1.000sportelli di federsconsumatori e nelle 120 delegazioni della Fondazione ANT. Una guida su sintomi, farmaci ecentri specializzati. IL VADEMECUM. 12 FEB - Più che un problema, è una vera emergenza sociale, che tocca da vicino almeno un italiano su
cinque: è il dolore, fenomeno che solo in Italia colpisce oltre 12 milioni di persone (alcune analisi stimano fino
a 15 milioni), di cui ancora oggi meno della metà - appena il 40% - sa a chi rivolgersi. Ed è proprio per
rendere finalmente più informati e consapevoli i cittadini sugli strumenti legislativi e medici per combattere il
dolore, che Federconsumatori, insieme a Fondazione ANT Italia ONLUS e IMPACT Proactive, e con il
patrocinio del Ministero della Salute, ha lanciato una capillare campagna nazionale di sensibilizzazione su
questa tematica. Percepito per lungo tempo solo come un sintomo o la conseguenza di altre malattie, da
accettare o comunque da curare secondariamente, il dolore oggi è invece considerato dalla classe medica
come una vera e propria malattia. Grazie alla legge 38/2010 l'Italia ha in materia una legislazione
all'avanguardia a livello europeo, eppure paradossalmente poco conosciuta da chi ne avrebbe bisogno. I dati
più recenti ci dicono infatti che il 40% dei cittadini non sa ancora oggi a chi rivolgersi in caso di dolore, mentre
solo il 32% è stato informato dal proprio medico, il 22% da amici e parenti e il 14% su Internet. Inoltre, solo il
35% sa che in Italia c'è una legge sul tema (fonte: Fondazione Isal). Dall'impegno congiunto dei tre enti è
nato così un apposito "Vademecum sul dolore", esaustivo e di facile consultazione, per informare il più ampio
numero possibile di cittadini: per poter riconoscere il dolore e saper valutare i propri sintomi, per conoscere i
farmaci, ma soprattutto per sapere a chi rivolgersi, dove sono ubicati i centri di terapia del dolore e i centri di
cure palliative, e quali sono i diritti dei cittadini garantiti dalla Legge 38/2010. Il "Vademecum sul dolore",
accompagnato da una locandina, sarà a disposizione dei cittadini negli oltre 1000 sportelli di
Federconsumatori e nelle 120 Delegazioni di Fondazione ANT dislocate su tutto il territorio italiano, e sarà
distribuito a tutti i partner coinvolti; sarà inoltre scaricabile dai tre siti di Federconsumatori, ANT e IMPACT
proactive. La campagna di informazione sulla Legge 38/2010 e dolore - scrivono i promotori - ha un
importante elemento di novità: per restare più vicini ai cittadini, a distanza di due mesi dal lancio della
campagna sarà infatti diffuso, con la stessa capillarità del materiale informativo, un questionario per cogliere
le reali esigenze del cittadino. I risultati saranno condivisi con la classe medica, le associazioni e le istituzioni
nel corso di un Workshop promosso da IMPACT proactive a Firenze nel giugno 2015 con i suoi oltre 80
partner e nei convegni di Federconsumatori e Fondazione ANT.
12/02/201510:50
Sito WebIlFarmacistaOnline.it
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 35
scienze / il senso della ricerca Contro il dolore ci siamo alleati con una tarantola David Julius è da tempo candidato al nobel della medicina. l'abbiamo intervistato a san Francisco. dove, perliberarci dal male, studia i recettori alla periFeria del sistema nervoso. anche grazie a un ragno velenoso Caterina Visco san francisco . «Il dolore è come il cancro». Con queste parole il professor David Julius cerca di spiegare
perché, anche se riusciamo a far atterrare una sonda su una cometa, ancora non siamo in grado di
contrastare efcacemente il dolore cronico. «Dolore è un termine generico, come cancro» ripete. «Noi
adoperiamo sempre la stessa parola, ma con dolore possiamo intendere molte patologie diverse». C'è un
dolore di natura infiammatoria, un altro dovuto a una ferita, un altro ancora di natura oncologica. «Ci sono
punti in comune tra i diversi meccanismi, ma anche molte particolarità, e uno stesso farmaco non sarà mai
efcace per tutti» prosegue. E se lo dice lui, c'è da fidarsi. David Julius è infatti uno dei pionieri dello studio del
dolore. Ha cominciato a occuparsene negli anni Ottanta, dopo una laurea al Mit di Boston e un dottorato
all'Università della California a Berkeley. Nel 1997 ha scoperto il recettore Trpv1 per la capsaicina, la
molecola contenuta nel peperoncino, e il fatto che questo è legato anche alla percezione delle alte
temperature (sopra i 42°C) e del dolore provocato da diverse sostanze, incluse quelle rilasciate dalla
tarantola quando morde. Proprio in virtù di questi studi il suo nome è stato uno di quelli più citati alla vigilia
degli annunci degli ultimi Nobel per la medicina. E non è detto che il premio non arrivi al prossimo giro. Oggi,
all'Università di San Francisco, Julius è a capo di un laboratorio che porta il suo nome. Qui, nel suo ufcio, in
maniche di camicia su uno sgabello, pazientemente racconta come tutto è cominciato. «Verso la metà degli
anni Ottanta non si sapeva molto del meccanismo di percezione del dolore a livello molecolare o chimico. Io
ero curioso di capire come funzionava, e la periferia, dove lo stimolo doloroso comincia, mi sembrava un
buon punto di partenza. Diversi tipi di dolore di natura infiammatoria, come per esempio quelli dovuti ad
alcune patologie oncologiche, sono legati all'attivazione iniziale delle fibre nervose sensoriali da parte dei
recettori per la capsaicina o di altri recettori simili. Magari, prevenendo questo iniziale dolore periferico, sarà
possibile bloccare la cascata di eventi che porta al dolore persistente. Inoltre, capire come intervenire sul
meccanismo iniziale di trasmissione potrebbe permetterci di sviluppare azioni contro il dolore più specifiche,
senza efetti collaterali sul resto dell'organismo». Ma a che cosa servono esattamente questi recettori
periferici? «Il recettore per la capsaicina, o Trpv1, come anche quello per il mentolo (Trpm8), che ci permette
di percepire anche il freddo, o quello cosiddetto "del wasabi" (Trpa1), che ci fa percepire le sostanze pungenti
e che, secondo alcuni ricercatori, è anche legato alla percezione di temperature particolarmente basse e del
dolore che si prova in queste condizioni, sono sentinelle dell'organismo che ci forniscono informazioni
importanti sull'ambiente in cui viviamo. Ci dicono cioè se coprirci per conservare calore o scoprirci per
cederlo, se evitare una superficie troppo calda, o se una parte del nostro corpo è ferita e deve essere
protetta. Per esempio, se ci siamo scottati trascorrendo una giornata in spiaggia, possiamo non accorgercene
immediatamente; tuttavia, quando saremo sotto la doccia, l'acqua che il giorno prima sembrava fresca ci
risulterà dolorosamente calda. Questo accade perché la scottatura ha innescato l'azione di recettori che, a
loro volta, hanno attivato fibre nervose. Queste hanno sia trasmesso il segnale doloroso alla spina dorsale,
sia avviato il rilascio in loco di una serie di molecole che hanno provocato rossore, gonfiore e ipersensibilità al
calore e al tatto. Questi sono segnali per dire al cervello "fai attenzione, sei ferito e devi proteggere
quest'area"». Queste molecole hanno a che fare anche con il dolore persistente? «Sì, perché queste
molecole riaccendono anche continuamente il recettore e questo, a sua volta, riattiva la fibra nervosa che
trasmette un nuovo segnale di dolore, innescando in alcuni casi un circolo vizioso chiamato infiammazione
neurogenica, che è una parte importante del dolore cronico». Che cosa possono ancora rivelarci questi
recettori? «Con il mio gruppo di ricerca ci stiamo concentrando sullo studio della struttura tridimensionale di
Trpv1, che recentemente siamo riusciti a "fotografare" per la prima volta, grazie all'aiuto di una tarantola».
13/02/2015 56Pag. Il Venerdi di Repubblica - Ed. n.1404 - 13 febbraio 2015(diffusione:687955, tiratura:539384)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 22
Una tarantola? «Cercavamo, oltre al peperoncino, altre sostanze in grado di attivare questi recettori che, sulla
superficie delle cellule, si aprono e si chiudono per rilasciare gli ioni calcio che mediano il messaggio
doloroso. Sapendo che il morso di alcuni animali velenosi può essere molto doloroso a causa delle tossine
presenti nella sostanza prodotta dall'animale, abbiamo esaminato il veleno di diversi tipi di animali come
ragni, scorpioni e serpenti di ogni angolo del pianeta. Volevamo capire quali sostanze interagissero con Trpv1
e abbiamo scoperto che la maggior parte di questi veleni efettivamente lo attiva. In particolare ci è stato utile il
veleno di una tarantola di Trinidad chiamata Tarantola Trinidad Chevron ( Psalmopoeus cambridgei ).
Contiene una tossina il cui efetto è quello di mantenere sempre aperto i canali sulla superficie delle cellule
rappresentati dai recettori, provocando un costante usso di ioni e quindi un segnale doloroso intenso e
prolungato. A quel punto, grazie alla collaborazione di Yifan Cheng, anche lui ricercatore qui a San Francisco,
abbiamo usato una microscopia crio-elettronica per fotografare per la prima volta in 3D la struttura del
recettore». E questo potrebbe essere utile per mettere a punto nuove terapie? «Sì, perché ora possiamo
cercare di capire come funziona, come si attiva o disattiva, e possiamo farne il bersaglio per trattamenti
contro il dolore più sofisticati e selettivi. Per esempio, farmaci con meno efetti collaterali come la dipendenza
o assuefazione. O in grado di bloccare l'azione del recettore quando si innesca il circolo vizioso del dolore
cronico, ma non quando questo deve trasmettere la percezione del calore o di un dolore acuto e
momentaneo». corbis, silvio coiante, ansa, shutterstockCorteccia somatosensoriale Corteccia frontale
Talamo Epidermide Derma Recettore del dolore Sistema limbico Nervo periferico Spina dorsale Il segnale
che fa male 1
I recettori del dolore (nocicettori) che si trovano sulla pelle sono attivati da un danno ai tessuti Un segnale
risale il nervo periferico fno alla spina dorsale All'interno della spina dorsale, vengono rilasciati messaggeri
chimici (i neurotrasmettitori) che attivano altri nervi che passano il segnale del dolore al cervello. Nel cervello
il talamo trasmette i segnali alla corteccia somatosensoriale (sede della sensazione), alla corteccia frontale
(sede del pensiero) e al sistema limbico (sede della risposta emotiva) Nel DOLORE CRONICO i nervi
continuano a trasmettere al cervello il segnale del dolore, anche quando non c'è più il danno che l'ha causato.
Veleno utile Grazie all'efetto che il veleno della tarantola Trinidad Chevron ha su un recettore del dolore, gli
scienziati sono riusciti a fotografarlo in 3D. Ora è più facile studiarlo
Foto: Sotto, David Julius, fsiologo dell'Università della California di San Francisco e pioniere dello studio del
dolore. Ha scoperto il recettore della capsaicina , molecola del peperoncino, e il fatto che è legato anche alla
percezione delle alte temperature e, appunto, del dolore provocato da alcune sostanze
Foto: Il piccante, alcuni dolori e il calore forte sono percepiti grazie a un unico recettore
13/02/2015 56Pag. Il Venerdi di Repubblica - Ed. n.1404 - 13 febbraio 2015(diffusione:687955, tiratura:539384)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 23
scienze Nuovi interruttori per spegnere la sofferenza Negli usa gli studi di due italiaNi su cellule gliali e adenosina: potrebbero dare altre chiavi per battere i doloricroNici Giuliano Aluf tredici milioni di italiani convivono col dolore cronico: lo riporta il libro bianco presentato lo scorso ottobre a
Roma, al convegno Health over Pain Experience. A essere considerato cronico è ogni dolore che duri oltre
tre mesi: il più comune è il mal di schiena (60 per cento dei casi), seguito da dolori articolari e reumatici,
neuropatie, cefalee, angina pectoris e dolori neoplastici. Cruciale, nel sorgere del dolore cronico, è il
fenomeno della plasticità neuronale, la capacità del sistema nervoso di adattarsi. Quando i suoi recettori per il
dolore, detti nocicettori, subiscono una stimolazione prolungata, possono infatti scatenare meccanismi
neurochimici che modificano le sinapsi, aumentando l'eccitabilità dei neuroni. E il cambiamento può rimanere
anche quando la causa del dolore si estingue: nei neuroni, in pratica, rimane una «memoria» del dolore, che
continua a tormentare i pazienti. La spesa annuale del nostro Servizio sanitario per combattere il dolore è
stimata intorno ai 36,4 miliardi di euro. Due, le principali categorie di farmaci. Gli antinfiammatori non steroidei
(Fans), come nimesulide e ibuprofene, agiscono localmente, e cercano di evitare la formazione del segnale
doloroso desensibilizzando i nocicettori periferici. Gli oppioidi invece inibiscono la trasmissione del segnale
del dolore riducendo il rilascio di neurotrasmettitori e ostacolando l'arrivo dello stimolo doloroso nella
corteccia sensoriale. Siamo al primo posto in Europa per l'uso di Fans e all'ultimo per oppioidi: questo mostra
un uso improprio degli antinfiammatori, perché non sempre attenuando le infiammazioni si cura il dolore.
D'altra parte, però, gli oppioidi possono provocare assuefazione e dipendenza. Un nuovo promettente
bersaglio terapeutico è la glia, ossia l'insieme di cellule che circonda e sostiene i neuroni. Lo suggerisce uno
studio pubblicato in gennaio sulla rivista scientifica Brain da Marco Loggia, docente di radiologia alla Harvard
Medical School. «Fino a poco tempo fa si pensava che il dolore cronico fosse causato soprattutto
dall'eccessiva eccitabilità dei neuroni che trasmettono i segnali dolorosi. Negli ultimi dieci anni, però, molti
studi su animali hanno suggerito che ad avere un ruolo fondamentale possono essere le cellule gliali. Queste
sono le sentinelle del sistema nervoso: quando un animale subisce una lesione, la "sentono" e, tramite una
risposta infiammatoria, aumentano l'eccitabilità dei neuroni che trasmettono i segnali dolorosi» spiega Loggia
al Venerdì . «Questa risposta è utile perché, se un arto ferito diventa ipersensibile al dolore, l'animale
cercherà di non muoverlo e proteggerlo, favorendone il recupero. Poi però, quando il tessuto guarisce, la
risposta infiammatoria dovrebbe ridimensionarsi. Se invece continua, diventa patologica». Finora non si era
studiata l'attivazione delle cellule gliali nel dolore umano. «Nella nostra ricerca, abbiamo per la prima volta
visualizzato in pazienti con dolore cronico (in particolare, la lombalgia) la presenza di elevati livelli di una
proteina che si produce durante l'attivazione gliale. Questo indica che, anche nel dolore cronico negli esseri
umani, le cellule gliali si attivano in maniera eccessiva e non si "calmano" dopo la risoluzione dell'evento che
ha causato il dolore. Queste cellule possono quindi essere esplorate come target terapeutico» spiega Loggia.
«Per la verità, esistono già farmaci adatti a calmarle - come l'antibiotico minociclina, usato per curare l'acne e
infezioni - ma non vengono usati per il dolore». Uno studio pubblicato sempre su Brain, a fine 2014, da
Daniela Salvemini, docente di farmacologia alla Saint Louis University, ha invece individuato un «interruttore»
del dolore partendo dall'adenosina, una delle sostanze endogene che hanno un efetto calmante sul nostro
organismo. «I recettori dell'adenosina si trovano nel sistema nervoso centrale, sia nella spina dorsale che nel
cervello. Quando entrano in azione, attenuano l'iperattività tanto dei neuroni quanto delle cellule gliali» ci
spiega Daniela Salvemini. «Se però, per stimolare questi recettori, somministrassimo semplicemente
adenosina, attiveremmo tutti i recettori adenosinici dell'organismo e avremmo efetti collaterali. Così abbiamo
prodotto molecole sintetiche che attivano solo un recettore (l'A3) centrale per attenuare il dolore cronico. Per
ora nei topi, ma i test di fase 1 sull'uomo sono imminenti». spl / agf
13/02/2015 58Pag. Il Venerdi di Repubblica - Ed. n.1404 - 13 febbraio 2015(diffusione:687955, tiratura:539384)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 24
FARMACO IN ARRIVO? Daniela Salvemini, dell'Università di Saint Louis, ha messo a punto molecole che
imitano gli efetti dell' adenosina , sostanza con efetti calmanti prodotta dal nostro organismo. Il disegno a
sinistra mostra come, durante gli stati di dolore cronico, i segnali di dolore siano trasmessi su per la spina
dorsale (frecce rosse) fno al cervello. Bloccare questa catena può ofrire sollievo. Se i recettori dell'adenosina
A3 (in blu), che sono nella spina dorsale e in aree cerebrali rilevanti per il dolore, vengono attivati dalle
molecole sintetizzate (in giallo) dal team della Salvemini, il dolore cronico si attenua. Sono già stati efettuati i
test sui topi. Devono partire quelli sull'uomo
Foto: La glia è un insieme di cellule che circonda i neuroni
13/02/2015 58Pag. Il Venerdi di Repubblica - Ed. n.1404 - 13 febbraio 2015(diffusione:687955, tiratura:539384)
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 25