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16.04.2012
Anatomia patologica
Prof. Marzullo Andrea
SBOBINATA DA: Giuliano Mersini
CORRETTA DA: Francesco Spione
PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI
L'aterosclerosi
Prima di parlare dell'aterosclerosi bisogna richiamare velocemente alla memoria quella che è
l'anatomia dei vasi sanguigni; la parete della arterie è costituita fondamentalmente da tre strati o
tonache:
• tonaca intima : in essa troviamo l'endotelio (una componente fondamentale implicata in tutti
i processi fisiologici e patologici che coinvolgono la parete vascolare) e il connettivo
sottoendoteliale;
• tonaca media o muscolare : è costituita da cellule muscolari lisce ed è separata dalla tonaca
intima da una lamina elastica detta lamina elastica interna, che, essendo completa e senza
soluzioni di continuità, separa nettamente le due tonache; la costituzione della tonaca media
varia a seconda del calibro vascolare: le arterie di grosso calibro sono dette arterie elastiche
perché nella loro tonaca media la componente di fibre elastiche supera quella di fibrocellule
muscolari, mentre le arterie di medio calibro sono dette arterie muscolari perché presentano
una più ampia componente fibrocellulare; man mano che il calibro delle arterie diminuisce
fino ad arrivare ai capillari, la tonaca media si assottiglia fino a perdere la sua identità di
tonaca;
• tonaca avventizia : è uno strato di connettivo separato dalla tonaca media tramite la lamina
elastica esterna (più discontinua e incostante rispetto alla lamina elastica interna); la sua
importanza sta nel fatto che accoglie i vasa vasorum e i nervina vasorum, strutture
importanti, rispettivamente, per il trofismo e per l'innervazione dei vasi stessi, e tanto più
rappresentate quanto maggiore è il calibro del vaso.
Visto questo, possiamo ora parlare dell'aterosclerosi.
Il termine più generico è quello di arteriosclerosi che, etimologicamente, vuol dire
“indurimento delle arterie”. Nell'ambito dell'arteriosclerosi, poi, individuiamo almeno 3 forme:
1. Aterosclerosi : indurimento delle arterie attribuibile all'accumulo di lipidi costituenti un
ateroma nell'intima delle arterie di grosso e medio calibro.
2. Arteriolosclerosi : sclerosi delle arterie di piccolo e medio calibro (a differenza della sclerosi
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da ateroma, lesione che si sviluppa principalmente nelle arterie di grosso e medio calibro).
3. Sclerosi calcifica di Monckeberg : di questa non parleremo.
Fattori di rischio
Si possono distinguere due tipologie di fattori:
• Non modificabili o costitutivi :
1. Età: non è vero che l'aterosclerosi sia una malattia dell'età senile, anzi: le lesioni ateromatose
compaiono molto precocemente nella vita di un individuo e hanno una progressione
variabile a seconda dei fattori di rischio che ad esse si associano.
1. Sesso.
2. Familiarità.
• Modificabili o controllabili:
1. Dieta e ipercolesterolemia.
2. Disordini metabolici.
3. Fumo.
4. Ipertensione.
5. Alterazioni del flusso sanguigno (da laminare a turbolento).
La placca ateromatosa si forma prevalentemente in determinate aree:
-aorta (in tutto il suo decorso ma particolarmente nel tratto addominale);
-coronarie (un loro interessamento è alla base delle patologie ischemiche cardiache);
-carotidi extracraniche;
-arterie degli arti inferiori (in particolare le biforcazioni delle iliache, con l'iliaca esterna e quella
interna, e le arterie ipogastriche inferiori).
Guarda caso sono proprio le aree che subiscono un maggiore stress meccanico a presentare una più
elevata insorgenza di lesioni: le forze meccaniche di tensione a carico della parete sono talmente
accentuate da favorire la formazione di placche in sede locale. Quindi quando cercheremo delle
lesioni aterosclerotiche correlate a determinate patologie, andremo ad indagare soprattutto nei
suddetti distretti corporei.
Patogenesi dell'aterosclerosi
L'aterosclerosi costituisce una patologia perché l'accumulo del materiale lipidico
nell'intima vasale determina una riduzione del lume del vaso e, conseguentemente, una riduzione
del flusso vascolare. Certo, soprattutto nei vasi di grosso calibro come l'aorta, la formazione di una
placca riduce il flusso solo relativamente; in questo caso sono altre le complicanze legate alla
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formazione di una placca:
• la placca modifica le proprietà anticoagulanti dell'endotelio, provocando la comparsa di una
trombosi che si sovrappone alla placca e può determinare una riduzione critica del lume
vasale;
• complicanze ateroemboliche: nel processo di crescita del materiale ateromatoso si possono
distaccare, per fatti occasionali traumatici o infettivi, dei piccoli frammenti di materiale
trombotico che può dar luogo ad eventi embolici nei distretti tissutali più a valle;
• complicanze locali della placca: un'emorragia, ad esempio, nel contesto della placca può
causarne la dilatazione improvvisa con occlusione acuta del lume vasale.
In genere, l'aterosclerosi vive con noi; possono però
intervenire nell'evoluzione della placca una serie di complicanze
che determinano riduzione del flusso in particolari distretti.
Nella figura in sezione trasversa si può osservare come già nella
prima e seconda decade cominci ad accumularsi nel contesto del
vaso del materiale che determina una minima riduzione del
lume; i8n seconda e terza decade si formano le prime placche
fibrose, degli ispessimenti non particolarmente rilevanti ma che
a lungo andare riducono progressivamente il lume vasale. Se nelle prime due decadi la distribuzione
delle placche è concentrica e omogenea lungo tutta la parete, col passare dell'età le placche si
dispongono eccentricamente nel lume. Tra terza e quarta decade c'è una placca molto più rilevata
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con significativa riduzione del lume; a seconda del tessuto in cui ci troviamo possiamo avere esiti
diversi: se la placca impegna una coronaria si può avere infarto miocardico (che inizia
caratteristicamente appunto nella 4° e 5° decade di vita), se coinvolge le carotidi l'esito può essere
un infarto encefalico (compare più tardivamente a causa dell'anatomia delle carotidi), se interessa i
vasi degli arti può dare lesioni ischemiche delle estremità (tipiche di soggetti con disordini
metabolico-ormonali come il diabete), se collocata in aorta può provocare patologie aneurismatiche
(caratteristiche anche se non esclusive dell'età adulta avanzata).
La storia dell'aterosclerosi si avvale di una terminologia generale che indica vari tipi di
lesioni:
1. Le placche intimali di tipo gelatinoso si ritrovano solo in età estremamente precoce, ma il
loro significato è dibattuto: non è detto che siano lesioni aterosclerotiche vere e proprie
anche perché impegnano regioni dell'albero vascolare che normalmente non sono coinvolte
nell'aterosclerosi avanzata; sembrerebbero perciò più un fenomeno di rimaneggiamento
della parete vasale.
2. Le strie lipidiche sono la prima lesione che ci fa pensare effettivamente ad una placca
aterosclerotica: sono delle strie, piccoli rilievi quasi impercettibili, giallastri, che sono
espressione dell'accumulo di lipidi, specialmente colesterolo ed esteri del colesterolo,
all'interno delle cellule muscolari lisce; sono, perciò, accumuli intracellulari generalmente
reversibili: in questo tipo di placche si osserva un fenomeno dinamico, con cellule che
accumulano lipidi e cellule che li perdono o li degradano. Le cellule ricolme di materiale
lipidico vengono dette “foam cells”.
3. Edema gelatinoso : lo nominiamo ma lo tralasciamo.
Il concetto essenziale che bisogna ricordarsi è che finché il materiale lipidico è contenuto
all'interno della cellula non costituisce un dato molto significativo perché le cellule sono comunque
in grado di metabolizzarlo; il problema insorge quando l'accumulo intracellulare determina la morte
cellulare per danno diretto o per apoptosi, inducendo il rilascio degli esteri del colesterolo
all'esterno, nell'interstizio della placca: essendo i lipidi particolarmente irritanti dal punto di vista
metabolico, una volta fuoriusciti evocano una serie di risposte endoteliali tra cui una reazione
fibrogenica con la formazione del cappuccio fibroso, una sorta di guaina che ha il senso di inglobare
e circoscrivere il materiale lipidico fuoriuscito. Di conseguenza la
4. placca aterosclerotica vera e propria sarà così costituita: un core lipidico circondato da
un cappuccio fibroso; la formazione del cappuccio non significa che il fenomeno si
fermi a questo punto: l'accumulo stesso di lipidi richiama cellule infiammatorie in loco,
quali monociti-macrofagi e istiociti, che determinano fenomeni di necrocsi, di
rimaneggiamento della placca.
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Del resto, l'ipotesi che l'aterosclerosi sia una patologia degenerativo-infiammatoria è ormai
da tempo consolidata: nei pazienti con aterosclerosi importante si è osservato un aumento della PCR
e ciò ha portato alla formulazione di una “teoria infettiva”, che correla la formazione di placche ad
eventi infettivi importanti. Le cellule infiammatorie richiamate nel tentativo di degradare i lipidi
rilasciano una serie di enzimi che, essendo però aspecifici, degradano assieme ai lipidi anche le
componenti della parete endoteliale e della placca stessa, erodendola dall'interno. Oltre a ciò
bisogna considerare che l'ispessimento della parete vascolare determina ipossia delle cellule della
parete con rilascio di fattori angiogenici in seguito all'attivazione dell'HIF: i fattori angiogenici
stimolano la formazione di nuovi vasi, piccoli e dalla parete sottile, che dovrebbero supplire alle
richieste di ossigeno della parete vasale(il processo prende il nome di ricanalizzazione della placca):
nei fatti, però, il tentativo di vascolarizzazione si può definire abortivo perché la parete dei neovasi,
in quanto sottile, va facilmente incontro a rotture; di conseguenza non solo non è permessa
un'opportuna ossigenazione dei tessuti ma il sangue che viene così rilasciato nel core della placca
contribuisce, assieme ai lipidi extracellulari e all'eventuale materiale necrotico già ivi presenti,
all'ingrossamento della placca stessa e quindi all'occlusione del vaso in cui la placca si è formata.
La progressiva erosione del vaso, di cui si è parlato prima, causa inoltre alterazioni a carico
dell'endotelio, con il conseguente suo distacco e la formazione di fenomeni trombotici che possono
occludere il vaso localmente o distaccarsi come emboli e occludere vasi disposti più a valle.
Per riassumere, la placca aterosclerotica è quindi una lesione focale; in una placca “classica”, cioè
ben definita o matura, che dir si voglia, è possibile riconoscere tre componenti fondamentali:
1. il core, l'area centrale contenente lipidi, colesterolo e suoi esteri, aree necrotiche;
2. il cappuccio fibroso, costituito da fibre collagene e rare fibre elastiche;
3. un'area più periferica molto eterogenea.
Qual'è la patogenesi dell'indurimento arterioso? La formazione focale di una placca
aterosclerotica determina un decubito, cioè un accumulo di materiale poggiante sulla parete
vascolare: ciò causa un rimaneggiamento della parete stessa, in particolare della tonaca media, le
cui fibrocellule muscolari vanno incontro ad atrofia progressiva, fino ad essere in parte o del tutto
sostituite con tessuto fibroso; la perdita della componente muscolare liscia determina una riduzione
della tonicità ed elasticità vascolari, quindi un indurimento della parete, come il termine stesso
etimologicamente suggerisce (questo fenomeno, associato alle variazioni in senso turbolento del
flusso ematico, può portare a sfiancamento della parete vascolare e ad aneurismi); ecco spiegato
come mai, benché la lesione sia localizzata nella tonaca intima, l'indurimento riguardi la parete in
toto.
Vista la generalità dell'aterosclerosi, ora vediamo alcune situazioni specifiche in cui
intervengono le lesioni ateromatiche.
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L'aterosclerosi coronarica
È responsabile delle cardiopatie ischemiche e può essere sia monodistrettuale, ovvero
interessare solo una delle diramazioni coronariche, oppure pluridistrettuale, e interessare due o più
diramazioni.
Generalmente può interessare uno qualsiasi dei rami: la coronaria destra, coi suoi rami
marginale destro e interventricolare posteriore, o la sinistra, con i suoi due rami circonflesso e
interventricolare o discendente anteriore. Poiché le coronarie rappresentano dei vasi di medio
calibro (nei loro rami più grossi le coronarie raggiungono un diametro di appena 5 mm) una placca
determina notevole riduzione del lume e del flusso. Vari sono i meccanismi di riduzione del lume
vascolare :
− per ulcerazione o trombizzazione della placca;
− per disseccamento e rottura della placca;
− per emorragia intramurale ed espansione della placca;
− per aneurismi
− per spasmo indotto da sollecitazioni di natura irritativa da parte della placca sulle
fibrocellule muscolari lisce della tonaca media, laddove conservata.
Prima di parlare diffusamente dell'aterosclerosi coronarica bisogna focalizzare l'attenzione sulla
arteriolosclerosi: essa fa parte delle patologie aterosclerotiche (come tale è, quindi, una patologia
degenerativa della parete vascolare) e consiste in un indurimento della parete delle arterie di piccolo
calibro. È correlata prevalentemente con l'ipertensione e ve ne sono diverse forme: la più comune è
l'arteriolosclerosi cosiddetta ialina, caratterizzata da accumulo nell'intima e nella media di materiale
omogeneo, eosinofilo (si colora in rosso con la colorazione ematossilina-eosina). È localizzata
soprattutto in quegli organi che soffrono maggiormente l'ipertensione, quali il rene: le arteriole
afferenti glomerulari e le arterie arciformi sono particolarmente colpite da fenomeni di
ialinizzazione. È un processo benigno, nel senso che progredisce lentamente e dà segno di sé solo in
una fase avanzata: nei soggetti predisposti, come gli anziani, può dar luogo ad una insufficienza
renale cronica. Nei soggetti diabetici le alterazioni arteriolosclerotiche sono più precoci e danno un
quadro noto come microangiopatia diabetica, che, sebbene coinvolga in particolare il rene, in realtà
interessa vari organi ed è alla base dei fatti ischemici alle estremità, con conseguenti ulcerazioni.
Al contrario dell'aterosclerosi, nel caso dell'arteriolosclerosi il coinvolgimento di vasi di
piccolo calibro rende più difficoltoso l'intervento terapeutico e più difficile un compenso
emodinamico: quando sono ostruite le grosse arterie è più frequente che si realizzino circoli
anastomotici vicarianti, mentre se l'ostruzione riguarda il microcircolo le anastomosi si instaurano
più difficilmente.
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Esistono altre due forme di arteriolosclerosi, meno frequenti:
− l'arteriolosclerosi iperplastica, in cui c'è iperplasia concentrica “a bulbo di cipolla” delle
fibrocellule muscolari della tonaca media;
− l'arteriolosclerosi necrotizzante, in cui, nel contesto di una parete in cui vi è già un quadro di
arteriolosclerosi ialina, si formano delle aree di necrosi fibrinoide; quando si osserva in una
arteriolosclerosi ialina renale è indice di una rapida progressione del danno renale con
un'accelerazione verso l'insufficienza renale (il quadro associato di arteriolosclerosi ialina e
arteriolosclerosi necrotizzante prende il nome di nefroangiosclerosi maligna).
Cardiopatie ischemiche
Con il termine di cardiopatie ischemiche intendiamo le malattie ischemiche del miocardio,
cioè tutte quelle malattie dovute a riduzione o arresto completo del flusso arterioso a livello del
miocardio. La situazione clinica più comune legata a queste patologie è l'angina pectoris (dolore di
petto), ma non ne parleremo perché non ha un correlativo anatomo-patologico (anche perché
nessuno muore di angina pectoris). Poi c'è l'infarto miocardico: la distinzione con l'angina è dovuta
al fatto che nell'infarto la riduzione del flusso ha avuto un'entità tale o una durata tale da causare un
danno necrotico a i tessuti.
Nella cardiopatia ischemica cronica invece c'è una riduzione del flusso non acuta ma cronica, tale
da non determinare la morte dei tessuti ma da stimolarne un rimaneggiamento in senso
degenerativo, per cui il miocardio si adatta ad una condizione ipossica cronica: riduce il proprio
metabolismo, riduce le proprie fibre con fenomeni di atrofia e, infine, può comunque andare
incontro a fenomeni fibrotici o sviluppare piccole aree disseminate di necrosi infartuale; si può
giungere ad una condizione di cardiopatia ischemica cronica in seguito a una situazione di ipossia
cronica o per accumulo di più infarti, che riducono l'area di miocardio funzionale, ma nessuno dei
quali ha determinato l'exitus.
L'ultimo evento associato a cardiopatia ischemica coronarica è la morte improvvisa coronarica: in
questo caso l'occlusione coronarica è seguita dalla generazione di una aritmia che impedisce il
regolare ciclo cardiaco e provoca morte subitanea: il cuore dell'individuo all'esame autoptico non
presenta segni macroscopici di infarto perché semplicemente non hanno avuto il tempo di
manifestarsi. La cardiopatia ischemica coronarica rientra nel capitolo delle morti improvvise
cardiache (come quelle dovute a cardiomiopatia ipertrofica), le quali rientrano nel capitolo delle
morti improvvise, cioè non preventivate, per cause non cardiache (ad esempio, la rottura di un
aneurisma aortico).
Infarto del miocardio
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È la prima causa di morte nei paesi sviluppati dell'Occidente; ha una maggiore incidenza nel
maschio già nella quinta, sesta decade, mentre nelle donne l'incidenza maggiore si ha dai 70 anni, in
virtù della protezione dagli eventi ischemici del miocardio offerta alle donne dagli estrogeni
prodotti durante la vita fertile (addirittura si parla di due organi diversi: un cuore maschile e uno
femminile). I fattori di rischio sono gli stessi dell'aterosclerosi, con particolare importanza al fumo
di sigaretta, alla dieta lipidica ipercolesterolemica, all'ipertensione arteriosa e anche alla familiarità.
L'associazione di tutti questi fattori determina una maggiore precocità degli eventi infartuali.
L'infarto è dovuto ad una discrepanza tra il fabbisogno di ossigeno del miocardio e l'afflusso
di ossigeno. La coronarosclerosi è responsabile del più dell'80% degli eventi di infarto, il che vuol
dire che è la causa più frequente ma non l'unica; altre possibili cause sono:
-l'embolia coronarica, ovvero la possibilità che un embolo che si è formato all'interno del cuore, per
esempio nel caso di una endocardite valvolare, possa imboccare la via delle coronarie;
-l'ipoperfusione da ipotensione generalizzata;
-arteriti: i vasi coronarici, in particolare quello del nodo atrioventricolare, possono essere, anche se
raramente, sede di panarteriti nodose;
-vasospasmo: di quest'ultimo non è possibile individuare un correlato anatomico, a differenza delle
altre cause di infarto miocardico, che lasciano un segno anatomicamente rilevabile (placca, embolo,
tessuto infiammato). Il vasospasmo deve essere persistente e prolungato per poter dare la morte per
infarto.
Un infarto può essere differenziato in:
• transmurale: quando coinvolge tutto lo spessore della parete cardiaca risparmiando nel
migliore dei casi una sottile rima di tessuto endocardico, che riceve ossigeno per diffusione
diretta dal sangue contenuto nelle cavità cardiache, e una sottile rima epicardica, che riceve
sangue da rami coronarici superficiali pervi; generalmente è voluminoso e si estende per 2-
3,5 cm2 ; di solito coincide con la distribuzione coronarica;
• subendocardico: colpisce la metà o il terzo interno della parete perlopiù in maniera
circonferenziale; spesso è molto esteso e non ripete la distribuzione coronarica. Solitamente
la sede più colpita è il ventricolo sinistro.
Si tratta di due infarti completamente diversi: quello transmurale è da attribuire all'occlusione di un
grosso ramo epicardico o di una sua ramificazione minore; quanto più prossimale è l'occlusione
tanto più ampia è l'area colpita, che coincide con l'area di distribuzione della coronaria. Questo è un
infarto per occlusione, ma vi possono anche essere infarti in cui l'ischemia non è dovuta ad
occlusione di un ramo coronarico (infarti non dovuti ad occlusione) bensì ad una forma diffusa di
aterosclerosi coronarica: in condizioni fisiologiche, quando si passa da un battito a livelli basali a
uno accelerato per aumentata richiesta di ossigeno, la elasticità e tonicità dei capillari permette una
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risposta adattativa più rapida ed efficace; quando però tutti i capillari sono interessati da
aterosclerosi, questa funzione viene meno e un deficit, che a riposo passa inosservato, può tradursi,
sotto sforzo, in una discrepanza tra fabbisogno del miocardio e rifornimento di ossigeno (ischemia
relativa) che porta ad un infarto subendocardico estremamente diffuso.
Dal punto di vista terapeutico questa distinzione ha una elevata importanza: nel primo caso si può
agire con terapia trombolitica localizzata, nel secondo l'unica soluzione è il bypass autocoronarico.
In linea generale ormai, almeno dal punto di vista autoptico, la forma di infarto più frequente è
quello non dovuto ad occlusione, perché l'altro tipo ha più chances di essere risolto.
Nell'infarto c'è una sorta di “cronologia”: il danno si distribuisce, secondo un'onda
ischemica a partire dall'endocardio per poi risalire nello spessore della parete; è quindi importante
circoscrivere l'evento ischemico, agendo per tempo in maniera da evitare la diffusione dell'onda
ischemica.
Modelli di circolo coronario
Il tipo di infarto dipende
molto dal tipo di distribuzione
anatomica coronarica; a questo
proposito distinguiamo tre
modelli di distribuzione del
circolo coronarico:
• dominanza dx (nel 60%
della popolazione):
l'arteria interventricolare
posteriore origina dalla
coronaria di destra; una
occlusione di questa
arteria determina un
infarto esteso alla parete
posteriore del ventricolo
sx, al setto
interventricolare, a parte
della parete posteriore
del ventricolo dx;
• dominanza sx (nel 25%
della popolazione):
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l'arteria interventricolare posteriore origina dalla coronaria di sinistra, perciò un'occlusione
della coronaria destra provoca infarto essenzialmente in una piccola porzione del setto
interventricolare e della parete posteriore del ventricolo destro)
• distribuzione bilanciata (nel restante 15%): l'arteria interventricolare posteriore origina sia
dalla coronaria sx che dalla dx; di conseguenza un'occlusione della coronaria dx in questa
situazione è meno grave che nelle prime due.
Sedi dell'infarto
Ad essere maggiormente colpito dall'infarto è il ventricolo sinistro: poiché la sua forza di
contrazione deve essere elevata per poter spingere il sangue nel circolo sistemico attraverso l'aorta,
elevato è anche il suo consumo di ossigeno e maggiori saranno i danni in situazioni di ischemia.
L'infarto del ventricolo destro si verifica ma meno frequentemente per i motivi suddetti; inoltre,
anche quando si verifica, vista la ridotta forza contrattile esercitata dal ventricolo destro, il danno ha
ridotte conseguenze dal punto di vista funzionale.
A seconda della coronaria ostruita si possono avere varie sedi di infarto, più o meno ampie
in base alla posizione del punto ostruito:
• infarto anterosettale: coinvolge la parete anteriore del ventricolo sx e la parte anteriore del
setto interventrivolare ed è dovuto ad ostruzione del ramo discendente anteriore dell'arteria
coronaria sx;
• infarto posterosettale: coinvolge la parete posteriore del ventricolo sx e la parte posteriore
del setto interventricolare ed è dovuto ad ostruzione del ramo discendente posteriore in
dominanza destra oppure del ramo circonflesso in dominanza sinistra;
• infarto laterale: coinvolge solo la parte laterale del ventricolo sx ed è dovuto ad ostruzione
del ramo circonflesso dell'arteria coronaria sx in dominanza destra (in quanto la restante
parte del ventricolo viene fornita dal ramo discendente posteriore derivante dalla coronaria
dx);
• infarto lateroposteriore: coinvolge un'area più ampia del ventricolo sx rispetto all'infarto
laterale ed è dovuto all'occlusione del ramo circonflesso in dominanza sinistra (in quanto in
questo tipo di dominanza il ramo circonflesso fornisce non solo la parte laterale del
ventricolo ma anche il ramo interventricolare posteriore).
Modificazioni macroscopiche e microscopiche nell'infarto
I cambiamenti macroscopici intervengono piuttosto tardivamente, circa 12- 15 ore
dall'evento ischemico: è quindi necessario che l'individuo sopravviva almeno 12-15 ore all'infarto
perché possano essere evidenti le alterazioni morfologiche. A seconda delle alterazioni riscontrate
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possiamo studiare la progressione dei danni:
1. dopo 12-15 ore: l'area infartuata appare pallida, perché povera di sangue, ed edematosa;
2. dopo 24-36 ore: l'area presenta un centro opaco giallastro di cellule degenerate circondate da
un alone emorragico dovuto ai vasi dilatati per le reazioni infiammatorie conseguenti alla
lesione;
3. dopo 3-4 giorni: l’area necrotica viene rimaneggiata perché intervengono una serie di
fenomeni(infiltrazione flogistica, ecc) che rimuove la porzione necrotica e
conseguentemente la zona diventa più cedevole e anche il confine emorragico diventa molto
più netto, di colore grigio rossastro;
4. a 3 settimane: la necrosi viene eliminata e ciò porta ad assottigliamento della parete cardiaca
e a sviluppo di fenomeni fibrotici con formazione di una prima cicatrice marrone;
5. a 3 mesi: la cicatrice si è ormai stabilizzata e ha assunto un colore bianco.
Le alterazioni microscopiche sono invece più precoci: entro 6 ore compaiono già i primi
segni di sofferenza cellulare, che bisogna indagare per poter evitare il progredire del danno;
1. comparsa neutrofili e rilevamento del danno cellulare attraverso la valutazione degli enzimi
normalmente sequestrati all'interno delle cellule e l'esame citologico per rilevare eventuali
figure nucleari picnotiche tipiche della necrosi;
2. riduzione dei neutrofili e aumento dei macrofagi, dei linfociti e delle plasmacellule;
3. aumento proliferazione dei fibroblasti e incremento della deposizione di fibre collagene per
la formazione della cicatrice;
4. fenomeni angiogenici.
Per quanto riguarda la necrosi, una particolare figura citologica è rappresentata dalla necrosi a
bande di contrazione: le bande sono dovute alla sovrapposizione delle fibre dei miocardiociti in
seguito alla degradazione delle estremità (le fibre si sfilacciano) oppure a causa dell'alterato legame
con l'ATP (le fibre di miosina non lo legano e perciò rimangono saldamente ancorate all'actina,
determinando contrazione persistente.
Mortalità, letalità e complicanze dell'infarto miocardico
Il 20-25% dei pazienti muore nelle prime ore dall'infarto, il 10-15% nel primo mese, il 3-5%
per ogni anno successivo, il 50% muore entro 5 anni. L'elevata percentuale di morti già nelle prime
ore si spiega con una serie di fattori che seguono l'evento infartuale: infatti non può essere la necrosi
la causa della morte, avendo visto che spesso le aree di necrosi sono molto piccole o addirittura il
paziente non sopravvive abbastanza a lungo per permettere la loro manifestazione macroscopica.
La morte è perciò dovuta ad altri eventi:
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• morte improvvisa (nel 70% dei casi) da arresto cardiaco per asistolia da blocco di
conduzione, in quanto le fibre del sistema di conduzione risultano coinvolte nei danni; può
essere dovuta anche alla fibrillazione ventricolare seguente allo scombussolamento del
sistema si conduzione;
• dissociazione elettromeccanica: il sistema di conduzione è a posto ma è il miocardio
contrattile ad essere stato danneggiato dall'infarto e a non rispondere agli stimoli elettrici;
• shock cardiogeno: la ridotta contrattilità determina una ridotta gittata cardiaca e di
conseguenza aggrava l'ischemia;
• insufficienza congestizia: viene di conseguenza allo shock cardiogeno e alla dilatazione
ventricolare da ipocontrattilità, poiché il sangue che si accumula nel cuore senza poter essere
efficientemente espulso ristagna, determinando sovraccarico del circolo polmonare, con
edema polmonare.
Oltre a questo, chi riesce a sopravvivere all'infarto può sviluppare delle complicanze gravi, che a
loro volta possono portare a morte:
• trombosi murale: le alterazioni a carico dell'endocardio dovute alla stasi vascolare ne
modificano le proprietà anticoagulanti, causando la formazione di trombi sulla parete
luminale che, finché il paziente è allettato rimangono in situ, ma quando il paziente si alza o
fa sforzi eccessivi o, ancora, quando il trombo stesso si frammenta in seguito a fenomeni di
rimaneggiamento, possono dare complicanze tromboemboliche;
• pericardite epistenocardica: è un'infiammazione che si sovrappone (epi) all'area di ischemia
(stenocardia) e che può provocare una reazione infiammatoria di tipo sierofibrinoso, che
causa sfregamento dei due foglietti pericardici ad ogni battito cardiaco e fenomeni di
aderenza cicatriziale tra i foglietti stessi;
• disturbi del ritmo: possono essere costanti, quando sono dovuti a danni permanenti a carico
del miocardio di conduzione, oppure (come succede frequentemente nel caso del nodo
senoatriale, irrorato da un vaso dedicato) momentanei, in seguito ad alterazioni, come
l'edema, del tessuto che circonda il nodo e che può alterarne il funzionamento: risolto
l'edema il miocardio di conduzione riprende la sua attività;
• aneurisma cronico: è dovuto a formazioni di aree fibrotiche che in sistole accolgono il
sangue entro sé, in diastole si sfiancano e lo reimmettono nel lume ventricolare; questi
continui cicli determinano uno sfiancamento della parete fino allo sviluppo di aneurismi,
distinti dall'espansione acuta, in quanto quest'ultima è dovuta ad uno sfiancamento rapido
della parete cardiaca già assottigliata dai continui rimaneggiamenti fibrotici; il risultato della
fragilità di parete può essere la:
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• rottura di cuore: si può rompere la parete libera (provocando travaso di sangue in pericardio,
con tamponamento cardiaco), i muscoli papillari (provocando insufficienza valvolare), il
setto atrioventricolare (provocando la formazione di shunt artero-venosi).
18/04/2012 anatomia patologia
Sbobinato da : Gaia professor Marzullo
Corretto da: Boris
INFARTO MIOCARDICO ACUTO
Ricapitoliamo gli aspetti della cardiopatia ischemica ,abbiamo cercato di capire qual è la patogenesi
dell’infarto; abbiamo distinto due entità importanti che sono:
• l’infarto subendocardico quello diffuso, quello associato ad ostruzione non coronarica con la
malattia di uno ,due ,tre vasi coronarici, e lo abbiamo distinto
• dall’infarto intramurale dovuto all’ostruzione generalmente di un singolo ramo coronarico
cioè da sub-endocardico a sub-epicardico a epicardico .
Ci siamo chiesti quali sono i substrati morfologici sia macroscopici che microscopici, la tempistica,
cioè la cronologia dell’infarto, che è estremamente importante per datare l’infarto e poi ci siamo
posti il problema “perché si muore d’infarto ?”e abbiamo scoperto che non solo la mortalità è più
elevata nelle prime ore dell’infarto e questo ci fa capire i meccanismi dell’onda ischemica che si
propaga dal momento zero fino nel corso delle ore,ma anche che tanto è precoce l’intervento tanto è
maggiore la possibilità di ridurre l’estensione dell’area necrotica. Si muore d’infarto
prevalentemente per disturbi di tipo aritmico per l’insorgenza di aritmie fatali generalmente ad alta
frequenza come la fibrillazione ventricolare o per incapacità del miocardio di rispondere allo
stimolo elettrico cioè per dissociazione elettromeccanica quindi la persistenza di un complesso QRS
ovvero di un’alterazione ECG minima cui non corrisponde un’effettiva efficacia contrattile del
cuore e poi siamo andati su quelle che sono le alterazioni più grossolane che sono lo shock
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cardiogeno cioè l’incapacità contrattile del cuore o ancora la rottura del cuore stesso sia della parete
libera sia del setto sia del muscolo papillare, sono tre eventi possibili a seconda di dove è
l’ostruzione e rispettivamente questo determina:
1. un tamponamento cardiaco nel caso della rottura della parete libera,
2. uno shunt sinistro- destro nel caso della rottura del setto interventricolare con iperafflusso
polmonare e quindi conseguentemente un edema polmonare oppure
3. una insufficienza valvolare acuta quando si ha la rottura dei muscoli papillari o di un
muscolo papillare(ricordate il muscolo non è una struttura tendinea che non essendo
vascolarizzata ed essendo molto tenace non può rompersi).
Abbiamo detto che la rottura del cuore come evento è molto più probabile in termini percentuali
ma non è particolarmente frequente(il 10% delle morti per infarto acuto ,e non delle morti
complessive),è maggiormente frequente in quei soggetti di età avanzata dove vi è sia
un’insufficienza maggiore dei circoli collaterali ,sia una minore sensibilità al dolore(si dice l’infarto
del vecchio-vecchio) è privo o povero di tutto quel corredato sintomatologico che l’infarto classico
da (la pre-cordialgia e l’irradiazione brachiale etc…); questo evidentemente fa si che ci si renda
conto più tardivamente di questo evento e quindi la rottura è un evento più probabile. Nei soggetti
di sesso femminile questo evento è più frequente soprattutto al primo infarto là dove non vi è stata
la possibilità dovuta all’insorgenza più tardiva di aterosclerosi, un fattore importante per la
patogenesi di creare un circolo collaterale, e quindi la mancanza di un circolo collaterale fa si che il
primo infarto là dove si determina possa essere più distruttivo quindi catastrofico. Anche
l’ipertensione è un fattore aggravante visto che le maggiori pressioni inter-intra ventricolari
,facilitano appunto la rottura e la lacerazione cardiaca; una parete sottoposta ad una maggiore
tensione (nei soggetti ipertesi) conseguentemente ha un rischio della rottura maggiore, e
soprattutto è importante ricordare che la rottura è meno difficile al primo infarto. Questo perché al
primo infarto non vi sono circoli collaterali che compensano con rami perforanti diagonali il circolo
coronarico ( in qualche maniera circoscrivendo l’evento infartuale) e anche perché al primo infarto
il cuore non ha tutti zone di fibrosi e cicatrici tenaci; al contrario le pareti muscolari si possono
lacerare con più semplicità : praticamente un soggetto più infarti fa e minore è il rischio di rottura .
La rottura dei muscoli papillari può essere completa o incompleta a seconda se vi è una lacerazione
completa del muscolo e quindi questo si stacca di netto oppure può essere incompleta e
naturalmente il grado di insufficienza valvolare mitrale che si può ottenere varia al variare del
danno.
La rottura della parete libera non è un evento catastrofico dal punto di vista morfologico ma appare
come un minuscolo buchino attraverso il quale però a causa della pressione ventricolare sinistra
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fuoriesce nell’unità di tempo una certa quantità di sangue. Se poi si considera che il pericardio
parietale è rigido (a differenza del pericardio viscerale che è molle e si adatta) possiamo
immaginare che pompando una grande quantità di sangue in esso questo diventa ancora più rigido e
opporrà la sua forza; ecco perché si crea il tamponamento. Ma se per ipotesi si immette una quantità
di liquido anche 5 volte superiore molto lentamente il sacco pericardico finisce per adattarsi; quindi
il meccanismo del tamponamento non è soltanto una certa quantità di sangue ma nell’unità di tempo
cioè vale a dire in un tempo breve, perché questo da il tamponamento il fatto che il sacco diventa
rigido e quindi impedisce la dilatazione diastolica quindi il movimento del cuore all’interno. Se la
stessa quantità di sangue fosse (300-400 cc) immessa nel sacco pericardico lentamente, goccia a
goccia questo darebbe un versamento pericardico (fusion) ma non un tamponamento perché il sacco
pericardico si adatterebbe, quindi è un fatto dinamico. Ricapitolando il tamponamento è determinato
dalla fuoriuscita di 200-300-400cc di sangue in un lasso di tempo breve. (quando vi è un
emopericardio tutto appare blu-violaceo perché il pericardio è stirato ed è compresso da tutto il
sangue che è contenuto all’interno)
CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA
Rappresenta tutte quelle alterazioni a cui il cuore va incontro non solo per ripetuti infarti (per cui
l’area cardiaca che è compromessa è progressivamente crescente e si ha una riduzione della sua
capacità di contrazione ) ma anche perché vi è una compromissione di tutto il circolo coronarico che
determina una progressiva atrofia della componente miocitaria cioè delle fibre muscolari cardiache
e questa progressiva atrofia si traduce in un rimaneggiamento e in una sostituzione della
componente miocitaria da parte di una componente fibrosa. Quindi esistono due vie per arrivare allo
stesso risultato:
• colui che fa più infarti sintomatici
• o colui con una coronaro-sclerosi tri-vascolare severa.
Il problema della cardiopatia ischemica cronica è che:
• proprio perché la componente muscolare progressivamente si riduce , viene
sostituita da tessuto fibroso,
• si ha uno sfiancamento della cavità ventricolare sinistra perché il cuore cede sotto
la pressione e la tensione endocavitaria sfiancandosi,
• le pareti si assottigliano progressivamente ovvero le fibre muscolari residue si
ipertrofizzano ma non in senso trasversale il che si dovrebbe tradurre in un
aumento dello spessore, ma in senso longitudinale ;
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Quindi c’è l’allungamento delle fibre locali, uno stiramento di quelle residue, la riduzione
numerica delle fibre stesse, la sostituzione del tessuto fibroso si traduce progressivamente in uno
sfiancamento. Lo sfiancamento e la dilatazione della cavità ventricolare è un evento dannoso
perché intanto il cuore si contrae di meno perché c’è una ridotta componente muscolare e dall’altro
aumentandosi e sfiancandosi aumenta sempre di più la quota di sangue che rimane stabilmente
nella cavità ventricolare, cioè quella porzione “morta” o ipo-mobile o comunque che rimane lì
stanziale, che pertanto è un accumulo cronico di deficit perché il cuore non riesce a pompare e
conseguentemente si sfianca ma sfiancandosi aumentano i diametri e fa ancora più difficoltà,
quindi alla fine il paziente muore non perché avrà un infarto, ma perché va incontro ad un
fenomeno di scompenso cardiaco cioè un’ insufficienza di pompa che evidentemente darà una
riduzione della gittata cardiaca, un sub edema polmonare e così via; quindi questo paziente va
incontro ad uno scompenso cronico, ma presenta un rischio maggiore di sviluppare aritmie (visto la
disomogeneità della parete che diventa a chiazze muscolari e fibrose), che a loro volta
compromettono ulteriormente l’efficienza contrattile. Quindi sono pazienti che possono mettere
pace-maker, fibrillatori e quant’altro di questa terapia in questa evoluzione lenta ma progressiva.
Tutta questa situazione di scompenso può determinare:
o una ipertensione polmonare soprattutto per stasi venosa ovvero a livello dilatazione atriale
sinistra,
o sovraccarico delle vene polmonari e poi aumento delle pressioni endopolmonari e
conseguentemente tutti gli eventi che possono accompagnarsi perché dal circolo
polmonare , la tricuspidalizzazione di tutti questi eventi che però rispetto alle patologie
valvolari, mitraliche in particolare, procedono con una certa lentezza nel senso che sono
eventi che hanno un decorso estremamente lungo,
o congestione epatica cronica
o ascite
o effusione polmonare
o congestione splenica cronica
o congestione polmonare cronica
o edema
Un altro evento importante è la morte improvvisa coronarica che può essere espressione di un
aritmia fatale immediata che non dà luogo per il tempo in cui si è determinata, all’infarto stesso ma
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alla comparsa appunto di un’ aritmia grave e in questo caso l’azione del defibrillatore sarebbe
risolutiva perché si è creata l’aritmia.
PATOLOGIE VASCOLARI PROPRIAMENTE DETTE
In questa categoria rientrano gli aneurismi che possono essere la conseguenza di un processo
aterosclerotico. Parleremo prima di aneurisma come tale e poi di aneurisma dissecante anche se
sarebbe meglio dire dissecazione aortica.
Dal punto di vista patogenetico l’aneurisma è una dilatazione permanente e progressiva della parete
arteriosa dovuta ad una alterazione strutturale della parete. Bisogna considerare ogni aspetto di
questa definizione:
1. in primo luogo permanente = irreversibile( al contrario dell’ectasia o arterectasia che è una
dilatazione reversibile che può ritornare indietro laddove viene meno il fattore che lo ha
causato) quindi l’aneurisma è una dilatazione permanente , irreversibile.
2. progressiva perché tende a dilatarsi, dovuta ad una alterazione dei costituenti parietali e ciò
fa si che la parete arteriosa si sfianchi in maniera permanente e irreversibile fino a creare le
complicanze tipiche.
Da un punto di vista patogenetico ,cioè la causa degli aneurismi, questi possono essere
o congeniti
o acquisiti.
Nel nostro habitus mentale se parliamo di congenito ci sarà un qualcosa mal formativo, il che è
vero purchè si concepisca questo evento mal formativo non soltanto come la malformazione perché
la malformazione vuol dire lo sviluppo diverso dalla norma, ma anche la malformazione in senso
più lato di una particolare predisposizione di quel soggetto a sviluppare questa alterazione, perché
la malformazione congenita può essere si presente alla nascita se il difetto è di formazione, ma può
svilupparsi anche nei primi anni successivi alla nascita o nell’adolescenza o anche in età giovane
adulta; quindi questo concetto può essere inteso sia come fatto malformativo anatomico sia come
predisposizione grossolanamente genetica a svilupparlo.
Questi aneurismi congeniti in senso lato sono dovuti ad una alterazione strutturale della parete un
termine che viene utilizzato in questo senso è le meiopragia, un’alterazione dei costituenti della
parete, dove vi è una discontinuità della componente elastica , una riduzione del tessuto elastico
oppure la perdita della componente muscolare. Quindi la meiopragia vuol dire un’alterazione dei
meccanismi che hanno portato alla formazione della parete, questo meccanismo determina una
specie di sfiancamento, cioè un punto di minor resistenza nel contesto della parete che
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progressivamente incontro ad una dilatazione, generalmente queste alterazioni, questi difetti della
costituzione della parete sono molto piccoli quindi può anche darsi che non diano segni di se,
poiché il loro progressivo sfiancamento è lento. Tuttavia laddove vi siano eventi concomitanti come
un’ipertensione arteriosa o quant’altro, questo sfiancamento progressivo dà luogo di se. Questi
aneurismi congeniti si localizzano prevalentemente a livello del circolo cerebrale soprattutto a
livello delle diramazioni dell’arteria cerebrale media nelle arterie comunicanti, tipo l’aneurisma di
Berry: questi sono degli aneurismi per lo più definiti a valle cioè molto piccoli delle dimensioni di
pochi mm, ma bisogna considerare che un aneurisma di pochi mm a livello del poligono di Willis
può essere un evento catastrofico se si rompe, ma anche se non si rompe in quanto può essere la
spia di fenomeni di decubito e compressivi .
Poi vi sono aneurismi di tipo acquisito e il meccanismo prevalente con cui si formano gli aneurismi
sono gli aneurismi aterosclerotici quindi quelli che coinvolgono rami di grosso calibro, il
meccanismo prevede che la placca decubiti sulla parete vascolare e ne determina un’atrofia e un
progressivo sfiancamento. Gli aneurismi aterosclerotici sono prevalentemente localizzati a livello di
quei distretti sottoposti a maggiore tensione come per esempio l’aorta addominale sottorenale , cioè
al di sotto dell’origine delle arterie renali ,oppure a livello delle biforcazioni delle iliache; queste
sono le localizzazioni classiche degli aneurismi aterosclerotici,ma va da se che gli aneurismi
aterosclerotici possano anche localizzarsi a livello dell’aorta sovra renale ,a livello dell’arco aortico.
Tra le forme di aneurisma acquisito naturalmente dobbiamo considerare anche altre forme come
quelle infiammatorie , infettive etc, che sono più rare.
Vanno differenziati dai cosiddetti aneurismi falsi nel senso che la rotture di un vaso può determinare
la fuoriuscita di sangue, il materiale ematico forma un ematoma cioè un versamento perivascolare
che si può circoscrivere e incapsulare , questo determina un’ alterazione del profilo della parete del
vaso, ma non è un aneurisma, la dilatazione è semplicemente dovuta all’accumulo di materiale
ematico coagulato nel contesto della parete con un’alterazione del profilo.
MORFOLOGIA-La patogenesi da un punto morfologico è che gli aneurismi possono avere diversi
aspetti infatti possono essere fusiformi, sacciforme, cirsoidei(a grappolo), cilindrici ,radicolari,
anulari e a bacca, la morfologia varia.
ETIOLOGIA-
o Gli aneurismi sono prevalentemente dovuti all’aterosclerosi;
o possono essere anche post-traumatici perché anche un trauma può determinare un
indebolimento della parete che poi per fenomeni riparativi di tipo cicatriziale può
determinare uno sfiancamento(immaginate un trauma contusivo profondo per esempio la
penetrazioni in seguito ad incidente stradale di uno sterzo in addome, determina un danno,
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il paziente recupera dal danno stesso però intanto si è lesionata la parete del vaso arterioso o
di un vaso minore e questo determina un progressivo sfiancamento della parete con la
formazione di un aneurisma);
o oppure possono essere aneurismi da processi infiammatori come la lue cioè la sifilide
soprattutto nella lue secondaria può essere responsabile di aneurismi in particolare
dell’aorta ascendente, dell’arco che è una sede caratteristica della sifilide;
o possono essere aneurismi da erosione cioè la parete si può indebolire perché vi è nella in
contiguità un processo infiammatorio per esempio di un parenchima che si estende dal
parenchima di un organo vicino anche alla parete del vaso e lo erode dall’estrerno, quindi vi
è un’infiltrazione flogistica che coinvolge l’avventizia e quindi anche la tonaca media ne
determina la sostituzione fibrosa e cicatriziale e quindi il progressivo sfiancamento. In
questo caso l’aneurisma aderisce tenacemente all’organo da cui è partito il danno(per
esempio a livello renale, o dal granulare adiposo si può avere una fibrosi retro peritoneale
che coinvolge la parete arteriosa e determina sfiancamento e aneurisma) poi abbiamo
flogosi purulente, da tubercolosi ,pan arterite;
o poi ci sono forme ipotizzate emboliche cioè il danno infiammatorio della parete arteriosa
può avvenire sia per contiguità di un organo vicino, che per diffusione embolica i cosiddetti
emboli settici una volta detti micotici che colpiscono la parete dando il danno.
o da cause meccaniche, inizialmente non sono dei veri e propri aneurismi, ma determinano
delle dilatazioni post stenotiche( immaginate un paziente con stenosi valvolare dell’aorta
con restringimento della semilunare aortica questo determina a monte del restringimento un
aumento della pressione endo-ventricolare quindi immaginate che per forzare l’ostruzione
la pressione deve essere superiore ne consegue che il getto di sangue per superare
l’ostruzione è molto più forte, quando fuoriesce dalla fessura sbatte in maniera forte sulle
pareti determinandone la progressiva dilatazione in questo caso all’ostruzione consegue una
dilatazione post-stenotica dovuta al fatto che la pressione del flusso all’interno del vaso è
aumentata ).
Gli aneurismi congeniti sono localizzati per lo più nel circolo di Willis , sono dovuti ad un’
intrinseca debolezza che viene fuori se si associa ad una condizione di ipertensione sistemica; sono
generalmente molto piccoli 1-2 cm con morfologia sacciformi o a bacca, il rischio più importante è
la rottura di questi aneurismi con conseguente emorragia sub aracnoidea. Questi sono eventi
occasionali, nessuno può sospettare di avere un aneurisma a bacca nel circolo di Willis per cui la
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rottura è un evento imprevedibile cioè è una causa di morte improvvisa ed è più temibile nei
soggetti ipertesi o che sono sottoposti a temporanei sforzi intensi, una piccola tensione può
slatentizzare un piccolo aneurisma presente nel circolo di Willis e determinare un’emorragia sub
aracnoidea. Va sempre sospettata in corso di una cefalea persistente che non regredisce con
antinfiammatori perché questi aneurismi a bacca possono essere sia singoli ma anche multipli cioè
a grappolo possono scatenare forti emicranie. L’aneurisma è un problema perché l’alterazione del
profilo vasale , la dilatazione, si accompagna a tutte le alterazioni della dinamica del flusso che da
normale diventa turbolento, il flusso turbolento determina un danno di parete, ovvero forma la
possibilità di formazione di trombi parietali che si auto mantengono cioè il trombo auto mantiene il
processo (nel senso che il trombo determina progressivamente la posizione di nuovo materiale che
viene ad essere stratificato). Quando si esegue la sezione di un aneurisma il lume non corrisponde
alla dilatazione che si nota osservando il profilo dell’aneurisma, il lume è sottilissimo al centro
perché la cavità è occupata da materiale trombotico; il trombo può determinare la diffusione di
emboli, si possono distaccare frammentini dal trombo e si ha una trombo-embolia .Immaginate che
se sono nell’aorta addominale questi emboli possono prendere la via delle iliache e possono
occludere i rami più piccoli degli arti inferiori determinando dei focolai ischemici diciamo distali
degli arti inferiori, questi pazienti con aneurisma dell’aorta addominale presentano una
sintomatologia ischemica può essere o diffusa perché questa massa decombe sulle iliache e le
comprime riducendo l’afflusso di sangue o anche per l’occlusione dei rami più distale, oppure la
diffusione di emboli la si può avere in seguito a traumi .
Un altro problema può insorgere in quanto un aneurisma essendo voluminoso anche 10-12 cm
( decorre strettamente all’ uretere sx) può comprimere l’uretere sinistro lo può schiacciare
determinando un ristagno di urina a monte e quindi una ectasia dei calici dovuta alla compressione
monolaterale del rene sinistro. Può verificarsi il decubito anche sulle strutture ossee per esempio
sulla colonna vertebrale, sullo sterno se è alto e la compressione sullo sterno può determinare
erosione, voi immaginate un corpo rigido pieno di trombi e spesso calcifico che sbatte
continuamente sull’osso lo erode e lo consuma (a livello dello sterno non è grave quanto a livello
dei corpi vertebrali in quanto si può avere un crollo della colonna vertebrale in prossimità
dell’aneurisma).
L’ultima complicanza è quella della rottura poiché lo sfiancamento progressivo, il decubito del
trombo può smagliare questa parete e può determinare un’ emorragia importante lenta e
progressiva, se l’aneurisma è addominale il sangue viene sequestrato nel cellulare adiposo retro
peritoneale e poiché il processo è lento si può sequestrare una notevole quantità di sangue(mezzo
litro o un litro di sangue) questo paziente dice solo di sentirsi debole spossato e stanco, quando si
effettua un emocromo lo si trova anemizzato. Se la smagliatura si allarga si ha un collasso alla fine
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si ha uno shock ipovolemico e il paziente muore improvvisamente per la rottura e si evidenzia un
ematoma retroperitoneale.
L’aneurisma aterosclerotico è il più frequente soprattutto nei soggetti di età adulta avanzata,
particolarmente maschi, soprattutto nell’aorta specie sottorenale, sono per lo più fusiformi e le
complicanze sono un evento frequente.
L’aneurisma luetico va segnalato perché speso associato ad una aterosclerosi intimale perchè la lue
secondaria determina una aterosclerosi accelerata , la caratteristica rispetto a quello aterosclerotico è
che riguarda l’aorta ascendente o l’arco e che può dare in questo senso un’insufficienza valvolare
aortica perché la dilatazione dell’arco determina una dilatazione dell’anulus aortico e
conseguentemente una incapacità della valvola di contenere il sangue, quindi si ha insufficienza
valvolare aortica ,può essere fusiforme cioè interessare la parete circonferenzialmente oppure
sacciforme, ma comunque caratteristico perché spesso nella parete vi è un infiltrato flogistico
costituito da plasmacellule. (49- 51 immagine).
ANEURISMA DISSECANTE- DISSECAZIONE O DISSEZIONE DELL’AORTA
Patologia che mostra caratteristiche comuni con l’aneurisma classico per esempio l’età media di
insorgenza è anche qui adulta avanzata, anche se qui è poco più precoce intorno alla sesta decade, in
questo caso il rapporto maschio-femmina è di 2-3 a 1. Presenta due picchi cioè due età di maggiore
incidenza, in particolare vi è un primo picco di incidenza in età giovane adulta(seconda ,terza
decade) questo è associato all’insorgenza di patologie degenerative spesso su base congenita del
tessuto connettivo tipo la sindrome di Marfan dove vi una sindrome del tessuto connettivo (una
collageno-patia in senso lato ). Un altro fattore di rischio è associato alla gravidanza(il 25% delle
dissezioni aortiche nelle donne si verifica in gravidanza)questi aneurismi si determinano soprattutto
alla fine della gravidanza o verso la fine della gravidanza in cui i meccanismi di adattamento del
tessuto connettivo dovuti all’azione dell’utero della cavità addominale (quindi vi è una maggiore
lassità del connettivo) che coinvolge anche i vasi per cui anche il vaso si adatta ad un maggiore
volume in quanto vi è una maggiore portata di sangue ; molto spesso avviene a livello dell’arteria
splenica.
La dissecazione aortica è più frequente nei soggetti ipertesi, in quanto una maggiore pressione
determina una maggiore sollecitazione meccanica delle pareti; è più frequente nei soggetti di colore
perché sono soggetti particolarmente sensibili al sale, quindi sono tendenzialmente più ipertesi o
reagiscono male all’ipertensione ecco perché molto spesso troviamo nei soggetti di colore cuori
ipertrofici voluminosi , una aterosclerosi precoce, sono molto sensibili all’assunzione di sale
soprattutto quelli che vengono “trapiantati” dai paesi di origine nei paesi occidentali dove
l’alimentazione è differente.
La condizione della dissezione aortica è particolarmente severa in quanto quando i pazienti non
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vengono trattati s ha più del 90% dei decessi.
Dal punto di vista anatomopatologico la dissezione aortica è dovuta allo scollamento cioè alla
separazione per lo più longitudinale dei 2/3 interni di 1/3 esterno della parete perché questo è
nell’ambito della costituzione della parete un punto di minore resistenza dovuto alla penetrazione
dei vasa vaso rum, che penetrano dall’esterno e si diramano. Il sangue arriva tra i 2/3 interni e il 1/3
esterno tramite una lacerazione intimo mediale si crea una breccia di ingresso attraverso la quale il
sangue dal lume del vaso penetra nel contesto della parete, trova la via più cedevole si fa largo nella
parete tra i 2/3 interni e il 1/3 esterno, dissecando ,scollando gli strati e trovandosi una via di
scorrimento nuova. Ovviamente la forza con cui scolla dipende dalla pressione, quindi in un
soggetto iperteso la forza di scollamento sarà maggiore.
La lacerazione intimo mediale cioè la breccia di ingresso si forma :
• nei 2/3 dei casi poco al di sopra del piano valvolare aortico cioè a circa 1-2 cm dal piano
valvolare, la breccia è netta sembra un colpo di bisturi, è tranciante ,spesso ha un decorso
circonferenziale
• in 1/3 dei casi nel tratto distale dell’arco o nella parte superiore dell’arco dell’aorta toracica
• più spesso è trasversale, lineare ,talvolta circonferenziale(più raro)
Da un pdv microscopico la medio necrosi cistica non è una necrosi ma è un fatto degenerativo con
rarefazione della componente elastica, non interessa la tonaca media bensì la componente elastica,
non è cistica perché non si formano cisti cioè cavità piene di materiale ma la perdita della
componente elastica crea delle lacune in cui si accumulano dei glicosamminoglicani che si colorano
con le colorazioni per le mucine.
EVOLUZIONE- ovvero quali sono i rischi della dissezione aortica:
• il sangue dissecando, lacerando la parete procede in senso anterogrado,cioè scavandosi un
altro percorso parallelo a quello originale, si crea un percorso a doppia canna, cioè la parte
interna e la parte esterna, se il sangue percorre la via esterna, il sangue che percorre la via
normale si riduce e ciò si traduce in una minore irrorazione degli organi tributari(per
esempio una dissezione della carotide interna il cui organo tributario è l’encefalo, determina
un sequestro di sangue a livello della parete che non si distribuisce, si forma una specie di
sacca che sequestra sangue ,riducendone la portata cardiaca si può dunque avere un collasso
cardiocircolatorio, un’ischemia cerebrale o multi organo, etc…)
• il sangue dissecando, può procedere in senso retrogrado, può dissecare il piano valvolare
aortico, i seni del Valsalva determinando il collasso dei lembi valvolari, e quindi può
determinare un’insufficienza valvolare aortica; dalla valvola può scendere giù in quanto la
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valvola è collegata al corpo fibroso del cuore conseguentemente il sangue può infiltrare il
corpo fibroso, il setto interatriale, poi il sangue scende ancora verso la porzione
membranosa del setto dove c’è il nodo atrioventricolare che può essere infiltrato e si ha un
blocco atrioventricolare;
• si può avere una stenosi dei vasi collaterali, immaginate la dissezione che va sull’arco, poi
arriva alle carotidi che vengono chiuse dal fatto che la guaina di sangue intorno comprime
la parte interna, si ha la stenosi delle collaterali con conseguente ischemia cerebrale, se
invece della carotide si disseca l’arteria renale si ha un’ischemia dell’intero rene.
• si può rompere la parete del vaso nelle zone più cedevoli e quindi dare se si rompe a livello
dell’aorta ascendente da un emopericardio, se si rompe nel torace da un emotorace, se si
rompe nel peritoneo da un emoperitoneo;
• è possibile che si crei una breccia di uscita, cioè a valle il sangue rompe l’intima e rientra nel
vaso e si crea un flusso nel flusso, il sangue si scaricea si scarica a valle. Questa è una
situazione positiva, migliorativa perché una parte del sangue ritorna in gioco e si può anche
cicatrizzare in quanto i 2/3 esterni e il 1/3 interno vengono a contatto, il sangue rallenta il
proprio flusso nel contesto della parete e coagula, si riorganizza e si forma una cicatrice; in
questo modo il paziente non solo è sopravvissuto ad un aneurisma dissecante, ma in più la
sua dissecazione aortica viene messa in sicurezza da eventuali recrudescenze perché la
parete cicatriziale dura e tenace non può più dissecare, e anche se la dissecazione avviene in
un altro punto la formazione di una cicatrice arresta la progressione del sangue.
FATTORI DI RISCHIO-
o ipertensione arteriosa
o coartazione aortica : è una patologia mal formativa in particolare è un restringimento
dell’istmo dell’aorta, dove era presente il dotto arterioso che è una struttura circolatoria
fetale che alla nascita viene progressivamente a chiudersi determinando una deformazione
del profilo e in alcuni casi un restringimento della zona istmica, che può essere anche
maggiore di ciò che fisiologicamente si ha, questo determina un’ostruzione e ciò determina
un’ipertensione a monte. Quindi il cuore deve pompare con maggiore forza per superare
l’ostacolo e si determina la formazione di collaterali sistemiche che connettono la porzione
sovra istmica con la porzione sotto-istmica; questi soggetti mostrano un maggiore sviluppo
della porzione superiore del tronco e un ipo-sviluppo delle estremità inferiore , oppure sono
quei soggetti in cui se si misura la pressione a livello degli arti superiori si trova una
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pressione di 160-170-180, ma se si misura agli arti inferiori risultano esser molto più basse
oppure in questi soggetti il polso carotideo è più forte del polso radiale. Questi soggetti sono
a rischio di sviluppare una dissezione aortica proprio perché le pressioni che vigono a
monte dell’ostruzione son estremamente alte.
o Aorta bicuspide: è molto frequente ritrovare in alcuni soggetti due cuspidi e ciò è un fatto
mal formativo dipende dalla fusione di due cuspidi e permane un rafe cioè l’esito della
fusione, oppure permane una cuspide anteriore e una posteriore. Queste bicuspidi poiché
lavorano male andranno in contro a calcificazione , possono essere sede di endocarditi
infettive (un endocardite valvolare aortica) proprio perché a livello della bi-cuspidia si crea
un flusso anomalo turbolento che danneggia l’endotelio che può rappresentare il substrato
di una localizzazione infettiva batterica. Infine la valvola aorta bicuspide si può associare a
dissezione.
Le spiegazioni patogenetiche sono due:
1. un po’ più filosofica in cui si afferma che da un punto di vista embriogenetico la
valvola fa parte tutt’uno dell’arco, e quindi si vi è una malformazione della valvola
è possibile che ci sia anche una malformazione dell’arco e conseguentemente la
bicuspide è una spia della malformazione dell’origine del’aorta e ciò facilita il
rischio di una dissezione, perché magari c’è un danno di parete che non si vede;
2. l’altra spiegazione è dovuta al fatto che nella valvola bicuspide vi sono delle
alterazioni di stenosi della valvola, una maggiore pressione endocavitaria, il getto di
sangue va a picchiare sulla parete in particolare sulla convessità dell’arco e ciò
determina un progressivo sfiancamento della parete e quindi vi è un maggiore
rischio di dissezione. Il rischio persiste in questi soggetti anche se si va a sostituire
tramite operazione la valvola, perciò i cardiochirurghi sostituiscono non solo la
valvola ma anche una porzione dell’arco aortico in modo tale di mettersi al sicuro.
o sindrome di Marfan
o gravidanza
CLASSIFICAZIONE CHIRURGICA
De Bakey è stato operato di aneurisma dissecante all’età di 100 anni dai sui allievi.
-Secondo classificazione di De Bakey gli aneurismi sono divisi in tre categorie:
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1. aorta ascendente e discendente
2. aorta ascendente
3. aorta discendente
-Daily e altri autori hanno classificato gli aneurismi in:
A) tipo I e II a prognosi infausta(comprende il tipo 1 e 2 De Bakey)
B) tipo III a prognosi migliore(COMPRENDE IL TIPO 3 De Bakey)
Quest’ultima classificazione è migliore da un punto di vista clinico perché in primo luogo i primi
due sono a prognosi infausta e il terzo è a prognosi migliore, il che è intuitivo perché se dall’aorta
discendente vengono saltati i vasi più importanti cioè quelli cerebrali la prognosi è migliore ma
comunque severa. L’altra differenza sta nell’approccio medico perché nel caso dalla 1 e 2 questo
paziente va operato anche se la mortalità intra operatoria è elevatissima; nel tipo 3 De Bakey questi
pazienti non hanno una terapia chirurgica perché questi pazienti non hanno una terapia chirurgica
perché il rischio della terapia chirurgica è maggiore rispetto ai rischi che avrebbe se non viene
operato, la terapia è medica cioè il controllo della della pressione arteriosa; la differenza oltre che in
termini prognostici sta anche nell’approccio. Quindi il tipo B che ha una prognosi migliore non
viene operato invece il tipo A che ha una prognosi più severa è passibile di intervento chirurgico.
VASCULITI
Viene sospettata la diagnosi di una vasculite sula base di parametri clinici e laboratoristici quindi la
biopsia del vaso per la diagnosi è un evento raro e talvolta autoptico ;si pone la diagnostica laddove
non ci sia stata una diagnosi in vita come riscontro diagnostico autoptico .
Le vasculiti sono un evento raro dal punto di vista anatomopatologico, ma sono molto più frequenti
nell’ambito ambulatori stico.
Da un punto di vista generale le vasculiti sono delle malattie infiammatorie dei vasi arteriosi ,
venosi e dei capillari, quindi dovrebbero chiamarsi arteriti, flebiti e capillariti . Le arteriti sono più
rilevanti rispetto alle flebiti e alle capillariti, sulla base di questo ci possono essere vasculiti
arteriose che colpiscono solo le arterie, ci sono vasculiti che colpiscono le arterie e le vene, ci sono
vasculiti che le vene e i capillari.
Parlando di vasculiti arteriose quindi di arteriti vedrete che una antica classificazione definisce le:
endo-arteriti quando l’arterite colpisce l’intima
meso-arteriti quando l’arterite colpisce la tonaca media
peri-arteriti quando l’arterite colpisce l’avventizia
pan-arteriti quando l’arterite colpisce tutta la parete
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Questa è una suddivisione di tipo topografico. Le vasculiti in senso lato si possono
classificare più comunemente da un punto di vista eziologico e vengono suddivise in :
-infettive:
-aspecifiche, i quadri morfologici non mi permettono di individuare l’agente
eziologico. Possono essere causate da qualsiasi virus e batterio
-specifiche intende tutti quadri morfologici che sono specifici ,patognomonici di quel
particolare agente eziologico, individuando la lesione faccio una diagnosi eziologica
Necrosi caseosa tubercolosi gomma luetica sifilide
- non infettive in cui l’alterazione infiammatoria della parete non dipende da un’infezione ma da
uno o più di questi fattori , per esempio le forme da irradiazione se un soggetto fa una radioterapia
quindi usa radiazione ionizzanti ci si può aspettare che i vasi irradiati possano dare una reazione
infiammatoria, ci sono delle forme non infettive dovute a sostanze tossiche, a traumi.
Esistono vasculiti che da un punto di vista morfologico vengono dette necrotizzanti caratterizzate
dall’avere uno scompenso della parete la cosidetta necrosi fibrinoide o degenerazione fibrinoide che
sono quasi tutte accomunate dal fatto di avere una patogenesi di tipo immunitario . la necrosi
fibrinoide è un marker di un danno necrotico da causa immunologica. La necrosi fibrinoide si divide
in due tipologie: la necrosi fibrinoide di tipo peptico cioè quella che troviamo nell’ulcera peptica
dello stomaco dovuta all’azione dell’acido gastrico sulla parete e una necrosi fibrinoide da causa
immunologica che è quella che trovate nelle vascoliti .
Esistono molti tipi di arteriti necrotizzanti tutte con un meccanismo patogenetico o immunitario o
autoimmunitario possiamo citarne alcune:
-Pan arterite nodosa
-Vasculiti da ipersensibilità
-Granulomatosi allergica di Churg-Strauss
-Granulomatosi di Wegener che è un’ arterite necrotizzante soprattutto delle vie aeree
superiori
-Granulomatosi linfomatoide
-Arterite a cellule giganti di Horton si associa a poli-miosite ed è uno dei casi in cui si
effettua la biopsia vascolare dell’arteria temporale(colpisce le arterie cerebrali) perché la
ricerca è dell’elemento a cellule giganti ,in questo caso la diagnostica anatomopatologica
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diventa importante in vita. la diagnosi non è semplice perché è segmentale. L’età media è
avanzata e il sesso è prevalentemente femminile.
-Arterite di takayasu a cellule giganti nell’arco aortico o i vasi del collo quindi le carotidi, le
succlavie, ed una malattia delle giovani donne.
-Malattia di Kawasaki colpisce le arterie di medio calibronell’infanzia- adolescenza,provoca
linfadenite
-Tromboangioite obliterante o malattia di Burger colpisce le arterie d piccolo e medio
calibro e soprattutto i giovani maschi.
-Reumatica
-Reumatoide
-Lupica
-Sclerodermica
-Polimiositica
La diagnosi di una vasculite non può mai essere esclusivamente anatomopatologica, è una diagnosi
integrata cioè che deve tener presente della clinica, del laboratorio, degli esami strumentali,
dell’interazione dell’internista ,il radiologo e il laboratorista.
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23.04.2012
SBOBINATA DA : Pino Anatomia patologica CORRETTA DA: Thomas Prof. Marzullo
LE MALATTIE INFIAMMATORIE DEL CUORE
1-PERICARDITI
Definizione :le pericarditi sono malattie infiammatorie del pericardio.
CLASSIFICAZIONE DELLE PERICARDITI
CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA
Come sempre, quando si ha a che fare con una malattia infiammatoria di qualunque viscere, si
possono distinguere due forme:
- INFETTIVE: esse possono essere virali, batteriche, micotiche o parassitarie;
- NON INFETTIVE:
Vengono poi inserite tra le forme non infettive, le forme IDIOPATICHE, cioè tutte quelle forme di
cui non si conosce la esatta eziologia. In genere queste però vengono messe alla fine, andando per
esclusione, quando non si è in grado di attribuire ad una qualunque eziologia una forma di malattia
infiammatoria. Queste tuttavia rappresentano una esigua minoranza.
C’ è una sequenza di situazioni in cui il pericardio può essere alterato. Si è già accennato in
precedenza il fatto di avere una pericardite epistenocardica, cioè l’associazione con l’infarto
valvolare, crea una compromissione dell’epicardio (ovvero del pericardio viscerale) e permette la
determinazione di una essudazione localizzata. Non è stata citata la cardiopatia ischemica, ma vi è
anche la possibilità che la pericardite associata all’ infarto insorga non acutamente come la
pericardite epistenocardica ma a diversi giorni di distanza, quasi anche un mese, simile ad una
sierosite, secondo un meccanismo di tipo immunologico. Laddove si abbia uno smascheramento di
antigeni legati alla sierosa, ciò determina una risposta immunitaria diretta contro la sierosa stessa,
provocando sierosite diffusa tra cui anche una pericardite.
Pericarditi NON INFETTIVE
Le pericarditi non infettive possono essere di forma:
• IATROGENA
• TRAUMATICA: quindi per esempio associata ad un intervento chirurgico. Normalmente
tutti gli interventi di cardiochirurgia si associano ad una pericardite consensuale.
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• COMPLICANZA DEL CATETERISMO CARDIACO: evento eccezionale.
• ESPOSIZIONE A TERAPIA RADIANTE : per esempio ad una radioterapia per una
neoplasia del torace, della mammella e cosi via.
• ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI
• TRAUMI PENETRANTI
Ci sono poi pericarditi:
• associate a patologie sistemiche: come la pericardite uremica,
• associate a neoplasie maligne (paranoplastica),
• associata a malattie endocrine : per esempio in caso di ipotiroidismo
Queste possono essere quindi tutte condizioni in cui la comparsa di pericardite non deve stupire. Il
fatto che poi la pericardite possa avere una rilevanza clinica dipende da caso a caso. Quindi non
sempre la pericardite consensuale in uno stato generalizzato assume una rilevanza clinica, ma può
essere rilevata con un riscontro occasionale, per esempio in corso di autopsia.
Pericarditi INFETTIVE
Le pericarditi infettive possono essere:
• BATTERICHE
• MICOTICHE
• ACUTE ASPECIFICHE
• VIRALI
• DA PROTOZOI: per esempio da toxoplasmosi o da filarìasi
• ASSOCIATE A SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA: per esempio la
Borreliosi di Lyme.
Quindi si può dire che virtualmente qualsiasi agente infettante può dare la pericardite, ma spesso
non è questo l’ evento più importante nell’ ambito di una malattia sistemica.
CLASSIFICAZIONE PER CARATTERISTICA DELL’ ESSUDATO
Questa classificazione vale per le forme di PERICARDITE ACUTE, poiché noi sappiamo che, nell’
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ambito delle infiammazioni acute, sono queste forme che si accompagnano all’essudato, mentre le
forme croniche sono scarsamente essudative.
Le caratteristiche dell’ essudato possono essere, a seconda del grado di compromissione della
permeabilità della sierosa stessa, forme:
• SIEROSE: in cui l’ essudazione è solo liquida e appena torbida ;
• FIBRINOSE: quando le alterazione della permeabilità sono maggiori c’è anche essudazione
di fibrina;
• PURULENTE
• EMORRAGICHE
Ovviamente le sierose, sede dell’evento infiammatorio, perdono le loro caratteristiche
macroscopiche cioè lucentezza e trasparenza, poiché viene imbibita dall’essudazione e diventa:
- Più spessa
- Perde lucentezza
- Si opacizza
- Perde trasparenza
- Diventa consistente assumendo un colorito grigio-rossastro dato dalla componente ematosa
ed iperemica.
Esistono forme MISTE di essudato che può essere:
• SIERO-FIBRINOSO: con una minima o maggiore presenza di componente fibrinosa;
• FIBRINO-PURULENTO: se l’essudato è giallastro o verdastro a seconda dell’agente
eziologico;
• PIU’ O MENO EMORRAGICO: a seconda dell’ entità del danno vascolare. Generalmente
quando troviamo una pericardite emorragica si individuano principalmente due eventi
fondamentali per cui la pericardite può essere indotta o dalla tubercolosi o da presenza di
una massa neoplastica. Quindi la presenza di un infiltrato emorragico più o meno
importante a livello pericardico può essere l’espressione o di una localizzazione di
tubercolosi pericardica o di massa neoplastica.
Evoluzione delle pericarditi
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La superficie del cuore subirà pertanto la formazione di un “panno” più o meno incompleto con
aree più dense che assumono colorito giallastro o grigiastro, formate da stratificazione di fibrina
che ricopre il viscere. Questo panno di fibrina rivela ovviamente la presenza di eventi infiammatori
fibrino-leucocitari che testimoniano la vitalità di questa lesione ( si parla di pericardite fibrinosa).
Per quanto riguarda le pericarditi NON infettive, la forma più comune è quella della pericardite
reumatica. Essa è una forma di tipo siero-fibrinosa o spesso anche fibrinoso puro con scarsa
componente sierosa. La componente sierosa viene poi riassorbita e rimane solo quella fibrinosa, per
cui si può parlare di pericardite secca. Sarà pertanto priva di essudato e porterà alla stratificazione
di fibrina sulla superficie del cuore e alla formazione di COR VILLOSUM, cioè escrescenze di
fibrina sulla superficie che si distendono quasi a formare dei “peli”.
Tra pericardio viscerale e pericardio parietale sussiste uno spazio virtuale che consente giusto lo
scorrimento delle due superfici del viscere cardiaco che si muove da una parte, e del sacco
pericardico che è rigido dall’ altra. Immaginando quindi la stratificazione della fibrina, questo
determina non più lo scorrimento, ma uno sfregamento che in una condizione permanente di
essudazione può determinare delle aderenze che in un primo momento sono più labili e si possono
facilmente dissociare o anche stirare, ma che poi organizzandosi secondo i soliti processi
organizzativi cicatriziali e riparativi finiscono col diventare progressivamente più tenaci, e quindi
non sono più stirabili e risolvibili per via smussa (in termine anatomico questo termine vuol dire
“strazzare”/liberare con la mano il cuore da queste aderenze). Perciò non si riuscirà con la mano a
farsi strada nel pericardio e bisognerà usare il tagliente.
Evoluzione in sinèchie: vuol dire evoluzione con aderenze. Le sinèchie sono dei tralci a ponte tra la
viscerale e la parietale i quali finchè sono lassi sono stirabili. Quando invece diventano tenaci
perché costituite da un tessuto fibroso più organizzato non si possono più stirare, ma in qualche
modo trattengono l’escursione dei movimenti cardiaci.
Quindi se l’essudato è di tipo sieroso viene riassorbito senza ulteriori conseguenze. Nel momento
in cui nell’essudato ci sono elementi più importanti (molecole o elementi corpuscolati), ciò
determinerà rimaneggiamenti e guarigioni con cicatrizzazione e quindi formazioni di aderenze più
o meno estese a seconda del danno. Forme reumatiche, forme post-irradiazione, post-
pericardiotomie sono forme che si accompagnano alla formazione di aderenze e quindi ad una certa
limitazione dei movimenti cardiaci.
Organizzazione
Tutti questi fenomeni, quando non si accompagnano alle aderenze, fanno sì che sulla superficie del
cuore compaiano delle cosiddette macchie tendinee. È un termine anatomico classico che fa
pensare a un tendine, il quale possiede una struttura biancastra,lucida,dura e tenace. Quindi la
macchia tendinea è una chiazza biancastra e lucida sulla superficie epicardica. Questo è dovuto
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all’esito di qualche processo infiammatorio di vecchia data o anche semplicemente a stress da
lavoro. Ma anche il cuore, durante i suoi movimenti continui, nel momento in cui si perde lo
scorrimento dei foglietti, “picchia” e si inizia ad avere un attrito che provoca la formazione di
queste macchie bianche associabili a delle callosità causate proprio dall’attrito. È più facile
riscontrare queste macchie tendinee in cuori più voluminosi.
Molto più problematica è la presenza delle aderenze cioè le sinèchie, che possono dare situazioni
particolari, come CONCRETIO,ACCRETIO CORDIS e CALCIOSI. Può quindi crearsi
un’aderenza tra il foglietto viscerale e quello parietale, determinando un ostacolo alla dilatazione
cardiaca. In questo modo viene meno anche la capacità dilatativa del cuore in diastole essendo il
cuore costretto (concretio). A lungo andare, il mancato o parziale riempimento diastolico, darà un
sovraccarico soprattutto a livello del circolo venoso dando un quadro di stasi cronica. Ciò di
conseguenza si ripercuote sul fegato dando FIBROSI EPATICA. In questo caso però si parla di
PSEUDOCIRROSI EPATICA perché mancano i noduli rigenerativi dovuta a stasi venosa cronica
per mancato riempimento diastolico. Quando le aderenze finiscono per coinvolgere anche gli
organi presenti all’esterno del pericardio a livello del mediastino, si parla di ACCRETIO
(diffusione per via linfatica o per continuità): per esempio il pericardio aderisce allo sterno, ai
polmoni e così via determinando quindi un aggravamento della mobilità cardiaca. Come tutte le
malattie infiammatorie croniche si può avere deposizione di calcio,ossificazione e quant’altro
(CALCIOSI).
2.MIOCARDITI
Definizione: le miocarditi sono malattie infiammatorie del miocardio.
Dal punto di vista clinico è una rarità e raramente dà segno di sé. Facendo, però, valutazioni di tipo
autoptico, la sua valutazione sale al 2-4%, una percentuale comunque bassa ma non del tutto
trascurabile. Quindi le miocarditi sono più diffuse più di quanto non appare clinicamente.
Patogenesi: possono essere INFETTIVE e NON INFETTIVE
INFETTIVE
- Invasione diretta di agenti infettivi: per esempio per diffusione ematogena o per contiguità.
- Da tossine circolanti: per esempio un’infezione difterica, in cui la tossina difterica è
cardiotossica.
- Da reazione immunitaria: per esempio il caso della malattia reumatica
NON INFETTIVE
- Radiazioni ionizzanti.
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- Agenti chimici tossici
- Stati dismetabolici
Anatomia patologica
Come appare dal punto di vista anatomo-patologico il cuore che è sede di miocardite?
ASPETTI MACROSCOPICI
• Cuore pallido e flaccido: La caratteristica principale è il pallore. Quando il cuore
generalmente rossiccio e rubicondo perde questa suo aspetto diventando piuttosto pallido, e
perde anche la sua consistenza passando da essere tonico ad essere piuttosto flaccido può
essere fortemente sospettata una miocardite
• Cavità ventricolari sfiancate: quando il cuore viene posto sul tavolo perde la sua forma e si
acquatta, si appiattisce. Ciò può far sospettare alla presenza di un processo infiammatorio a
carico del cuore.
• Osti valvolari insufficienti e dilatati: dovuto alla flaccidità del cuore.
ASPETTI MICROSCOPICI
È possibile fare una diagnosi di miocardite tramite:
- Esame autoptico
- Biopsia endomiocardica: non è semplice perché si effettua su una zona molto circoscritta
della parete cardiaca: setto interventricolare sul versante destro, o su una zona marginale
della parete libera del ventricolo di destra. Quindi corrisponde ad una zona abbastanza
limitata, e bisogna avere la fortuna che quella zona sia effettivamente la sede del processo
miocarditico.
Nel momento in cui si dispone del materiale necessario, gli elementi che ci consentono di fare
diagnosi di miocardite sono:
• PRESENZA DI INFILTRAZIONE FLOGISTICA
• NECROSI MIOCITARIA
L’infiltrazione flogistica deve essere necessariamente presente,ma non è sufficiente da sola come
criterio, ed è necessario che ci sia anche la necrosi. In assenza della necrosi è possibile parlare di
sospetto di miocardite ma non di una certezza. Quindi la presenza di danno miocitario (necrosi)
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indotto dalla flogosi può dare la certezza, più o meno assoluta, che ci sia un danno miocarditico.
Se sulla biopsia endomiocardica si osserva una fibrosi, si può sospettare che questo sia un evento di
cronicizzazione dell’evento miocarditico ma anche che non è un evento ciclico, poiché una sclerosi
e una fibrosi del miocardio si può avere in tante altre condizioni (cardiomiopatia, cardiopatia
ischemica cronica,…). Quindi trovando la fibrosi sulla biopsia endomiocardica, ciò non ci dice che
si è in presenza di miocardite che si è riparata o che è in corso di riparazione, a meno che non
troviamo focolai di necrosi. Da questo discorso si capisce che la diagnosi non è semplice e che
molto spesso è deludente. Nel caso in cui ci troviamo con una biopsia endomiocardica con quesito
diagnostico di miocardite, spesso si avranno risposte aspecifiche e inadeguate per cui l anatomo-
patologo non è stato in grado di risolvere il problema. L’unico escamotage che si può adoperare è
cercare di fare una VALUTAZIONE MOLECOLARE: si può cercare di isolare, mediante PCR, la
presenza di genomi virali dalla biopsia nella speranza di poter identificare uno di questi agenti
infettanti.
Quadro anatomo-clinico
Esistono forme ACUTE e forme CRONICHE.
FORME ACUTE
Le endocarditi acute sono eventi difficili dal punto di vista clinico in quanto si può avere:
- Evoluzione benigna: si può avere una miocardite con pochi sintomi che evolve in una
guarigione spontanea.
- Morte improvvisa:la morte insorge non soltanto per insufficienza di pompa, nel senso che il
processo infiammatorio è cosi diffuso determinare un’insufficienza contrattile diffusa della
parete cardiaca,oppure, un po’ più frequentemente,per il fatto che possa determinare,
proprio per l’insorgenza di focolai di necrosi disseminati, l’insorgenza di aritmie cardiache.
FORME CRONICHE
Le forme acute possono o guarire o evolvere in forme CRONICHE, determinando esiti fibro-
cicatriziali nel contesto della parete cardiaca. Diversamente la miocardite può esordire in forma
subacuto-cronica che ha un’evoluzione lenta e progressiva. In questi casi nel corso dell’evoluzione
può dare:
- Morte improvvisa: sempre per meccanismo di tipo aritmico (aritmia) dovuto a fenomeni
riparativi
- Cardiomiopatia dilatativa: può esitare a distanza di parecchi anni dalla sua insorgenza e
dalla sua localizzazione in una forma di cardiomiopatia dilatativa (forma dilatativa cardiaca
post-infettiva o post-miocarditica)
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Quindi la miocardite è un evento subdolo dal punto di vista clinico che in una certa percentuale dei
casi può avere evoluzione benigna o può avere conseguenze sia in fase acuta che cronica.
Quadri anatomo-clinici infettivi-MIOCARDITI INFETTIVE
In questo ambito troviamo:
• MIOCARDITE VIRALE
Esistono dei virus detti cardiotròpi (che ha tropismo per il cuore) come il virus ECHO o il virus
COXSACKIE B. L’infezione da questi virus,pressoché invariabilmente, determina una
MIOCARDITE ISOLATA.
Tuttavia può essere più frequente l’insorgenza di miocardite per infezione da agenti infettivi non
cardiotròpi ma comuni, che possono complicare il decorso clinico dell’infezione localizzandosi a
livello cardiaco. L’esempio classico è il virus INFLUENZALE: una delle cause di morte nel corso
di epidemie influenzali è proprio la miocardite date da aritmia o insufficienza cardiaca proprio come
complicanza dell’influenza.
La modalità del danno si può realizzare, non solo per infezione di un virus, ma anche attraverso un
meccanismo di tipo immunologico. Quindi per esempio per precipitazione di immunocomplessi.
Esistono poi delle forme fetali. L’elemento morfologico da considerare in questo aspetto è il fatto
che dal punto di vista istologico l’infiltrato flogistico è rappresentato da elementi mononucleati,
cioè linfociti e monociti (nelle infezioni batteriche invece abbiamo la presenza di granulociti).
• MIOCARDITE BATTERICA
Sono infezioni:
- Purulente
- Istologicamente caratterizzate da necrosi,microscessi,e cosi via
- Esistono forme tubercolari
- esistono miocarditi …., sono infettive perché sono l’espressione di un certo grado di deficit
immunitario, associate quindi alle gravidanza.
• MIOCARDITE FUNGINA
Frequente in soggetti immunodepressi per infezione da candida (candidosi), aspergillo e cripto
cocchi
• MIOCARDITE PROTOZOARIA
Data da:
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- Tripanosomiasi: provoca il Morbo di Chagas, caratteristico dell’America centrale e del sud,
veicolato dalle zecche (vettori). Può avere diverse forme e dare aneurisma cronico apicale.
- Toxoplasmosi
MIOCARDITI DA IPERSENSIBILITA’
Sono tutte quelle miocarditi che hanno una patogenesi di tipo immunitario. Esse sono:
- MIOCARDITE REUMATICA: che si inserisce nel contesto più ampio di pancardite
reumatica che coinvolge sia l endocardio, sia il miocardio che il pericardio.
- MIOCARDITE DA SARCOIDOSI: consensualmente alla sarcoidosi polmonare.
- MIOCARDITE DA RIGETTO DEL TRAPIANTO CARDIACO: non è infettiva e ha una
patogenesi immunitaria in quanto viene sviluppata una reazione immunitaria verso l’ospite.
- MIOCARDITE DI FIEDLER-A CELLULE GIGANTI: è una forma più rara ma
particolarmente temibile. Questa è una forma idiopatica che colpisce soggetti in età giovane
e adulta. Ha un esito rapido o per scompenso cardiaco o per la morte improvvisa. Il cuore
presenterà chiazze simil-infartuali e alla necrosi estesa a livello della parete cardiaca si
associa la presenza di cellule giganti: cellule di tipo istiocitario, cellule di Langherans,
cellule da corpo estraneo o cellule miogenetiche (derivate da modificazioni dei miociti).
3.ENDOCARDITI
Le endocarditi sono malattie infiammatorie dell’endocardio. In questo caso l’endocardio che può
essere colpito è sia l’endocardio PARIETALE (pareti libere del cuore,corde tendinee,muscoli
papillari) che quello VALVOLARE.
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
I criteri di classificazione sono vari:
- CLINICO/CRONOLOGICO: le endocarditi sono suddivise in forme
acute,subacute,croniche e ricorrenti
- EZIOLOGICO: forme infettive e non infettive
- ANATOMO-PATOLOGICO: non essendoci un vero e proprio essudato, queste vengono
caratterizzate sulle manifestazioni morfologiche. Queste endocarditi possono essere di tipo
trombotico o non trombotico
Endocardite trombotica
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Dinamica del danno: un danno dell’endocardio si traduce in una alterata permeabilità, che
dovrebbe tradursi in una formazione di essudazione. Ma in questo caso nell’endocardio le valvole
sono avascolari e in caso di danno a livello della valvola succede che la superficie endoteliale viene
alterata e vengono alterate le proprietà dell’endotelio di partecipare nell’omeostasi del sistema della
coagulazione, e quindi si avrà la formazione di microtrombi cioè di piccole stratificazioni
trombotiche sul danno. Questo trombo localizzato nella sede del danno può determinare una
stratificazione progressiva, cioè il trombo richiama altro materiale trombotico fino a formarsi delle
piccolissime escrescenze sulla superficie della valvola chiamate VERRUCHE. Questo termine
indica una scabrosità e quindi un leggero ispessimento di 1-2 mm. Se invece queste escrescenze si
accrescono maggiormente si formano le VEGETAZIONI che provocheranno endocardite
vegetante o poliposa in cui lo spessore raggiungerà i 3-4 mm. Le escrescenze non raggiungono la
grandezza dei centimetri perché il flusso del sangue tende a rimuoverle determinando formazione di
un embolo. E quindi non si avranno escrescenze voluminose a meno che non siano molto tenaci.
Endocardite NON trombotica
In questo caso il danno è dovuto da un agente più aggressivo che provocherà un danno più rilevante.
Non avremo solo un danno meccanico o un’ erosione su cui si stratifica il trombo, ma questa
erosione procede progressivamente verso un’ ULCERA vera e propria e quindi sono delle forme di
tipo prevalentemente ulcerativo. Si forma quindi un’erosione con aggressione della valvola o della
parete libera, quindi un’erosione più profonda e un’ulcerazione che nel caso delle valvole, molto
sottili, culmineranno in una PERFORAZIONE.
Quindi se l’agente infettante non è particolarmente aggressivo, il danno sarà prevalentemente
trombotico. Se l’agente infettante è particolarmente aggressivo il danno sarà non trombotico con
formazione di ulcerazione e perforazione.
Non è, tuttavia, sufficiente che l’agente infettante si diffonda nel circolo ematico per avere una
endocardite. Se fosse così ci aspetteremmo un’incidenza estremamente elevata di endocarditi cosa
che non avviene. Questo perché ci devono essere dei fattori locali predisponenti l’attacco di questi
agenti infettanti alle valvole. Quindi da una parte c’è la carica infettante e l’aggressività dell’agente
infettante, dall’altra l’elemento predisponente e cioè:
- Presenza di una valvola distrofica
- Una valvulopatia per esempio di un’aorta bicuspide
- Una pervietà del forame ovale
- Una pregressa malattia reumatica di cui si ignorava la presenza.
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EPIDEMIOLOGIA DELL’ENDOCARDITE
- Morbilità elevata: è molto frequente dal punto di vista clinico
- Mortilità diminuita: per terapie mirate, per terapie di sostentamento
- Prevalentemente a carico del sesso maschile
- 4°-6°decennio: visto che il fattore predisponente della malattia reumatica si evolve nel giro
di 2-3 decadi,l’insorgenza dell’endocardite rientra pertanto tra quarta e sesta decade.
CONDIZIONI PREDISPONENTI (ALTRE)
LOCALI
- Malformazioni cardiache
- Endocardite reumatica pregressa
- Cardiomiopatie
- Lesioni degenerative e/o senili
- Interventi cardiochirurgici.
Cioè tutti quei fenomeni di rimaneggiamento cardiaco che alterano la dinamica e la morfologia del
cuore possono essere la sede di una successiva endocardite.
GENERALI
- Immunodepressione
- Tossicodipendenza
- Emodialisi
Nel soggetto in buone condizioni il rischio di endocardite è molto basso. Quando invece ci sono
uno o più di questi fattori predisponenti il rischio diventa più elevato.
Un fattore particolare è rappresentato dalla tossicodipendenza perché è un fattore che non solo
incide sullo stato immunitario generale, ma le endocarditi dei tossicodipendenti sono peculiari.
Sappiamo che sulla nostra superficie cutanea ci sono una serie di batteri come lo staphylococcus
epidermidis che non è un agente patogeno importante e aggressivo, ma che inoculato per via
venosa nel circolo venoso e accompagnato ad altre sostanze, determina una ENDOCARDITE DEL
CUORE DESTRO, poiché il circolo venoso afferisce a destra. Si possono cosi avere per esempio
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endocarditi della valvola tricuspide o della polmonare, il che rappresenta un evento piuttosto raro.
Infatti, nel caso in cui non ci sia il fattore della tossicodipendenza, la grande maggioranza delle
endocarditi riguarda il CUORE SINISTRO, quindi la valvola mitrale e la valvola aortica. Questo
perché le sollecitazioni meccaniche (stress emodinamico) sono maggiori a livello delle valvole del
cuore sinistro e quindi la possibilità di trovare lesioni predisponenti a carico dell’apparato valvolare
mitralico e/o aortico sono maggiori che non a destra.
COMPLICANZE
Dirette
Quindi soprattutto nelle forme più aggressive l’evoluzione può essere quella di:
- una perforazione valvolare il che significa dal punto di vista dell’emodinamica, una
insufficienza valvolare acuta più o meno grave a seconda del danno:
- si può avere una rottura di una corda tendinea per cui l’insufficienza valvolare è ancora più
grave;
- può essere un’aneurisma dei lembi cioè uno sfiancamento progressivo con delle alterazioni;
- oppure laddove la vegetazione sia preponderante, può addirittura ridurre o stenotizzare
l’ostio valvolare provocando la riduzione del flusso ematico.
All’ insufficienza valvolare più o meno rilevante si può associare uno scompenso cardiaco. Mentre
in caso di endocardite nella forma subacuta o ricorrente si accompagna una compromissione di
tutto il sistema immunitario dando splenomegalia o linfadenopatia generalizzata.
Indirette
- Embolie settiche: è una complicanza assolutamente temibile soprattutto nelle forme
subacute o ricorrenti. Infatti si staccano dei piccoli trombi di tipo settico i quali possono
recarsi a livello della sezione sinistra cardiaca e quindi a livello cerebrale, a livello degli
organi sistemici quindi dei reni, della milza e cosi via.
- Ascessi miocardici: possono esserci trasmissioni del processo infettivo dall’endocardio al
miocardio che possono dare microascessi nella parete stessa
- Aneurismi cardiaci: scompaginamento della parete nelle zone perivalvolari
- Lesioni renali
ESITI
- Guarigione dopo terapia: difficilmente la valvola però ritorna uguale a prima dell’infezione.
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- Vizi valvolari : generalmente residua un certo grado di vizio valvolare, un certo grado di
insufficienza poiché la riparazione può essere non perfetta.
- Eventuali recidive : in caso di depressione immunitaria o di reinfezione
- Evento infausto
4.CARDITE REUMATICA
Incidenza: ora come ora non è una patologia molto frequente, però è riportato un termine di
incidenza di circa il 20% di tutte le cardiopatie. La percentuale si è notevolmente abbassata a meno
della metà proprio perché la malattia reumatica più infantile si è notevolmente ridotta dalla guerra
in poi. L’ unico elemento che fa pensare che ci possa essere una recrudescenza di questo tipo di
infezione è dovuto ai fenomeni migratori, poiché gli immigrati sono giovani e adulti e hanno
contratto la malattia reumatica in patria.
Eziologia: è la cosiddetta FEBBRE REUMATICA che fa riferimento ad una infezione da
streptococchi β-emolitici di gruppo A che classicamente determina l’angina tonsillare. Questa
tonsillite acuta esordisce in età pediatrica generalmente infantile o al massimo adolescenziale senza
particolari differenze di sesso(quindi l’esordio è dato da tonsillite). Questa malattia febbrile viene
oggi curata con terapia antibiotica, mentre prima venivano praticate frequentemente tonsillectomie.
Anatomia patologica
FASE ACUTA
- ENDOCARDITE VERRUCOSA
- MIOCARDITE
- PERICARDITE SIERO-FIBRINOSA
La tonsillite da angina streptococcica determina una fase acuta con delle manifestazioni cardiache
che possono esserci però, spesso, nel contesto della malattia febbrile o della malattia contestuale di
tipo articolare passa un po’ inosservato, perché noi alla febbre associamo normalmente un aumento
della frequenza cardiaca. Quindi può passare per sconosciuta se non in un numero limitato di casi
in cui può essere fulminante. Ma nella grande maggioranza dei casi in fase acuta la malattia
cardiaca non è particolarmente rilevante e di certo non è preponderante al danno articolare,
soprattutto delle grosse articolazioni e alla tonsillite.
FASE CRONICA
Il fatto problematico però è il fatto che questa malattia evolve lentamente e progressivamente in:
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- una valvulopatia, ovvero in una localizzazione diffusa a livello del cuore che può colpire le
valvole e dare valvulopatia generalmente mitralica o aortica.
- Può anche dare una miocardite latente subclinica
- può avere anche delle localizzazioni pericardiche
Questo tipo di malattia colpiva generalmente le grosse articolazioni, ma la patologia articolare, pur
essendo molto eclatante dal punto di vista clinico, non era rilevante. Il danno più importante infatti
era quello cardiaco, non tanto quello acuto ma soprattutto quello cronico.
ENDOCARDITE VERRUCOSA
Sedi
Le sedi preferite di una miocardite reumatica sono le valvole:
- MITRALE
- MITRO-AORTICA (nel 90% dei casi)
- AORTICA isolata
- MITRALE-AORTA-TRICUSPIDE (quindi può essere tri-valvolare)
Morfologia
Da un punto di vista morfologico l’endocardite reumatica è una forma verrucosa (è una forma
trombotica con delle piccole verrucosità a livello della superficie endocardica valvolare). Essa
evolve in una forma fibroplastica cioè vuol dire che queste verruche danno luogo ad una
progressiva vascolarizzazione dei lembi valvolari con il richiamo di cellule infiammatorie, ed una
guarigione per formazione di tessuto cicatriziale retraente. Quindi la retrazione cicatriziale
rappresenta la guarigione di questo tipo di lesione e determina:
- Saldatura delle commissure: le commissure che ci sono tra le valvole si saldano
- Retrazione dei lembi valvolari
- Fibrosi
- Calcificazione
Avremo quindi un restringimento dell’ostio valvolare (mitralico o aortico), o più raramente
l’insufficienza. Quindi l’esito a cui più frequentemente conduce la malattia reumatica valvolare è
rappresentato dalla stenosi valvolare piuttosto che dall’insufficienza.
Anche la miocardite e la pericardite possono essere consensuali.
MIOCARDITE
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E’ una miocardite particolare con la formazione nelle forme più avanzate di noduli granulomatosi,
reumatici composti da cellule particolari che sono i miociti modificati o istiociti con tendenza alla
formazione di cellule giganti. Oppure si ha la possibilità di formazione di PERICARDITI.
Quindi si può vedere come tutto il cuore può essere più o meno diffusamente interessato dando un
mix di endocardite e miocardite, di pericardite e cosi via. Anche se ciò che deve rimanere
impresso è il fatto che l’ENDOCARDITE, può talvolta essere causa di aritmie, però, è L
EVENTO PIU’ IMPORTANTE.
ENDOCARDITI NON INFETTIVE
Vanno citata altre due forme di endocardite:
• ENDOCARDITE VERRUCOSA ATIPICA DI LIEBMAN-SACKS: si associa a soggetti
affetti da LES (lupus eritematoso sistemico). Ha la caratteristica di colpire la tricuspide o
la mitrale. Anche questa patologia ha la caratteristica di avere una morfologia verrucosa
(simile all’endocardite reumatica) e di essere diffusa su entrambe le facce della valvola.
Mentre l’endocardite reumatica riguarda la rima di chiusura della valvola della sezione
sinistra, l’endocardite verrucosa atipica riguarda sia la faccia assiale della valvola che la
faccia parietale. Quindi non è strettamente correlata con le aree di maggiore stress
emodinamico. Questo può essere un evento casuale poiché raramente si accompagna a
disfunzione significativa del cuore.
• ENDOCARDITE TROMBOTICA MARANTICA: il nome ci dice che è una forma
trombotica (tende a fare trombi). Il termine “marantica” fa pensare invece al marasma cioè
a un deterioramento delle funzioni generali dell’organismo. Questo marasma si realizza in
condizioni di grave neoplasia o di grave disfunzione generalizzata. È dovuta al fatto che
in queste condizioni, che sono spesso di disidratazione, si possono avere delle situazioni di
ipercoagulabilità del sangue, oppure di un rallentato circolo e quindi della funzione della
pompa cardiaca. Il sangue quindi ristagna all’interno della cavità ventricolare. La
disidratazione, l’ipercoagulabilità e la stasi ematica nei ventricoli può determinare la
formazione di TROMBI sulle pareti cardiache e sulle valvole. Questi trombi sono però
estremamente friabili e labili e di conseguenza possono determinare disseminazione di
frammenti di questi trombi e quindi dare un’ EMBOLIA. L’embolia si potrà avere fino al
40% dei casi proprio perché questi trombi sono estremamente friabili e basta una
movimentazione relativa per determinare il distacco di frammenti di trombi e quindi
l’embolizzazione sistemica. Anche questa condizione può rappresentare un fattore
predisponente una sovrapposizione infettiva.
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NOTA BENE: l’embolizzazione riguarda soprattutto o le forme marantiche o le forme infettive.
Al contrario le forme reumatiche difficilmente embolizzano perché : hanno sia una forma di
retrazione cicatriziale e poi perché nella patogenesi del danno valvolare della malattia reumatica si
determina una vascolarizzazione dei lembi valvolari e quindi una retrazione di questi trombi che
eventualmente si formano sulla superficie dei lembi valvolari, i quali saranno tenacemente
aderenti alla valvola e difficilmente si distaccano. Pertanto il problema maggiore nella forma
reumatica rimane l’alterazione valvolare di tipo stenotico o la possibilità che diventi infettiva.
5.CARDIOMIOPATIE
Definizione: malattia del muscolo cardiaco non più di causa ignota, ma nel corso del tempo sono
stati identificati gli agenti responsabili della stessa malattia, e riguardano soprattutto l’elemento
genetico e quindi la familiarità che acquisisce un ruolo estremamente importante. È vero
comunque che c’è una maggiore frequenza nei paesi del Terzo Mondo ma con tendenza
all’aumento nell’occidente per il miglioramento dei mezzi di diagnostica.
Classificazione: classicamente vengono descritte 4 forme di cardiomiopatia:
- DILATATIVA (più frequente)
- IPERTROFICA
- RESTRITTIVA-OBLITERATIVA
- ARITMOGENA
Diagnosi: la diagnosi viene fatta per esclusione (per esempio si può dire che quella osservata è o
non è una cardiomiopatia dilatativa solo escludendo una serie di altre patologie che possono avere
come esito quel quadro e cioè: la cardiopatia ischemica, la stenosi valvolare mitralica o
aortica,ecc...).
CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
La cardiomiopatia dilatativa è la forma di gran lunga più frequente.
• Ha una clinica caratteristica perché determina:
- Progressivo scompenso cardiaco : può essere a rapida evoluzione anche se una caratteristica
della cardiomiopatia dilatativa è che l’evoluzione non è particolarmente prevedibile in
quanto può essere lenta o subire delle brusche accelerazioni e cosi via.
- Insorgenza in media della morte entro 1-2 anni dalla diagnosi e non dall’esordio della
malattia: si arriva a una diagnosi quando c’è già un certo grado di scompenso.
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- Aritmie: la diagnosi può essere più precoce laddove però l’aritmia non sia mortale.
• Esistono delle forme familiari, anche se la familiarità non è cosi pronunciata rispetto alle
altre forme di cardiomiopatie come per esempio la forma ipertrofica.
• Colpisce l’età media proprio perché c’è una latenza nella sua manifestazione. Quindi magari
ha esordito in un’età precedente però dà segni di sé in età giovanile-adulta.
• È prevalentemente a carico del sesso maschile.
• Dal punto di vista morfologico si accompagna ad una dilatazione del ventricolo sinistro a
cui si accompagna una riduzione della contrattilità. La parete non è particolarmente
assottigliata perché vi è un’ipertrofia prevalentemente longitudinale delle fibre e questo
determina un aumento della pressione e del volume telediastolico proprio perché la parete è
rigida e c’è un’incapacità della parete a svuotarsi. Ciò può portare anche ad una
insufficienza mitralica perché, non solo c’è un’insufficienza contrattile, ma lo sfiancamento
progressivo della parete sfianca l’anello valvolare mitralico, e la valvola diventa
progressivamente incontinente. Quindi lo spessore della parete non è in grado di determinare
un’azione di pompa efficace.
Anatomia patologica
CARATTERISTICHE MACROSCOPICHE
- Dilatazione delle pareti;
- Aumento del peso e del volume del cuore : perché, essendoci uno sfiancamento con
dilatazione delle cavità e un’ipertrofia longitudinale delle fibre, questo determina dei cuori
molto voluminosi. Un cuore dilatato può pesare anche 800-900 grammi, quando un cuore
normale pesa 300-350 grammi.
- Ipertrofia del miocardio :è un’ipertrofia longitudinale proprio perché vi è questa spinta alla
dilatazione. La parete può non essere per un certo periodo di tempo significativamente
assottigliata.
- Fibrosi endocardica: tutti questi fenomeni di rimaneggiamento determina la fibrosi
endocardica e ciò determina discrepanze di circolo, stress emodinamici a carico della parete
stessa. Progressivamente la dilatazione e l’ipertrofia rappresentano uno stimolo ai fenomeni
apoptotici e quindi in una fase più evoluta le fibre miocardiche possono andare incontro ad
apoptosi con sostituzione fibrotica e per questo si ha un progressivo assottigliamento della
parete. Quindi si avrà la fibrosi murale interstiziale come espressione di questo adattamento.
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- Dilatazione anulus mitralico e tricuspidale.
CARATTERISTICHE MICROSCOPICHE
- Ipertrofia cellulare e nucleare: soprattutto in fase iniziale sia delle cellule muscolari che dei
nuclei che sono voluminosi e ipercronici.
- Ipotrofia cellulare: seguente all’ipertrofia. L’ipertrofia avviene in una fase di adattamento
alla dilatazione, mentre l’ipotrofia interviene quando la muscolatura non è più in grado di
adattarsi al nuovo carico dando poi fenomeni di rimaneggiamento e morte cellulare. Seguirà
poi fibrosi interstiziale e fenomeni di degenerazione citoplasmatica.
Visto che dilatazione e sfiancamento sono caratteristiche anche di miocarditi nelle forme acute, va
fatta una diagnosi differenziale. La miocardite acuta è una condizione con sfiancamento,
dilatazione, assottigliamento della parete, ma soprattutto da un punto di vista istologico è una
malattia infiammatoria con necrosi. Quindi nella cardiomiopatia dilatativa non c’è infiammazione, o
se c’è è molto scarsa e comunque difficilmente c’è necrosi,mentre ci può essere invece fibrosi.
La fibrosi,a sua volta, determina un ulteriore sfiancamento perché, mentre la componente muscolare
ha una sua tonicità, il tessuto fibroso è duro ma cedevole e quindi si sfianca progressivamente.
Eziopatogenesi
Osservando l’eziopatogenesi si può osservare che questa è una patologia piuttosto vasta
(multifattoriale).
FATTORI GENETICI
- Cardiomiopatia dilatativa familiare
- Disturbi di condizione familiare
- Malattie neurologiche e neuromuscolari familiari
- Anomalie congenite
- Anemie ed emoglobinopatie
Sono quindi tutte una serie di forme che hanno un carattere familiare.
FATTORI ACQUISITI
- Cardiomiopatia dilatativa alcolica: l’alcol provoca un danno miocitario.
- Cause infettive: cioè un soggetto può contrarre una miocardite la quale viene superata, e
l’esito a distanza di tempo della miocardite è quello della cardiomiopatia dilatativa. Questo
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si può ipotizzare perché andando ad effettuare un riscontro su questo cuore ormai dilatato,
dell’infezione non avremo più traccia.
- Cause immunologiche
- Cardiomiopatia dilatativa peripartum: c’è una possibilità di dilatazione acuta del cuore in
corrispondenza della fase finale della gravidanza, soprattutto del parto. È una forma che,
rispetto alle altre forme, è meno sfavorevole e che quindi ha una prognosi più favorevole.
C’è una certa percentuale di casi che può regredire.
- Deficit nutrizionali.
- Stati tossici.
- Diabete.
CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Questa patologia presente due caratteristiche principali fondamentali. Il cuore delle forme
ipertrofiche possiede delle dimensioni normali o può essere addirittura più piccolo. Ciò che diventa
“ipertrofico” è lo spessore della parete. Questa parete può aumentare di spessore tanto in maniera
concentrica, ma la sua caratteristica è che questa ipertrofia è asimmetrica e riguarda il setto
interventricolare che, con la ridotta estensibilità della parete, determina il danno circolatorio. Il
danno si crea per due motivi:
- Da una parte c’è un certo grado di ipertrofia parietale che determina una certa rigidità della
parete ed una tendenza a non dilatarsi.
- Dall’altra parte, essendoci un’ ipertrofia del setto nella sua porzione subaortica, questa
parte contraendosi determina un’ostruzione del flusso arterioso.
Quindi coincide una mancata dilatazione (con rigidità della parete) e, in misura maggiore o minore,
un certo grado di ostruzione del flusso ventricolare sinistro.
Eziologia
Difetto genetico e familiarità sono aspetti molto importantei soprattutto perché questa patologia è a
trasmissione di tipo autosomico dominante. Questo fa sì che una diagnosi in vita o post-mortem,
come spesso accade, di cardiomiopatia ipertrofica avvia direttamente ad una valutazione familiare
per valutare la presenza di soggetti asintomatici. L’evento è importante perché, è vero che
l’ipertrofia si manifesta a qualsiasi età, ma è anche particolarmente frequente nei soggetti giovani e
adulti. La cardiomiopatia ipertrofica è infatti è uno dei fattori responsabili della morte improvvisa
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cardiaca. Quindi una serie di casi di morte improvvisa cardiaca inspiegata, andrebbero valutati non
solo per capire qual è la causa, ma anche per individuare eventuali casi asintomatici presenti
nell’ambito familiare.
Clinica
- Stenosi subaortica: di grado più o meno marcato.
- Morte improvvisa
- Scompenso: più raro. Mentre la cardiomiopatia dilatativa dà lo scompenso provocato dalla
dilatazione e dallo sfiancamento, nell’ipertrofica si ha più che altro la morte improvvisa o
stenosi subaortica con ostruzione del flusso ventricolare.
Quadro macroscopico
- Cuore aumentato di peso in toto (500 gr.)
- Ipertrofia ventricolare sinistra: simmetrica nel 10% dei casi; asimmetrica nel 90% dei casi.
La cosa più importante però è quanto possa essere difficile la diagnostica in un soggetto giovane
che magari pratica attività sportiva e che poi ha una ipertrofia cardiaca detta “cuore di atleta”, cioè
una ipertrofia fisiologica. Con questo elemento può essere molto difficile fare una diagnosi
differenziale con la cardiomiopatia ipertrofica. Va differenziato anche dalle forme degli ipertesi e
cosi via.
Ci sono anche degli elementi morfologici suggestivi tipo:
- l’anello mitralico dilatato perché nel ventricolo sinistro si raggiungono delle pressioni
telediastoliche importanti e quindi si può sfiancare l’anello mitralico.
- l’ atrio sinistro può essere dilatato e quindi in questi cuori si osservano dei ventricoli
tendenzialmente piccoli e degli atri voluminosi.
- Sclerosi del lembo anteriore della valvola mitrale, dovuta all’ingente lavoro della stessa
mitrale. Quindi trovare in un soggetto giovane una sclerosi del lembo anteriore della
valvola mitrale non associato a patologia valvolare, a patologia reumatica o a ipertensione
arteriosa fa capire che questa valvola lavorava molto e subiva molta pressione.
Quadro microscopico
L’elemento caratteristico che dovrebbe far fare diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica, oltre che
l’ipertrofia dei miociti e la possibilità della fibrosi, è un carattere istologico peculiare cioè il
miocardial disarray o distribuzione disordinata dei miociti. Si potrà osservare quindi
un’architettura disordinata con perdita del normale ordinamento parallelo. Ciò vuol dire che alla
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base di questa ipertrofia vi è una alterazione strutturale della parete cardiaca dovuta alla
disorganizzazione spaziale dei miociti che non si organizzano a formare le lamine. Si forma quindi
questa ipertrofia compensatoria che cerca di sopperire ad un disordine architetturale. La
manifestazione di questo danno non è tanto precoce e infatti disarray e ipertrofia non sono visibili
precocemente, perché questo è un fenomeno progressivo di adattamento che raggiunge maggior
segno di sé soprattutto in seconda o terza decade. Quando l’ipertrofia rappresenta anche un fattore
di induzione dei meccanismi di adattamento ed apoptoici, alla fine i miociti ipertrofici non sono in
grado di adeguarsi ad una maggiore spinta per cui vanno incontro a fenomeni degenerativi e di
necrosi, con sostituzione di tipo fribotico. La fibrosi fa sì che alla fase ipertrofica possa seguire in
una progressiva dilatazione. Ecco perché nelle forme di vecchia durata si può passare da una forma
di tipo ipertrofico ad una forma di tipo dilatativo. (caratteristiche fondamentali da ricordare sono:
ipertrofia,forte familiarità,morte improvvisa cardiaca e disarray!!)
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02.05.2012
Anatomia patologica
Prof.ssa Gabriella Serio
SBOBINATA DA: Lucia
CORRETTA DA: Federica
APPARATO RESPIRATORIO
Quando parliamo dell’apparato respiratorio dobbiamo ricordare quelle che sono le strutture che
appartengono a questo importante apparato: laringe, trachea, bronchi, bronchioli e alveoli. Per poter
parlare di patologia e di organi affetti da malattie dobbiamo sempre fare riferimento a quello che è il
tessuto normale, la normalità, altrimenti perdiamo di vista il tutto e diventa uno sforzo mnemonico
ricordare le alterazioni di un organo se non si ricorda e non si è rispolverato il normale.
Qual è la derivazione embriologica dell’apparato respiratorio? E’ una derivazione endodermica.
Ricordando l’istologia e l’embriologia, abbiamo studiato che la derivazione dell’apparato
respiratorio è di natura endodermica, ovvero si sviluppa da un abbozzo comune a quello che è
l’intestino primitivo; quindi l’apparato respiratorio, soprattutto i polmoni si sviluppano come
diramazione ventrale dell’intestino primitivo. Che cosa ci sta a ricordare questo dato? Ci serve per
ricordare che alcune malformazioni, per esempio, dell’apparato respiratorio (alcuni quadri mal
formativi) sono comuni a quelli dell’apparato digerente; cioè se trachea ed esofago prendono
origine da uno stesso abbozzo embrionale, è chiaro che le anomalie di sviluppo di questo abbozzo
endodermico potranno causare malformazioni sia a carico della trachea e dei bronchi che a carico
dell’esofago. Tanto è vero che alcuni quadri mal formativi della trachea e dei bronchi sono associati
a quadri mal formativi dell’esofago come le atresie e come le fistole tracheo-esofagee.
[Queste malformazioni poi le svilupperemo in maniera particolare l’anno prossimo, nel primo
semestre, quando affronteremo la vasta gamma di patologie mal formative dell’esofago e vedremo
che spesso questi quadri mal formativi sono combinati con malformazioni bronchiali e della
trachea. Siccome dedicheremo una piccolissima frazione alle malformazioni adesso andiamo avanti
con altri processi.]
Dobbiamo ricordare che l’apparato respiratorio segue, durante la gestazione, una sequenza ben
precisa di sviluppo che va dal cosiddetto “periodo embrionale” al periodo finale che è il cosiddetto
“periodo alveolare”. Che significa questo? Significa che l’abbozzo polmonare, l’abbozzo
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respiratorio, inizia a partire dalla IV settimana di gestazione. Questo “periodo embrionale” è un
periodo brevissimo, dura soltanto tra la IV e la V settimana, quindi dura molto poco, perché
comincia subito la differenziazione dell’apparato nelle strutture tracheo-bronchiali, infatti segue al
periodo embrionale il cosiddetto “periodo pseudo-ghiandolare” questo è un periodo abbastanza
lungo che va dalla VI alla XVI settimana di gestazione. Questo è molto importante perché è il
classico periodo dove tutto l’abbozzo polmonare è costituito dalla trachea ai bronchi fino a quelle
strutture bronchiali che chiameremo bronchioli terminali. Quindi l’apparato respiratorio (apparato
polmonare) nella fase e nel “periodo pseudo-ghiandolare” ha già raggiunto un’ottima maturazione.
Abbiamo detto che si arriva al cosiddetto bronchiolo terminale che è quella struttura presente
all’interno del parenchima polmonare dove ancora riconosciamo strutture cartilaginee di sostegno
del bronco. Dopodiché continua l’ulteriore diramazione nel cosiddetto “periodo canalicolare” fino
al “periodo alveolare”, alla fine della gravidanza, cioè dalla 36-38esima (massimo 40esima)
settimana di gestazione. Dal bronchiolo terminale, poi, per ulteriore diramazione dei bronchi si
arriva alla formazione dei sacchi alveolari e via via man mano che questi aumentano di numero
nella diramazione terminale, avremo la formazione dei cosiddetti alveoli finali e ovviamente nel
periodo terminale di gestazione è ben costituita l’unità alveolo-capillare, cioè il rapporto tra i vasi
capillari e la parete degli alveoli.
Che cosa c’è da ricordare dal punto di vista embriologico? Che nell’ultimo periodo di gestazione,
quello che porta alla struttura finale degli alveoli, la parete delle unità alveolari è una parete
estremamente sottile ed è in rapporto anatomico perfetto con le strutture capillari, tant’è che c’è un
rapporto ben netto tra parete dell’alveolo e il capillare sanguigno; ma soprattutto dobbiamo
ricordare che nel periodo terminale della gestazione l’alveolo risulta ben costituito da quelle cellule
che lo tappezzano che vanno sotto il nome di pneumociti di I tipo e pneumociti di II tipo.
Qual è la differenza morfologica tra il pneumocita di I tipo e un pneumocita di II tipo? La differenza
morfologica sta nel fatto che il pneumocita di I tipo è una cellula piatta, schiacciata che tappezza la
parete dell’alveolo e invece il pneumocita di II tipo è una cellula più voluminosa, con citoplasma
più ampio, che sporge nel lume alveolare. Ma se il pneumocita di I tipo è la cellula che tappezza la
superficie alveolare, il pneumocita di II tipo a cosa serve? Il pneumocita di II tipo serve alla
produzione di quella sostanza tensioattiva (che avete studiato in fisica e in fisiologia) che è il
surfactante. Questa sostanza tensioattiva, questo surfactante, adesso ci deve ritornare alla memoria
nella sua costituzione, nella sua produzione, perché è causa, quando viene ad essere alterata la sua
sintesi, di patologie mortali nel neonato [che, se farete i ginecologi vi renderete conto, sono molto
comuni e quindi il neonato nasce e muore subito dopo; spesso le mamme non capiscono ragione, vi
denunciano, dicono che il ginecologo ha operato male, è stato superficiale nel seguire il parto, senza
sapere che quel neonato era un neonato a rischio perché per certe condizioni, che vedremo, legate
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alla produzione di surfactante da parte dei pneumociti di II tipo, è arrivato a morte].
Ma noi sappiamo che anche la superficie alveolare, quindi le cellule che rivestono, che tappezzano
gli alveoli e quindi i pneumociti di I tipo, vanno facilmente incontro a distruzione perché l’apparato
respiratorio è stimolato continuamente da sostanze dannose, da processi infiammatori, quindi i
pneumociti di I tipo possono essere e vengono danneggiati frequentemente e continuamente e allora
chi provvede al reintegro di pneumociti di I tipo danneggiati? I pneumociti di II tipo che si
trasformano in cellule “cambiali”. Quindi vedete l’estrema importanza che hanno i pneumociti di II
tipo nella sintesi del surfactante e nella rigenerazione dei pneumociti di I tipo quando danneggiati
da processi infiammatori, da processi patologici di qualunque natura.
Una volta che abbiamo focalizzato quella che è la struttura dell’alveolo e che l’alveolo raggiunge la
sua maturazione esattamente negli ultimi due periodi e il massimo è nell’ultimo periodo di
gravidanza cioè nel periodo alveolare, noi vedremo allora che il surfactante raggiungerà la sua
produzione massima e la sua costituzione a partire dalla XXVI-XXIX settimana di gestazione fino
alla XXXVI settimana, quindi il neonato quando nasce avrà un surfactante adeguato per poter
abbassare la tensione alveolare. Abbassare la tensione alveolare significa che con il primo atto
respiratorio gli alveoli si espandono e quindi il primo atto respiratorio del neonato è un atto
dolorosissimo (per questo c’è il gemito, il pianto del neonato) perché l’espansione alveolare è un
atto molto forte che provoca dolore. Una volta che si è dilatato l’alveolo, resta dilatato grazie alla
presenza di questo tensioattivo che avrà non soltanto una funzione di abbassare la tensione
superficiale ma anche una potente funzione anti-edema. A stretto contatto con gli alveoli ci sono i
capillari e se ci sono cambiamenti di pressione colloido-osmotica, per esempio, è facile che
trasudato si sposti dai capillari nella superficie alveolare e quindi noi avremmo che gli alveoli si
riempirebbero di liquido e non potremmo respirare. Questo non succede normalmente grazie al
surfactante che ha non solo la funzione di tenere espansi gli alveoli ma anche la funzione di evitare
che liquido e quindi trasudato si sposti negli alveoli, quindi funzione anti edema. Il surfactante
quindi raggiunge la sua massima espressione di sintesi al termine di gravidanza.
Una volta che si è completato lo sviluppo embrionale, i polmoni, nel feto e quindi nel feto maturo e
poi nel neonato, nell’infante, nel giovane e nell’adulto sono due organi che presenteranno
morfologia differente, il polmone destro è trilobato, il polmone sinistro è bilobato. Ovviamente
anche il decorso dei bronchi ha un andamento differente a destra e a sinistra, tant’è che il decorso
del bronco di sinistra è più verticalizzato e quindi le flogosi, le polmoniti, le broncopolmoniti o i
processi infiammatori del polmone sono più frequenti a sinistra piuttosto che a destra, perché è più
facile che gli agenti patogeni scendano in sede alveolare a sinistra piuttosto che a destra (ma questo
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è un fatto statistico generale).
Nell’adulto esiste una differenza di peso tra maschio e femmina; c’è un’oscillazione di peso tra i
polmoni nei due sessi di circa 100 gr quindi nel maschio adulto pesano 850 gr circa, nel sesso
femminile 750 gr. Perché è importante sapere quant’è il peso medio dei polmoni più o meno
maschio o femmina che sia? E’ importante perché in certi processi patologici noi possiamo trovarci
di fronte a dei cambiamenti importanti di peso dell’organo. Immaginate un edema massivo
polmonare, una massa neoplastica polmonare, un cancro polmonare, un infarto polmonare (con
massivo infarcimento emorragico) cambia decisamente il peso dell’organo malato, spesso in
eccesso se ci sono masse che crescono o inondamenti emorragici o edematosi oppure ci possono
essere dei cambiamenti in difetto ma questi sono piuttosto rari salvo polmoni che nascono
malformati dall’inizio e quindi possono essere più piccoli rispetto al normale.
Secondo quella che è l’istologia, da ricordare è la struttura dell’apparato respiratorio. La struttura
dell’apparato respiratorio è piuttosto particolare.
Il parenchima polmonare fetale come lo si osserva abitualmente nei feti abortiti, per esempio a 10
settimane di gravidanza, appare: compatto con formazione di bronchi principali fino ad arrivare a
strutture via via più piccole che sono i bronchioli respiratori terminali ancora circondati da
cartilagine che è di supporto. Man mano che poi il feto cresce, aumentano via via le strutture
bronchiali fino ad arrivare allo stadio terminale alveolare in cui il parenchima sarà ricco di strutture
via via sempre più piccole e abbondanti, quindi l’interstizio si riduce mentre aumenta la
componente bronchiale e alveolare.
L’istologia normale dell’apparato respiratorio va ricordata perché quando s’instaurano una serie di
processi patologici noi possiamo assistere a dei cambiamenti della struttura normale dell’apparato
respiratorio e soprattutto bronchiale.
Normalmente l’apparato respiratorio è quello più stimolato in assoluto, è l’apparato più stimolato
del nostro organismo perché è direttamente in contatto con l’aria presente nel nostro ambiente che
inspirata ed espirata ci consente di sopravvivere con gli scambi gassosi. Però l’aria che noi
respiriamo non è un’aria pura, è piena di una serie di sostanze dannose, infettive, cancerogene,
allergizzanti. Molte di queste sostanze le ritroveremo come responsabili dei processi patologici più
o meno gravi del polmone. E allora proprio perché è il più stimolato, il nostro apparato respiratorio
si difende abitualmente dall’ambiente, dall’aria e da tutto ciò che l’aria contiene grazie a quelli che
sono i due principali meccanismi di difesa: la clearance mucociliare e la presenza di macrofagi
endoalveolari.
L’epitelio respiratorio è l’epitelio più elegante e più specializzato che esista nel nostro organismo,
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tant’è che è un epitelio monofilare prismatico specializzato perché dotato di ciglia che sono molto
lunghe, quindi vibratili, con intercalate cellule caliciformi mucipare. Questo perché la sintesi di
muco che si stratifica sulla superficie dell’epitelio, insieme alle ciglia che battono in senso opposto
all’atto respiratorio, blocca le particelle dannose presenti nell’aria e quindi attraverso la tosse,
attraverso gli stimoli della tosse vengono ributtate, tramite starnuti e grazie alla possibilità di
soffiarsi il naso, all’esterno. Quindi la clearance mucociliare, quando funziona [è da specificare
“quando funziona” perché i fumatori non hanno una clearance perfettamente funzionante perché il
fumo di sigaretta induce metaplasia pavimentosa dell’epitelio respiratorio con conseguente perdita
di circa il 50% della clearance. Il fumo di sigaretta è un potente cancerogeno e come meccanismo di
difesa scatta la sostituzione dell’epitelio con un epitelio resistente al fumo di sigaretta che è
l’epitelio metaplastico pavimentoso pluristratificato senza ciglia e tutto ciò che respiriamo scende
nel polmone] comporta la collaborazione di ciglia e muco. Nell’epitelio respiratorio inoltre sono
presenti cellule del sistema neuroendocrino diffuso, le cellule intercalate neuroendocrine sono le
cellule del Kulcinski. Queste cellule del sistema neuroendocrino diffuso le ritroveremo quando
parleremo di cancro polmonare. Rientrano in gioco in una variante del cancro polmonare fumo-
correlato che è la variante neuroendocrina del cancro polmonare che è molto diffusa e molto
aggressiva a prognosi severa.
L’epitelio ciliato muco secernente è presente in trachea, bronchi, fino ai bronchioli respiratori
terminali. A livello dei bronchioli terminali cessa la presenza dell’epitelio ciliato e muco secernente
e più in basso, negli alveoli, l’epitelio respiratorio si difende con i macrofagi endoalveolari. I
macrofagi endoalveolari, che si pensa siano sintetizzati direttamente dal midollo osseo e quindi
poi convogliati in questa sede, hanno la funzione di bloccare e degradare tutto ciò che sfugge alla
clearance mucociliare e riesce ad arrivare in sede alveolare; quindi sono gli elementi cellulari che
degradano tutto quello che è sfuggito alla clearance ed è arrivato in sede alveolare. Se parliamo di
particelle che sfuggono alla clearance e raggiungono gli alveoli, sicuramente dobbiamo fare un’altra
considerazione importante e cioè che tutto ciò che è presente nell’aria è fatta di polveri, di
particelle, particelle virali, polveri di vario tipo. Le particelle presenti nell’aria che noi respiriamo
non hanno tutte le stesse dimensioni. Quando noi diciamo “meccanismi di difesa dell’apparato
respiratorio” dobbiamo fare riferimento anche alle dimensioni delle particelle presenti nell’aria che
noi respiriamo. Particelle che hanno diametro tra 5 e 10 µm (le particelle più grandi) sono quelle
che vengono subito bloccate dalle vie respiratorie, già nella mucosa del naso, infatti, abbiamo
cellule ciliate, cellule muco secernenti e vibrisse nasali che bloccano queste particelle. Poi starnuti,
tosse, eccetera buttano fuori ciò che respiriamo. [Un esempio lo si osserva quando, dopo essere
entrati in contatto con grandi quantità di polvere e terreno (può capitare andando in campagna o
falciando il prato) ci si soffia il naso e si ritrova la terra; quindi particelle grossolane vengono subito
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bloccate dalle vie respiratorie.] Particelle più piccole invece, quelle comprese tra 3 e 5 µm,
sfuggono alle prime vie aeree e raggiungono le basse vie aeree (siamo a livello dei bronchioli
respiratori terminali, prima della costituzione degli acini alveolari) dove l’epitelio è cilindrico
cigliato con cellule muco secernenti. Nella basse vie aeree possiamo bloccare le particelle e
attraverso i meccanismi di clearance essere buttati all’esterno oppure attraverso la via linfatica
drenate nel sistema linfatico. Se le particelle sono ancora più piccole, con diametro inferiore a 2 µm,
arrivano negli alveoli e qui devono per forza intervenire i macrofagi per poterle fagocitare e
distruggere. Questo succede facilmente se ad arrivare o ad essere inalate sono, per esempio,
particelle attive come i virus, i batteri; allora i macrofagi entrano in gioco facilmente perché
posseggono enzimi in grado di degradare il corpo batterico, i corpi virali o altre particelle presenti
nell’aria. Ma se noi respiriamo polveri inorganiche, polveri inerti, polveri allergizzanti, contro
queste polveri (come il quarzo, l’asbesto, il ferro, il carbone) i macrofagi non possiedono enzimi in
grado di degradarli e quindi quando nel nostro apparato polmonare, nei nostri alveoli, arrivano
sostanze dannose contro le quali i nostri macrofagi non sono attivi, si scatena tutto un quadro di
malattia infiammatoria polmonare devastante per il nostro soggetto. Dato l’ambiente,
l’industrializzazione del Paese e del Mondo c’è una sempre più alta frequenza di ritrovarsi davanti a
queste patologie professionali o non professionali da inalazione di polveri inorganiche, inerti che
potranno avere effetto allergizzante o effetto fibrosante, cioè distruggendo il polmone sostituendolo
con tessuto fibroso. Questo provocherà insufficienza respiratoria cuore-polmonare cronica, una
condizione che può portare a morte. Queste polveri, così devastanti possono portare allo sviluppo
del cancro.
Malattie con alterazione del contenuto aereo
Cominciamo a vedere alcune malattie molto importanti che riguardano il contenuto di aria nel
polmone. Dobbiamo parlare di malattie con alterazione del contenuto aereo. Significa che ci
possiamo trovare di fronte a polmoni che hanno eccesso di aria nei propri alveoli e polmoni in cui
c’è mancanza di aria negli alveoli. Queste due malattie si chiamano rispettivamente ateletassia (o
atelectasia) ed enfisema.
• “Enfisema” deriva dal greco εμφυσάω che vuol dire “gonfiare”; è la malattia del polmone in cui c’è
un eccesso del contenuto aereo.
• “Ateletassia” deriva dal greco ατελεσ εκτασισ che vuol dire “stiramento incompleto”; è quella
condizione in cui l’aria manca nei polmoni e i quadri patologici che si osservano sono vari e possono
essere quasi impercettibili clinicamente fino ad arrivare a quadri severi che portano a morte e che
compromettono seriamente il nato o l’individuo.
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ATELECTASIA
Per definizione è la mancanza di areazione nelle cavità alveolari, situazione che porta al collasso
degli alveoli. L’atelectasia può essere legata o a condizioni particolari in cui è alterata la sintesi del
surfactante (o manca il surfactante), e in questo caso noi parleremo di atelectasie congenite. Oppure
possiamo trovarci di fronte al collasso alveolare legato a schiacciamento del parenchima polmonare
da masse o da liquido, da versamenti, e parleremo di atelectasie acquisite. Quindi possiamo trovarci
di fronte ad una mancanza del contenuto aereo su base congenita o su base acquisita.
Atelectasie acquisite
Le forme di atelectasia acquisita sono quelle più comuni e facili da ritrovare; i radiologi possono
effettuare una diagnosi immediatamente su una banale e tranquilla radiografia del torace. Ma le
atelectasie acquisite rivestono un significato clinico o possono rivestire un significato clinico, solo
se il meccanismo che le determina è un meccanismo da contrazione (o trazione). Vuol dire che ci
deve essere, per esempio, una fibrosi, un indurimento fibrotico importante o del parenchima
polmonare o della pleura, che non favorisce l’espansione degli alveoli. Solo in questo caso, quando
c’è una malattia fibrosante importante come nelle pneumoconiosi o nelle fibrosi pleuriche,
l’atelectasia da trazione riveste un significato clinico importante; se gli alveoli non possono dilatarsi
e quindi collassano ci sarà un’insufficienza respiratoria cronica restrittiva e non ostruttiva, con
sovraccarico cardiaco destro e quindi “cuore-polmonare cronico”, ipertensione polmonare e cuore-
polmonare cronico.
Quindi le atelectasie acquisite, cioè il collasso alveolare, rivestono significato clinico soltanto in
quelle il cui meccanismo che le determina è una trazione: perché la trazione è determinata da fibrosi
e la fibrosi è un fenomeno irreversibile.
Meccanismi patogenetici
I meccanismi che determinano la formazione delle atelectasie acquisite possono essere:
• Ostruzione (riassorbimento). Le atelectasie ostruttive sono quelle in cui è presente un’ostruzione
bronchiale al passaggio di aria, per cui l’aria presente negli alveoli, l’aria residua, quindi il volume
residuo respiratorio via via viene riassorbito e quindi gli alveoli collassano. Questo tipo di atelectasia
è detta anche da riassorbimento, perché l’aria non può arrivare alle cavità alveolari perché c’è un
ostacolo.
• Compressione. L’atelectasia da compressione è quella in cui il parenchima polmonare viene
compresso, schiacciato dall’esterno quindi, anche sforzandosi, non si riesce a inspirare perché
dall’esterno c’è qualcosa che schiaccia il nostro parenchima. Le condizioni più comuni di
schiacciamento estrinseco del parenchima polmonare sono: versamento pleurico e pneumotorace
[come può succedere nel ragazzo che sta facendo una partita a pallone scoppia una bolla d’aria, una
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bolla enfisematosa] cioè la presenza di aria nelle cavità toraciche [Quando un soggetto ha un
pneumotorace la prima cosa da fare è dare un taglietto nello spazio intercostale ed infilare una penna
a biro senza la carica o una cannuccia per favorire lo svuotamento dell’aria].
• Trazione (o contrazione)
Le atelectasie da ostruzione e quelle da compressione sono quelle per cui rimuovendo la causa il
polmone ritorna ad essere riespanso e quindi si risolvono senza deficit nel paziente. Quando si
parla di atelectasia da ostruzione e da compressione, il volume polmonare si riduce e il mediastino
si sposta dal lato del polmone atelectasico, c’è il cosiddetto sbandamento mediastinico; questo è un
altro segno importante che si impara in radiologia.
Nell’atelectasia da ostruzione o da riassorbimento avviene, quindi, il blocco del transito di aria nel
bronco e quindi via via il riassorbimento del volume di aria residua. Dalle immagini si capisce che il
quadro clinico avrà una gravità differente a seconda della sede dell’ostruzione. Un’ostruzione che
riguarda il bronco principale, come può succedere per grosse masse tumorali ostruenti o per grossi
corpi estranei (che un bambino può infilare nel naso e poi finire nel bronco) darà un quadro
atelectasico marcato e severo con dispnea e insufficienza respiratoria. [Se il bambino si infila nel
naso un oggetto molto piccolo (chicco di riso, perlina) questo va a finire in una porzione di bronco
molto piccola e può avere una dispnea magari marcata solo assumendo particolari posizioni, il
quadro clinico è sfumato e non è urgente.]
Le cause di ostruzione, rimosse le quali si torna alla normalità, sono: corpi estranei (soprattutto in
pediatria), neoplasie bronchiali, processi infiammatori stenosanti dei bronchi (bronchiti croniche ad
esempio che portano a quadri di atelectasia da ostruzione e quindi da riassorbimento). Rimosse
queste situazioni si torna alla normalità.
Le cause di compressione si ritrovano in tutto ciò che ab estrinseco schiaccia il polmone. La causa
più frequente è il versamento pleurico; è frequente in pazienti allettati per patologie polmonari,
cardiache, epatiche, quindi in qualsiasi condizione che provoca una raccolta di liquido del cavo
pleurico con pressione ab estrinseco. Mentre se c’è il versamento si ha il tempo di drenare tramite
toracentesi (ago nello spazio intercostale, non tutto per evitare di bucare il polmone), in caso di
pneumotorace non si ha molto tempo, bisogna intervenire subito inserendo nello spazio intercostale
un ago di siringa, una penna a biro o una qualsiasi cosa per favorire la fuoriuscita. Un pneumotorace
massivo può portare a morte in poco tempo.
Quindi le cause di compressione sono: pneumotorace, versamenti pleurici, neoplasie pleuriche che
provocano il versamento o neoplasie polmonari con coinvolgimento della pleura che provocano
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versamento e altri tipi di neoplasie. Cause di versamento possono anche essere le affezioni
cardiache, pericarditi, affezioni mediastiniche che possono essere legate a scompensi, come per
esempio un cattivo funzionamento del fegato con sintesi alterata di albumine, alterazioni della
pressione colloido-osmotica, ascite. Controllando le condizioni che provocano versamento pleurico
la situazione si risolve.
L’atelectasia da trazione (o da contrazione) è quella che non si risolve, nel senso che la causa non
si può rimuovere perché questo tipo di atelectasia altro non è che una fibrosi pleurica o del
parenchima polmonare. La fibrosi è un evento irreversibile quindi la trazione da fibrosi non
favorisce l’espansione alveolare e non c’è nessuna possibilità di espandere l’alveolo anche con
l’atto respiratorio più forte, quindi in questi casi l’atelectasia peggiora e il quadro funzionale cardio-
repiratorio e via via sempre più compromesso. [E non è un caso che in caso di importanti fibrosi
polmonari i pazienti vivono con l’ossigeno portatile, necessario ad ossigenarsi per tutto il tempo.]
Sintomatologia
Quando c’è un’atelectasia la sintomatologia dipende dall’entità del fenomeno. I sintomi
maggiormente riscontrati sono:
• Dispnea (difficoltà respiratoria);
• Dolore toracico (nel caso di un pneumotorace improvviso o masse tumorali);
• Tosse ingravescente a volte associata a starnuti;
• Cianosi (colorito bluastro della cute e delle mucosa dovuto alla cattiva ossigenazione del sangue).
Complicanze
In un quadro di atelectasia acquisita, soprattutto in forme di atelectasie che interessano piccole aree
del parenchima polmonare, possono passare inosservate. Se passano inosservate il parenchima
atelectasico può essere fonte o sede di sviluppo di processi infettivi, si può instaurare nella sede di
un focolaio atelectasico un processo infettivo, per esempio un focolaio bronco-pneumonico o
ascessuale o gangrenoso. Ci può essere lo sviluppo in un territorio atelectasico, dove la circolazione
è normale ma manca l’ossigenazione (stasi, angiectasia), di focolai infettivi che è necessario
individuare e correggere. Se datate, se non vengono risolte, si può avere la sostituzione fibrosa del
focolaio atelectasico, cioè si compatta il focolaio atelectasico e si trasforma in tessuto denso
fibrotico.
Morfologia
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Da un punto di vista morfologico la situazione è abbastanza semplice, ad esempio se osserviamo da
un punto di vista anatomo-patologico.
Apportiamo un esempio: un paziente che presenta dispnea, tramite una serie di accertamenti clinici
in pneumologia e dalla radiografia del torace, è venuta fuori un’area di addensamento radio-opaco,
nodulare. In questi casi si deve pensare a tutto: banale focolaio flogistico, atelectasico, fibrotico,
processo neoplastico. Il paziente in chirurgia toracica viene sottoposto a toracoscopia e biopsia del
tessuto polmonare infiltrato. Questo tessuto polmonare arriva in anatomia patologica: nel caso di
esame estemporaneo la situazione si complica, perché un focolaio atelectasico può presentare
pneumociti atipici, possono esserci atipie legate alla flogosi delle cellule di rivestimento alveolari e
quindi se il patologo non ha molta esperienza potrebbe fare, erroneamente, diagnosi di cancro.
All’esame istologico, comunque, si ritrova un polmone collassato, senza spazi alveolari evidenti,
spesso sede di reazione infiammatoria linfocitaria, plasmocitaria, flogosi cronica o acuta a seconda
dei casi. La cosa fondamentale è quindi la presenza di alveoli collassati, la mancata areazione grazie
alle quali è possibile stabilire la diagnosi di quadro polmonare atelectasico riconducibile ad
atelectasia.
Diagnosi
Radiologica o attraverso TAC con associata broncoscopia; sono immagini che vanno esplorate
perché un focolaio atelectasico può mimare un quadro neoplastico e quindi è indispensabile la
biopsia. La diagnosi si avvale anche delle prove di funzionalità respiratoria che soprattutto per i
quadri di atelectasie da trazione o da ostruzione vedranno una variazione delle prove di funzionalità.
Atelectasie congenite
Quindi abbiamo visto che le atelectasie acquisite rivestono significato soltanto in certe circostanze
solamente quando il meccanismo che le determina è da trazione, quindi fibrosante, tanto da
determinare un’insufficienza respiratoria cronica restrittiva. Tutte le altre forme di atelectasia
acquisita (ostruttiva o compressiva) si risolvono rimuovendo la causa che le ha determinate, quindi
è importante arrivare al riconoscimento della causa. Invece le forme preoccupanti sono le atelectasie
congenite.
E’ necessario conoscere queste atelectasie perché hanno implicazioni medico-legali altissime;
frequenti infatti sono i casi di bambini nati morti perché affetti da queste patologie.
Le atelectasie congenite sono quelle condizioni in cui manca l’aria nel polmone. Quando l’aria
manca completamente il neonato è morto. In questo caso noi parliamo di anectasia, cioè la
mancanza totale di aria nei polmoni che porta al nato morto. Il nato morto non ha mai emesso un
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atto respiratorio, il polmone è anectasico.
Per dire da un punto di vista medico legale che quel neonato è nato morto, cioè non ha mai
respirato, si richiede un riscontro autoptico e deve risultare positiva la “prova docimasica”. La prova
docimasica si esegue aprendo il torace del neonato e prelevando un pezzettino di polmone; il
polmone apparirà collassato, acquattato nelle docce paravertebrali, non espanso e di colore rosso
scuro, rosso vinoso (perché manca aria che invece favorisce l’espansione e conferisce il colorito più
chiaro, roseo al polmone), somigliante ad un fegato; il pezzettino di polmone viene fatto cadere in
un bicchiere d’acqua. Un polmone che non ha mai respirato è pesante quindi affonda rapidamente,
si dice che la prova docimasica è positiva. Se il neonato ha respirato, quindi ha compiuto atti
respiratori e quindi c’è aria nel polmone e poi è morto, allora il frammento polmonare (nonostante il
polmone si presenta ipoespanso e acquattato) andrà a fondo più lentamente e si dice che la prova
docimasica, di un polmone dove è presente aria anche in minima quantità, è negativa. I motivi per
cui il neonato è morto dopo essere nato possono essere moltissimi, tra cui l’affezione da atelectasia
congenita, atelectasia da membrane ialine. L’atelectasia da membrane ialine è la causa più frequente
di morte neonatale cioè del neonato che nasce vivo e muore mezz’ora dopo.
Atelectasia neonatale. Osservando ad esempio un’atelectasia neonatale monolaterale che ha
colpito soltanto un polmone, lo riconosciamo perché è quello che somiglia al fegato: rosso scuro,
compatto. E’ un polmone che non ha respirato o ha respirato poco e male; mentre l’altro si è
riempito d’aria ma l’aria probabilmente è parziale e quindi nelle aree rosso scure non c’è. Questo è
sicuramente un quadro severo di atelectasia neonatale da membrane ialine che ha portato a morte (è
infatti un quadro autoptico) il neonato.
Per poter parlare di atelectasia neonatale dobbiamo fissare alcuni concetti.
Ricordiamo che il surfactante, sostanza tensioattiva prodotta dai pneumociti di II tipo, raggiunge la
sua espressione e maturazione al termine di gravidanza (dalla XXVIII settimana di gravidanza fino
alla XXXVIII).
Per età neonatale si intende l’età del neonato (nato a termine) che va dalla nascita alle quattro
settimane successive al parto. Poi si parla di “infante”. Secondo l’OMS questa età è definita
neonatale in senso stretto perché è quella caratterizzata dalla più alta morbilità e mortalità dei
neonati. E’ quindi un periodo molto delicato della vita.
Una gravidanza dura 40±2 settimane, quindi dalle 38 alle 42 settimane [andare oltre le 40 settimane
è rischioso per una serie di motivi, è una condizione che va monitorata giorno per giorno per
valutare la vitalità del feto].
Il nato a termine di gravidanza e maturo ha un peso che varia dai 3300 gr ai 3600 gr (peso medio di
3500 gr).
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Quando un nato nasce di peso inferiore ai 3300 gr, è un neonato a rischio di atelectasia congenita.
Prima veniva definito prematuro un neonato che nasceva con un peso inferiore ai 3300-3600 gr,
quindi con un peso inferiore ai 2500 gr, indipendentemente dall’età gestazionale. Questa definizione
è stata cassata perché l’OMS ha stabilito che la prematurità può essere riferita soltanto a nati che
nascono prima delle 38 settimane, cioè prima di una gravidanza a termine. Quindi secondo l’OMS
il prematuro è un neonato che nasce prima del termine della gravidanza e che quindi sarà più
piccolo. Mentre noi possiamo avere un neonato che nasce a termine con un peso differente da
quello medio normale. L’OMS infatti ha cassato quella definizione così grossolana di prematurità
riferita ad un neonato che nasce sottopeso (con un peso inferiore ai 2500 gr) indipendentemente
dall’età gestazionale.
L’OMS stabilisce anche il concetto di immaturità cioè il neonato può nascere a termine ma ha un
peso inferiore ai 2500 gr cioè è immaturo.
Quindi possiamo trovarci di fronte a neonati che nascono a termine di gravidanza ma sono
sottopeso (peso inferiore ai 2500 gr). Oppure possiamo trovarci di fronte a neonati prematuri, che
nascono prima del termine delle 37 settimane di gravidanza e che quindi hanno un peso inferiore di
conseguenza.
Le cause di immaturità (neonato che nasce a termine ma è sottopeso) possono essere: insufficienza
placentare, cioè alterata funzione della placenta e del circolo placentare che porta ad un ritardo di
crescita intrauterina del feto e quindi del neonato che nasce a 38 settimane ma è sottopeso.
Avendo stabilito cos’è l’età neonatale, qual è l’età gestazionale di gravidanza normale e qual è il
peso del neonato normale a termine di gravidanza possiamo capire cosa vuol dire “prematurità” e
“immaturità”.
E’ prematuro un neonato che nasce prima delle 37 settimane (perché è quando il surfactante è
assolutamente maturo nella sua composizione chimica) ed ha un peso inferiore. E’ immaturo un
neonato che nasce a termine ma sottopeso per qualche ritardo di crescita intrauterino.
Prematuri e immaturi hanno clinicamente alterazioni sovrapponibili, possono andare incontro
entrambi ad un quadro di atelectasia da membrane ialine (o atelectasia congenita o atelectasia
neonatale o clinicamente detta “malattia da distress respiratorio”).
L’atelectasia da membrane ialine è quella malattia che si osserva nel neonato che nasce prima delle
37 settimane, perché tra le 35 e 40 settimane si ha la formazione e la maturazione completa degli
alveoli e quindi il surfactante è maturo e in quantità adeguata per abbassare la tensione superficiale.
E’ chiaro che se il neonato nasce prima delle 37 settimane e già dall’ecografia ci si rende conto che
ha un peso inferiore, al momento della nascita i medici si attrezzano fornendo una struttura con
un’assistenza respiratoria, perché il neonato può andare incontro a distress respiratorio in quanto il
suo surfactante potrebbe non farcela a mantenere gli alveoli dilatati. Se il nato nasce prima perché la
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donna ha minacce di aborto e quindi il ginecologo la tiene a riposo, la sostiene con prostaglandine,
con progesterone o altre sostanze, cerca di portare la gravidanza più avanti possibile affinché il
surfactante possa raggiungere una sua maturazione, sia pure essere magari qualitativamente in
difetto. Quindi in caso di minacce di aborto i ginecologi fanno di tutto per prolungare con tutti i
mezzi a loro disposizione la gravidanza per portarla più avanti possibile per fare in modo che
l’alveolo e il polmone maturi.
Fattori che possono aumentare i rischi di atelectasia neonatale sono: diabete in gravidanza, gestosi,
fumo di sigaretta. In questi casi il neonato anche se nasce a termine è a rischio di malattia da
membrane ialine perché il diabete e il fumo in gravidanza interferiscono con la sintesi del
surfactante.
Il surfactante è una miscela complessa di fosfolipidi, è costituito quando è maturo da un 90% di
fosfatidilcolina (la maggior parte della quale è lecitina) e per il 10% da fosfatidilglicerolo. Proprio
perché si è a conoscenza della costituzione chimica del surfactante, è possibile riprodurlo
chimicamente e quando un neonato nasce con distress respiratorio è possibile fornirglielo
terapeuticamente dall’esterno per cercare di farlo recuperare. Il surfactante quindi è una miscela di
fosfolipidi. Questa composizione matura lo è solo al termine di gravidanza, perché inizialmente il
surfactante, nelle prime settimane di gestazione, risulta costituito prevalentemente da sfingomielina.
Poi la sfingomielina via via decresce e scompare e prevale la lecitina che dopo la XXXII settimana
di gestazione raggiunge la sua massima costituzione.
Per capire se il surfactante è giunto a maturazione (cioè contiene lecitina e fosfatidilglicerolo) si
effettua un prelievo del liquido amniotico e da questo si risale alla costituzione e alla presenza del
surfactante.
Se il surfactante è presente in quantità insufficiente , prima della XXXVII settimana di gestazione, o
se è presente in qualità non ancora adeguata, il neonato va incontro a distress respiratorio. Ma se il
nato nasce a termine, quindi siamo già a 40 settimane, ed è sottopeso quindi ha un ritardo di crescita
intrauterino, sia pure un neonato a termine, può avere lo stesso un distress respiratorio perché il nato
sottopeso può essere per esempio un “nato pigro”, può avere cioè dei movimenti respiratori “pigri”,
presenta difficoltà a compiere i suoi movimenti respiratori. Il primo gemito lo fa ma poi via via non
riesce a sostenere gli altri.
Una malattia da membrane ialine diventa evidente nei nati a termine con spesso un ritardo di
crescita che per esempio durante l‘espulsione del parto ingeriscono il liquido amniotico. Se il
neonato è “pigro” o le puericultrici (che con un sondino dovrebbero aspirare il liquido amniotico)
sono inefficienti o mancanti al momento del parto, il liquido amniotico (composto di proteine e
lamelle cornee) finisce negli alveoli. Se a questo si unisce la pigrizia respiratoria del neonato
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sottopeso è chiaro che gli alveoli vengono danneggiati dalla presenza di lamelle cornee, i
pneuomociti sono danneggiati e si innesca facilmente una malattia da distress respiratorio.
Quindi la malattia da distress respiratorio, cioè l’atelectasia congenita o meglio ancora l’atelectasia
neonatale o l’atelectasia da membrane ialine, possiamo osservarla nei nati a termine immaturi, nei
nati prematuri, nei nati da madri diabetiche o prediabetiche, nati da madri fumatrici, nati da parti
difficili o da parti in cui il neonato ingerisce il liquido amniotico e a causa della pigrizia respiratoria
non riesce ad eliminare il liquido che si accumula a livello alveolare.
Quando si creano queste condizioni, succede che nella condizione di immaturità o di prematurità
dei pneumociti di II tipo (che producono surfactante) vi è un’inadeguata attività del surfactante ed
atelectasia, se c’è atelectasia c’è ipossia ed acidosi metabolica che va a danneggiare le cellule
epiteliali alveolari e precipita il fenomeno che porta a morte il neonato se non si interviene con
l’assistenza respiratoria e con la somministrazione di surfactante nel giro di mezz’ora dopo la
nascita. L’acidosi metabolica danneggia anche le cellule endoteliali dell’unità alveolo-capillare che
a sua volta favorisce l’edema, cioè il passaggio di liquido dai capillari endoalveolari all’interno
dell’alveolo. Questo liquido è un liquido trasudato ricco di fibrina. La fibrina si stratifica sugli
alveoli polmonari e crea la membrana ialina. La membrana ialina quindi non è altro che a fibrina
stratificata sulla superficie alveolare che danneggia i pneumociti, che allontana il capillare dal lume
alveolare, precipita l’acidosi e il processo va avanti a catena fino alla morte del neonato, distress
respiratorio.
Quindi se non si interviene rapidamente sul neonato la conseguenza è la membrana ialina cioè
materiale proteico che si stratifica sulla superficie dell’alveolo PAS-positivo (perché ricco di
fibrina) e ovviamente si allontana sempre di più la superficie capillare dalla superficie alveolare, il
distress peggiora, quindi il neonato che cerca di respirare non ce la fa e allora compare, a 30 minuti
dalla nascita, dispnea ingravescente accompagnata, per mancanza di adeguata espansione
polmonare, da infossamento respiratorio. Gli spazi intercostali si imbarcano, il diaframma si solleva
e si imbarca l’addome (l’epigastrio) del neonato, si ha cianosi labiale, ungueale, delle mucose, fino
ad arrivare a morte. Si arriva a morte se non ci si trova in una struttura ospedaliera che non è dotata
di terapia intensiva. Per questi neonati occorre una terapia intensiva neonatale dove poter mettere i
neonati in incubatrice e sottoporli ad ossigeno-terapia forzata ad alte concentrazioni, associata con
somministrazione di surfactante. Il neonato può così sopravvivere e quindi può guarire.
In caso di malattie da membrane ialine non si devono dimenticare le complicanze: l’ossigeno-
terapia ad alte concentrazioni da una parte ci aiuta a mantenere gli alveoli dilatati e ad ossigenare il
neonato (nel frattempo il surfactante va a stratificarsi sulla superficie alveolare finché non
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sopravvivono i pneumociti di II tipo e cominciano a produrre autonomamente surfactante) dall’altra
però provoca la liberazione di radicali liberi dell’ossigeno che può creare dei danni ad esempio a
livello cerebrale, emorragie cerebrali, retinopatie, necrosi intestinali, enteriti necrotizzanti (si passa
dalla terapia intensiva neonatale, alla sala operatoria, in chirurgia pediatrica che accoglie il neonato
che deve essere sottoposto a rimozione di organi necrotici), periartriti, necrosi articolari.
Un’altra complicanza dell’ossigeno-terapia è la persistenza del dotto di Botallo pervio, quindi
ritarda o può ritardare la pervietà del dotto di Botallo che può portare ad una cardiopatia congenita
cianogena. Per evitarlo si somministrano salicilati che ne favoriscono la sua chiusura.
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7/05/2012
Anatomia Patologica (professoressa Serio)
Sbobinata da: Scritti
Corretta da:
Riprendiamo la nostra chiacchierata, considerando quelle che sono le alterazioni del contenuto
aereo polmonare. Abbiamo parlato della mancanza di aria nei polmoni, quindi esattamente di
atelettasia, ovvero i polmoni privi di aria ,e abbiamo visto quelle condizioni in cui l’aria manca
completamente alla nascita ,oppure abbiamo visto la forma più importante quella che vi interessa da
un punto di vista clinico nella vostra professione di ginecologi o neonatologi ,ovvero la condizione
di atelettasia neonatale ,cioè quella che coinvolge i nati a termine maturi, i nati prematuri o a
termine immaturi.
Questo è il periodo più critico della vita dei neonati perché quello in cui sono particolarmente
esposti ad una serie di complicanze ,e quindi in ambito di queste complicanze fa parte l’atelettasia
neonatale .Essa si presenta almeno e non prima delle 6-12 h dalla nascita :cioè il neonato nasce,
compie i primi atti respiratori ,e poi comincia quella condizione che abbiamo definito distress
respiratorio ,insufficienza respiratoria progressiva che porta il neonato a morte se non si interviene
tempestivamente. Perché si verifica ?Sappiamo che, secondo quello che è lo sviluppo del polmone,
soprattutto in relazione alla fase finale dello sviluppo, intorno alla 35esima settimana si completa la
maturazione del surfactante.
L’atelettasia neonatale è legata ad alterazione di sintesi o di quantità del surfactante ,che è quel
tensioattivo che stabilisce l’abbassamento della pressione endoalveolare ma ha anche una
importante funzione anti-edema. Dunque il rischio di andare incontro a tale patologia è legato a
situazioni dove il surfactante manca o è insufficiente(nella pratica, cioè quando ci troviamo difronte
ad un individuo nato prima delle 35 settimane oppure nato a termine ma immaturo, cioè con un
apparato sottopeso, un apparato respiratorio non ancora perfettamente costituito, e con i muscoli
della gabbia toracica non efficienti).Si crea il Distress respiratorio ,che è una urgenza assoluta e
sarà necessario intubare il neonato e somministrare dall’esterno il surfactante. Abbiamo visto anche
la complicanza di questa malattia che è legata all’ossigenoterapia ad elevata concentrazione e
quindi alla liberazione dei radicali liberi emorragie cerebrali ,emorragie lipidiche ,necrosi settica
ossea, necrosi intestinale.
o L’ENFISEMA POLMONARE.
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Stabilito questo vediamo di analizzare la condizione patologica che noi denominiamo Enfisema
(dal greco ενφισάω =io gonfio),caratterizzata dalla presenza di alveoli rigonfi ,pieni di aria.Quando
parliamo di enfisema ci riferiamo a forme croniche in realtà ,con espansione alveolare legato a
processi cronici.Vi sono però anche condizione acute,che però sono transienti.
Una dilatazione alveolare acuta si trova frequentamente:
1. Nei polmoni dei vari soggetti che vengono intubati (iperinsufflazione):ovviamente
dopo che vengono stubati la condizione cessa.
2. Nel corso di alcune infezioni come la Pertosse,o la Difterite,o altre infezioni
batteriche e virali che comunque comportano accessi tossigeni molto forti.
Queste situazioni possono causare inspirazioni forzate e iperespansione alveolare. E’
evidente che tali condizioni alveolari siano transitorie :una volta eliminata la causa
l’enfisema acuto scompare.
3. Nel caso di morte per annegamento:in questo caso il soggetto cercherà di emergere
dall’acqua,compierà atti inspiratori forzati,ma dall’altro lato i suoi alveoli si
riempiranno di acqua.Si parlerà di enfisema acuto asfittico dei morti annegati.
Anche questo non ha significato clinico importante.
4. Nella telectasia polmonare:ad esempio nelle telectasie acute da compressione,da
ostruzione;laddove un territorio polmonare è chiuso,ne avremo uno vicariante che va
incontro ad espansione.Anche in questo caso rimuovendo la causa a
monte,l’enfisema acuto scompare.
Le forme acute di enfisema quindi rivestono un significato clinico relativo.
Ben più grave è la condizione di Enfisema Cronico,ovvero una iperestensione degli acini
alveolari,cronica e irreversibile,dovuta a degradazione dei setti interalveolari ma anche
della componente vascolare,cioè dei capillari alveolari in stretto legame con la superficie
alveolare.Il tutto si traduce in una ipertensione polmonare che si trasferisce alla sezione
destra del cuore fino ad avere un quadro di cuore polmonare cronico.
Se teniamo conto della definizione della Società Americana di Chirurgia
Toracica ,l’Enfisema è dilatazione abnorme e permanente degli spazi aerei distali rispetto al
bronchiolo terminale.(quest’ultimo possiede ancora strutture cartilaginee con epitelio
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ciliato).Ciò che è a valle del bronchiolo terminale,ovvero quello il bronchiolo
respiratorio,non ha epitelio ciliato,esso è cubico,è privo di strutture cartilaginea,ma ha
importante componente elastica.L’Enfisema quindi colpisce le strutture a valle del
bronchiolo terminale,che sono meno resistenti,dove la rottura del setto è piu facile e dove
avverrà la degradazione della componente elastica.
Patogenesi dell’enfisema cronico:
Dilatazione irreversibile e permanente di tutti gli spazi aerei distali al bronchiolo
terminale con distruzione dei setti e compromissione delle strutture capillari:quando
c’è un enfisema cronico,nell’interstizio polmonare non c’è mai una reazione fibrosa.(quando
troviamo una reazione fibrosa infatti ci troviamo sicuramente di fronte ad altre patologie
polmonari che possono presentare aree enfisematose, ma non hanno niente a che vedere con
l’enfisema cronico).
Quando parliamo di strutture funzionali distali al bronchiolo terminale parliamo di
bronchioli respiratori, che si diramano in dotti sempre più piccoli fino a terminare nei dotti
alveolari dove sono presenti gli acini o alveoli.E’noto dall’anatomia umana normale in
corrispondenza del bronchiolo respiratorio abbiamo epitelio cubico che man mano si
appiattisce fino a diventare pavimentoso semplice a livello alveolare:qui riconosciamo
pneumociti di I tipo e pneumociti di II tipo(questi ultimi secernono surfactante e posso avere
funzione rigenerante nei confronti dei pneumociti di tipo I quando essi sono distrutti da una
qualsiasi noxa patogena).Un insieme di acini(ciascuno costituito da alveoli,dotto
alveolare,bronchiolo respiratorio) porta alla formazione del lobulo polmonare.
Le cause dell’enfisema(dilatazione delle strutture a valle del bronchiolo terminale) sono:
-ostruzione a livello del bronchiolo respiratorio.
-danno non ostruttivo che favorisce la dilatazione delle strutture alveolari.
L’Enfisema cronico potrà essere dunque a seconda delle condizioni che lo causano :
-“Ostruttivo”
-“Non Ostruttivo”
Il caso dell’Enfisema Cronico Ostruttivo:
In quali condizioni si verifica una iperdistensione alveolare a causa di una ostruzione delle vie
respiratorie? In tutte quelle forme di processi infiammatori polmonari che noi definiamo
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BPCO,ovvero broncopatie cronico-ostruttive tra cui rientra lo stesso enfisema cronico.
Quando si ha una bronchite cronica mucosecernente come nei fumatori di vecchia
data o in alcuni lavoratori esposti a polveri inquinanti,si osserverà la presenza di
tappi di muco nei bronchioli respiratori,che favoriscono la profliferazione dei
batteri,e dall’altro lato costringono il paziente ad atti inspiratori forzati e
l’intrappolamento di aria endoalveolare durante l’espirazione:cioè l’aria riesce ad
entrare negli alveoli mediante una inspirazione forzata(dove si osserva la
partecipazione dei muscoli inspiratori ausiliari) superando il tappo di muco,ma
non riesce ad uscire.
Il Volume Residuo tende ad aumentare progressivamente con gli atti respiratori fino
ad aversi via via la formazione di queste dilatazioni che porteranno man mano alla
rottura dei setti interalveolari con la formazione di quell’enfisema,che viene
definito(come riportato sui testi)enfisema cronico ostruttivo o centrolobulare.
Tale forma è definita in questo modo perché la dilatazione progressiva delle strutture
lobulari inizia dalle parti centrali del lobulo e poi via via si espande in periferia.
Quindi l’enfisema cronico ostruttivo,cioè quello da tappi di muco,è definito
centrolobulare da un punto di vista topografico.
Il caso dell’Enfisema Cronico Non Ostruttivo
In esso non si riconoscono tappi di muco:evidentemente ma ci sarà una
predisposizione genetica che favorisce l’espansione alveolare,con la rottura dei
setti,e la costituzione di un enfisema cronico panlobulare o panacinare.
(Quando troviamo sui testi scritto enfisema centrolobulare/centroacinare =enfisema cronico
ostruttivo;quando troviamo enfisema panlobulare/panacinare=enfisema cronico non ostruttivo).
Quando abbiamo enfisema cronico panlobulare la causa è sempre da attribuire a una predispizione
genetica.In realtà la patogenesi di entrambi gli enfisemi è esattamente la stessa.
Qual è il meccanismo patogenetico che porta alla rottura progressiva dei setti?
Esso è semplicemente uno squilibrio tra enzimi,enzimi proteolitici vs enzimi
antiproteolitici.
Quali sono le proteasi che rivestono un significato importante a livello polmonare,e che sono
prodotte durante la flogosi dai granulociti neutrofili e dai macrofagi stessi a livello alveolare?
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Sono soprattutto le elastasi.Nel bronchiolo respiratorio e negli acini manca la componente
cartilaginea e quella muscolare che servono per rendere più resistente la parete,ma troviamo
soltanto fibre elastiche.E’ chiaro che la presenza di enzimi proteolitici favorisca la
digestione delle fibre elastiche:come consequenza si avrà la comparsa di ampi sacchi
alveolari e quindi dell’enfisema.
Normalmente questo non succede perché ci sono enzimi antiproteasi che il nostro
organismo produce,tra cui primeggia l’enzima alfa1-antitripsina che va a bloccare la
elastasi ,prodotta come detta a livello polmonare da macrofagi e granulociti.Quindi il nostro
organismo si difende producendo questo enzima antiproteolitico.
Se vi è una flogosi cronica come una bronchite cronica mucosecernente(vd i soggetti
fumatori o lavoratori a contatto con polveri inquinanti),essa fara sì che a livello polmonare si
avranno reazioni flogistiche persistenti(lo stesso fumo di sigaretta funge da stimolo per la
produzione da parte delle cellule infiammatorie di queste proteasi) che creeranno uno
squilibrio tra proteasi e antiproteasi,a favore delle prime.
Le antiproteasi non avranno la capacità di opporsi alle proteasi,e via via assisteremo alla
progressiva distruzione dei setti interalveolari procedendo dal centro dei lobuli alveolari
fino alla periferia.
NB.Nel caso di enfisema cronico non ostruttivo,per quanto la patogenesi sia comunque la
medesima,non si avrà uno squilibrio relativo tra proteasi e antiproteasi,bensi reale per difetto
genetico di sintesi di antiproteasi,tra cui la alfa1antitripsina appunto.
Quindi nell’enfisema panacinare o panlobulare ci troviamo difronte a soggetti che hanno
deficienza ereditaria di alfa1antitripsina.Se questi soggetti sono fumatori,il fumo stimolando la
sintesi di elastasi,favorirà un peggioramento della situazione:quindi questi soggetti in età assai
giovane(30 anni in su) evidenzieranno enfisema.(mentre nel caso dell’enfisema cronico ostruttivo o
centrolobulare esso compare nel soggetto fumatore incallito o vecchio lavoratore in età piu
avanzata).
L’alfa1antitripsina è una proteina la cui sintesi è legata ad una coppia di alleli,ciascuno di essi è
localizzato sul cromosoma 14(il nome dell’allele è Proteasi inibitore,o Pi).La sintesi di questa
proteina è di competenza epatica,tale enzima,una volta rilasciato a livello dei sinusoidi
epatici,raggiunge la circolazione generale e andrà a localizzarsi anche a livello endoalveolare.Ciò
significa che siccome il fegato è coinvolto nella sintesi di proteina,nei soggetti in cui c’è deficit
genetico a carico di questi geni si osserveranno problemi epatici(cirrosi),oltre all’enfisema
panlobulare(questa affermazione viene poco recepita e compresa da tutti noi,tant’è che Elena
Prisciandaro obietta chiedendo se in soggetti con Insufficienza epatica in virtù della perdita della
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funzionalità di tale organo si potrebbe avere un Enfisema secondario proprio da ridotta sintesi di
Anti-tripsina.La risposta della professoressa è:”il soggetto muore prima che questa evenienza si
possa manifestare”.Il caso è chiuso)
Il genotipo piu comune presente degli individui è quello PiMM,che è quello correlato a normale
sintesi enzimatica.Ci sono numerose varianti alleliche,come la variante Z.Il genotipo piu grave è
quello PiZZ(che determina manifestazione precoce della patologia se associata a fumo a 35 anni,
se non fumatore i sintomi di enfisema cronico si manifesteranno quando raggiungerà un’età
media),quella moderata è di PiZM.Difronte a soggetti con enfisema cronico a 35 anni dovremmo
fare uno studio genetico per scoprire quale genotipo essi presentano.
Quali sono gli aspetti del polmone enfisematoso?
• I polmoni,quando si apre la gabbia toracica in corso di autopsia di un soggetto normale,
tendono a collassare,posseggono colorito roseo-grigiastro,con disegno ????? ben
evidente,per la presenza di macrofagi pigmentati nell’interstizio
• In caso di enfisema di centroacinare e o panacinare i polmoni rimangono ben gonfi e non
collassano dopo la apertura della gabbia toracica.Se proviamo a comprimerli,cioè a
schiacciarli con le mani,sentiamo il crepitio dell’aria che si sposta da una parte all’altra ma il
polmone non si schiaccia,oppone resistenza,acquisista consistenza cotonosa,equivalente alla
matassa di cotone,di ovatta o della neve quando la prendete con le mani.
Il colorito è molto più chiaro perché è alterata la rete vascolare rispetto a quella normale,e in
superficie sono evidente bolle enfisematose che se dovessero scoppiare in vivo possono
causare uno pneumotorace chiuso(collasso immediato del polmone con atelettasia da
compressione del polmone,e soggetti vanno operati tempestivamente).
• Quando si seziona un polmone enfisematoso,avremo dinanzi un aspetto a favo
d’api,cistico,con alveoli rotti di varie dimensioni a seconda del tipo e da quando è presente
la malattia.Se procediamo a osservarlo istologicamente,avremo un quadro quasi privo di
particolarità(abbiamo detto che in questa malattia abbiamo setti interalveolari degradati con
formazione di ampie cavità comunicanti tra di loro con vasi appena percettibili e non c’è
fibrosi),otticamente vuoto,con tralci sottili corrispondenti ai setti residui che sono in
comunicazione fra di loro.
Aspetti semeiologici e clinici dell’Enfisema Cronico
Quando c’è un enfisema il problema è soprattutto clinico e terapeutico in quanto i soggetti
enfisematosi hanno problemi di insufficienza cardiaca destra e sono soggetti invalidi,che non
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possono svolgere una normale funzione lavorativa,ma hanno anche una vita sociale piuttosto
compromessa.Qualsiasi sforzo può infatti peggiorare la dispnea.Tali soggetti dovranno muoversi
sempre accompagnati da un contenitore con ossigeno portatile.
Il soggetto enfisematoso è molto delicato dal punto di vista cardiopolmonare e arriva al decesso per
scompenso destro.Esso presenterà all’ E.O:
-respiro affannoso e superficiale,tachipnoico
-cute non più rosea,ma bluastra.L’individuo è cianotico soprattutto nei soggetti con enfisema
cronico ostruttivo.(viene definito blue bloater)
-il soggetto giovane dispnoico con enfisema cronico non ostruttivo apparirà come Pink
puffer(soffiatore rosa),con cianosi assente.
-torace particolare a botte: con aumento del diametro non cradiocaudale bensì trasversale e
anteroposteriore dei polmoni,con annesso schiacciamento del diaframma e sterno appiattito in
avanti.
-gli esami spirometrici mostreranno un aumento del Volume residuo che conferma l’ipotesi
dell’esame obiettivo.
-la radiografia inoltre permetterà di osservare una iperdiafania ovvero una maggiore
radiotrasparenza delle immagini polmonari.
-l’enfisema cronico è sicuramente una malattia che riveste un ruolo funzionalmente
importante,perché è una malattia invalidante,è una malattia che porta a morte dei soggetti per via
delle sue complicanze cardiocircolatorie.
(Le domande di due studenti non sono riuscite a comprenderle in toto,quindi preferisco
ometterle,perché a mio modesto parere sono insignificanti.)
o MALFORMAZIONI DELL’APPARATO TRACHEO-BRONCO-POLMONARI
Vi invito a riprendere questo capitolo perché saremo costretti poi a rivederle a settembre/ottobre
perché molte e soprattutto le principali malfomarzioni dell’apparato trache-bronco-polmonare sono
abbinate a malformazioni dell’esofago,che sono eventi comuni e possono crearci problemi medico-
legali se non le individuiamo durante la gravidanza nella ecografia ginecologica morfologica,che
deve essere adeguata,e quindi il nato nasce con fistole o atresie tracheo-esofagee che possono
portarlo a morte nelle prime ore di vita.Sono spesso situazioni che possono essere corrette
chirurgicamente e quindi non creare nessun tipo di problema.
Queste malformazioni sono importanti,in particolare quelle riguardanti la trachea e i bronchi.Le
vere malformazioni del polmone sono rare e spesso si manifestano in fase adulta,quando i soggetti
raggiungono un’età intorno ai 20 anni.Significa allora che la maggior parte delle malformazioni del
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polmone possono passare addirittura inosservate,ed evidenziarsi solo in seguito a
complicazioni(processi infiammatori) o addirittura possono essere confuse radiologicamente con
masse tumorali.E’ importante conoscerle affinchè vada fatta una corretta diagnosi radiologica.
Cenni di embriologia:
Abbiamo detto che la derivazione embriologica dell’apparato respiratorio è la stessa dell’apparato
enterico:la derivazione del polmone è di natura endodermica,da un abbozzo ventrale dell’intestino
primitivo al di sotto delle tasche faringee(diverticolo respiratorio o gemma polmonare).Da esso
origina intorno alla 4 settimana di gestazione la trachea e le due gemme bronchiali,destra e
sinistra(corrispondenti ai bronchi principali di dx e di sx).Intorno alla V settimana,dalla gemma
bronchiale di dx origineranno 3 gemme bronchiali secondarie(corrispondenti ai 3 bronchi e lobi di
dx,ovvero superiore,medio e inferiore),da quella di sx origineranno 2 gemme bronchiali
secondarie(corrispondenti ai 2 bronchi e lobi di sx,superiore e inferiori).Le gemme bronchiali
secondarie poi penetreranno nell’ilo polmonare e daranno origine per diramazione successive ai
diversi bronchioli respiratori fino ad arrivare agli alveoli.
Le malformazioni:eziologia,classificazione,aspetti anatomopatologici e complicanze cliniche.
Le principali malformazioni sono quelle che riguardano trachea,esofago e anche bronchi.
Le cause delle malformazioni tracheo-broncopolmonari possono essere legate a:
• cause genetiche
• cause acquisite:nella maggior parte dei casi.Tra questi rientrano:
1. la somministrazione di farmaci teratogeni in gravidanza,
2. infezioni contratte dalla madre:in particolare sarà il primo trimestre di gravidanza
quello piu delicato,perché qualsiasi noxa esterna può determinare blocchi o
alterazioni dello sviluppo embrionale,
3. fattori carenziali(carenza di folati,Vitamina B6,Vitamina B12) possano favorire
l’insorgenza di tali malformazioni.
Dunque le malformazioni possono essere legate a motivi genetici,ma la maggior parte è indotta da
stimoli esogeni,esterni di natura infettiva,chimica,farmacologica,fattori carenziali senza dimenticare
le radiazioni ionizzanti,soprattutto se la madre viene a contatto con esse nel primo trimestre di
gravidanza.
Malformazioni principali della Trachea:riguardano sicuramente le primissime settimane
di gestazione,laddove si forma l’abbozzo dell’apparato respiratorio.
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I. Agenesia:
in generale significa mancanza di un organo(ovviamente può riguardare qualsiasi
organo).L’agenesia della trachea dipende da mancata formazione dell’abbozzo,della
gemma polmonare e quindi si è sviluppato soltanto l’esofago.Tale condizione è
incompatibile con la vita.Ci troveremo difronte a nati morti,o feti abortiti.
II. Atresia:
in generale si riferisce ad organi dotati di lume,organi canalizzati.Dunque l’atresia riguarda
organi che sono solitamente provvisti di lume,ma che a causa di tale malformazione ne sono
privi.(esofago atresico,bronco atresico,trache atresica,uretra atresica,intestino atresico).Tali
organi saranno semplicemente dei cordoni fibrosi.La causa della atresia tracheale è da
ricondurre all’errata divisione ad opera di un setto mesodermico della trachea
dall’esofago,localizzato posteriormente ad essa(NB:si ricorda la comune derivazione
embriologica endodermica dei due organi). Si ritiene che tale setto possa intervenire ad una
separazione anomala,cioè tutto a favore dell’esofago e non a favore della
trachea.Quest’ultima rimane come un cordone fibroso privo di lume,mentre l’esofago si
sviluppa normalmente.Può capitare anche che l’atresia possa riguardare l’esofago(con una
trachea che si sviluppa normalmente)per motivi opposti:cioè il setto mesodermico interviene
nella divisione però lo fa a favore della trachea,con esofago che rimane atresico.(Tant’è vero
che le malformazioni della trachea e quelle dell’esofago sono solitamente combinate in
maniera bizzarra,e queste vanno ricordate perché i ginecologi,i neonatologi e i radiologi vi
chiederanno di saperle:in questo modo potrete salvare la vita di molti neonati,e soprattutto
consigliare i genitori del nascituro circa la possibilità di aborti terapeutici,soprattutto per
situazioni estremamente incompatibili con la vita)
III. Stenosi:
riduzione del lume di un organo cavo.Solitamente un organo stenosi presenta restringimenti
del diametro localizzati soltanto in alcuni tratti:così esso possederà tratto il cui lume ha
diametro normale,e un altro appunto stenotico.Possono essere causate da ipertrofia
muscolare,cartilaginee,dalla formazione di setti anomali.Se c’è stenosi del lume si può
intervenire con un intervento chirurgico alla nascita,cioè di disostruzione del lume anche se
questi interventi su apparato respiratorio sono molto delicati in quanto vanno fatti a
mediastino aperto con elevato rischio di complicanze post-operatorie(infiammazioni del
mediastino)
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IV. Ectasia:
dilatazione del lume dell’organo(megatrachea).Riguarda anch’essa organi
cavi(megaesofago,megacolon).La megatrachea,contrariamente al mega esofago ,è un
organo che si sfianca progressivamento per lassità congenita dei tessuti(alterazioni delle
fibre elastiche,componente cartilaginea,componente muscolare) e si manifesta
successivamente.Mentre il megaesofago si manifesta subito,la megatrachea si manifesta man
mano che il bambino cresca perché tale sfiancamento è lento e progressivo col succedersi
degli atti respiratori nel corso della vita.Solitamente è una condizione che non presenta
grosse complicanze.Possiamo avere una megatrachea anche allungata,ovvero dolicotrachea.
(ovviamente si può avere dolicoesofago,dolicocolon,etc).Sono condizioni piuttosto rare e
prive di significato clinico.
V. Fistole Tracheo-esofagee:
ovvero la presenza di comunicazioni congenite tra trachea ed esofago.Esse possono essere
associate ad atresia dell’esofago.Ve ne sono molti di tipi,e soprattutto la classificazione si
basa su diversi aspetti
a) Bassa:la piu frequente
b) Alta:piu rara,quest’ultima è quella che determina morte nel neonato solitamente 5-6
giorni dopo la nascita.Questa comunicazione alta è difficilmente riscontrabile da
parte di ginecologi,neonatologi e dai radiologi.Solitamente essa si manifesta con
infezioni polmonari ripetute e febbre,dovuta al passaggio nella porzione alta della
trachea,in virtu di tale fistola, del latte che poi raggiungerà polmone.Si avranno
broncopolmoniti ad ingestis,con la presenza di secreto negli alveoli che favorisce la
proliferazione batterica e la morte del neonato per complicanze respiratorie.)
c) Singole
d) Doppie
e) Con Esofago Atresico
f) Con Esofago Normale
-Fistola tracheo-esofagea singola con esofago atresico.La porzione inferiore
dell’esofago è in comunicazione attraverso un orifizio fistoloso con la trachea:tale
comunicazione si trova circa a 2cm e mezzo dalla biforcazione tracheale nei due
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bronchi.Il neonato nasce,non riesce a nutrirsi,ma soprattutto i succhi gastrici possono
farsi strada attaverso la fistola esofagea (se è pervia) e portarsi in trachea(favorita dalla
posizione supina del neonato).Si avrà broncopolmonite ab ingestis.
-Ovviamente la fistola esofagea può essere anche impervia:dunque avremo moncone
esofageo superiore atresico e porzione inferiore autonoma che è collegata alla trachea
tramite una fistola non comunicante.Tale situazione è certamente migliore da un punto di
vista prognostico,perché ci da tempo di intervenire chirurgicamente in quanto bisogna
soltanto correggere difetto esofageo,con sostituzione dell’esofago atresico con un pezzo
di intestino tenue,che nel tempo si modifica a struttura simile all’esofago tramite
fenomeni metaplastici.(epitelio pavimentoso pluristratificato).Il neonato nel corso del
suo sviluppo sarà sottoposto a interventi successivi al fine di adeguare la lunghezza
dell’esofago,al fine di collocare porzioni aggiuntive di intestino tenue,in modo da
raggiungere la lunghezza normale dell’organo,che nell’adulto è di circa 25-27 cm.
-Fistole tracheo-esofagee doppie con esofago atresico:condizione certamente ancora
piu severa soprattutto per le complicanze,si avrà trachea normale in comunicazione con
esofago atresico con una fistola alta e una fistola bassa.Va sottolineato che un organo
atresico comunque presenta dei piccoli lumi virtuali,anche se sottili o piccoli.In questo
piccole quantità di latte o saliva riescono ad entrare nel polmone se c’è una fistola
pervia.Minime quote al giorno di latte o saliva che si localizzano in questo polmoni così
piccoli sono sufficienti a creare terreni di coltura per batteri.
Ci possono essere un’altre situazioni:
- in cui non c’è fistola né superiore né inferiore,ma abbiamo esofago atresico fatto di due
monconi
-l’esofago è unico moncone atresico senza fistola.
Abbiamo visto che ci possono essere numerosissime varianti.Quello che ci preoccupa
ovviamente è la presenza di fistole tracheo-esofagee soprattutto quelle pervie,dove
quella piu comune è quella bassa,quella piu rara ma insidiosa è quella alta.
Malformazioni principali dei bronchi:situazioni meno frequenti di quelle tracheali,ma piu
frequenti di quelle polmonari in senso stretto.
I. Agenesia:
-di una gemma bronchiale principale:osserveremo la mancata formazione di uno dei due
bronchi principali,
-di una gemma secondaria; e quindi ad es. si formano a destra solo due bronchi lobari e
dunque avremo polmone bilobato,
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II. Aplasia:
-mancata formazione di un piccolo territorio bronchiale
III. Stenosi:
IV. Atresia:
V. Bronchi in eccesso,sovranumerari :
il bronco in eccesso si associa a parenchima polmonare in eccesso,e quindi a lobi
sovranumerari.Quando abbiamo un bronco sovranumerario e/o un lobo sovranumerario
associato,esso può rimanere silente.La sua presenza può essere diagnosticata da una
radiografia del torace.I bronchi sovranumerari e i lobi associati possono essere terreni
fertili non solo per processi infiammatori,ma anche di fenomeni neoplastici
Malformazioni polmonari in senso stretto :riguardano il parenchima polmonare.
I. Agenesia:
Mancanza dell’abbozzo polmonare.
Esso può essere svincolato o meno dalla formazione della gemma bronchiale:
-1)cioè non si forma abbozzo polmonare nonostante normale sviluppo della gemma
bronchiale corrispondente,
-2)oppure,in virtù del mancato sviluppo della gemma bronchiale,non si forma l’abbozzo
polmonare.
Si può avere agenesia bilaterale dei polmoni qualora si abbia mancata formazione di
entrambe le gemme bronchiali(condizione incompatibile,feto morto in quanto non si
forma il liquido amniotico alla cui produzione concorrono sia i reni sia l’apparato
respiratorio fetale).
L’agenesia del polmone unilaterale è compatibile con la vita,essa può essere di due tipi:
1)quella in cui manca la gemma bronchiale corrispondente:avremo la trachea che si
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continua in un solo bronco principale,quello controlaterale,con la suddivisione nelle
successive generazioni bronchiali..Tale agenesia viene definita di primo grado.E’quella
migliore in assoluto perchè da’ meno complicanze
2)quella in cui avremo la mancata formazione di un polmone(agenesia di secondo grado
o aplasia di secondo grado),ma avremo la presenza del bronco principale
corrispettivo,che tuttavia termine con una sorta di moncone di tessuto.Quest’ultimo può
andare incontro facilmente a processi infiammatori,ma anche ad alterazioni displastiche
dell’epitelio ed essere sede di ascessi,gangrene,e cancro polmonare.Tale tipo di agenesia
è bene evidenziabile radiologicamente:molto spesso si interviene chirurgicamente ad
eliminare questi monconi atresici proprio per evitare l’insulto infiammatorio.
II. “Polmoni in eccesso”,ovvero gli abbozzi in eccesso:ovvero la presenza di un lobo
polmonare sovrannumerario legato ad un bronco sovrannumerario;queste configurano la
cosiddetta "malformazione adenomatoide del polmone”,meglio ancora “formazione
adenomatoide cistica”.Essa può essere di tipo solido,cistico,pseudoneoplastico,ma la cosa
fondamentale è che spesso queste situazioni le ritroviamo nei nati morti(la forma solida
in particolare,perché interessa territori molto ampi nel polmone.Sono tessuto in eccesso
incompatibile con la vita,difficilmente individuabile,di aspetto cistico ed è spesso
associato a malformazioni renali).In alcuni caso però quando il territorio sovranumerario
del polmone è limitato,il soggetto può nascere e vivere normalmente fino a che
casualmente tale reperto viene scoperto in radiografia,e viene definito area
sovranumeraria pseudoneoplastica,perché la sua densità è facilmente confondibile con
un nodulo polmonare neoplastico.Tuttavia dopo la rimozione,l’anatomopatologo
diagnosticherà semplicemente la presenza di tessuto polmonare sovranumerario su base
malformativa.
III. Sequestrazioni del polmone :esse sono importanti perché rappresentano territori fertili per
la comparsa di fenomeni flogistici o di trasformazione neoplastica.Esse sono territori
polmonari sequestrati all’interno del parenchima polmonare:possono essere
- intralobari,cioè riguardante un territorio polmonare che cresce in maniera autonoma nel
parenchima polmonare,poiché possiede una sua vascolarizzazione autonoma da rami
76
provenienti dall’aorta,anziché dalle arteria bronchiali,e posseggono anche una autonomia
bronchiale,che è altro elemento a favore della loro autonomia anatomo-funzionale.
-extralobari,solitamente sono attaccate al lobo inferiore di sinistra,esse funzionano
comunque autonomamente ed essere fonte di processi infiammatori e neoplastici.
IV. Le malformazioni cistiche del polmone; sono piuttosto rare;il polmone policistico si trova
in deficit genetici,gravi severi enzimatico di tipo enzimatico oppure si può avere delle
forme di polmone cistico che assomiglia un po’ al polmone enfisematoso congenito
perché si ha la presenza di bolle aeree,per cui un parenchima polmonare cistico non
funzionante,con feti abortiti oppure un polmone che è un sacco vuoto,una cisti
vuota,polmone a sacco di Kauffman.Le forme cistiche del polmone(forme rare a bassa
incidenza) riguardano la differenziazione del parenchima polmonare a livello delle
strutture dei bronchioli respiratori terminali,da cui si formano i sacchi alveolari.La cisti
si forma perché si arresta la maturazione del bronco a livello del bronchiolo
terminale,cioè non si ha il bronchiolo respiratorio,non si formano gli alveoli,ma
l’arresto dello sviluppo determina dilatazione progressiva del bronchiolo a creare queste
ectasie,o dilatazione cistiche.
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09.05.2012
SBOBINATA DA : Elisabetta ANATOMIA PATOLOGICA
CORRETTA DA: Marialucia Prof. Serio
POLMONITI E BRONCOPOLMONITI
In certi periodi della stagione (periodi invernali) vi sono patologie che possono portare
addirittura all’insorgenza di complicanze talora mortali e spesso associate a processi flogistici
polmonari complicatisi nel giro di poco tempo.
Quindi bisogna conoscere queste malattie per saperle trattare con una certo criterio perché se
procediamo ad esempio con terapie antibiotiche rischiamo di creare delle condizioni di
resistenza dell’individuo all’antibiotico o di immuno-depressione indotto da un uso di antibiotici
sconsiderato tanto che un banale processo infettivo virale può complicarsi e portare al decesso
dell’individuo.
Oggi parliamo di polmoniti e broncopolmoniti:
processi flogistici del parenchima polmonare
• localizzati prevalentemente a livello bronchiale con estensione successivamente al
parenchima polmonare ;in quel caso parleremo di broncopolmoniti
• oppure di un processo flogistico che si sviluppa quando ab initio nel parenchima
polmonare e in questo caso parleremo di polmonite in senso stretto.
La differenza tra polmonite e broncopolmonite sta nella topografia di sviluppo del processo
flogistico: broncopolmoniti parte dal bronco e si estende a livello del parenchima; polmonite in
senso stretto, processo che ab initio insorge a livello del parenchima polmonare e quindi si fa
riferimento all’alveolo, ai bronchioli respiratori terminali con le strutture alveolari e
all’interstizio polmonare.
I processi infiammatori del polmone sono molto diffusi sul territorio.
Le polmoniti le broncopolmoniti si possono classificare in base a una serie di criteri e quello più
importante è il criterio eziologico (più che quello topografico) basato sulla causa che le ha
determinate.
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POLMONITI E BRONCOPOLMONITI INFETTIVE
Se noi facciamo riferimento alla causa infettiva(all’agente patogeno che si localizza a livello
polmonare) le polmoniti e le broncopolmoniti infettive colpiscono 4-5 individui su 1000 abitanti
l’anno ,quindi sono malattie molto diffuse nei periodi di massima endemia o pandemia
influenzale e possono portare anche a morte l’individuo;tuttavia la mortalità per questo tipo di
processi è piuttosto bassa grazie alle terapie farmacologiche che possiamo applicare, buona
soprattutto la terapia antibiotica e antipiretica. Invece la morbilità è molto elevata infatti ci sono
alcuni periodi dell’anno in cui per esempio in alcuni posti (di lavoro, scuole ecc..) è sufficiente
che uno si ammali per spargere gli agenti patogeni nell’ambiente e quindi creare una massima
diffusione di malattia.
Quindi si tratta di processi infiammatori molto frequenti che creano alta morbilità ma bassa
mortalità.
la mortalità è fortemente ridotta grazie alla disponibilità di trattamenti farmacologici (antibiotici
ed antipiretici) mentre gli antivirali sono ancora farmaci in via di sviluppo ,per cui le forme di
polmoniti virali spesso hanno un trattamento farmacologico relativo;queste forme tendono in
realtà a risolversi abbastanza rapidamente ma le forme di polmoniti virali si avvalgono (proprio
per evitare complicanze) della terapia antibiotica che molto spesso si associa ad un soggetto che
ha un’influenza da virus influenzale o parainfluenzale dopo qualche giorno (per evitare le
complicanze batteriche che sono più pericolose rispetto all’infezione virale che può risolversi
spontaneamente).
Questi processi infiammatori sicuramente sono favoriti dalla perdita di tutti quelli che
sono i meccanismi di difesa del nostro apparato respiratorio e del nostro organismo. :
-la funzione dell’attività muco-ciliare: la perdita della clearance muco-ciliare(come avviene nei
fenomeni di metaplasia pavimetosa dell’epitelio bronchiale = sostituzione dell’epitelio con
epitelio più resistente all’insulto cancerogeno) fa si che tutto ciò che respiriamo riesce a
raggiungere le terminazioni polmonari, gli alveoli dove poi può svilupparsi un processo
infiammatorio di differente entità.
- perdita della funzione dei macrofagi alveolari: negli alveoli sono presenti cellule macrofagiche
che probabilmente derivano dal midollo osseo e che svolgono un’importante azione difensiva
,nel nostro polmone, contro gli agenti patogeni inspirati che possono raggiungere la
terminazione più basse. il fumo di sigaretta sicuramente è la sostanza che distrugge e danneggia
più di ogni altra cosa i macrofagi endoalveolari (tant’è che li ritroviamo stonati quando sono
osservati nelle sezioni istologiche perché imbottiti di particelle di carbone, quindi sono
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danneggiate e non funzionano come dovrebbero)
-tra i fattori predisponenti c’è la perdita dello stimolo della tosse, come accade per esempio in
molti pazienti affetti da patologie neurodegenerative (per es. un soggetto affetto da Parkinson o
altre malattie di questo genere) dove vi è un rallentamento generale di tutte le funzioni e quindi
anche la perdita del riflesso della tosse.
La perdita del riflesso può derivare dall’uso di farmaci che vanno a bloccare la stimolazione
vagale e questo causa il ristagno di agenti patogeni a livello endoalveolare.
-Tra i fattori predisponenti dobbiamo considerare la giacenza in condizioni supine. Esempi di
soggetti che giacciono per molto tempo in posizioni supine sono i neonati (costretti a stare in
culla per molto tempo) ;soggetti anziani debilitati che sono a letto per tanto tempo;soggetti con
accidenti cerebrali o vascolari ecc. In generale, la condizione di allettamento favorisce la stasi in
corrispondenza delle porzioni declivi del polmone e se c’è la stasi c’è la possibilità che agenti
patogeni soprattutto batteri possano proliferare e quindi creare e favorire lo sviluppo di focolai
infettivi-infiammatori.
La stasi in questi pazienti favorisce soprattutto lo sviluppo di broncopolmoniti. Queste sono da
un punto di vista evolutivo identiche alla polmonite infettiva ma con una reattività
dell’organismo diversa: la polmonite crea focolai flogistici massivi, la broncopolmonite focolai
multipli progressivi.
Nella fibrosi cistica, la presenza di cisti ovvero di dilatazioni bronchiectasiche favorisce il
ristagno di muco. Esistono dei centri pediatrici che controllano costantemente questi bambini
con fibrosi cistica perché bisogna educarli a respirare, a liberare i loro polmoni dalle secrezioni
mucose che tendono ad accumularsi.
Laddove ci sono condizioni che provocano l’accumulo di secrezioni mucose (es:nella fibrosi
cistica,;nella malattia da immobilità delle ciglia detta sindrome di Kartagener in cui gli individui
affetti nascono con le ciglia vibratili compatte che quindi non funzionano) si hanno dei grossi
problemi respiratori perché le ciglia presentano deficit funzionale e le secrezioni mucose
endoalveolari si accumulano andando a formare tappi di muco e quindi conseguente enfisema
Questi sopra elencati sono quindi fattori che predispongono allo sviluppo di queste malattie
infettive infiammatorie dell’apparato bronco-polmonare.
Come i patogeni raggiungono la via respiratoria?
o Ci arrivano dall’ambiente che contiene particelle di polveri, o particelle batteriche o
virali.
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o ci si contagia a vicenda (goccioline di flugge) e gli agenti patogeni inalati raggiungono le
vie respiratorie.
o Ci può essere anche un’aspirazione dell’agente patogeno:per esempio il focolaio
infettivo è a livello dell’apparato buccale o delle tonsille o a livello della porzione superiore del
faringe.
o Oppure i patogeni possono raggiungere l’apparato polmonare per via ematica. ci può
essere una batteriemia o una viremia con raggiungimento del patogeno a livello polmonare
attraverso il sangue come accade per esempio in corso di malattie virali: per es i neonati
sviluppano processi infettivi bronco-polmonari, soprattutto polmoniti virali, in corso di morbillo,
pertosse, varicella.
o Oppure il polmone può essere coinvolto per continuità o contiguità: il focolaio flogistico
è presente in una sede vicina al polmone come per es una pleurite che si estende al polmone; una
mediastinite; una perdicardite; un processo tubercolare che coinvolge il linfonodo mediastinico
(o peribronchiale o periesofageo )e da qui si espande a livello polmonare;un processo flogistico
trans murale dell’esofago. quindi ci possono essere una serie di processi infiammatori di organi
vicini che per continuità o contiguità possono trasmettersi al polmone.
NB: la via di diffusione più importante è la via inalatoria.!!!
Ritornando alla classificazione:
Abbiamo visto che da un punto di vista topografico questi processi flogistici possono essere ad
insorgenza broncopolmonare o polmonare ab initio.
Se facciamo riferimento topograficamente alle polmoniti in senso stretto ,in base
all’inizio di sviluppo del processo infiammatorio, le polmoniti possono essere
endo-alveolari
interstiziali.
Secondo il criterio eziologico si distinguono
polmoniti infettive
polmoniti non-infettive.
POLMONITI INFETTIVE che sono quelle più frequenti abbiamo:
- le polmoniti batteriche,
-le polmoniti virali,
-le polmoniti da micobatteri (micobatteri tipici quale quello della tubercolosi e micobatteri
atipici), --polmoniti protozoariche.
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Un conto è avere una polmonite batterica, un conto è avere una polmonite micotica; contro i
miceti dobbiamo fare terapia antimicotica che è diversa dalla comune terapia antibiotica.
Nelle forme virali abbiamo poco a disposizione. O si fanno degli antivirali (se il soggetto è
immuno- depresso) o terapia antibiotica per scongiurare sovra infezione batterica.Per le inf
protozoarie si utilizzano altri farmaci specifici. quindi in base all’eziologia noi avremo un
trattamento specifico.
In base all’eziologia noi possiamo risalire alla topografia :
-le forme di polmoniti batteriche sono anche topograficamente polmoniti essudative- alveolari.
un batterio quando si localizza nel parenchima polmonare(sia che si localizzi ab initio nel
parenchima polmonare sia che scenda dal bronco)la flogosi che ne consegue è di tipo purulento;
le polmoniti di origine batterica sono sempre endoalveolari.
-Quando invece la causa è un virus, questo raggiunge l’albero respiratorio e induce un danno a
livello endoalveolare ma NON darà mai delle reazioni flogistiche purulente !l’infezione virale
darà delle reazioni infiammatorie linfocitarie linfoplasmacellulari ; quindi le polmoniti virali,
topograficamente, non saranno mai essudative endoalveolari ma saranno a sviluppo interstiziale
anche se il danno virale è partito dai pneumociti! La reazione flogistica noi la cogliamo
nell’interstizio polmonare.( vedremo che le polmoniti interstiziali sono soprattutto virali)
I soggetti più colpiti da polmoniti interstiziali sono neonati e anziani. (Nel neonato l’interstizio
polmonare non è ancora fibroso, non è ancora un sottile strato connettivale, gli alveoli non sono
ancora espansi come l’adulto. Solo con la crescita si assottiglia lo strato di connettivo
interstiziale e aumenta il rapporto diretto dell’alveolo con il capillare vascolare.)
Quindi quando il bambino contrae il morbillo, la varicella o altre malattie esantematiche si teme
lo sviluppo di flogosi interstiziali e quindi è opportuno saper effettuare correttamente
l’auscultazione del torace dei bambini; è vero che le infezioni virali di risolvono in 4 5 giorni ma
si possono complicare per infezioni batteriche a causa della stasi in questi dei bambini allettati
che comporta una complicanza batterica molto frequente. quindi vi è la necessità ,dopo due
giorni ,di somministrare la terapia antibiotica per evitare complicanze che potrebbero peggiorare
lo stress respiratorio e che possono portare a morte
Riassumendo: in base all’eziologia questi processi infiammatori possono essere distinti in
infettivi e non infettivi ; a sua volta ,in base alla topografia, le forme batteriche polmonari sono
essudative ed endoalveolari e quelle virali sono interstiziali.
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Nell’ambito delle forme batteriche :
• i batteri possono essere gram-positivi. tra questi il Pneumococco che ,insieme allo
stafilococco, è l’agente patogeno più frequentemente responsabile di polmoniti essudative
endoalveolari batteriche).
• Seguono poi i gram-negativi; per es le Klebsielle, in molti individui, nell’espettorato o
nel sangue c’è la positività alle Klebsielle
• Nelle situazioni più severe ci sono i batteri anaerobi (la cui presenza è molto
preoccupante perché è difficile eradicare infezioni da microrganismi anaerobi proprio perché
crescono e proliferano in qualunque condizione tanto poi da portare allo sviluppo di gangrene
polmonari).
• Altri agenti patogeni sono funghi o batteri emergenti come Clamidia o Legionella che
hanno un ruolo importante nello sviluppo di processi infettivi polmonari data la promiscuità
delle popolazioni e soprattutto l’arrivo in certe nazioni di gente proveniente dai paesi più poveri
non controllata da un punto di vista sanitario.
Nell’ambito delle forme virali
• più comuni sono quelle da virus respiratori, sono le infezioni più comuni delle stagioni
soprattutto nelle stagioni invernali che si risolvono in 4-5 giorni. ma le polmoniti virali vanno
ricordate perché in certe fasce d’età, soprattutto nel neonato e nell’anziano, possono sovra
infettarsi(a causa della stasi o di turbe circolatorie)e complicarsi con infezioni batteriche e
portare anche all’exitus dell’individuo se non si interviene.
• In più ci sono poi delle forme virali ,da virus sistemici come Citomegalovirus o di
Epstein-Barr o virus di morbillo, varicella o il Corona virus( responsabile di quella forma
necrotizzante di polmonite che è la SARS )che colpiscono l’individuo immunodepresso e non
quello in buone condizioni con un sistema immunitario adeguato che non ha problemi di fronte
a questi agenti patogeni. Quando in questi pz immunodepressi( immun.depr.congenita;indotta da
farmaci antiblastici ,da HIV ecc..) c’è un’infezione da Citomegalovirus, da Epstein-Barr, da
Herpes Zoster ecc si tratta sempre di situazione terminali e quando queste infezioni subentrano
non si riesce mai con antivirali a tamponare la situazione tant’è che quando questi virus si
localizzano a livello cerebrale o polmonare in genere c’è sempre il decesso dell’individuo. Il
decesso avviene non per l’immunodepressione ma per infezioni ricorrenti che sono soprattutto
virali o da funghi(micotiche):es quelle sistemiche da Criptococchi ; questi sono terribili perché
si localizzano a livello cerebrale nella maggior parte dei casi e le criptococcosi nel sistema
nervoso cerebrale danno la formazione di focolai necrotici a forma di buchi : il cervello presenta
delle aree necrotiche(aspetto simile a formaggio con buchi) dove all’interno prolifera il
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Criptococco.
Le Polmoniti infettive batteriche sono poi distinte in
• comunitarie
• nosocomiali.
Le polmoniti comunitarie:
Sono le più comuni e sono quelle che si contraggono per le abitudini sociali per il fatto che si
frequentano ambienti affollati. Parliamo di polmoniti comunitarie quando si tratta di individui
non ospedalizzati.
Le polmoniti nosocomiali :
riguardano tutti gli individui ospedalizzati presenti in un reparto di lungodegenza o in un
reparto per almeno due settimane perché si devono creare una serie di situazioni che
favoriscano l’infezione. Soprattutto in certi reparti(come
rianimazione,degenza,oncologia..)l’igiene è importante per evitare la diffusione di patogeni
nell’ambiente .Bisogna es evitare che i pz affeti circolino liberamente. Nei reparti i degenti sono
immuno compromessi, oppure sono pz in cui la stasi favorisce lo sviluppo dei batteri, oppure
sono cardiopatici e la cardiopatia favorisce la stasi e la compressione ecc: in ogni caso bisogna
prestare attenzione affinchè non ci sia la divulgazione dei batteri all’interno dei reparti.
Cambia il tipo di agente patogeno (dal p.d.v della incidenza) a seconda che si considerano le
forme comunitarie o nosocomiali .
-E’ chiaro che le polmoniti comunitarie abbiamo le stesse forme predisponenti e cioè colpiscono
individui che sono o anziani o neonati o immunodepressi o anche soggetti giovani. soggetti che
hanno fattori predisponenti o soggetti in pieno benessere.
Nelle polmoniti comunitarie fa da padrone come agente eziologico lo Pneumococco.
-Nelle polmoniti nosocomiali, oltre ai batteri emergenti, fanno da padroni la Klebsiella, lo
Pseudomonas ,Stafilococco, enterobatteri ecc.
ANDAMENTO CLINICO DELLE POLMONITI
Se facciamo riferimento all’andamento clinico della malattia, le polmoniti batteriche essendo
processi infiammatori possono avere un andamento clinico ACUTO o CRONICO.
La flogosi può essere acuta e possiamo quindi avere una polmonite essudativa endoalveolare.
Ma se l’agente patogeno è il Micobacterium Tubercolosis ,il processo flogistico che ne consegue
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è cronico granulomatoso proprio perché l’agente infettivo una volta penetrato nell’organismo
persiste,è di difficile eliminazione e viene isolato\neutralizzato attraverso la formazione di
granuloma che può andare in necrosi caseosa se le difese immunitarie si abbassano. La necrosi
caseosa comporta la fuori uscita di altri batteri che raggiungono altri organi attraverso il sangue
oppure vengono espettorati attraverso la tosse (e si contagiano altri individui.)
Mentre nelle flogosi di tipo essudativo l’agente patogeno è distrutto (Pneumococco,
Streptococco, Klebsiella)dai fagociti mononucleati, il micobatterio invece una volta penetrato
nell’organismo non va più via quindi si va incontro a una flogosi cronica.
Quando parliamo di polmonite acuta essudativa endoalveolare facciamo riferimento alle
polmoniti batteriche. Questo tipo di polmonite è detta anche LOBARE :è un processo flogistico
acuto essudativo endoalveolare tipico delle polmoniti comunitarie .
colpisce massivamente un ampio territorio polmonare quindi un lobo intero polmonare. le più
comuni sono quelle batteriche comunitarie da diplococco, streptococco. Queste flogosi
essudative massiva lobare colpisce soggetti giovani .perché deve colpire tutti quei soggetti?
Perché sono soggetti in pieno benessere, hanno un sistema immunitario ben funzionante,
addirittura un sistema immunitario iper-reattivo che è stato magari già sensibilizzato dallo
Pneumococco (per es da precedente faringite o tonsillite pneumococcica) ,ed essendo già stato
sensibilizzato, risponderà a una carica batterica elevata( come quella presente nell’ambiente
comunitario )e quindi il secondo contatto con il batterio crea una reazione iperergica
all’infezione tanto da colpire massivamente un intero lobo polmonare. Questa infezione è
importante da un punto di vista semiologico, è opportuno riconoscerla perché è la più frequente
delle infezioni invernali. Colpisce soggetti giovani in buone condizioni con un sistema
immunitario competente, per esempio bambini in età scolare dopo i sei anni perché devono
avere un sistema reattivo e devono aver avuto già un contatto con l’agente patogeno e giovano
adulti, soggetti dai 6 ai 30 anni.
Lo stesso agente patogeno, se nel soggetto giovane adulto crea un processo massivo essudativo
endoalveolare di un intero lobo, in soggetti di età >30-50 (in cui il sistema immunitario è in
declino, più vecchio e compromesso) scatenerà invece una flogosi non cosi massiva, ma sempre
endoalveolare e con coinvolgimento iniziale del bronco poi la flogosi andrà nell’alveolo. Questi
pazienti di maggior età e con un sistema imm meno efficace svilupperanno quindi una
broncopolmonite essudativa A FOCOLAI MULTIPLI . Si hanno gli stessi sintomi riscontrati
nei soggetti giovani ma il quadro flogistico nel polmone è a focolai multipli.
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Polmonite batterica essudativa endoalveolare o lobare franca
Vediamo Come si manifesta una polmonite lobare franca nel giovane secondo la sua classica
evoluzione e che segue anche un criterio terapeutico corretto.
(Se somministro l’antibiotico precocemente faccio un danno perché creo un’anomala evoluzione
del processo che può complicarsi fino al decesso).
La polmonite lobare franca è una malattia che dura un periodo limitatissimo, una settimana, cioè
l’evoluzione di questo processo flogistico è di una settimana.
La malattia dura una settimana nella quale si susseguono i diversi stadi evolutivi e ciascuno
stadio evolutivo (dalla durata ben precisa di alcuni giorni) avrà clinicamente dei segni e dei
sintomi che sono peculiari.
• 1° stadio è quello dell’ingorgo ematico o della congestione . il soggetto si corica
spossato ma si alza con la febbre alta, brividi scuotenti e tosse produttiva e dolore puntorio al
torace. E’ questa la fase di inizio della malattia. E’ di breve durata, 24h, ed è la fase nella quale
non bisogna fare antibiotico ma procedere con l’antipiretico. In tale fase il lobo polmonare
(soprattutto medio e medio inferiore sono quelli più colpiti) è aumentato di volume, è aumentato
di consistenza e appare di colorito rosso scuro perché c’è congestione, vasodilatazione dei
capillari alveolari con migrazione delle emazie negli alveoli. Se noi dovessimo tagliare questo
lobo, alla spremitura fuoriesce sangue a causa dell’iperemia(come in tutti i processi flogistici).
Se c’è iperemia abbiamo anche migrazione dei g.r. dal capillare nell’elveolo data la vicinanza.
In questa prima fase all’interno dell’alveolo noi troveremo molti batteri, ma gli elementi
cellulari della flogosi, cioè i macrofagi e i granulociti neutrofili sono ancora pochi!
Il quadro sintomatologico: la febbre alta scende sotto l’effetto dell’antipiretico ma tende
a risalire a 39-40;forti brividi; nel primo stadio la tosse c’è ed è detta produttiva con
espettorazione abbondante e possibili striature di sangue perché ci sono tante emazie
nell’alveolo. Se il lobo polmonare è avvolto dalla pleura anche questa sarà
inevitabilmente coinvolta dal processo flogistico tanto da determinare il dolore del
torace. Il pz ha dolore puntorio al torace e lo indica. Se poniamo il fonendo sulla schiena,
sentiamo i rumori crepitanti durante l’inspirazione.
• 2° stadio è detto stadio dell’epatizzazione rossa, dura 2 -3 giorni. In questo stadio il lobo
polmonare ha la stessa consistenza del parenchima epatico, è di colorito rosso scuro, è compatto,
e al taglio e alla spremitura escono poche gocce di sangue. perché? Nel momento in cui il
processo infiammatorio continua , dal capillare arterioso all’alveolo passano non soltanto le
emazie ma anche la fibrina che riempie gli alveoli e va ad intrappolare le emazie, i batteri, i
granulociti che nel frattempo sono arrivati recluatati in gran numero e le cellule macrofagiche.
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Si creano allora dei veri e propri tappi compatti di fibrina all’interno dell’alveolo.
Il pz in questo secondo stadio avrà un cambio di sintomatologia e si può intervenire con
terapia antibiotica:
Nel secondo stadio la tosse persiste ma è secca,non è più produttiva ;persiste il dolore
;non si sentono più i rantoli all’auscultazione perché la fibrina ha compattato gli alveoli.
A questo punto si interviene con una terapia antibiotica seria fatta con dosaggi pieni
perché i sotto/sovradosaggi fanno male (in media 2g di antibiotico ogni 12 ore, in base al
peso). In questo caso si usa la penicillina o altri antibiotici di seconda generazione.
• 3° stadio : Nel 4°-5° giorno il lobo polmonare passa dalla fase di epatizzazione rossa alla
fase di epatizzazione grigia.
Il lobo polmonare ha ancora la consistenza epatica compatta ma il colorito da rosso vira
al grigio perché è iniziata la lisi delle cellule, sia dei batteri sia delle cellule (granulociti
sfaldati e danneggiati) per cui lo sfaldamento e la degradazione degli elementi cellulari
porta al viraggio del colore del lobo dal rosso al grigio. un’ulteriore degradazione dei
granulociti può inoltre far virare il colore dal grigio al giallastro.
Siamo già ad una fase avanzata(5giorno avanzato) .I sintomi sono quelli della fase di
epatizzazione rossa.
Prima di descrivere l’ ultima fase volevo aggiungere qualcosa: Nella fase dell’ingorgo gli
alveoli sono dilatati e presentano aria, c’è dispnea ma non è ancora cosi severa. Il
soggetto nella prima fase respira ma con difficoltà ma non con difficoltà importante
come nell’epatizzazione rossa e in quella grigia quindi possiamo dire che un altro
sintomo del primo stadio è la dispnea ingravescente aumenta col passaggio dall’ingorgo
ematico all’epatizzazione rossa a quella grigia. Nella fase di ingorgo gli alveoli
contengono aria e tanti elementi che sono batteri, granulociti, macrofagi ecc.
Nell’epatizzazione rossa si compatta tutto questo essudato endoalveolare perché la
fibrina che è passata imbriglia gli elementi, si creano dei tappi all’interno dell’alveolo
che spiegano questa dispnea severa.
• 4°stadio: A questo punto, dalla fase di epatizzazione grigia si arriva finalmente alla
settima giornata cioè alla fine della malattia ed è lo stadio della risoluzione (6^-7^ giornata).
è la fase in cui gli enzimi litici prodotti da granulociti e macrofagi realizzano la
fluidificazione della fibrina che viene quindi sciolta enzimaticamente e buttata fuori con
la tosse insieme a tutti gli elementi di degradazione in essa imbrigliati. Dalla 6^-7^
giornata il pz (giovane) ha nuovamente tosse produttiva con espettorato fangoso
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verdastro denso e spesso maleodorante (perché è tutto ciò che è stato degradato negli
alveoli.)
La febbre cade improvvisamente. ricordate però che parte della fibrina viene riassorbita
per via linfatica. Quindi nella fase di risoluzione si ha la fluidificazione di questi tappi di
fibrina e di materiale necrotico buttati all’esterno con la tosse o riassorbiti per via
linfatica. In questa fase riprende reazione degli alveoli, la dispnea scompare: al fonendo
ricompaiono i rumori umidi quindi quella crepitatio che questa volta non sarà più nella
fase di inspirazione ma di espirazione, quando l’aria viene buttata fuori.
Se diamo una terapia incongrua nelle prime 24 h o sotto dosata nelle fasi dei giorni successivi si
rischiano le complicanze di una polmonite essudativa lobare franca che sono molto gravi.
COMPLICANZE
-formazione di ascessi. Se diamo una terapia non adeguata il focolaio non si risolve, addirittura
ci possono essere delle sovra infezioni batteriche con sviluppo di ascessi e la situazione diventa
critica.
-Possiamo avere una terapia troppo precoce che spegne rapidamente la reazione flogistica
granulocitaria cioè che riduce l’arrivo di granulociti nel focolaio dove sono presenti gli agenti
patogeni favorisce la non fluidificazione della fibrina (processo che invece richiede una quantità
sufficiente di granulociti e di macrofagi); se invece spegniamo la risposta con una terapia
antibiotica data troppo presto avremo una quantità insufficiente di questi elementi e il rischio
che la fibrina si possa compattare tanto da creare delle vere e proprie masse fibrose. quindi si ha
la cosiddetta carnificazione della fibrina, masse fibrose dense. Immaginate un lobo polmorare
sostitutito da tessuto fibroso con conseguenti complicanze ventilatorie.
-Un’altra complicanza può essere una batteriemia cioè una diffusione dei patogeni per via
ematica e localizzazione in altre sedi, tra le quali, quelle più gravi sono a livello cardiaco: si
possono avere endocarditi o pericarditi batteriche, un soggetto può morire per uno scompenso
cardiaco infettivo, oppure la batteriemia può portare ad una localizzazione dello pneumococco a
livello cerebrale, soprattutto a livello delle meningi e creare un coagulo di meningite
pneumociccica.
Quindi il soggetto può morire per una batteriemia quindi una diffusione dell’infezione dal
polmone al cuore e alle meningi.
Quando c’è polmonite lobare e contemporaneamente endocardite batterica e meningite batterica
si definisce la triade di Marchiafava: ai sintomi polmonari si aggiungono quelli
dell’endocardite(alterazioni funzionali elettrocardiografiche) e della meningite.
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Broncopolmonite batterica essudativa endoalveolare a focolai multipliSe abbiamo capito come evolve la polmonite batterica infettiva essudativa endoalveolare, è
facile capire la differenza con una broncopolmonite essudativa batterica endoalveolare.
Clinicamente la semeiotica ci aiuta a fare tale distinzione. Le modificazioni di un intero lobo
come si ha nella polmonite lobare sono più evidenti rispetto ai focolai multipli per i quali
bisogna avere “l’orecchio fino”.La polmonite lobare è invasiva aggressiva ma da un punto di
vista clinico si riconosce più facilmente e si può curare. Broncopolmonite è più insidiosa:
Il sistema immunitario di un soggetto adulto o con altre malattie da immuno deficienza o
cardiopatie o trattato con terapie antiplastiche non risponde adeguatamente all’infezione, ma
risponderà quasi a fatica facendo in modo che il processo infettivo possa coinvolgere altri
territori del polmone . Anche se il patogeno è lo stesso…
- polmonite colpisce un solo lobo,
- la broncopolmonite è una condizione a focolai multipli.
Nella broncopolmonite i soggetti colpiti sono pz debilitati(cardiopatico, diabetico, con infezioni
ecc.)e hanno un sistema immunoincompetente (invecchiato o non ancora maturo) e sono
obbligati a restare a letto.
La stasi favorirà subito lo sviluppo di focolai broncopolmonari in corrispondenza delle docce
paravertebrali = E’li che bisogna porre il fonendo per sentire se i rumori respiratori cambiano
nei vari punti a partire soprattutto da queste aree che sono le aree più esposte alla proliferazione
dei batteri.
Quindi la broncopolmonite riconosce lo stesso agente eziologico della polmonite ma che si
sviluppa in soggetti con sistema immunitario anergico o ipoergico ed è un quadro a focolai
multipli che possono però confluire tra di loro tanto che il deteriorarsi delle condizioni
dell’individuo, se non si interviene rapidamente con terapia adeguata, può portare anche al
decesso.
Quando c’è una broncopolmonite come sono i focolai da un punto di vista morfologico?
La broncopolmonite riconosce gli stessi stadi evolutivi della polmonite!!!
Però, siccome è una malattia ipoergica o anergica , si avrà la coesistenza di focolai in fasi
evolutive diverse: quindi all’auscultazione si sentono focolai con crepitatio indux, focolai con
crepitatio redux, focolai con silenzio respiratorio.
La tosse non sempre ci sarà, non sarà mai una tosse secca proprio perché i focolai avranno
diverse fasi evolutive.
Anche in questi soggetti mai partire con la terapia antibiotica nelle prime 24 h.
Le complicanze della broncopolmonite sono le stesse e con un rischio maggiore di
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carnificazione, si rischia di fare più focolai carnificati non lisati.
Anche la clinica può ingannare perché non si trovano quelle fasi a step della polmonite lobare.
Polmoniti ViraliPer quanto riguarda il concetto delle polmonite virali, abbiamo compreso che i virus influenzali
colpiscono i soggetti di tutte la fasce d’età, ma a seconda della fascia d’età il virus influenzale
può dare danni differenti.
Se colpisce il neonato che ha un sistema immunitario ipoergico e un interstizio polmonare
molto ampio rispetto all’adulto, è chiaro che il virus da una polmonite desquamativa
endoalveolare. Il virus prolifera negli pneumociti di tipo I o II danneggiandoli. (ci può essere un
danno anche a livello della funzione di surfattante.)
Se il virus moltiplica negli pneumociti non sarò riconosciuto da una componente granulocitaria,
non ci sarà mai pus durante un’infezione virale!ci sarà un infiltrato linfocitario. Il virus dà un
danno endoalveolare desquamativo, distruggerà le cellule endoalveolari ma la reazione
infiammatoria linfocitaria sarà estrinsecata nell’interstizio.
Questo è tipico nel neonato ,con un quadro di polmonite interstiziale che compromette in
maniera severa la funzionalità alveolo-capillare perché la flogosi nell’interstizio non farà altro
che deteriorare lo scambio alveolo-capillare che sarà anche alterato per il danno a livello degli
pneumociti soprattutto quelli di II tipo che producono il surfattante.
o da una parte la flogosi può causare l’allontanamento del capillare dall’alveolo
o dall’altra c’è una tendenza al collasso alveolare ,per ridotta produzione del surfattante,
con migrazione di fibrina dai capillare nell’alveolo. Viene a mancare l’effetto antiedema del surf
trattante.
Le polmoniti virali sono facili da ricordare perché partono tutte con un danno endoalveolare
che può cambiare di entità se il soggetto è un neonato o un giovane adulto con un sistema
immunitario competente in l’influenza provoca lo stesso danno alle cellule alveolari ma viene
riparato in 4-5 giorni grazie all’intervento del sistema immunitario.
In corso di influenza si fa la terapia sintomatica per la febbre, per la tosse ma nessun tipo di
antivirale, al massimo l’antibiotico per le sovra infezioni batteriche; questo è obbligatorio nei
bambini. Nell’anziano possiamo avere un danno sovrapponibile a quello del neonato ,perché c’è
un sistema immunocompetente non adeguato, spesso l’interstizio dell’anziano è fibrotico quindi
ci possono essere altre condizioni che favoriscono danno endoalveolare, flogosi interstiziale e le
complicanze possono portare a morte.
Le forme virali da virus sistemici vengono diagnosticate grazie al dosaggio del virus nel sangue,
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si fa l’emocoltura per la presenza del virus.
Queste forme particolari di virus sistemici se giungono al tavolo autoptico, producono nello
pneumocita infettato o in qualsiasi cellula infettata inducono modifiche citopatiche o alterazioni
citologiche caratteristiche che sono la cellula a occhio di civetta nell’infezione da
citomegalovirus o la cellula a nuclei bilobati nell’herpes o plurilobati nell’herpes zoster e cosi
via…
A volte i virus creano immagini cellulari caratteristiche per cui è facile identificarlo.
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16 – 05 – 2012
SBOBINATA DA: Luigi ANATOMIA PATOLOGICA
CORRETTA DA: Mariano Prof.ssa G.Serio
INTERSTIZIOPATIE
PROCESSI NON INFETTIVI DEL POLMONE AD EZIOLOGIA PARTICOLARE, CHE SI
ESTRINSECANO A LIVELLO DELL’INTERSTIZIO POLMONARE
Essi sono processi cronici interessanti il polmone, che danno generalmente origine a delle
trasformazioni fibrotiche. Questi processi infiammatori presentano un esordio acuto, cioè, quando
sono clinicamente evidenti, si manifestano in maniera violenta, tanto da creare quadri di evidente
insufficienza respiratoria di tipo restrittivo. Dalla pneumologia sappiamo che esistono 2 tipi di
insufficienza respiratoria: una di tipo ostruttivo, causata da un ostacolo al flusso di aria attraverso
gli alveoli; una di tipo restrittivo, causata da una difficoltà degli alveoli ad espandersi (meccanismo
ab-extrinseco), come per esempio nel caso di fibrosi polmonare interstiziale che comprime e
schiaccia gli alveoli, altera la struttura dei capillari arteriosi con conseguenti alterazioni e danno
delle unità alveolo-capillari.
Tali patologie sono progressive ed irreversibili, e si presentano spesso bilaterali, ovvero
coinvolgono entrambi i polmoni; radiologicamente sono caratterizzate da infiltrati diffusi nodulari,
che creano un’immagine a vetro smerigliato (a nido d'api).
Classificazione delle interstiziopatie
Possiamo classificare, dal punto di vista eziologico, tali patologie in:
• interstiziopatie da causa sconosciuta;
• interstiziopatie da causa nota;
• particolari malattie interstiziali, che possono essere confuse con le 2 precedenti pur avendo
caratteristiche peculiari che meritano attenzione.
Per quanto riguarda l’ultima di queste classi, un esempio è il Linfangioleiomiomatosi (LAM): tale
patologia è molto frequente nelle donne e negli uomini giovani e prevede l'abbondanza di tessuto
leiomuscolare nell'interstizio polmonare; tale condizione è molto frequente nelle donne sotto
stimolazione estrogenica associata a leiomiomi multipli anche a livello uterino (infatti inizialmente
si pensava si trattasse di metastasi).
Un altro esempio è l’istiocitosi a cellule di Langherans, che è una particolare forma di istiocitosi
(presenta un esordio brusco nei soggetti giovani) che necessita di una terapia cortisonica oppure di
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chemioterapia per evitare ulteriori danni, eventualmente coinvolgenti anche il cuore. Infine la
polmonite eosinofila, ovvero una polmonite che può mimare una interstiziopatia fibrosante.
A parte queste forme particolari, le prime 2 classi sono quelle di maggiore interesse clinico.
Nelle intersitiziopatie ad eziologia sconosciuta (sono sclerodermie interstiziali, fibrosanti,
croniche, progressive, irreversibili, idiopatiche) distinguiamo ‘forme diffuse’, che colpiscono quasi
sempre soggetti giovani e sono sempre progressive ed irreversibili, e ‘forme nodulari’, tra cui la
‘sarcoidosi’, ovvero una malattia conosciuta, ma di cui non si conosce l’eziologia.
Nelle interstiziopatie ad eziologia nota, invece, ricordiamo quelle causate da farmaci, quali
antiaritmici come il cordarone. Tale farmaco, particolarmente usato nel pronto soccorso, è ottimo
per controllare il normale ritmo cardiaco, ma a lungo andare può andare ad incidere sulla tiroide,
con quadri di ipotiroidismo, e sul polmone, con fibrosi polmonare interstiziale; pertanto sono
necessari controlli annuali sul paziente. Qualora si riscontrino quadri di fibrosi, allora si sospende
subito la terapia con cordarone, il quale viene sostituito da altri farmaci, meno efficaci, ma
comunque in grado di scongiurare un’eventuale fibrillazione ventricolare.
Altri farmaci in grado di causare interstiziopatie sono i sali di oro, usati per le malattie reumatiche o
il metrotrexate, usato sempre per malattie reumatiche croniche.
Ci sono poi una serie di malattie legate a cause immunitarie, come la sclerodermia, il lupus (LES),
che possono portare a quadri di fibrosi polmonare.
Pneumoconiosi
Le malattie polmonari più frequenti sono quelle causate da inalazione di inquinanti atmosferici
presenti nell’aria in senso generale, oppure nell’aria di particolari ambienti di lavoro: si parlerà
allora di pneumoconiosi, cioè malattie da polveri inquinanti.
Quando parliamo di ‘pneumoconiosi’, intendiamo quelle malattie/patologie tipiche delle aree
industrializzate in cui vi è inalazione di polveri, trattenute nel polmone ed in grado di innescare una
reazione fibrosante, sclerogena, cronica, fino ad arrivare all’insufficienza cronica restrittiva.
Queste pneumoconiosi dipendono molto dal tipo di particelle inalate, dalla quantità di polvere, dalle
loro dimensioni e dalla durata dell’esposizione all’inalazione:
4. quantità di polvere e durata dell'esposizione : se io faccio un episodio sporadico ad alta
concentrazione di particelle di polveri di piccole dimensioni che raggiungono l'alveolo, non
avrò la pneumoconiosi (mentre invece l'avrà un soggetto che respira polveri con
concentrazioni minori ma per un tempo prolungato).
5. Dimensioni delle particelle :
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• Particelle con dimensioni superiori a 5μ vengono bloccate dalla Clearance Muco-
Ciliare e poi espulse con un colpo di tosse;
• Particelle fino a 5μ invece, possono raggiungere l'albero bronchiale ma attraverso il
muco o attraverso la via linfatica possono essere drenate all'esterno.
• Particelle più piccole, con dimensioni inferiore ai 5μ, sono le più dannose perchè
riescono a sfuggire ed a raggiungere gli alveoli polmonari.
6. Tipo di particelle inalate: la polvere non deve essere di tipo allergizzante (es. il polline è
solo allergizzante, e non causa fibrosi), ma deve essere di tipo fibrosante, sclerogeno, come
per esempio, la silice (polvere di quarzo), carbone, ferro, bario, stagno e asbesto. La
pneumoconiosi più diffusa in Italia è la ‘silicosi’, frequente in tutti i laboratori della pietra,
del vetro, della ceramica, dell’edilizia o tra i minatori.
In generale, però, queste polveri difficilmente le troviamo in forma pura, ma riscontriamo con più
frequenza pneumoconiosi miste, cioè causate da più polveri, visto che l’aria risulta variamente
contaminata (il minatore, per esempio, non respira solo carbone, ma può anche respirare silice).
Queste polveri possono creare nell’interstizio polmonare pneumoconiosi diffuse o nodulari, anche
se la maggior parte sono di tipo fibroso diffuso, ad eccezione della silicosi, che è nodulare.
La silicosi può dare origine a Noduli Fibrotici Interstiziali che via via si fondono per dare un quadro
di Fibrosi Interstiziale. Ma quando all'inizio compare il danno da quarzo, il Nodulo Interstiziale che
si viene a formare deve necessariamente essere messo in Diagnosi Differenziale con altre malattie
nodulari interstiziali quali Sarcoidosi e Tubercolosi. Inoltre la silicosi può complicarsi con una
tubercolosi: questo accade perché la polvere crea dei danni immunitari, riaccendendo un focolaio
tubercolare. In questo caso, il medico non può somministrare il cortisone normalmente dato per le
silicosi, poiché altrimenti andrebbe ad immuno-deprimere il paziente, con diffusione del batterio
tubercolare; si preferisce allora dare una terapia con antibiotici di attacco, sperando di spegnere il
focolaio tubercolare, per poi procedere con la terapia cortisonica per la silicosi; diventa ovviamente
necessario un costante monitoraggio del paziente (possibile ricorso all’ossigenoterapia).
La patogenesi delle pneumoconiosi è comune per tutte: la fibrosi polmonare è dovuta all’azione
delle polveri sugli elementi della flogosi. I macrofagi sono incapaci di degradare la polvere una
volta fagocitata, ma la fagocitosi procede fino a quando è lo stesso macrofago a sopperire per
accumulo di polvere al proprio interno: ciò fa rilasciare dei fattori chemiotattici che attivano i
fibroblasti, innescando un meccanismo che non porta a nulla, se non a fibrosi, oppure, si pensa che
il minerale possa attivare direttamente i fibroblasti, inducendo il rilascio di fattori fibrogenetici.
È interessante notare come una polvere possa causare fibrosi nodulare o diffusa. La silice provoca la
fibrosi nodulare perché una volta giunta nell’alveolo attiva immediatamente i macrofagi alveolari,
con liberazione di fattori fibrogenetici: già all’inizio il nodulo è tale, proprio perché inizia a livello
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alveolare. Le altre polveri (es. asbesto), invece, passano subito a livello interstiziale, a causa della
loro forma, e qui attivano i macrofagi e con essi gli agenti fibrogenetici.
Il nodulo fibroso comunque si modifica nel tempo, perché man mano che vengono attivati i
fibroblasti, noi assisteremo alla comparsa di un nodulo istiocitario (Macrofagico) con i macrofagi
che circondano la polvere; man mano che vengono richiamati i fibroblasti (che circondano gli
istiociti) avremo la trasformazione del Nodulo Macrofagico in Nodulo Fibro-Istiocitario fino a che
i macrofagi muoiono, a causa della polvere (vi sarà la sola presenza dei fibroblasti), e avremo un
nodulo fibrotico. Questo processo evolutivo del nodulo è anche influenzato dal tempo di
esposizione: una prolungata esposizione facilita la formazione del nodulo.
Nel caso delle pneumoconiosi diffuse, come per esempio l’’asbestosi’ (oppure particelle di
carbone), il quadro di fibrosi circonda gli alveoli, sacchi alveolari, bronchioli,via via diffonde
nell'interstizio schiacciando progressivamente le strutture respiratorie, fino ad un quadro di
insufficienza respiratoria.
Tuttavia, il danno respiratorio sarà più precoce nelle forme silicotiche, visto l’immediato
coinvolgimento alveolare.
Diagnosi e Terapia delle Pneumoconiosi
Quindi in caso di Silicosi dobbiamo escludere, tramite una diagnosi differenziale, un quadro di
Sarcoidosi e Tubercolosi per poi arrivare a una diagnosi di Malattia Professionale che avrà un
riconoscimento di invalidità oltre che dobbiamo allontanare il soggetto dall’area lavorativa, perché
queste pneumoconiosi possono solo essere tamponate con cortisone, ossigeno-terapia, farmaci che
controllano l’attività cardiaca; ci deve essere pertanto un riconoscimento lavorativo del danno.
Risulta poco utile la resezione di una parte del polmone, perché in questo modo non si farebbe altro
che portar via anche una percentuale di polmone funzionante, che magari può aiutare il paziente nel
decorso della malattia.
Magari può essere necessario effettuare una biopsia polmonare, perché richiesta dal datore di lavoro
al fine di permettere il risarcimento e la quiescenza del paziente. Devono poi naturalmente
intervenire i patologi, che sono in grado di classificare il tipo di fibrosi e l’agente eziologico (la
silice cristallina, ad esempio, è rifrangente al microscopio con luce polarizzata). Spesso è necessario
inviare il tessuto all’istituto superiore della sanità, dove viene incenerito: la polvere naturalmente
non subisce danni e quindi può essere isolata. Infine ci sarà un esame spettrofotometrico che ci dice
la tipologia di polvere; in alcuni casi si può ricorrere al microscopio elettronico, utile soprattutto per
le fibre di amianto.
SILICOSI
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È la più frequente pneumoconiosi in Italia, con 2000 casi nuovi all’anno, vista la diffusa
lavorazione della pietra; nello specifico, la forma di silicosi più diffusa in Italia è la ‘silice
cristallina’. Si tratta di una pneumoconiosi nodulare, con possibile evoluzione fino alla fibrosi
diffusa. La fusione dei noduli ci permette di fare diagnosi differenziale con tubercolosi e sarcoidosi.
Inoltre l’area di polmone danneggiata dalla fibrosi è poi circondata da un’area di polmone
enfisematoso per compensazione: si avrà rottura dei setti alveolari. La silicosi si può complicare con
tubercolosi, infezioni micotiche, batteriche, sarcoidosi, malattie del collageno, tra cui la
pneumoconiosi reumatoide ( Sindrome di Caplan) con lesioni simil-reumatoidi.
ASBESTOSI
È una pneumoconiosi diffusa anche in puglia, perché regione ricca di fabbriche che lavorano
l’amianto. L’asbesto è una polvere mineraria costituita da un gruppo di silicati inorganici
polianionici che sono presenti in natura sotto forma di fibre spirali (‘serpentino’ o ‘crisofilo’) o
fibre aghiformi (‘anfibolo’). Il più pericoloso è l’ ‘anfibolo’, che riesce con più facilità a
raggiungere sia l’interstizio polmonare sia la pleura. Tuttavia nell’industria è maggiormente
utilizzato il ‘crisofilo’ per le sue migliori caratteristiche di lavorazione. Le dimensioni dannose
riguardano un diametro inferiore a 0,25μ e una lunghezza maggiore di 8μ: sono pertanto fibre
lunghe e sottili ed al microscopio a scansione appaiono con la caratteristica forma ‘a bacchetta di
tamburo’ (immagine peculiare): la fibra è avvolta da materiale ferroso perciò la forma è determinata
dal rilascio di Fe da parte della meta-Hb.
L’asbesto è pertanto una fibra fortemente cancerogena, ma è tuttavia utilizzata perché in realtà può
risultare innocua con le dovute misure preventive, quali mascherine, occhiali, tute di protezione o
evitando una prolungata esposizione all’inalazione (un ambiente con una buona manutenzione non
comporta danni alla salute).
Inoltre l’asbesto ha importanti caratteristiche che lo rendono eccezionale dal punto di vista
industriale: è un ottimo isolante acustico e termico, usato per le vasche idriche nei paesi con climi
più rigidi, oppure negli uffici postali o per le tute dei pompieri; il problema resta la manutenzione.
Si ritiene che anche l’ingestione dell’amianto possa causare problemi a causa del drenaggio
linfatico e possibile infiltrazione del peritoneo e della pleura con, quindi, conseguente mesotelioma
(eventi rari).
Le espressioni patologiche dell’asbestosi sono la fibrosi interstiziale, la fibrosi pleurica circoscritta
o diffusa ed anche il cancro sia polmonare sia laringeo, sia il mesotelioma prima citato.
Un soggetto esposto può sviluppare la malattia anche dopo 20-30 anni dalla sospensione
dell’attività lavorativa, quindi il tempo di latenza può essere abbastanza lungo. Lo sviluppo della
malattia è tempo-dipendente ma anche dose-dipendente: esiste una dose soglia (non nota) tale che
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una volta superata si innesca il processo neoplastico; tuttavia si ritiene che in soggetti geneticamente
predisposti, tale soglia possa risultare più bassa. Questo ci induce a dire che l’asbesto comporta
alterazioni cromosomiche come a livello dei cromosomi 6q,9q,10p, che sono le più frequenti
osservate nei mesoteliomi.
Complessivamente possiamo dire che la manifestazione clinica di una pneumoconiosi dipende da:
• tipo di minerale;
• dose inalata;
• tempo di esposizione.
Le malattie che ne derivano comprendono anche tumori che si sviluppano prima ancora che si
manifesti un quadro fibrotico.
Restano sempre ‘malattie professionali’ da risarcire: è importante il grado di gravità della malattia e
ne consegue una variazione dell’invalidità riconosciuta dall’INPS.
SARCOIDOSI
Si tratta di una patologia che si presenta con un quadro di fibrosi nodulare, che rientra nell’ambito
delle interstiziopatie ad eziologia sconosciuta; di questa malattia è ben nota la morfologia del
granuloma sarcoidosico.
È una malattia dall’impegnativa diagnosi clinica, perché vi sono malattie che possono mimare la
sarcoidosi come l’enterite di chron, ma anche neoplasie allo stomaco o alla mammella (in questi
ultimi 2 casi avremo reazioni granulomatose simil-sarcoidosiche a livello linfonodale); la
confusione deriva dal fatto che la sarcoidosi è una malattia sistemica.
I soggetti particolarmente colpiti sono di sesso femminile, di carnagione chiara, con capelli biondi
(maggiore diffusione della malattia nelle aree scandinave); sono colpiti soggetti dai 20 ai 40 anni.
Gli organi colpiti dalla sarcoidosi sono:
• polmoni
• linfonodi mediastinici e peribronchiali
• milza
• fegato
• reni
• midollo osseo
• cute
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• ghiandole lacrimali
• ghiandole salivari.
Il coinvolgimento di queste 2 ghiandole è tipico della ‘sindrome di Siomen’: i soggetti lamentano
una notevole secchezza nelle secrezioni.
La localizzazione ossea determina alterazioni osteolitiche con aumento relativo della calcemia:
infatti uno dei primi segni ricorrenti è la presenza di calcoli renali.
È importante, quindi, fare subito un prelievo di sangue in cui andiamo a richiedere la calcemia ed il
dosaggio dell’enzima ace-inibitore.
La diagnosi di conferma è la biopsia, che ci permette di osservare il granuloma sarcoidosico con i
macrofagi, contenenti al loro interno corpi asteroidi.
Il granuloma sarcoidosico non va mai incontro a necrosi caseosa, ma a fibrosi; la patogenesi è un
disordine immunitario, cioè una risposta immunitaria esagerata da parte dei linfociti T-helper contro
Ag esogeni o auto-Ag di cui non si conosce la struttura. Ciò vuol dire che ci sarà accumulo di T-
helper e quindi formazione di un granuloma. Allora è importante valutare il rapporto CD4+/CD8+,
con una netta prevalenza dei primi in questo tipo di malattia.
MESOTELIOMA
È importante studiare i tumori del polmone e della pleura. In caso di tumore primitivo allora
sicuramente si tratterà di un mesotelioma: questo tumore può interessare la pleura, il pericardio, il
peritoneo e la vaginale del testicolo (più raro, ma in un soggetto particolarmente esposto può
avvenire).
Il mesotelioma può creare grossi problemi dal punto di vista diagnostico, perché prendendo origine
da un epitelio celomatico, questo può andare incontro a modificazioni, come proliferazione in senso
epitelioide o sarcomatoide della cellula sierosa:
2. il mesotelioma epitelioide (o epiteliomorfo), (è il più frequente) può mimare
metastasi, strutture ghiandolari, papillari tipiche di un’altra neoplasia come il cancro
mammario. La diagnosi è dunque molto complicata e procede per esclusione.
3. Il mesotelioma sarcomatoide può mimare una pleurite fibrosa, perché quest’ultima
inspessisce la pleura. La sopravvivenza media dei soggetti con mesotelioma è di solo un
anno.
4. i mesoteliomi misti, cioè con componenti epiteliali e sarcomatoidi.
Spesso è necessario escludere la metastasi e fare diagnosi esclusiva di mesotelioma. Tuttavia manca
un marcatore tumorale di immunoistochimica specifico; questo perché esprimerà marcatori sia
epiteliali, sia connettivali. Allora l’OMS obbliga ad utilizzare un pannello di anticorpi per poter
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riconoscere il mesotelioma: questo infatti è positivo alle citocheratine, alla vimentina, alle caderine,
alla calretinina. Quest’ultima è ritenuta uno dei marcatori più sensibili per il mesotelioma.
Si usa anche l’anticorpo di WT1, che però è poco efficace e utile nelle forme anaplastiche. Quando
si perde l’espressione di WT1, il quadro è più grave e, quindi, parliamo di un marcatore di prognosi.
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