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Dispense Storia
prof. Stefano Miani
1. L'Italia tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento: Le
guerre d'Italia.
Dopo la morte di Lorenzo de' Medici (1492) svanisce l'equilibrio che si era creato
tra i vari stati regionali italiani (concretizzatosi con la pace di Lodi (1454) e la creazione
della Lega italica.
Con la discesa in Italia del re francese Carlo VIII (1494) iniziano una serie di
avvenimenti che passeranno alla storia con Guerre d'Italia.
Ma perché Carlo VIII decide di muovere il suo esercito
oltre le Alpi? In realtà il re francese approfittò di guerre
dinastiche e lotte per la supremazia tutte interne al nostro
paese (che ricordiamolo non era un'unità statale, ma un
insieme di tanti stati). In particolare Carlo fu chiamato da
Ludovico il Moro, intenzionato a sottrarre il Ducato di
Milano a suo nipote Gian Galeazzo Sforza. Ben presto il
Re capì che avrebbe potuto sfruttare i fattori di debolezza
all'interno di ciascuno stato e il riemergere di reciproche
rivalità per i suoi disegni espansionistici (il re, di origine
angioina aveva delle mire sul regno di Napoli, allora sotto il controlla degli Aragona, cioè
spagnoli).
Non appena il re iniziò la sua discesa Ludovico fece uccidere il nipote e prese il controllo
del Ducato di Milano.
A Firenze Piero de' Medici (subentrato a Lorenzo) lasciò libero il passaggio
all'esercito francese senza opporre la minima resistenza. Questo, se da un lato evitò uno
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scontro, dall'altro gli costò la Signoria. I Medici, considerati traditori, furono esiliati e fu
dichiarata la Repubblica Fiorentina.
Anche il Papa, Alessandro VI Borgia, lasciò libero il passaggio ai francesi che
puntarono a Napoli ne conquistarono il regno spodestando gli aragonesi.
Tuttavia la potenza francese mise in allarme non solo il Papa (che temeva
l'accerchiamento francese, a nord Milano e a sud Napoli), ma anche altri stati (perfino lo
stesso Ludovico il Moro voleva liberarsi dal controllo francese). Questi si coalizzarono
nella Lega Santa e sconfissero Carlo VIII nella battaglia di Fornovo, costringendolo a
rientrare in patria. La prima guerra era terminata con un sostanziale nulla di fatto.
Tuttavia aveva dimostrato la fragilità del sistema italiano.
Vi furono molte altre guerre. Non ci interessa in questa sede studiarle tutte
approfonditamente. Basterà capire che queste guerre furono combattute tra Francia e
Spagna (che con l'imperatore Carlo V diventerà finalmente uno stato unitario). Come
tutte le guerre esse risultarono sostanzialmente inutili e fiaccarono non solo le grandi
potenze che si sfidavano, quanto gli stati e le popolazioni italiane che subirono vere e
proprie invasioni e occupazioni da parte di questi eserciti. Il ping pong tra Francia e
Spagna può così essere riassunto.
Con la seconda (1499) i francesi ottennero il controllo sul ducato di Milano. Con
la terza guerra (1509) i francesi ottennero anche il regno di Napoli. Tuttavia nella quarta
guerra (1521-1525) i francesi furono sconfitti e il re (Francesco I) fu addirittura catturato
in battaglia a Pavia) e con la quinta guerra gli spagnoli conquistarono il ducato di Milano.
Nel 1527 per ordine dell'imperatore Carlo V Roma fu razziata e depredata dagli uomini
del suo esercito, i Lanzichenecchi: questo evento passerà alla storia come «sacco di
Roma», richiamandosi ai precedenti sacchi della città ad opera delle popolazione
germaniche. Al termine della sesta guerra l'Italia era ormai una succursale spagnola. La
situazione fu sancita definitivamente dopo l'ottava guerra, nel 1559 con il trattato di
Cateau-Cambrésis: la Spagna che aveva regno di Napoli, Sicilia e Sardegna, il Ducato di
Milano e controllava sostanzialmente Genova e Firenze (dove i Medici erano tornati a
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regnare ed erano diventati Granduchi grazie all'appoggio spagnolo).
Personaggi: Carlo V e Papa Alessandro VI Borgia.
Sembra opportuna soffermarci brevemente su due personaggi, Carlo V e
Alessandro VI Borgia, in quanto protagonisti di questa epoca. Alessando VI ha
incarnato nell'immaginario collettivo la corruzione della Chiesa, il nepotismo e la
spregiudicatezza politica.
Carlo V ha avuto l'onere e l'onore di essere a capo di un impero smisurato, ha
vissuto in pieno la crisi dovuta alla frattura tra la chiesa Cattolica e la nuova Chiesa
Protestante e, con una mossa a sorpresa, ha abbandonato il potere e ha terminato i suoi
giorni in un ritiro spirituale.
Alessandro VI Borgia
[scheda biografica tratta da http://www.treccani.it]
La vita e il papato di
Alessandro VI Borgia furono
improntati alla dissolutezza,
all'accumulo delle ricchezze e
al nepotismo, e per questo
venne duramente attaccato da
Girolamo Savonarola. Fu però
anche mecenate di umanisti e
artisti.
Don Rodrigo de Borja y Doms (Játiva forse 1431 - 1503); creato cardinale
diacono nel 1456 e vice cancelliere della Chiesa dallo zio Callisto III, dal cumulo dei
benefici ritrasse grandi ricchezze, grazie alle quali (dopo esservi quasi riuscito già nel
1484, aiutato dagli Sforza contro il partito aragonese-mediceo) fu eletto simoniacamente
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papa (11 ag. 1492). Notoriamente dissoluto (da una sua amante, Vannozza Catanei, aveva
avuto i figli Giovanni, Cesare, Lucrezia [con la quale, si disse, ebbe rapporti incestuosi e
che comunque coinvolse in intrighi, avvelenamenti e matrimoni politici], Jofré e, pur
pontefice, continuò la sua relazione con la bella Giulia Farnese, moglie di Orsino Orsini),
fu sfacciatamente nepotista, [tanto] da dare a sei dei suoi congiunti il cardinalato.
Politicamente dapprima oscillò, appoggiandosi ora agli Sforza, ora agli Aragonesi; di
fronte alla calata in di Carlo VIII di Francia, sollecitò l'aiuto di Venezia e perfino dei
Turchi e si alleò con Alfonso II di Napoli; ma, minacciato in Roma stessa, aprì la città,
accettando durissimi patti, ai Francesi (1494), contro i quali poi strinse lega con Venezia,
Milano, Spagna e Impero (1495) [...] La sua vita licenziosa veniva intanto bollata in
Firenze da G. Savonarola, che invocava un concilio per deporre il papa «simoniaco,
eretico, infedele». Si giunse così [...] al processo e al rogo del Savonarola. Ma sulla debole
volontà di A. [...] influiva ora il figlio Cesare Borgia, e la politica papale fu allora tutta tesa
a creargli uno stato, con alleanze, con confische di ricchezze a personaggi soppressi col
veleno, e col denaro del giubileo e forse della crociata, per cui A. pubblicò, senza
successo, una bolla (1501). Il tentativo di Cesare pareva avviato al successo, quando
Alessandro VI, mentre anche il figlio era malato, morì improvvisamente (non, come si
disse, per veleno). Contemporaneamente, la costruzione politica di A. e di Cesare
crollava. Ebbe fama di mecenate per aver protetto umanisti (Pomponio Leto, Aldo
Manuzio, il Lascaris) e artisti, quali Antonio da Sangallo e il Pinturicchio (che affrescò tra
l'altro il celebre appartamento in Vaticano).
Carlo V e il suo impero “su cui non tramonta mai il sole”.
Come vedremo Carlo V e il suo impero furono il prodotto di quel che si suol dire
un matrimonio politico, come da sempre si è soliti fare tra le famiglie reali.
L'imperatore Massimiliano I d'Asburgo (regnante dal 1493 al 1519) aveva dato suo
figlio Filippo il Bello (morto nel 1506) in sposo a una delle figlie di Isabella di Castiglia,
Giovanna (poi detta «la pazza». Da questo matrimonio, nel 1500, nacque Carlo.
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Dal nonno, Ferdinando d'Aragona (ricordiamo che era marito di Isabella di Castiglia),
ereditò nel 1516 la corona di Aragona e di Napoli. La follia della madre Giovanna (che
avrebbe dovuto ereditare la Castiglia) gli permise di unire Aragona e Castiglia in uno
stato che corrisponde all'odierna Spagna (anche se di fatto ciò avvenne solo alla morte
della madre nel 1555).
Nel 1519, alla morte dell'altro nonno Massimiliano, si candidò al trono imperiale
(che era elettivo e non dinastico). La sua vittoria sembrava scontata, ma il re francese
Francesco I, temendo che un'elezione di Carlo, avrebbe comportato gravi rischi per il
suo regno (che si sarebbe trovato tutto sommato accerchiato), tentò di contrapporglisi.
Ma grazie agli aiuti di potenti banchieri tedeschi, i Fugger, e fiamminghi, Carlo riuscì
sostanzialmente a comprasi il titolo imperiale.
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Come abbiamo visto Carlo V si inserì nelle guerre d'Italia e nel 1527 fu il
mandante del Sacco di Roma. I suoi soldati erano chiamati lanzichenecchi. Questo nome
deriva da un termine tedesco (“servo della terra, della patria”) e indica la fanteria
mercenaria imperiale formata per lo più dai servi della gleba che, liberati dai vincoli
feudali, cercavano di vivere e ottenere fortune materiali dall'arte della guerra.
L'imperatore si occupò anche dell'ascesa della religione protestante. Date le sue
origini, nonni cattolicissimi difensori della cristianità contro i musulmani in Spagna, egli
tentò inizialmente di combattere il protestantesimo. Tuttavia capì che ormai non c'era
più nulla da fare. Dato che molti principi tedeschi erano protestanti egli decise di stabilire
il principio del cuius regius eius religio (la religione di colui che regna). Questo principio
sanciva che ogni stato seguiva la religione del suo regnante. Il principio, se possibile,
complicò la situazione. Infatti bastava che a un re cattolico succedesse un protestante o
viceversa e tutti i sudditi dovevano cambiare credo. Vi furono frequenti migrazioni di
massa di credenti che, non volendo cambiare la propria fede, si spostavano verso regni
dove erano accetti. Questo principio fu sancito dalla Pace di Augusta (1555).
Carlo V fu a capo di un impero vastissimo “su cui non tramonta mai il sole” (sono
sue parole). Il suo impero comprendeva la Spagna e le colonie in America, Napoli, la
Sardegna, la Sicilia, Austria, Germania, Paese bassi, Ungheria e Boemia.
Tuttavia nel 1556 Carlo V si ritirò in un monastero e divise l'impero tra suo
fratello Ferdinando (Impero e territori asburgici) e suo figlio Filippo II (Spagna con tutte
le colonie, Italia, Paesi Bassi).
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2. La controriforma Cattolica.
Come abbiamo visto la ribellione di Lutero nei confronti della Chiesa cattolica
rappresenta l'inizio di una serie di riforme che nel giro di qualche decennio
trasformarono completamente il panorama religioso europeo.
Il luteranesimo divenne religione di stato in molti stati tedeschi, in Danimarca, in
Svezia, in Norvegia e in Islanda. In Svizzera nacque e attecchì il Calvinismo che ebbe
molti proseliti in Francia (dove gli adepti presero il nome di Ugonotti), Nei Paes Bassi, in
Scozia, Polonia, Boemia e Ungheria. In Inghilterra, con Enrico VIII, ci fu lo scisma
anglicano.
Dinnanzi al dilagare della riforma la Chiesa di Roma si divise in due scuole di
pensiero che si sarebbero ben presto scontrate in una disputa da cui solo una sarebbe
uscita vincitrice.
Da un lato c'erano gli evangelici o transigenti. Questi si rifacevano al messaggio di
tolleranza religiosa lanciato dall'umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536). Secondo il
grande filosofo (autore anche del bellissimo Elogio della pazzia, 1509) adnavano
abbandonati il formalismo liturgico, la corruzione dei costumi e l'intolleranza religiosa.
Secondo i transigenti era quindi necessaria una rifomra interna alla Chiesa.
Dall'altro lato c'erano gli intransigenti. Questi erano contrari a qualsiasi deroga alla
dottrina ufficiali. Per loro l'unica via praticabile era avversare la Riforma luterana con
un'energica attività di controriforma.
Fu indetto nel 1545 un concilio ecumenico a Trento (città considerata a metà
strada tra Roma e la Germania). I lavori videro contrapposti transigenti e intransigenti e
si protrassero a singhiozzo fino al 1563, durante il pontificato di Paolo IV. La linea
intransigente aveva trionfato e le conclusioni furono queste:
• Il magistero della Chiesa era l'unico in grado di interpretare correttamente le Sacre
Scritture, al contrario di quanto affermavano i protestanti col principio del libero
esame.
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• Il culto dei santi è fatto salvo, così come la dottrina del Purgatorio e la
conseguente necessità delle indulgenze.
• Le opere e i sacramenti sono necessari per la salvezza dell'anima, mentre secondo
il protestantesimo solo la fede salva.
• Il pontefice è l'autorità più grande della Chiesa romana.
Negli anni successivi vi furono anche dei tentativi di Riforma della Chiesa, ma
l'azione di Controriforma fu molto più vistosa e incisiva. La solidità organizzativa, la
centralizzazione del potere, la riorganizzazione del tribunale dell'Inquisizione, la caccia
agli eretici e alle streghe, i controlli sulla cultura e sull'arte, la promulgazione dell'Indice
dei Libri Proibiti (1559) – cioè l'elenco di quei libri religiosi e non contrari alla dottrina
cattolica –, gli arresti e le persecuzioni verso quei prelati e laici appartenenti all'area
transigente, la pervasiva attività di evangelizzazione in America Latina e in Oriente erano
tutti segnali inequivocabili della preminenza della Controriforma sulla Riforma.
Approfondimento: la storia degli Indici dei libri proibiti
[tratto e accomodato da http://www.storiadellastampa.unibo.it/noframes/indici.html]
Gli indici dei libri proibiti nascono dall'esigenza di avere una bibliografia delle
opere considerate non idonee alla stampa e alla lettura. Si tratta di liste di libri, autori,
generi, argomenti, proibiti perché lesivi degli interessi della Chiesa o dello Stato. Gli
indici sono compilati dagli organismi preposti al controllo e diventano presto la
principale arma nelle mani dei censori.
Tra il 1544 e il 1556 la Sorbona redige sei cataloghi di libri proibiti, mentre
all'Università di Lovanio ne vengono stilati tre tra il 1546 e il 1558, su ordine di Carlo V e
Filippo II. Il primo indice italiano viene stampato a Venezia nel 1549. Il catalogo suscita
un'immediata reazione presso librai e tipografi e non verrà mai promulgato. Ma gli indici
più celebri sono quelli romani del 1559 e 1564, che stabiliscono le regole di lettura per
l'intera cristianità.
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L'indice paolino
Promulgato nel 1559 da papa Paolo IV, l'indice paolino è l'unico compilato
dall'inquisizione romana e di gran lunga il più radicale e severo della storia. Nella sua
politica repressiva rientra la decisione di mettere da parte i vescovi per accentrare il
potere censorio nelle mani del Sant'Uffizio e della sua rete periferica, a cui i fedeli
devono consegnare i libri proibiti direttamente.
La struttura dell'indice, che rimarrà immutata fino a metà del XVII secolo,
merita uno sguardo approfondito. Le proibizioni sono circa mille, ripartite in tre gruppi.
Il primo gruppo comprende gli autori non cattolici dei quali si proibisce l'intera opera,
inclusi i testi di carattere non religioso. Il secondo gruppo racchiude 126 titoli di 117
autori, 332 titoli anonimi e due liste aggiuntive: 45 Bibbie e Nuovi Testamenti vietati e 61
tipografi la cui produzione è interamente bandita (tutti di area svizzero-tedesca, se si
esclude il veneziano Francesco Brucioli). Il terzo gruppo, per finire, quello dei cosiddetti
"libri omnes", comprende intere categorie di libri, ad esempio quelli che non riportano
l'indicazione dell'autore o dello stampatore, quelli senza data e luogo di pubblicazione,
quelli usciti senza permesso o presso stampatori eretici, o ancora le opere di astrologia e
magia. Per leggere le Bibbie e i Nuovi Testamenti in volgare, infine, è necessaria la
licenza del Sant'Uffizio che in nessun caso viene rilasciata alle donne o a chi non conosce
il latino.
L'indice intende controllare tutta la produzione scritta, e non solo in ambito
religioso. Le sue severe regole portano alla proibizione del Decameron di Boccaccio e di
molte altri testi famosi, così come dell'intera opera di Machiavelli, di Rabelais e di
Erasmo da Rotterdam. Le rimostranze sono immediate: non solo i librai lamentano
l'impossibilità di vendere i volumi a magazzino, ma molti eruditi si vedono proibiti i testi
su cui avevano sempre studiato, stampati per lo più in area tedesca. Città come Venezia,
Roma e Firenze cercano un compromesso. Molte sono le perplessità, al punto che se in
un primo tempo l'indice viene adottato, pur con qualche concessione, la morte di Paolo
IV nell'agosto del 1559 ne rallenta decisamente la diffusione.
L'indice tridentino
Il nuovo papa, Pio IV, è un riformatore moderato e si mostra da subito disposto
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a rivedere l'indice in modo che colpisca solo i libri eretici. Le proibizioni rimangono le
stesse, ma lo spirito e le norme generali si fanno più tollerant i e rimangono in
vigore per moltissimo tempo. Viene inoltre istituita la possibilità di espurgare i libri che
contengono solo brevi passaggi criticabili, operazione che pur permettendo ai librai di
salvare numerosi volumi, stravolge spesso il senso dell'opera.
L'applicazione delle norme
La censura, introdotta per combattere l'eresia, si estende molto presto oltre i limiti
che si era imposta. Inizialmente ci si concentra sui libri di carattere religioso. Più tardi,
sconfitta la Riforma, la censura viene applicata soprattutto ai libri di magia, ma anche ad
opere di letteratura e scienza.
Ufficialmente la censura non si è mai occupata delle opere popolari in volgare,
ma in realtà il diffuso desiderio di leggere e il proliferare di occasioni d'istruzione
autodidattica preoccupano le autorità. È proprio attraverso opere in volgare che la
Riforma ha cercato di far breccia, e la detenzione di libri, la sola detenzione anche di libri
non proibiti, è una delle accuse più frequenti nei processi per eresia. Se si può tollerare la
diffusione di testi pericolosi in latino, la letteratura popolare è suscettibile di sviluppi
imprevedibili e va quindi controllata. Proprio per questo la Chiesa cerca di disciplinare
rigorosamente l'alfabetizzazione: una bolla di Pio IV, del 1564, impone un giuramento a
tutti gli insegnanti, i quali devono dichiarare davanti al vescovo chi sono, dove insegnano
e quali libri usano.
Oltre all'indice, grazie al quale i libri vengono bloccati e sequestrati, ci sono
metodi più sottili di censura, interventi più nascosti, come le espurgazioni: correzioni
nascoste e non sempre dichiarate dei passi sconvenienti. L'irrigidimento nei confronti
della letteratura popolare porta espurgatori professionisti ad occuparsi di molti dei libri
in circolazione. In alcuni casi il frontespizio viene corretto e reca l'indicazione
dell'operazione compiuta; in altri al massimo si trova la dicitura "edizione corretta", che
non prevede solo una revisione di tipo testuale, ma anche ideologica. Il Decameron
"rassettato" da Lionardo Salviati (1573) rimane un manifesto di questo tipo di
operazione per i pesanti interventi dell'espurgatore, che sollevano numerose critiche. Il
correttore si sente spesso padre dell'opera, come e più dell'autore stesso, con la
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conseguenza che non di rado il pensiero di quest'ultimo viene completamente stravolto.
Il XVII secolo
Nel corso del '600 gli indici perdono il loro valore normativo e diventano sempre
più strumenti nelle mani degli Inquisitori che si fanno giudici e li usano a loro
discrezione. Per una migliore consultazione non sono più divisi in sezioni, ma vengono
stilati in ordine alfabetico. Aumentano, inoltre, le proscrizioni generiche.
Dopo la metà del '600 non si registrano persecuzioni per chi semplicemente
detiene libri proibiti; si passa invece alla repressione di pratiche socialmente
pericolose, quali la stregoneria, la chiromanzia, la magia. Fra i più perseguitati i libertini.
Le proibizioni nella realtà hanno uno scarsissimo valore, soprattutto dove lo Stato laico
si contrappone al potere religioso. Il controllo si fa più stretto nelle zone al confine con
la Germania, ma in generale più un libro è proibito e più è richiesto. Le patenti di lettura
infatti sono molto diffuse e la circolazione dei cataloghi assume proporzioni incredibili.
Il XVIII secolo e il declino degli indici
Durante il pontificato di Benedetto XIV (1740-1758) il pensiero illuminato
raggiunge anche i vertici della Chiesa e si pensa ad una revisione delle norme che vada
nella direzione delle proposte di riforma sociale del periodo. Più comodo ed affidabile,
corretto negli errori e nelle incongruenze, il nuovo indice del 1758 rivede alcune
proibizioni e, in particolare, elimina il divieto di lettura della Bibbia nelle lingue nazionali.
L'epoca delle grandi repressioni sta per finire, ma l'indice continua ad essere
considerato uno strumento necessario fino quasi ai nostri giorni. Viene infatti abolito
solo nel 1966, da papa Paolo VI, nel Concilio Vaticano II.
3. La Francia e le guerre di religione (1562-1598).
Nel corso del Cinquecento le lotte religiose assunsero in Francia sempre più peso,
tanto da proseguire pressoché ininterrottamente fino alla fine del secolo.
A partire dal 1534, Francesco I (1494-1547) e poi suo figlio Enrico II avevano
adottato misure sempre più dure contro gli ugonotti, come venivano chiamati i calvinisti
francesi. Nonostante le persecuzioni, però, le comunità protestanti continuarono a
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crescere in numero e importanza, grazie anche al flusso di missionari e predicatori che
arrivavano dalla vicina Ginevra, patria di Giovanni Calvino, tanto che nel maggio 1559 si
tenne il primo sinodo generale delle Chiese riformate di Francia.
La morte improvvisa e prematura di Enrico II, mortalmente ferito nel luglio 1559
durante un torneo, complicò notevolmente le cose, indebolendo la posizione della
monarchia.
Data la giovane età dell'erede al trono, Fraancesco II, la reggenza fu assunta dalla
madre, Caterina de' Medici.
I problemi che affliggevano la Francia erano i seguenti:
• La guerra contro Carlo V e l'Impero aveva svuotato le casse dello stato.
• C'era stata in tutta Europa, durante il Cinquecento, una rivoluzione dei
prezzi che aveva messo alle corde l'economia francese e il malumore
poplare era in crescendo.
• Come detto, il protestantesimo aveva trovato in Francia un terreno
particolarmente fertile a causa del malcontento sociale e del governo
sempre più centralizzato e assolutistico della famiglia reale. La riforma
aveva attecchito tra gli strati più produttivi della popolazione, la borghesia
della Francia orientale e centrale. Gli strati popolari, specilamente quelli
urbani, spalleggiavano il cattolicesimo, anche perché le opere assistenziali
prestate dai cattolici erano indispensabili in quel momento di crisi.
A Francesco II successe il fratello decenne Carlo IX (1550-74), ma il potere venne
di fatto esercitato da Caterina de’ Medici. Caterina fu sempre malvista dai sudditi
francesi, in quanto donna e in quanto straniera, e su di lei si costruì ben presto una vera e
propria “leggenda nera”, che la dipingeva come ambiziosa, assetata di potere, abilissima
nelle arti della finzione e del tradimento, insomma degna allieva di Machiavelli e delle
dottrine immorali del suo Principe. Si trattava in realtà di insinuazione largamente
infondate ed esagerate: essa operò per tutelare il prestigio e la centralità della monarchia
francese in un periodo di crisi e cercò di imporre la propria politica destreggiandosi
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abilmente tra le opposte fazioni. Nei primi anni di regno di Carlo IX, Caterina tentò di
sedare i dissidi e i conflitti religiosi, inaugurando una politica di distensione e cauta
apertura verso gli ugonotti; mentre venivano conferiti incarichi di rilievo a nobili
protestanti, ottenevano credito crescente le posizioni del cancelliere Michel de l’Hôpital,
fautore della tolleranza religiosa e della riconciliazione interconfessionale.
Nel tentativo di superare pacificamente le differenze dottrinali, nell’ottobre 1561
fu riunita a Poissy, alla presenza del re e della regina-madre, una conferenza religiosa, alla
quale presero parte ecclesiastici e teologi sia cattolici che calvinisti. La conferenza fu un
fallimento e acutizzò le reciproche incomprensioni, ma Caterina fece comunque emanare
dal re un Editto di tolleranza (17 gennaio 1562) che riconosceva ai protestanti la libertà
di culto pubblico fuori dalle città e, all’interno di quelle, il permesso di praticare il culto
in forma privata.
Il riconoscimento, seppur parziale, della libertà religiosa innescò la violenta
reazione dei cattolici e spinse i principali esponenti aristocratici del partito cattolico, il
duca di Guisa, il connestabile Anne di Montmorency (1493-1567) e il maresciallo
Giacomo di Saint-André (1505-62), a creare un triumvirato per opporsi alla politica di
Caterina e ai protestanti. Essi ottennero il sostegno di Filippo II di Spagna, che vedeva
con inquietudine l’evolversi della situazione religiosa in Francia. Mentre in tutto il paese
crescevano le tensioni e si verificavano i primi scontri tra cattolici e ugonotti, le due parti
si preparavano alla guerra. Il casus belli non si fece attendere: il 1° marzo 1562, il duca di
Guisa, rientrando con le sue truppe dalla Lorena, scoprì che i protestanti di Wassy, nello
Champagne, celebravano i loro riti dentro la città in contravvenzione all’editto di
gennaio, li attaccò con i suoi soldati e ne uccise una settantina.
Con il massacro di Wassy presero avvio le guerre di religione, che sarebbero
proseguite a fasi alterne per più di trent’anni. Gli storici tendono a identificare in questo
periodo otto guerre, o per meglio dire, otto fasi di una stessa guerra, tra le quali
intercorsero periodi di pace o di tregua dichiarata più o meno lunghi. In realtà la società
francese fu travagliata in maniera pressoché ininterrotta da violenze private, vendette,
massacri tra cattolici e protestanti, che non andavano di pari passo con la guerra “reale”
e rispondevano a uno stato di conflittualità diffusa e permanente, di vera e propria
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lacerazione sociale.
Il 18 agosto 1572 fu celebrato a Parigi il matrimonio tra il protestante Enrico di
Navarra e Margherita di Valois (figlia di Caterina de' Medici); per l’occasione giunsero
nella capitale molti nobili e dignitari ugonotti, contribuendo ad esasperare il risentimento
della popolazione parigina, continuamente infiammata dai predicatori cattolici. In questo
clima surriscaldato si inserì una complessa congiura di corte che portò al ferimento
dell'ammiragio Gaspard de Coligny, esponente di spicco degli ugnotti. Probabilmente fu
la stessa Caterina a organizzare il fallito omicidio. Questo attentato provocò grandi
proteste da parte degli ugonotti a cui si contrapposero ben presto i cattolici.
Nella notte tra il 23 e il 24 agosto, alla vigilia della festa di San Bartolomeo, le
autorità municipali ricevettero l’ordine di sbarrare le porte di Parigi, le milizie cittadine
furono allertate e il massacro poté cominciare. I nobili ugonotti furono uccisi nel sonno,
i loro cadaveri trascinati per le strade e buttati nella Senna; Coligny fu ucciso nel suo
letto, mentre al Louvre gli ospiti del re vennero ugualmente trucidati; il giovane sposo,
Enrico di Navarra, costretto a scegliere tra la morte e la conversione al cattolicesimo,
preferì quest’ultima. Questo truce e sanguinario massacro passò alla storia come la
Strage di San Bartolomeo. La situazione sfuggì di mano agli organizzatori del complotto:
svegliati dalle campane a martello, i parigini si abbandonarono a una strage sempre più
immane e sanguinosa, a una vera e propria caccia all’ugonotto e all’eretico alla quale si
mescolarono vendette e saccheggi. Servirono due giorni per riuscire a riportare una
parvenza di ordine nella capitale; il 26 agosto i cadaveri si contavano a migliaia a Parigi.
Nel frattempo le violenze si diffusero in altre città della Francia (a Orléans, Meaux,
Angers, Lione, Bourges, Bordeaux, Rouen, Tolosa, Albi), in alcuni casi incoraggiate, in
altri frenate dagli agenti della monarchia e dalle autorità locali.
Le guerre di religione continuarono e si arrivò alla cosiddetta «guerra dei tre
Enrichi» poiché si videro contrapposti tre Enrichi: Enrico III ed Enrico di Guisa contro
Enrico di Navarra (lo stesso Re che era sopravvissuto alla strage di San Bartolomeo e
che si era convertito al cattolicesimo) che vinse e salì al trono con il nome di Enrico IV.
L'aneddoto più noto su Enrico IV è la frase che avrebbe pronunciato al monento
di abiurare il protestantesimo e convertirsi al cattolicesimo: «Parigi val bene una messa».
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Aveva deciso di convertirsi per poter ambire al trono di Francia. Tuttavia Enrico IV,
proprio per il suo passato protestante, riuscì a porre un freno alle guerre di religione in
Francia, promulgando un editto importantissimo, simbolo della tolleranza e della libertà
religiosa: ’Editto di Nantes (1598)
Questo fu l’atto che chiuse davvero questa sanguinosa stagione di guerre religiose .
Con l'Editto di Nantes Enrico IV riconobbe piena libertà di coscienza e di culto
pubblico in tutto il regno, con la sola eccezione Parigi, e attribuì pari diritti civili a
cattolici e protestanti; fu inoltre concesso ai protestanti di conservare a spese dello Stato
un centinaio di piazzeforti, per loro tutela, il che permise loro di conservare una struttura
politico-militare autonoma e parallela rispetto a quella della corona. Si apriva per la
Francia un’inedita stagione di sostanziale tolleranza religiosa che sarebbe ufficialmente
durata, nonostante interruzioni e scontri, per quasi un secolo (fino alla revoca dell’editto
di Nantes da parte di Luigi XIV nel 1685).
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