Frattura del femore distale nell’adulto

Post on 30-Dec-2016

234 views 0 download

transcript

01-08-360

Frat

tura

del

fem

ore

dist

ale

nell’

adul

to 0

1-0

8-3

60

Frattura del femore distale nell’adulto

M. EhlingerG. DucrotP. AdamF. Bonnomet

Riassunto. – Le fratture del femore distale sono rare e gravi, con un significativo tasso di mortalità nelle persone anziane. La frequenza stimata è dello 0.4%. Il contesto tipico è di un trauma ad alta energia in un paziente giovane e di un in-cidente domestico in una persona anziana. In termini di incidenza, la predominanza è femminile e la popolazione inte-ressata è sempre più anziana. Nella maggior parte dei casi la causa è un trauma indiretto su un ginocchio in flessione. Più raramente, si tratta di un trauma diretto da schiacciamento. La scomposizione è conseguente alle trazioni muscolari: accorciamento ed estensione del frammento distale. L’anatomia del femore distale spiega i tre tipi di fratture osservati: sovracondiloidea, unicondiloidea, sotto- e intercondiloidea. Tenuto conto di questa situazione anatomica, solo il trattamen-to chirurgico permette una stabilizzazione adeguata a opporsi alle forze statiche e dinamiche. Di fronte a pazienti co-stretti a letto e/o in caso di fratture non o poco scomposte in pazienti con stato di autonomia estremamente ridotto, il trattamento ortopedico deve restare un’eccezione. Dopo aver spiegato in dettaglio le vie di accesso e l’installazione, sa-ranno descritte le tecniche chirurgiche (lama-placca, placca condiloidea, placca bloccata, inchiodamento endomidollare) insistendo sulle loro specificità. Sarà proposta una panoramica della letteratura recente con l’obiettivo di confrontare i risultati delle diverse tecniche.

Parole chiave: femore distale, frattura sotto- e intercondiloidea, inchiodamento, osteosintesi, placca.

I riferimenti bibliografici a questo capitolo sono: Ehlinger M., Ducrot G., Adam P., Bonnomet F. Frattura del femore distale nell’adulto. Encyclopédie Médico-Chirurgicale. Trattato di tecniche chirurgiche - Chirurgia ortopedica 01-08-360, 2013, 11 p. Tutti i diritti riservati.

frattura (più di 65 anni nel 50% dei casi). Si tratta di una patologia grave con mortalità pari a quella della frattura del femore pros-simale nelle persone anziane [2]. Infine, emerge una particolarità sempre più fre-quente: le fratture sugli impianti femorali. Data la situazione anatomica del femore distale, solo il trattamento chirurgico con-sente una stabilizzazione sufficiente a op-porsi alle forze statiche e dinamiche. Il trattamento ortopedico deve rimanere una soluzione eccezionale in caso di pazienti costretti a letto e/o di fratture non o poco scomposte in pazienti con stato di autono-mia estremamente ridotto. Tali fratture sono solitamente raggruppate in tre grandi tipo-logie secondo i principi dell’Associazione per lo studio dell’Osteosintesi (AO) [3]: fratture articolari unicondiloidee, fratture articolari bicondiloidee e fratture extrarti-colari (Fig. 1). Questa classificazione per-mette di porre l’accento sulle indicazioni chirurgiche. Dopo un richiamo in termini fisiopatologici dei tipi di fratture e delle scomposizioni osservate (Figg. 2, 3), saran-no descritte nel dettaglio le vie di accesso. Le grandi tecniche chirurgiche saranno de-

scritte insistendo sulle loro specificità. Infine, sarà proposta una panoramica della recente letteratura con lo scopo di confron-tare i risultati delle diverse tecniche.

Fisiopatologia delle fratture del femore distale

Il meccanismo responsabile è più spesso un trauma indiretto dato da un movimento combinato di flessione e rotazione associa-to a un varo-valgo.

Trattamento iniziale

L’esame clinico deve ricercare lesioni cu-tanee, spesso frequenti, ma che solo rara-mente compromettono la copertura grazie a tessuti molli “generosi”, e la presenza di una possibile complicanza neurovascolare, rara ma gravissima. Il sospetto clinico è confermato dall’esame radiologico (fron-tale e di profilo) e in caso di frattura arti-

Introduzione

La prima descrizione risale al 1791 da parte di Dussault. Bisogna però aspettare il 1907 con Lambotte per veder comparire la prima osteosintesi. Queste fratture sono rare e gravi. La frequenza è dell’ordine dello 0.4%, calcolato sull’insieme delle fratture, e del 3% tra le fratture del femore [1]. L’epidemiologia si evolve. La classica di-stribuzione bimodale persiste con un picco di frequenza negli uomini giovani (30 anni) e nelle donne anziane (70 anni) [1]. Il quadro rimane quello consueto di un trauma ad alta energia nei pazienti giovani, in presenza di traumi multipli, e di un incidente domestico in una persona anziana, in un contesto di cadute ripetute e osteoporosi. La sex ratio è modificata con una predominanza femmi-nile (un uomo/due donne) [1] e la popolazio-ne interessata è sempre più anziana. Si regi-stra una media di 61 anni al momento della

M. Ehlinger (matthieu.ehlinger@chru-strasbourg.fr).G. Ducrot.P. Adam. F. Bonnomet. Service de chirurgie orthopédique et de traumatologie, Hôpital de Hautepierre, Hôpitaux universitaires de Strasbourg, 1, avenue Molière, 67098 Strasbourg cedex, France.

01-08-360 Frattura del femore distale nell’adulto

2

colare o in caso di dubbio (55% delle fratture) viene completato da una tomogra-fia. Questa imaging permette di stabilire la strategia terapeutica, la scelta della via di accesso e il materiale. Se sussiste il mini-mo dubbio di lesione vascolare, viene pra-ticato un esame complementare. La diagno-si clinica può essere indicativa per un qua-dro d’ischemia acuta o subacuta con una sola asimmetria dei polsi. Un’arteriografia o un’angiotac sono indicati. Quest’ultima avrà il vantaggio di controllare sia le aree vascolari sia quelle ossee. In caso di dia-gnosi di una lesione vascolare il suo tratta-mento è urgente. Il trattamento antalgico iniziale è la prassi. La realizzazione di un blocco del nervo femorale è giustificata sin dal pronto soc-corso con diminuzione statistica dei dolori e assistenza agevolata [4]. Una trazione dell’osso calcaneare può essere realizzata come trattamento di attesa, con lo scopo di

stabilizzare la frattura, ridurre i dolori e proteggere i tessuti molli. Tali fratture sono gravi, con una morta-lità nella popolazione anziana paragona-bile a quella delle fratture del femore prossimale [2]. Un ritardo operatorio supe-riore ai quattro giorni, incrementa il tasso di mortalità in un lasso di tempo di sei mesi/un anno, ancor più in presenza di demenza o problemi cardiaci e renali [2]. Per ridurre la morbi-mortalità perioperato-ria in questa fascia d’età, Kammerlander et al. [5] consigliano una presa in carico me-dica per prevenire le complicanze che compromettono il risultato funzionale e accrescono la mortalità. Gli autori riporta-no una serie di pazienti con una media di 80 anni. Dopo 5 anni hanno riscontrato il 50% dei decessi, una perdita di autonomia e solo un 18% di pazienti che cammina senza aiuto.

Principi terapeutici

La terapia per tali fratture è complessa. La Società francese di chirurgia ortopedi-ca e traumatologia (Sofcot) nel 1988 ri-portava [6]: 13% di infezioni e pseudoar-trosi settiche (29% di fratture esposte), 14% di pseudoartrosi asettiche, 35% di rigidità residua e 50% di artrosi post-traumatiche conseguenti a iniziali lesioni condrali di natura traumatica, ma ugual-mente secondari a difetti di riduzione. L’obiettivo della terapia consiste nella consolidazione con il ripristino dellʼepifisi e degli assi, così come di una completa

A1 A3A2

B1 B3B2

C1 C3C2

1 Classificazione delle fratture del femore distale se-condo l’Associazione per lo studio dell’Osteosintesi (AO) [3]. Tipo A: frattura extrarticolare. Tipo B: frat-tura unicondiloidea. Tipo C: frattura sotto- e inter-condiloidea.

2 Spostamento dei capi di frattura conseguente a trazione muscolare. A. Profilo. B. Proiezione frontale

10°10° 25°

3 Anatomia del femore distale. A. Mappatura delle trabecole ossee del femore distale. Notare l’area di debolezza tra i condili e la troclea. B. Geometria del femore distale su vista assiale.

Frattura del femore distale nell’adulto 01-08-360

3

4 Sistemazione su tavolo standard. A. Cuscino emicilindrico posizionato sotto il femore distale volto ad agevolare il controllo dell’oscillazione posteriore del frammento distale. B. Inclusione dell’intero arto inferiore.

A B

funzione articolare, riducendo al minimo il rischio infettivo. Il montaggio deve essere stabile e solido su tutti i livelli, consenten-do una duratura fissazione della frattura e un’immediata riabilitazione. A prescindere dal tipo di impianto scelto e dall’installazione eseguita, occorre verifi-care, prima della fase sterile, che il con-trollo radioscopico intraoperatorio sia di ottima qualità, senza alcun difetto. Per verificare il corretto posizionamento degli impianti e la qualità della riduzione occor-re effettuare un controllo radioscopico in-traoperatorio nelle due proiezioni (frontale e di profilo). Questo è di fondamentale importanza per una chirurgia mini-invasi-va, ma in ugual modo necessario per una chirurgia a cielo aperto.In caso di interessamento articolare, la prima fase consiste nella ricostruzione del massiccio articolare che deve essere anato-mico, tenendo conto del carattere portante del ginocchio e della presenza dell’artico-lazione femororotulea. Il ginocchio deve rimanere libero e in grado di essere mobi-lizzato; in questo modo l’intero arto infe-riore viene integrato nel campo operatorio. Indipendentemente dalla lesione articolare, la riduzione metadiafisaria deve restituire al femore il proprio asse anatomico, quindi l’asse meccanico. L’esposizione dei seg-menti di frattura epifisaria avviene a ginoc-chio flesso. L’esplorazione articolare per-mette un bilancio cartilagineo, meniscale e legamentoso per definire la prognosi del ginocchio. La riduzione comincia con il controllo dei condili fissati tramite una pinza, poi stabilizzati temporaneamente per mezzo di fili. Mentre solitamente il controllo frontale non crea difficoltà, il controllo sagittale in rotazione dei condili è più delicato. La porzione metafisaria e in

particolar modo la corticale anteriore pos-sono essere un punto di riferimento. Le fratture associate verranno ricostruite sulla porzione condiloidea curando di non in-tralciare l’installazione della placca. Il controllo di una frattura di Hoffa si effet-tua tramite l’introduzione di una pinza posizionata sulla corticale anteriore con ginocchio flesso. Una volta ottenuta la ri-duzione articolare viene realizzato un av-vitamento isolato. La seconda fase consiste nel far “risalire” il blocco articolare sulla porzione metadia-fisaria. Questa fase si attua sul ginocchio in estensione. Si realizza una fissazione temporanea tramite fili. Se la frattura è semplice, la riduzione è agevolata sotto controllo visivo, e la corticale anteriore metafisaria viene utilizzata come criterio di riduzione. In caso di frattura comminu-ta, occorre prestare attenzione alla rotazio-ne e alla lunghezza. Una possibile soluzio-ne consiste nel fissare la parte epifisaria sulla placca e poi in seguito fissare la parte prossimale della placca sulla diafisi sana. Il montaggio realizzato “fa da ponte” alla comminuzione. Essendo la parte epifisaria e la parte diafisaria stabilizzate, si può correggere un’eventuale problema di rota-zione, un difetto sagittale o un difetto di lunghezza. Verificare la rotazione è di fon-damentale importanza in quanto un pro-blema di rotazione può condizionare la cinematica dell’articolazione femororotu-lea. In caso di frattura extrarticolare la se-quenza chirurgica è identica.Talvolta si rende necessario un innesto di osso autologo, specialmente in presenza di una notevole comminuzione e impattazione del tessuto spongioso metafisario. L’analisi tomografica può essere di aiuto, ma solo la valutazione intraoperatoria ne conferma la

necessità. Questa eventualità deve essere prevista, la cresta iliaca omolaterale deve essere inclusa nel campo operatorio ed è necessario informare il paziente.

Installazione

L’installazione su un tavolo standard (Fig. 4), indicata per le fratture che pre-sentano una componente articolare, per-mette un’osteosintesi tramite placca o in-chiodamento retrogrado. Il decubito dor-sale agevola le manovre di riduzione, il controllo della rotazione e il controllo frontale. La flessione facilita il controllo articolare e l’estensione il controllo meta-diafisario. Per ridurre la componente sagit-tale si può posizionare un cuscino emici-lindrico sotto la parte distale del femore. La cavità poplitea viene lasciata libera per evitare la compressione neurovascolare. L’arto inferiore controlaterale è posiziona-to al meglio su un supporto reggicosce per consentire di effettuare agevolmente un controllo radioscopico prestando attenzio-ne a un’eventuale artroplastica dell’anca. Per una frattura extrarticolare e/o una chi-rurgia mini-invasiva (inchiodamento o placca) è invece indicata la sistemazione su un tavolo ortopedico (Fig. 5). Si può realizzare anche un’osteosintesi tramite la classica placca, ma la via di accesso sarà limitata dalla tensione muscolare dovuta al tipo di installazione. Se prendiamo per buona l’opzione dell’inchiodamento ante-rogrado, la trazione dell’arto inferiore av-verrà tramite zampale (più spesso persona anziana), oppure tramite trazione ossea condiloidea. Quest’ultima sarà il più pos-sibile bassa e anteriore in modo da permet-tere di ridurre l’oscillazione del frammen-

01-08-360 Frattura del femore distale nell’adulto

4

to distale non articolare. Nel caso dell’in-chiodamento retrogrado, la trazione ossea è di tipo tibiale prossimale, favorendo l’utilizzo di viti filettate per aumentare la resistenza dell’osso e mantenere la corre-zione sul piano frontale e il ginocchio flesso a 30°.In caso di applicazione di una placca mini-invasiva, è possibile effettuare unicamente una trazione a zampale. Alla fine, a pre-scindere dalla tecnica operatoria scelta, un appoggio fisso sul tavolo può essere utiliz-zato per ridurre il movimento oscillante del frammento distale.

Vie di accesso

Un tourniquet viene utilizzato di rado, in quanto riduce l’accesso al femore diafisario e metterlo in tensione porta a una retrazione muscolare che può rendere difficile la mo-bilizzazione del focolaio della frattura.

VIA LATERALE

Si tratta della classica via di accesso all’estremità distale del femore. È adatta per le fratture articolari ed extrarticolari e permette l’applicazione di ogni tipo di placca. L’inserimento avviene in decubito dorsale, ginocchio leggermente flesso con cuscino sotto il gluteo omolaterale. L’incisione parte dal tubercolo di Gerdy e sale sul versante laterale del femore, con un orientamento leggermente concavo verso il basso. All’occorrenza viene pro-lungata fino al grande trocantere e consen-te l’accesso al femore diafisario. Il musco-lo tensore della fascia lata viene inciso lungo la stessa curva e separato dal vasto laterale. L’aponeurosi del vasto laterale viene incisa e, dopo aver controllato le ar-terie perforanti, il muscolo viene sollevato

in avanti scoprendo il femore distale. A questo punto è possibile rimanere a livello extrarticolare sollevando la borsa quadri-cipitale. È possibile effettuare un’estensio-ne articolare verso il basso con artrotomia laterale. A fine intervento il muscolo vasto è riposizionato, il tensore della fascia lata e, se necessario, la capsula articolare sono richiusi, così come in seguito il tessuto sottocutaneo e cutaneo. Di solito viene posto un drenaggio.

VIA LATERALE MINI-INVASIVA

Questa via di accesso è indicata per una chirurgia mini-invasiva. Si utilizza perlo-più una placca bloccata con impiego di uno specifico strumento ancillare percutaneo. La sistemazione avviene su di un tavolo standard oppure ortopedico. Innanzitutto vengono disegnati dei punti cutanei di rife-rimento, sotto controllo radioscopico, volti a favorire l’intervento: spazio articolare, frattura, patella, eventuale pivot femorale e tragitto di incisione. L’incisione cutanea è laterale, orizzontale oppure leggermente ascendente e in avan-ti, centrata sul condilo laterale. Noi predi-ligiamo questa incisione obliqua in quanto permette un accesso più rapido alla porzio-ne distale della placca, giocando con l’orientamento dell’incisione. La porzione sottocutanea e il tensore della fascia lata vengono incisi. Il vasto laterale viene sol-levato così come la borsa quadricipitale, consentendo così di rimanere sul piano extrarticolare. La parte laterale del femore distale è accessibile. Il tragitto della placca viene prudentemente preparato con una leva. La parte prossimale della placca risa-le lungo il femore nella zona extraperiosta-le e sottomuscolare realizzando una chi-rurgia biologica (rispetto dei tessuti molli, del periosto e della vascolarizzazione). La chiusura avviene senza drenaggio.

VIA PARAPATELLARE LATERALE E MEDIALE

Nel caso in cui la frattura sia prevalente-mente articolare con debole estensione metafisaria è possibile utilizzare una via di accesso parapatellare. La sistemazione avviene su tavolo standard in decubito supino. Medialmente, è la via di accesso della protesi del ginocchio. Essa può protrarsi verso l’alto passando per il tendine quadri-cipitale, oppure essere meno traumatizzan-te e passare per via subvastus. In questo caso, è possibile l’accesso metafisiario di-stale, ma tramite il versante mediale, rag-giungendo quindi la via mediale classica. Dopo la lussazione della patella l’esposi-zione articolare è perfetta. La comminu-zione intercondiloidea è in particolar mo-do ben controllata. La via parapatellare laterale consente l’ac-cesso alla porzione laterale dell’articola-zione. La visuale sul versante mediale è molto scarsa, ma può essere aumentata procedendo al sollevamento della tubero-sità tibiale anteriore. È possibile un’esten-sione verso l’alto. La chiusura è classica e un drenaggio è consueto.

VIA ANTERIORE

Si tratta della via di accesso dell’inchioda-mento retrogrado. Il paziente viene siste-mato su un tavolo standard con ginocchio flesso a 30°, oppure su un tavolo ortopedi-co con trazione ossea transtibiale prossi-male. L’incisione cutanea avviene per via an-teriore centrata sul tendine rotuleo, op-pure leggermente all’interno di esso. L’approccio transtendineo permette un centraggio facilitato sulla gola senza es-sere vincolati dal tendine. L’artrotomia avviene per via parapatellare o transtendi-

5 Installazione su tavolo ortopedico. A. Installazione su tavolo ortopedico per inchiodamento retrogrado, trazione ossea tibiale prossimale. B. Sostegno distale fissato sul tavolo con lo scopo di ridurre l’oscillazione posteriore del frammento distale.

A B

Frattura del femore distale nell’adulto 01-08-360

5

nea. Il punto di introduzione del chiodo viene individuato tramite radioscopia. Non viene posto alcun drenaggio.

SOLLEVAMENTO DELLA TUBEROSITÀ TIBIALE ANTERIORE

Si tratta di un approccio aggiuntivo, più che una vera e propria via di accesso, ed è indicato quando la comminuzione è note-vole e l’approccio unicamente per via late-rale risulta difficoltoso. Il paziente è siste-mato in decubito dorsale su un tavolo standard con un cuscino sotto l’estremità dorsale del femore. L’osteotomia della tuberosità offre una vi-suale di buona qualità sull’articolazione. Non è strettamente necessario un solleva-mento completo e si può lasciare in posi-zione la cerniera periostale consentendo un’oscillazione mediale della bratta ossea. Se la bratta è completamente staccata, l’in-tero apparato estensore viene sollevato verso l’alto. L’osteotomia può essere asso-ciata a una classica via laterale. La fissa-zione della tuberosità tibiale avviene trami-te l’inserimento di due viti. Un’incisione prossimale sopra l’osteotomia garantisce una stabilità primaria prima della fissazio-ne. La chiusura classica prevede un drenag-gio. In fase postoperatoria è previsto un tu-tore e la mobilizzazione passiva in flessione viene limitata per proteggere l’osteotomia. La sua realizzazione può modificare la ria-bilitazione postoperatoria.

VIA MEDIALE

Si tratta di una via adatta alle fratture me-tafisarie con componente principalmente mediale. Può trattarsi di una via comple-mentare alla via laterale per l’installazione di una placca mediale per controllare un difetto e una comminuzione mediale. L’installazione avviene in decubito dorsa-le, ginocchio leggermente flesso. L’incisione comincia a un’equa distanza tra il margine superiore del condilo media-le e la patella, davanti al sartorio. Il tenso-re della fascia lata e l’aponeurosi del vasto mediale vengono incisi nel senso dell’inci-sione cutanea. Il vasto mediale viene deli-catamente sollevato prestando attenzione alle arterie perforanti. Il grande adduttore viene lasciato indietro e il vasto mediale viene sollevato in avanti. Il femore è espo-sto. L’incisione può prolungarsi dal punto di vista distale, al bisogno, tramite artroto-mia mediale. In linea di principio la via di accesso è extrarticolare e solleva la borsa sottoquadricipitale. Per evitare l’arteria femorale non bisogna superare il centro della coscia e rimanere davanti al canale di Hunter. A fine intervento, i piani vengono chiusi uno a uno, solitamente con un dre-naggio.

sono di grosso diametro, 5 per la tibia e 6 per il femore. Le fiches femorali devono essere a distanza dal focolaio per evitare di contaminarlo. L’inserimento di fiches fe-morali anteriori è interessante in caso di osteosintesi secondaria tramite placca, in quanto la conservazione delle fiches du-rante l’intervento può facilitare il controllo degli assi.

INCHIODAMENTO ANTEROGRADO

Sostanzialmente, è indicato per fratture extrarticolari. Alcune fratture di tipo C nella classificazione dell’AO [3], non o poco scomposte, possono essere inchioda-te a condizione che la porzione epifisaria della frattura sia stata precedentemente fissata con avvitamento isolato frontale, che consente di evitare l’apertura del foco-laio al momento dell’alesatura e dell’in-chiodamento. L’inchiodamento può essere proposto in presenza di frattura su una protesi totale del ginocchio, quando il tes-suto osseo distale garantisce una sufficien-te resistenza. In rari casi di fratture bifoca-li o trifocali, l’inchiodamento è spesso l’unica alternativa terapeutica. Risulta controindicato in caso di fratture articolari complesse. I vantaggi risiedono nel carat-tere chiuso della tecnica, nel carattere ex-trarticolare dell’impianto e nella facilità di asportazione. L’installazione avviene su tavolo ortopedi-co. Se viene eseguita una trazione ossea condiloidea, questa sarà il più possibile anteriore. Può essere giustificata una tra-zione a zampale in presenza di una compo-nente articolare. L’osteosintesi di una componente epifisaria deve tenere in con-siderazione il futuro posizionamento del chiodo ed è solitamente possibile applicare due viti trasversali, una anteriore e una posteriore, ma prima dell’inchiodamento. Il chiodo dovrà scendere più in basso pos-sibile nel massiccio condiloideo per assi-curare la massima resistenza. Antekeier et al. [10] hanno definito la distanza minima tra il focolaio della frattura e la vite più prossimale del bloccaggio distale del chio-do. L’inchiodamento è praticabile se la frattura è a più di 3 cm dalla vite prossima-le, resistendo in questo modo a un milione di cicli. La tecnica di posa deve essere meticolosa poiché, per Huang et al. [11], il contatto corticale distale aumenta la stabi-lità del montaggio riducendo le sollecita-zioni assorbite dal chiodo e il bloccaggio.

INCHIODAMENTO RETROGRADO

Le indicazioni sono classiche: frattura extrarticolare, frattura articolare semplice, poco o non scomposta, e frattura su prote-si del ginocchio purché la forma della protesi femorale consenta il passaggio del chiodo.

Trattamento chirurgico

FISSAZIONE ESTERNA

La fissazione esterna (FE) si adatta poco al trattamento definitivo di tali fratture, tanto più in presenza di una componente artico-lare. Il controllo degli assi è difficoltoso, la stabilità del montaggio è debole e, tenuto conto del braccio di leva della gamba e del relativo controllo della frattura, si rende necessario un montaggio a ponte del gi-nocchio, fonte di rigidità. La fissazione esterna presenta tuttavia il vantaggio di associare all’assenza di materiale profon-do un by-pass biologico. In alcune situazioni può essere indicata provvisoriamente. Di fronte a una frattura complessa, permette di fare un bilancio osseo lasciando il tempo di riflettere e sta-bilire una strategia terapeutica. Una frattu-ra bilaterale o un ginocchio “flottante” sono classici esempi. La FE permette l’assistenza medica dei pazienti politraumatizzati in un approccio di damage control ortopedico, stabilizzan-do i segmenti ossei, riducendo il dolore, agevolando l’assistenza infermieristica e le cure. In caso di fratture esposte la FE consente il follow-up locale. Infine, se viene diagnosticata una lesione vascolare, si ha una situazione di urgenza a livello arterioso ed è necessario procedere a una rapida stabilizzazione. Questa opzione chirurgica presenta nume-rosi vantaggi, pur essendo fonte di compli-canze. Il controllo della frattura non è semplice. Si ha il rischio di sofferenza cu-tanea da conflitto con un frammento osseo sporgente e l’insorgenza di una necrosi secondaria. Oh et al. [7] riportano una serie di 59 casi di FE di attesa per lesioni articolari com-plesse e hanno osservato sette complican-ze, di cui quattro insorte in casi di fratture del femore distale. Il tasso di infezione e i difetti di controllo della lunghezza riscon-trati dagli autori sono dovuti all’imponente rivestimento muscolare e alla presenza della borsa quadricipitale. Parekh et al. [8]

riportano buoni risultati nella gestione in due tempi delle fratture complesse artico-lari intorno al ginocchio (16 casi di femore distale su 47). Concludono che si tratta di un trattamento sicuro su pazienti che non possono beneficiare di un trattamento de-finitivo immediato. Infine, Bonnevialle et al [9] riportano una serie di 26 fratture del femore distale curate con FE monoassiale laterale. Hanno riscontrato un importante tasso di infezione e di rigidità del ginoc-chio concludendo che la FE definitiva è indicata solamente per le fratture distali metadiafisarie, oppure quando l’epifisi è stata ridotta e fissata. Una volta stabilita l’indicazione medica, il montaggio fa da ponte al ginocchio distra-endo l’articolazione. Le fiches utilizzate

01-08-360 Frattura del femore distale nell’adulto

6

Una frattura articolare complessa non può essere controllata. Possono prestarsi a que-sta tecnica i rari casi di ginocchio flottante, dal momento che si può accedere ai due siti da un’unica via di accesso. In caso di frattura interprotesica, il rischio teorico posto dal chiodo retrogrado è di generare un’area di debolezza tra l’estremità del chiodo e quella del perno femorale dell’an-ca con l’insorgenza di una sollecitazione di picco di pressione. Il passaggio del chiodo nella regione trocleare fratturata rischia di “aprire” l’intero femore dista-le, così da rendere necessario un avvita-mento iniziale volto a bloccare l’epifisi. L’inchiodamento retrogrado presenta i vantaggi della chirurgia a cielo chiuso, ma il carattere intrarticolare del punto di introduzione espone al rischio di artrite in caso di complicanze infettive e alla presenza di detriti ossei responsabili di calcificazioni articolari o di bloccaggio da parte di corpi estranei. La sua asporta-zione risulta più delicata. Il paziente può essere sistemato su un ta-volo standard o ortopedico. Sul tavolo standard il ginocchio è flesso a 30° grazie a un sostegno posizionato sotto il femore distale. Sul tavolo ortopedico la flessione si ottiene tramite trazione ossea attuata a livello della tibia prossimale. La riduzione si ottiene per trazione. Manovre esterne tramite manipolazione dei frammenti o utilizzo del chiodo “joy-stick” possono completare la riduzione. Si può ottenere una stabilizzazione tem-poranea tramite inchiodamento percuta-neo o applicazione di una pinza appuntita. Un avvitamento condiloideo permette di “semplificare” la frattura e assicurare un sereno inchiodamento in presenza di com-ponente articolare.

La trapanazione femorale è intrarticolare. Il punto d’inserimento del chiodo si trova nell’incisura intercondiloidea al margine della cartilagine articolare, in testa all’in-cisura e all’inserzione del legamento cro-ciato posteriore (Fig. 6) ed è controllato dall’amplificatore di brillanza. È centrato rispetto ai condili sul lato frontale e centra-to sul canale midollare sul profilo. Il chio-do deve essere sufficientemente piantato per evitare qualunque tipo di conflitto con la patella, inoltre la sua posizione deve essere controllata tramite radioscopia. È preferibile impattare lievemente la frattura piuttosto che lasciare che permanga una diastasi. Infine, il chiodo non deve essere utilizzato come leva per il rischio di pro-vocare un segmento di frattura intercondi-loidea. L’utilizzo di viti con controviti al posto di viti classiche, al momento dell’av-vitamento, può migliorare la fissazione epifisaria.

AVVITAMENTO ISOLATO

L’avvitamento isolato viene proposto in caso di frattura unicondiloidea frontale o sagittale. Spesso è necessaria una via di accesso parapatellare mediale o laterale classica, a maggior ragione se la scompo-sizione è notevole. In caso di frattura non scomposta è possibile una chirurgia percu-tanea. Il paziente è sistemato in decubito dorsale su un tavolo standard. Normalmente vengono utilizzate viti da spongiosa per grandi frammenti da 6.5 mm. Prima della posa di queste viti, si ottiene una riduzione con ginocchio flesso con l’aiuto di una pinza appuntita. Preventivamente si può effettuare una stabilizzazione temporanea con fili. La chirurgia percutanea sarà agevo-lata dall’utilizzo di viti cannulate diametro 6.5 o 8 mm. È stata dimostrata la superiori-

tà dei montaggi che utilizzano due viti per grandi frammenti da 6.5 mm, rispetto a montaggi che impiegano due o quattro viti per piccoli frammenti da 3.5 mm [12]. Per il fallimento dei montaggi realizzati con viti da 6.5 mm, occorre un incremento di carico del 40-56%. Nel quadro delle fratture di tipo Hoffa, l’orientamento dell’avvitamen-to modifica la resistenza meccanica. Un doppio avvitamento che utilizza viti can-nulate con orientamento posteroanteriore presenta una migliore resistenza alla carica rispetto a un orientamento delle viti ante-roposteriori [13]. L’inserimento in profon-dità delle viti è fondamentale.

LAMA-PLACCA 95°

Si tratta di un impianto monoblocco, pre-formato e adattato all’anatomia distale del femore, che presenta una lama quadrango-lare fissata all’epifisi. È stabile e consente una compressione del focolaio della frattu-ra metafisaria. La posizione diafisaria del-la placca è determinata dalla posizione della lama il cui inserimento è molto im-portante. Un errore di posizionamento della “lama” ha delle ripercussioni su tutti i livelli. In un osso fragile il posiziona-mento della lama può risultare traumatiz-zante e la sua resistenza alla frammenta-zione debole. La placca funziona come un tirante dina-mico che consente una compressione me-diale (Fig. 7A). La lama-placca 95° viene applicata sul femore la cui superficie arti-colare è orientata fisiologicamente in val-go di 1-2° (o 98-99° di angolo mediale ri-spetto all’orizzontale). La differenza di angolazione tra la placca e l’estremità di-stale del femore (dell’ordine di 3-4°) rende possibile una “compressione” del focolaio metafisario tramite ritorno elastico della lama-placca deformata. La lama viene in-trodotta parallelamente allo spazio artico-lare, dopodiché la placca si apre legger-mente (differenza tra i 95° della placca e i 98-99° del femore distale) per poter essere applicata sulla corticale laterale del femo-re. Una volta posizionata la placca, si produce automaticamente un effetto com-pressione mediale ottenuto tramite la “chiusura” e il ritorno elastico della plac-ca. Perché tale effetto sia ottimale, il pila-stro mediale deve essere ricostruito alla perfezione. La prima fase dell’osteosintesi corrispon-de alla ricostruzione epifisaria con un av-vitamento isolato che permetterà una com-pressione della frattura e consentirà di evitare un’eventuale frammentazione epi-fisaria al momento dell’impattazione della lama. Occorre prestare attenzione a non intralciare il tragitto della lama. Il momen-to fondamentale di questa tecnica è appun-to il posizionamento della lama. Essa vie-ne introdotta concentrandosi sul massiccio condiloideo senza preoccuparsi della parte

5 mm

6 Punto di inserimento femorale distale per l’inchiodamento retrogrado.

Frattura del femore distale nell’adulto 01-08-360

7

metadiafisaria. Una volta ricostruito il massiccio condiloideo, l’insieme viene ri-dotto sulla diafisi. I riferimenti dell’intro-duzione della lama vengono definiti trami-te radioscopia intraoperatoria. Essendo la lama parallela alle interlinee femorotibiale e femoropatellare, un filo di Kirschner viene introdotto in esse per servire da gui-da. Il punto di entrata è ben preciso: si si-tua a 2 cm dallo spazio articolare (frontal-mente e di profilo), sull’asse della diafisi femorale (sul profilo) e al centro della metà anteriore del diametro maggiore del condilo sul profilo (Fig. 7B). La lama vie-ne introdotta schematicamente davanti alla linea di Blumensaat (evitando i legamenti crociati) e dietro il fondo della troclea (evitando l’interlinea femoropatellare). Lo scalpello-guida a “U” viene introdotto pa-rallelamente all’interlinea e ai fili di Kirschner sotto controllo radioscopico (Fig. 7C). Il tragitto è perpendicolare alla corticale laterale ovvero una decina di gradi indietro e in dentro, per evitare di provocare una rotazione interna e una tra-slazione mediale del frammento distale.

Una volta realizzato il tragitto, la lama-placca viene introdotta con prudenza a mano e il massiccio condiloideo si riduce sulla parte metadiafisaria (Fig. 7D). La porzione diafisaria viene fissata con delle viti per grandi frammenti. La lama non deve superare la corticale mediale per il rischio di ledere il legamento collaterale mediale a livello della sua inserzione fe-morale.

VITE-PLACCA A COMPRESSIONE

La particolarità di questa apparecchiatura consiste nell’applicazione di una vite dina-mica epifisaria, che permetta una com-pressione del focolaio della frattura, sulla quale può ruotare la placca, consentendo-ne la regolazione sul piano sagittale. L’angolazione tra la placca e la vite è di 95°, condizione che agevola l’applicazio-ne frontale sul femore distale e il paralleli-smo articolare della vite epifisaria. Tali sistemi sono relativamente semplici da applicare per il carattere cannulato della vite e non sono molto traumatizzanti. La

resistenza della vite è buona, con una forte opposizione allo sradicamento. Gli incon-venienti sono legati ai vantaggi: siccome il foro della vite è voluminoso, può presen-tarsi un’instabilità rotatoria sulla vite di-stale prima della fissazione diafisaria; infi-ne, il punto di introduzione della vite può trovarsi in prossimità di un segmento della frattura di tipo Hoffa. La prima fase consiste nella riduzione del massiccio articolare come descritto prece-dentemente. Si possono applicare viti complementari, con il rischio però di ri-durre l’effetto di compressione della vite dinamica. Queste viti non devono intral-ciare l’applicazione della placca. Il filo-guida può essere posizionato (sul profilo) al centro della metà anteriore del diametro maggiore del massiccio condiloideo, sull’asse della diafisi femorale, 2 cm al di sopra dello spazio articolare e parallela-mente a essa (frontalmente) (Fig. 8A, B). L’orientamento del filo-guida sul piano assiale è parallelo ai margini anteriori del-la troclea, con un orientamento di 10°

7 Tecnica di posa della lama-placca. A. Effetto meccanico di tirante della lama-placca. Asse meccanico del femore rispetto al piano orizzontale da 98 a 99°. La lama-placca (1) è parallela allo spazio articola-re (2). La differenza di angolazione tra la lama-placca (95°) e il femore (98-99°) spiega la sua apertura al momento dell’introduzione, poi in un secondo momento un ritorno elastico di qualche grado e la compressione del focolaio metafisario in particolare nella sua porzione mediale (3). B. Riferimento del punto di ingresso della lama-placca. Posa di fili di Kirschner paralleli all’interlinea femorotibiale e femoropatellare. Il punto di entrata si situa 1.5-2 cm al di sopra dell’interlinea femorotibiale (parte frontale e di profilo), davanti alla linea di Blumensaat e dietro al fondo della trachea (sul profilo), e al centro della metà anteriore del diametro maggiore del condilo (sul profilo), sull’asse della diafisi femorale. C. Lo scalpello guida viene introdotto parallelamente ai fili di Kirschner quindi parallelamente all’interlinea femorotibiale e femoropatellare, orientata verso il basso e verso l’interno di 10° sul piano sagittale.D. Il massiccio condiloideo fissato e stabilizzato dalla lama-placca è ridotto in monoblocco sulla porzione metadiafisaria.

3

99°99°95°95°

2

1

1,5–2 cm

01-08-360 Frattura del femore distale nell’adulto

8

PLACCA ANATOMICA A VITE BLOCCATA

Lo scopo delle placche bloccate è di offrire una migliore resistenza all’osso fragile. La stabilità primaria si ottiene tramite bloc-caggio della testa della vite nella placca ed è indipendente dall’effetto di scivolamen-to. A prescindere dal tipo di bloccaggio, la forma delle placche generalmente si adatta all’anatomia del femore distale, permetten-do una riduzione tramite l’utilizzo della placca come “stampo di riduzione”.

verso il basso e verso l’interno. L’intera procedura è controllata tramite radiosco-pia intraoperatoria. Si procede alla perfo-razione, alla misura della vite e alla sua installazione (Fig. 8C, G). La placca viene posizionata sulla vite con il cilindro che sarà introdotto da sopra la vite (Fig. 8H, J). La placca viene allora fissata sulla dia-fisi femorale. Si può effettuare una com-pressione della frattura metafisaria, se questa è semplice, utilizzando il tensore dell’AO (Fig. 8K).

La placca bloccata anatomica può essere utilizzata in modo classico a cielo aperto, in particolare in presenza di una compo-nente articolare. Può allo stesso modo es-sere utilizzata insieme a una tecnica di chirurgia mini-invasiva facilitata dall’esi-stenza di uno strumento ausiliario specifi-co che permette un bloccaggio percutaneo. Il suo utilizzo può essere “ibrido” con fis-sazione prossimale diafisaria mini-invasi-va a completamento di un’osteosintesi a cielo aperto. Al momento di un utilizzo a cielo aperto, la strategia terapeutica riprende il princi-

80 mm

707580

70

75

80

85

90

70

75

80

85

90

70 mm

707580

1/3

2 cm

2/3

8 Applicazione di una placca dinamica a compressione.A, B. Riferimento e posizionamento della vite, frontalmente e di profilo. Da C a E. Posa della vite, misura della lunghezza, perforazione e preparazione dell’impronta del cilindro della placca.F, G. Compressione del focolaio di frattura articolare. Da H a J. Posa della placca con fissazione epifisaria distale complementare. K. Compressione del focolaio della frattura metafisaria utilizzando il tensore dell’AO (Associazione per lo studio dell’Osteosintesi).

Frattura del femore distale nell’adulto 01-08-360

9

pio di un’osteosintesi tramite placca. La mancanza di compressione tramite le viti bloccate rappresenta l’inconveniente prin-cipale dell’apparecchiatura. Se viene ri-chiesta una compressione epifisaria è ne-cessario applicare viti aggiuntive dopo la compressione del focolaio tramite pinza appuntita e prima del posizionamento di viti bloccate epifisarie. La posizione delle viti aggiuntive non deve intralciare l’appli-cazione della placca (Fig. 9). Una chirurgia mini-invasiva è possibile in caso di frattura extrarticolare o in presenza di un segmento semplice non scomposto [14]. Tuttavia, è essenziale rispettare le regole di posa visto il rischio di vizio di consoli-dazione e di fallimenti meccanici [14, 15]. La chirurgia mini-invasiva conserva l’ema-toma e rispetta il periostio, che garantisco-no un migliore consolidamento. Il caratte-re mini-invasivo riduce i dolori postopera-tori e agevola il recupero funzionale [14]. L’obiettivo “osseo” di una chirurgia mini-invasiva è di restituire l’asse anatomico femorale e quindi l’asse meccanico. L’applicazione dipende dalle abitudini dell’operatore. In caso di installazione su tavolo ortopedico, la trazione deve essere moderata e potrebbe essere preferibile mantenere un certo grado di impattazione dei frammenti per favorire il consolida-mento, in particolar modo in soggetti di una certa età. La prima fase della chirurgia mini-invasiva è marcare riferimenti cuta-nei che permettono di ridurre l’irradiazio-ne, scegliere la lunghezza della placca e semplificare i tempi operatori (limiti della frattura, spazio articolare, patella, eventua-li perni femorali di una protesi installata, asse femorale, tragitto di incisione). La via di accesso è paracondiloidea. La lunghezza della placca viene scelta in mo-do da avere almeno cinque fori oltre la frattura, prossimalmente. L’obiettivo è ot-tenere montaggi lunghi che permettano un assorbimento e una distribuzione dello stress lungo l’impianto. L’estremità smussata della placca consente un passaggio atraumatico sottomuscolare ed extraperiostale, che garantisce una chi-rurgia biologica. La radioscopia intraope-ratoria permette di verificare il posiziona-mento della placca che deve essere paral-

lela alla corticale laterale sul lato frontale, centrata sulla diafisi femorale di profilo, con la “racchetta” distale della placca si-tuata sul fondo della troclea e davanti la linea di Blumensaat. La placca anatomica può essere utilizzata come un mezzo di riduzione se, e solo se, la placca è parallela alla corticale laterale del femore e le viti maggiormente epifisa-rie sono parallele allo spazio articolare. Una volta posizionata la placca, il secondo gesto consiste nell’applicazione di una fi-che di 2 mm a livello della parte distale dello strumento ausiliario percutaneo, sul-la traiettoria della vite centrale, dove esso è fissato alla placca, che deve essere paral-lela all’interlinea.Per perfezionare la riduzione si possono utilizzare diverse astuzie tecniche: avvita-mento di richiamo dell’osso sulla placca tramite una vite di trazione o utilizzando il “tirafondo” dello strumento ausiliario e non il contrario (placca verso l’osso) per il rischio di provocare un comportamento difettoso tramite deformazione della plac-ca, inchiodamento temporaneo intrafocale, avvitamento temporaneo, chiodo “joy-stick” [14]. Come Dougherty et al. [16], raccomandia-mo l’utilizzo di viti bicorticali sistemati-che, che comportano tre punti di fissazione (due corticali e la placca) limitando il ri-schio di mobilizzazione. La posizione del-le viti rispetto al segmento della frattura dipende dal tipo di frattura. In caso di frat-tura instabile (segmento lungo, comminu-ta), le viti bloccate sono posizionate in prossimità del segmento che irrigidisce il focolaio della frattura, mentre in caso di frattura semplice le viti bloccate sono po-sizionate a distanza con un foro libero da ogni lato della frattura che garantisce una certa elasticità nel montaggio, favorendo la consolidazione [17]. I recenti dati sperimentali specificano le regole meccaniche di tali montaggi. Il montaggio deve essere vicino all’osso no-nostante il carattere “monoblocco” di tale fissazione interna [18]. Una distanza infe-riore ai 2 mm consente di ottenere una migliore resistenza alla compressione e alla torsione. Oltre i 5 mm la deformazio-ne plastica è rilevante. Quando le placche bloccate presentano dei fori di vite com-binati, essi permettono l’utilizzo del si-stema di fissazione interna bloccato, del sistema di compressione dinamico di ti-po placche a compressione dinamica (Dynamic Compression Plate, DCP) o di un sistema misto. Stoffel et al. [19] hanno confrontato queste tre modalità di utiliz-zo. Il sistema bloccato gode di una mag-giore rigidità sul piano della compressione assiale con deformazione plastica minima, mentre il sistema DCP è più resistente alle forze di torsione. Gli autori propongono l’utilizzo di un montaggio misto. Bottlang

et al. [20] raccomandano l’applicazione di una vite standard prossimale all’estremità della placca in caso di frattura sull’osso molto fragile, per limitare le sollecitazioni e non esporre a una frattura da stress. Questo tipo di montaggio aumenta la resi-stenza alla flessione senza alterare la resi-stenza alla compressione né quella alla torsione. La posizione della placca blocca-ta sul condilo laterale ha una certa impor-tanza ed è necessario rispettare l’inclina-zione di 10° della parte frontale del condi-lo laterale e quindi una lieve rotazione in-terna dell’impianto. Khalafi et al. [21] han-no dimostrato la superiorità di questi montaggi con una maggiore resistenza al-la compressione assiale e allo stress ri-spetto a montaggi in cui la placca è in ro-tazione esterna. Un’équipe medica ameri-cana ha confrontato le placche in titanio con quelle in acciaio, così come l’avvita-mento monocorticale e quello bicorticale, nel trattamento delle fratture complesse del femore distale [22]. È stato dimostrato che le placche in titanio presentano una minore resistenza alla torsione e le viti bicorticali evidenziano un miglioramento nella torsione. Non è emersa però alcuna differenza per quanto riguarda sollecita-zioni di compressione assiale e deforma-zioni plastiche. Lujan et al. [23] concludo-no che le placche in titanio favoriscono la formazione del callo osseo, a maggior ra-gione in presenza di un ponte a livello della frattura. Diversi studi meccanici [24-26] hanno dimo-strato che i sistemi bloccati hanno una migliore resistenza rispetto ai montaggi tradizionali (cerchiaggio, placca DCP, chiodo retrogrado). Fulkerson et al. [24] hanno confrontato le placche di bloccag-gio e compressione (Locking Compression Plates, LCP), con le placche classiche con grande frammento associate a cerchiaggi. I risultati hanno dimostrato una maggiore resistenza alla compressione assiale conti-nua e alla torsione da parte delle placche LCP. Zlowodzki et al. [25] hanno confron-tato il sistema LCP, le lame-placche e i chiodi retrogradi nelle fratture sovracondi-loidee del femore. La resistenza alla com-pressione assiale del sistema LCP è supe-riore a quella della lama-placca e del chiodo, essendo rispettivamente del 34 e 13%. Tuttavia, la resistenza alla torsione è minore rispetto agli altri due impianti. Gli autori hanno inoltre riscontrato una mi-gliore resistenza distale delle placche LCP pronunciandosi per un’ottima resistenza del materiale a livello del frammento di-stale, specialmente in pazienti osteoporoti-ci. Gli stessi autori [26] hanno confrontato la lama-placca con il sistema LCP in cada-veri aventi un osso con alto contenuto di minerali e non hanno riscontrato differen-ze significative inerenti la resistenza alla compressione di questi due impianti. Higgins et al. [27] si pronunciano per la

9 Posizione raccomandata delle viti aggiuntive per non intralciare l’applicazione della placca.

01-08-360 Frattura del femore distale nell’adulto

10

superiorità del sistema bloccato rispetto alla lama-placca con una migliore resisten-za allo stress assiale e alla fatica, a prescin-dere dalla qualità dell’osso. Infine, l’appli-cazione di viti poliassiali incrementa la resistenza alla compressione assiale in torsione, e riduce le deformazioni osserva-te in presenza di sollecitazioni assiali da sforzo [28].

PROTESI TOTALE DEL GINOCCHIO

Sull’esempio delle fratture complesse dell’omero prossimale in una persona an-ziana, delle fratture della paletta omerale e delle fratture del collo del femore, la pro-tesi totale del ginocchio può essere parte integrante del trattamento delle fratture articolari complesse del femore distale in una persona anziana.

Risultati clinici dell’osteosintesi del femore distale

I dati della letteratura non consentono, dal punto di vista clinico, di far prevalere una tecnica di osteosintesi delle fratture del femore distale. I migliori risultati sono garantiti dalla tecnica nella quale l’opera-tore è maggiormente esperto.

Casi particolari di fratture su protesi

La presenza di una protesi dell’anca a rin-forzo del femore prossimale può giustifi-care l’area di debolezza distale. Alcuni autori hanno inoltre cercato di analizzare i fattori di rischio di insorgenza di una frat-tura del femore distale in presenza di una protesi totale del ginocchio (PTG).

Indicazioni postoperatorie

L’obiettivo del trattamento è il consolida-mento e il ripristino dell’articolazione, nonché il ripristino di una funzionalità ot-timale. Il recupero funzionale è soggetto alla riabilitazione postoperatoria precoce, resa possibile da un montaggio stabile. Una rapida mobilizzazione è necessaria per evitare ogni tipo di aderenza e rigidità articolare. Il trattamento antalgico è fonda-mentale e si può realizzare con la sommi-nistrazione di un’anestesia locoregionale. L’area da mobilizzare sarà in linea di mas-sima definita dall’operatore: la mobilizza-zione è generalmente passiva, tramite una slitta motorizzata a partire dal primo gior-no. Raramente è possibile una mobilizza-zione attiva precoce sin dall’inizio. Esercizi

di contrazione isometrica dell’arto inferio-re vengono insegnati dal primo giorno.

In caso di fratture articolari è necessario proteggere la cartilagine e si raccomanda quindi uno scarico dell’arto della durata di 2 o 3 mesi, a seconda dell’evoluzione ra-diologica. La rimessa in carico avviene progressivamente.

Compatibilmente con la soglia di dolore, in caso di fratture extrarticolari e in pre-senza di osteosintesi tramite inchiodamen-to o placca a vite bloccata, si può prevede-re un’immediata rimessa in carico in parti-colar modo in pazienti giovani o pazienti anziani con autonomia preoperatoria suffi-ciente, valutata con almeno 4 secondo il punteggio di Parker e Palmer [14, 29]. Per i montaggi tramite placca bloccata, occorre rispettare una scheda tecnica dei carichi: viti bloccate bicorticali, montaggio lungo con almeno cinque fori oltre la frattura con alternanza di viti bloccate e fori liberi, fissazione distale con almeno 3-4 viti, ap-plicazione di una vite bloccata in prossimi-tà di un focolaio complesso e a distanza da un focolaio di frattura semplice e chirurgia mini-invasiva [14].

Viene praticata una profilassi antitrombo-embolica e prescritta la sospensione del lavoro e dell’attività sportiva.

Frattura del femore distale nell’adulto 01-08-360

11

[1] Court-Brown CM, Caesar B. Epidemiology of adult fracture: a review. Injury 2006; 37: 691-697

[2] Streubel PN, Ricci WN, Wong A, Gardner MJ. Mortality after distal femur fractures in elderly patients. Clin Orthop 2011; 469: 1188-1196

[3] Muller ME, Allgower M, Willenegger H. Manual of internal fixation techniques recommended by the AO-ASIF group. Berlin: Springer-Verlag; 1991

[4] Mutty CE, Jensen EJ, Manka MA, Anders MJ, Bone LB. Femoral nerve block for diaphyseal and distal femoral fractures in the emergency department. J Bone Joint Surg Am 2007; 89: 2599-2603

[5] Kammerlander C, Riedmuller P, Gosch M, Zegg M, Kammerlander-Knauer U, Schmid R, et al. Functional outcome and mortality in geriatric distal femoral fractures. Injury 2012; 43: 1096-1101

[6] Asencio G. Les fractures de l’extrémité inférieure du fémur. Table ronde de la SOFCOT. Rev Chir Orthop Reparatrice Appar Mot 1989; 75(Suppl. 1): 168-183

[7] Oh JK, Hwang JH, Sahu D, Jun SH. Complications rate and pitfalls of temporary bridging external fixator in periarticular comminuted fractures. Clin Orthop Surg 2011; 3: 62-68

[8] Parekh AA, Smith WR, Silva S, Agudelo JF, Williams AE, Hak D, et al. Treatment of distal femur and proximal tibia fractures with external fixation followed by planned conversion to internal fixation. J Trauma 2008; 64: 736-739

[9] Bonnevialle P, Mansat P, Cariven P, Bonnevialle N, Ayel J, Mansat M. Fixation externe monoplan latéral des fractures fraîches du fémur: analyse critique de 53 cas. Rev Chir Orthop Reparatrice Appar Mot 2005; 91: 446-456

[10] Antekeier SB, Burden RL, Voor MJ, Roberts CS. Mechanical study of the safe distance between distal femoral fractures site and distal locking screws in anterograde intramedullary nailing. J Orthop Trauma 2005; 19: 693-697

[11] Huang SC, Lin CC, Lin J. Increasing nail-cortical contact to increase fixation stability and decreased implant strain in antegrade locked nailing of distal femoral fractures: a

biomechanical study. J Trauma 2009; 66: 436-442[12] Khalafi A, Hazelwood S, Curtiss S, Wolinsky P. Fixation of

the femoral condyles: a mechanical comparison of small and large fragment screw fixation. J Trauma 2008; 64: 740-744

[13] Jarit GJ, Kummer FJ, Gibber MJ, Egol KA. A mechanical evaluation of two fixation methods using cancellous screws for coronal fractures of the lateral condyle of the distal femur (OTA type 33B). J Orthop Trauma 2006; 20: 273-276

[14] Ehlinger M, Adam P, Abane L, Arlettaz Y, Bonnomet F. Minimally-invasive internal fixation of extra-articular distal femur fractures using a locking plate: tricks of the trade. Orthop Traumatol Surg Res 2011; 97: 201-205

[15] Ehlinger M, Adam P, Arlettaz Y, Moor BK, DiMarco A, Brinkert D, et al. Minimally-invasive fixation of distal extra-articular femur fractures with locking plates: limitations and failures. Orthop Traumatol Surg Res 2011; 97: 668-674

[16] Dougherty PJ, Kim DG, Meisterling S, Wybo C, Yeni Y. Biomechanical comparison of bicortical versus unicortical screw placement of proximal tibia locking plates: a cadaveric model. J Orthop Trauma 2008; 22: 399-403

[17] Stoffel K, Dieter U, Stachowiak G, Gachter A, Kuster MS. Biomechanical testing of the LCP – How can stability in locked internal fixators be controlled? Injury 2003; 34(Suppl. 2): B11-19

[18] Ahmad M, Nanda R, Bajwa AS, Candal-Couto J, Green S, Hui AC. Biomechanical testing of the locking compression plate: when does the distance between bone and implant significantly reduce construct stability? Injury 2007; 38: 358-364

[19] Stoffel K, Lorenz KU, Kuster MS. Biomechanical considerations in plate osteosynthesis: the effect of plate-to-bone compression with and without angular screw stability. J Orthop Trauma 2007; 21: 362-368

[20] Bottlang M, Doornink J, Byrd GD, Fitzpatrick DC, Madey SM. A non-locking end screw can decrease fracture risk caused by locked plating in the osteoporotic diaphysis. J Bone Joint Surg Am 2009; 91: 620-627

[21] Khalafi A, Curtiss S, Hazelwood S, Wolinsky P. The effect of plate rotation on the stiffness of femoral LISS: a biomechanical study. J Orthop Trauma 2006; 20: 542-546

[22] Beingessner D, Moon E, Barei D, Morshed S. Biomechanical analysis of the less invasive stabilization system for mechanically unstable fractures of the distal femur: comparison of titanium versus stainless steel and bicortical versus unicortical fixation. J Trauma 2011; 71: 620-624

[23] Lujan TJ, Henderson CE, Madley SM, Fitzpatrick DC, Marsh JL, Bottlang M. Locked plating of distal femur fractures leads to inconsistent and asymmetric callus formation. J Orthop Trauma 2010; 24: 156-162

[24] Fulkerson E, Koval K, Preston CF, Iesaka K, Kummer FJ, Egol KA. Fixation of periprosthetic femoral shaft fractures associated with cemented femoral stems. A biomechanical comparison of locked plating and conventional cable plates. J Orthop Trauma 2006; 20: 89-93

[25] Zlowodzki M, Williamson S, Cole PA, Zardiackas LD, Kregor PJ. Biomechanical evaluation of the less invasive system, angled blade plate, and retrograde intramedullary nail for the internal fixation of distal femur fractures. J Orthop Trauma 2004; 18: 494-502

[26] Zlowodzki M, Williamson S, Zardiackas LD, Kregor PJ. Biomechanical evaluation of the less invasive stabilisation system and the 95-angled blade plate for the internal fixation of distal femur fracture in human cadaveric bones with high bone mineral density. J Trauma 2006; 60: 836-840

[27] Higgins TF, Pittman G, Hines J, Bachus KN. Biomechanical analysis of distal femur fracture fixation: fixed-angle screw-plate construct versus condylar blade plate. J Orthop Trauma 2007; 21: 43-46

[28] Wilkens KJ, Curtiss S, Lee MA. Polyaxial locking plate fixation in distal femur fractures: a biomechanical comparison. J Orthop Trauma 2008; 22: 624-628

[29] Parker M, Palmer C. A new mobility score for predicting mortality after hip fracture. J Bone Joint Surg Br 1993; 5: 797-798

Indice bibliografico