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Guido A. Morina
LA PERCEZIONE PSICOSOCIALE
DELL’EFFICACIA DELLE MEDICINE
ALTERNATIVE
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Indice 1 Introduzione 4 Capitolo 1° Definizione di medicine alternative
1. 1. Il paradigma “biopsicosociale”, 8 11 Capitolo 2° Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico
2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative, 12 2. 2. L’efficacia alternativa delle medicine alternative, 15 2. 3. Considerazioni circa il ricorso alle medicine alternative, 18
21 Capitolo 3° Le illusioni cognitive
3. 1. Errori e illusioni cognitive, 22 3. 2. Una panoramica sugli errori cognitivi, 24 3. 3. Tassonomia degli errori cognitivi, 26 3. 3. 1. Errore nella raccolta o acquisizione dei dati e controllo dell’informazione, 27
3. 3. 2. Errori nel ragionamento deduttivo, 35 3. 3. 3. Errori nel ragionamento induttivo, 44 3. 3. 4. Errori nel ragionamento abduttivo, 48 49 Capitolo 4° Il pensiero magico e le medicine alternative 4 . 1 . La coerenza cognitiva, 49 4 . 2 . Pensiero logico e pensiero magico nelle medicine alternative, 51 4 . 3 . Struttura e funzioni del pensiero magico in medicina alternativa, 54 4 . 4 . L’attrazione per la magia, 57 4 . 5 . La rottura dell’organizzazione spazio-temporale, 59 4 . 6 . La violazione del principio della fissita’ del passato, 59 4 . 7 . Wishful thinking, 60 4 . 8 . Simboli e rituali nelle medicine alternative, 62 4 . 9 . La fede, 63 67 Conclusioni 73 Bibliografia
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Introduzione
La definizione di medicine alternative è alquanto complessa tanto quanto il tentativo di
comprendere il loro funzionamento e l’efficacia del loro utilizzo. Genericamente possono
essere distinte a seconda del loro rapporto con la medicina tradizionale, e pertanto si
avranno tutte le tecniche, discipline, pratiche, tradizioni e rimedi aventi lo scopo di
migliorare la salute dell’essere umano, in sinergia e complementarietà con la medicina
convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente il termine “medicine complementari
o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente alternative alla medicina scientifica
(Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2005; Skrabanek, McCormick, 2002; Sointu, 2006).
Gli strumenti utilizzati da queste medicine allo scopo di promuovere la salute sono
molteplici e diversi tra loro: manipolazioni, massaggi, infissione di aghi, tecniche corporee
non invasive, di rilassamento e di respirazione, somministrazione di rimedi più o meno
naturali, utilizzo di apparecchiature elettromedicali o di biorisonanza. In comune c’è una
visione olistica o “biopsicosociale” della salute, influenzata dalla teoria generale dei sistemi
(Bertalanffy von L. 1971), secondo la quale salute e benessere si fondano su naturali e
corretti stili e abitudini di vita (a cominciare da alimentazione e attività fisica) e su un
atteggiamento positivo verso sé stessi, gli altri, l’ambiente che ci circonda (Bert, 1974;
Bertini, 1988; Engel, 1977; Petrillo, 2004; Vithoulkas, 1991).
Parte dell’universo delle medicine alternative è tutt’ora rivolto alla cura, in senso
tipicamente allopatico, delle malattie: è il caso dell’omeopatia, dell’agopuntura e di altre
tecniche normalmente appannaggio della classe medica, le quali però non hanno mai potuto
dimostrare la loro efficacia, superiore al placebo, in studi controllati e condotti secondo il
metodo scientifico (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001;
Heimann, 1999; Le Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart 1988; Moerman, 2004;
Skrabanek, McCormick, 2002). Secondo questi autori, ciò significa che questi tipi di cura
alternativa sono privi di per sé di valore e di efficacia terapeutica e andrebbero finalmente e
una volta per tutti abbandonati al loro destino di reperti storici.
Resta il fatto, ampiamente documentato (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder, 1996;
Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991), della autovalutazione positiva circa
l’efficacia di queste cure in moltissimi casi, perlomeno sotto il profilo della percezione
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soggettiva di un generale miglioramento dello stato di salute. È a quest’ultimo, infatti, che
molti di coloro che si rivolgono alle medicine alternative aspirano, più che alla remissione
dai sintomi e segni di una malattia (Sointu, 2006). Ci proponiamo quindi di sottoporre al
vaglio dell’analisi della letteratura scientifica (Astin, 1998; Brancato, Pandolfi, 2005;
Diener, 1998; Spaltro, 2007) l’ipotesi che tale miglioramento, lungi dal dipendere dagli
intrinseci effetti terapeutici delle cure e dei rimedi alternativi (in quanto mai dimostrati),
possa essere dovuto all’efficacia del poco misurabile approccio olistico alla salute, fondato
su ascolto ed empatia, ma anche su suggerimenti o prescrizioni relative a stile di vita,
alimentazione, attività fisica, atteggiamento mentale. Questo tipo di approccio si
accompagna sempre, indissolubilmente, ai rimedi somministrati e alle cure prestate anche e
specialmente dai terapisti alternativi, i quali, non affidandosi agli effetti di cure
farmacologiche tradizionali, tengono in massimo conto l’importanza di tutti i fattori
“biopsicosociali” della salute (Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2003). Al tempo stesso,
cercheremo di mostrare come euristiche, strategie e illusioni cognitive possano influire
sulla percezione dell’efficacia delle cure (Dobrilla, 2004, Dorfles, 1977; Eliade, 1976;
Giusberti, Nori, 2000; Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Le Moine, 2002).
Se tale ipotesi si dimostrasse fondata e plausibile anche sotto il profilo scientifico, si
giungerebbe a poter legittimamente sostenere la sostanziale inutilità di tutto ciò che nelle
cure alternative appare rivolto alla cura delle malattie (trattamenti, rimedi, da sempre privi
di efficacia scientificamente dimostrata) e ad estrapolare, dal corpus eterogeneo delle
medicine alternative, i soli contenuti utili, validi ed efficaci ai fini della salute, e cioè la
relazione terapeutica fondata su analisi e correzione dello stile di vita e l’attenzione verso
l’assoluta individualità del paziente secondo una visione olistica della salute.
Una delle conseguenze potrebbe essere quella di modificare drasticamente il paradigma
della salute che vede, di fatto, medicina scientifica e alternativa come rivolte allo studio e
alla cura delle malattie mentre la psicologia sarebbe confinata allo studio e alla cura della
salute mentale. Secondo il nostro punto di vista la cura della salute dell’essere umano
potrebbe ricavare enormi benefici dal fatto di dirottare le risorse umane e finanziarie
attualmente utilizzate per mantenere in vita un sistema di cure privo di validità ed efficacia
scientifica come quello delle medicine alternative, verso una medicina complementare e
sinergica rispetto a quella ufficialmente riconosciuta, rappresentata da tutte le discipline
che si applicano con rigore scientifico all’educazione, alla prevenzione e alla ricerca del
benessere psicofisico, tra le quali spicca la psicologia della salute (Bertini, 1988; Engel,
1977; Petrillo, 2004). Spetta a quest’ultima raccogliere l’eredità dei principi su cui si
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fondano le antiche e moderne tradizioni delle medicine alternative, attualizzandole e
rendendole finalmente efficaci attraverso l’utilizzo di conoscenze e strumenti scientifici di
cui oggi la psicologia dispone. Attraverso l’eliminazione dell’ostacolo rappresentato dalle
inutili medicine alternative, la cura della salute dell’essere umano dovrebbe molto più
utilmente, efficacemente ed efficientemente essere demandata alla medicina scientifica, per
quanto riguarda la visione patogenetica della salute volta alla cura delle malattie, e alla
psicologia della salute per tutti gli aspetti complementari, sul presupposto che l’azione
positiva sulla salute dipenda fondamentalmente dal grado di conoscenza e consapevolezza
della nostra collocazione individuale in un contesto di tipo biopsicosociale (Astin, 1998;
Mauri, Tinti, 2006; Sointu, 2006; Vithoulkas,1991).
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CAPITOLO 1
Definizione di medicine alternative
Le medicine alternative costituiscono un insieme di dottrine e di prassi diagnostico-
terapeutiche caratterizzate dalle più diverse origini (Ferrieri, Lodispoto, 2001; Murray,
Pizzorno, 2000; Richardson, 2004). Alcune di esse, come l’omeopatia o la medicina
antroposofica, sono nate negli ultimi secoli per opera di pensatori europei, mentre altre,
come la medicina tradizionale cinese, l’ayurvedica o la tibetana, traggono origine da
dottrine filosofiche-religiose dell’oriente. Valerio Sanfo, sociologo, autore di decine di
manuali e libri sulle medicine alternative, tra cui una “Enciclopedia delle discipline
bionaturali” (Sanfo, 2005), passa in rassegna oltre duecento medicine alternative diverse,
ma riconosce che il loro numero supera abbondantemente la cifra di ottocento.
La oggettiva difficoltà di individuare elementi comuni a queste diverse forme di medicina
ci costringe a ricorrere a diverse, possibili definizioni, a seconda del punto di vista col
quale vogliamo valutarle.
Sotto il profilo giuridico, le medicine alternative sono tutte quelle forme di diagnosi o
terapia il cui studio, insegnamento e la cui pratica non è riconosciuta e non è
regolamentata dalla legge (Sanfo, 2003; Skrabaneck, McCormick, 2002). In altre parole, si
tratta di tutte quelle terapie che non sono insegnate presso le Facoltà di Medicina o di
Psicologia di nessuna Università, in nessuna parte del mondo, ma solo da scuole di
insegnamento privato. In mancanza di regolamentazione delle stesse, esse sono praticabili
teoricamente da chiunque (sulla base del principio secondo cui ciò che non è espressamente
vietato è consentito dalla legge), salvo il rispetto della norma che vieta l’esercizio abusivo
della professione medica.
Sotto il profilo strettamente scientifico, si tratta di medicine che non sono mai state
sottoposte al vaglio del metodo scientifico, o nei rari casi in cui ciò è stato fatto, sono
risultate prive del relativo fondamento, sia per quanto riguarda l’aspetto teorico,
metodologico ed epistemologico, sia specialmente per quanto riguarda l’efficacia pratica.
Per una rapida verifica dell’affermazione secondo cui non esistono prove scientifiche
incontrovertibili della loro efficacia terapeutica è sufficiente consultare i lavori più recenti
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della vastissima letteratura in proposito (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri,
Lodispoto, 2001; Moerman, 2004, Skrabanek, McCormick, 2002).
Si noti come le definizioni finora enunciate siano formulate in negativo perché
l’eterogeneità di queste discipline rende più facile definire cosa non sono piuttosto che cosa
sono.
In positivo, sotto questo nome possiamo raggruppare tutte le tecniche, discipline, pratiche,
tradizioni aventi lo scopo di agire positivamente sulla salute dell’essere umano, in sinergia
e complementarietà con la medicina convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente
il termine ”medicine complementari o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente
alternative alla medicina scientifica convenzionale.
Un altro modo di definirle consiste nel fare riferimento al loro fondamento teorico ed
epistemologico (Bara, 2000). Da questo punto di vista una medicina si definisce alternativa
quando presenta le seguenti caratteristiche:
1. Si basa su una visione biologica vitalistica o olistica e non certamente meccanicista.
2. Si basa su una patologia generale, una fisiologia, una clinica medica ed una terapia
del tutto slegate dalla Medicina Scientifica.
Sotto il profilo diagnostico-terapeutico (Ferrieri, Lodispoto 2001; Sanfo, 2005), le medicine
alternative possono distinguersi in:
• quelle che necessitano di una diagnosi di tipo medico, se pur integrata con valutazioni
che di solito il medico non prende in considerazione, ma che non sono necessariamente
in contrasto con l’attività diagnostica tradizionale. Il medico “alternativo” ricerca pur
sempre e tiene in massimo conto tutti i segni e sintomi delle malattie secondo gli stessi
criteri della medicina convenzionale, salvo integrare tale diagnosi con valutazioni più
approfondite e diverse e salvo prescrivere un farmaco omeopatico anziché allopatico.
Tant’è vero che la cosiddetta “medicina naturale” lungi dall’essere una medicina
alternativa, non è altro che medicina allopatica che cura, quando possibile, con rimedi
naturali.
• Quelle effettivamente alternative, che nello svolgimento dell’attività diagnostica
utilizzano nozioni anatomiche, fisiologiche e patologiche in parte estranee a quelle della
medicina occidentale, come la medicina tradizionale cinese (da cui deriva, per esempio,
l’agopuntura), l’ayurvedica, la kinesiologia applicata. In questi casi la diagnosi non è più
rivolta a individuare una patologia, ma un’altra condizione non meglio identificata, detta
“squilibrio”. Poiché tale squilibrio è “diagnosticato” sulla base di una valutazione non
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legata a dati e metodi scientifici, ma della sola interpretazione soggettiva del terapeuta,
essa non è soggetta a verifica e falsificazione.
• Quelle alternative ma che non effettuano neppure una diagnosi, essendo tutte orientate
alla terapia, intesa come consulenza qualificata circa abitudini e stili di vita più corretti e
“naturali”. È il caso della naturopatia, che prescinde totalmente dalla diagnosi clinica e
si limita a valutare la condizione di benessere della persona sulla base del modo in cui
conduce la sua vita quotidiana, suggerendo di conseguenza rimedi naturali e non
farmaci, oltre a modifiche, magari anche radicali, dello stile di vita (Sanfo, 2003).
• Quelle che utilizzano strumenti diagnostici alternativi per rilevare patologie secondo i
canoni della medicina tradizionale. Per esempio l’iridologia (Di Spazio, 1995; Lo Rito,
1993; Ratti, 2000) quando si propone di diagnosticare predisposizioni a patologie sulla
base dei segni dell’iride; la visologia, che compie la stessa “diagnosi” osservando i segni
e le caratteristiche del viso, l’analisi con apparecchiature di biorisonanza e altre tecniche
diagnostiche piuttosto fantasiose (Sanfo, 2005). Anche in questo caso, come
accennavamo poco sopra, manca qualsiasi prova circa validità ed efficacia di queste
medicine.
• Le attività terapeutiche di gruppo, di tipo catartico o psicoterapeutico, che non
presuppongono diagnosi, prognosi e neppure una terapia nel senso comune del termine
(cioè come prescrizione di rimedi) e che, nelle intenzioni dei loro fruitori, possono
anche essere svolte per pura curiosità, sete di conoscenza e di esperienze fuori dal
comune, come arricchimento spirituale o culturale o come mezzo per conoscersi meglio.
Rientrano in questa categoria innumerevoli discipline: la pet therapy, dance therapy, art
therapy, le “costellazioni familiari” (Hellinger, Hovel, 2001) e lo psicodramma nelle
loro infinite variazioni, il reiki, la pranoterapia e tutte le tecniche di “trasferimento
energetico”, la camminata sui carboni ardenti. Nella quasi totalità dei casi, queste
attività a scopo psicoterapeutico non sono condotte da personale qualificato in
psicoterapia, ma da personaggi di diversa estrazione e formazione culturale e
professionale, spesso da semplici cultori o appassionati di temi legati alla spiritualità, al
misticismo e alla psicologia esoterica, ma privi di competenza legalmente riconosciuta
nella gestione di qualsiasi forma di relazione terapeutica .
Le caratteristiche comuni a questa costellazione di medicine consentono di definirle quindi
come tutte quelle forme di diagnosi e cura della persona che prescindono da criteri, regole,
principi e metodi propri della scienza e della medicina occidentale. Dal che discende una
considerazione che è centrale in questo lavoro.
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Se esse agiscono positivamente sulla salute dell’essere umano nonostante utilizzino basi
teoriche, principi, strumenti e terapie estranee alla medicina scientifica, è chiaro che esse
pongono il problema di indagare a fondo e seriamente sul loro fondamento e sulla loro
efficacia, in quanto, se effettivamente utili nella cura della salute e del benessere, esse
costituirebbero un patrimonio che la cultura scientifica ha colpevolmente trascurato, in certi
casi da secoli.
A partire da questa ipotesi, ci proponiamo di indagare sul fatto che l’efficacia delle
medicine alternative si fondi non su intrinseche caratteristiche della cura, quanto
sull’attivazione di processi cognitivi che conducono a loro volta all’innesco di reazioni a
livello fisiologico, spesso utili a migliorare la condizione di salute del paziente. In altre
parole, se saremo in grado di dimostrare esaustivamente quanti e quali errori cognitivi,
quanti e quali processi inferenziali illogici e scorretti siano alla base della convinzione
soggettiva dell’efficacia di queste cure, avremo allora a disposizione sufficienti prove a
sostegno della tesi secondo cui i processi omeostatici (in gran parte sconosciuti) e la nostra
mente sono in grado di produrre effetti fisiologici assimilabili a quelli dei farmaci, almeno
sul piano della percezione dell’efficacia della cura.
Dopo aver illustrato quale sia il limitato campo di applicazione di questo tipo di medicine,
e cioè quello dei disturbi allergici, psicosomatici e acuti di lieve entità (Correa-Velez,
Clavarino, Barret, 2003; Moerman, 2004; Richardson, 2004) svilupperemo la nostra ipotesi
di base sulla constatazione, suffragata da osservazioni e ricerche scientifiche (Antonosky,
1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Richardson, 2004; Sharma, 1992; Sointu, 2006), che la
guarigione, la remissione dei sintomi, la condizione di ritrovato benessere e il recupero
della salute a seguito di tali cure non sono da attribuire, se non in parte, alla cura stessa
(nei termini dell’attivazione diretta di processi biochimici e fisici scientificamente
osservabili e controllabili). Piuttosto, questi effetti sembrano dovuti a fattori in parte
sconosciuti alla scienza medica e in parte ben conosciuti alla moderna psicologia, come
placebo (Moerman, 2004; Dobrilla, 2004), suggestione (Dilts, Grinder, Bandler, Bandler,
DeLozier, 1982; Peluffo, 1999; Zangrilli, 2001), capacità persuasiva del terapeuta (Asher,
1972; Skrabanek, McCormick, 2002; Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971), capacità
persuasiva di gruppo (Asch, 1958; Gulotta, 1999), wishful thinking (Gulotta, 1999;
Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007), pensiero magico (Giusberti, Nori 2000;
Monaco, 2007), persino la fede (Fusi 2006; Pavese, 2005).
Gli interrogativi cui cercheremo di rispondere, analizzando studi e ricerche in proposito,
sono quindi i seguenti:
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• Fino a che punto la diffusione delle medicine alternative è dovuta alla loro efficacia e
quanta parte gioca invece, eventualmente, la suggestione, l’influenza del gruppo sociale
e culturale di appartenenza, la moda, l’irresistibile bisogno di credere nell’ignoto, il
desiderio di un ritorno al passato (in tutte le sue forme, in quanto considerato un periodo
più consono a garantire un ottimale stato di salute)?
• Quale effettivo bisogno si cerca di soddisfare attraverso il ricorso alle medicine
alternative? La guarigione dai sintomi organici di una malattia, o qualcos’altro?
• Qual’è esattamente, nelle intenzioni dei loro fruitori, il campo di intervento delle
medicine alternative? Coincide con quello della medicina convenzionale? E se la
risposta è positiva, quali vantaggi offrono e specialmente quale livello di efficacia
possono vantare le medicine alternative rispetto a quella convenzionale?
• Infine: quali fattori intervengono nella percezione soggettiva di una migliorata
condizione di benessere a seguito della sottoposizione a cure “alternative”?
La letteratura scientifica internazionale non fornisce nessuno studio comparativo circa
l’efficacia della medicina non convenzionale rispetto a quella alternativa. Ciò perché, come
abbiamo sottolineato più volte, non è possibile il raffronto tra discipline che si fondano su
principi diversi, delle quali una rifiuta l’adozione del metodo scientifico, e che, oltretutto,
mostrano nei fatti di avere anche scopi diversi (la cura delle malattie l’una, la cura della
salute l’altra). Si consideri poi che mentre la medicina scientifica è una sola, quella
alternativa è composta di centinaia di pratiche, terapie e tecniche diverse, per cui un serio
confronto sarebbe praticamente impossibile.
Non è quindi su questo impossibile confronto che abbiamo centrato la nostra attenzione,
volendo indagare sulla percezione dell’efficacia delle medicine non convenzionali, quanto
su come le cure alternative siano percepite, vissute e interpretate da coloro che ad esse
fanno ricorso.
1 . 1 . Il paradigma “biopsicosociale”
La posizione di monopolio nell’ambito della salute da parte della medicina scientifica su
cui si fonda ancora oggi il paradigma biomedico è stata conquistata grazie agli straordinari
e rapidi successi ottenuti nel corso del secolo scorso, grazie alla scoperta di farmaci efficaci
contro le malattie infettive, le vaccinazioni, e dallo sviluppo di strumenti diagnostici e di
analisi sempre più sofisticati e sempre meno invasivi, nonché dall’affinamento delle
tecniche chirurgiche. Secondo Murray e Pizzorno (2000, p. 8), la “presa di potere
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monopolistico della medicina allopatica può essere fatta risalire alla metà degli anni trenta
del secolo scorso”, quando si verificarono parecchi fattori che offrirono l’opportunità alla
professione medica di gettare le fondamenta del suo effettivo attuale monopolio della cura
della salute: le fondazioni appoggiate dalle industrie chimiche e farmaceutiche
cominciarono a sovvenzionare in modo massiccio le facoltà di medicina; la classe medica
smise finalmente di usare le sue terapie “eroiche” (il salasso e il dosaggio del mercurio) e
fu in grado di sostituirle con terapie che erano più efficaci nel trattamento dei sintomi e
molto meno tossiche; inoltre, essa divenne molto più provveduta dal punto di vista politico
e, utilizzando i notevolissimi progressi tecnologici in chirurgia, resi possibili dalle due
guerre mondiali, fu in grado di convincere sia l’opinione pubblica sia i politici
dell’evidente superiorità dei suoi sistemi. Tutto ciò ebbe come risultato l’approvazione di
leggi che limitavano severamente l’attuazione di altri sistemi terapeutici. L’insieme di
questi fattori, abbinato al parallelo progresso tecnologico in tutti i settori della nostra vita,
ha favorito la nascita e lo sviluppo dell’illusione di una onnipotenza curativa da parte di
scienza medica e tecnologia, le quali, per di più, hanno cominciato a svelare il fondamento
e le giustificazioni scientifiche di tutte le altre pratiche o tecniche terapeutiche che si
rifacevano alla cosiddetta medicina popolare, e che oggi definiamo medicine alternative.
La crisi del paradigma biomedico cui abbiamo fatto riferimento si inquadra in un più
generale orientamento di carattere costruttivista e socio-costruzionistico (Bara, 2000,
Petrillo, 2004): secondo questo nuovo modello la salute è una costruzione sociale, cioè
socialmente costruita nel contesto delle relazioni umane. Il modello biopsicosociale
propone cioè un concetto globale di salute coerente con l’approccio della teoria generale
dei sistemi (Bertalanffy von; 1971; Bertini, 1988).
La teoria generale dei sistemi collega in un tutto unico le scoperte delle scienze fisiche,
filosofiche e psicologiche, concependo la biosfera alla luce di un modello ecologico
globale, in cui l’organismo umano, la persona, comprende più sottosistemi che la
costituiscono, di carattere fisico, emozionale, cognitivo, spirituale ecc (Bertalanffy von,
1971; Gulotta, 1999). A sua volta la persona è compresa all’interno di uno dei sistemi più
ampi: il microsistema (famiglia, luoghi di lavoro, amici ecc), il mesosistema (tutti i sistemi
interagenti nella vita quotidiana), l’esosistema (organizzazioni governative, economiche,
religiose ecc), e il macrosistema (cultura, convinzioni comuni, aspettative sociali ecc)
(Capra, 1997; Petrillo, 2006).
L’ottica del nuovo paradigma si sposta quindi dalla lotta alla malattia alla promozione
della salute, che assume una diversa centralità. Il concetto stesso di salute va ben oltre la
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sfera fisica, al punto da sfumare in quello di benessere, in cui le componenti biologica,
psicologica e sociale assurgono a dimensioni portanti di pari dignità. L’ottica non è più
quella medica, ma quella integrata e olistica che assegna alla persona e non al corpo malato
il ruolo di protagonista della salute e del benessere.
Il benessere è un concetto positivo, legato alla salutogenesi, mentre la medicina opera
attraverso la lotta al negativo in un’ottica di patogenesi, e per questo motivo si caratterizza
nei confronti delle altre discipline per un continuo e esasperato richiamo alla cautela e alla
ricerca degli aspetti negativi dell’esistenza.
La medicina alternativa nasce, o meglio, sta nascendo attualmente nel mondo occidentale
dall’esigenza di concepire la salute e la nostra vita come rivolta anche e specialmente alla
ricerca del bene, in senso positivo, anziché alla lotta contro il male, cioè contrapponendo
una visione orientata alla salutogenesi anziché alla patogenesi (Engel, 1997; Dethlefsen,
Dahlke, 2000; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Sanfo, 2003) .
Resta da analizzare un aspetto particolarmente difficile: ammettendo la legittimità e
l’opportunità di un approccio alla salute non medico, ma alternativo ad esso, è possibile,
come parte dei cosiddetti medici alternativi sostiene (Benveniste, Davenas, Beauvais,
Amara, Oberbaum, Robinzon, Miadonna, Tedeschi, Pomeranz, Fortner, Belon, 1988; De
Chirico, 2000; Di Spazio, 1995; Kleijnen, Knipschild, Rietter 1991), dimostrare la validità
e l’efficacia delle cure alternative in termini rigorosamente scientifici? Se la risposta fosse
positiva, allora la medicina alternativa dovrebbe cessare di essere tale, per essere ricondotta
nell’ambito della medicina scientifica. Ma se la risposta fosse negativa, allora gli effetti
positivi e soggettivamente percepiti da parte di coloro che alle medicine alternative si sono
rivolti, dovrebbero avere un fondamento non scientifico. In questo secondo caso sarà
necessario definire più esattamente quali siano questi fattori e quali, specialmente, le loro
caratteristiche. In questo modo avremo chiarito quali siano i meccanismi che producono un
miglioramento dello stato di salute, distinguendo tra quelli dovuti ai normali e fisiologici
processi di autoguarigione da quelli più strettamente cognitivi, quali l’effetto placebo e le
altre risorse cognitive più o meno conosciute.
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Capitolo 2°
Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico
Per efficacia di un intervento terapeutico, di una cura o di un rimedio, si intende la sua
capacità di modificare la normale storia evolutiva di una malattia, intervenendo
positivamente sulla specifica condizione in esame, e non semplicemente sullo stato di
salute generale della persona (Pedon, Gnisci, 2004). In altri termini, una cura, per essere
efficace, deve agire in maniera appropriata sulla specifica causa della malattia,
rimuovendola, se possibile definitivamente, o rendendola perlomeno tale da permettere di
condurre un’ esistenza priva di dolore e limitazioni. In termini clinici si definisce efficace
quel trattamento o quella terapia capace di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati,
di ridurre le conseguenze negative legate alla storia evolutiva della malattia in questione
oppure di agire positivamente sui sintomi provocati dalla malattia, ad esempio riducendo il
dolore (Mauri, Tinti, 2006; Murray, Pizzorno, 2000; Pedon, Gnisci, 2004).
Qualunque sia l’obiettivo terapeutico che ci si propone, è necessario che l’efficacia di una
cura sia valutata a condizione che siano rispettati principi ormai condivisi da tutta la
comunità scientifica: bisogna produrre prove tangibili della capacità (pur se parziale) di
raggiungere gli obiettivi dichiarati. In campo internazionale questa prova prende il nome di
evidenza di efficacia (evidence of effectiveness; Gray, 1997; Sackett 1996) e permette di
sostenere che, sulla base dei risultati della sperimentazione, il trattamento in esame ha
dimostrato di saper produrre il risultato inizialmente promesso.
Lo “studio clinico randomizzato” (randomised controlled trial) rappresenta un valido
strumento che la comunità scientifica ha sviluppato per valutare l’efficacia di una terapia
(Pedon, Gnisci, 2004, Moerman, 2004). Esso prevede che la cura in esame venga
somministrata a tre gruppi di pazienti affetti da quella particolare malattia che la cura
intende guarire. L’andamento della cura e i suoi risultati sono valutati non di per sé, ma nel
confronto tra i gruppi (di uguale consistenza e con le medesime caratteristiche del primo,
ma i cui componenti sono distribuiti a caso tra i tre gruppi). Al primo gruppo viene
somministrata la cura che si intende testare, al secondo, il gruppo di controllo o di storia
naturale, non viene somministrata nessuna cura, il terzo è il cosiddetto gruppo placebo.
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Perché una terapia sia considerata efficace nella cura di una certa malattia essa deve
dimostrare di produrre un effetto superiore a quello generato dal solo effetto placebo e a
quello che si produce attraverso il ripristino fisiologico dell’omeostasi, legato al trascorrere
di un certo periodo di tempo, diverso per ogni malattia e ogni paziente, e evidenziato dal
gruppo di storia naturale.
Un secondo principio imprescindibile di ogni ricerca medica è quello della cecità del trial.
Essa garantisce la minima interferenza possibile, consapevole o meno, sull’andamento e i
risultati del trattamento, da parte del rilevatore (singolo cieco) il quale non deve conoscere
il tipo di trattamento somministrato a ogni paziente, e dello stesso paziente (doppio cieco),
il quale, sapendo di partecipare a un trial scientifico potrebbe lasciarsi influenzare dalla
maggiore o minore fiducia nel trattamento proposto. Nel caso di trials in doppio cieco la
cecità è possibile quando sia il medico sia i due gruppi trattati ricevono trattamenti diversi
nel principio attivo, ma assolutamente indistinguibili nella forma (Pedon, Gnisci, 2004).
2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative
Se lo scopo della medicina alternativa è quello di migliorare la condizione di salute e di
benessere senza combattere direttamente i sintomi delle eventuali malattie di cui la persona
soffre, sorge il problema di come sia possibile “misurare” scientificamente il
miglioramento della condizione di benessere.
I sostenitori delle medicine alternative sostengono che, al di là delle prove scientifiche,
esse, semplicemente, “funzionino”(Butto, 2003; Chopra, 1992; De Chirico, 2000; Pace,
1933) . Tale affermazione non è sufficiente per giustificare l’utilizzo di cure che vanno ad
agire sulla salute dell’essere umano: l’ipotesi scientifica deve essere, per sua natura,
sottoposta continuamente al vaglio di critiche e miglioramenti, e chi la propone si
sottopone al rischio che la sua teoria venga falsificata. Anzi, una teoria che intenda
acquisire un carattere empirico ed essere riconosciuta e utilizzata con pari dignità di
qualsiasi altra deve offrirsi alla possibilità di essere confutata e falsificata. Ciò che
caratterizza il metodo empirico “è la maniera in cui esso espone alla falsificazione, in ogni
modo concepibile, il sistema che si deve controllare. Il suo scopo non è quello di salvare la
vita ai sistemi insostenibili, ma al contrario, quello di scegliere il sistema che al paragone si
rivela più adatto, dopo averli esposti tutti alla più feroce lotta per la sopravvivenza”
(Popper, 1970, p.20).
14
Come invece è stato notato (Skrabanek, McCormick, 2002), la caratteristica peculiare del
sostenitore delle medicine alternative è quella di dare per scontata la loro validità ed
efficacia; dare per scontata l’esistenza di studi scientifici che dimostrino
inequivocabilmente questa efficacia; rimuovere automaticamente dalla coscienza tutti i
fatti, i dati, le considerazioni che possano in qualunque modo scuotere la fede nella
medicina alternativa; ignorare sistematicamente qualunque tipo di ragionamento logico che
possa dimostrare l’inefficacia o l’assurdità di questo tipo di fede; utilizzare ipotesi ad hoc e
un linguaggio “oscurantista” (Gulotta, Boi, 1997; Pedon, Gnisci, 2004).
In realtà, anche facendo riferimento al curioso e poco scientifico parametro del
“funzionamento”, esse non funzionano perché non rispettano la “legge di guarigione
totale” secondo cui una terapia è valida quando la patologia è guarita totalmente nella
totalità dei casi in un tempo breve (Brancato, Pandolfi, 2005; Skrabanek, McCormick,
2002). Non esistono patologie curate globalmente dalle medicine alternative. Globalmente
significa che "tutti i pazienti affetti da una determinata patologia con la cura del caso
guariscono". Le medicine alternative riferiscono guarigioni, ma sono sempre singole
(Astin, 1998). Non esiste mai la certezza che invece fornisce la medicina tradizionale,
almeno su un numero ormai vasto di malattie, attraverso la pubblicazione di risultati
relativi a ricerche condotte secondo criteri e metodologie scientificamente accettate e
validate dalla comunità scientifica di riferimento. Non esistono neppure patologie, o classi
di esse, per cui una qualunque delle centinaia di cure alternative abbia mai dimostrato una
efficacia pari o superiore alle cure tradizionali (Borraccino, 2007; Ferrieri, Lodispoto,
2001). E a maggior ragione, nonostante queste medicine si definiscano tali e siano spesso
praticate da medici, esse non si propongono di curare chirurgicamente (non esiste la
chirurgia alternativa), né sono mai state utilizzate per patologie di urgenza (non esistono
centri di pronto soccorso omeopatici o alternativi, per intenderci, in nessuna parte del
mondo), né per tutte le patologie gravi e potenzialmente mortali. A fronte di queste
considerazioni, i fautori delle medicine alternative continuano a fornire prove singole di
guarigioni, mai suffragate da fatti incontrovertibili, tramite i loro specifici canali di
informazione, cioè riviste prive di qualsiasi rilevanza in termini di affidabilità secondo la
comunità scientifica internazionale (Pedon, Gnisci, 2004), edite da aziende che producono
rimedi alternativi o da scuole di insegnamento privato di medicine alternative (si veda, per
esempio, “Riza salute” e “Riza psicosomatica”, oppure “Medicina funzionale”, “Omeo
Net”o ancora “La medicina biologica”).
15
È curioso notare come questo dibattito, osservato nell’ottica della psicologia sociale,
assomigli sempre più a un dialogo tra sordi. Un aspetto particolarmente grottesco dello
scontro fra la cultura della soggettività e la cultura dell’oggettività è l’affannarsi di alcuni
nel prendere alla lettera la prospettiva magica (propria delle medicine alternative) e nel
cercarne un’interpretazione definita o auspicata come scientifica. Ci troviamo di fronte,
cioè, alla situazione paradossale, ben evidenziata da alcuni autori (Dobrilla, 2004;
Moerman, 2004), per cui da un lato i sostenitori delle medicine alternative sostengono
come non sia possibile valutare le medicine alternative sulla base di criteri scientifici, dal
momento che non è ad essi che esse fanno riferimento, né nella teoria, né nei metodi, e che
gli effetti delle relative cure non sono valutabili secondo il metodo scientifico dell’analisi di
laboratorio o clinica; dall’altra continuano a ricercare una giustificazione e una prova
scientifica dell’ esistenza di queste medicine, salutando come prove scientifiche
incontrovertibili tutte le ricerche che sembrino dimostrare una qualche efficacia dei rimedi
alternativi, superiore al placebo. Che le osservazioni personali o i casi aneddotici non
possano sostituire trials in doppio cieco, randomizzato, multicentrico, ed eseguito su grandi
numeri di pazienti, dovrebbero essere concetti risaputi; ma l’ostinazione con cui alcuni
medici e i sostenitori delle medicine alternative proclamano la loro fede nella loro efficacia,
pur in assenza di prove certe, è la dimostrazione che non solo la gente comune ma anche
alcuni scienziati preferiscono credere - secondo il ben noto principio del “wishful thinking”
(Gulotta, 1997 e 1999; Morlock, 1967; Spaltro, 2007) piuttosto che affrontare la realtà dei
fatti. E i fatti, almeno in questo caso, parlano chiaro. Nel senso, perlomeno, che non
mostrano mai una inequivocabile efficacia delle cure alternative (Garlaschelli, 1999;
Kleijnen, Knipschild, Rietter, 1991; Maddox , Randi , Stuart, 1988; Moerman, 2004).
Proprio questa ostinazione dei sostenitori delle discipline alternative ad attribuire ad esse
effetti non mai dimostrati rende ragione della necessità di ricercare le motivazioni e gli
errori cognitivi che stanno alla base della loro stessa esistenza. Se saremo in grado di
dimostrare che l’efficacia delle medicine alternative non si fonda sui fattori addotti dai loro
sostenitori, ma su illusioni cognitive e nella ricerca di una spiegazione irrazionale della
realtà, saremo in grado di permettere lo studio dei loro reali effetti positivi su basi
scientifiche.
16
2. 2. L’ Efficacia alternativa delle medicine alternative
Alla luce della letteratura scientifica, possiamo ragionevolmente affermare che l’efficacia
delle medicine alternative non è stata mai dimostrata sul piano dei riscontri scientifici
propri della medicina convenzionale (Brancato, Pandolfi, 2005; Moerman, 2004;
Skrabaneck, McCormick, 2003) . Ma una certa efficacia, almeno secondo le affermazioni
di parte di coloro che ad esse fanno ricorso, esiste (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder,
1996; Richardson, 2004; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991). Come valutarla?
Gli autori che si sono occupati dell’argomento (Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Diener,
1998; Gray, 1997; Sointu, 2006) sono concordi nel ritenere che gli effetti e l’efficacia di
queste medicine vanno valutate secondo tre aspetti:
1. quello della valutazione soggettiva e introspettiva, da parte dell’utente stesso,
2. quello della valutazione da parte del terapista, relativamente a quanto il cliente
riporta circa le modificazioni nel suo stile di vita,
3. quello scientifico e oggettivo dei parametri clinici.
La misurazione dello stato di salute, inteso come assenza di malattia, è certamente
osservabile e misurabile oggettivamente facendo riferimento a dati di carattere fisiologico.
Quando però il concetto di salute si estende a comprendere la condizione biosociale e
psicologica della persona, allora ci troviamo di fronte all’impossibilità di una valutazione
oggettiva, perché di per sé priva di parametri di riferimento standard (come può essere, per
esempio, il valore corretto di colesterolo ematico o il livello di pressione arteriosa) e
caratterizzata da troppe variabili. Il benessere è infatti una condizione soggettiva, relativa, e
valutabile quasi esclusivamente attraverso l’introspezione (Gadamer, 1933).
Infatti, in mancanza di dati scientifici circa l’efficacia delle medicine alternative nella cura
delle patologie, i ricercatori che si sono occupati dell’argomento hanno dovuto puntare la
loro attenzione e la loro analisi su fattori più legati al benessere, alla ricerca di una
condizione di equilibrio psicofisico, di recupero di autostima e consapevolezza. Molti di
coloro che si rivolgono alle medicine alternative cercano un senso soggettivo di benessere
piuttosto che semplice salute intesa come assenza di malattia (Diener, 1998). “Questo
benessere è concepito in termini di fattori quali consapevolezza e possibilità di scelte
riguardo alla propria vita” (Sointu, 2006).
Tra gli studi che hanno affrontato il problema specifico della misurazione della
soddisfazione dei pazienti che si rivolgono alle medicine alternative (Thomas, Carr,
Westlake, Williams, 1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Wernike,
17
Turner, Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001) si consideri quello (Richardson, 2004)
svolto su 327 pazienti cui sono state somministrate cure di agopuntura, osteopatia e
omeopatia.
Ai fini della misurazione dell’efficacia delle terapie è stato utilizzato un questionario di
autovalutazione che prende in considerazione quattro parametri principali: benessere
percepito, disagio e disabilità sociale e di ruolo, modalità di comportamento, valutazione
personale. Inoltre, veniva richiesto di rispondere alla domanda: “Cosa si aspetta dalla
terapia medica alternativa?”.
Si noti innanzitutto che quelli che sono valutati in questo studio (Richardson, 2004) sono i
soli disturbi di cui si occupano le medicine alternative: malattie acute respiratorie
(raffreddori, per intenderci, non certo polmoniti), malattie allergiche in genere, eruzioni e
arrossamenti cutanei di origine probabilmente allergica, dolori muscolari e articolari. Tutti
questi disturbi hanno in comune il fatto di non essere mortali e di risolversi, in genere,
senza bisogno dell’intervento del medico, trattandosi, sostanzialmente di condizioni che
potremmo definire di malessere, ma non certo di malattia vera e propria.
Le malattie possono essere classificate in downhill, (per esempio, cancro in fase terminale),
cioè degenerative; static, (per esempio, ipertensione arteriosa) cioè malattie croniche
caratterizzate dall’assenza quasi totale di variazioni nel loro andamento; fluctuating (per
esempio colon irritabile), cioè le malattie acute, caratterizzate da una fase iniziale
progressivamente tendente alla gravità, un picco e una fase di remissione naturale dei
sintomi (Moerman 2004). Gli studi in materia (Antonosky, 1987; Argyle, 1987; Sointu,
2006) sembrano evidenziare il fatto che le cure alternative sono prestate non per combattere
in senso allopatico una patologia, quanto per prendersi cura del malessere di una persona
fondamentalmente sana, affetta da disturbo fluctuating, oppure a scopo palliativo, per
alleviare le sofferenze in pazienti per i quali la medicina non ha più armi a sua
disposizione, come i malati terminali (Correa-Velez, Clavarino, Barret, Eastwood, 2003) .
Restano al di fuori della valutazione di questi studi (Thomas, Carr, Westlake, Williams,
1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Richardson, 2004; Wernike, Turner,
Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001), che si propongono di rilevare l’efficacia delle cure
alternative, tutte le malattie gravi, croniche e degenerative e in genere tutti quei disturbi
che possono condurre alla morte. Nessuno studio riporta dati relativi al beneficio percepito
in termini oggettivi (per esempio, riduzione dello stato infiammatorio) ma tutti si limitano a
riportare ancora una volta quelle che sono semplicemente le aspettative di coloro che
18
vedono nelle medicine alternative non tanto un metodo di cura più efficace o meno
dannoso, quanto le seguenti motivazioni:
• sollievo dal dolore muscolare o articolare (per il quale manca la prova oggettiva, come
dicevamo, della efficacia delle cure prestate)
• un approccio terapeutico di tipo olistico (interpretato come l’esigenza di essere presi in
considerazione come persone e non come “portatori di una patologia”)
• miglioramento della qualità della vita
• informazioni più complete di quelle fornite dalla medicina convenzionale sul loro reale
stato di salute
• ripiego rispetto a cure convenzionali rivelatesi inefficaci
• consigli e suggerimenti di autocura e medicazione (Richardson, 2004).
In conclusione, i pochi studi che hanno affrontato il tema dell’efficacia delle medicine
alternative si sono limitati a rilevare le aspettative di guarigione attraverso forme di cura
più ”umane” e rispettose della persona, senza peraltro poter ricollegare il ricorso a tali cure
alternative con alcun dato relativo all’efficacia in termini oggettivi delle medesime,
tantomeno attraverso un confronto con l’efficacia di cure convenzionali prestate per le
stesse patologie.
In altre parole, non ci troviamo di fronte ai risultati di una serie di cure prestate per
patologie, ma solo alla misurazione del grado di fiducia, dell’interesse, delle aspettative dei
pazienti sottoposti a cure alternative; per cui, in primo luogo, si riconosce implicitamente il
fatto che le cure alternative non sono dirette alla cura di malattie, come è invece compito
della medicina tradizionale, e in secondo luogo, si conferma che il ricorso alle medicine
alternative trova la sua ragione di essere nella ricerca di accoglienza, contenimento, ascolto,
più che di un metodo alternativo per curare una malattia. Il che sembra cominciare a
costruire uno dei tasselli a supporto della nostra ipotesi proposta con il presente lavoro, e
cioè che le medicine alternative non hanno alcuna efficacia sulla cura diretta delle
patologie, ma, a dispetto del loro fantasioso apparato di fondamenti parascientifici,
agiscono solo a livello psicologico, producendo peraltro in questo modo effettivi
miglioramenti dello stato di salute. Si consideri a questo proposito l’affermazione secondo
cui “ Nonostante il fatto che le medicine alternative e complementari possano essere
utilizzate per la cura di malattie serie, la guarigione prodotta attraverso questi sistemi di
cura è interpretata come qualcosa che trascende la salute in senso fisiologico e si riferisce
piuttosto a un dichiarato “senso di benessere” (Sointu, 2006, p.1).
19
2 . 3 . Considerazioni circa le motivazioni al ricorso alle medicine alternative
Il ricorso alle medicine alternative è spesso giustificato o dalla necessità di risolvere un
problema di salute che la medicina convenzionale non è riuscita a gestire, o perché la
cosiddetta “biomedicina” non ha “prodotto i risultati desiderati” (Sacks 2003, p.113).
“Alcuni cercano in esse sollievo alla disperazione di fronte a una malattia terminale, altri
utilizzano queste cure per semplice mantenimento dello stato di salute” (Sointu 2006). Il
fatto che il ricorso alle cure alternative sia motivato da considerazioni o preoccupazioni
legate più alla salute e al corretto stile di vita che alla malattia, è confermato anche da una
ricerca italiana sulla medicina non convenzionale (Format, 2003).
La ricerca Format del 2003 è una ricerca di mercato del tipo multiclient condotta da un
istituto specializzato su un campione statisticamente significativo della popolazione italiana
di età superiore ai 18 anni, con una numerosità campionaria di 865 individui. Il campione
era di tipo proporzionale, stratificato a due stadi: aree geografiche (primo stadio) e
ampiezza dei centri demografici (secondo stadio). Il campione è stato inoltre controllato
utilizzando i seguenti caratteri delle unità statistiche: sesso, classi di età, stato civile,
utilizzando l’Istat come fonte per la distribuzione della popolazione.
Le risposte che ci interessano, ai fini del presente lavoro, sono state date in relazione alle
seguenti domande:
1. i primi items si riferiscono al grado di diffusione delle medicine complementari
valutato secondo le risposte a domande circa il ricordo, spontaneo o sollecitato,
della loro esistenza. (items n° 1e 2)
2. i successivi si riferiscono al ricorso ad esse (items n° 2, 3,4)
3. le domande 5, 5 bis, 6 e 7 si riferiscono alla loro utilità, come percepita dagli
intervistati.
4. l’item n° 15 chiede: “Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali
nell’ultimo anno?”
La risposta all’item n° 7 (per quale motivo ritiene utili le terapie non convenzionali?)
mostra inequivocabilmente che il ricorso ad esse è paradossalmente giustificato
dall’esigenza di non subire effetti dannosi indesiderati dalla cura, piuttosto che ottenere la
guarigione: oltre il 30,5% degli intervistati ritiene utili le terapie non convenzionali per la
loro minore tossicità, il 10,6% perché “sono cure più naturali”, l’11,2% perché “sono
l’alternativa alla medicina convenzionale”, mentre solo l’8,7% perché sono anche più
efficaci. È piuttosto sorprendente la componente ideologica di queste risposte, che
20
evidenziano più una preoccupazione per gli effetti dannosi delle cure tradizionali rispetto
alla valutazione in positivo delle cure alternative.
Le medicine alternative rappresenterebbero quindi una sorta di ripiego dopo aver
preventivamente sperimentato l’inefficacia delle cure tradizionali, oppure possono essere
vissute come una forma di primo soccorso della salute, quando il disturbo lamentato non è
grave, o prima che possa diventarlo. Nel primo caso ci si rivolge alle medicine alternative
quando quelle convenzionali hanno fallito, e cioè ex post. Nel secondo caso ci si rivolge
alle medicine alternative in via preventiva quando il disturbo non è valutato o percepito
come grave, per evitare di dover ricorrere alle cure mediche e specialmente
farmacologiche, considerate, come vedremo, piuttosto dannose da una parte della
popolazione. Solo in pochissimi casi il ricorso a cure alternative è considerato la scelta
primaria, ma mai comunque per patologie gravi o d’urgenza.
Le risposte all’item n° 15 della stessa ricerca (Format, 2003), mostrano come alla domanda:
“Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno?” ad
eccezione del ricorso all’omeopatia (che viene vissuta come una medicina convenzionale
allopatica che però cura con rimedi non dannosi), la percentuale più alta, tra coloro che
hanno fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno, è proprio quella di coloro
che desideravano migliorare la qualità della loro vita, superiore cioè a quella di coloro che
volevano curare patologie croniche o degenerative (6,6% contro 5,8%), mentre circa il 6%
si rivolge alle medicine alternative persino per la cura di problemi psicologici (Format,
2003, item n°15).
D’altra parte, che si tratti di disturbi di lieve entità o meno, perlomeno dalla
autovalutazione di queste persone emerge il fatto che un miglioramento delle loro
condizioni di salute è stato soggettivamente percepito. Per questo motivo ci sembra utile
sbarazzare il campo da tutti i possibili fattori di disturbo della valutazione di questa
efficacia, per concentrare la nostra attenzione proprio sui reali fattori responsabili di tali
effetti positivi. Se cure, rimedi, farmaci omeopatici e trattamenti di tipo “alternativo”, si
fossero mai mostrati efficaci nella cura di qualsiasi malattia, avrebbero immediatamente
cessato di essere considerati alternativi, per entrare a far parte delle cure proprie della
medicina scientifica. Se, come riteniamo, i benefici che tali cure producono non sono legati
alle caratteristiche intrinseche delle stesse, ma a fattori psicologici, sarà allora al
miglioramento della conoscenza di questi ultimi che dovremo rivolgere la nostra attenzione
di terapeuti e di ricercatori. Ciò chiarito e scientificamente dimostrato, sarà possibile
approfondire ed estrapolare dal corpus delle medicine alternative quello straordinario
21
patrimonio di elementi terapeutici che fino ad oggi è stato nascosto sotto il velo di
fantasiosi e inutili rimedi, rituali, protocolli e manipolazioni pressoché ininfluenti, di per sé,
a produrre qualsiasi miglioramento nello stato di salute.
Infatti, quando il recupero della salute non passa attraverso un intervento meccanico-
chirurgico, la guarigione e la remissione dei sintomi è legata a una serie infinita di fattori
fisiologici e psichici, come i casi delle cosiddette “straordinarie” confermano, rispetto ai
quali è spesso impossibile riconoscere quale tra essi sia stato preponderante sugli altri
(Hirshberg, Barash, 1995; O’ Regan, Hirshberg, 1993).
Ma al di là di queste situazioni estreme, il fatto stesso che tutte le ricerche medico-
scientifiche siano effettuate con studi randomizzati in doppio cieco e contro placebo
dimostra quanto fattori estranei alle proprietà “ufficiali” delle cure agiscano positivamente
e in maniera spesso sorprendente. Su questa linea si pone il neuroscienziato Antonio
Damasio, secondo il quale la medicina ha stentato a riconoscere che la percezione della
propria condizione di salute da parte del paziente è un fattore importante per l’esito della
cura. “Ancora troppo poco si sa sull’effetto placebo…Si comincia finalmente ad accettare il
fatto che disturbi psicologici, lievi o gravi, possano provocare malattie somatiche, ma
ancora non si studiano le circostanze - e la misura - in cui ciò può avvenire (Damasio,1995,
p. 346 ).
22
Capitolo 3
Le illusioni cognitive
Alla base della refrattarietà dei sostenitori delle medicine alternative all’utilizzo del buon
senso, del senso critico e del metodo scientifico nel valutare la loro validità ed efficacia ci
sono alcuni atteggiamenti mentali che oggi la ricerca psicologica ha individuato e messo in
evidenza sotto la denominazione di illusioni cognitive (Gulotta, 1999; Nisbett, Ross, 1989;
Piattelli Palmarini, 1993). Attraverso il recupero di miti, tradizioni, simboli e filosofie del
passato o di paesi lontani, e la riproposizione della magia in forma apparentemente
scientifica, l’essere umano contemporaneo mostra di essere ancora alla ricerca di certezze e
di conoscenza, nonostante il notevole progresso (principalmente tecnologico) di cui si
vanta. Secondo Dorfles (1977), la nostra esistenza è ancora in gran parte intessuta di
elementi rituali, o meglio è proprio attraverso un concatenarsi di elementi, volere o no,
rituali, che l’umanità riesce a vincere la forza disgregatrice di un esistenza priva ormai di
ogni dimensione autenticamente mitica. “Nell’essere umano dei nostri giorni vivono
tutt’ora, anche se nascoste, la nostalgia dell’Eden perduto e la memoria dell’albero sacro,
simboli della vita e della trascendenza” (Eliade, 1976, p.68).
In quest’ottica possiamo quindi leggere, oltre al rinnovato interesse per le pratiche
magiche, l’interesse per tutto ciò che richiama al passato: anziché cercare di star dietro al
presente e al futuro, che corrono troppo forte e richiedono un costante sforzo di
adattamento (Cohen, 1964; Gleick, 2000) è molto più facile mobilitarsi per cercare di far
fermare il mondo e scendere in un paradiso dove tutto è naturale, dove regna la quiete e la
pace.
In mancanza di evidenze scientifiche, per convincerci a credere nell’efficacia delle
medicine alternative dobbiamo quindi rendere efficace ciò che non lo è. E ciò è possibile
con varie strategie, euristiche, illusioni cognitive trasformate in credenze, rimozione dei
fatti contrari, creazione di ipotesi ad hoc, strategie di esitamento (Gulotta, Boi, 1997;
Taylor, 1991). Naturalmente, alcuni individui sono più soggetti al potere suggestivo del
pensiero e delle pratiche magiche: si tratta di quelli che potremmo definire menti deboli.
Con questo termine non si intende fare riferimento a ipotetici giudizi di ordine intellettivo o
culturale, ma solo al fatto che certi soggetti mostrano più di altri di essere più facilmente
suggestionabili e di aver bisogno di certezze attraverso agenti e fattori esterni, collocando
23
il loro locus of control all’esterno (Rotter, 1972). “Dolore e piacere sono le leve di cui
l’organismo ha bisogno perché le strategie istintive e quelle acquisite possano operare in
modo efficiente. Con ogni probabilità, furono anche le leve che controllarono lo sviluppo di
strategie per le decisioni sociali. Quando numerosi individui, riuniti in gruppi sociali,
provarono le dolorose conseguenze di certi fenomeni naturali, sociali, psicologici, fu
possibile lo sviluppo di strategie culturali e intellettuali che consentissero di affrontare
l’esperienza del dolore e forse di ridurlo” (Damasio, 1995, p.354). Meccanismi di difesa
inconsci (Freud, 1969), autoinganno (Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Nicola, 2003;
Rorty, 1991), wishful thinking (Morlock, 1967; Spaltro, 2007), illusioni positive (Taylor,
1991) sono alcune delle strategie che l’umanità, da sempre, mette in atto quotidianamente
per sopportare la sofferenza che nasce dalle perturbazioni indotte dalla natura all’integrità e
coerenza del nostro sé.
Neuroscienze (Damasio 1995, 2005; Edelman, 1995), scienza cognitiva (Bara, 2003),
psicologia cognitiva (Liotti, 2007; Veglia, 2007) e filosofia evoluzionistica (Dennet, 2000,
2004; Hitchens, 2007; Nunn, 2006; Dawkins, 2006, 2007) sono concordi nel ritenere che la
conoscenza resta lo strumento indispensabile per ripristinare la nostra coerenza interna ed
alleviare la nostra sofferenza, correggendo, in un lento processo evolutivo, la nostra
tendenza a sfuggire il dolore rifugiandoci nell’ignoranza e nell’illusione.
3. 1. Errori e illusioni cognitive
Come abbiamo testè accennato, una delle più importanti e recenti scoperte nel campo delle
scienze della mente è che fra verità ed errore esiste una terza dimensione psicologica basata
sulla illusione cognitiva (Gulotta, 2005; Gulotta, Boi, 1997; Gulotta, de Cataldo Neuburger,
1996; Nicola, 2003; Rorty, 1991; Taylor, 1991). Essa è sostanzialmente una strategia
spontanea, inconsapevole, potente e in buona parte insopprimibile, sviluppata sulla base
dell’esperienza. La differenza con l’errore è evidente nel diverso atteggiamento psicologico
che l’accompagna: la sensazione è quella di sapere esattamente cosa si sta facendo, al punto
che molto spesso c’è una specie di rifiuto della soluzione giusta. In altre parole, l’illusione
cognitiva è “una risposta istintiva ma scorretta, qualcosa di comparabile alle illusioni
ottiche nel campo percettivo” (Nicola, 2003, p. 109). Tutte le medicine alternative si
fondano proprio su precise illusioni cognitive: esse non si basano su dati verificabili,
ripetibili e in definitiva scientificamente provati; la loro logica deduttiva è, come vedremo,
regolarmente scorretta, le leggi che pretendono di ricavare induttivamente seguono un
24
percorso privo di verità scientifica, di logica e non sono mai soggette a falsificazioni
(Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Heimann, 1999; Le
Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart 1988; Moerman, 2004; Skrabanek, McCormick,
2002). Eppure, nonostante tutto ciò sia facilmente verificabile e dimostrabile, siamo spesso
pronti ad accettare di sottoporci a cure dai nomi fantasiosi sulla base di riferimenti a
generici studi e ricerche, a tradizioni, a consigli e suggerimenti di persone che neppure
conosciamo.
Perché l’essere umano, da sempre votato alla logica e alla ricerca della razionalità
dovrebbe cadere così facilmente in queste illusioni cognitive? Perché teniamo in tanto poco
conto le probabilità di base, ossia la realtà effettiva del mondo, dando invece un’
importanza esclusiva a “ricerche”, teorie e testimonianze di per sé dubbie? E perché siamo
così veloci, sicuri, quasi istintivi nel commettere i relativi errori cognitivi? La risposta
potrebbe essere trovata ancora una volta nella nostra evoluzione: se la mente si è sviluppata
ed è stata “programmata” dall’evoluzione, ciò è avvenuto con l’obiettivo di fornire risposte
più veloci piuttosto che certe, più orientate alla sopravvivenza individuale e della specie,
piuttosto che alla correttezza logica. Le illusioni cognitive rappresentano il modo di
ragionare del nostro inconscio, della nostra sfera irrazionale, guidata da emozioni,
sentimenti, istinti e pulsioni.
“Le recenti ricerche sulle illusioni cognitive indicano la scoperta scientifica di un
inconscio. Non quello già esplorato dalla psicoanalisi, che coinvolge la sfera emotiva, bensì
un inconscio che coinvolge sempre a nostra insaputa la sfera cognitiva, cioè l’universo dei
ragionamenti, dei giudizi, delle scelte tra diverse opportunità, dei contrasti
(apparentemente) ben ponderati tra ciò che è ritenuto probabile o improbabile…..Mentre il
materiale dell’inconscio psicoanalitico viene alla luce nei sogni (…), il materiale di questo
inconscio sarà da cercarsi sui testi di economia, nelle borse valori, nelle sale da gioco, sui
contratti di assicurazione, nei consigli di amministrazione, nelle consultazioni cliniche, nei
meccanismi di manipolazione delle opinioni, nelle fluttuazioni elettorali e ovunque si
prendano decisioni in situazioni di incertezza” (Piattelli Palmarini, 1993, p. 85).
Le illusioni cognitive si manifestano tutte le volte che il nostro inconscio cognitivo (e cioè
le nostre emozioni, i ricordi e le pulsioni) emerge e si scontra con il nostro pensiero logico.
Se il legame con esperienze passate è molto carico emozionalmente, è difficile che la nostra
mente razionale prevalga, perché nella lotta tra istinto di sopravvivenza e raziocinio, è
ancora il primo a prevalere (Damasio, 2005; MacLean, 1973). In un’ottica evoluzionistica e
costruttivista, il ricorso a cure alternative rappresenterebbe quindi una sorta di regressione
25
verso il sistema motivazionale dell’accudimento che comporta la rinuncia alla ricerca del
significato delle proprie azioni per rifugiarsi nel conforto e nella protezione (motivato a sua
volta dal sistema di attaccamento) del proprio gruppo sociale di riferimento e dei suoi
rituali (Bowlby, 1989; Liotti, 2007).
3. 2 . Una panoramica sugli errori cognitivi
La psicologia moderna ha raccolto da alcuni decenni una sterminata casistica di errori
cognitivi che possiamo riassumere sinteticamente classificandoli in base alla fase del
processo cognitivo in cui intervengono (Gulotta, 2005; Gulotta, de Cataldo Neuburger,
1996; Nicola, 2003; Skrabanek, McCormick, 2002).
Nel ragionamento deduttivo facciamo sistematicamente confusione tra conclusione vera e
conclusione valida (per esempio, in medicina alternativa, si giunge alla conclusione
dell’efficacia di un rimedio secondo un processo logico ineccepibile e che conduce a tale
conclusione valida, ma partendo da premesse che non sono vere, in quanto fondate soltanto
su ipotesi fantasiose e prive di fondamento scientificamente provato). Abusiamo della
generalizzazione induttiva (creiamo delle vere e proprie leggi, o schemi di comportamento
su presupposti troppo deboli e dati troppo poveri per permettere di formulare una legge).
Formuliamo giudizi sulla base di ciò che è più tipico, non più probabile: si tratta anche in
questo caso di un retaggio della nostra evoluzione, sviluppatosi per permettere all’essere
umano di prendere decisioni rapide in mancanza di dati sufficienti (Damasio, 1995;
LeDoux, 2003). Il criterio della tipicità, da questo punto di vista, è legato allo sviluppo
della nostra mente che ha imparato a ragionare per stereotipi: per la mente conta ciò che è
tipico, ossia ciò che è spesso, anche se non sempre, presente, anche a costo di un forte
grado di incertezza nel trattare cose poco tipiche. Per la mente, da una parte un oggetto
appartiene a una certa classe se grosso modo appartiene all’immagine mentale del
prototipo, dall’altra ogni oggetto di una classe deve grosso modo assomigliare allo
stereotipo mentale. Quindi un animale è tanto più uccello quanto più assomiglia a un
canarino, e ciò ci porta ad escludere d’impulso dalla categoria degli uccelli il pinguino o lo
struzzo (Bara, 1999; Eysenck, Keane, 1998). L’euristica della tipicità si accompagna a
quella della disponibilità mentale, secondo cui la normalità o l’eccezionalità di un evento
dipende dalla sua disponibilità mentale e non dalla sua frequenza oggettiva.
In mancanza di dati, tendiamo a formulare giudizi sulla base del cosiddetto pensiero
desiderativo, o wishful thinking, il quale sarà tanto più forte e condizionante il nostro
26
giudizio, quanto più la valutazione di un fatto coinvolga la nostra sfera emotiva e affettiva.
In queste situazioni, per esempio quelle che riguardano la guarigione, i commenti
tenderanno ad enfatizzare l’evento come quasi miracoloso, attribuendo ai rimedi naturali, e
solo a quelli, la responsabilità del miglioramento dello stato di salute. Da un lato infatti la
tipicità determina la rievocazione inconsapevole di immagini di familiari sottoposti a cure
mediche inefficaci (magari per l’estrema gravità o ineluttabilità della malattia), di
interventi invasivi, di cure costosissime e debilitanti e così via. In questo modo si tende a
enfatizzare gli aspetti negativi della medicina, dimenticando i casi in cui è stata di vitale
importanza. Dall’altro lato si tende a fare di un caso eccezionale un caso tipico grazie al
wishful thinking (Morlock, 1967, Spaltro, 2007), cioè attribuendo alla medicina alternativa
il marchio di tipicità di cure efficaci e non dannose (e un marchio negativo per quella
convenzionale).
Tendiamo a confermare più che a falsificare le nostre ipotesi: quando ci viene richiesto di
dimostrare la verità di una certa legge scientifica, la tendenza comune è quella di fornire e
accumulare prove in favore della legge stessa, come se un’ulteriore conferma fosse più
utile di un’ eventuale smentita (Popper, 1970). Tant’è vero che un sottile osservatore
dell’animo umano come il già citato Evans, sottolineava polemicamente che “la maggior
parte di ciò che si definisce pensiero, anche riferendosi alle attività psichiche che si
svolgono nell’università, non è altro che ricerca di conferma a convinzioni preesistenti”
(Evans, 1948, p. 284).
Usiamo con molta difficoltà i principi di implicazione e il calcolo probabilistico.
L’implicazione è quel pensiero condizionale in cui la verità del secondo termine
(conseguente) è implicata (condizionata) dalla prima (antecedente) (Bara, 1999, 2000).
Quanto all’uso del calcolo delle probabilità, esso presuppone conoscenze di principi, regole
e procedure non facili da apprendere e da applicare, tanto più nella vita quotidiana e in
situazioni in cui sono richieste decisioni rapide. Per questo motivo tendiamo a vedere
rapporti di causa-effetto persino là dove non possono esistere (si veda per esempio al
capitolo successivo l’errore da correlazione temporale non causale), così che la probabilità
di un evento prodottosi per caso ci sembra in qualche modo influenzata dalla vicinanza di
altri eventi prodotti per caso. Gli errori dipendenti dal mancato rispetto delle regole della
statistica sono frequentissimi nel campo delle medicine non convenzionali: è facile infatti
manipolare i dati ponendo a confronto valori relativi con valori assoluti. Si tratta di quella
che Miceli, in “Numeri, dati, trappole” (2004), definisce come “la trappola della
percentuale”, rilevando come essa sia diffusa in tutti i settori della ricerca e
27
dell’informazione. Se per esempio i dati ci dicono che il 10% degli italiani è favorevole alla
medicina alternativa e, all’interno di questa percentuale di persone, si rileva che il 40% le
ritiene più efficaci di quelle convenzionali, è possibile, in buona o mala fede, affermare che
il 40% degli italiani consideri le medicine alternative più efficaci di quelle convenzionali,
mentre essi sono una percentuale molto più bassa, cioè solo il 40% del 10 % del totale.
Probabilmente gli errori cognitivi sono un retaggio dell’evoluzione biologica della specie,
nel senso che dal punto di vista della lotta per la sopravvivenza è quasi sempre più
importante non tanto che le conclusioni siano corrette, quanto che corrispondano a come
stanno di fatto le cose nel mondo. Al di fuori però della lotta per la sopravvivenza, il
ricorso al pensiero magico e irrazionale perde di valore e di utilità pratica: la nostra mente
si è evoluta grazie a una tendenza verso il pensiero razionale, che si è dimostrato più utile,
anche dal punto di vista evolutivo, tutte le volte che il tempo e i dati a nostra disposizione
ci hanno permesso di analizzare razionalmente la situazione da affrontare (Damasio, 1995,
2005; Edelman, 2005).
3 . 3. Tassonomia degli errori cognitivi
Gli errori cognitivi possono essere distinti a seconda dello stadio di elaborazione
dell’informazione in cui si commette un errore nella logica della catena inferenziale. La
prima categoria di errori è quella che riguarda quelli commessi nella raccolta o acquisizione
dei dati e nel mancato controllo dell’informazione.
La seconda riguarda l’elaborazione dei dati o dell’informazione e conduce ad
• Errori del ragionamento deduttivo
• Errori del ragionamento induttivo
• Errori nel ragionamento abduttivo
Esaminiamo quindi nelle prossime pagine alcuni tra i più rappresentativi errori per ogni
categoria, precisando che il nostro scopo è evidentemente quello di evidenziare come
questo tipo di errori, euristiche e illusioni cognitive, connaturate al modo in cui l’individuo
cerca di dare senso e significato al suo rapporto col mondo, siano applicate al settore
specifico delle medicine alternative, e non siano quindi specifiche di esso. Con una
differenza fondamentale che ci preme sottolineare: in ambito scientifico il fondamento
della ricerca e della conoscenza risiede nella logica e nella razionalità, nel rispetto di una
metodologia accettata e condivisa dalla comunità scientifica e dei principi dell’empirismo e
del falsificazionismo (Bara, 2007; Gulotta, 1999; Pedon, Gnisci, 2004; Popper, 1970). Gli
28
errori di ragionamento e inferenziali cui facciamo riferimento si verificano anche in campo
scientifico, come in ogni settore della conoscenza umana, ma l’atteggiamento scientifico
cerca di evitarli, di scoprirli, di riconoscerli e di correggerli. Al contrario, le medicine
alternative non sono discipline fondate su principi e metodologie scientifiche, né sul
pensiero sillogistico, logico e razionale. Per loro natura, in altre parole, esse devono fare
uso del pensiero magico, trasduttivo, analogico, per cui tali errori non sono un’eccezione,
ma il fondamento stesso di queste discipline (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004;
Ferrieri, Lodispoto, 2001; Moerman, 2004; Skrabanek, McCormick, 2002).
3. 3. 1. Errore nella raccolta o acquisizione dei dati e controllo dell’informazione
a) L’errore dell’ inversione dell’ onere della prova
Uno dei principali errori posti a fondamento delle medicine alternative è quello per cui i
suoi sostenitori, ancorché spesso formati attraverso seri e approfonditi studi scientifici,
sono costretti per coerenza cognitiva a rimuovere un principio fondamentale mutuato dal
mondo del diritto, e cioè quello dell’onere della prova (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla,
2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Heimann, 1999; Le Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart
1988; Moerman, 2004; Skrabanek, McCormick, 2002). Esso vuole che chi proponga una
certa ipotesi, avanzi una nuova teoria o faccia semplicemente un’affermazione, sia tenuto a
dimostrare la veridicità di quanto sostiene. Come non spetta all’accusato fornire le prove
della sua colpevolezza, così non spetta alla comunità scientifica internazionale fornire la
prova della validità ed efficacia di sistemi di cura che essa non ritiene fondati su principi
scientifici e che ritiene inutili. Si consideri, tra l’altro, che quando ontologia ed
epistemologia di una cura non esistono se non nella mente di chi l’ha ideata, diventa
impossibile, anche volendo, fornire una dimostrazione della sua infondatezza. Tutte le
medicine alternative, infatti si fondano su teorie non falsificabili, in quanto a causa della
loro indeterminatezza di contenuti possono sempre opporre a qualsiasi critica delle “ipotesi
ad hoc”. Queste ultime sono quelle ipotesi che, non aumentando il contenuto informativo
della teoria, proteggono quest’ultima dalla falsificazione (Pedon, Gnisci, 2004).
b) L’errore da riferimento a dati forniti da studi e ricerche
Uno dei motivi della diffusione delle medicine alternative è che esse possono contare su
innumerevoli prove della loro efficacia fornite da altrettanti innumerevoli “studi e
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ricerche”. La suggestione indotta sulle menti deboli e le persone più sprovvedute da tali
riferimenti, se pur vaghi e non controllabili, è straordinaria: si consideri che da alcuni
decenni, ma con una violenta accelerazione negli ultimi anni, la comunità scientifica
internazionale ha praticamente imposto regole precise, non più solo semplici
raccomandazioni o consuetudini, relative all’ontologia, metodologia e all’epistemologia di
questi “studi e ricerche” (Pedon, Gnisci, 2004). In campo medico non solo esiste ed è
vincolante per tutti i medici il “Codice internazionale di etica medica” (Enciclopedia della
medicina, 2001), ma oggi si parla di “evidence-based medicine “ proprio con l’intento di
definire con sempre maggiore chiarezza l’ambito e le caratteristiche della medicina
scientifica applicabile sull’essere umano, rispetto agli studi teorici privi di validità
terapeutica, come quelli delle medicine alternative (Gray, 1997; Sackett, 1996).
L’Associazione Medica Mondiale ha pubblicato la “Dichiarazione di Helsinki” relativa a
“Principi etici per la ricerca medica che coinvolge i soggetti umani” (Pedon,Gnisci, 2004).
Ai punti 10 e 12, sotto la voce “principi basilari per tutta la ricerca medica”, si dà ormai per
scontato che ogni ricerca medica debba fondarsi su un “approfondita conoscenza della
letteratura scientifica” (non alternativa) e che essa deve essere “conforme ai principi
scientifici universalmente accettati”.
Questi principi, sinteticamente, possono essere riassunti in questi termini:
1. Gli studi sperimentali devono essere pubblicamente registrati prima della loro
effettuazione, devono essere sottoposti e approvati da un comitato etico e condotti
nel pieno rispetto del rigore del metodo.
2. il processo di randomizzazione deve essere chiaramente spiegato e successivamente
condotto da un operatore esterno al team di ricerca.
3. lo studio deve poter prevedere una procedura sperimentale di cross-over nei gruppi
dei pazienti trattati.
4. gli studi devono essere pubblicati all’interno di riviste specializzate che dispongano
di statistici propri, esterni al team di ricerca.
5. i risultati ottenuti devono essere replicabili prima che una qualunque efficacia possa
essere dimostrata (Borraccino, 2007).
Nel mondo delle medicine non convenzionali è invece invalso l’uso di fare riferimento a
studi e ricerche senza citare la fonte e tantomeno la loro effettiva portata e significato. In
ogni caso, qualunque essi siano, la maggior parte delle persone non si rende conto che una
ricerca effettuata su commissione di una certa azienda, o in occasione di una tesi di laurea,
o nell’ambito privato della propria attività professionale, non ha valore di precedente
30
scientifico e non conduce alla conclusione che quanto in essa affermato corrisponda né a
verità nè a conformità scientifica.
Inoltre, il fatto che una o più ricerche siano giunte a una certa conclusione non significa che
da quel momento quella conclusione diventi una verità incontestabile. Affinché la ricerca
diventi scienza, la ricerca deve diventare ripetibile, cioè tutti i ricercatori che la conducano
correttamente devono pervenire allo stesso risultato.
c) L’errore dovuto ad affermazioni non veritiere.
Sembrerà banale, ma il primo motivo per cui si è spontaneamente portati a dare credito alle
medicine alternative sta nell’abituale riferimento a fatti, studi e ricerche dati per scontati: in
realtà essi sono o inesistenti, o privi di ogni validità per errori spesso macroscopici nella
scelta, nella consistenza del campione, nel mancato rispetto delle più elementari regole
della ricerca secondo il metodo scientifico. Si veda in proposito la pubblicità della Guna,
azienda produttrice di rimedi omeopatici, sulla rivista (“La medicina biologica”) che essa
stessa edita, per esempio sul n°109 del marzo 2006: “Guna è oggi in grado di dimostrare
che la validità clinica dell’omeopatia può essere provata utilizzando gli stessi criteri
scientifici propri della medicina convenzionale. Studi rigorosi, che forniscono
inequivocabilmente la prova dell’efficacia terapeutica dei medicinali omeopatici, sono stati
pubblicati da Guna Editore, in italiano e in inglese, e sono ora a disposizione di tutti i
medici, i farmacisti, i ricercatori e le istituzioni pubbliche che intendono farne richiesta
all’indirizzo internet: www.guna.it/ricerca.htm.”. La grottesca assurdità di queste
affermazioni, al di là del fatto che le prove addotte non sono mai state giudicate
“inequivocabili” dalla comunità scientifica, sta nel fatto che tali prove “scientifiche” sono
fornite su richiesta solo dall’azienda che produce e vende questi rimedi, anziché provenire
dalla libera ricerca scientifica ed essere disponibili attraverso i canali della letteratura
scientifica internazionale.
d) L’errore della mancanza di comparazione con gruppi di controllo.
L’azienda produttrice di rimedi naturali Pascoe pubblicizza come uno dei suoi cavalli di
battaglia un rimedio fitoterapico contro ematomi e distorsioni, il Lymdiaral. A
testimonianza del suo “elevato profilo di efficacia clinica” si porta un solo studio effettuato
dalla stessa azienda produttrice, o finanziato da essa, su 69 pazienti, senza altre
31
specificazioni. Secondo tale studio la percentuale di pazienti che a seguito del trattamento
ha mostrato miglioramenti dal punto di vista della riduzione del dolore e dell’edema è,
rispettivamente del 73% e del 78% dopo 14 giorni. Tale percentuale sale rispettivamente al
90% e 91% dopo 28 giorni.
L’errore è talmente madornale e macroscopico da sfiorare il ridicolo: trattandosi di tipico
disturbo autolimitante, cioè una situazione traumatica non grave, che tende a scomparire da
sola, sarebbe stato necessario valutare l’efficacia del rimedio non in senso assoluto, ma
relativamente all’efficacia del semplice recupero omeostatico legato al passaggio del
tempo. Non c’è insomma nessuna comparazione con i risultati ottenuti dal gruppo di storia
naturale, cioè da un gruppo omogeneo di pazienti con lo stesso disturbo e posti in
osservazione senza somministrare cure, così come non esiste confronto né con placebo, nè
con altri farmaci.
e) L’errore della pillola magica
Significa credere che esista un rimedio che funzioni solo in positivo e produca quindi solo
effetti benefici, sempre privo di effetti collaterali. Praticamente tutti i rimedi naturali e
alternativi godrebbero di questo vantaggio specifico sui medicinali di sintesi. L’errore è
commesso già nella fase di acquisizione dei dati, in quanto presuppone una verità che
invece non è per niente scontata.
Già Paracelso nel sedicesimo secolo affermava che “è la dose che fa il veleno”, riferendosi
al fatto che non esiste in natura una dicotomia tra sostanze buone e cattive, ma che tutte
sono benefiche o nocive a seconda della quantità somministrata e delle condizioni della
persona. “Qualunque farmaco che sia capace di interferire con i meccanismi biochimici
dell’organismo umano deve necessariamente produrre effetti indesiderabili. L’esperienza
svela presto che i nuovi farmaci non erano poi così efficaci come affermavano i produttori,
e che il loro uso non era privo di inconvenienti. Solo i farmaci omeopatici sono innocui,
perché non possono avere alcun effetto sull’organismo, anche se possono agire sulla
psiche, inducendo l’illusione della loro efficacia”(Skrabanek, 2000, p.67).
Affermare che una certa cura produca sempre solo effetti positivi su tutti gli esseri umani
significa logicamente dare per presupposto che gli esseri umani reagirebbero tutti allo
stesso modo. In realtà, richiamandoci alla visione di Bateson (Bateson, 1976; ma si veda
anche Bara, 2000; Pedon,Gnisci, 2004) circa la complessità del sistema umano, qualsiasi
perturbazione dell’equilibrio omeostatico umano, prodotta da qualsiasi intervento su di
esso, non è mai totalmente controllabile e prevedibile (come si sono drammaticamente
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accorti, per esempio, i familiari di pazienti non sopravvissuti a un banale intervento
chirurgico).
f) L’errore ideologico da complotto e sabotaggio
Quando i dati che dovrebbero confermare una certa ipotesi mancano o non sono sufficienti
allo scopo che ci si prefigge, è utile addebitarne la responsabilità all’esistenza di
potentissime e misteriose forze politiche e culturali che impediscono la diffusione della
verità per diversi scopi (si veda, per esempio, l’emblematico pamphlet: “Tutto quello che
sai è falso” (Kick, 2003). È possibile per esempio ritenere che i dati relativi alle morti
causate dalle vaccinazioni obbligatorie siano molto più allarmanti di quelli ufficiali, per
giustificare l’idea che dietro ad esse esistono solo interessi commerciali ed economici
contrari alla diffusione delle medicine alternative. In questo caso sono proprio i dati di base
che vengono messi in discussione nella loro veridicità e attendibilità ( si veda in proposito,
tra gli infiniti siti internet, www.disinformazione.it). All’opposto, una delle strategie più
utilizzate dai seguaci di queste cure alternative, quando ad essi venga contestata la
mancanza di dati scientifici a loro sostegno è sempre quella che i fondi per le ricerche
mancano perché le aziende multinazionali del farmaco ostacolano in ogni modo la
diffusione della conoscenza di questi dati. Si dimentica, facendo affermazioni di questo
genere, che al contrario sarebbero proprio le grandi aziende del farmaco a ricavare enormi
benefici attraverso la vendita di questi rimedi, i quali, nel momento in cui si dimostrassero
efficaci, potrebbero essere quasi immediatamente qualificati e venduti come farmaci. Se,
anche al di là delle prove scientifiche, questi rimedi alternativi “funzionassero”, esse si
troverebbero cioè tra le mani farmaci privi di effetti collaterali ma efficaci come quelli di
sintesi, di solito poco costosi e conseguentemente più remunerativi senza dover investire i
milioni di euro o dollari per le decennali ricerche che i farmaci di sintesi richiedono; in più
potrebbero approfittare di una rete di distribuzione capillare già esistente, negli stessi
canali, le farmacie, che essi attualmente servono. Quindi semmai dalla dimostrazione di
efficacia dei rimedi naturali alternativi, gli unici a ricavarne un danno sarebbero le migliaia
di piccole erboristerie e aziende di produzione naturale, che lavorano attualmente senza
dover rispettare la rigorosa legislazione a tutela dei consumatori dei farmaci, e non certo le
aziende multinazionali del farmaco.
33
g) Errori nella valutazione della consistenza del campione o dei dati di base
A sostegno della tesi dell’efficacia dell’omeopatia, si perpetua da oltre un secolo l’errore
di considerare l’omeopatia diffusa in altre parti del mondo. Il problema è quello di
quantificare il termine “diffusa”. Al capitolo dodicesimo del libro “Omeopatia. Le malattie
guarite col metodo dei simili”, l’autore cita il dato che “negli Stati Uniti d’America
fioriscono 20 facoltà mediche omeopatiche pareggiate e che migliaia di medici e numerosi
Ospedali e ambulatori si trovano sparsi per Inghilterra, Germania, Austria, Francia, Brasile,
Messico, Belgio, Olanda, Spagna, Australia e Canada”. Tutto ciò induce a pensare che
questa diffusione in effetti ci sia. Il fatto è che queste parole sono tratte da un testo edito nel
1933 e che si riferisce alla situazione della diffusione dell’omeopatia di circa un secolo fa
(Pace, 1933, p.42). Ci si sarebbe aspettati, data la già apparentemente forte diffusione di più
di settant’anni fa, come dipinta dall’autore nel 1933, che oggi la situazione sia nettamente
migliorata per i sostenitori dell’omeopatia. In realtà, invece, essa è più o meno la stessa,
nonostante le grandi aziende che operano nel settore della medicina alternativa spingano in
ogni modo per la loro diffusione. L’errore consiste nel fatto che il modo in cui viene
presentata la notizia induce facilmente all’inferenza basata sull’equivalenza diffusione =
efficacia. In realtà, la diffusione di questa medicina non è aumentata, tant’è vero che in
nessun paese al mondo essa è utilizzata negli ospedali al posto delle cure basate su prove
scientifiche. Ma l’errore consiste nel dipingere un fenomeno dando per scontata la sua
positività, efficacia, importanza o utilità sociale. Al contrario, il dato sulla diffusione è un
dato scientificamente non valido perché indeterminato e non oggettivamente misurabile e
paragonabile.
h) Errori nella individuazione della rappresentativita’ del campione
Intorno al 1970 venne pubblicato su una rivista medica un articolo dal titolo “Church
attendance and health” (presenza in chiesa e salute). L’autore dello studio sosteneva che
esisteva una correlazione significativa tra l’abitudine a frequentare i luoghi di culto e lo
stato di salute. I risultati dello studio vennero ampiamente pubblicizzati dai mezzi di
stampa e ancora oggi capita di leggere notizie che fanno riferimento a essi. Tuttavia lo
stesso autore dell’articolo, in una pubblicazione successiva, si rese conto di aver commesso
un grossolano errore metodologico. Infatti, non aveva tenuto conto del fatto banale che chi
34
versa in condizioni di salute critiche generalmente non esce di casa per andare in chiesa
(Skrabanek, McCormick 2002).
i) Parzialità dei dati
Consiste nell’errore di stabilire la correlazione degli eventi non sulla base delle loro
possibili combinazioni, ma dei soli casi di concordanza (Gulotta, Boi, 1997). Per esempio,
per stabilire la relazione tra tumori polmonari e fumo, si esaminano i casi di malati
fumatori, e non anche le altre tre combinazioni possibili delle due variabili (malati non
fumatori; fumatori sani; non fumatori sani); per stabilire l’efficacia di un rimedio, si
esaminano solo i casi di coloro che l’hanno assunto e sono migliorati e non di coloro che
l’hanno assunto e non sono migliorati, di coloro che non l’hanno assunto e sono migliorati
lo stesso, di coloro che non l’hanno assunto e non sono migliorati.
l) Euristica della disponibilità
Questa euristica è riscontrabile sia a livello di errore nella raccolta o acquisizione dei dati e
controllo dell’informazione, sia come tipico errore nel ragionamento induttivo (si veda
sotto questo profilo nel paragrafo relativo, a pag. 47). Sotto il primo profilo si osservi
come la frequenza di eventi facilmente ricordabili (p.es. quelli ben pubblicizzati) è
sovrastimata rispetto a quella di eventi meno ricordabili o meno ben pubblicizzati: le morti
dovute a omicidio e Aids sono sovrastimate rispetto a quelle causate da asma e diabete; le
guarigioni alternative rispetto ai fallimenti delle cure. Non fa certo notizia il fatto che un
nostro conoscente si sia rivolto a cure alternative senza successo: specialmente se poco
convinto in partenza della loro efficacia, tenderà a tacerne, anche per evitare fastidiosi
commenti circa la sua dabbenaggine. Ma se questa stessa persona, sottopostasi a cure
alternative, verificasse un giovamento (che dipende da altri fattori concomitanti, ma ad essa
sconosciuti), sarà ovviamente portata a dare ampio risalto al fatto, accrescendone
l’importanza.
m) Frequenza
La relazione predittiva si valuta in base alla frequenza di un evento piuttosto che alla sua
frequenza relativa. In altre parole, l’osservazione sul “non accadimento” non è disponibile
ed è ignorata (Gulotta, Boi, 1997). Per esempio, nel considerare una performance si dà
maggior peso al numero assoluto di successi piuttosto che al suo numero relativo, cioè il
numero dei successi rispetto al numero di performance-somma dei successi e dei
35
fallimenti-. In pratica il denominatore del rapporto viene ignorato. (Il terapeuta alternativo
rileva con soddisfazione il fatto che i fiori di Bach da lui prescritti si sono mostrati efficaci
in 10 casi, senza prendere in considerazione il fatto che si trattava di soli 10 casi su 100
osservati).
n) Verificazionismo
Per controllare la validità di una ipotesi, vengono presi in considerazione o ricercati solo i
dati che la confermano, senza preoccuparsi di quelli invalidanti. È un dato acquisito dalla
comunità scientifica internazionale che l’elemento discriminante tra ragionamento
scientifico e non scientifico è la possibilità di confutazione. L’affermazione “tutti i cigni
sono bianchi” non trae validità dall’osservazione di 1000 cigni bianchi e non accresce la
sua veridicità da ogni nuova osservazione di un altro cigno bianco, ma è distrutta
irrevocabilmente dall’osservazione anche di un solo cigno nero (Popper, 1970). Nella
ricerca della verità non ha senso cercare le concordanze, cioè collezionare i cigni bianchi; è
l’elemento di discordanza che permette di progredire verso una migliore comprensione
della realtà.
o) L’errore dell’attribuzione di un significato inesistente al dato
Se estraiamo un numero che ci piace per qualche motivo (data di nascita o un numero
tondo come 1000 o 10000), la cosa ci fa molta più impressione che se tiriamo fuori, per
esempio, 8543. Se alcuni pensavano all’anno mille come alla data della fine del mondo è
perché credono che Dio pensi a cifre tonde. Così l’omeopatia adotta la procedura di
diluizione dei suoi rimedi secondo scaglioni di dieci in dieci, o di cento in cento (trentesima
decimale o duecentesima centesimale), solo perché la cifra è “tonda”: non esiste alcuna
ricerca che ne dimostri l’efficacia in rapporto a diluizioni formalmente meno attraenti o
meno facili da ricordare (come ventisettesima decimale o centotrentottesima virgola cinque
centesimale). L’altro tipo di errore riconducibile a questa categoria è quello di attribuire un
significato che va al di là del caso singolo per l’eccezionalità o la rarità del fenomeno. Il
fatto che una persona sia migliorata improvvisamente dopo aver assunto un certo rimedio
non significa nulla dal punto di vista statistico, fino a che l’esperimento non sia ripetuto un
numero di volte tale da escludere l’intervento di fattori diversi da quelli che a prima vista
sono considerati causa esclusiva dell’effetto. Un evento non va considerato particolarmente
significativo solo perché è improbabile (Odifreddi, 1999).
36
p) Errori dei risultati positivi
È quello che si commette in situazioni di ricerca scientifica. Immaginiamo che dieci gruppi
di ricerca in dieci centri diversi studino una cura per una specifica patologia. Se sei non
rilevano effetti, due qualche indizio di effetti dannosi e due di positivi, è possibile
commettere l’errore di attribuire particolare significato solo a questi ultimi (che in effetti
hanno dimostrato positività) e reiterare poi l’errore con il verificazionismo e andando a
ricercare altri risultati positivi (Skrabanek, McCormick, 2002).
q) Ignoranza della tendenza alla regressione verso la media (Bias)
I valori estremi di una variabile sono utilizzati per prevedere analoghi valori in osservazioni
successive, senza tenere conto che i fenomeni tendono alla regressione verso la media
(Pedon-Gnisci, 2004).
3. 3. 2. Errori nel ragionamento deduttivo
Anche quando un argomento è presentato come una deduzione logica conseguente da
determinate premesse, raramente facciamo attenzione all’unico elemento degno di nota,
ossia alla coerenza interna del discorso, ma ne giudichiamo la validità semplicemente in
base alla plausibilità delle conclusioni. Se queste appaiono vere rispetto alla realtà, le
accettiamo e tendiamo a considerare valido il ragionamento che le ha prodotte. Lungo
questo percorso gli errori cognitivi possono essere innumerevoli: che le premesse appaiano
vere è già un dato che si presta a molti errori nella fase di raccolta e acquisizione dei dati,
perché esse possono apparire vere, per esempio, per il fatto che vengono da fonte o da
persona autorevole. Ma una volta convinti, a torto o a ragione, che le premesse siano vere,
diventa difficile cogliere gli errori nella catena inferenziale, perché il wishful thinking ci
porta a soprassedere rispetto a ciò che può apparire incoerente.
“Da una parte sembra ovvio che la mente possieda i fondamentali principi logici, se non
altro perché l’intera logica è un prodotto della mente umana. Per questo la filosofia ha
sempre cercato di spiegare la mente come una macchina logica, nell’assunto che la
psicologia effettiva delle persone seguisse quei principi. Gli errori cognitivi, come le
illusioni ottiche in campo percettivo, non sembravano argomenti degni di attenzione, forse
perché scomodi. D’altra parte, però, se la mente umana fosse dotata di competenze
37
veramente logiche, allora queste dovrebbero funzionare sempre, indipendentemente dal
contenuto specifico delle questioni trattate, indipendentemente dal fatto che le questioni
siano vere, verosimili o false, purché corrette. Il che non è” (Nicola, 2003, p.101).
La spiegazione sta probabilmente nel fatto che la nostra evoluzione di esseri dominati dalla
paura ci condiziona ancora: non abbiamo tempo di dedicare secondi, per non parlare di
minuti, alla valutazione di tutti i nostri problemi. Istintivamente siamo portati a fare scelte
come se fossero necessarie per la sopravvivenza, e per questo ci affidiamo alle nostre
emozioni e ai ricordi collegati per giungere a rapide conclusioni, prima che al
ragionamento, il quale oltretutto, richiede uno sforzo cosciente (si veda in proposito, tra i
più recenti: Dozier, 1999; Boncinelli, 2000; Sapolskj, 2006).
a) L’errore del passaggio disinvolto dalla legge generale al caso particolare
Tutte le medicine alternative si fondano sull’applicazione pratica in chiave terapeutica di
teorie scientifiche indimostrate o semplicemente ancora oggetto di studi puramente teorici
(Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Moerman, 2004,
Skrabanek, McCormick, 2002). Se così non fosse, ovviamente, esse cesserebbero di
appartenere al mondo “alternativo” per entrare a tutti gli effetti in quello scientifico. Alcune
di esse si basano infatti su teorie talmente prive di ogni fondamento e di ogni aggancio con
la realtà da non poter essere prese in considerazione (si pensi alla cura con pietre preziose
che rappresenterebbero l’energia benefica dei pianeti); altre invece (la maggior parte),
specialmente nel campo della naturopatia, si basano su dati e nozioni incontestabili di
scienza dell’alimentazione, di biochimica, di biomeccanica e di fisica. L’errore che
commettono sistematicamente è quello di applicare tout court sul piano pratico e
terapeutico dati che hanno valore solo se restano confinati alla dimensione teorica da cui
provengono. È chiaro che partendo dal riferimento a generiche teorie scientifiche, è
possibile indurre non solo i più sprovveduti, ma tutti coloro che non siano avvezzi a
utilizzare correttamente il ragionamento logico-sillogistico a ritenere che sia dimostrato il
fondamento scientifico di qualunque affermazione o ipotesi. Se il ragionamento logico-
sillogistico permette di legare una serie di affermazioni sulla base della loro
consequenzialità e per il loro legame logico, esso non è però sufficiente a fare di una serie
di affermazioni la prova scientifica di un’ipotesi. Per concludere circa l’esistenza di
quest’ultima è necessario sottoporre le affermazioni proposte alla prova empirica, cioè alla
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loro applicazione pratica in condizioni controllate e con modalità di indagine concordate e
condivise (Bara, 2000; Pedon, Gnisci, 2004).
b) L’argomento storico
Le medicine alternative avrebbero validità ed efficacia già solo per il fatto che esistono da
decenni, secoli o addirittura millenni. (Questo argomento dimostra esattamente il contrario,
e cioè che in migliaia di anni non sono ancora riuscite a imporsi come terapie veramente
utili). È francamente disarmante e deprimente l’ingenuità (imperdonabile per un medico)
con cui si fanno affermazioni circa l’efficacia di una cura nella più assoluta ignoranza dei
principi della logica. Si noti per esempio la seguente: “Da quasi duecento anni il metodo
omeopatico è rimasto invariato e ciò conferma la validità dei suoi principi fondamentali”
(De Chirico 2000, p.8; si veda anche Pace, 1933). Secondo i sostenitori delle medicine
alternative, il fatto che un certo comportamento venga adottato da una certa parte della
popolazione da lungo tempo dovrebbe dimostrare che esso ha quindi una qualche validità e
utilità. Il problema è che anche molti errori, per non parlare di comportamenti contrari alla
dignità umana e al rispetto della vita, vengono ripetuti da quando esiste la civiltà umana. Il
che non è un buon motivo per perseverare nell’errore. È fin troppo facile obiettare che,
seguendo la linea di ragionamento proposta dai sostenitori delle medicine alternative, a
maggior ragione sarebbero da coltivare altre pratiche o comportamenti che gli esseri umani
adottano da millenni, come la guerra, la tortura, la violenza in genere. E in fondo, anche
l’astrologia si pratica con successo, oggi persino via internet e in televisione, da decine di
migliaia di anni. Con quali effetti positivi sul progresso dell’umanità resta ancora da
dimostrare.
c) L’errore dell’associazione causale o della correlazione temporale non causale
Si considerino i seguenti dati di fatto:
• In alcune zone della Gran Bretagna il numero delle nascite, in certi periodi, varia
in misura direttamente proporzionale a quello delle cicogne.
• Nel dopoguerra si registrò una perfetta ed evidente associazione tra aumentata
vendita di calze di nylon e aumento delle morti per cancro al polmone (Skrabanek,
McCormick 2002).
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• Sul sito www.disinformazione.it, fa notizia il dato secondo cui, da quando negli
Stati Uniti è stata introdotta la vaccinazione obbligatoria, sono triplicati i casi di
autismo e malattie mentali dei bambini.
È evidente che è possibile manipolare dati di fatto e situazioni tra loro prive di ogni
collegamento causalistico per lo scopo che ci si prefigge, come i casi sopra riportati
confermano. Ogni coppia di variabili indipendenti che cambiano linearmente con il tempo
indicherà una correlazione perfetta: per esempio l’incremento dei sostenitori delle medicine
non convenzionali e della vendita di rimedi naturali da una parte e l’ aumento del benessere
e della speranza di vita nei paesi occidentali sono eventi correlati temporalmente, ma non è
dimostrabile che lo siano anche causalmente. Come è stato provocatoriamente osservato,
fare affidamento senza l’adozione di opportune cautele metodologiche su questo legame
porta, per esempio, ai risultati paradossali di riconoscere un collegamento preciso tra
l’andamento del prezzo della birra e il salario dei preti (Gibbons, Davis, 1984).
d) L’errore da confusione tra cause e precedenti.
Si considerino i seguenti interrogativi:
• La libera vendita di preservativi è causa di aumento della promiscuità e di malattie
veneree, o è la trasformazione del costume che spinge alla liberalizzazione nella vendita
di preservativi?
• La vita causa la morte perché una precede l’altra?
• La notte è causa del giorno o viceversa?.
• I cani producono gatti perché i gatti sono inseguiti dai cani? (Skrabanek, McCormick,
2002).
La diffusione delle cure alternative è causa di un miglioramento della salute dei cittadini,
oppure il miglioramento della salute dei cittadini, dovuto ad altre cause, fa sì che molti
siano in grado di resistere alle malattie pur assumendo rimedi inutili come quelli
alternativi?
e) L’errore da confusione tra cause necessarie e sufficienti
È noto a tutti come il virus dell’influenza non causi la malattia in tutti coloro che ne
vengono a contatto (Max von Pettenkoffer, epidemiologo, dimostrò nel 1892 che il vibrio
cholerae non era causa sufficiente per la comparsa del colera, ingerendolo di fronte a un
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folto pubblico di colleghi); così come non tutti i fumatori si ammalano di cancro al
polmone e non tutti coloro che si ammalano di cancro al polmone sono fumatori. In questi
casi il virus e il fumo non sono cause sufficienti per produrre la malattia. Allo stesso modo,
il rimedio alternativo, in mancanza di dimostrazioni empiriche scientificamente fondate,
può non essere causa sufficiente né necessaria ai fini della guarigione, ma solo casualmente
concomitante e ininfluente, specialmente se, come in effetti avviene, esso non è
somministrato per curare malattie gravi o dall’esito molto incerto (Gulotta, Boi; 1997;
Pedon, Gnisci, 2004).
f) Confusione tra continuita’, correlazione e causalita’
Eventi simultanei e/o correlati vengono interpretati come legati da un nesso causale (Bara,
2007, Gulotta, Boi, 1997): il mancato superamento di una prova viene attribuito all’abito
indossato o al tema natale o all’oroscopo, oppure la guarigione dovuta alla remissione della
fase acuta della depressione viene attribuita all’efficacia del rimedio naturale o del farmaco.
g) Argomentum ad credulitatem
Questo tipo di errore può essere sinteticamente espresso con queste parole: “ci credo,
quindi sarà vero” (Dennet, 2000). Esso è corredato di alcuni corollari:
• l’errore di credere a ciò che ci dà conforto credere (wishful thinking)
• l’errore di credere a ciò che persone che riteniamo superiori a noi credono (ad
hominem)
• l’errore di credere a ciò che comunemente si crede (errore da”lo dicono tutti”)
• l’errore di credere per non fare la fatica di indagare.
L’argomentum ad credulitatem costituisce uno dei principali generatori delle strategie che
da sempre l’essere umano adotta per sfuggire la realtà della situazione, quando questa è tale
da mettere in dubbio la nostra coerenza cognitiva e da costringerci a modificare i nostri
punti di vista tanto faticosamente costruiti. Questo particolare strumento cognitivo ci
conduce ad adottare tutte quelle strategie utili a negare la realtà dei fatti spiacevoli e a
sfuggire il rischio del confronto con l’evidenza contraria (Taylor, 1991; Gulotta, 2005).
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h) Hargomentum ad hominem
Si accettano e prendono per buone informazioni che provengono da fonte considerata
attendibile, senza valutarne la fondatezza empirica (Gulotta, Boi, 1997; Skrabaneck,
McCormick, 2002). Per esempio, si segue una cura alternativa a seguito di una diagnosi
alternativa, per esempio “disfunzione subclinica della tiroide”, ottenuta tramite
un’apparecchiatura in grado di captare le “biorisonanze”: la si prende per buona pur in
assenza di riscontri scientifici perché “ l’esame è stato condotto da un medico che mi ha
assicurato circa l’esistenza di seri studi e ricerche che dimostrerebbero l’attendibilità e
l’affidabilità dello strumento”. Casi come quello citato sono tristemente all’ordine del
giorno della cronaca, e documentati inequivocabilmente da trasmissioni televisive come
“Striscia la notizia”.
Gran parte del credito di cui godono le medicine alternative nasce, in mancanza di dati
oggettivi, proprio da questo tipo di errore, qualche volta unito a quello che esporremo tra
breve, cioè l’analogo errore da fonte falsamente autorevole. Chiunque, non solo i più
sprovveduti, è portato a pensare che le affermazioni di un membro della comunità
scientifica, specialmente se noto e apparentemente autorevole, abbiano un fondamento
scientifico e siano vere. Specialmente perché pochi, se non chi conosce molto bene la
materia specialistica, possono permettersi di contestare i dati forniti. Si innesca così un
meccanismo perverso, per cui il dato, se pur assolutamente privo di fondamento, si
diffonde fino a sfociare nell’ errore da “lo dicono tutti”e diffondendo la “sindrome del Re
nudo”.
i) L’errore da fonte falsamente autorevole
Il mondo delle medicine alternative, privo com’è di punti di riferimento scientifici, è
costellato di personaggi forniti di titoli fantasiosi ma eclatanti che diffondono teorie
strampalate o che riciclano acquisizioni scientifiche sconosciute ai più, denominandole
diversamente e attribuendosene il merito della scoperta e dell’elaborazione. Per esempio la
maggior parte delle tecniche corporee e di manipolazione alternative non sono altro che
varianti dell’antica arte del massaggio. Ma in realtà sembrano tutte diverse perché centinaia
di falsi maestri si sono attribuiti il merito della scoperta della loro efficacia, denominandole
con marchi registrati (Ferrieri, Lodispoto, 2001; Sanfo, 2005).
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l) Argomentum ad populum o errore da “lo dicono tutti”
Non aderire e conformarsi all’opinione della maggioranza è spesso considerato un atto
eversivo e deviante (Gulotta, 1999). Ma la pressione del gruppo agisce anche in dimensioni
ridotte, cioè all’interno del gruppo sociale più ristretto col quale ognuno di noi è in contatto
quotidiano. Asch distingue tre modi di cedere alla pressione del gruppo:
1. Distorsione della personalità:la persona cede all’opinione della maggioranza cui
appartiene senza accorgersi che il suo giudizio è stato distorto dalla maggioranza.
2. Distorsione del giudizio: è il caso di soggetti con scarsa autostima che tendono a
cercare sicurezze schierandosi con la maggioranza.
3. Distorsione dell’azione: il cedimento alla pressione del gruppo è motivato dalla
compiacenza: la persona sa di aver ragione, ma non sopporta di apparire diverso o
inferiore agli altri (Asch, 1958).
Per esempio, l’omeopatia “è stata avvalorata da numerose prove sperimentali sull’ uomo
sano e dalla pratica clinica” (De Chirico 2000, p.8). La continua e quasi ossessiva
ripetizione, in ogni occasione, di questa evidente falsità ideologica (queste prove non sono
mai fornite; quando lo sono, la comunità scientifica le ha sempre, regolarmente “distrutte”,
bollandole di superficialità e di grossolani errori di metodo) giova solo al mercato
milionario delle medicine alternative. Ma anche se questa credenza fosse universalmente
diffusa, si tratterebbe di un’ affermazione, come efficacemente è stato sintetizzato, senza
alcun valore probatorio: niente impedisce a una credenza universale di essere falsa
(Odifreddi, 1999, p.191). Questi errori, isolatamente o insieme, conducono poi alla:
m) Sindrome del re nudo
Si tratta di quell’insieme di comportamenti e atteggiamenti che fanno seguito alla necessità
di adeguarsi a una falsa credenza, rispetto alla quale non si conosce neppure il fondamento,
per la difficoltà di dover contestare ciò che è ritenuto vero da coloro che ci circondano (di
solito a sua volta motivata dalla scarsa stima nelle proprie opinioni e quindi dal timore di
dimostrarsi più stupido, sprovveduto o ignorante di chi ci circonda) (Asch, 1958; Gulotta,
Boi, 1997; Pedon, Gnisci, 2004) . L’autore della presente dissertazione deve fronteggiare
questa sindrome tutte le volte in cui suggerisce ai suoi clienti di non affidarsi a cure prive di
fondamento come l’omeopatia: nella maggior parte dei casi tale affermazione desta
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stupore, in quanto è oggi considerato indice di arretratezza culturale e di ristrettezza di
vedute non conformarsi all’affermazione secondo cui tale pratica sia efficace.
n) Errore da presunzione
Quando le critiche e lo scetticismo verso le più irrazionali, astruse e fumose tra le pratiche
alternative non trovano argomenti validi di confutazione, è d’uso tra i sostenitori delle
medicine alternative aggrapparsi all’argomento secondo cui, per comprendere davvero
l’essenza della disciplina in questione, è necessario uno studio approfondito. Si attribuisce
cioè all’interlocutore una condizione di ignoranza, sulla base della presunzione che la
disciplina alternativa richieda chissà quali conoscenze, iniziazioni, “aperture di canali
energetici” o semplicemente di conoscenze scientifiche o esoteriche. Si tratta di un tipico
caso di ipotesi ad hoc, utilizzato per difendere una teoria strampalata dalla possibilità di
confutazione (Pedon, Gnisci, 2004; Gulotta, Boi, 1997).
o) Locus of control esterno: la sindrome della ricerca del capro espiatorio
La medicina alternativa ci consente di sfuggire le nostre responsabilità nella genesi della
malattia che ci affligge, per esempio adottando la strategia del trasferimento della
responsabilità della nostra salute su altro, cioè quella che per brevità potremmo definire la
sindrome della ricerca del capro espiatorio. Come è noto, Rotter parla a questo proposito
di locus of control: la tendenza ad attribuire la responsabilità della nostra vita, e quindi
della nostra salute, a fattori che dipendono da noi (locus interno) o da altri o dalle
circostanze (locus esterno) (Bara, 2003; Rotter, 1972). Per esempio, la signora in
sovrappeso che non riesce ad accettare questa sua condizione e non ha la forza né la
volontà per cambiare quanto è teoricamente in suo potere nel suo regime alimentare, si
appellerà all’esistenza di un fantomatico alimento cui ritiene di essere intollerante e che la
fa ingrassare, piuttosto che agire sforzandosi di modificare le proprie abitudini di vita. Se
però la medicina non è in grado di individuare il responsabile di questa sua convinzione,
potrà rivolgersi alle decine di tecniche e apparecchiature prive di fondamento scientifico,
fino a che non troverà un capro espiatorio che, almeno per un po’, si assuma la
responsabilità del suo stato di salute.
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p) Locus of control e la sindrome della vittima predestinata
Alcuni sono convinti e si autoconvincono non solo che la responsabilità delle loro disgrazie
e del loro stato di salute sia da attribuire all’esterno, ma anche che esista un qualche piano
che operi appositamente contro di loro (Bara, 2003). Altri reinterpretano la causa della loro
malattia attribuendola a una propria colpa, rispetto alla quale, però, sentono di non essere
responsabili e tantomeno di essere in grado di intervenire per modificare la situazione. Le
giustificazioni coprono tutto l’arco delle fantasie pseudoterapeutiche e parapsicologiche:
una speciale combinazione astrale, il charma che impone di rivivere certe situazioni per
espiare colpe passate e così via. Le caratteristiche della vittima possono essere
reinterpretate per dimostrare che gli eventi negativi capitano sempre a persone con
caratteristiche personali negative (Lerner, 1971; Gulotta, 1999)
La reinterpretazione degli effetti della malattia, come di ogni avvenimento negativo,
avviene attraverso la modificazione della negatività di tali effetti.
Il paziente in questo caso diventa refrattario alle cure mediche e preferisce rivolgersi alla
medicina alternativa, nella speranza che questa gli offra non tanto guarigione quanto
compatimento. In questi casi la vittima cerca rinforzo, conforto e comprensione in altre
vittime della situazione, circondandosi di persone che possano mantenerla in questo stato
vittimistico e creando inconsciamente ogni situazione utile per perpetuare la sua condizione
di malessere, ed evitando accuratamente tutte le cure che potrebbero condurla verso la
guarigione (Veglia, 2007).
q) La profezia che si autodetermina
Questo fenomeno interessante sotto il profilo della psicologia sociale (Gulotta, 1999;
Gulotta, Boi, 1997; Gulotta, de Cataldo Neuburger 1996) è ben evidente nel mondo delle
medicine alternative e si manifesta in quelle situazioni in cui coloro che credono
fermamente nell’efficacia delle medicine alternative e, al contrario, nella tossicità di quelle
convenzionali, scoprono non inaspettatamente che le cure della medicina tradizionale,
somministrate per patologie non gravi, fanno più male che bene, mentre percepiscono un
netto miglioramento da cure alternative. Si creano cioè le condizioni anche ambientali,
relazionali, di stile di vita, che rendono inutile l’uso di medicine tradizionali: come nel caso
precedente, ci si “dimentica” di seguire le indicazioni terapeutiche del medico o di
assumere i farmaci, o di assumerli nei momenti corretti della giornata, e ci si rende
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inconsciamente la vita difficile, per esempio facendo sforzi che si potevano evitare,
prendendo freddo, o si adottano insomma tutti quei comportamenti che non favoriscono la
guarigione. Nel caso in cui invece si creda nelle medicine alternative, la loro assunzione
sarà preceduta, accompagnata e seguita da una serie di comportamenti opposti tendenti a
favorire la guarigione. In effetti, quando una persona decide di rivolgersi a un certo tipo di
cura, diverso da quello tradizionale, di solito ciò avviene perché qualcosa è già cambiato
positivamente nell’atteggiamento della persona stessa verso la conduzione della sua vita, le
sue abitudini, o persino nella valutazione dei suoi valori. Il ricorso alle medicine alternative
si accompagna cioè in questi casi a una nuova consapevolezza, a una modificazione, anche
se minima, del modo di vedere le cose, a nuove abitudini di vita (Sointu, 2006). Di
conseguenza, la persona spesso attribuisce alle cure alternative (le quali rappresentano
concretamente e simbolicamente la sua volontà di cambiamento) la responsabilità del
miglioramento del suo stato di salute, anziché a modificazioni spesso importanti, ma meno
tangibili, quali appunto la correzione delle abitudini alimentari o delle abitudini di vita.
3. 3. 3. Errori nel ragionamento induttivo
Mentre il ragionamento deduttivo si svolge dall’alto verso il basso, cioè da premesse verso
conclusioni, quello induttivo segue il percorso contrario, risalendo dall’analisi del maggior
numero possibile di casi concreti sino a una conclusione generale. Esso determina cioè un
arricchimento della conoscenza, perché crea una conoscenza nuova, più estesa, se pur in
termini di probabilità e non di certezza assoluta (Bara, 1999, 2000; Gulotta, Boi, 1997;
Pedon, Gnisci, 2004). L’induzione è molto utile nella vita quotidiana, perché ci permette di
formare gran parte delle nostre conoscenze sul mondo attraverso generalizzazioni che ci
risparmiano l’immenso lavoro di analizzare tutti i casi singolarmente, ma di poterli inserire
in categorie preformate, di pronta utilizzazione. L’induzione è rapida ed efficace, ma la
conoscenza nuova che ci fornisce (tutti i cigni sono bianchi, per usare il famoso esempio di
Popper) non è assoluta. In altre parole, il procedimento induttivo non ci dà certezze, ma
solo probabilità (salvo il caso di induzione perfetta, in cui si esaminino tutti gli esempi
possibili) (Nicola, 2003; Popper, 1970) .
a) L’errore del passaggio disinvolto dal caso particolare alla legge generale
Si tratta del più tipico errore legato al ragionamento induttivo, che nel caso delle medicine
alternative si fonda però sulla manipolazione di dati e teorie scientifiche per giustificare la
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validità di una legge generale secondo lo schema classico del pensiero magico che tende
alla conferma anziché alla falsificazione (Giusberti, Nori, 2000; Monaco, 2007; Piattelli
Palmarini, 1993). Il che è evidente, in quanto, non potendosi fondare sulla realtà dei fatti
cui deve attenersi la scienza, la medicina alternativa non può che fare affidamento su
manipolazioni dei fatti. La speranza, per esempio, che un certo principio attivo, per ora
testato solo su un topo, possa essere efficace nella cura di una certa patologia trasforma
subito quel rimedio in qualcosa di più di un semplice dato privo di valore, come in effetti è
secondo la medicina scientifica. Per esempio, la rivista “Medicina funzionale, n°1, del
2006, riporta a pag. 42 lo studio: “L’epigallocatechin-3-gallato del tè verde (EGCG)
modula il clivaggio delle proteine precursori dell’amiloide e riduce l’amiloidosi cerebrale
nel topo transgenico con Alzheimer”. Questo “studio” è stato utilizzato per fornire la prova
scientifica dell’efficacia della somministrazione del rimedio in malati di Alzheimer umani.
In questo modo si compiono due errori fondamentali: primo, si dà credito a fatti non
accertati, oppure incompleti o non sufficienti per giustificare una conclusione valida.
Secondo, sulla base di questi dati si costruisce per via inferenziale una teoria generale,
compiendo un chiaro errore nel processo logico di induzione (Pedon, Gnisci, 2004).
b) L’errore analogico
Uno degli errori più frequenti, anzi uno di quegli errori su cui si fonda l’esistenza stessa di
gran parte delle medicine alternative, consiste nell’inventare di sana pianta una teoria
apparentemente scientifica sulla base della semplice osservazione di corrispondenze
analogiche, di forma o di contenuto (Brancato, Pandolfi, 2003; Skrabaneck, McCormick,
2002). Gli argomenti analogici, insomma, e cioè il dedurre da un certo tipo di osservazione
la matematica certezza che ciò che appare in una certa forma debba produrre lo stesso
effetto anche in entità diverse, purché somiglianti esteriormente, sono una delle più grandi
trappole del pensiero popolare, alimentata dall’uso di questo procedimento cognitivo in
quella che, per la maggior parte della popolazione del mondo occidentale, era l’unica fonte
di sapere, e cioè la religione (Giusberti, Nori, 2000; Sanfo, 2003). Si ricordi che la Genesi
commette il primo errore cognitivo della storia attribuendo a Dio la creazione dell’uomo “a
sua immagine e somiglianza” (quando è piuttosto più probabile, come afferma Feuerbach
(2006), che avvenne semmai esattamente il contrario). In effetti, il dio dell’Antico
testamento assommava in sé tutti i difetti che l’essere umano ha diffuso e enfatizzato nel
corso della sua storia, compresi lo spirito vendicativo, la violenza e lo sterminio gratuiti, lo
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sfruttamento delle forme di vita più deboli e così via (Hitchens, 2007; Odifreddi, 2007).
L’errore, in questo caso, sta nell’attribuire assoluta validità a un dato privo di fonte e di
fondamento dimostrabile, e non tanto nella veridicità del suo contenuto. Nel versante delle
medicine alternative, gran parte del patrimonio di conoscenze dell’erboristeria è ancora
oggi fondato sull’osservazione di analogie tra forma e funzione delle piante (la digitale
purpurea sarebbe utile nelle malattie circolatorie per la somiglianza del colore dei suoi
fiori con quello del sangue umano) (Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2005).
c) Errore da accumulazione
Molte prove, ciascuna delle quali di per sé debole e sospetta, possono fornire una
dimostrazione apparentemente efficace se riunite insieme. Naturalmente, molti errori non
fanno un dato vero e corretto (Gulotta, 1999; Nicola, 2003).
Come per gli innumerevoli avvistamenti di Ufo, così le medicine alternative portano a
fondamento della loro esistenza ed efficacia innumerevoli prove di casi singoli. Ciò che le
rende poco credibili non è quindi il fatto che non esistano prove, è il fatto che ne esistano
troppe. Ovviamente, ne basterebbe una sola, ma inequivocabile.
d) Errore da enfatizzazione di qualità esistenti
Gran parte del cosiddetto nutrizionismo e dell’alimentazione naturale e alternativa si fonda
sull’errore di pensare che se un certo alimento o nutriente possiede una certa qualità,
quest’ultima produca benefici sulla salute dell’organismo umano in misura direttamente
proporzionale alla sua assunzione (Bouvet, 1999).
e) Euristica della disponibilità
Si tratta di uno strumento cognitivo che applichiamo con frequenza sia in fase di raccolta
dei dati (si veda in proposito a pag. 34) sia in fase di applicazione del ragionamento di tipo
induttivo.
Per come ragioniamo nella vita quotidiana, la normalità o l’eccezionalità di un evento
dipende dalla sua disponibilità mentale, cioè dal numero di esempi simili e rilevanti
presenti nei nostri personali ricordi. Ciò porta a stimare la frequenza e probabilità di un
evento basandosi su dati che sono facilmente richiamabili alla memoria (ma non sono
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rappresentativi della reale distribuzione del fenomeno) e quindi a generalizzare creando
induttivamente in modo erroneo una regola generale (Gulotta, Boi, 1997).
È evidente il rischio di una valutazione parziale o soggettiva, tant’è che sarebbe utile
limitare ed usare questa delicata strategia solo in casi di incertezza, oppure quando è
impossibile accedere a dati certi. Ma non è così.
Per esempio, si considera efficace una cura alternativa perché ha funzionato in un caso di
cui si ha diretta testimonianza. L’errore consiste nell’estendere la portata del caso singolo
alla generalità dei casi. Inutile sottolineare la pericolosità di una simile strategia, perché
usando sistematicamente la calda immaginazione al posto della fredda logica si finisce col
confermare e rinforzare il valore dei peggiori stereotipi. Nei nostri ricordi, per esempio,
non piove mai, diluvia sempre. E le gocce di rimedio alternativo non sono andate ad agire
insieme ad altri fattori sulla salute di nostro figlio malato, ma hanno avuto un effetto
straordinario e miracoloso (Nicola, 2003).
f) Euristica della rappresentatività
Si tratta della strategia cognitiva con cui si tende a valutare la probabilità di un evento in
relazione alla pregnanza dei dati posseduti, a discapito delle probabilità statistiche (Bara,
1999; Gulotta, Boi, 1997).
Per invogliare a iscriversi a un corso di naturopatia si enfatizzano le lettere di
ringraziamento e le dichiarazioni di fantomatici naturopati che svolgono con successo
questa attività; per osteggiare la vaccinazione si enfatizzano i pochissimi casi di effetti
collaterali o di morti (Skrabaneck, McCormick, 2002).
g) Violazione della legge dei piccoli numeri
Caratteristiche di campioni molto ridotti sono considerate rappresentative della popolazione
dalla quale sono tratte (Gulotta, Boi, 1997).
Per esempio: si comprano i biglietti della lotteria in una certa rivendita perché in passato un
biglietto da essa venduto ha vinto; l’osservazione di un segno sull’iride di poche persone
corrispondente a una malattia, peraltro diffusissima, unita al riscontro che tali soggetti sono
effettivamente affetti da quella malattia, rende l’osservazione un dato “scientifico”.
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3 . 3 . 4. Errori nel ragionamento abduttivo
a) Inadeguatezza dei dati
Si ignora il contesto (Gulotta, Boi, 1997; Nicola, 2003; Watzlawick, Beavin, Jackson
1971): si valuta un fatto come se le cause fossero inerenti ad esso, a prescindere dal
contesto in cui si verifica. Per esempio, il fatto che una pianta dia o non dia buoni frutti
viene attribuito alla qualità della pianta stessa, trascurando le caratteristiche del terreno e
del clima; il fatto che qualcuno guarisca viene attribuito alla sua forte fibra, se non ha
assunto farmaci, al buon Dio, se chi gli vuol bene ha pregato per lui, al rimedio omeopatico
se si preferisce credere in un rimedio “laico”. In realtà, non si prende in considerazione il
fatto che la remissione dei sintomi può essere dovuta alla naturale disintossicazione messa
in atto dall’organismo, e che richiede solo un certo periodo di tempo per produrre effetto.
b) L’errore ecologico
È quasi spontaneo commettere questo banale errore in situazioni come la seguente: gli
africani mangiano più fibre degli europei, hanno feci più voluminose, e sono soggetti meno
degli europei a malattie gravi come il cancro del colon. Oppure che gli esquimesi che si
cibavano principalmente di carne di foca erano praticamente immuni da rischi
cardiovascolari. Abitudini e aspetti dello stile di vita di persone che vivono in contesti e
ambienti molto diversi dal nostro vengono isolati dall’ambiente da cui provengono per
essere erroneamente interpretati come causa di una minore incidenza di certe malattie
diffuse invece nel mondo occidentale (Sanfo, 2003; Skrabaneck, McCormick, 2002).
50
Capitolo 4°
Il pensiero magico e le medicine alternative
L’illusione cognitiva conduce a commettere errori cognitivi, così come il miraggio conduce
a un errore nella percezione visiva. Quando commettiamo errori cognitivi, siamo soliti
definire il nostro comportamento come “stupido” in quanto irrazionale. Quelli di cui ci
siamo occupati nel capitolo precedente sono quegli errori dovuti a illusioni cognitive, che
più di altri affondano la loro eziologia nell’irrazionale, sia o meno riconosciuto come tale.
Si tratta di quegli errori più difficili da correggere perché il nostro convincimento sulla
verità o sulla possibile verità di un’affermazione non si fonda su dati di fatto e su
un’attività di valutazione logica (altrimenti non si tratterebbe di errore), ma sulla fede
nell’irrazionale o sul desiderio che le cose stiano come piacerebbe a noi e non per quello
che sono. Gli errori cognitivi sono generati quando il nostro mondo psichico emotivo,
infantile e appunto irrazionale prende il sopravvento all’interno del processo decisionale:
se la carica emozionale cui si accompagnano è sufficientemente forte, essi sono in grado di
resistere a tutte le argomentazioni fondate sulla ragione, favorendo l’elaborazione di ogni
possibile strategia per convincerci della verità di ciò che sappiamo essere falso (Damasio,
2005; Monaco, 2007).
4 . 1 . La coerenza cognitiva
Qualsiasi strategia di evitamento non riesce a cancellare la necessità di garantire il rispetto
della nostra coerenza cognitiva: noi siamo obbligati a vivere in una condizione di coerenza,
e non possiamo vivere a lungo in contraddizione con noi stessi (Bara, 2003; Festinger,
1942; Heider, 1958; Liotti, 2007). Se lo facciamo, salvo che riduciamo i nostri processi
mentali a quelli necessari alla pura sopravvivenza, siamo costretti a vivere quotidianamente
una condizione conflittuale cognitiva: chi fuma e non riesce a smettere, è anche
consapevole del fatto che il fumo fa male. Che lo voglia o no, una parte della sua mente,
tutte le volte che accende una sigaretta, gli segnala (che questo segnale arrivi a livello della
coscienza è irrilevante) che sta facendo qualcosa di dannoso per se stesso. La
contraddizione può essere vinta solo in tre modi: sperando che la situazione esterna,
oggettiva, cambi (per esempio che tutt’a un tratto si provi disgusto per le sigarette),
51
adeguandosi a ciò che la parte razionale della mente segnala, e quindi smettendo
finalmente di fumare, oppure, e questa è la strategia più utilizzata, trasformando la
situazione e rendendola cognitivamente accettabile, magari negando l’evidenza della
nocività del fumo con la considerazione che il nonno di sua moglie è vissuto fino a
novant’anni fumando come un turco; o riflettendo che l’umanità ha sempre fumato e non si
è mai estinta per questo; che un po’ di nicotina, come ogni cosa, può solo far bene; che il
fumo in realtà fa male solo a soggetti predisposti; che comunque chi ha una fibra forte
riesce a sopportarlo bene, e così via. La strategia di mantenimento della coerenza cognitiva
può anche spingere a comportamenti più attivi, come per esempio quello di andare alla
ricerca di giustificazioni scientifiche o pseudoscientifiche oppure alibi e interpretazioni
psicoanalitiche.
Il processo che permette il recupero della coerenza cognitiva applicato alla gestione della
salute tramite il ricorso alle medicine alternative si avvale dell’adozione di tutti quei
comportamenti fondati su euristiche ed errori cognitivi che abbiamo descritto nel capitolo
precedente. I processi mentali che conducono a riconoscere l’efficacia di una cura anche
quando essa non si produce sono sintetizzabili in questi termini: se la medicina si è
dimostrata incapace di risolvere un problema di salute è evidente che in seconda istanza
non si potrà che rivolgersi al “parente povero” della medicina ufficiale. Ma perché quella
alternativa sia efficace ci si dovrà convincere che lo sia. Per farlo, si dovranno magari
mettere in dubbio le stroncature e le critiche della scienza e della medicina ufficiale, e molti
fattori possono essere d’ausilio in questo senso: la considerazione che la scienza ha
oggettivamente dei limiti, il fatto che la medicina alternativa, in varie forme, è sempre
esistita, che la sua inefficacia non è mai stata provata in maniera definitiva e
inequivocabile, che forse esiste un complotto che mira a nasconderne l’effettiva efficacia,
che comunque interessi politici e di lobby cercano di screditarla; in più, anche dei medici
regolarmente iscritti al relativo Albo la praticano. Quindi, facendo una inferenza che
configura un classico errore induttivo, le medicine alternative hanno un fondamento serio e
scientifico. Di qui all’attribuire una migliorata condizione di salute all’effetto della cura
alternativa, il passo è breve, specialmente se ricordiamo il dato fondamentale, secondo cui
alle cure alternative non ci si rivolge quasi mai per patologie gravi, di competenza medica,
ma per semplici disturbi e malesseri (si veda in proposito il paragrafo 2 . 3 .).
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4 . 2. Pensiero logico e pensiero magico nelle medicine alternative
Il “pensiero logico” è comunemente considerato la forma di pensiero per eccellenza e per
antonomasia, contrapponendosi a quello che, guidato da pulsioni e istinti, non potrebbe
neppure, a rigore, essere definito come pensiero, in quanto il nostro comportamento è in
questo caso dominato da processi fisiologici che agiscono indipendentemente e persino
contro il pensiero razionale (De Martino, 1948; Giusberti, Nori 2000; Monaco, 2007). Il
pensiero è quindi per sua natura il frutto dell’elaborazione di strategie utili nella lotta per la
sopravvivenza. La teoria evoluzionistica della selezione naturale sostiene che coloro che
hanno saputo trarre insegnamento dalle esperienze negative hanno elaborato schemi di
azione fondati sul pensiero razionale (Dawkings, 2006; Dennet, 2004; Edelman, 1995;
Nunn, 2006). Quest’ultimo sarebbe la risultante dell’elaborazione di dati forniti dai sensi e
dall’esperienza che ci comunicano le esigenze del lato pulsionale e istintivo della nostra
personalità (Damasio, 2005; LeDoux, 2003). Non esiste, insomma, un pensiero impulsivo e
istintivo, ma solo impulsi e istinti. Che poi questi, dopo aver agito e condizionato le nostre
azioni e le nostre scelte, vengano analizzati e contestualizzati, che su di essi si compia
un’elaborazione logica e razionale (come quando si ricostruisce psicoterapeuticamente
l’episodio di un accesso di rabbia o di violenza), non significa che in quell’episodio si sia
fatto uso del pensiero, ma solo che di esso si sta facendo uso ora, in un secondo tempo, per
contestualizzarlo e per comprenderne le motivazioni (Bara, 2007; Damasio, 1995, 2005).
Ma il pensiero, se non deve essere confuso col comportamento istintivo, non è neppure
soltanto logico e razionale. Esiste un pensiero di livello inferiore, meno evoluto e
sofisticato, potremmo dire, più superficiale, che è appunto il pensiero magico, nelle sue
varie forme. Il pensiero magico, a differenza di quello logico, è un pensiero ipotetico
induttivo (Giusberti, Nori 2000; Levy-Bruhl, 1966; Monaco, 2007; Nicola, 2003). Nel caso
del pensiero logico induttivo si parte da una serie di osservazioni e se ne cerca il legame, la
causa e il minimo comune denominatore. Se lo si trova, questi fatti restano uniti sotto una
legge che tende a spiegare tutti i fenomeni che ricadono nello schema dei precedenti. Se le
premesse sono vere sono tali anche le conclusioni che possiamo trarre per tutti i casi che
rientrano nella categoria così definita, arricchendo così il contenuto informativo delle
premesse (Bara, 1999; Pedon,Gnisci, 2004).
Il pensiero magico non mira all’arricchimento della conoscenza, perché questa conoscenza
è già stata definita e delimitata a priori (di solito in un passato che si perde nella notte dei
tempi, privo di fonti documentate e certe) (Eliade, 1976), per cui non sottopone a verifica,
53
secondo regole rigorose, il dato, le sue caratteristiche, il suo contesto. Non si preoccupa,
cioè, che le sue premesse siano vere, ma ritiene sufficiente che siano verosimili. Ci
troviamo in realtà di fronte a una tipica situazione risolvibile, secondo il famoso principio
del “rasoio di Occam” (Ghisalberti, 1972; Hitchens, 2007), eliminando le ipotesi o le
costruzioni cognitive che nulla aggiungono alla nostra conoscenza del fenomeno. Oggi,
come nell’antichità, la mancanza di dati relativi alla realtà che ci circonda ci costringe in
qualche modo a dare una spiegazione dei suoi fenomeni sulla base delle conoscenze
disponibili nell’ottica del paradigma cognitivo dominante (Kuhn, 1969). Ma fino a pochi
decenni fa, cioè fino al consolidamento, a livello internazionale, del principio della
necessità di una conoscenza diffusa e condivisa secondo il metodo e le regole della scienza,
era comunemente accettata l’idea che si potessero utilizzare, anche nella pratica clinica,
dati non sufficientemente supportati da evidenze scientificamente dimostrate e documentate
(Garlaschelli, 1999). Anche la ricerca scientifica era ancora permeata da uno spirito portato
ad affidarsi a miti, tradizioni e a dogmi, piuttosto che all’osservazione e alla ricerca
empirica (Dennet, 2000; Evans, 1948). Trasferire questo modo di pensare al giorno d’oggi,
e cercare di incastrarlo a forza all’interno di schemi e criteri scientifici, è un’ operazione
priva di senso.
Il pensiero magico è quindi di tipo ipotetico induttivo nel senso che da un’ipotesi formula
non una legge nel senso scientifico del termine (come tale soggetta a critica e
modificazione o cancellazione), ma una legge nel senso mistico del termine, cioè un dogma
(Pedon, Gnisci, 2004). Nel pensiero logico scientifico una serie di conoscenze conduce alla
formulazione di una legge alla luce della quale si cerca di spiegare altri aspetti sconosciuti,
cercando di inserirli all’interno della legge stessa. Se non ci si riesce, la conoscenza
paradossalmente si arricchisce, perché conoscenza non è solo acquisizione di nuovi dati,
ma anche eliminazione di dati scorretti o inutili. Nel pensiero magico una legge è un dogma
che cerca di spiegare tutta la realtà : lascia ad altri il compito di spiegarla in termini logico -
razionali, ma si preoccupa solo della sua applicazione: quindi non ha a cuore la
conoscenza, ma solo la ripetizione rituale di una serie di dogmi. Eventuali conferme
scientifiche alle sue ipotesi sono sempre benvenute, non altrettanto le smentite, che
vengono sistematicamente ignorate attraverso, tra l’altro, diverse strategie cognitive.
Questo atteggiamento antiscientifico è particolarmente pericoloso nel campo della salute
perché si fonda, come ogni espressione di pensiero magico, su una serie di illusioni
cognitive, prima tra tutte che la cura sia efficace (senza dimostrazione del fatto) e che
l’efficacia sia l’aspetto più importante della cura. Al contrario, “l’esito positivo è meno
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importante dell’aver capito come lo si è prodotto. Solo se si sa come un risultato è stato
raggiunto, infatti, si potrà ottenerlo di nuovo, altrimenti per ogni successo pubblicizzato ci
saranno sempre un numero indefinito di fallimenti occultati” (Bara, 2000, p. 89).
Il pensiero magico viene utilizzato per cercare di garantire ordine e coerenza del sé
nell’incessante fluire dell’esperienza, secondo un mandato biologico che richiede di dare
una spiegazione di ciò di cui facciamo esperienza. È quindi un tipo di pensiero
filogeneticamente e ontogeneticamente precedente il pensiero logico e razionale che ha
dato vita al pensiero scientifico (Bara, 2003; Veglia, 2007). Esso ha una sua ragione di
esistere perché può spiegare la realtà in termini utili per l’essere umano, soprattutto quando
di questa realtà si conosce poco o nulla; ma nel momento in cui la conoscenza del
fenomeno progredisce portando dati contradditori, anziché cercare di comprendere il dato
contrario, il pensiero magico lo rimuove semplicemente. Nel pensiero magico la
conoscenza è cristallizzata nel dogma, non è esposta a falsificazione e quindi non si
arricchisce né si modifica, opponendosi a ogni cambiamento perché il suo scopo non è la
ricerca della conoscenza, ma la difesa di quote di sicurezza già acquisite (Dorfles,1977;
Veglia, 2007). È quanto avviene precisamente nel campo delle medicine alternative, tutte
fondate su dogmi, principi, tecniche e protocolli nati in un lontano passato e mai esposti a
verifica scientifica (Skrabaneck, McCormick, 2002).
Il pensiero magico non stabilisce neppure regole che richiedono un confronto, un dibattito
e una condivisione di vedute, circa le modalità di raccolta e definizione dei dati, e neppure
si preoccupa che questi dati siano in numero sufficiente da offrire, secondo le leggi della
statistica (anch’esse nate da condivisione) una ragionevole certezza circa la veridicità delle
osservazioni e delle conclusioni.
Il pensiero logico invece opera necessariamente adottando il metodo scientifico,
formulando un’ipotesi e verificando tale ipotesi sulla realtà, seguendo operazioni logico-
matematiche (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, ordinamento, sostituzione,
inclusione in classi, relazioni) e spazio-temporali (reversibilità, compensazione) (Miller,
1983). Le sue conclusioni, le decisioni che ad esso faranno seguito, saranno quindi fondate
su scelte dettate dall’adesione a leggi, principi e regole della statistica e del calcolo
probabilistico. Ma l’osservazione che chiunque di noi può fare riguardo alle scelte proprie e
altrui nella vita quotidiana ha mostrato la frequente e quasi costante violazione di principi e
regole proprie della razionalità, mettendo in evidenza il ripetuto ricorso, al di là dei
meccanismi automatici, di forme di ragionamento che rientrano nella sfera del “pensiero
magico” o pensiero “quasi magico” (Giusberti, Nori, 2000).
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Piaget è stato uno dei primi studiosi del pensiero magico e ha osservato come questa
modalità primitiva di funzionamento dell’apparato psichico sia presente nel bambino come
nell’adulto, anche se tende a scomparire una volta raggiunto lo stadio del pensiero
operatorio concreto e formale, lasciando il posto alla logica ipotetico-deduttiva (Piaget,
1955). Oggi si è abbandonata la visione dicotomica secondo la quale pensiero magico e
pensiero logico contrapponevano la mentalità primitiva a quella moderna; si preferisce
considerarle come due strutture mentali conviventi nella mente adulta, che si manifestano
con due forme di pensiero in costante interazione nella quotidiana analisi e
rappresentazione della realtà, anche se la struttura del pensiero magico resta più evidente
nelle civiltà primitive e quella del pensieri razionale tra i popoli che vivono nei paesi
occidentali e più moderni (Levy, Bruhl, 1966; Perussia, 2003).
4 . 3. Struttura e funzioni del pensiero magico in medicina alternativa
La descrizione della struttura e del funzionamento del pensiero magico è importante per
poter comprendere come esso stia alla base sia delle credenze magiche propriamente dette,
sia di molte convinzioni e atteggiamenti che condizionano comportamenti quotidiani
comuni, come il ricorso alla medicine alternative.
La caratteristica principale del pensiero magico è la cosiddetta “partecipazione” (De
Martino, 1948), particolare struttura cognitiva attraverso la quale si crea la percezione del
rapporto tra due fenomeni che è invece assolutamente non reale e inesistente.
Conseguentemente, la magia operata dal pensiero si concretizza nell’illusione che si
stabilisce in un individuo che, più o meno consapevolmente, si convince di poter
modificare la realtà. Nei popoli primitivi questa partecipazione è evidente nell’utilizzo che
essi fanno dei simboli a scopo magico-terapeutico. In questi casi il simbolo non rappresenta
semplicemente, ma “è” il rappresentato. Una conseguenza evidente di questa modalità di
pensiero è visibile nelle pratiche magiche, presenti in Occidente come nel resto del mondo,
in cui l’azione sul simbolo è ritenuta equivalente all’azione diretta sulla persona cui
l’oggetto appartiene (De Martino, 1948; Frazer, 1990).
Il legame partecipativo presente nel pensiero magico può essere stabilito tra gesti, oggetti,
eventi, pensieri e intenzioni, dando luogo a diverse tipologie o forme di “partecipazione”:
• Partecipazione tra gesti e eventi: la persona che compie un gesto dotato di un certo
valore simbolico ritiene di poter influire su un evento (se si indossano indumenti di
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colore blu essi andranno ad attivare le nostre energie mentali; se si assumono poche
gocce del rimedio che ha fatto guarire altre persone, anche io guarirò).
• Partecipazione tra pensiero ed eventi: la persona ritiene di poter modificare la realtà con
un pensiero. Per esempio, se terapeuta e cliente pensano intensamente a quale tra i
rimedi omeopatici è più utile al caso specifico, la forza del pensiero condurrà a scegliere
quello giusto. Si tratta della tecnica insegnata nei corsi di formazione per l’uso delle
apparecchiature di biorisonanza (riservate solo alla classe medica) in cui la scelta del
rimedio effettuata dall’apparecchiatura può essere utilmente confermata da questa
tecnica mentale (Sanfo, 2005).
• Partecipazione degli oggetti tra loro: si utilizza un oggetto per agire su un altro oggetto o
persona (si preme ripetutamente su un punto preciso della pianta del piede per riattivare
la funzionalità del fegato o dei reni, si analizza la biancheria intima del paziente per
ricavarne dati sulla sua salute) (Frazer, 1990).
• Partecipazione di intenzioni: si pensa che la semplice intenzione possa agire sulla
volontà di un’altra persona (nella “terapia craniosacrale” insegnata dall’osteopata
americano Upledger (1997) l’intenzione di indurre le cellule del sistema immunitario a
rinforzarsi e a difendere meglio il paziente viene trasmessa verbalmente parlando alle
cellule stesse come se fossero esseri umani).
La presenza predominante del pensiero magico nella vita mentale infantile, così come in
quella dei seguaci delle medicine alternative, è giustificata da tre funzioni principali,
parzialmente sovrapponibili (Bonino, 2000):
1. Funzione difensiva, fondata sulla convinzione, che tale pensiero alimenta, di poter
controllare la realtà; tale funzione è fondamentale in età evolutiva per affrontare
situazioni altrimenti insopportabili che provocano angoscia o insicurezza. Essa è
anche la ragione per cui in situazioni problematiche, drammatiche e traumatiche
(per esempio quando la loro salute è minacciata) alcuni adulti regrediscono, facendo
ricorso a questa forma di pensiero pur di non accettare ed affrontare la realtà.
(L’esempio più evidente è quello del dott. Bach (1996), che di fronte all’impotenza
e al fallimento della medicina nel salvare la vita alla moglie, scelse di rifugiarsi nel
pensiero magico affidandosi alle virtù terapeutiche dei fiori, piuttosto che
continuare ad approfondire gli studi in medicina).
2. Funzione propiziatoria, fondata sulla convinzione che ci siano forze misteriose ma
dominabili che regolano gli eventi (Dorfles, 1977; Eliade, 1976; Monaco, 2007). Il
richiamo al significato simbolico della cura e del rimedio, la ritualità esasperata e
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priva di logica interna, la fede assoluta nell’intrinseca validità della cura e la
refrattarietà alle critiche sono tutte caratteristiche che si accompagnano all’uso di
questa funzione.
3. Funzione conoscitiva, per cui il pensiero magico riempie i vuoti lasciati dalle altre
forme di pensiero e rivela ciò che non può essere conosciuto secondo la logica (De
Martino, 1948). Si tratta dell’aspetto “nobile” delle medicine alternative, le quali,
secondo i loro sostenitori, permetterebbero un ampliamento delle nostre conoscenze
esplorando territori non raggiungibili dai limitati strumenti della logica scientifica
(Sanfo, 2005). Tutto vero, se non fosse che queste medicine pretenderebbero di
spingersi al di là dell’universo conosciuto (come l’arte, la filosofia hanno sempre
fatto, del resto), ma poi di ritornare nel nostro mondo cariche di doni per l’umanità,
utilizzabili senza problemi anche se provenienti da un’altra dimensione, non reale.
In ambito omeopatico, per esempio, si fa riferimento agli studi di Plank e di
Einstein e agli esperimenti che mostrano l’esistenza e il comportamento delle
particelle subatomiche per dare fondamento alla teoria secondo cui lo scuotimento
della provetta contenente la sostanza determinerebbe, (come in un acceleratore di
particelle casalingo) l’emissione di energia che si trasferirebbe dalla sostanza diluita
nella sostanza diluente, cioè l’acqua (Benveniste, Davenas, Beauvais, Amara,
Oberbaum, Robinzon, Miadonna, Tedeschi, Pomeranz, Fortner, Belon, 1988).
È stato autorevolmente sostenuto ( Fusi, 2006; Giusberti, Nori, 2000; Monaco, 2007; O’
Regan, Hirshberg, 1993), che in certe circostanze, in situazioni di difficoltà e di
disperazione, o quando non si posseggono strumenti intellettuali e culturali sufficienti per
contestualizzare gli eventi, è molto difficile dare la preferenza alla scienza, che ammette i
propri limiti, rispetto a una medicina alternativa che come ogni religione promette una
premio a chi crede (Dawkings, 2007; Dennet, 2000, Hitchens, 2007; Odifreddi, 2007). La
medicina alternativa fa sognare di poter guarire ciò che la scienza non sa fare e in certe
circostanze questo è preferibile alla dura realtà (Garlaschelli, 1999; Skrabaneck,
McCormick, 2002). La percezione dell’efficacia delle medicine alternative nasce anche dal
fatto che quando la malattia o il disturbo di cui la persona soffre rientra nella categoria di
quelli autolimitanti, o fluctuating (cioè in pratica di quei disturbi che regrediscono per
riequilibrio omeostatico), la credenza e il wishful thinking attribuiscono alle qualità
intrinseche delle cure alternative il merito della guarigione. In aggiunta, si consideri che la
volontà e il desiderio di guarire, specialmente nei casi di disturbi di gravità relativa,
costituiscono un formidabile strumento di accelerazione dei processi fisiologici di
58
autoguarigione (Dobrilla, 2004; Moerman, 2004; Sapolsky, 2006). Per questo motivo
riteniamo indispensabile convogliare le risorse di studiosi, terapeuti e ricercatori verso
questi fattori “interni”di guarigione, scientificamente analizzabili, anziché su fattori esterni
come i fantasiosi, ma di per sé inutili rimedi alternativi. Se pure il risultato finale, la
guarigione, fosse lo stesso, l’etica, la logica e l’epistemologia inducono a dare la
preferenza, nella scelta degli strumenti di guarigione, a quelli fondati sulla conoscenza
delle risorse umane, piuttosto che su quelli che si affidano a misteriose virtù terapeutiche
soprannaturali.
4 . 4 . L’attrazione per la magia
Come efficacemente osservano due medici molto scettici nei confronti delle medicine
alternative, “Molti non sono disposti a credere alla magia pura e semplice, ma sono più
pronti ad accettarla quando è confezionata in forma di scienza” (Skrabanek, McCormick,
2002, p.143).
Più in generale, le medicine alternative soddisfano la nostra attrazione per l’ignoto: esso
attrae e affascina più del noto, e ci porta a immergerci in esso. Tutti siamo affascinati
dall’idea che esistano i fantasmi. Ma solo chi ci crede li vede (Perussia, 2003).
Con ogni probabilità, alla base della percezione dell’efficacia e dell’utilità delle medicine
alternative da parte degli operatori del settore, c’è anche il pensiero desiderativo di
trasferire tecniche legate alle capacità di pochi individui (sciamani, uomini medicina,
guaritori), e che solo per le loro capacità soggettive potevano funzionare, a un sistema
terapeutico che si fonda su principi rigorosamente scientifici (Bara, 1999). Questa
operazione comporta quella che Dorfles definisce una mitagogia, cioè la creazione di nuovi
miti e di nuovi riti, le uniche rappresentazioni cognitive che possano sostenere ai nostri
giorni l’esistenza e l’applicazione pratica di cure palesemente inefficaci, come le medicine
alternative dimostrano di essere.
“La generale tendenza degli uomini alla credulità e alla fede nel miracoloso: sin dai primi
inizi, quando la vita ci stringe nella sua severa disciplina, si risveglia in noi una tendenza
contro l’inesorabilità e la monotonia delle leggi del pensiero e contro le esigenze
dell’esame di realtà. La ragione diventa la nemica che ci defrauda di tante possibilità di
piacere. Si scopre quale piacere procuri il sottrarsi ad essa, almeno temporaneamente, e
l’abbandonarsi agli allettamenti dell’assurdo. Lo scolaro si diletta a storpiare le parole; lo
specialista, finito un congresso scientifico, si fa beffe della propria attività; persino l’uomo
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serio apprezza i motti di spirito. Vi è un’ostilità più seria contro “ragione e scienza, le
supreme forze dell’uomo”, che aspetta solo di avere un’occasione: si affretta a dare la
precedenza al medico ciarlatano o al “guaritore” più che al medico “laureato”, è
favorevole alle affermazioni dell’occultismo nella misura in cui i suoi presunti dati di fatto
possono essere presi come infrazioni di leggi e regole, assopisce la critica, falsa le
percezioni, estorce conferme e consensi che non possono essere giustificati” (Freud, 1969,
p. 444).
Le credenze nei rituali magici e la superstizione sono una manifestazione di un predominio
del pensiero magico nella vita mentale, l'espressione del ricorso frequente o costante a
capacità pre-simboliche di pensiero, un comportamento che è connesso ad un arresto più o
meno parziale nello sviluppo di un simbolismo completo. Ma il pensiero magico si attiva
anche quando sono presenti capacità simboliche complete, essendo avviato da particolari
condizioni in cui il "pensiero logico" non ha a disposizione tutti i dati necessari per operare,
come nel caso della conoscenza dei meccanismi che regolano la salute. L’attività di
ragionamento dell’essere umano è infatti multideterminata; ciò significa che essa è
influenzata sia da fattori generali, quali le capacità logiche possedute, che da fattori
specifici individuali, come la preferenza di una modalità di pensiero piuttosto che di
un'altra, e infine, in percentuale non meno importante, da fattori situazionali (Bonino,
Reffieuna, 1999). Di conseguenza, è possibile individuare diversi esempi di comportamenti
guidati dal pensiero magico che ricompaiono in diverse circostanze che si verificano nella
vita di tutti i giorni e che implicano principalmente una rottura spazio-temporale nei
principi di causalità e lo stabilirsi di una partecipazione. Essi a volte sono attivati
nell'impossibilità di operare una stima di probabilità, altre volte sono accompagnati da un
errore nel giudizio relativo alla probabilità che un evento si verifichi.
Queste considerazioni ci riportano a quanto esposto in precedenza circa le motivazioni al
ricorso a cure alternative: gli autori che si sono occupati dell’argomento (Antonovsky,
1987; Astin, 1998; Fulder, 1996; Richardson, 2004; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz,
1991) sono concordi nel ritenere che nella scelta di sottoporsi a cure alternative la cura di
patologie passa in secondo piano rispetto al bisogno di “informazione, un approccio
olistico, miglioramento della qualità della vita, suggerimenti e consigli su come gestire la
propria salute” (Richardson, 2004, p. 1052). “Molti di coloro che si rivolgono alle medicine
alternative cercano un senso soggettivo di benessere piuttosto che semplice salute intesa
come assenza di malattia” (Diener, 1998, p. 25). Diverso è il caso per coloro che queste
discipline praticano: nella maggior parte dei casi si tratta di persone, medici e non, che
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hanno ricevuto una formazione specifica nel settore della cura delle malattie o della salute,
i quali si convincono dell’utilità di somministrare cure scientificamente inutili per molti
motivi diversi: per esempio, la delusione per una professione che nella pratica si è rivelata
più squallida, banale e meno affascinante di quanto pensavano; la consapevolezza che anni
o decenni di studio li hanno condotti a conoscere, male, una parte infinitesima di ciò che
occorrerebbe per curare e guarire davvero con efficacia; il duro confronto quotidiano con
l’inutilità delle migliori cure disponibili (Bert, 1974; Vithoulkas, 1991).
4. 5 . La rottura dell’organizzazione spazio-temporale
La rottura dell’organizzazione spazio-temporale è un’altra caratteristica fondamentale
propria della modalità magica di funzionamento del pensiero; essa agisce rendendo
possibile una causalità artificiale, illogica e paradossale (Bara, 2000, 2003; Monaco, 2007).
Si noti come proprio la rottura dell’organizzazione spazio-temporale è alla base della teoria
definita come “teorema di Bell” oggetto di acceso dibattito nell’ambito della meccanica
quantistica (Marchesi, 2000). Ma qui siamo nel campo della fisica teorica, mentre il
pensiero magico pretende di dare ad essa un’ applicazione pratica.
Rispetto alla logica spaziale la rottura operata dal pensiero magico consiste nella creazione
di una coincidenza tra il tutto e le sue parti, anche quando essi vengono separati. Di
conseguenza, per esempio, chi possieda anche una parte insignificante del corpo di una
persona, per esempio un capello, può convincersi di agire sulla persona agendo su di esso.
Nel mondo della magia ciò avviene prevalentemente a scopo terapeutico, o persino per
infliggere un danno, e non a scopo diagnostico (Frazer, 1990). Nel campo specifico della
medicina alternativa, questa coincidenza tra il tutto e le sue parti è quella che consente agli
iridologi di affermare di poter diagnosticare lo stato di salute dalla semplice osservazione di
una parte minuscola del corpo, cioè l’iride, o ai riflessologi attraverso piede o mano. La
rottura della logica temporale, che guida la causalità nel "pensiero razionale", è presente in
tutti quei casi in cui viene a stabilirsi un legame, tra una causa ed un effetto, privo di un
momento temporale ben limitato. In questi casi la dimensione temporale non viene più
vissuta come un continuum caratterizzato da un passato che precede presente e futuro, ma
viene distorta per essere adattata alle nostre esigenze. Un esempio può essere la “violazione
del principio di fissità del passato” che può essere considerato uno dei tanti comportamenti
in cui in età adulta si manifesta ancora il pensiero magico.
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4. 6 . La violazione del principio della fissita’ del passato
La "violazione del principio della fissità del passato" determina la tendenza a considerare
un evento E come dimostrazione evidente di un precedente evento A; in tal modo si
suppone che un'azione attuale (E) possa causare uno stato (A) in realtà già determinatosi in
precedenza (Bara, 2003; Cassirer, 1964; Monaco, 2007). Un esempio di questa violazione
è riportato in una ricerca condotta alcuni anni fa (Giusberti, Nori, 2000): ad un gruppo di
persone è stata data notizia che uno studio (in realtà inesistente) ha mostrato come una
maggiore resistenza ai rumori sia stata riscontrata nelle persone con costituzioni fisiche più
forti e dotate di buona salute. Una volta appresa questa notizia, in successive condizioni di
rumorosità si è osservata, nel suddetto gruppo, una tendenza piuttosto diffusa a tollerare il
rumore (giudicato sopportabile in tutti i casi). Secondo gli autori della ricerca (Giusberti,
Nori, 2000) questa tendenza è volta a dimostrare a sé stessi di avere un organismo forte e in
salute, facendo ricorso a un pensiero magico che inverte le relazioni causali, illudendosi
che se si resiste al rumore si ha una costituzione fisica forte. È importante sottolineare
come questa tendenza non sia stata riscontrata nei componenti di un secondo gruppo a cui
la notizia dello studio in questione non era stata riferita; essi infatti hanno mostrato
maggiore sincerità nel valutare il fastidio degli stimoli rumorosi a cui sono stati sottoposti,
nonostante fossero identici a quelli somministrati ai componenti del primo gruppo. In
condizioni di probabilità ignota, quindi, la mente costruisce false relazioni causali, guidate
dal desiderio di trovarsi in una condizione ambita ma che in realtà è già preesistente. Le
persone in questi casi agiscono come se potessero influenzare un risultato che è già
predeterminato (la costituzione fisica). In medicina alternativa ciò avviene anche quando si
pretende di effettuare diagnosi di “predisposizione” a patologie che possono, ma possono
anche non manifestarsi da qui alla fine dei giorni del paziente (Brancato, Pandolfi, 2005;
Moerman, 2004), o quando ci si attribuisce il merito della guarigione a notevole distanza di
tempo dall’inizio della cura, senza tener conto dell’intervento nel frattempo di possibili
altri fattori di guarigione (Gulotta, de Cataldo Neuburger 1996; Pedon, Gnisci, 2004;
Skrabaneck, McCormick, 2002).
4. 7. Wishful thinking
Anche quando la probabilità è calcolabile, spesso il pensiero non segue il giudizio basato
sulle leggi della probabilità, così come avviene in una particolare manifestazione del
62
pensiero magico, costituita dal cosiddetto "pensiero desiderativo" o wishful thinking
(Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007). Anche questa modalità
di pensiero si attiva quando il "desiderio" assume il controllo del comportamento e fa in
modo che gli eventi soggettivamente più desiderati vengano valutati come più probabili di
altri meno desiderabili (Morlock, 1967). Questa modalità di pensiero magico può essere
innocua la maggior parte delle volte che si stimano come più probabili gli eventi desiderati;
essa tuttavia può risultare particolarmente rischiosa in quei casi in cui vengono considerati
poco probabili (e così non è nella realtà) eventi negativi non desiderati. Per esempio,
nonostante il fatto che la scienza medica abbia dimostrato come le persone colpite da
infarto siano soggette a un maggiore rischio di ricadute se continuano a fumare, molti di
loro non riescono a smettere sottovalutando il rischio reale testimoniato da dati statistici
sull’incidenza del fenomeno e lasciandosi guidare dal desiderio anziché dalla ragione. Si
tratta dell’ennesima conferma dell’affermazione (Dorfles, 1977; Eliade, 1976; Giusberti,
Nori, 2000; Monaco, 2007) secondo cui gli errori cognitivi si manifestano tutte le volte in
cui il pensiero magico prevale su quello logico e l’emotività sulla ragione. Il ricorso
inconsapevole al wishful thinking, come è stato più volte sottolineato, è forse l’elemento
più tipico e diffuso alla base delle credenze nell’efficacia delle medicine alternative.
Quanto più la persona vive una situazione soggettivamente dolorosa, drammatica, priva di
facili vie d’uscita, tanto più tenderà a rivolgersi ad ogni possibile appiglio terapeutico e
cognitivo. E poiché ben difficilmente le pratiche alternative cui si è rivolto risolveranno il
suo problema, in mancanza di altre vie di fuga sarà costretto a giustificare i fallimenti e a
enfatizzare i miglioramenti, attribuendoli sempre a ciò che desidera, cioè l’efficacia della
cura alternativa, piuttosto che ciò che non desidera, cioè cambiare la propria visione della
vita (Sapolsky, 2006). È evidente che è molto più semplice assumere un rimedio e
convincersi che funziona, piuttosto che indagare sui processi che hanno condotto alla
malattia e che richiedono capacità di autocritica, necessità di attingere alle proprie risorse,
una certa dose di sofferenza, sforzo e sacrificio, cioè l’insieme dei reali fattori che
permettono il recupero della salute (Bara, 2003; Murray, Pizzorno, 2000). La pericolosità
del ricorso al wishful thinking è la stessa del ricorso a medicine prive di fondamento ed
efficacia: in entrambi i casi la persona rinuncia a fare scelte dettate dalla conoscenza
condivisa della realtà e dalla ragione per rifugiarsi in un mondo fittizio, appunto “magico”
in cui le cose accadono secondo i nostri desideri. La conseguenza sarà inevitabilmente
l’ingresso in un circolo vizioso fatto di continua ricerca di soluzioni attraverso cure e
terapeuti miracolosi, piuttosto che la ricerca di sé stessi e delle possibili fonti di guarigione.
63
4. 8 . Simboli e rituali nelle medicine alternative
I rituali sono costituiti di gesti, comportamenti e abitudini che assumono il valore di
possibilità di controllare gli eventi reali attraverso il meccanismo già illustrato della
“partecipazione” (De Martino, 1948). Tutti, più o meno, fanno ricorso a rituali: essi sono
alla base delle superstizioni e delle credenze, cioè di tutte le manifestazioni del
comportamento umano in cui si abbandona il pensiero logico in favore di quello magico, e
sono tanto più frequenti quanto più ci si trova in condizioni di insicurezza e di ansia e
aumenta il desiderio o la necessità di controllare la realtà (Eliade, 1976). Ne sono esempi
innocui l’indossare sempre lo stesso capo di abbigliamento prima di un esame o una gara,
lo scendere dallo stesso lato del letto ogni mattina, il controllare più volte di aver chiuso il
rubinetto del gas o aver sbarrato la porta di casa, l’uso di un oggetto come portafortuna.
Essi diventano pericolosi quando assumono il controllo della vita di una persona,
controllandone e condizionandone scelte, comportamenti, opinioni.
È quello che accade, a nostro parere, quando le medicine alternative sono utilizzate senza
alcun riferimento alla loro effettiva finalità, anzi distorcendola a proprio vantaggio e
tradendone in questo modo il vero significato. Naturalmente, l’elenco delle pratiche
magiche cui si rifà la medicina alternativa sarebbe lunghissimo e qui vale la pena fare solo
alcuni accenni. Si consideri comunque il fatto che la somministrazione di una cura priva di
efficacia scientificamente dimostrata si configura come una sorta di rituale, presentato
come necessario ai fini del recupero della salute, che può condizionare la vita della
persona, illudendola circa il fatto che la sua salute possa dipendere dalla rigorosa
osservanza di prescrizioni imposte da altri e non dal proprio intimo, profondo e razionale
convincimento (Bara, 2003; Liotti, 2006).
Quanto al simbolismo, la medicina alternativa si basa su simboli per poter effettuare i suoi
rituali, mentre la medicina scientifica si basa su sostanze, procedure e strumenti privi di
valore simbolico, ma solo terapeutico. Tutti i rimedi utilizzati in medicina alternativa infatti
sono di per sé inefficaci a produrre gli effetti che si propongono, vuoi perché privi di reale
efficacia terapeutica, vuoi perché anche quando questa esiste, come in fitoterapia, il
principio attivo è solitamente presente in quantità così bassa da produrre effetti minimi e
normalmente inutili (se non fosse per il placebo) (Skrabaneck, McCormick, 2002).
In medicina alternativa la raccolta, la preparazione e la somministrazione dei rimedi segue
specifici rituali, per cui le gocce, le erbe, o le stesse apparecchiature non svolgono la loro
funzione di per sé, per le loro qualità terapeutiche intrinseche, ma o come oggetti
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transazionali, o perché rappresentano il potere di guarigione (Sanfo, 2003, 2005). Ma il
simbolismo è presente anche nel convincimento dei terapeuti che esista una sorta di
informazione racchiusa all’interno della materia, che può essere estratta e utilizzata ai fini
terapeutici. La materia, secondo il pensiero magico dei medici alternativi (Butto, 2003;
Chopra, 1992; De Chirico, 2000; Pace, 1933) , sarebbe solo il trasportatore attraverso il
quale è possibile veicolare il significato espresso dalla materia nelle sue varie forme. Tutto
ciò che esiste in natura, in altre parole, porta con sé un messaggio o una informazione
(l’animismo è una caratteristica tipica del pensiero magico infantile), che le medicine
alternative pretenderebbero di padroneggiare e veicolare a loro piacimento. Si tratta di una
concezione che affonda le sue radici nell’esoterismo (Dorfles, 1977; Ferrieri, Lodispoto,
2001; Sanfo, 2005), per cui ogni cosa rimanda a un significato retrostante in una specie di
gioco di specchi in cui, per esempio, un minerale è il riflesso terrestre delle caratteristiche
di un pianeta, il quale a sua volta è il riflesso di caratteristiche tipicamente umane. In
medicina tradizionale cinese i nostri organi rimandano al circuito dei meridiani cui
appartengono, linee invisibili che corrono lungo il corpo e che rimandano a cicli naturali
stagionali, alle caratteristiche degli elementi (fuoco, metallo, terra, legno, acqua) secondo
una simbologia affascinante quanto priva di logica e specialmente di utilità pratica (Nei-
Ching, 1995; Zukav, 1995).
4 . 9 . La fede
La fede in Dio o in qualsiasi entità soprannaturale, cui rivolgersi allo scopo utilitaristico di
ottenere in cambio della devozione un mantenimento o miglioramento dello stato di salute,
proprio e dei familiari, è una pratica diffusissima (Fusi, 2006; Pavese, 2005). Nonostante i
numerosissimi casi di “guarigioni straordinarie” riportati in letteratura (Hirshberg, Barash,
1995; O’ Regan, Hirshberg, 1993), manca, naturalmente, qualsiasi riscontro scientifico
circa l’esistenza di un nesso causale tra intervento divino e guarigione. Alcuni autori (Bara,
2003; Dawkins, 2007, Dennet, 2000; Hitchens, 2007; Nunn, 2006; Odifreddi, 1999, 2007;
Veglia, 2007) ritengono che un approccio corretto e positivo alla salute dovrebbe però
fondarsi sulla consapevolezza della propria individuale condizione di salute e sulla propria
volontà di promuoverla attivamente attraverso scelte dettate dalla ragione e dalle
conoscenze scientifiche. Altrimenti, il rischio è quello di affidare ad altri o ad altre entità
sconosciute la responsabilità anche di quanto è in nostro potere fare ai fini della salute.
Abbiamo illustrato nel capitolo precedente quali e quanti illusioni ed errori cognitivi
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conducono grazie al wishful thinking ad attribuire a ciò che desideriamo la causa dei nostri
mali e il merito delle nostre guarigioni. I meccanismi che regolano questo perverso e
pericoloso modo di vivere le relazioni causa/effetto nella vita quotidiana, che limitano la
responsabilità individuale nel processo di guarigione, inducendo il convincimento
dell’efficacia di un rimedio come dovuto a fattori non dimostrabili scientificamente, è lo
stesso sia in medicina alternativa, sia nella pratica della fede religiosa.
Si considerino ora le somiglianze e le analogie ravvisabili tra medicine alternative e
religione. Entrambe:
• si fondano su verità incontestabili e rivelazioni prive di prova.
• sono refrattarie ad ogni modificazione.
• si fondano su rituali immutabili di cui si è perso il significato per i più.
• sono nate agli albori del cammino che ha condotto allo sviluppo formidabile della
conoscenza, prima che la scienza esistesse (basi della medicina ippocratica, cinese,
indiana) o prima che la scienza ponesse le sue regole universali.
• cercano di spiegare la realtà in mancanza di dati. Ora che grazie alla scienza molti di
questi dati ci sono, le religioni continuano ad arroccarsi su posizioni teoriche sempre più
indifendibili (si veda la crociata creazionista), e le medicine alternative si sforzano di
legittimarsi cercando di evidenziare le coincidenze e le anticipazioni da esse effettuate,
rifiutandosi però di considerare le critiche e di rivedere alla base le teorie su cui si
basano.
• si fondano su una interpretazione di un fatto (non spiegabile dalla conoscenza e dalla
scienza, e neppure col buon senso) e cioè il significato della umana sofferenza, per
cercare di dare su questa base un sollievo e un rimedio non fondato sulla conoscenza,
ma sulla fede. La scienza invece non dà un’interpretazione di ciò che non conosce (lo fa
la filosofia), ma studia ciò che conosciamo o è possibile conoscere e cerca di trarre dai
dati di conoscenza i possibili rimedi.
Che la medicina abbia costituito, per millenni, il corrispondente laico della religione, e cioè
l’applicazione pratica della funzione della fede, che è quella di dare una spiegazione e
alleviare il dolore, è un dato su cui è stato scritto tantissimo, al punto da ritenerlo assodato
(Martinetti, 1942; Frazer, 1990; Reale, 1999; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Minois, 2003;
Corbellini, 2004). Molto meno si è scritto a proposito del fatto che se è vero che la
medicina scientifica ha mantenuto una sorta di nostalgia, almeno formalmente, per rituali e
atteggiamenti tipici della religione (Bert, 1974), è altrettanto vero che se ne è staccata
ponendosi in netta antitesi e contrapposizione sul piano sostanziale dei contenuti. Al
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contrario, noi riteniamo che le medicine alternative si fondino sullo stesso meccanismo
psicologico su cui si fonda ogni religione.
La medicina alternativa, come fa ogni bambino nella prima fase del suo sviluppo, non
accetta di adeguarsi al principio di realtà e crede di poter superare questo divario per
mezzo della fede, la magia, la semplice buona volontà (Freud, 1969; Piaget, 1955). La
medicina alternativa vive sull’ignoranza, la stessa del bambino che chiudendo gli occhi è
convinto che gli altri non lo possano vedere, la stessa del seguace del creazionismo che
rifiuta l’evidenza dei dati a favore dell’evoluzione darwiniana (Dawkins, 2006). Il
bambino però gradualmente passa dal pensiero magico a quello formale, astratto, logico,
adattandosi e sacrificando la propria pulsione verso il piacere di fronte all’evidenza della
realtà; la medicina alternativa cerca di convincere menti deboli, suggestionabili, prive della
capacità e degli strumenti culturali e intellettuali utili a cogliere il significato di ciò che
stanno facendo, che la ripetizione di certi rituali, l’uso di simboli, la fede, possano fare
letteralmente miracoli. E, in effetti, sono proprio le menti deboli quelle che credono nei
miracoli (Odifreddi, 2000, 2007; Hitchens, 2007; Dawkins, 2007).
Il seguace della medicina alternativa usa il pensiero magico con lo scopo di curare un certo
disturbo utilizzando gli stessi schemi mentali del credente che si rivolge a una entità
soprannaturale per ottenere favori o protezione. Non avendo altre armi, spesso culturali e
intellettuali, per indagare sulla natura del problema e sulle possibili soluzioni, non sarà in
grado di utilizzare il pensiero laterale, e si convincerà che non ci siano altre possibili
soluzioni (Bara, 1999; Dennet, 2000; Nunn, 2006; Rorty, 1991). Su questa base, il
fenomeno della resistenza vuole che l’eventuale fallimento sia da imputare non alla cura,
che è necessariamente perfetta, quanto alle avverse circostanze o ad altri eventi esterni.
Nelle persone in cui la mente segue prevalentemente la modalità di ragionamento magico,
quando le esperienze contraddicono il loro pensiero non nasce il bisogno di spiegare
l’insuccesso. Ciò è possibile anche grazie al ricorso a giustificazioni di ripristino della
coerenza cognitiva, in base alle quali l’accaduto è connesso all’intervento di altri fattori che
lo possono giustificare, oppure facendo riferimento a premesse diverse da quelle su cui si
fonda il “pensiero logico”e secondo cui le potenze invisibili che consentono la
“partecipazione” agiscono secondo progetti oscuri e quindi in momenti inattesi,
imprevedibili e incalcolabili (Jung, 1942; Nisbett, Ross, 1989; Taylor, 1991). Così i
fallimenti di un rituale magico possono essere attribuiti ad un errore di memoria o
nell’esecuzione del rito, al volere degli spiriti o a una “contromagia” (Malinoswsky, 1925;
Frazer, 1990).
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Se i benefici soggettivamente percepiti a seguito della sottoposizione a cure alternative
prescindono dall’effetto della cura in sé stessa, dei rimedi e dei trattamenti prestati, appare
quindi ragionevole rifiutare quelli che risultano essere scientificamente rimedi privi di
efficacia per concentrare tutte le risorse destinate alla cura a un approccio più psicologico
legato alla correzione di stili e abitudini di vita, secondo le linee guida della moderna
“positive psychology” (Argyle,1987; Abdel-Khalek, Ahmed, 2006; Engel, 1977; Gadamer,
1993; Galati, 2004; Spaltro, 2007; Veenhoven, 1997). Allo stesso modo, la necessaria
ricerca di consapevolezza circa le reali cause che ostacolano il mantenimento di un ottimale
stato di salute imporrebbe l’adozione di un atteggiamento mentale che prescinda, quanto
alle scelte legate alla salute, da ogni visione o condizionamento fideistico e dogmatico.
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CONCLUSIONI
Scopo della presente dissertazione era quello di analizzare in un’ottica biopsicosociale i
meccanismi e i processi che conducono alla percezione di modificazioni nello stato di
salute a seguito della somministrazione di cure alternative. A questo scopo si è affrontato,
in via preliminare, il complesso problema della possibilità di valutazione dell’efficacia
delle cosiddette medicine alternative. Secondariamente, e conseguentemente alle
conclusioni cui si è giunti nella prima parte, si è cercato di illustrare come la percezione
della efficacia delle medicine alternative dipenda non tanto da meccanismi di guarigione
intrinseci alle cure stesse e sconosciuti alla scienza, quanto a processi cognitivi ben noti
alla psicologia sociale, di per sé sufficienti a produrre effetti positivi sulla salute delle
persone.
Abbiamo quindi inizialmente cercato di dare una definizione di medicina alternativa in
rapporto a quella relativa alla medicina scientifica, senza trascurare, naturalmente, la
necessità di chiarire alcuni concetti ad esse indissolubilmente legati, come quelli di salute,
malattia, benessere. Stante la difficoltà di individuare una definizione che raccolga in un
significato univoco l’universo eterogeneo delle medicine alternative, resta il fatto che, in
quanto medicine, esse si rivolgono alla cura della salute dell’essere umano. Si è cercato
quindi di dare una risposta agli interrogativi: “Perché esistono delle medicine alternative?
La medicina non è una sola? Sotto quale profilo esse si definiscono alternative? Sono
alternativi i principi di base, le tecniche, i metodi di cura, o è alternativo persino lo scopo
che queste medicine si prefiggono, e cioè qualcosa di diverso dalla cura delle malattie,
propria della medicina biologica occidentale? E cosa si intende allora per malattia e cosa
per salute? La risposta a questi interrogativi, secondo la letteratura scientifica
(Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Diener, 1998; Gray, 1997; Fulder, 1996;
Köntopp, 2006; McFarland, Bigelow, Zani, Newson, Kaplan, 2002; Richardson, 2004;
Saks, 2003; Sharma, 1992; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991), sembra da
ricercarsi nell’insopprimibile bisogno di cura, affetto, considerazione, che va al di là della
semplice remissione dei sintomi e del dolore fisico, ma investe l’intera dimensione
biopsicosociale dell’essere umano.
Abbiamo quindi affrontato il problema di definire l’ambito di operatività, e quindi di
efficacia terapeutica nel senso scientifico del termine, delle medicine alternative. Il primo
problema che si è dovuto affrontare a questo proposito era paradossalmente legato al fatto
che neppure all’interno della comunità scientifica esiste convergenza di opinioni su quali
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criteri e principi fondamentali definiscano la prova e la dimostrazione scientifica di una
teoria. Si è affrontato quindi brevemente l’infuocato dibattito tra sostenitori e detrattori
delle medicine alternative, verificando come ciascuna delle due parti affermi di provare
scientificamente il contrario dell’altra.
Dopo aver osservato come nessun dato scientifico sembra suffragare la tesi dell’efficacia
clinicamente provata di queste medicine, abbiamo avanzato una prima considerazione,
quella secondo cui le medicine alternative prescindono, nella valutazione della loro
efficacia, dai principi e dalle regole proprie del metodo scientifico.
Scartata quindi la strada impercorribile che tenta di dimostrare scientificamente la loro
efficacia nella cura delle malattie confrontandola con quella medico-scientifica, e cioè
quella della misurazione della loro efficacia terapeutica, ci si è trovati però ad affrontare un
altro problema: il fatto cioè che nonostante la mancanza di prove scientifiche, queste
medicine, almeno nella valutazione soggettiva di una piccola parte della comunità
scientifica e di parte della popolazione, comunque, e nonostante tutto, “funzionino”, e cioè
mostrino, in alcuni casi, e solo per disturbi lievi e non gravemente patologici, di offrire un
certo sollievo e di alleviare sintomi di malessere psicofisico.
Sul piano scientifico ed epistemologico, però, questo dato mostra soltanto quella che è una
percezione soggettiva, ma non spiega quali meccanismi intervengano nel processo di
guarigione e in quale misura quest’ultima sia dovuta ad essi. A questo proposito si
consideri che se le medicine alternative dimostrassero scientificamente la loro efficacia
nella cura di qualsivoglia patologia, esse cesserebbero di essere alternative per essere
“inglobate” all’interno della medicina scientifica convenzionale.
Ci si è quindi proposti di dimostrare come la diffusione delle medicine alternative e la
percezione soggettiva della loro efficacia siano dovute a fattori sostanzialmente e
prevalentemente diversi da quelli dell’azione e della causalità diretta sulle patologie da
parte dell’intervento “medico-alternativo” e cioè piuttosto a fattori e meccanismi spiegabili
in termini di psicologia sociale.
A questo scopo si sono analizzati quei meccanismi psicologici che possono indurre a
orientare la nostra modalità di pensiero in senso “magico” anziché “logico” e a commettere
errori cognitivi relativamente alla raccolta, all’interpretazione ed alla elaborazione dei dati.
Certamente non si può escludere l’esistenza di fattori che agiscono sulla nostra salute e di
cui non conosciamo ancora l’esistenza (per esempio, il ruolo che muffe come la penicillina
svolgevano nel combattere le infezioni prima che questo ruolo venisse scoperto). Essi sono
oggetto di studio da parte della ricerca scientifica e mai sono stati scoperti a seguito di
70
sperimentazioni “alternative”. Oltre ad essi esistono i naturali e fisiologici meccanismi di
autoguarigione che tutti, in misura diversa, comunque possediamo (quelli, per intenderci,
che impediscono che si muoia dissanguati per una semplice piccola ferita, per esempio),
oppure la naturale e fisiologica remissione dei sintomi dovuta alla fase di riduzione di
virulenza della malattia (si pensi alle fasi alterne di relativo benessere e di grave malessere
tipiche della depressione).
Accanto a questi ultimi, che possiamo definire meccanismi di autoguarigione autonomi o
omeostatici, ve ne sono però altri che rientrano nel campo dei “processi cognitivi di
guarigione”, legati cioè alla elaborazione mentale del significato della malattia e alle
strategie cognitive di recupero della salute. È ad essi che è stata dedicata la parte
conclusiva del presente lavoro, nel quale, facendo ricorso agli strumenti messi a
disposizione dei ricercatori da parte della psicologia sociale, ci si è proposti di dimostrare il
fatto che il gradimento e la percezione dell’efficacia delle medicine alternative non
dipendano da fantasiose e mai dimostrate proprietà intrinseche delle cure e dei rimedi
alternativi, quanto piuttosto dall’intervento di fattori più squisitamente psicosomatici. Che
tutti questi fattori, insieme o isolatamente, producano anche effetti fisiologici
oggettivamente verificabili e misurabili sotto il profilo medico-scientifico, è un fatto i cui
meccanismi di produzione sono e saranno sempre più oggetto di studio da parte delle
scienze mediche e psicologiche. Non rientra negli scopi del presente lavoro la descrizione
dei processi fisiologici innescati dai nostri processi mentali ed emozionali che, per esempio
attraverso la liberazione di endorfine e oppioidi endogeni, possono favorire il
miglioramento globale dello stato di salute (Moerman, 2004; Pert, 2000). Quello che ci
proponevamo era invece più precisamente la descrizione di quei fattori e processi mentali,
di solito inconsapevoli, che conducono a modificare la nostra visione della realtà, e che
abbiamo sintetizzato sotto il concetto di “pensiero magico” (Giusberti, Nori 2000; Levy-
Bruhl, 1966; Monaco, 2007; Nicola, 2003). In altre parole la fede o la fiducia nel tipo di
cura e nel terapeuta, unita a modificazioni nello stile di vita, insieme ai meccanismi
fisiologici di autoguarigione, sembrano essere i principali responsabili dei pretesi effetti
positivi delle cure alternative.
L’ultimo problema che la percezione dell’efficacia delle medicine alternative sembra
sollevare ha richiesto di definire le caratteristiche ontologiche, epistemologiche ed
eziologiche delle medicine alternative, in rapporto alla medicina scientifica. Nel corso
dell’analisi condotta è emerso infatti quasi spontaneamente il parallelismo tra medicina
alternativa e manifestazione di fede di tipo religioso, da una parte, e quello tra medicina
71
scientifica e ragione dall’altra. Quest’ultima disciplina non si è mai proposta il compito di
aiutare l’essere umano nella ricerca della felicità, ma solo di alleviarne le sofferenze. Altre
discipline, la filosofia, la religione e le medicine alternative, sembrano invece votate allo
scopo, se non di garantire la felicità, per lo meno di analizzarla nelle sue componenti allo
scopo di tendere verso di essa.
Si sono introdotti, quindi, con l’ultima parte della dissertazione, gli argomenti che
costituiscono la nostra critica al sistema intorno al quale ruotano le medicine alternative, e
cioè il fatto che, fondandosi su illusioni cognitive e confidando sulla credulità, sul pensiero
magico e un sistema di pensiero ipotetico induttivo, vengono a confondersi più con la fede
che con la scienza, creando una commistione tra esse che le rende inutili, se non pericolose.
Si è così giunti a riconoscere come l’assoluta mancanza di dati che testimonino
scientificamente l’efficacia delle medicine alternative nella cura di qualsiasi patologia non
significhi naturalmente che esse non producano effetti sulla salute delle persone, almeno se
per salute si intende il suo significato allargato alla sfera biopsicosociale, e non solo quello
ristretto di assenza di malattia. D’altra parte, il fatto che gli studi sulla loro efficacia
(Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Gray, 1997; Fulder, 1996; McFarland,
Bigelow, Zani, Newson, Kaplan, 2002; Richardson, 2004; Saks, 2003; Sharma, 1992;
Strack, Argyle, Schwarz, 1991), siano stati svolti da ricercatori provenienti dal mondo
della psicologia più che della medicina e il continuo riferimento e legame tra medicine
alternative e ricerca del benessere induce a pensare che gli effetti di queste medicine siano
reali, ma siano da ricondurre più alla sfera psichica (o meglio psicosomatica) che a quella
della fisiologia e della patologia (Hogg 1999; Hughes 2004; Rose 1999). Rinunciando del
tutto a cercare una giustificazione della loro esistenza sul piano biomedico, la ricerca svolta
dalle scienze umane e sociali (Astin, 1998; Diener, 1998; Gray, 1997; Köntopp, 2006;
Richardson, 2004; Saks, 2003; Sharma, 1992; Sointu, 2006), ha evidenziato come gli effetti
di queste cure siano rivolti solo alla salute e al benessere psicologico. Sointu (2006), per
esempio, sottolinea come “questa enfasi sul concetto e la ricerca del benessere non
significa che le medicine alternative siano inefficaci in termini di salute psicologica.
Piuttosto, l’importanza attribuita al benessere indica che ciò che queste medicine offrono è
differente rispetto a ciò che è tradizionalmente disponibile tramite il paradigma biomedico.
La nozione di benessere è una implicita critica al modo in cui la cultura biomedica ha
tradizionalmente costruito la figura del paziente passivo. Il benessere è anche ricerca di
autorealizzazione.” Nella ricerca dal titolo: “Quali sono le aspettative dei pazienti della
medicina alternativa” Janet Richardson riassume in questi termini scopi e motivazioni:
72
sollievo dai sintomi, informazione, un approccio olistico, miglioramento nella qualità della
vita, suggerimenti e consigli su come gestire la propria salute (Richardson, 2004).
È proprio al miglioramento della qualità della vita (attraverso la modificazione dello stile di
vita, piuttosto che l’assunzione di rimedi) che le medicine alternative sembrano poter
contribuire in modo significativo alla salute degli esseri umani. Come si è analizzato e
argomentato nelle pagine precedenti, la loro efficacia, valutata secondo il metodo
scientifico e in rapporto alla cura della patologie organiche, sembra limitata all’effetto
placebo. Se però esse sotto il profilo scientifico “non funzionano”, tuttavia, nei confronti di
una parte dei loro destinatari e nei limiti di effetti positivi non legati direttamente alla cura
di patologie organiche, sembrano “funzionare”.
In estrema sintesi, ciò sembra avvenire per l’effetto combinato di alcuni fattori: da parte del
terapeuta, la disponibilità, il supporto psicologico, la consulenza relativa a stile e abitudini
di vita, l’ascolto e l’empatia. I terapeuti alternativi in genere invitano la persona a riflettere
sul suo stile di vita e suggeriscono dei miglioramenti. In mancanza di dati sperimentali è
più realistico e logico ritenere che siano i miglioramenti che risolvono la patologia, non la
terapia alternativa. Le medicine alternative (quando non cercano di proporsi come medicine
scientifiche rivolte alla cura delle patologie in alternativa alla medicina scientifica)
agiscono quindi su strumenti terapeutici che la scienza sta solo oggi cominciando ad
indagare, non senza qualche sospetto e scetticismo: la consapevolezza, l’analisi razionale e
scientifica di abitudini e stili di vita, la meditazione e le tecniche di rilassamento, l’attività
fisica per migliorare l’efficienza psicofisica, in una parola, l’influenza dei nostri
atteggiamenti mentali e della nostra sfera emozionale sulla salute del corpo e della mente.
Da parte di chi si rivolge alla cura alternativa, invece, questa sembra funzionare, in alcuni
casi, per l’interazione sinergica di altri fattori: la suggestione, l’influenza carismatica del
terapeuta e quella del gruppo sociale e culturale di appartenenza del cliente, l’effetto
placebo, illusioni ed errori cognitivi a diversi livelli, l’umana attrazione per il magico, il
desiderio, la necessità o la volontà di guarire secondo il cosiddetto “wishful thinking”
(Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007).
Resta aperto il problema che emerge a questo punto dell’analisi circa l’efficacia delle
medicine alternative, e cioè quali meccanismi permettano a questi fattori “alternativi” di
guarigione di produrre modificazioni fisiologiche tali da indurre, in molti casi, un effettivo
e misurabile miglioramento della condizione di salute psicofisica. Ma questo problema,
come si è detto, esula dagli scopi e dalle possibilità della presente dissertazione,
73
coinvolgendo infatti analisi da effettuare con la partecipazione sinergica di diverse
discipline specialistiche nell’ambito delle neuroscienze e della fisiologia.
Per gli scopi del presente lavoro, ci limitiamo a tal proposito ad osservare che molti autori
(tra gli altri, Antonovsky, 1987; Damasio, 1995; Goleman, 1998; Fredrikson, 2002;
Jhonson, 2003; Spaltro, 2007) ritengono che le emozioni possono produrre modificazioni in
positivo della fisiologia non solo nell’immediato, ma anche a lungo termine. La proposta
della “positive psychology” (Abdel-Khalek, Ahmed, 2006; Argyle,1987; Engel, 1977;
Fredrikson, 2002; Gadamer, 1993; Galati, 2004; Spaltro, 2007; Veenhoven, 1997) coincide
esattamente con quella che fa da sfondo a ogni medicina alternativa: il porre l’accento sugli
aspetti e le risorse positive della persona anziché limitarsi a cercare di riparare i danni
prodotti dai traumi, dalle malattie e dalle esperienze negative della vita.
La psicologia della salute sembra quindi riassumere, riordinare e consolidare in un corpus
teorico-pratico quell’ insieme disperso e confuso di teorie, di insegnamenti e di principi che
reggono il mondo delle terapie alternative: il campo di azione della psicologia positiva
riguarda infatti gli stessi aspetti di cui si occupano le medicine alternative: ricerca del
benessere e di attività gratificanti, entusiasmo, gioia e piaceri dei sensi, ma anche ricerca di
un atteggiamento rivolto alla speranza, la fiducia, l’ottimismo verso il futuro.
Sotto il profilo della pratica clinica, rimane aperto il problema rappresentato dall’effetto
placebo in medicina alternativa: parte dei benefici delle cure alternative dipende anche dal
fatto che il complesso di rituali, tradizioni, suggestioni culturali, nonché la
somministrazione di rimedi o di trattamenti di vario tipo, esercitano verosimilmente
un’influenza positiva sul processo di guarigione e sulla percezione del benessere, non
perché efficaci di per sé, ma per il significato che trasmettono (Dobrilla, 2004; Moerman,
2004; Zangrilli, 2001). È auspicabile che il nostro contributo possa condurre ad
approfondire con attenzione e rigore scientifico il ruolo dell’effetto placebo in successivi
studi e ricerche.
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