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Lorenzo Pasquinelli
Università Vita e Salute San Raffaele
Matricola: 004261
LA RELIGIONE FASCISTA
Sommario
Sommario .......................................................................................................................................................... 1
INTRODUZIONE ............................................................................................................................................. 1
LA SACRALIZZAZIONE DELLA POLITICA ............................................................................................... 3
IL FASCISMO COME RELIGIONE................................................................................................................ 4
IL MITO DELLO STATO ................................................................................................................................ 7
IL MITO DELLA PATRIA ............................................................................................................................... 8
IL MITO DEL FASCIO LITTORIO ................................................................................................................. 9
IL MITO DI ROMA ........................................................................................................................................ 12
IL MITO DEL DUCE ..................................................................................................................................... 13
CONCLUSIONE ............................................................................................................................................. 16
INTRODUZIONE
La questione dell‟ideologia fascista ha occupato le riflessioni degli intellettuali e degli storici fin da subito
dopo la caduta del regime e ha portato a conclusioni diverse e a volte opposte. Questo in parte può essere
dovuto al fatto che il concetto di ideologia è un concetto ambiguo, che assume significati diversi ogni volta
che viene utilizzato, ma anche dal fatto che il fascismo non ha avuto un pensiero coerente e unitario, ma, con
l‟eccezione delle idee più generali, si è evoluto nel tempo e ha subito varie metamorfosi. Basti pensare che il
movimento dei Fasci di Combattimento nacque come un anti-partito, che voleva distruggere lo Stato liberale,
e solo due anni dopo divenne un partito e il suo leader divenne Presidente del Consiglio.
I primi studi sul fascismo, appena finita la seconda guerra mondiale, si svolsero come un dibattito fra tre
interpretazioni diverse1: quella liberale, quella radicale e quella marxista.
I liberali ritenevano, sotto l‟influenza di Benedetto Croce, che il fascismo fosse una manifestazione di una
malattia morale, esplosa agli inizi del Novecento a causa del diffondersi dell‟irrazionalismo nella cultura
europea. Il fascismo non era altro che un‟espressione di una fase negativa della storia.
1 A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Bologna, Il Mulino, 2011
2
I radicali e i democratici, come Piero Gobetti, ritenevano, invece, il fascismo un fenomeno non originale e
derivante dalle anomalie della storia italiana, dall‟esito di antichi problemi irrisolti e da uno sviluppo politico
ed economico diverso da quello degli altri paesi europei.
Per i comunisti e i socialisti, infine, il fascismo non era altro che un a manifestazione della lotta di classe:
nulla di nuovo, quindi, era soltanto un conflitto tra forze reazionarie e proletariato.
Come si può notare, queste interpretazioni non consideravano il fascismo come un movimento originale, che
avesse una propria ideologia, ma lo ritenevano unanimemente un movimento <<antidemocratico,
antisocialista, antibolscevico, antiparlamentare, antiliberale, antittutto>> fondato sull‟attivismo e
sull‟irrazionalismo2.
Il primo studioso che prese in considerazione l‟ideologia fascista concretamente fu Eugenio Garin3, convinto
che quella fascista fosse una cultura reazionaria di matrice cattolica e spiritualista. Garin subì l‟influenza
dell‟intellettuale comunista Antonio Gramsci da cui trasse la convinzione che le ideologie hanno un proprio
valore intrinseco e non sono delle mere sovrastrutture della realtà economica, e grazie a questo riuscì a
sostenere che le ideologie non nascono da una elaborazione di concetti coerenti ma sono il tentativo di
trasformare la realtà.
Un ulteriore passo avanti, fu compiuto da Augusto Del Noce4 che individuò nell‟attivismo e nella filosofia di
Giovanni Gentile la matrice principale del fascismo. Ispirati dal filosofo siciliano i fascisti avevano maturato
una concezione della politica intesa, non tanto come strumento per trasformare la realtà , ma come fede
religiosa, come esperienza da vivere in modo integrale e assoluto. Per Del Noce il fascismo era figlio della
secolarizzazione, che aveva portato a una concezione assoluta della politica, tentando di sostituire Dio.
Qualunque pensiero rivoluzionario, in quest‟ottica, era il tentativo di creare una religione secolare, con la
conseguenza che i regimi totalitari, rappresentavano l‟apoteosi della modernità, il suo esito più radicale.
Ma la svolta vera e propria si ebbe nel 1975, quando lo storico George L. Mosse pubblicò <<La
nazionalizzazione delle masse>>. In questo lavoro elaborò il concetto di <<nuova politica>> intendendola
come una religione laica e nazionalista, nata nella modernità a causa della secolarizzazione5. Per sottrarsi
all‟alienazione causata dall‟urbanizzazione, dall‟industrializzazione, dall‟erosione dei valori cristiani e da un
mondo anonimo e omologante, la <<nuova politica>> si era espressa, come ogni religione, attraverso una
propria liturgia, accompagnata da un apparato di miti, riti e simboli. Mosse scoprì che furono i miti e i culti
dei primi movimenti di massa che diedero le basi al fascismo su cui operare6; furono questi, infatti, creando
una partecipazione politica nuova, che permisero di intravvedere una valida alternativa alla democrazia
parlamentare.
Dallo storico tedesco prese le mosse Emilio Gentile che interpretò il fascismo come una religione politica,
espressione di miti, riti e simboli. Ma quello descritto da Gentile7 è un fenomeno diverso rispetto alla
<<nuova politica>>. Quest‟ultima , infatti, riguarda principalmente l‟aspetto della produzione simbolica e
rituale, l‟<<estetica della politica>>, intesa come modo per dare visibilità alle proprie idee politiche,
attraverso la produzione di rituali e credenze. La storia ci ha insegnato che la <<nuova politica>> non
comporta in ogni caso l‟espressione di una sacralizzazione della politica, come conferma il caso del regime
2 N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento, Milano, Garzanti, 1990, p. 153, cit. in A. Tarquini, Storia della cultura
fascista, 2011, p.12 3 E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1943, Bari, Laterza, 1955
4 A. Del Noce, Fascismo e antifascismo: errori della cultura, Leonardo, 1995
5 G. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1975),
Bologna, Il Mulino, 2009 6 Ivi.
7E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Bari, Laterza, 2001
3
franchista in Spagna, che adescava le masse attraverso forme di rappresentazione liturgiche, sempre connesse
alla tradizione cattolica, senza però la pretesa di elaborare e istituire un proprio autonomo sistema di
religione politica 8. Il fenomeno della sacralizzazione è un problema <<teologico>>
9, che comporta da parte
dei credenti una totale dedizione e devozione, paragonabile a una vera e propria <<fede>>.
Per concludere, credo che l‟ideologia fascista abbia assunto questo carattere camaleontico perché fosse
sostanzialmente orientata alla pratica, cioè, alla trasformazione dello Stato italiano in un regime totalitario. Il
totalitarismo, infatti, come ha notato Emilio Gentile10
, va inteso come un <<esperimento>> costante, che
cambia e si evolve nel tempo, che non si trova mai in natura nella sua forma pura. Per realizzare la <<via
italiana al totalitarismo>> era per i fascisti necessario creare una religione politica, ovvero un modo per
coinvolgere le masse e per sfruttarle. In questo modo ideologia, religione e totalitarismo, diventano la stessa
cosa, sia nella teoria che nella pratica.
In questo scritto, analizzerò il concetto di sacralizzazione della politica, lo individuerò nel contesto fascista, e
di conseguenza analizzerò il mito dello Stato, che riassume in sé tutta l‟ideologia fascista,arrivando a
coincidere con l‟idea di totalitarismo e la sua attuazione.
LA SACRALIZZAZIONE DELLA POLITICA
La sacralizzazione della politica è un fenomeno che si manifesta nell‟epoca della modernità quando la
dimensione politica ha cominciato ad acquisire una certa autonomia rispetto alla religione tradizionale. In
questo modo la politica, per far fronte al <<vuoto>> prodotto dalla secolarizzazione, acquista una propria
dimensione religiosa, composta da credenze, miti e simboli <<che interpretano e definiscono il significato e
il fine dell‟esistenza umana, facendo dipendere il destino dell‟individuo e della collettività dalla loro
subordinazione a un‟entità suprema>>11
.
Si possono individuare due tipi ideali di sacralizzazione della politica12
, che come tali, non si trovano mai in
natura, ma sono sempre presenti in forma parziale o mista. Da un lato possiamo trovare la religione civile,
cioè la sacralizzazione di un sistema politico che garantisce e rispetta la libertà dell‟individuo, la pluralità di
idee, la revocabilità dei governanti da parte dei governati, fondandosi sulla tolleranza. Dall‟altro lato
abbiamo la religione politica, che è, invece, fondata sul monopolio irrevocabile del potere, sull‟intolleranza
di idee diverse, e ha un carattere tendenzialmente integralista e totalitario, cioè vuole avere il controllo di
ogni aspetto della vita individuale e collettiva.
Tuttavia, esistono tre interpretazioni principali del fenomeno, che diventano utili per capire nella pratica che
cosa comporta sacralizzare la politica e da che cosa tre origine.
Secondo l‟interpretazione ciurmatorica, di cui Gaetano Mosca è uno dei principali esponenti, la religione
della politica non è altro che un mero espediente demagogico per conquistare il consenso delle masse. Infatti,
come sostiene Guglielmo Ferrero13
la rappresentazione della politica attraverso miti, riti e simboli è una
8 E. Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazia e totalitarismo, Bari, Laterza, 2001, p. 212
9 R. Moro, Religione e politica nell’età della secolarizzazione: riflessioni su di un recente volume di Emilio Gentile, in
<<Storia contemporanea>>, 2, 1995, pp. 309-18 10
E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, 2008 11
E. Gentile, Le religioni della politica: fra democrazie e totalitarismi, p. xii 12
Ivi. 13
G. Ferrero, Potere. I geni invisibili della città, Marco, I Viaggi, 2005
4
forma di legittimazione del potere, e non è, come potrebbe apparire a prima vista, in nessun caso un
fenomeno religioso o teologico, in senso proprio. In questo caso, quindi, la sacralizzazione della politica non
nascerebbe da una spontanea manifestazione di fede, ma sarebbe, invece, una consapevole invenzione di miti
e pratiche rituali, di natura essenzialmente strumentale, resa necessaria dall‟esigenza di trovare nuovi modi
per fondare e preservare la legittimità del potere in una società di massa.
Una posizione alternativa è l‟interpretazione fideistica che nasce dagli studi di Gustave Le Bon. Questa
prospettiva è opposta a quella precedente, perché sostiene che i miti e i riti possono essere anche espressione
spontanea delle masse, come prodotti del più imperioso degli istinti umani, cioè <<il bisogno di sottomettersi
comunque ad una fede, divina, politica o sociale>>14
. Una religione politica, in questo caso, non è solo un
artificio imposto dall‟alto, ma risponde al bisogno di fede delle masse in cerca di nuove credenze per avere
un orientamento nella vita, come accade specialmente nei periodi di profondi sconvolgimenti e di decadenza
delle antiche fedi.
Si collega in parte alla teoria fideistica, in quanto espressione di un‟esigenza umana collettiva, la teoria
funzionalista della religione elaborata nel 1912 da Emile Durkheim. La religione, per il sociologo francese,
consiste in <<un sistema coerente di credenze e di pratiche relative alle cose sacre, cioè separate, interdette;
credenze e pratiche che uniscono in una medesima comunità morale, che chiamiamo Chiesa, tutti quelli che
vi aderiscono>>15
. La religione è la condizione nella quale l‟individuo, in uno stato psicologico di
<<effervescenza>>, cioè di esaltazione e di entusiasmo, si trascende, immergendosi nella collettività a cui
appartiene attraverso la fede nelle credenze comuni.
Per Durkheim, la religione non esige la presenza di un essere soprannaturale, perché essa non è altro che
l‟espressione della totalità della vita collettiva. Gli individui che costituiscono una comunità si sentono e
rimangono uniti finché condividono un complesso di credenze e praticano i riti che esse prescrivono.
La modernità, producendo una situazione di disgregazione, di incertezza, e di agitazione continua, avrebbe
favorito la nascita di nuove religioni. Non c‟è società che non senta il bisogno, specialmente in periodi di
crisi, di riaffermare e rinnovare, <<i sentimenti collettivi e le idee collettive che formano la sua unità e la sua
personalità>>16
.
Il fascismo fu il primo movimento del XX secolo che mostrò i caratteri di una religione politica17
, grazie
all‟istituzione di credenze, miti, riti e simboli che divinizzavano lo Stato, e celebravano il Duce come un
mito vivente. Il motivo di questo fenomeno era semplice, rifondare lo Stato, creando uno Stato totalitario
abitato da persone, che educate ed <<elevate>> dalla religione fascista, sarebbero diventate l‟<<uomo
nuovo>>.
IL FASCISMO COME RELIGIONE
Il fascismo ha due caratteristiche fondamentali, che lo distinguono dagli altri regimi autoritari e mono partito,
che si riassumono nella “dialettica” tra mito e organizzazione18
. Da un lato (1), è stato un partito milizia, che
14
G. Le Bon, Psychologie du socialisme (1895), Paris 1920, p. 95, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 11 15
E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse (1912), Paris 1985, p. 65, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 14 16
E. Durkheim, Les formes elementaires cit., pp. 609-610, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 19 17
E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista 18
E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista
5
ha organizzato i suoi aderenti nello squadrismo, con una gerarchia e disciplina militare, trasferendo nella
politica i metodi e gli atteggiamenti della guerra. Il fascismo ha conquistato il potere nonostante avesse il
dichiarato scopo di distruggere la democrazia liberale e di affermare sia teoricamente che praticamente il
primato della politica su ogni altro aspetto della vita individuale e collettiva. Voleva organizzare la società in
modo totalitario, dove tutto fosse custodito nelle mani di un partito unico che si indentificava con lo Stato,
l‟unico valore assoluto. Per fare questo era necessario trasformare il privato nel pubblico, sublimare ogni
forma di individualità nella collettività, attraverso l‟organizzazione della vita delle persone dall‟alto, in quasi
ogni suo aspetto, trovandosi, così, ad avere a che fare non più con persone ma con una folla.
Dall‟altro lato (2), il fascismo è stato anche il primo movimento politico del XX secolo a portare il pensiero
mitico al potere, consacrandolo come espressione politica delle masse e fondamento morale per la loro
organizzazione, e istituzionalizzandolo nelle credenze, nei riti e nei simboli di una religione politica19
.
Già Le Bon e Sorel considerarono mito e organizzazione come gli strumenti fondamentali della politica di
massa, necessari per trasformare le masse e la loro potenza in un‟ordinata ed efficace arma politica, e come
si sa20
. Il fascismo sfruttò a pieno queste idee facendo propri i miti nati dall‟esperienza della guerra e dai
movimenti nati dai reduci, integrandoli con altri miti che erano già diffusi nell‟opinione comune, come il
mito della Patria o della Nazione, di origine risorgimentale, dando progressivamente forma ad una religione
politica. Assimilò sincreticamente i materiali di altri movimenti che riteneva utili per sviluppare il proprio
credo di riti e di simboli, non curandosi dell‟originalità di questi, ma soltanto della loro efficacia per l‟azione.
Servivano come strumento per rafforzare il senso d‟identità del movimento, per lottare contro i <<nemici
della nazione>>, e per fare propaganda.
Le masse erano considerate, alla stregua di Le Bon, come un materiale duttile , plasmabile sotto l‟azione di
una guida, che le avrebbe trasformate in una nuova collettività organizzata e animata da un‟unica fede. Da
sole non potevano organizzarsi né conquistare consapevolezza di sé, tuttavia si riteneva possibile educarle
attraverso l‟azione costante e quotidiana del mito e dell‟organizzazione: <<la folla […] ha bisogno di
spiritualismo, di religiosità, di catechismo, di rito; l‟uomo desidera un potere spirituale affermativo e
volentieri lo segue e ad esso ubbidisce; lo sente più aderente alla propria esistenza e trae da esso disciplina ed
aiuto>>21
.
<<La massa – affermava il duce - per me non è altro che un gregge di pecore, finché non è organizzata. Non
sono affatto contro di essa. Soltanto nego che essa possa governarsi da sé. Ma se la si conduce, bisogna
reggerla con due redini: entusiasmo e interesse. Chi si serve solo di uno dei due, corre pericolo. Il lato
mistico e il politico si condizionano l‟un l‟altro. L‟uno senza l‟altro è arido, questo senza quello si disperde
al vento delle bandiere>>22
.
Per guidare le masse era necessario l‟utilizzo dei miti politici descritti da Sorel23
, cioè di quelle immagini e di
quei simboli che sono capaci di suscitare emozioni, entusiasmo e volontà di agire, nelle masse. Per di più,
l‟utilizzo di questi, non poteva essere sporadico o strumentalizzato soltanto nel momento del bisogno, perché
<<una credenza religiosa o politica si fonda sulla fede, ma senza i riti e i simboli la fede non potrebbe
durare>>24
.
19
Ivi. 20
E. Gentile, L’origine dell’ideologia fascista (1973-1974), Bologna, Il Mulino, 2011 21
G. Bortolotto, Lo Stato e la dottrina corporativa, Bologna 1930, p. 35, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 147 22
E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, Milano 1932, pp. 121-122, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 143 23
G. Sorel, Riflessioni sulla violenza, 1908 24
G. Le Bon, Aphorismes du temp presént, Paris 1919, p. 96, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 146
6
La religione fascista non fu, però, soltanto un sistema di credenze e riti utilitaristicamente imposto, dando
così ragione all‟interpretazione ciurmatorica, ma ebbe anche delle caratteristiche teologiche vere e proprie.
Infatti, riprendendo un modello utilizzato da Albert Mathiez per definire il carattere religioso dei culti della
rivoluzione francese, possiamo affermare che ogni religione è un fenomeno sociale che ha origine da uno
stato di entusiasmo collettivo e si basa su delle pratiche esteriori obbligatorie che conferiscono una certa
sacralità ai simboli che rappresentano. A questa premessa funzionalista, lo storico aggiunge che <<il
fenomeno religioso s‟accompagna sempre, nel periodo di formazione, con uno stato di sovraeccitazione e
una viva brama di felicità. Quasi immediatamente, inoltre, le credenze religiose si concretizzano in oggetti
materiali, in simboli, che sono segni di raccolta per i credenti e come talismani, in cui essi pongono le loro
speranze più intime; e, in quanto tali, perciò, essi non tollerano che siano disprezzati o ignorati. Più spesso
ancora, i credenti, e soprattutto i neofiti, sono animati da una rabbia distruttiva contro i simboli degli altri
culti. E molto spesso infine, quando possono, essi colpiscono di interdetto tutti quelli che non condividono la
loro fede, che non adorano i loro simboli e, per questo solo delitto, li colpiscono con punizioni particolari, li
bandiscono dalla comunità di cui fanno parte>>25
.
L‟origine della religione fascista s‟inquadra perfettamente in questo modello, perché il fascismo ebbe origine
da quello <<stato di effervescenza>> prodotto dalla guerra, che aveva dato vita a vari movimenti, come il
combattentismo, l‟arditismo, il futurismo politico, il fiumanesimo, che si consideravano i portavoce della
<<vittoria mutilata>> e cercavano di proseguire l‟impresa nella <<rivoluzione italiana>>, combattendo
contro i <<nemici interni>> per creare la nuova Italia. Tutti questi movimenti erano accomunati, nel senso
etimologico del termine, cioè formavano una comunità, da un‟esperienza comune, la guerra, e da una fede, la
Patria <<stuprata>>; ma mancava una guida comune. Nato il culto, mancava la Chiesa.
L‟occasione per <<unire le forze>> si presentò presto, già nel 1922 con la <<marcia su Roma>> e il
tentativo di conquistare il potere. Da questo momento il fascismo accentuò sempre più il suo carattere di
religione laica, sia nella definizione ideologica che nella pratica, e nello stesso tempo però cercò anche di
servirsi della religione tradizionale per ottenere maggior consenso, presentandosi come restauratore dei
valori della religione cattolica dopo un‟epoca di agnosticismo e di materialismo. Fin dal 1921, infatti,
Mussolini abbandonò certi atteggiamenti anticlericali del primo fascismo, esaltando l‟importanza della
religione cattolica; ma non per questo i fascisti smisero di parlare di una religione, anzi, non esitarono a
confrontare il fascismo con il cattolicesimo.
Non veniva affatto nascosto il tentativo di realizzare un‟organizzazione simile alla chiesa cattolica, eletta a
modello per la costruzione dello Stato totalitario26
. Il fascismo doveva trarre insegnamento dalla <<più
grande e saggia maestra che la storia rammenti>>, la Chiesa <<degli imperituri pilastri, dei grandi Santi, dei
grandi Pontefici, dei grandi Vescovi, dei grandi Missionari: politici e guerrieri che impugnavano la spada
come la croce e usavano indifferentemente il rogo e la scomunica, la tortura e il veleno: s‟intende, non in
funzione della potenza e della gloria della Chiesa>>. E come <<nuova grande religione civile della Patria>>
il fascismo doveva <<ispirarsi a questa grande scuola d‟intransigenza e di fierezza>>27
. Per Scorza , il
partito, attraverso le organizzazioni giovanili, doveva diventare sempre più <<un ordine religioso armato>>
sul modello della Compagnia di Gesù, consacrato al <<mito mussoliniano>>28
.
Questa <<stima>> nei confronti del cattolicesimo è dimostrata, nella pratica, da vari riti della liturgia
Cattolica che nel corso del Regime vennero istituzionalizzati e fascistizzati, come per esempio la <<Leva
25
A. Mathiez, Les origines des cultes révolutionnaires 1739-1792 (1904), Genève 1977, pp. 11-12, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 38 26
E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 108-111 27
C. Scorza, Odiare i nemici, in <<Gioventù fascista>>, 12 aprile 1931, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 109 28
ACS, SPD, CR, b. 31, fasc. 1, Relazione al duce sui Fasci giovanili di combattimento, 11 luglio 1931, cit. in, E. Gentile, Il culto del littorio, p. 109
7
fascista>>, istituito nel 1927. Era un rito simile alla cresima, con cui i giovani provenienti
dall‟organizzazione giovanile, confermando la loro fede nel fascismo, venivano consacrati fascisti
diventando membri del partito. Era una cerimonia solenne, nella quale ai giovani venivano consegnati la
tessera del partito e un moschetto, la prima, simbolo della fede, e il secondo, simbolo della forza.
IL MITO DELLO STATO
Il mito dello Stato riassume tutta la religione fascista, e come tale è un mito complesso e composito, sempre
in evoluzione, che coincide con il progetto totalitario fascista, in quanto aveva la funzione di creare consenso
e partecipazione, e, istituzionalizzandosi, divenne lo strumento che i fascisti utilizzarono per conquistare il
controllo di ogni aspetto della vita degli italiani e della società.
Già agli inizi del movimento, quando era ancora un gruppo di reduci e di giovani, accomunati da quella che
fu chiamata l‟<<anima nuova sorta dalla guerra>>29
, si iniziarono a vedere le prime manifestazioni del mito
dello Stato e di quella che sarebbe poi diventata la religione fascista. Questi si sentivano gli eletti che
avrebbero dovuto portare a termine la <<rivoluzione italiana>>, combattendo contro la vecchia classe
dirigente con l‟intento di trasferire nella politica il cameratismo e le abitudini acquisite in guerra. In questo
clima di <<effervescenza>>, che caratterizzò gli anni dello squadrismo, si originò un sentimento quasi
religioso, come dimostrano le parole di Mussolini: <<Noi lavoriamo alacremente per tradurre nei fatti quella
che fu l‟aspirazione di Giuseppe Mazzini: dare agli italiani il <<concetto religioso della nazione>> […]
Gettare le basi della grandezza italiana nel mondo, partendo dal concetto religioso dell‟italianità […] deve
diventare l‟impulso e la direttiva essenziale della nostra vita>>30
. Tra i fasci di combattimento sorsero
numerosi riti, nati sia per invenzione che per imitazione, ma generalmente in modo spontaneo31
e non diretto
dall‟alto, con un esplicito richiamo al mito delle Guerra, e ai miti nati nel Risorgimento. I singoli gruppi
creavano dei riti che poi per imitazione si trasferivano ad altri gruppi, fino a diventare un patrimonio
comune. In questo modo fra il 1921 e il 1922 si diffuse la liturgia che andrà a formare il particolare stile di
vita del partito-milizia: il saluto romano,il giuramento delle squadre, la venerazione dei simboli della nazione
e della guerra, la benedizione dei gagliardetti, il culto della patria e dei caduti, la glorificazione dei <<martiri
fascisti>>, le cerimonie di massa32
.
Qualsiasi cosa riguardasse i fasci di combattimento era sempre avvolto da un alone di sacralità e ritualizzato.
Le spedizioni squadriste, per esempio, oltre l‟obbiettivo dell‟aggressione e dell‟annientamento, ebbero
sempre un carattere simbolico. Il manganello e il fuoco rappresentavano la violenza purificatrice. Durante le
missioni i fascisti cantavano l‟inno al <<San Manganello>> esaltando la loro arma come se fosse un amuleto
protettore delle squadre, giustiziere dei nemici e liberatore del sacro suolo della patria:
<<O tu santo Manganello / tu patrono saggio e austero, / più che bomba e che coltello / coi nemici sei severo;
Di nodosa quercia figlio / ver miracolo opri ognor, / se nell‟ora del periglio / batti i vili e gl‟impostor.
29
C. Bellieni, L’Associazione dei combattenti (Appunti per una storia politica dell’ultimo quinquennio), in <<La Critica politica>>, 25 luglio 1924, cit. in Gentile, Le origini dell’ideologia fascista, p. 153 30
B. Mussolini, <<Il Popolo d’Italia>> nel 1921, in <<Il Popolo d’Italia>>, 8 dicembre 1920, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 39-40 31
E. Gentile, Il culto del littorio 32
Ivi.
8
Manganello, Manganello, / che rischiari ogni cervello, / sempre tu, sarai sol quello / che il fascista adorerà.
[…]
Tu dal Brennero al Suello, / dal Quarnaro al Ticino, / taumaturgo Manganello / più di Dante sei divino, […]
Dove è nato Garibaldi, / dove è morto Corridoni, / disertori né ribaldi / non saranno mai padroni;
Cinquecentomila morti / ben c‟impongono il dovere, / di non tollerare i torti / che alla Patria fan un stranier.
Manganello, Manganello / che rischiari ogni cervello, / ogni eroe dal suo avello / l‟opra tua benedirà>>33
.
Con il progressivo istituzionalizzarsi del mito dello Stato, e con ampliamento del consenso, il mito in
questione si sviluppò e diventò più complesso. Infatti si potrebbe decostruire in diversi miti minori, come il
mito della Patria, il mito del fascio Littorio, il mito di Roma e il mito del Duce, analizzabili separatamente.
IL MITO DELLA PATRIA
La guerra, il sangue dei caduti, il sacrificio per la patria aveva rinnovato la sacralizzazione della nazione,
della quale i fascisti si elessero difensori contro i <<nemici interni>>, cioè i socialisti e i comunisti, perché
con il loro ideale internazionalista avevano dissacrato la nazione, i cattolici, perché neutralisti e militanti nel
Partito Popolare, i repubblicani, i governanti e la borghesia liberale, <<il paese degli imboscati, del
parlamentarismo, l‟Italia marcia che viveva speculando sulla guerra, s‟arricchiva con i profitti delle forniture
militari, dava di sé uno spettacolo indecente con le vuote discussione dei vecchi politicanti>>34
.
Il primo culto a emergere in questo contesto fu quello dei caduti, che comportò il rapido diffondersi di
cimiteri di guerra e di monumenti alla memoria. Il momento culminante di questo nuovo culto della patria
furono le cerimonie per la scelta della salma del Milite Ignoto, il trasporto nella capitale e la tumulazione
nella tomba sotto l‟Altare della patria il 4 novembre 192135
. Qualche giorno dopo numerosi fascisti resero
omaggio alla tomba del Milite Ignoto per celebrare la conclusione del loro congresso che aveva deciso la
trasformazione del movimento in un partito. I fascisti si consideravano i principali artefici del ritorno della
nazione alla <<religione della patria>>.
Questo culto acquisì subito un ruolo di grande importanza all‟interno della liturgia del partito, perché si
sposava perfettamente con la visione eroica della vita fascista e i funerali dei fascisti uccisi divennero i riti
emotivamente molto intensi e coinvolgenti. Un corteo composto da tutte le organizzazioni fasciste marciava
al ritmo delle marce funebri finché non arrivava il momento dell‟appello, il culmine emotivo della
cerimonia: uno dei capi delle squadre gridava il nome del caduto, e la folla inginocchiata rispondeva:
<<Presente!>>. In questo modo quello della morte si trasformava in un rito di vita,diventando il rito fascista
per eccellenza, la testimonianza più alta della loro religiosità36
.
Fino alla conquista del potere, la liturgia e la religione fascista rimanevano strettamente legate all‟esperienza
dello squadrismo e a quel senso di comunione37
che dilagava tra i militanti, senza però trovare un seguito di
33
A. Gravelli, I canti della rivoluzione, Roma 1928, pp. 84-86, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 43 34
E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista, p. 126 35
E. Gentile, Il culto del littorio 36
Ivi. 37
Ivi.
9
massa vero e proprio. Le cose cambiarono dopo la <<marcia su Roma>>, quando a Mussolini fu consegnato
l‟incarico di Presidente del Consiglio e di formare un governo di coalizione, in quanto cominciò un processo
di istituzionalizzazione della liturgia fascista che correva parallelo all‟instaurazione del regime totalitario.
Il governo Mussolini cominciò subito a prendere delle iniziative miranti a instaurare ufficialmente una
liturgia di Stato, rinnovando il simbolismo statale e patriottico. Viene reinserito l‟uso delle uniformi per i
membri del governo, si cerca di ridare solennità ai festeggiamenti degli anniversari nazionali, prescrivendo ai
comuni l‟obbligo di celebrare le feste laiche38
. Divenne obbligatorio, con un decreto del 24 settembre 1923,
per uffici governativi e comuni, l‟esposizione della bandiera nazionale. Nello stesso anno diventò
obbligatorio il rito del saluto al tricolore nelle scuole, ognuna delle quali doveva avere una bandiera. Al
sabato, al termine delle lezioni e alla vigilia delle vacanze, gli scolari dovevano rendere omaggio al vessillo
con il saluto romano, accompagnando questo rito con il canto degli inni patriottici, e spesso alla presenza di
reduci di guerra e mutilati39
. In poco tempo il culto del tricolore diventò un rito quasi quotidiano e dal 1923
vennero organizzate, specialmente a Roma, numerose <<sagre della bandiera>>, promosse dalle forze
armate, dalle associazioni combattentistiche e dai fascisti.
Fin dai primi tempi del governo fascista ci fu il tentativo di rinnovare e arricchire il calendario delle feste
dello Stato fissandone le modalità di celebrazione. Alle feste dello Statuto, del 20 settembre e del 4
novembre, vennero aggiunte il 24 maggio, anniversario dell‟entrata in guerra, e il 21 aprile, Natale di Roma.
Il ruolo centrale, però, nell‟istituzione del culto della patria lo ebbe soprattutto la glorificazione della Grande
guerra, con i riti per gli anniversari dell‟intervento e della vittoria. Il fascismo si impegnò a sviluppare il mito
della guerra trasfigurandolo in un‟epopea di eroismo e di martirio consacrata alla divinità della patria40
. Il
sacrificio degli italiani in guerra aveva legittimato l‟aspirazione dell‟Italia a essere una grande potenza e i
caduti, morti per la Patria vennero sempre di più santificati. Un decreto elevava a monumenti nazionali le
località dei campi di battaglia e con l‟immagine della resurrezione, l‟Italia crocifissa a Caporetto che si
risveglia ormai data per morta, si cercò di sottolineare il carattere mistico dell‟impresa italiana. Quello della
Guerra diventò il mito di fondazione41
dell‟universo simbolico fascista, sia per quanto riguarda gli aspetti
rituali di quello che diventerà il culto del littorio, sia per quanto riguarda gli aspetti epici, che vennero
sviluppati nella invenzione di una <<storia sacra>>.
Il mito della Patria diventa così uno strumento che il fascismo utilizzò per conquistare un consenso sempre
più ampio e per assimilare i movimenti patriottici affini come il combattentismo, l‟arditismo e il
fiumanesimo. Riuscì, restaurando il culto della Patria, a trovare addirittura il consenso della borghesia
patriottica che, però, pensava che i fascisti avessero instaurato una religione civile, per un‟Italia unita e di
cittadini liberi, riuscendo a realizzare le idee del Risorgimento, senza accorgersi, in realtà, che si trattava di
una religione politica, <<che mescolava ambiguamente i simboli della patria con i simboli di un partito, che
si apprestava a servirsi degli altari della patria per celebrare, in un nuovo Stato integralista, il culto del
Littorio>>42
.
IL MITO DEL FASCIO LITTORIO
38
Ivi. 39
Ivi. 40
Ivi. 41
Ivi. 42
Ivi, p. 68
10
Lo sviluppo e l‟instaurazione della religione fascista avvenne attraverso tre processi fondamentali. In un
primo momento, vennero rinnovati e reintrodotti simboli del passato, come nel caso del mito della Patria, che
potevano essere accettati più facilmente dalle masse. In un secondo momento i <<vecchi>> miti vennero
affiancati da quelli fascisti, preparando la terza fase, cioè la trasformazione delle credenze passate, ormai
istituzionalizzate, in miti fascisti. In questo modo tutti erano obbligati a partecipare alla liturgia dello Stato,
che ora coincideva perfettamente con quella fascista, e chi non si univa alla celebrazione del culto, mostrava
disprezzo o indifferenza per i nuovi vessilli fascisti era punito e scomunicato. Infatti, l‟istituzione del culto
della Patria, incentrato sulla glorificazione della guerra, servì a preparare l‟ambiente per instaurare il culto
del Littorio come liturgia di Stato.
Il fascio littorio, simbolo della massima autorità nell‟antica Roma, divenne il simbolo della rivoluzione
fascista e della resurrezione della patria per opera del duce. Assunse il significato di unità, forza, disciplina,
di giustizia, e un significato religioso come simbolo della tradizione sacra della romanità43
.
Il primo passo per la diffusione del vessillo fu quello di creare una moneta che da un lato presentava la figura
del re, e dall‟altro la figura del fascio littorio. Furono coniati tagli di 1 e 2 lire, e successivamente 100 e 20
lire, un metodo infallibile per divulgare il nuovo simbolo, dato che queste monete di piccolo taglio giravano
nelle mani di ognuno.
Ma la consacrazione ufficiale della foggia romana avvenne con l‟ascesa del fascio nella simbologia dello
Stato, che accompagnò la costruzione del regime. Tra il 1925 e il 1926, Mussolini dispose che doveva essere
collocato su tutti gli uffici ministeriali, governativi, anche provinciali, dichiarando il fascio emblema di
Stato, perché nel fascio <<si riassume il culto per le tradizioni della stirpe e si esprime la volontà di esserne
degni in una nuova Era di grandezza>>44
. Contemporaneamente fu bloccata la banalizzazione del simbolo,
vietando la fabbricazione, la vendita e l‟uso di distintivi o insegne col fascio littorio senza una speciale
autorizzazione delle autorità del governo o del partito fascista45
. Nel 1927 fu decretato che il fascio doveva
essere accollato a sinistra dello stemma dello Stato, rappresentato dallo scudo di Savoia, mentre nel 1929 il
governo stabilì la foggia del nuovo stemma dello Stato, sostituendo con due fasci i leoni di sostegno allo
scudo.
Col passare del tempo, e il consolidarsi del regime, ci fu sempre un maggiore controllo da parte del PNF
sulla liturgia fascista, che originariamente era stata in larga parte espressione spontanea soprattutto dello
squadrismo e ne rifletteva le caratteristiche di spontaneità ribelle. La religione fascista prima della marcia su
Roma non era ancora vincolata all‟obbedienza cieca e alla fede indiscussa in un capo. Ma una volta arrivato
al potere, questa situazione diventava incompatibile con la concezione di Stato nuovo. Il ribellismo
squadrista doveva essere placato e la spontaneità dei riti e dei simboli doveva cedere
all‟istituzionalizzazione. Al <<tempo eroico>> della distruzione del vecchio ordine liberale, doveva ora
seguire il <<tempo della costruzione>>46
. Vennero, infatti, proibite le manifestazioni spontanee, e venne
pubblicato nel 1929 il catechismo della <<dottrina fascista>>, per eliminare ogni disputa interpretativa e
fissare l‟ortodossia della fede fascista.
43
Ivi. 44
R.d. 12 dicembre 1926 n. 2061, Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XXVII, sessione 1924-27, Documenti. Disegni di Legge e relazioni, n. 1189-A- Cfr. ACS, PCM, Gabinetto, 1928-1930, fasc. 3.3.2 n. 1880 e Gabinetto, 1940-1943, fasc. 3.3.2 n. 552 45
R.d.l. 20 dicembre 1926, n. 2273. Cfr. Ministero dell’Interno, Disposizioni per l’uso dell’emblema del Fascio littorio, Roma 1927 46
E. Gentile, Il culto del littorio, p. 99
11
Come ogni religione, anche il fascismo inventò un calendario, istituì come inizio dell‟<<Era fascista>> il
primo anniversario del 28 ottobre, iniziando a datare da quel momento i documenti affiancando all‟anno
cristiano, <<anno primo dell‟era fascista>>.
Venne istituito un organico sistema di riti e feste collettive per il culto del fascio littorio, ma ai riti periodici
delle feste dell‟Unità, della Monarchia e della Grande guerra, degli anniversari della rivoluzione e del Natale
di Roma, di volta in volta si aggiungevano altre manifestazioni di massa, dalle sagre alle mostre, dalle parate
alle grandi adunate organizzate in occasione di eventi straordinari, come per esempio le manifestazioni per la
campagna d‟Etiopia o gli incontri del duce con la folla.
Le forme essenziali dei riti del littorio, vedevano partecipare la grande massa del popolo, inquadrata nei
Fasci, nella Milizia, nei sindacati, nelle organizzazioni giovanili, con la partecipazione dei decorati, dei
mutilati e dei combattenti. La celebrazione aveva una severa impronta militare per dare a tutti <<l‟idea della
formidabile compagine di forze che stanno alla base della Rivoluzione Fascista e ne garantiscono contro
chiunque la vita e lo sviluppo>>47
. Dopo l‟omaggio ai caduti e alla rivoluzione, i cortei si recavano ad
apporre il simbolo del fascio alle opere pubbliche compiute. Era d‟obbligo la severità e la sobrietà e pertanto
erano banditi i banchetti e i ricevimenti fastosi. Anche la parte oratoria era limitata alla lettura simbolica del
messaggio del duce senza abbandonarsi a discorsi eccessivamente retorici. I fascisti avevano l‟obbligo di
indossare la camicia nera, e di sera di riunirsi nelle loro sedi per manifestazioni intime nel ricordo dei
compagni caduti.
L‟orchestrazione della liturgia di massa non si limitava soltanto ai riti politici del regime, ma ne abbracciava
tutte le manifestazioni organizzate della vita collettiva, come le sagre popolari, le manifestazioni sportive e le
mostre. Il fascismo, infatti, si appropriò delle feste tradizionali inserendole nella propria liturgia, come fece
per esempio con l‟epifania. Dal 1928 fu, così, istituita la <<Befana fascista>> per la quale il partito
distribuiva doni ai bambini poveri e alla fine degli anni Trenta fu vietato lo scambio d‟auguri il primo
dell‟anno, dato che l‟inizio dell‟<<anno fascista>> era il 29 ottobre. Di simbolismo fascista furono permeate
anche le sagre tradizionali della vita rurale come la <<festa dell‟uva>>, che divenne un‟occasione per
esaltare la romanità del fascismo. Incoraggiando lo sport, inoltre, che mirava a <<creare la passione nelle
masse e non già a creare esclusivamente i campioni>>48
, il fascismo cercava di attuare una mobilitazione
collettiva, fondamentale per realizzare il progetto totalitario, vincendo la mentalità dell‟isolamento privato49
,
pur incoraggiando nello stesso tempo l‟agonismo sportivo come preparazione al conseguimento del primato
nelle competizioni internazionali. Per il fascismo lo sport era <<da esaltarsi quale autentico servizio e dovere
civico>> che doveva praticare <<il buon cittadino fascista>> per <<essere veramente parte integrante di quel
popolo che il DUCE ha proclamato essere „corpo dello stato‟ e coefficiente dinamico di quello stato che è,
per la stessa alta definizione, „spirito del corpo‟>>50
. Come è evidente, nessuna manifestazione collettiva del
regime si sottraeva al compito di essere veicolo di indottrinamento e di pratica del culto del littorio.
Il regime cercò di intensificare sempre più il suo intervento plasmatore sulle masse, escogitando
continuamente nuove forme di mobilitazione e di propaganda. Nel 1932 furono istituiti i <<raduni
domenicali>> dove gli oratori incaricati dal partito esponevano alle masse <<idee e fatti sull‟etica
fascista>>51
, vantando i meriti della politica del regime, ascoltando i lamenti dei lavoratori per le ristrettezze
economiche, e lasciando loro la promessa che avrebbero <<fatto presente a chi di dovere in Roma […] le
47
PNF, <<Foglio d’ordini>>, n. 10, 9 ottobre IV (1926), cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 152-153 48
PNF, Atti 1931-1932, Roma 1932, circolare del 16 maggio 1932, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 159 49
P.L., La coscienza della collettività e lo sport, in <<Bibliografia fascista>>, febbraio 1933, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 159 50
R. Nicolai, Sport, in PNF, Dizionario di politica, cit., vol. IV, p. 343, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 160 51
Entusiastica partecipazione di popolo ai raduni di propaganda, in <<Il Popolo d’Italia>> 24 maggio 1932, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 167
12
varie necessità del paese>>52
. Nel 1935 venne istituito il <<sabato fascista>>, in relazione alla applicazione
della settimana lavorativa di quaranta ore: il sabato pomeriggio libero doveva essere dedicato all‟educazione
politica e all‟addestramento militare. In tal modo le due principali attività pedagogiche avevano il proprio
giorno di celebrazione, assumendo un carattere sempre più religioso, che avrebbe portato alla costruzione
dell‟uomo nuovo, del cittadino-soldato, non più affetto dall‟analfabetismo fisico e politico53
.
IL MITO DI ROMA
Il mito della romanità, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non è presente dalla nascita del
movimento fascista, ma viene prodotto, successivamente, dall‟evoluzione del mito dello Stato, diventandone
una componente fondamentale, necessaria per la legittimazione del progetto totalitario fascista e per istituire
la nuova religione di Stato. Lo stesso termine fascismo, non nasce dal <<fascio littorio>>, ma da fascio, un
nome nato dal dibattito politico ottocentesco, utilizzato dalla Sinistra per indicare l‟unione compatta dei
gruppi e movimenti a carattere rivoluzionario54
.
Tuttavia il progetto pedagogico del totalitarismo si potrebbe riassumere nell‟aspirazione di trasformare gli
italiani in <<romani della modernità>>55
, per far rivivere lo <<spirito della potenza creatrice di Roma che
nella famiglia, nella religione, nell‟educazione militare, nelle leggi seppe infondere un sacro rispetto al
principio della subordinazione del singolo alla collettività>>56
, e per ricreare nello Stato quell‟<<intimo
nesso spirituale fra famiglia e stato, fra stato e religione, in perfetto equilibrio>>, che aveva dato <<alla
coscienza romana un fondo di virtù, di consapevolezza, di disciplina, segreto di grandezza>>57
.
<<Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo o, se si vuole, il nostro mito>>58
.
Il coronamento di questo mito avvenne nel 1937, anno in cui fu realizzata una mostra per la celebrazione del
bimillenario di Augusto, in coincidenza con la riapertura della mostra dedicata alla rivoluzione fascista,
come a voler sottolineare la simbiosi tra romanità e fascismo. Si voleva celebrare l‟eternità e l‟ universalità
di Roma, che <<sotto la guida del duce […] ha ripreso la sua fatale missione>> di civiltà nel mondo
moderno59
. Il fascismo aveva l‟ambizione di <<trasvalutare>>60
la romanità, contestualizzandola e
rendendola viva di nuovo. Questo atteggiamento non era un amore e rispetto archeologico per una originale
identità del passato da recuperare e restaurare. <<Piuttosto, si può ritenere che il fascismo praticò
un‟archeologia simbolica, cercando di attualizzare delle vestigia della romanità, ispirata al richiamo mitico
del ”centro sacro”, per entrare in comunione con la “potenza magica” della romanità, al fine di creare, anche
arbitrariamente, uno scenario urbanistico e monumentale tale da visualizzare la simbiosi fra romanità e
52
ACS, MI, DGPS, cat. G1, b. 60, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 168 53
E. Gentile, Il culto del littorio 54
A. Tarquini, Storia della cultura fascista 55
E. Gentile, Il culto del littorio 56
F. Ciarlantini, Il Fascismo e la Romanità, in <<Augustea>>, 21 aprile 1938 , cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 130 57
E. Ciaceri, Paganesimo, in Dizionario di politica, cit., p. 340, in Gentile p 130, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 130 58
B. Mussolini, Passato e avvenire, in <<Il Popolo d’Italia>>, 21 aprile 1922, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 130-131 59
La Mostra Augustea della Romanità, Roma 1937, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 131 60
E. Gentile, Il culto del littorio, p. 132 (l’autore riprende il pensiero di Bottai)
13
fascismo entro nuovi “spazi sacri”, misto di antico e moderno, per celebrare il culto del littorio nella città
eterna, presentando il fascismo erede e culmine della tradizione romana>>61
.
Il fascismo, erede moderno della romanità, aspirava a conquistare, come la <<Roma dello Stato>> e la
<<Roma della Chiesa>>, l‟eternità, lasciando nella storia le vestigia della <<Roma di Mussolini>>.
Importante per la diffusione del mito fu l‟istituzione del <<Natale di Roma>>, festeggiato il 21 aprile per
celebrare la giornata del lavoro in sostituzione alla festa del Primo maggio, e interpretata dai fascisti come
uno strumento per entrare in comunione con la romanità. In questo modo si eliminava lo iato tra mitologia e
storia62
, creando un modello da seguire e una giustificazione per tutti gli atti umani. Infatti come nelle società
arcaiche, il fascismo riteneva che il mito era espressione di <<una verità assoluta perché racconta una storia
sacra, cioè una rivelazione trans-umana che è avvenuta all‟alba del Grande Tempo, nel tempo sacro degli
inizi (in illo tempore). Essendo reale e sacro, il mito diventa esemplare, e di conseguenza ripetibile>>63
.
Per di più, Mussolini, dopo la nascita del PNF, per rafforzare la sua autorità sulle diverse correnti, modellò il
Partito sulle organizzazioni militari romane64
. Creò un partito armato, composto da principi, o camice nere, e
triari, o riserve: nell‟esercito romano, infatti, i principi erano i combattenti di prima linea, mentre i triari
erano le forze delle retrovie. Sempre su ispirazione dell‟esercito romano nel 1922 fu istituita la milizia
fascista, un corpo di polizia suddiviso in squadre. Ogni squadra era comandata da un caposquadra e da due
vice capisquadra, i decurioni; quattro squadre componevano una centuria, con a capo un centurione; mentre
quattro centurie formavano una coorte, guidata da un seniore; infine più coorti davano vita a una legione,
comandata da un console65
.
Nel 1936, con la conquista dell‟Etiopia, il mito sembrava realizzato, l‟impero sembrava ormai tornato sui
colli fatali di Roma.
IL MITO DEL DUCE
Tutto l‟universo simbolico del regime fa perno sul mito del Duce, anche se la religione fascista è nata, come
abbiamo già visto, da un‟esperienza collettiva di vari movimenti, che ha prodotto spontaneamente simboli e
credenze che soltanto successivamente sono state istituzionalizzate e ufficializzate. Il culto del Duce ebbe
una storia a sé, in quanto nacque, quando la religione fascista era già stata istituzionalizzata, anche se il mito
di Mussolini era diffuso da tempo. Infatti è necessario distinguere tra mito e culto del duce66
, perché se il
culto della personalità si fonda sempre sul mito, non sempre il mito di una personalità è accompagnato da atti
di devozione. In alcuni casi, come per Stalin e Hitler, mito e culto si sono sviluppati simultaneamente
all‟interno dei loro movimenti e in funzione di questi. Nel caso di Mussolini, invece, il mito non ha soltanto
preceduto il culto, ma si è manifestato con diversi aspetti prima della nascita del fascismo67
. Ci sono stati
diversi miti di Mussolini che si sono diffusi in periodi diversi della sua vita, che ebbero origine nell‟ambito
di differenti ambienti politici e culturali. Ciascuno di questi miti favorì il sorgere attorno alla sua figura di un
61
Ivi. 62
M. Eliade, Miti, sogni, misteri (1957), Torino, Lindau, 2007 63
Ivi, p. 17 64
A. Tarquini, Storia della cultura fascista 65
A. Giardina e A. Vauchez, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini, Bari, Laterza, 2000, cit. in A. Tarquini, Storia della cultura fascista, p. 131 66
E. Gentile, Il culto del littorio 67
Ivi.
14
aura carismatica, preparando le condizioni per la nascita del mito fascista di Mussolini e l‟istituzione di un
culto della sua persona negli anni del regime.
Mussolini cominciò a fare parlare di sé molto presto, quando ancora ventinovenne, da <<uomo nuovo>>
prese la guida del partito socialista nel congresso di Reggio Emilia del luglio 1912. Nacque così il mito
socialista di Mussolini, in quanto diventò l‟idolo dei seguaci del partito, il modello del capo rivoluzionario, il
simbolo del nuovo socialismo intransigente. Ma quando fu il momento di scegliere se entrare in guerra
oppure no, Mussolini si schierò tra gli interventisti, tradendo il partito e le masse che avevano creduto in lui.
Con questa scelta, perse la fiducia dei socialisti, ma subito divenne l‟eroe delle avanguardie politiche e
culturali dell‟interventismo. Venne considerato come futuro rinnovatore nazionale dagli intellettuali che
militavano nel composito fronte dell‟antigiolittismo, radunati attorno a <<La Voce>> di Prezzolini e
all‟<<Unità>> di Salvemini.
Questo nuovo mito accompagnò Mussolini anche dopo la guerra, ma rimase limitato alle <<aristocrazie del
combattentismo>>68
, come gli arditi, i futuristi, e i reduci interventisti con i quali diede vita al movimento
fascista.
In ogni caso, la maggior parte dei fascisti, almeno fino alla <<Marcia su Roma>>, non videro in Mussolini il
capo carismatico che avrebbe compiuto e guidato la <<rivoluzione>>, ma posero la loro fiducia in Gabriele
D‟Annunzio. Infatti, nella stessa organizzazione del movimento fascista, Mussolini, pur essendo l‟unica
figura politica di rilievo nazionale e direttore di un influente quotidiano, era soltanto membro dell‟ufficio di
propaganda e della commissione esecutiva. La sua autorità, pertanto, non era affatto indiscussa e venerata
come quella di un capo carismatico. La sua figura si impose allora più per le sue doti politiche che per il
riconoscimento in lui di particolari doti carismatiche. Egli, infatti, fu accettato come duce, soltanto dopo che
fallì la rivolta antimussoliniana e il tentativo di portare alla guida del fascismo D‟Annunzio, quando i
militanti del partito si resero conto che nessuno di loro poteva seriamente contendere a Mussolini la guida del
movimento e preservarne allo stesso tempo l‟unità, in quanto lui era l‟unico in grado di tenere assieme
l‟insieme dei potentati locali. La sua autorità, comunque, tra il 1923 e il 1925, venne messa in discussione
più volte all‟interno del partito, ma queste crisi non fecero altro che favorire l‟ascesa del mito del Duce,
esaltato, spontaneamente e strumentalmente, come unico fattore di coesione del fascismo e unico punto di
riferimento al di sopra dei potentati locali. Tanto è vero che nelle rivalità fra i vari capi tutti si rifacevano
all‟autorità di Mussolini per legittimare le proprie azioni, contribuendo così ad accrescerla.
Ma il mito del Duce accrebbe la sua forza con l‟instaurazione e la costruzione del regime fascista. La
posizione del duce fu codificata negli ordinamenti del partito e dello Stato in forme che ne accentuarono
progressivamente la superiorità come capo del fascismo.
Nello statuto del 1926, la figura del duce appare per la prima volta nell‟ordinamento del partito, collocata al
vertice della gerarchia del PNF come <<guida suprema>>. Nello statuto del 1932, il duce venne innalzato al
di sopra e collocato al di fuori della gerarchia, e in quello del 1938 fu formalmente definito <<Capo del
PNF>>. In più, nel 1938 fu pubblicato dal PNF il nuovo catechismo di dottrina fascista nel quale il duce era
definito <<il creatore del fascismo, il rinnovatore della società civile, il Capo del popolo italiano, il fondatore
dell‟Impero>>69
. Si giunse così alla piena inserzione del mito mussoliniano nella struttura istituzionale dello
Stato Fascista, che venne ad assumere la particolare fisionomia di cesarismo totalitario70
, data l‟estensione e
l‟intensità delle attribuzioni riservate a Mussolini, in quanto <<mito>> e <<duce>>, nella prassi, nella
teologia e nella liturgia dello Stato fascista.
68
E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista 69
Il primo libro del fascista, Roma 1938, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 239-240 70
E. Gentile, Partito, Stato e Duce nella mitologia e nella organizzazione del fascismo, in K. D. Bracher, L. Valiani (a cura di), Fascismo e nazionalsocialismo, Bologna 1986, pp. 265-294
15
Fu Augusto Turati, segretario del PNF dal 1926 al 1930, il fondatore del culto. Infatti, avviò il processo di
mussolinizzazione del fascismo collocando il duce sull‟altare del culto littorio, offrendolo alla venerazione
delle masse fasciste71
. Ma la formalizzazione del culto del duce fu soprattutto opera di Starace, che
moltiplicò le formule e i riti di devozione, dal modo in cui si doveva scrivere la parola <<duce>>, tutta in
minuscolo, al cerimoniale che doveva accompagnare l‟apparizione pubblica di Mussolini, con il rito del
<<Saluto al duce>>.
L‟esaltazione della figura di Mussolini divenne la principale attività della <<fabbrica del consenso>>72
, che
lavorò a ritmo sempre più intenso per diffondere fra le masse il mito e il culto del duce, rendendo la sua
immagine onnipresente, rappresentandolo come un <<eroe dai mille volti>>. Egli veniva trasfigurato e
rappresentato come la sintesi superiore di ogni tipo di grandezza d‟uomo mai apparsi in qualsiasi epoca:
statista, legislatore, filosofo, scrittore, artista, genio, profeta, messia, apostolo, maestro. Un grande uomo,
destinato a essere ricordato per sempre, come Cesare e Augusto, Napoleone; con un intelligenza da far
invidia a Socrate e Platone; avvolto da un alone rivoluzionario degno di Mazzini e Garibaldi; paragonato a
Cristo, in quanto incarnazione di Dio, in quanto, come scriveva Asvero Gravelli, Dio e la storia significavano
Mussolini73
.Alle nuove generazione il duce veniva fatto apparire come un nume vivente, a cui si doveva
donare la propria vita, anima e corpo.
Nel 1930 sorse la scuola di <<Mistica fascista>>, per iniziativa di giovani universitari che volevano dedicarsi
interamente al culto di Mussolini. Svolgevano cicli di lezioni che si ispiravano al pensiero del duce, lo
illustravano e lo sviluppavano nella elaborazione di una visione mistica della rivoluzione fascista, dei
problemi della storia e della vita italiana. Qualsiasi cosa, anche sposarsi o procreare, era da loro sentito come
un atto di obbedienza e devozione al duce.
Ma l‟affermazione del mito e il culto del duce non deve essere considerato solo dal punto di vista del suo
partito, ma bisogna tenere conto della distinzione74
tra le manifestazioni del culto propriamente fascista,
riconducibile a motivazioni politiche e ideologiche, e le manifestazioni genericamente popolari, spesso
spontanee, e prive di queste motivazioni.
Dopo la conquista del potere, infatti, il mito di Mussolini trovò un ambiente favorevole per affermarsi e
diffondersi anche al di fuori del suo partito, e in qualche caso contro di esso. La crisi italiana del dopoguerra
aveva creato le condizioni psicologiche propizie per la nascita del culto popolare dell‟Uomo
provvidenziale75
. E quando giunse al potere molti videro in lui colui che avrebbe riportato l‟ordine e la pace
dopo oltre un decennio di sconvolgimenti sociali e politici. Dall‟opinione pubblica borghese fu visto come il
salvatore della patria e il restauratore dello Stato; ai ceti popolari, che non avevano subito la violenza
squadrista, apparve come un figlio del popolo, che nonostante il potere, non ha dimenticato le proprie origini,
e quindi fu subito circondato da ingenua ammirazione, mista a fiducia e speranza nella sua opera benefica76
.
Per di più, Mussolini fu il primo presidente del Consiglio a girare in lungo e in largo tutta Italia, andando
anche in regioni e città mai state visitate, mostrandosi alla folla e parlando alle masse, stabilendo, così, un
contatto diretto con la gente comune, priva di eccessive conoscenze politiche, generando quasi una
sensazione fisica di vicinanza tra la politica e la gente comune, che pensò di essere, finalmente, ascoltata e
esaudita dalla classe dirigente.
71
E. Gentile, Il culto del littorio 72
P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Bari, Laterza, 1975 73
Cit. in Hasler, Das Duce, cit., p. 485, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 242 74
R. De Felice, L. Goglia, Mussolini, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 240 75
E. Gentile, Il culto del littorio, 76
Ivi.
16
L‟artificio della <<fabbrica del consenso>> e l‟entusiasmo spontaneo cooperavano per produrre un
sentimento di esaltazione collettiva. Il discorso del duce era sempre il momento culminante dell‟incontro con
la folla, in quanto assumeva spesso il carattere di orazione rivelatrice della volontà del nume e di
manifestazione oracolare della volontà della nazione.
Il culto mussoliniano riscosse crescenti consensi tra e il fenomeno fu pressoché costante durante il regime,
almeno fino alla seconda guerra mondiale, ma non ebbe, in definitiva, mai un‟estensione che comprendesse
tutti i ceti sociali. Vi furono, infatti, settori della società dove questo mito ebbe minore o scarsa influenza.
Per esempio i settori sociali che avevano vissuto un processo più marcato di secolarizzazione o quelli,
specialmente ceti operai e contadini, che avevano subito le violenze squadriste ed erano più saldamente
legati alla tradizione socialista, repubblicana o comunista, non parteciparono a questa esaltazione collettiva,
nonostante rischiassero di essere puniti. Per questi ceti il mito di Mussolini riuscì a far breccia solo in un
secondo momento, agendo soprattutto sulle generazioni più giovani, alle quali il regime dedicava particolare
cura. Al contrario, nella media e nella piccola borghesia non politicizzata, nei ceti popolari più umili,
specialmente rurali, privi di qualsiasi tradizione laica o politica, che non avevano subito la violenza
squadrista, il culto del Duce si diffuse rapidamente, perché mise radici in una cultura ancora fortemente
dominata da credenze religiose, persino superstiziose e magiche, che proiettavano su Mussolini forme di
devozione e di culto tipiche della religiosità cristiana, fino a paragonarlo a Cristo77
.
Le masse percepivano il mito del Duce come l‟immagine di un nume protettore78
, vedevano Mussolini come
un uomo di sconfinata bontà, tanto che venne esaltato sempre di più, anche quando l‟invadenza del regime
totalitario si fece più opprimente, anche quando crescevano le critiche ai gerarchi fascisti, che attuavano
politiche sempre più soffocanti. Le masse riponevano, ora più che mai, la propria fiducia nel Duce, quale
ultima speranza per un atto risanatore dei mali, anche quelli inflitti dal fascismo stesso, accompagnando
questa fede a un‟attesa quasi miracolistica.
CONCLUSIONE
Abbiamo visto come il fascismo abbia sviluppato una religione politica molto complessa che gli permettesse
di realizzare le proprie ambizioni totalitarie. In questo modo, attraverso un controllo dall‟alto minuzioso,
accompagnato spesso da violenze, e l‟instaurazione di un culto al limite del ridicolo79
il fascismo riuscì nella
sua impresa di educare le masse. Ma come abbiamo detto, questo addomesticamento non durava per sempre,
bisognava mantenerlo attraverso il continuo uso di miti, fino ad arrivare a paragonare Mussolini a Cristo, in
quanto mito e idea fascista incarnata80
, in quanto salvatore della patria e uomo dalla bontà sconfinata.
Ma un nume che si fosse rivelato fallibile, tradendo il suo popolo, e attirando su di esso <<la furia distruttrice
dei cavalieri dell‟Apocalisse>>, una guerra lunga e sanguinosa, la fame e la morte, <<era destinato ad essere
detronizzato e dissacrato dai suoi stessi credenti con la stessa passione con la quale era stato adorato>>81
.
77
E. Gentile, Il culto del littorio 78
Ivi. 79
Ivi. 80
G. Gentile, Origine e dottrina del fascismo, Roma 1934, riportato in id., Politica e cultura, vol. I, a cura di H. A. Cavallera, Firenze 1990, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio 81
E. Gentile, Il culto del littorio, p. 265