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Questa pubblicazione è realizzata con il contributo di QC&I e SoCert
GiugnoNumero 4
Stati Generaliper il biologico
2009
pag. 14
Detergenti:le leggi europee pag. 10
Quali materialia contatto
con gli alimenti? pag. 7
La tutela giuridicadella qualità pag. 4
Le conseguenzedelle sceltealimentari pag. 2
Le scelte alimentarie le loro conseguenze
2giugno 2009
Alberto Bergamaschiresponsabile comunicazione & marketing
QC&I International Servicesmarketing@qci.it
A UN’AZIONE CORRISPONDE UNA REAZIONE
E’ la frase che regola, anche inconsapevolmente, tutta
la vita di una persona.
L’acquisto e il consumo di una determinata categoria di
prodotti, provoca una reazione a catena in tutta la
società con potenza imprevedibile e deflagrante e mai
cosa è più vera rispetto alle conseguenze collegate alle
scelte alimentari. La composizione di un alimento, la
presenza di inquinanti, la metodologia di coltivazione
e di trasformazione, la sua provenienza, allarga le con-
seguenze del suo acquisto a tutto quanto è nelle vici-
nanze in una sorta di virtuale onda d’urto. Ma esami-
niamo il concetto passo per passo.
PROBLEMATICHE SOCIALI E SANITARIE
L’essere sovrappeso (e in molti casi addirittura obeso) di
una grande parte della popolazione adulta, ha portato
a un incremento delle malattie del “benessere” (diabe-
te, malattie cardiocircolatorie, certi tumori e altro), con
una incidenza di costi sanitari molto elevata. Secondo il
Mattino del 15 aprile 2009, per il 74% dei medici di
base il 30% degli italiani è chiaramente in sovrappeso
e il 10% obeso. Per ovviare alla problematica i medici
consigliano una attività fisica costante e quotidiana e
una sana alimentazione.
E’ importante sottolineare che è stata indicata una
sana alimentazione e non una scarsa alimentazione: è
la qualità e non la quantità il fattore primario da pren-
dere in considerazione.
Ma non dobbiamo solo considerare la composizione
dei prodotti alimentari, è importante curarsi degli ulte-
riori problemi, ancor più gravi, che un alimento con dei
contenuti di sostanze indesiderate può dare.
Conservanti, coloranti, fitofarmaci, prodotti OGM,
composti chimici vari, contribuiscono a far reagire il
nostro corpo in modo imprevedibile alle situazioni
quotidiane.
Non possiedo la necessaria competenza per esprimere
affermazioni definitive, ma l’aumento delle allergie,
delle intolleranze, delle malattie sempre più difficil-
mente controllabili, a dispetto delle conoscenze enor-
memente più sviluppate rispetto a solo pochi decenni
or sono, mi fa sospettare che un numero enorme di
sostanze indesiderate stia facendo sentire i propri,
squilibranti, effetti.
PROBLEMATICHE AMBIENTALI E TURISTICHE
L’enorme quantitativo di prodotti chimici estranei
all’ambiente, utilizzati per le produzioni agroalimenta-
ri, ne hanno alterato l’equilibrio, creando un livello di
inquinamento tale da interferire in modo sensibile con
la sfera del benessere dell’individuo. Il benessere che,
in pratica, non è altro che quello stato di entropia più
bassa a cui tende qualsiasi essere vivente.
L’ambiente ne risulta alterato e, come conseguenza, ne
risente in modo decisivo l’industria che ad esso è la più
collegata: il turismo.
L’industria del turismo è, infatti, strettamente dipenden-
te dal contorno ambientale che accompagna il turista
durante la sua permanenza nei luoghi di “villeggiatura”.
Un ambiente a bassa entropia garantisce un turismo
sviluppato e quindi delle entrate di un certo rilievo e
può essere trainante per un mercato ancor nuovo, ma
in rapidissima ascesa, come quello dei centri benessere.
Teniamo conto che altri stati vicini a noi, con potenzia-
lità ricettiva oggettivamente inferiore, come l’Austria,
ne stanno facendo un loro cavallo di battaglia.
E L’ACQUISTO DI PRODOTTI BIOLOGICI?
Come si può intuire dai paragrafi precedenti, l’acquisto
di un prodotto biologico ha delle conseguenze prati-
che e politiche molto importanti per tutto il comparto
agroalimentare, sociale, ambientale e turistico. Questo
La tuteladella qualitàin Europa e oltreoceano
pag. 4Diritto & alimentazione
I quesiti dei lettori,le risposte dell’esperto
pag. 12Normativa
I prodotti detergentie le leggi europee
pag. 10Cosmetica biologica
3 giugno 2009
Editoriale
Gli Stati generaliper il biologico
pag. 14Agricoltura biologica
Quali materialia contattocon gli alimenti?
pag. 7Dalla parte del consumatore
Revoca di sostanzeattive
pag. 16
sicuramente a livello mondiale, ma se si volesse avere
un atteggiamento lievemente più egoistico o addirit-
tura protezionistico, si potrebbe aggiungere che non
sarebbe male che la coltivazione, la vendita e il consu-
mo dei prodotti biologici, in pratica l’intera filiera, si
sviluppasse in Italia. La salvaguardia dell’ambiente
dovrebbe essere soprattutto questione nostra, visto
che in questo paese ci abitiamo, ci viviamo e ne otte-
niamo indirettamente dei benefici economici.
Altrettanto importante è la salvaguardia della salute e
la limitazione delle spese sanitarie non strettamente
indispensabili. Un medico recentemente mi ha detto
che, secondo la sua opinione, i costi sanitari causati da
eccessi alimentari non dovrebbero essere passate dalla
mutua, essendo direttamente conseguenti una incapa-
cità di gestione personale. Questo concetto, ovviamen-
te, è volutamente provocatorio, però non completa-
mente assurdo.
La diffusione del biologico è importante, sia per la sua
filosofia di rispetto dell’ambiente e ricerca di prodotti
molto più vicini all’uomo, sia per le caratteristiche pecu-
liari del prodotto. Per molti anni il biologico è stato un
comparto di nicchia, una realtà molto piccola, anche se
in continua espansione, che era visto come la richiesta
un po’ eccentrica di una ristretta cerchia di consumatori.
Ora il biologico sta diventando l’obiettivo da cercare di
avvicinare di tutto l’agroalimentare della Unione
Europea, la filosofia a cui tendere per la protezione del
livello qualitativo europeo. Ogni altra strada porta a
una difficile competizione di prezzi con i produttori di
altri paesi, in cui la manodopera ha un costo inferiore
e le regole alle quali occorre sottostare sono “meno
restrittive”.
E’ evidente che non è possibile mettere delle barriere
protezionistiche ufficiali all’ingresso dei prodotti
agroalimentari dai paesi extraeuropei. Non è pensabile
né conveniente, altrimenti molto probabilmente sareb-
be impossibile una esportazione in senso opposto di
prodotti ad elevata tecnologia. Non è possibile, ripe-
tiamo, mettere delle protezioni ufficiali, ma ritengo sia
lecito, ed anche auspicabile, che siano fatte crescere in
modo rilevante le modalità di informazione per rende-
re consapevoli i consumatori europei del rispetto delle
proprie aspettative di qualità.
Quando, infatti, il consumatore, mi piacerebbe dire il
cittadino, sarà consapevole delle conseguenze che un
suo qualsiasi gesto provoca nella collettività, è possibi-
le che verranno privilegiati gli acquisti che hanno come
reazione l’aumento del benessere di tutti.
La Scienza della qualità - Anno II, 2009 - numero 4
Bimestrale informativo della società
QC&I International Services
Direttore editoriale Alberto Bergamaschi
Direttore responsabile Guglielmo Frezza
Coordinamento Comitato scientifico Carmelo Bonarrigo
Alcune delle fotografie di questo numero sono state scat-
tate nei laboratori dell’azienda Bio Leaves
Prof. Avv. Paolo BorghiOrdinario di diritto alimentare
Università di FerraraSDA Studio di Diritto Alimentaredirittoalimentare@studioborghi.eu
godono qui, grazie ai nostri regolamenti.
Accordi del genere ne esistono diversi, alcuni bilaterali
o trilaterali, altri multilaterali, e magari stipulati molto
prima di quanto si immagini: sin dall’‘800, infatti, all’in-
terno di trattati e di convenzioni che avevano ad
oggetto la cosiddetta “proprietà intellettuale”, o la
“proprietà industriale” (diritti di autore, brevetti, mar-
chi, tutela dei disegni industriali, ecc.), si è cercato di
regolare a livello internazionale l’uso delle indicazioni
geografiche.
L’ACCORDO TRIPS DEL 1994
L’ultimo di questi atti, in ordine di tempo, è l’Accordo
TRIPS (Accordo sugli aspetti della proprietà intellettua-
le relativi al commercio), firmato a Marrakech nel 1994.
E’ il più ampio (per numero di Stati firmatari) che mai
sia stato siglato in materia; in più,
a esso dichiara apertamente di voler recepire e ricon-
fermare tutti i precedenti accordi di cui si è detto;
b fa parte del Trattato istitutivo della Organizzazione
Mondiale del Commercio, o WTO (sicché tutti gli
Stati che aderiscono al WTO ne divengono automati-
camente parte: ad oggi sono 153);
c le eventuali violazioni sono represse attraverso il
sistema di sanzioni proprio del WTO (lo Stato che
viola questo accordo è sottoposto a un giudizio dallo
stesso WTO, e subirà – se è riconosciuto inadempien-
te – contromisure economiche, il che dovrebbe nor-
malmente indurre i Paesi membri
dell’Organizzazione a rispettare l’Accordo).
Tutto bene, dunque? Per nulla. Perché, da un lato,
l’Accordo TRIPS impegna ogni Stato membro del WTO
a dotarsi di norme capaci di proteggere le indicazioni
geografiche tutelate dagli altri Paesi parti
dell’Accordo; dall’altro – ed è lì il problema – gli Stati
membri del WTO sono tenuti a fornire alle indicazioni
Iproduttori europei di alimenti a indicazione geogra-
fica sono abituati bene. Da molto tempo ormai pos-
sono fare affidamento su una normativa che tutela il
loro diritto a usare il nome geografico del prodotto,
riservandolo in esclusiva a chi ha i requisiti per produr-
lo: primo fra tutti, il rispetto del disciplinare con tutto
ciò che comporta (collocazione dell’azienda in un certo
luogo, utilizzo di determinate materie prime, caratteri-
stiche qualitative controllate, ecc.).
Proprio questa “riserva in esclusiva” è ciò che permette
alle indicazioni geografiche di avere un valore sul mer-
cato, perché limita l’uso commerciale del nome, lo con-
sente solo a quei produttori che possiedono i requisiti,
e soprattutto lo sottrae alla concorrenza di chi non pro-
duce nella zona geografica richiamata (una concorren-
za che sarebbe, per ciò stesso, sleale). Prima furono le
leggi nazionali a farlo, per singoli prodotti; poi (dal
1992 in poi) le norme comunitarie, attraverso regola-
menti, atti che hanno la caratteristica di applicarsi
direttamente in tutti gli Stati della Comunità, allo stes-
so modo in cui si applicano le leggi interne.
ALLA “CONQUISTA DELL’AMERICA”
Ma cosa accade quando un produttore europeo, forte
dell’affermazione commerciale del proprio prodotto a
casa propria, vorrebbe tentare la “conquista
dell’America”? (ma lo stesso potrebbe dirsi
dell’Australia, dell’Asia, ecc.)
Accade che quelle garanzie legali di esclusiva, quella
sorta di ombrello legale contro la concorrenza ingan-
nevole, viene spesso a mancare, perché là, in quei con-
tinenti, la disciplina europea ovviamente non si appli-
ca, non ha alcun valore (nessuna legislazione ha vigore
al di fuori del territorio dello Stato, o della Comunità di
Stati, che la ha creata).
L’unico modo, allora, per tentar di ottenere che anche
quei Paesi proteggano le nostre DOP o le nostre IGP,
impedendo ai loro produttori (o a quelli di altri Stati) di
usarle ingannevolmente, e di appropriarsi ingiustifica-
tamente della notorietà che hanno sul mercato, è quel-
lo di negoziare con quei Paesi, di stipulare con loro
accordi internazionali che li obblighino ad assicurare
entro i loro confini ai prodotti della Comunità europea
una protezione simile a quella che tali alimenti già
Oltreoceano la qualitàè poco difesa dalla legge
4giugno 2009
5 giugno 2009
Diritto & Alimentazione
geografiche estere una simile protezione solo contro le
“misleading indications”: solo, cioè, contro quelle indi-
cazioni nazionali che siano evidentemente e concreta-
mente ingannevoli. In altre parole, secondo l’Accordo
TRIPS un Paese firmatario ha il dovere di impedire che
sul proprio mercato circolino prodotti nazionali con
nomi geografici fasulli, solo se non si possa in alcun
modo evitare che il consumatore sia tratto in errore.
Un livello di tutela davvero minimo (non a caso, si è
soliti chiamare questo tipo di protezione “minimum
standard”).
LE CONSEGUENZE PRATICHE DELL’ACCORDO
La conseguenza pratica è presto detta: immaginiamo
un produttore extraeuropeo che voglia, nel proprio
Paese, far concorrenza scorretta a un prodotto euro-
peo a indicazione geografica protetta (ad esempio,
mettendo sul mercato un formaggio il cui nome imita
un nome celebre di un formaggio italiano o francese,
senza che ovviamente vi sia alcuna somiglianza reale
fra i prodotti, e soprattutto senza che il prodotto
extraeuropeo abbia alcun legame con le zone geogra-
fiche italiane o francesi richiamate dal nome).
Ebbene, quel produttore d’oltreoceano troverà spesso,
nel suo stesso Paese, una legislazione “morbida”, che
raramente gli vieterà di fare ciò che si è prefissato; o
che – se anche in linea di principio lo vieta – raramen-
te lo sanzionerà in modo serio.
Se ne sono resi conto ben presto quei produttori che
operano in Paesi nei quali si è adottato (almeno nei
confronti del prodotto estero) il minimo standard di
tutela richiesto dall’Accordo TRIPS. Paesi nei quali la
legge stabilisce che un prodotto possa tranquillamente
circolare sul mercato, anche se ha un nome o marchio
geografico ingannevole, purché esso sia dotato di
“accorgimenti” capaci di farlo apparire solo astratta-
mente mendace; accorgimenti che permettano al pro-
duttore di sostenere che il consumatore, in concreto,
non può essere tratto completamente in inganno.
Un esempio reale? In Canada, il “Parma Ham” non è –
come vorrebbe la traduzione letterale – il prosciutto di
Parma, nato nella zona d’origine prevista dal discipli-
nare comunitario. Laggiù, Parma Ham è il marchio di
un prodotto a base di carne, pur sempre destinato a
essere affettato (un salume, o qualcosa del genere, in
effetti), che una singola impresa canadese – l’odierna
Maple Leaf Foods Inc. – produce nello stesso Canada (o
altrove, ma non a Parma, non in Italia); un nome che
quell’azienda sin dal 1971 ebbe la brillante idea di regi-
strare come marchio in quello Stato. Come è possibile
tutto ciò? E soprattutto: come si concilia questo fatto
con l’obbligo internazionale previsto dall’Accordo
TRIPS di proteggere i nomi geografici dei prodotti tute-
lati negli altri Stati membri del WTO?
Non dovrebbe anche il Canada adottare norme che vie-
tino l’uso di un marchio così fuorviante, riferito a una
provenienza italiana che non c’è? L’escamotage è più
semplice di quanto si pensi: siccome una violazione del-
l’obbligo internazionale si ha soltanto quando il nome,
il marchio, ecc., sono concretamente ingannevoli, è
bastato affiancare al marchio “Parma Ham” la specifi-
cazione “Made in Canada”. Con una tale dicitura chia-
ramente riportata sull’etichetta, nessuno – secondo i
Tribunali canadesi – potrà dirsi tratto in inganno; il con-
sumatore è avvertito che sta per mangiare un prodot-
to chiamato, sì, Parma Ham, ma che non ha nulla a che
vedere con il prosciutto di Parma, quello italiano. E se
il consumatore è avvertito, il marchio Parma Ham non
è concretamente ingannevole, secondo questo modo
di ragionare, tipico dell’Accordo TRIPS.
Al punto che per il vero prosciutto di Parma, al fine di
conquistare il mercato canadese, si è dovuto registrare
un marchio privo (incredibile, ma vero!) di riferimenti
alla città emiliana.
Certo, l’Europa non ha alcun titolo per pretendere che
il Canada, o altri Paesi, si regolino diversamente, poi-
ché norme come quelle canadesi rispettano il minimum
standard imposto dall’Accordo TRIPS; per il resto, ogni
Stato è sovrano e decide autonomamente quali leggi
adottare: se l’UE, forte di una grande tradizione agri-
cola e alimentare di qualità, ha voluto creare un siste-
ma di protezione ampio e articolato, è certamente libe-
ra di farlo; ma non può obbligare gli altri Paesi del
WTO a creare sistemi analoghi.
D’altra parte, quando fu negoziato l’Accordo TRIPS
nessuno dei negoziatori – a parte l’Europa, così ricca,
soprattutto nell’area mediterranea, di prodotti alimen-
tari tradizionali e di qualità legata all’origine geografi-
ca – aveva interesse a introdurre norme internazionali
più stringenti, che obbligassero l’intero mondo globa-
lizzato a proteggere le indicazioni geografiche altrui.
Nessuno aveva quell’interesse (per differenze culturali
che fanno del territorio europeo un caso unico al
Tuttavia, l’Europa aveva dimenticato (o finto di dimen-
ticare) che l’Accordo TRIPS impone anche il principio del
trattamento nazionale: se l’Accordo internazionale pre-
vede lo standard minimo obbligatorio di tutela che già
conosciamo, qualunque Paese voglia stabilire una prote-
zione maggiore e più rigida è libero di farlo, ma deve
garantire parità di trattamento alle proprie e alle altrui
indicazioni geografiche, sicché la legislazione europea,
proprio a causa di quegli ostacoli alla registrazione di
indicazioni di Paesi terzi, stava violando il TRIPS.
Quegli stessi Paesi che meno tutelano, nel loro territo-
rio, le indicazioni geografiche hanno chiamato l’UE a
rispondere davanti al WTO per tale violazione. L’esito
della controversia – è noto – non è stato particolar-
mente favorevole alla Comunità europea, e la pronun-
cia non va esente da critiche. In ogni caso, l’attuale
disciplina delle DOP e delle IGP è frutto proprio di que-
sto “giudizio” negativo, poiché una buona parte delle
novità introdotte dal regolamento CE n. 510/2006,
rispetto al precedente regolamento n. 2081/92, è costi-
tuita da modifiche finalizzate a conformare la discipli-
na comunitaria agli obblighi dell’Accordo TRIPS.
Benissimo – verrebbe da commentare – le esigenze del
commercio internazionale (e tutte le disposizioni degli
Accordi del WTO) esigono parità di trattamento fra
prodotto estero e nazionale: la regola assicura molti
vantaggi, anche all’Europa. Nulla da eccepire, sul
punto. Ma esigono anche altre cose: esigono, ad esem-
pio, che anche i Paesi extraeuropei garantiscano altret-
tanta parità di trattamento, e – se si andasse a guardare
nel concreto – si scoprirebbe che non sempre essi lo
fanno. Esigono che quei Paesi diano ai prodotti europei
una protezione effettiva, e non solo teorica. Esigono,
soprattutto, che l’UE faccia valere nelle sedi opportune –
proprio davanti a quel WTO a cui altri Stati non esitano
a ricorrere – le violazioni che più la danneggiano.
Una capacità, questa di reclamare il rispetto degli
accordi internazionali in materia, nella quale l’Europa
ad ogni occasione dimostra di non brillare, e che è pro-
babilmente il frutto – il più amaro, per i produttori ali-
mentari europei di qualità – di una generale mancanza
di spessore internazionale dell’Europa, debole e fram-
mentata all’interno, e priva di una capacità di imporsi
sul mercato mondiale.
mondo di diversità agricola e alimentare), e nessuno
aveva, nella propria tradizione giuridica, una legisla-
zione così complessa e articolata come quella dell’UE.
Basti pensare agli USA, il cui ordinamento affida la
regolazione di questi problemi alle sole norme sui mar-
chi; e dove è vietata, sì, la registrazione di un marchio
geografico che inganni sull’origine del prodotto, ma
solo su vini e alcoolici (e solo nei casi in cui il primo uso
del marchio ingannevole è avvenuto dopo il 1° gennaio
1995, entrata in vigore dell’Accordo TRIPS).
Per quanto concerne ogni altro prodotto, diverso dai
vini, la registrazione come marchio di un nome geo-
grafico ingannevole è vietata dall’ordinamento USA,
ma non è sanzionata dallo Stato, né è dichiarata inva-
lida: la legislazione statunitense si limita a prevedere
una civil liability, una responsabilità civile in caso di
“falsa designazione di origine” che possa qualificarsi
concorrenza sleale e che produca un danno (si vedano
al riguardo le sezioni 1052 e 1125 dello U.S. Code).
Non è un caso che l’art. 22 dell’Accordo TRIPS – proprio
quella norma che abbiamo visto essere così “elastica”
per nomi geografici dei prodotti alimentari – assicuri
invece una tutela piena e comunque assai più ampia
(sullo stampo della disciplina nordamericana) proprio
ai vini e agli alcolici, il cui nome, tutte le volte che con-
tiene riferimenti geografici non veritieri, dovrebbe
essere rigorosamente vietato dagli Stati membri del
WTO, senza possibilità di consentire o tollerare “accor-
gimenti” ed escamotages per salvarli). E ciò non perché
l’Accordo TRIPS voglia conformarsi ad ogni costo ad un
modello statunitense di normativa, quanto piuttosto –
plausibilmente – perché al momento di negoziare quel-
l’accordo i vini erano già un tema di grandissimo inte-
resse a livello mondiale, e vi erano molti più Paesi (non
soltanto l’Europa) interessati a produrli, e a garantirsi
reciprocamente una tutela rigorosa.
COSA FA L’UNIONE EUROPEA?
In un primo tempo, l’Unione europea aveva reagito a
questa situazione mantenendo inalterata – per i pro-
dotti non vinicoli – la propria legislazione del 1992, che
opponeva qualche ostacolo in più alla registrazione
comunitaria di indicazioni geografiche di Paesi terzi.
Oltreoceano la qualitàè poco difesa dalla legge
6giugno 2009
Gli standard di garanzia dei materiali e oggetti
destinati ad entrare a contatto con gli alimenti
(MOCA) accompagnano questa tipologia di
prodotti ormai da quattro decenni. L’europa ha prov-
veduto, con numerosi disposti, alla regolamentazione
di tali prodotti, mediante normativa sia tecnica che
gestionale, sia verticale che trasversale.
Uno degli ultimi passi fondamentali è rappresentato
dal Regolamento CE n° 2023/06, relativo al perfeziona-
mento di buone pratiche di fabbricazione (good manu-
factoring practices = GMP) dei materiali e oggetti desti-
nati a venire a contatto con i prodotti alimentari
(Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea serie L n.
384 del 29/12/06).
Il nuovo provvedimento si è reso necessario al fine di
garantire uniformità fra i settori industriali che hanno
elaborato norme di fabbricazione (GMP) e quelli che
invece ne sono ancora sprovvisti. Le buone pratiche di
fabbricazione accompagnano ormai da anni le indu-
strie e le imprese operanti nel settore del “food”: rego-
lamenti che richiedono l’adozione di sistemi di gestio-
ne dei processi aziendali tesi ad assicurare la qualità
tramite specifiche modalità di analisi del rischio e con-
trollo dei punti critici.
Relativamente ai materiali e oggetti destinati ad entra-
re a contatto con i prodotti alimentari, il sistema di
garanzia deve prevedere, in particolar modo che i
materiali e gli oggetti fabbricati:
- non costituiscano rischio per la salute umana;
- non modifichino la composizione del prodotto ali-
mentare o ne provochino un deterioramento delle
caratteristiche organolettiche
- rispettino gli standard qualitativi adeguati all’uso cui
sono destinati
- rispettino le norme applicabili a prodotti che sono
destinati a contenere
IL CAMPO DI APPLICAZIONE
Le nuove disposizione si applicano a tutte le fasi di pro-
duzione, trasformazione e distribuzione (ad esclusione
della produzione delle sostanze di partenza), dei
seguenti gruppi di materiali ed oggetti destinati a veni-
Stefano Castignani,PEGASO management
s.castignani@pegasomanagement.comwww.pegasomanagement.com
Quali materiali a contattocon gli alimenti?
7 giugno 2009
re a contatto con gli alimenti, comprese le combinazio-
ni tra più materiali/oggetti, nonché quelli provenienti
da processi di riciclo: materiali e oggetti attivi e intelli-
genti, adesivi, ceramiche, gomme naturali, vetro, turac-
cioli, metalli e leghe, carta e cartone, cellulosa rigene-
rata, materie plastiche, siliconi, legno, prodotti tessili,
cere, resine a scambio ionico, inchiostri da stampa, ver-
nici e rivestimenti, etc.
IL SISTEMA DI GARANZIA
Gli operatori del settore (produttori, trasformatori, dis-
tributori) devono garantire che le operazioni di fabbri-
cazione siano svolte nel rispetto di:
- Sistemi di Assicurazione della Qualità, ovvero le
modalità organizzative, procedurali e documentali
finalizzate a garantire che i materiali e gli oggetti
rispondino agli standard qualitativi atti a renderli
conformi alle norme ad essi applicabili e agli stan-
dard qualitativi necessari per l’uso cui sono destinati;
- Sistemi di Controllo della Qualità, ovvero l’applica-
zione sistematica delle misure stabilite nell’ambito
del sistema di assicurazione della qualità al fine di
garantire che i materiali di partenza e i materiali e gli
oggetti intermedi e finiti siano conformi alle specifi-
che elaborate nel sistema di assicurazione della qua-
lità;
Quali materiali a contattocon gli alimenti?
8giugno 2009
UN APPROCCIO DI QUALIFICAZIONE
Analizzando quindi le richieste del Reg. CE 2023/06 si
può notare come il requisito cogente richiede la strut-
turazione di un Sistema efficace di organizzazione e
razionalizzazione dei processi Aziendali, filosofia di
approccio che risulta propria delle norme internazio-
nali volontarie relative ai sistemi di gestione.
Quello che potrebbe rappresentare quindi un aggravio
della gestione delle Aziende operanti in questo com-
parto, già sollecitate dalla forte competizione del mer-
cato “globalizzato” di riferimento, può invece trasfor-
marsi in un’opportunità di costruzione di un vantaggio
competitivo, sfruttando appieno il suo potenziale e la
cultura della qualità e del miglioramento continuo e
trasformandoli in fattori vincenti. Un passaggio pro-
attivo dell’approccio all’evoluzione normativa di setto-
re: dal subire un obbligo a gestirne le opportunità con-
seguenti.
Le dimensioni d’impresa non devono “spaventare”: il
corretto dimensionamento organizzativo non può pre-
scindere dalla comprensione della connotazione azien-
dale di snellezza e flessibilità, riconoscendola come
ulteriore leva competitiva da preservare e valorizzare.
Lo scenario normativo applicabile alle imprese del pac-
kaging e dell’imballaggio alimentare prevede, oltre
all’adozione del Sistema di Assicurazione e Controllo
Qualità del Reg. CE 2023/06, l’adozione di un Sistema di
analisi del rischio e controllo del punto critico (HACCP),
ovvero un sistema volto a garantire l’assoluta igienicità
degli alimenti in tutte le fasi della lavorazione, conser-
vazione, sino alla vendita agli utenti finali (volto quin-
Il Sistema di Gestione deve contemplare anche le
norme specifiche sulle buone pratiche di fabbricazione
GMP (riportate in allegato al Regolamento) e relative
alla fase d’applicazione degli inchiostri da stampa sul
lato del materiale e/o oggetto non destinato a venire a
diretto contatto con il prodotto alimentare.
L’Allegato al Regolamento, che affronta la tematica
specifica dei processi che prevedono l’applicazione di
inchiostri da stampa sul lato di un materiale o di un
oggetto non a contatto con il prodotto alimentare,
prevede specifiche prescrizioni:
1. gli inchiostri devono essere formulati e/o applicati in
modo che le sostanze presenti sulla superficie stam-
pata non siano trasferite al lato a contatto con il
prodotto alimentare;
2. i materiali e gli oggetti stampati in stato finito o
semifinito vanno movimentati e immagazzinati in
modo che le sostanze presenti sulla superficie stam-
pata non siano trasferite al lato a contatto con il
prodotto alimentare;
3. le superfici stampate non devono trovarsi diretta-
mente a contatto con il prodotto alimentare.
L’introduzione di GMP rappresenta quindi un requisito
cogente, a cui devono attenersi tutte le organizzazioni
che operano nell’ambito dell’imballaggio o packaging
alimentare, ovvero producono, trasformano e/o distri-
buiscono materiali e oggetti destinati a venire a con-
tatto con gli alimenti.
Il Sistema di Assicurazione e Controllo Qualità deve
essere strutturato anche mediante l’elaborazione e la
conservazione di adeguata documentazione (in forma-
to cartaceo od elettronico) concernente:
1. le specifiche, la formulazione e il processo di fabbri-
cazione, pertinenti a dimostrare la conformità e la
sicurezza di materiali ed oggetti finiti;
2. le registrazioni delle varie operazioni di fab-
bricazione svolte, pertinenti per la conformità e la
sicurezza di materiali e oggetti finiti, e relativa ai
risultati del sistema di controllo della qualità.
9 giugno 2009
di alla tutela della salute del consumatore).
Affiancato a questo è il sistema di Rintracciabilità di
prodotto, disposto sulla base delle richieste del
Regolamento CE 1935/04 (art. 17). Tale sistema deve
essere implementato per facilitare, in tutte le fasi, il
controllo, il ritiro dei prodotti difettosi, le informazioni
ai consumatori e l’attribuzione della responsabilità di
riferimento, mediante procedure operative e gestiona-
li che consentano l’individuazione delle imprese da cui
e a cui sono stati forniti i materiali e gli oggetti. Tale
rintracciabilità deve inoltre essere garantita sul merca-
to comunitario mediante l’etichettatura o documenta-
zione o informazioni pertinenti di prodotto.
Ad integrarsi con lo scenario normativo cogente vi
sono, nella logica di qualificazione aziendale, norme
volontarie che, come prima accennato, pongono ad
obiettivo il miglioramento continuo dei processi azien-
dali in termini di efficacia e efficienza, in un ottica for-
temente rivolta all’incremento della soddisfazione
degli utenti.
Tali sistemi non possono prescindere dall’integrazione,
per le aziende del comparto “food”, con i sistemi
richiesti come obbligatori (HACCP, Rintracciabilità, Reg.
CE 2023/06 per i MOCA, ecc.).
Un sistema “integrato” di Qualità & Sicurezza
Alimentare permette quindi di razionalizzare la docu-
mentazione e le registrazioni dati: per ottenere indica-
zioni su come operare e quali accorgimenti adottare il
personale deve consultare un solo Sistema di Gestione
conforme alle diverse esigenze, rendendo più chiaro ed
immediato il quadro complessivo del processo.
L’integrazione facilita anche la gestione unificata dei for-
nitori in base alla loro qualificazione sotto tutti gli aspetti.
Un tale progetto di revisione del Sistema di Gestione
della Qualità e Sicurezza Alimentare certamente può
offrire ad un’azienda operante nel settore della produ-
zione di materiali e oggetti destinati a venire a contat-
to con gli alimenti garanzie di sicurezza interna circa la
reale applicazione delle buone prassi di fabbricazione,
ma anche vantaggi competitivi in un mercato concor-
renziale e complesso e ampie assicurazioni circa il
rispetto dei requisiti di Sicurezza Alimentare presso i
clienti e gli utenti finali.
Dalla parte del consumatore
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 3 febbraio 2009
Identificazione del lotto di produzione delle con-
serve alimentari che usufruiscono di aiuti comu-
nitari per l’anno 2009.
(GU n. 67 del 21-3-2009 )
IL MINISTRO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Visto il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, in
particolare l’art. 13, comma 8, ai sensi del quale il
Ministro dello sviluppo economico può stabilire le
modalità di indicazione del lotto per i prodotti alimen-
tari sottoposti a particolari controlli previsti dalle
norme comunitarie;
Ritenuta la necessità di determinare una dicitura di
lotto di produzione uniforme per i prodotti trasforma-
ti a base di ortofrutticoli confezionati nell’anno 2009;
Decreta:
1. La dicitura per la identificazione del lotto di produ-
zione delle conserve alimentari di origine vegetale con-
fezionate nell’anno 2009, previsto dall’art. 13, comma
8, del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 109, è
costituito dalla lettera «R» seguita dal numero relativo
al giorno dell’anno (1-365), nel caso di lotto giornalie-
ro.
2. Nel caso di lotti relativi a periodi di durata inferiore
alla giornata lavorativa, la dicitura di cui al comma 1 è
completata dalla indicazione di un’altra lettera alfabe-
tica di libera scelta, da riportare dopo l’indicazione del
numero relativo al giorno.
Roma, 3 febbraio 2009
Il Ministro : Scajola
Nuovo decretosulle conserve alimentari
I prodotti detergentinella legislazione europea
10giugno 2009
Elisa MaccagniChimico - Esperta di prodotti cosmetici
emaccagni@alice.itIprodotti detergenti, nella Comunità Europea, sono
disciplinati dal Regolamento 648/2004 e successivi
aggiornamenti.
Il Regolamento per sua natura è direttamente applica-
bile in tutti gli Stati membri, senza necessitare di rece-
pimento da parte degli Stati stessi. In Italia, alla data di
applicazione del Regolamento, erano in vigore una
serie di normative, più o meno “antiche”, alcune delle
quali obbligavano i produttori di detergenti a sottosta-
re a norme ancora più stringenti di quelle previste da
Regolamento europeo. Ne è nata, ovviamente, una
confusione da parte dei produttori, su quali normative
si dovessero applicare.
Questa strana situazione è stata chiarita con l’emana-
zione del D. Lgs. 6 febbraio 2009 n° 21, il quale all’arti-
colo 1, comma 1 recita “Il presente regolamento reca
previsioni dirette ad attuare le disposizioni di cui al
regolamento (CE) n. 648/2004 del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 31 marzo 2004, integrando le dis-
posizioni nazionali in vigore precedentemente alla
data di entrata in vigore del medesimo regolamento
(CE) n. 648/2004”.
I punti salienti del decreto possono essere così riassun-
ti:
- Notifica prodotti, art. 3.
“Ai preparati detergenti si applicano le disposizioni
di cui all’articolo 15 ed allegato XI del decreto legis-
lativo 14 marzo 2003, n. 65, e successive modifica-
zioni, indipendentemente dalla loro classificazione
di pericolo ai sensi del decreto legislativo medesimo.
Le notifiche da inviare all’Istituto superiore di sani-
tà devono essere integrate con le informazioni di
cui all’allegato VII, punto C, del regolamento (CE) n.
648/2004. ... Entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore del regolamento dovranno inviare le notifi-
che anche coloro che avevano già inviato le notifi-
che …. per i preparati detergenti classificati perico-
losi ai sensi del decreto legislativo medesimo.”
Ovvero i detergenti devono essere notificati all’ISS
come i preparati chimici, ma non dovranno più esse-
re notificati anche al Ministero della Salute. Per i
detergenti già presenti sul mercato si richiede una
nuova notifica, da effettuare entro 6 mesi dalla data
di entrata in vigore del decreto.
- Limitazioni utilizzo fosforo e NTA, art. 5.
Il decreto fornisce limiti quantitativi ben precisi per
l’utilizzo di queste due categorie di sostanze.
- Documentazione richiesta per l’autorizzazione
sanitaria, art. 8.
Tali disposizioni ricalcano quelle già in vigore in pre-
cedenza.
- Etichetta, art. 11.
“I prodotti detergenti, in confezione singola o ven-
duti sfusi, possono essere immessi sul mercato solo
se il loro imballaggio reca le indicazioni previste dal
regolamento (CE) n. 648/2004, in lingua italiana e a
caratteri leggibili, visibili ed indelebili.” Sono di
fatto abrogate tutte le normative precedenti ine-
renti l’etichettatura e non contemplate dal
Regolamento europeo, come ad esempio l’indica-
zione degli acidi grassi nei saponi da bucato solidi, o
l’indicazione del tenore dei fosfati…
L’art. 4, comma 3, prevede, inoltre, che sull’etichet-
ta dei prodotti detergenti sia riportato anche “Il
numero di telefono del fabbricante o dell’importa-
tore”.
Il legislatore, oltre a voler togliere tutte le incertezze
dovute alle incongruenze legislazione nazionale –
Regolamento europeo, ha voluto ribadire la necessità
di registrare i prodotti alla banca dati dell’Istituto
Superiore di Sanità, siano essi classificati come perico-
losi che non.
Questo, oltre a garantire una banca dati nazionale,
permette che il personale medico “.. gratuitamente e
senza ritardi, può avere accesso alle schede tecniche sui
preparati detergenti disponibili presso alla Banca dati
dell’Istituto superiore di sanità …” e, quindi, in caso di
incidente intervenire prontamente e in maniera mirata.
11 giugno 2009
Il 24 marzo scorso il Parlamento Europeo ha approvato
il testo del Regolamento che disciplinerà i prodotti
cosmetici. Il Regolamento, di cui si attende la pubblica-
zione nel mese di giugno, andrà ad abrogare la
Direttiva 76/768/CEE e tutti i suoi emendamenti ed
aggiornamenti. L’applicazione del Regolamento è pre-
vista 42 mesi dopo la data di pubblicazione.
Lo scopo della nuova legislazione è quello di unifor-
mare le legislazioni dei Paesi membri (un Regolamento,
al contrario di una Direttiva, è direttamente applicabi-
le negli Stati membri e non necessita, quindi, di recepi-
mento da parte degli Stati stessi) e semplificare ed inte-
grare le normative attuali.
Dopo la pubblicazione dedicheremo un ampio spazio
al Regolamento ed alla novità introdotte.
Regolamento sui cosmetici
Carmelo Bonarrigo,responsabile documentazione QC&I International Services
c.bonarrigo@qci.it
I quesiti dei lettori,le risposte dell’esperto
- L’articolo 8, comma 3 del D.Lgs 109/92 recita: “la
quantità indicata (nota: quid), espressa in percentuale,
corrisponde alla quantità dell’ingrediente o degli
ingredienti al momento della loro utilizzazione nella
preparazione del prodotto”.
- L’articolo 8, comma 3 del D.Lgs 109/92 recita: “l’indi-
cazione di cui al comma 1 (nota: indicazione della
quantità di un ingrediente) deve essere apposta nella
denominazione di vendita del prodotto alimentare o in
prossimità di essa, oppure nell’elenco degli ingredienti
accanto all’ingrediente o alla categoria di ingredienti
in questione”.
In conseguenza di quanto sopra: quando nella deno-
minazione di vendita figura un ingrediente composto
deve essere indicata la percentuale di tale ingrediente.
Qualora, poi, sia indicato anche un ingrediente dell’in-
1° QUESITO
Richiedo un chiarimento relativo all’indicazione degli
ingredienti per un prodotto (BUDINO AI FRUTTI DI
BOSCO con FILTRATO DI RISO) che contiene tra gli
ingredienti il filtrato di riso. I componenti del filtrato di
riso sono: (acqua, riso 11%, olio di semi di girasole,
sale). Poiché la percentuale di filtrato di riso nella
nostra ricetta è il 73%, è necessario che noi riportiamo
anche la percentuale del riso contenuto nel filtrato?
Se sì la percentuale dell’11% trovata nella confezione
del filtrato è da riportare tale e quale o dovremmo cal-
colare noi la % reale del riso contenuto nella nostra
ricetta?
1° RISPOSTA
- L’articolo 5, comma 8 del D.Lgs 109/92 recita: “nel caso
del miscuglio di frutta o di ortaggi in cui nessun tipo di
frutta o di ortaggi abbia una predominanza di peso
rilevante, gli ingredienti possono essere elencati in
altro ordine, purché la loro elencazione sia accompa-
gnata da una dicitura del tipo <in proporzione varia-
bile>”.
- L’articolo 5, comma 11 del DLgs 109/92 recita: “un
ingrediente composto può figurare nell’elenco degli
ingredienti con la propria denominazione di vendita
prevista da norme specifiche o consacrata dall’uso in
funzione del peso globale, purché sia immediatamente
seguito dalla enumerazione dei propri componenti”.
- L’articolo 5, comma 12, lettera a) del DLgs 109/92 reci-
ta: “la enumerazione di cui al comma 11 non è obbli-
gatoria se l’ingrediente composto rappresenta meno
del 25% del prodotto finito”.
- L’articolo 8, comma 1, lettera a) del DLgs 109/92 reci-
ta: “l’indicazione della quantità di un ingrediente o di
una categoria di ingredienti, usata nella fabbricazione
o nella preparazione di un prodotto alimentare, è
obbligatoria qualora l’ingrediente o la categoria di
ingredienti in questione figuri nella denominazione di
vendita o sia generalmente associato dal consumatore
alla denominazione di vendita”.
riportiamo anche la percentuale del riso contenuto nel
filtrato?
Risposta: SI
Domanda: Se sì la percentuale dell’11% trovata nella
confezione del filtrato è da riportare tale e quale o
dovremmo calcolare noi la % reale del riso contenuto
nella nostra ricetta?
Risposta: SI se riporti il 73% del filtrato di riso nella
denominazione di vendita e, pertanto, gli ingredienti
di quest’ultimo diventano ingredienti del “Budino” da
menzionare in ordine ponderale decrescente; NO se
nell’elenco degli ingredienti del budino, dopo la men-
zione del “filtrato di riso” indichi tutti gli ingredienti
del filtrato di riso (acqua, riso 11%, olio di semi di gira-
sole, sale) e con la menzione 73%.
2° QUESITO
Quando troviamo nell’etichetta di un seitan la seguen-
te ingredientistica:
seitan (glutine di grano, grano tenero, salsa di soia
(soia, acqua, sale marino, mirin (riso, acqua), orzo),ver-
dure in prop. variabile (cipolla, sedano, carota) zenze-
ro, alloro, alga kombu, sale).
Che specifica ad esempio che nel seitan tra gli ingre-
dienti c’è il mirin composto a sua volta da due ingre-
dienti, vorrei sapere se risulta corretto indicare come
sopra tutti gli ingredienti, raggruppando con parente-
si tonde tutte le varie specifiche riguardanti tutte le
materie prime di cui sono composte, cioè:
- salsa di soia (soia, acqua, sale marino, mirin
(riso,acqua), orzo),
- verdure in prop. variabile (cipolla, sedano, carota,)
grediente composto, di esso va indicata altresì la per-
centuale.
Esempio del Budino ai frutti di bosco con filtrato
di riso: filtrato di riso 73% - riso 11%
In tal caso la percentuale di riso può essere calcolata
con riferimento all’ingrediente composto.
Si ritiene altresì utile chiarire che la messa in evidenza
di un ingrediente composto nella denominazione di
vendita di un prodotto finito non comporta necessaria-
mente l’obbligo della sua designazione con lo stesso
nome nell’elenco degli ingredienti.
Esempio del Budino ai frutti di bosco con filtrato
di riso:
il “filtrato di riso” può figurare nell’elenco degli ingre-
dienti del “Budino ai frutti di bosco con filtrato di riso”,
sia con il suo nome – filtrato di riso – sia mediante l’e-
lencazione dei singoli ingredienti che lo compongono.
Giova tuttavia ricordare che l’ingrediente composto,
quando risulta utilizzato in quantità superiore al 25%,
deve essere menzionato sempre mediante l’elencazio-
ne dei suoi componenti.
Esempio del Budino ai frutti di bosco con filtrato
di riso:
nell’elenco degli ingredienti del budino, dopo la men-
zione del “filtrato di riso” bisogna indicare tutti gli
ingredienti del filtrato di riso (acqua, *riso 11%, *olio
di semi di girasole sp. a fr., sale) e con la menzione
73%, a meno che detta percentuale non figuri nella
denominazione di vendita accanto alla dicitura
“Budino ai frutti di bosco con filtrato di riso”.
Esempio: Budino ai frutti di bosco con filtrato di
riso al 73%:
In questo caso nell’elenco degli ingredienti del
“Budino” può essere omessa l’indicazione “filtrato di
riso” e gli ingredienti di quest’ultimo diventano ingre-
dienti del “Budino” da menzionare in ordine pondera-
le decrescente.
Domanda: considerato che la percentuale di filtrato di
riso nella nostra ricetta è il 73% è necessario che noi
I quesiti dei lettori,le risposte dell’esperto
12giugno 2009
2° RISPOSTA
Un ingrediente composto può figurare nell’elenco
degli ingredienti con la propria denominazione (<salsa
di soia> o <mirin>), prevista da norme specifiche o con-
sacrata dall’uso in funzione del peso globale, purché
sia immediatamente seguito dalla enumerazione dei
propri componenti. Pertanto il tuo esempio è corretto.
La enumerazione dei componenti di un ingrediente
composto non è obbligatoria:
- se l’ingrediente composto rappresenta meno del
25% del prodotto finito;
- se l’ingrediente composto è un prodotto per il quale
l’elenco degli ingredienti non è prescritto;
- quando si tratta di ingredienti i quali, durante il pro-
cesso di fabbricazione, siano stati temporaneamente
tolti da un ingrediente composto per esservi immes-
si di nuovo in un quantitativo non superiore al teno-
re iniziale.
Se la denominazione di vendita identifica un prodotto
composto, senza porre in evidenza alcun ingrediente,
non è richiesta alcuna indicazione percentuale di ingre-
dienti. Quando nella denominazione di vendita figura
un ingrediente composto, deve essere indicata la per-
centuale di tale ingrediente. La menzione di una farci-
tura, condimento e/o ripieno, senza ulteriori specifica-
zioni, non comporta l’obbligo del QUID.
3° QUESITO
Avrei un quesito inerente all’etichettatura dei “pro-
dotti sott’olio”.
Preparo un prodotto con denominazione di vendita ad
es. FUNGHI SOTT’OLIO AL ROSMARINO dove ho
usato come ingredienti, pesati a crudo, per ottenere 1
kg. di prodotto finito: 500 gr. olio oliva, 400 gr. Funghi,
100 gr, rosmarino, 20 gr sale.
Per calcolare la % degli ingredienti caratterizzanti,
devo sommare il peso a crudo di tutti e 4 gli ingredien-
ti che ho impiegato e che qui sopra ho elencato? In
questo caso ho tot. kg. 1,020 di prodotti “crudi” e quin-
di mi sembra corretto indicare funghi 39%, rosmarino
9% e olio oliva 49%;
13 giugno 2009
Normativa
oppure il calcolo della % degli ingredienti deve essere
fatto a prodotto sgocciolato?
Inoltre se denomino il prodotto come detto sopra FUN-
GHI SOTT’OLIO AL ROSMARINO devo indicare
anche la % dell’olio, o per i prodotti sott’olio in gene-
re non è necessario? Esiste per i prodotto sott’olio e
sott’aceto una normativa specifica ?
3° RISPOSTA
L’elenco degli ingredienti di un prodotto alimentare è
costituito dalla loro enumerazione in ordine ponderale
decrescente riferito al momento della loro utilizzazio-
ne, ad eccezione degli ingredienti liquidi o con alto
contenuto di umidità, la cui verifica deve necessaria-
mente essere effettuata sul prodotto finito, ai fini della
determinazione del QUID.
Nel caso in esame gli ingredienti caratterizzanti sono:
- funghi;
- olio;
- rosmarino.
L’indicazione della quantità di un ingrediente o di una
categoria di ingredienti, utilizzati nella fabbricazione
di un prodotto alimentare, si riferisce al momento della
sua utilizzazione.
Il riferimento al peso “sgocciolato” si riferisce solo
all’indicazione della quantità netta di un prodotto pre-
confezionato. I prodotti immersi in un liquido di gover-
no devono riportare anche la quantità di prodotto
sgocciolato (quantità totale e quantità netta).
I liquidi di governo che danno luogo a tale doppia indi-
cazione sono elencati all’art. 9, comma 7, del D.Lgs.
109/92. Non sono considerati liquidi di governo, ai fini
dell’etichettatura, gli oli, le acquaviti, i liquori il cui
impiego non dà luogo alla doppia indicazione della
quantità.
Le modifiche apportate all’art. 8 del D.Lgs. 109/92, tut-
tavia, consentono di poter indicare anche in questi casi
la doppia quantità in luogo dell’indicazione del QUID;
pertanto nel caso in esame potrai indicare il peso nomi-
nale ed il peso sgocciolato, oppure il peso nominale più
la percentuale del contenuto solido.
La normativa di riferimento è sempre il D.Lgs. 109/92.
Guglielmo FrezzaGiornalista
ufficiostampa@qci.it
Mi pare logico.
“Certo, fino a quando non si guarda l'altra faccia della
medaglia. Già oggi abbiamo nei paesi occidentali 400
milioni di obesi, un dato in continua crescita che carica
i bilanci di costi medici e sociali enormi. Sono gli stessi
paesi in cui le statistiche dicono che i consumatori but-
tano via dal 10 al 50 per cento del cibo acquistato, un
carico di “spazzatura alimentare” che da solo darebbe
da mangiare a 150 milioni di persone.
In Africa e in Sud America, invece, la mancanza di strut-
ture tecnologicamente avanzate porta a perdite quan-
titative che arrivano fino alla metà del raccolto e che se
venissero eliminate consentirebbero di sfamare altri
170 milioni di persone”.
Quindi la domanda è: perché produrre di più, se
poi non sappiamo conservare o gettiamo via?
“Appunto. Il consumatore attuale nella grande mag-
gioranza dei casi va al supermercato e riempie il carrel-
lo di maxi-confezioni cercando di risparmiare sul mezzo
euro, senza accorgersi che buona parte la butterà via.
Poi, siccome mangia troppo, spende per dimagrire,
spende per cure chirurgiche, magari finisce in ospedale
e pesa sulle tasse di tutti”.
Piccola premessa indispensabile, e guai ad
accusare i modelli matematici di catastrofismo:
l'agricoltura convenzionale è insostenibile. O
meglio, al momento sta ancora in piedi perché è
sostenuta da enormi quantità di denaro pubblico (nel
2002 i sussidi ai produttori valevano 93,5 miliardi di
dollari negli Stati Uniti, 103 in Europa, 60 in Giappone
e 37 nei paesi emergenti) e da un approccio eco-
nomicistico che tende a nascondere i guai correlati, dal
dispendio energetico al degrado ambientale fino
all'erosione genetica del mondo vegetale e di quello
animale.
Ma presto il settore agricolo si troverà a dover fare i
conti con un ostacolo che nemmeno le montagne di
dollari basteranno a superare. La drastica riduzione
delle risorse d'acqua del pianeta è già oggi un proble-
ma assillante per molti paesi in via di sviluppo, e minac-
cia di trasformarsi in condizione endemica a ogni lati-
tudine a fronte di una crescita globale della domanda
– trainata dai media e dal sistema industriale occiden-
tale – che si stima pari all'1,5 per cento annuo da qui al
2030.
Insomma, se davvero le prossime guerre non si com-
batteranno più per il petrolio ma per l'acqua, come
sarà possibile utilizzarne la bellezza di 15mila litri per
ottenere un chilo di carne?
Ecco perché l'abbandono dei sistemi produttivi troppo
assetati, a cominciare dalla filiera industriale della
carne e del latte bovino, si imporrà come una inelutta-
bile necessità. Sarebbe il caso che i governi iniziassero
a prepararsi per tempo rivedendo le loro politiche agri-
cole, ma nell'attesa tanto vale aiutare i consumatori a
prendere coscienza dei paradossi che il sistema porta
con sé, finendo per svuotare metodicamente le loro
tasche ogni volta che fanno la spesa.
“Secondo la Fao – spiega Fabio Maria Santucci del-
l'università di Perugia, chiamato a intervenire alla
prima giornata degli Stati generali del Biologico orga-
nizzata in provincia di Padova – nel 2030 avremo una
popolazione mondiale di 8 miliardi e 300 milioni di per-
sone, con quasi mezzo miliardo di popolazione sot-
tonutrita. Partendo da questo assunto, ci viene spiega-
to che dobbiamo produrre di più...”
“L’agricoltura convenzionale?Un sistema insostenibile”
14giugno 2009
E il consumatore intelligente?
“Un consumatore educato ed intelligente si rende
conto che il nostro stile di vita non necessita di tante
calorie. Cerca di avere una alimentazione sana, basata
sui vegetali, sulla frutta, sui cereali, consuma poca
carne, latte e derivati. Alla fine è più sano, più felice,
spende meno o comunque spende quanto prima ma ne
guadagna in salute. Non a caso il prodotto biologico è
in fortissima crescita nell'alimentazione infantile, pro-
prio perché le madri si rendono conto che ai figli
devono garantire prodotti sani e possibilmente nelle
giuste quantità. Anche col biologico, non dimentichi-
amolo, si rischia di ingrassare”.
L'agricoltura biologica italiana si interroga sul
suo futuro. Cos'ha da esprimere, nello scenario
futuro che le proiezioni statistiche delineano?
“Volendo rispondere in maniera sintetica potremmo
dire che il biologico per il Sistema Italia nel suo comp-
lesso è economicamente vantaggioso, socialmente
giusto e ambientalmente assai migliore. Necessita di
aziende assai più complesse e diversificate al loro inter-
no di quanto non accada nel settore convenzionale, e
già questo finisce per ridare agli agricoltori quella dig-
nità che oggi hanno quasi smarrito, trasformandosi in
semplici recipienti di sussidi economici. Per non dire del
grande valore aggiunto che si potrebbe avere da un
connubio intelligente tra biologico e produzioni locali
di qualità”.
Il problema semmai è quello di riuscire a comuni-
carlo, questo valore aggiunto. Anche all'interno
del settore biologico.
“La comunicazione di massa innanzitutto si fa attraver-
so gli strumenti tradizionali (tv, giornali, pubblicità) e
su questo abbiamo tutto da imparare dalle strategie
dell'industria alimentare convenzionale. Poi sta al sin-
golo operatore – usando il logo, l'etichetta, la
retroetichetta, un depliant esplicativo – raccontare la
storia di un prodotto affinché il consumatore possa
conoscere le peculiarità di quel che sta comprando.
Pensiamo a una torta fatta con frumento delle colline
marchigiane, marmellata che viene da un frutteto bio-
logico di Cesena e magari zucchero di canna del com-
mercio equo e solidale. E pensiamo di contro a un
prodotto analogo con il marchio della grande dis-
tribuzione e con la sola dicitura “prodotto biologico”,
senza alcuna indicazione di provenienza. Quando li tro-
veremo entrambi sullo scaffale, il consumatore potrà
scegliere a ragion veduta. E non solo in base al prezzo”.
15 giugno 2009
Agricoltura biologica
A conti fatti, era legittimo aspettarsi di più dalla prima
giornata degli “Stati generali per il biologico”.
Vuoi per l’inconsueto caldo, vuoi per l’assenza del min-
istro Zaia impegnato tra G8 agricolo e discussione in
parlamento sulle quote latte, vuoi per la lunga teoria
di saluti ufficiali che il protocollo contempla, fatto sta
che alla fine di biologico si è parlato poco. E, soprat-
tutto, hanno avuto poco spazio per parlarne i diretti
protagonisti, confinati in una tavola rotonda dai tempi
contingentati che è andata in scena quando la platea si
era già abbondantemente sguarnita.
Ci sarà occasione per rifarsi nelle prossime due tappe.
Nel frattempo, quale utile suggestione per riflettere
sulle prospettive del settore e più in generale dell’agri-
coltura italiana è venuta dagli esperti convocati a
Piazzola sul Brenta.
Si prendano ad esempio gli interrogativi proposti a
operatori e autorità da Alessandro Corsi dell’università
di Torino.
Se la convinzione personale è stata storicamente
importante nella prima fase di sviluppo del biologico,
oggi il fattore preponderante nella scelta è legato ad
aspetti prettamente economici. Dal biologico la gran
parte dei produttori attende un vantaggio nel rappor-
to tra costi e ricavi, eppure la principale criticità segna-
lata dagli agricoltori piemontesi in una indagine del
2006 è proprio la mancanza di sbocchi adeguati e
prezzi soddisfacenti.
Detto in altre parole, si produce biologico ma molto
spesso si vende sul mercato convenzionale, mentre fi-
liera corta e mercati degli agricoltori rimangono anco-
ra poco sfruttati come canali alternativi di distri-
buzione.
Quanto agli enti locali e agli operatori pubblici, una
analisi delle sovvenzioni mostra come esse siano
implicitamente orientate più a effetti ambientali che
non a obiettivi di mercato, ma come alla fine i con-
tributi vengano pur sempre commisurati alle differen-
ze di costo col convenzionale. Uno scollamento tra o-
biettivi dichiarati e criteri di utilizzo del denaro su cui
varrà la pena riflettere con più calma.
Falsa partenza
Sostanze attive:le ultime revoche
16giugno 2009
Carmelo Bonarrigo,responsabile documentazione QC&I International Services
c.bonarrigo@qci.it
REVOCATA LA SOSTANZA ATTIVA ROTENONE
Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n° 246
del 20/10/2008, è stato pubblicato il DM 8 ottobre 2008
relativo alla non iscrizione delle sostanze attive
Rotenone, Estratto di equiseto e Chinina cloridrata nel-
l’allegato I del D.Lgs. 17 marzo 1995 n. 194, che ha
recepito la direttiva 91/414/CEE in materia di immissio-
ne in commercio di prodotti fitosanitari, e revoca dei
prodotti fitosanitari contenenti dette sostanze attive,
così come richiesto dalla decisione della Commissione
2008/317/CE del 10 aprile 2008.
In Italia non risultano autorizzati prodotti fitosanitari a
base delle sostanze attive a base di estratto di equiseto
e chinina cloridrata.
Della suddetta decisione riveste particolare importanza
la revoca della sostanza attiva rotenone poiché è una
sostanza ammessa in agricoltura biologica ai sensi del-
l’allegato II del Reg. (CE) n. 889/2008 [ex allegato II/B
del Reg. (CEE) n. 2092/91], alla voce “Sostanze di origi-
ne vegetale e animale”.
Le autorizzazioni all’immissione in commercio dei pro-
dotti fitosanitari a base di sostanza attiva rotenone,
riportate nella tabella che segue, sono revocate a par-
tire dal 10 ottobre 2008, mentre la vendita e l’utilizzo
delle scorte è consentito fino al 10 ottobre 2009. (vedi
tabella a pagina 18)
Le imprese titolari dei suddetti prodotti fitosanitari
devono provvedere a modificare le etichette, mante-
nendo i soli impieghi previsti nella colla V della sud-
detta tabella (allegato A del DM 8 ottobre 2008).
Alcuni prodotti fitosanitari a base della sostanza attiva
rotenone possono essere utilizzati per specifici impie-
ghi (usi essenziali) per i quali attualmente non sono dis-
ponibili valide alternative. Pertanto le autorizzazioni
all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari a
base della sostanza attiva rotenone sono mantenute in
vigore fino al 30 aprile 2011 limitatamente agli impie-
ghi su melo, pero, pesco, ciliegio, vite e patata. (vedi
tabella a pagina 18)
Le imprese titolari delle autorizzazioni dei prodotti
fitosanitari a base della sostanza attiva rotenone, ripor-
tati nella suddetta tabella (allegato B del DM 8 ottobre
2008), dovranno adeguare le etichette con le limitazio-
ni agli impieghi su melo, pero, pesco, ciliegio, vite e
patata per gli usi essenziali.
I prodotti fitosanitari a base della sostanza attiva rote-
none, riportati nella suddetta tabella (allegato B del
DM 8 ottobre 2008), devono rispettare le condizioni
dei Limiti Massimi di Residui (LMR) previste dal Reg.
(CE) n. 396/2005 e successivi regolamenti collegati [Reg.
(CE) n. 178/2006; Reg. (CE) n. 149/2008; Reg. (CE) n.
839/2008].
La vendita e l’utilizzo delle giacenze dei prodotti fito-
sanitari a base della sostanza attiva rotenone, riportati
nella suddetta tabella (allegato B del DM 8 ottobre
2008), contenenti nelle etichette colture diverse dagli
usi essenziali, opportunamente adeguate al rispetto
delle nuove condizioni di LMR previsti dal Reg. (CE) n.
396/2005 e successivi regolamenti collegati, è consenti-
ta fino al 10 ottobre 2009.
La vendita e l’utilizzo delle giacenze esistenti dei pro-
dotti fitosanitari, riportati nella suddetta tabella (alle-
gato B del DM 8 ottobre 2008), che risulteranno in
commercio al 30 aprile 2011, con le etichette adeguate
agli usi autorizzati, è consentita fino al 30 aprile 2012.
REVOCATA LA SOSTANZA ATTIVA
BEAUVERIA BRONGNIARTII
E’ stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione
Europea n° 263 del 02/10/2008, la Decisione
2008/768/CE del 30 settembre 2008 relativa alla non
iscrizione della sostanza attiva Beauveria brongniartii
nell’allegato I della Direttiva 91/414/CEE, in materia di
immissione in commercio di prodotti fitosanitari, e
revoca dei prodotti fitosanitari contenenti detta
sostanza attiva.
La suddetta decisione riveste particolare importanza
17 giugno 2009
poiché è una sostanza ammessa in agricoltura biologi-
ca ai sensi dell’allegato II del Reg. (CE) n. 889/2008 [ex
allegato II/B del Reg. (CEE) n. 2092/91], alla voce
“Microrganismi utilizzati nella lotta biologica contro i
parassiti e le malattie”. Gli Stati membri dovranno
provvedere affinché:
1. le autorizzazioni di prodotti fitosanitari contenenti
detta sostanza attiva siano revocate entro il 30
marzo 2009;
2. non siano più concesse né rinnovate autorizzazioni
di prodotti fitosanitari contenenti detta sostanza
attiva a partire dal 02/10/2008;
3. il periodo di moratoria eventualmente concesso
dagli Stati membri, a norma dell’articolo 4, paragra-
fo 6, della direttiva 91/414/CEE, deve essere il più
breve possibile e scadere entro il 30 marzo 2010.
REVOCATA DELLE SOSTANZE ATTIVE
AZADIRACTIN, ZOLFO CALCICO E QUASSIA
E’ stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione
Europea n° 335 del 13/12/2008, la Decisione
2008/941/CE dell’8 dicembre 2008 relativa alla non iscri-
zione di alcune sostanze attive, elencate nell’allegato
della suddetta Decisione, nell’allegato I della Direttiva
91/414/CEE, in materia di immissione in commercio di
prodotti fitosanitari, e revoca dei prodotti fitosanitari
contenenti dette sostanze attive.
Agricoltura biologica
La suddetta decisione riveste particolare importanza
poiché tra le sostanze attive elencate nell’allegato
della Decisione 2008/941/CE si evinco le seguenti
sostanze:
- Azadiractin
- Zolfo calcico
- Quassia
che sono ammesse in agricoltura biologica ai sensi del-
l’allegato II del Reg. (CE) n. 889/2008 [ex allegato II/B
del Reg. (CEE) n. 2092/91], sotto le seguenti voci:
1. Sostanze di origine vegetale o animale
Azadiractina estratta da Azadirachta indica (albero
del neem);
Quassia estratta da Quassia amara
6. Altre sostanze di uso tradizionale in agricoltura bio-
logica
Zolfo calcico (polisolfuro di calcio).
Gli Stati membri dovranno provvedere affinché:
1. le autorizzazioni relative ai prodotti fitosanitari con-
tenenti le suddette sostanze attive siano ritirate
entro il 31 dicembre 2010;
2. il periodo di moratoria concesso dagli Stati membri,
a norma dell’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva
91/414/CEE, scade il 31 dicembre 2011.