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L’IMPATTO DEI NEOZOI AL BIOTOPO
“PARCO MOTTO GRANDE” DI CAMORINO
E PROPOSTE DI RISANAMENTO PER LA
PROTEZIONE DEGLI ANFIBI
Lavoro di maturità in biologia, anno 2009
Samuele Rosselli
Prof. Ottorino Pedrazzini
Samuele Rosselli IV c LAM gennaio 2009/novembre 2009
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Sommario 1 Introduzione _______________________________________________________________ 4
1.1 Perché ho scelto di svolgere questa ricerca? _________________________________ 4
1.2 Il problema delle specie alloctone __________________________________________ 5
1.2.1 Definizione di specie alloctona ______________________________________ 5
1.2.2 Il problema delle specie invasive _____________________________________ 5
1.2.3 Due esempi eclatanti ______________________________________________ 6
1.3 Obbiettivi _____________________________________________________________ 7
2 Luogo di studio _____________________________________________________________ 7
2.1 Localizzazione del biotopo ________________________________________________ 7
2.2 Evoluzione storica del luogo ______________________________________________ 8
2.2.1 La cava del Motto Grande e la creazione del parco ______________________ 8
2.2.2 Colonizzazione del biotopo da parte degli anfibi ________________________ 9
2.2.3 Le specie alloctone nel biotopo ______________________________________ 9
2.2.4 Provvedimenti adottati finora ______________________________________ 9
2.2.5 Ordinanze di protezione dell’ambiente _______________________________ 10
3 Procedimenti ______________________________________________________________ 11
3.1 Materiali _____________________________________________________________ 11
3.2 Metodi di indagine _____________________________________________________ 11
3.3 Esperienze pratiche ____________________________________________________ 12
3.3.1 Valutazione della predazione di uova e larve di rana temporaria da parte dei pesci alloctoni nell’ambiente naturale ______________________________ 12
3.3.2 Valutazione attraverso un’esperienza di laboratorio della quantità di cibo mangiata da un carassio ____________________________________________ 14
3.3.3 Censimento dei neozoi presenti nello stagno attraverso una nassa ________ 16
4 Risultati __________________________________________________________________ 17
4.1 Il biotopo ____________________________________________________________ 17
4.2 La biocenosi __________________________________________________________ 18
4.2.1 Vegetazione acquatica e igrofila ___________________________________ 18
4.2.2 Alberi ad alto fusto sul perimetro dello stagno ________________________ 19
4.2.3 I neozoi presenti allo stagno _______________________________________ 20
4.2.4 Specie autoctone emblematiche ____________________________________ 21
4.3 Valutazione della predazione di uova e larve di rana temporaria da parte dei pesci alloctoni nell’ambiente naturale ___________________________________________ 22
4.4 Valutazione attraverso un’esperienza di laboratorio della quantità di cibo mangiata da un carassio ______________________________________________________ 23
4.5 Censimento dei neozoi presenti nello stagno attraverso una nassa ______________ 24
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5 Discussione _______________________________________________________________ 25
5.1 Discussione dei risultati _________________________________________________ 25
5.1.1 Valutazione della predazione di uova e larve di rana temporaria da parte dei pesci alloctoni nell’ambiente naturale ______________________________ 25
5.1.2 Valutazione attraverso un’esperienza di laboratorio della quantità di cibo mangiata da un carassio ____________________________________________ 25
5.1.3 Censimento dei neozoi presenti nello stagno attraverso una nassa ________ 26
5.2 L’intervento di rinaturalizzazione del Motto Grande è stato eseguito in modo completamente adeguato? ___________________________________________________ 27
5.3 Protezione dello stagno dai neozoi ________________________________________ 28
5.4 Potenzialità ecologiche dello stagno _______________________________________ 28
5.5 Possibili interventi di miglioramento _______________________________________ 29
6 Conclusione _______________________________________________________________ 35
7 Bibliografia ________________________________________________________________ 37
7.1 Ringraziamenti ________________________________________________________ 38
8 Appendice ________________________________________________________________ 39
8.1 Schede delle principali specie aliene animali ________________________________ 39
8.1.1 Il carassio dorato (Carassius auratus)________________________________ 39
8.1.2 La carpa (koi) (Cyprinus carpio) ____________________________________ 39
8.1.3 Il persico sole (Lepomis gibbosus) ___________________________________ 40
8.1.4 Il temolo russo (Hypophthalmichthys molitrix) ________________________ 41
8.1.5 La tartaruga americana (Trachemys sp.) _____________________________ 41
8.2 Schede delle specie anfibie osservate ______________________________________ 42
8.2.1 La rana temporaria (Rana temporaria) ______________________________ 42
8.2.2 Il rospo comune (Bufo bufo) _______________________________________ 44
8.2.3 Le rane verdi (Rana esculenta e Rana lessonae) _______________________ 46
8.2.4 La rana agile (Rana dalmatina) ____________________________________ 48
9 Allegati ___________________________________________________________________ 50
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1 Introduzione
1.1 Perché ho scelto di svolgere questa ricerca?
Ho scelto questo lavoro di maturità per molte ragioni.
Il tema “organismi alloctoni in Ticino”, unito alla mia passione per la biologia, ha risvegliato in me
la curiosità di indagare personalmente questa realtà.
Mi ponevo infatti continuamente la seguente domanda: perché ci si accanisce sempre tanto sulle
specie alloctone che invadono il nostro territorio e si cerca, se possibile, di combatterle?
Se una specie alloctona riesce ad occupare una data nicchia ecologica sostituendosi ad una
autoctona, secondo logica dovrebbe essere più adatta a vivere in determinate condizioni
ambientali, essere più resistente o più forte. Da un punto di vista puramente ecologico ciò
potrebbe addirittura essere positivo. Certamente durante il processo di sostituzione della specie
alloctona a danno di quella autoctona si presentano numerosi scompensi ecologici, che però in
teoria dovrebbero scomparire con l’insediamento definitivo della nuova specie.
Analizzando il problema da un’altra prospettiva è però possibile giungere alla conclusione
contraria. C’è anche la possibilità che l’organismo alloctono sia addirittura più inadatto di quello
autoctono a vivere in determinate condizioni ambientali, in cui quello indigeno, inoltre, si è
evoluto. Potrebbe essere semplicemente più forte o più prolifico e quindi in grado di scacciare la
specie autoctona, ma meno adatto ad occupare a lungo termine la nicchia ecologica appena
conquistata. Penso ad esempio ad un animale che, moltiplicandosi eccessivamente, esaurisca
rapidamente le fonti di cibo disponibili. Anche un vegetale alloctono che abbia una forte e veloce
crescita ma un apparato radicale inadatto riuscirebbe a sopraffare rapidamente delle specie
autoctone. In breve tempo sarebbe però causa di smottamenti e dilavazione del terreno, oppure
ne potrebbe alterare le qualità chimiche rendendolo inadatto alla propria stessa crescita.
Non è quindi detto che se una nuova specie invade la nicchia ecologica di una autoctona sia più
adatta ad occuparla. In particolare in relazione alle conseguenze sull’intera rete alimentare,
l’insediamento di una specie alloctona potrebbe causare scompensi ecologici di enorme portata,
difficilmente reversibili: ad esempio, con la scomparsa della specie autoctona i suoi predatori
specifici si potrebbero ritrovare senza fonti alimentari e le sue prede, al contrario, moltiplicarsi in
modo incontrollato. La nuova specie potrebbe inoltre avere altri predatori che si
moltiplicherebbero a dismisura e cibarsi a sua volta di specie diverse dalla prima causandone il
declino numerico o addirittura la scomparsa.
Questi scompensi, causati inizialmente dai neobioti, si potrebbero ripercuotere, attraverso
rapporti di predazione, su tutta la rete alimentare. Il delicato equilibrio ecologico, consolidatosi in
un lunghissimo periodo di tempo, dove ogni specie è perfettamente adattata al suo ambiente e
interagisce eccellentemente con le altre, ne verrebbe così gravemente compromesso, con
possibili conseguenze permanenti.
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Mi si è presentata l’occasione di poter sperimentare, osservare e verificare personalmente
l’impatto di alcune specie alloctone in un biotopo umido vicino a casa mia. La situazione del
biotopo mi toccava personalmente, anche se era solo un modestissimo problema rispetto ad altri
ben più gravi causati dalle specie alloctone invasive nella nostra regione, come ad esempio quello
creato dall’introduzione del gardon (Rutilus rutilus), un pesce che sta spopolando nel lago Ceresio
ed è presente in modo consistente anche nel Lago Maggiore. Esso si ibrida con il pigo (Rutilus
pigo) ed arreca pure un notevole danno a molte altre specie autoctone con le quali entra in
competizione (in particolare quelle del genere Rutilus e all’alborella).
Già da piccolo mi divertivo infatti ad osservare gli animali che popolavano lo stagno. In particolare
gli anfibi attiravano la mia attenzione e mi affascinava osservare la loro metamorfosi da girino a
rana adulta.
Quando durante una visita allo stagno con le scuole elementari dei biologi ci spiegarono che i
pesci rossi erano responsabili di una forte diminuzione del numero di rane, me la presi a morte
con la gente irresponsabile che li aveva gettati nello stagno. Da quel momento li vidi come
pericolosi invasori, testimoni di madornali errori che la gente spesso commette, magari
involontariamente, quando interviene modificando l’ambiente senza conoscerlo a sufficienza.
1.2 Il problema delle specie alloctone
1.2.1 Definizione di specie alloctona
Con il termine “alloctono” si intende, in biologia, una specie animale, vegetale o fungina che, per
opera dell'uomo o di un evento naturale, si trova ad abitare e colonizzare un habitat diverso dal
luogo di origine. 1
Gli organismi alloctoni vengono definiti in generale con il termine neobiota (nuove forme di vita),
più specificatamente neozoi se si tratta di animali e neofite nel caso di vegetali. Per convenzione,
un organismo è detto alloctono se ha colonizzato il luogo estraneo a quello d’origine dopo il 1492
(data della scoperta dell’America).2
1.2.2 Il problema delle specie invasive
Il problema delle specie invasive è un problema globale: esse mettono in pericolo la biodiversità e
provocano molti danni all’ambiente e all’uomo in tutto il mondo.
Piante, animali e funghi attraversano barriere biogeografiche a causa dell’aumento dei traffici.
Raggiungono così zone diverse dal loro luogo d’origine viaggiando rapidamente nei mezzi di
trasporto, commerciati come specie ornamentali, da allevamento o animali domestici oppure
semplicemente quali passeggeri "clandestini". Si diffondono quindi nel nuovo ambiente grazie ad
una particolare resistenza, all’assenza di predatori specifici o grazie ad un’esuberante
riproduzione. Possono essere fonte di una serie di danni anche gravi, entrando in competizione
1 Tratto da Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Alieno_(biologia), consultato il 22.11.2009) 2 Tratto da Marco Martucci, Il problema delle specie invasive, Azione, 16.9.2008
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con le specie autoctone fino alla loro sparizione, ibridandosi talvolta con le specie indigene e
trasmettendo parassiti e malattie sia alle specie autoctone, prive di difese, che all’uomo. In casi
estremi sono addirittura in grado di modificare e compromettere interi ecosistemi. Causano
inoltre spesso danni economici molto rilevanti. 2
1.2.3 Due esempi eclatanti
Nel 1859 Thomas Austin portò in Australia ventiquattro conigli europei (Oryctolagus cuniculus)
per divertirsi a cacciarli nella sua tenuta. Privo di predatori naturali, in breve tempo il coniglio si
moltiplicò a dismisura. La sua popolazione di milioni di esemplari entrò in conflitto con gli animali
indigeni e causò innumerevoli danni all’ambiente e all’uomo. I conigli rosicchiano la corteccia degli
alberi, tolgono erba e nutrimento agli altri animali, scavano e creano erosione del suolo,
provocando ancora oggi ogni anno milioni di dollari di danni all’economia australiana. Inutilmente
si è tentato e si prova tuttora con ogni mezzo a fermare la disastrosa avanzata del coniglio: dalla
caccia ai veleni, dagli anticoncezionali alla diffusione di malattie (come il virus della mixomatosi),
dalla costruzione di reticolati all’introduzione della volpe (che divenne essa stessa un nuovo
problema, mangiando, oltre ai conigli, anche gli animali autoctoni).
Un caso ancora più disastroso è l’introduzione del persico del Nilo (Lates niloticus) nel lago
Vittoria, il più grande lago africano situato fra Kenia, Uganda e Tanzania. L’enorme lago era
famoso in tutto il mondo perché vi convivevano oltre quattrocento specie diverse di pesci, ognuna
perfettamente adattata al proprio ambiente e alle risorse alimentari offerte dal lago. Questo
ecosistema si mantenne in perfetto equilibrio fino agli anni sessanta del secolo scorso, quando fu
immesso nel lago un nuovo pesce, il persico del Nilo, più grande e, si riteneva, più redditizio.
Questa nuova specie si trovò molto bene nel nuovo ambiente e i suoi esemplari divennero molto
grossi, raggiungendo quasi i due metri di lunghezza e superando i due quintali di peso. Predavano
gli altri pesci, che in breve tempo diminuirono drasticamente di numero, e provocarono
l’estinzione della metà delle specie presenti. Estinti i pesci che si nutrivano di alghe e piante
acquatiche, si assistette ad un’eccessiva eutrofizzazione del lago, che rese parte delle acque del
lago talmente povere d’ossigeno da essere inadatte alla vita di molti altri pesci.
Oggi le ripercussioni dell’introduzione del persico del Nilo nel lago Vittoria sono enormi, sia dal
punto di vista ambientale – il lago è sempre più inquinato, le popolazioni di insetti, prima
controllate dai pesci, stanno proliferando – che da quello socio‐sanitario. Gli insetti diffondono
infatti malattie come tifo, colera e dissenteria; inoltre la popolazione locale, attrezzata solo per la
pesca di piccoli pesci (la pesca al persico del Nilo è effettuata solo industrialmente con grossi
pescherecci) e per la quale il prezzo del pesce sta diventando inavvicinabile, inizia a soffrire di
malnutrizione proteica. 3
Anche in Svizzera e in Ticino il problema delle specie alloctone è attuale e molto sentito, e,
sebbene non si siano ancora presentati casi così gravi come quelli citati in precedenza, occorre
mantenere una vigilanza costante.
3 Tratto da Marco Martucci, Il problema delle specie invasive, Azione, 16.9.2008
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1.3 Obbiettivi
Gli obbiettivi principali della mia ricerca sono l’identificazione delle principali specie alloctone (sia
vegetali che animali) che popolano il biotopo umido di Camorino e la valutazione dell’impatto
ecologico che i neozoi hanno sulle specie autoctone. Vorrei quindi riuscire ad evidenziare quanto
la loro presenza possa compromettere le potenzialità ecologiche del biotopo esaminato, in
particolare in relazione alla sua idoneoità quale luogo di riproduzione di anfibi.
Intendo inoltre proporre alcuni progetti di intervento per salvaguardare l’ecologia del biotopo
dall’influsso di tali specie animali invasive, cercando nel contempo di migliorare le sue condizioni
ambientali. Poiché il biotopo è situato all’interno di un parco pubblico e subisce pertanto una
forte pressione antropica, sarebbe interessante tovare soluzioni per una gestione compatibile sia
dal punto di vista ambientale che paesaggistico, turistico e didattico.
2 Luogo di studio
2.1 Localizzazione del biotopo
Lo stagno preso in considerazione per il mio lavoro si trova a Camorino, ai piedi della montagna
(46°09’41’’N; 9°00’33’’E). La Figura 1 mostra la localizzazione dell’area di studio. Lo stagno è
situato in un parco pubblico ai margini di un bosco risultato da una piantagione artificiale. Vi
abbondano infatti alberi alloctoni quali la robinia (Robinia pseudoacacia) e la quercia rossa
americana (Quercus rubra).
Figura 1 Localizzazione del biotopo considerato nella ricerca (ellisse rossa) in un’immagine risalente al 1997. In giallo è evidenziato il confine della piantagione del Motto Grande. Immagine tratta da Google Earth.
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2.2 Evoluzione storica del luogo
2.2.1 La cava del Motto Grande e la creazione del parco
Nella seconda metà degli anni ’60 a Camorino, nella zona del Motto Grande, fu aperta una cava
che avrebbe fornito il materiale inerte necessario alla costruzione del tratto autostradale
attraverso il Piano di Magadino. I lavori, che si protrassero per una quindicina d’anni, cambiarono
profondamente la conformazione della montagna. Un dosso, il cono di deiezione del Motto
Grande (Figura 2), fu rimosso
completamente.
In totale furono asportati circa un
milione di metri cubi di ghiaia.
Al termine dei lavori il comune di
Camorino rimase per convenzione
proprietario di circa 60'000 m2 di
terreno, in parte già sistemati e
rimboscati, in parte ancora da sistemare.
Alla base della cava si era formato un
pianoro di circa un ettaro, circondato dal
bosco.
Il comune decise di rivalorizzare l’area
creando un parco pubblico per lo svago
e il ristoro, luogo di incontro adatto
anche ad ospitare feste popolari. Le
acque di drenaggio furono convogliate
nella parte nord del pianoro, dove era
stato ricavato uno stagno, nel quale
sfociavano attraverso una cascatella
realizzata con un canale in legno
sopraelevato (Figura 3).
L’intervento di recupero, coordinato
dall’architetto paesaggista Ing. Paolo
Bürgi, ricevette il premio ASPAN
(Associazione Svizzera per il Piano di
Sistemazione Nazionale) nel 1989,
classificandosi al secondo posto.4
4 Informazioni tratte dall’archivio comunale: ‐ AA.VV., documenti vari; ‐ Severino Bomio, Con l’architetto paesaggista per le generazioni future: un intervento premiato dall’ASPAN, Popolo e Libertà, sabato 23 dicembre 1989
Figura 3 Il parco appena creato nel 1989 Fotografia tratta da Severino Bomio, Con l’architetto paesaggista per le generazioni future: un intervento premiato dall’ASPAN, Popolo e Libertà, sabato 23 dicembre 1989; archivio comunale
Figura 2 La cava del Motto Grande all’inizio dei lavori (1.12.1969)Fotografia tratta dall’ archivio comunale
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2.2.2 Colonizzazione del biotopo da parte degli anfibi
Benché lo stagno non fosse stato creato allo scopo di ospitare una popolazione di anfibi ma solo
come elemento ludico‐paesaggistico, in pochi anni divenne un importante sito per la riproduzione
di alcune specie di anfibi e un biotopo di valore naturalistico5. Per questo nel 2001 è stato inserito
nell’inventario delle zone umide di importanza nazionale (oggetto numero 335, vedi Allegato 2).
2.2.3 Le specie alloctone nel biotopo
Ben presto però l’equilibrio ecologico dello stagno cominciò ad essere minacciato a causa di
persone che, stufe di mantenere i loro animali domestici perché divenuti troppo grandi o perché
richiedevano cure impegnative, se ne liberavano gettandoli nello stagno. Probabilmente
pensavano che fosse l’ambiente di vita ideale per i loro animali e non erano coscienti del danno
che avrebbero arrecato allo stagno. Lo specchio d’acqua cominciò così a popolarsi di carassi dorati
(Carassius auratus) e tartarughe americane (Trachemys sp.), specie alloctone che ne
compromisero l’ecosistema.
2.2.4 Provvedimenti adottati finora
Si è cercato in molti modi di migliorare le potenzialità dello stagno come luogo di riproduzione
degli anfibi. Inizialmente si tentò di eliminare le specie alloctone introdotte: due volte lo stagno
venne svuotato completamente e i pesci furono eliminati, ma con scarsi risultati6. Lo stagno
continuò a essere popolato da carassi e tartarughe (forse alcuni si salvarono oppure la gente
continuò a gettarveli). Vista l’impossibilità di eliminare le specie infestanti, durante l’ultimo
decennio sono stati messi in atto progetti per creare ambienti protetti dalle specie alloctone ideali
alla riproduzione degli anfibi e si è in generale cercato di migliorare le condizioni ambientali dello
stagno a vantaggio degli anfibi e della biodiversità (Figure 4A e 4B).
5 Vedi Dionea SA, Stagno “Mott Grand”: proposte di gestione e di protezione, 2001
6 Comunicazione orale di Marco Sinzig, operaio comunale
Figura 4A Lo stagno nel 2000, prima dell’intervento di Dionea S.A. Con CX (X =1,2,3) sono evidenziate le “zone di conflitto” che impediscono il pieno sviluppo delle potenzialità ambientali del biotopo. Il C1 rappresenta la competizione dei neozoi con le specie autoctone, il C2 l’ombreggiamento dello specchio d’acqua da parte di neofite ad alto fusto quali Quercus Rubra e Robinia pseudoacacia, il C3 calpestio e gestione intensiva della superficie prativa.
Immagine tratte da: Dionea SA, Stagno “Mott Grand”: Proposte di gestione e di protezione, settembre 2001< (Allegato 1)
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2.2.5 Ordinanze di protezione dell’ambiente
Il biotopo preso in esame è iscritto nell’inventario OSRA (Ordinanza sui Siti di Riproduzione degli
Anfibi, che si occupa della protezione delle zone di riproduzione degli anfibi di importanza
nazionale) come oggetto numero 335. Il sito è inserito nella lista quale “oggetto fisso”, ovvero
“costituito da uno specchio d’acqua idoneo alla riproduzione [degli anfibi] e dalle superfici
confinanti naturali e prossime allo stato naturale; nonché dagli spazi vitali per l’attività terrestre e
dai corridoi di transito degli anfibi” (vedi Allegato 2, Articolo 2).
Quale oggetto fisso deve essere conservato “intatto” (secondo l’Articolo 6). Ciò presuppone che il
biotopo sia sottoposto in continuazione a misure di protezione e manutenzione e a interventi di
riparazione dei danni (Articoli 8, 10 e 11). Tra gli scopi della protezione (citati all’Articolo 6)
figurano in particolare la conservazione e la promozione:
a) dell’oggetto quale sito di riproduzione degli anfibi;
b) delle popolazioni di anfibi che determinano il valore dell’oggetto;
c) dell’oggetto quale elemento all’interno di un sistema di biotopi.
Figura 4B Lo stagno dopo l’intervento di Dionea S.A. Si è cercato di eliminare l’elemento di conflitto C1 con la creazione di depressioni igrofile temporanee (“minibolle”) riservate agli anfibi sulla sponda ovest dello stagno e lungo il canaletto, il C2 con tagli mirati della vegetazione arborea per creare “coni di luce” (segnalati in verde chiaro sulla carta) e il C3 con uno sfalcio tardivo della vegetazione igrofila presente sulla sponda ovest dello stagno (in rosa sulla carta).
Immagini tratte da: Dionea SA, Stagno “Mott Grand”: Proposte di gestione e di protezione, settembre 2001 (Allegato 1)
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3 Procedimenti
3.1 Materiali
Durante le uscite è stato utilizzato il seguente materiale:
‐ fotocamera
‐ termometro
‐ metro per la misurazione del livello dello stagno
‐ cartine tornasole per la misurazione del pH dell’acqua dello stagno
Sono state inoltre svolte tre esperienze pratiche: per i materiali specifici utilizzati vedi
sottocapitolo 3.3.
3.2 Metodi di indagine
La ricerca è stata svolta in primo luogo osservando attentamente il biotopo e la sua biocenosi.
Sono state svolte molte uscite praticamente su tutto l’arco dell’anno (sono state marcate nel
diario quelle del 7, 10, 13, 17, 19, 21, 22, 24, 27, 29 marzo; del 3, 4, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 23, 26 aprile; del 1, 9, 12 maggio; del 3 giugno, del 22, 23, 25, 26, 27, 28, 30 luglio; del 3
agosto; del 13, 14, 16, 18, 22, 27 settembre; del 3, 13, 18, 25 ottobre; ma numerosi altri brevi
sopralluoghi non sono stati annotati). Quasi per ogni uscita è stata realizzata una documentazione
fotografica, si sono annotate le condizioni meteorologiche, il livello dell’acqua nello stagno e le
principali specie animali (vertebrati e artropodi) osservate. In alcune occasioni sono stati rilevati
pure parametri fisici quali la temperatura e il pH dell’acqua.
Per quanto concerne i metodi specifici relativi alle tre esperienze pratiche si rimanda al
sottocapitolo 3.3.
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3.3 Esperienze pratiche
3.3.1 Valutazione della predazione di uova e larve di rana temporaria da parte dei pesci
alloctoni nell’ambiente naturale
Obbiettivi:
Quantificare la predazione di uova e di larve di rana temporaria (Rana temporaria) da parte di
pesci alloctoni presenti nello stagno (carassi e carpe) nel loro ambiente naturale.
Materiali:
‐ Recinzioni per pesci e girini (Figura 5A e 5B)
‐ Colino
Figura 5A Recinzione con i pesci, sopra vista frontalmente, sotto dall’alto. Il telaio in legno, mantenuto a galla da triangoli di polistirolo, ha dimensioni 86x86 cm. Al telaio è fissata la rete (zanzariera di 1,50m di altezza), mantenuta a contatto con il fondale dello stagno attraverso una grossa catena di ferro zincato.
Figura 5B Recinzione senza pesci, sopra vista frontalmente, sotto dall’alto. La rete ha dimensioni identiche a quella senza pesci ma è coperta nella parte superiore con una rete fissata al telaio.
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Procedimento:
Le due recinzioni di confronto, di dimensioni identiche,
sono state posate nello stagno a pochi metri di distanza
(Figura 6). In ciascuna delle due recinzioni è stata
immessa la stessa quantità di ovature di rana
temporaria (Rana temporaria) frammiste ad acqua e
contenenti embrioni a diversi stadi di sviluppo. Nelle
due recinzioni sono stati immessi 15l di “materiale
ovarico” il 10.4.2009 e, in seguito, altri 37l il 13.4.2009.
Il materiale ovarico è stato prelevato dalla superficie
prativa (dove le rane avevano deposto numerose
ovature) e dalle minibolle che si stavano prosciugando. Nella recinzione priva della rete di
copertura nella parte superiore sono stati immessi, oltre alle ovature, anche due carassi (Carassius
auratus) e un ibrido carpa carassio (Carassius auratus incrociato con Cyprinus carpio) (Tabella 1).
Regolarmente il numero di girini veniva monitorato attraverso venti pescate con un colino da
cucina (un utensile costruito appositamente si è rivelato inadatto).
Pesci immessi nella rete sperimentale
PESCI IMMESSI NELLA RETE SPERIMENTALE
Ibrido [Cyprinus carpio‐Carassius auratus]
Carassio dorato [Carassius auratus]
Carassio dorato [Carassius auratus]
Fotografia
Lunghezza [cm]
50 (32 scaglie) 18 14
Massa [g] 1050 135 65
Metodo di pesca
lenza lenza retino
Tabella 1 La tabella riporta i dati principali concernenti i pesci immessi nella rete sperimentale. In particolare sono riportate la dimensione dei pesci, la loro massa ed il metodo di cattura (attraverso una canna da pesca munita di un amo privo di ritegno ‐ per cercare di limitare i danni sul pesce ‐ o con un retino da pesca). Nel caso dell’ibrido carpa‐carassio è riportato anche il numero di scaglie presenti in corrispondenza della linea laterale del pesce, utile ad identificare la specie di appartenenza. Questo pesce è stato identificato come forma ibrida tra carpa e carassio perché, pur somigliando morfologicamente ad una carpa (dimensioni, forma, colorazione), era privo dei caratteristici barbigli all’angolo della bocca e presentava un numero di scaglie inferiore a quello della carpa (che ne ha un numero compreso tra 35 e 40) 7 ma tipico del carassio (che ne ha un numero compreso tra 27 e 32) 7.
7 Tratto da: Malcolm Greenhalg, Stuart Carter, Riconoscere i pesci d’acqua dolce, Franco Muzzio Editore, 2003
Figura 6 Le due recinzioni di confronto posate nello stagno
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3.3.2 Valutazione attraverso un’esperienza di laboratorio della quantità di cibo mangiata da
un carassio
Scopo dell’esperienza:
Quantificare la quantità di cibo mangiato da un carassio (la specie alloctona più diffusa nello
stagno). Grazie ai risultati si auspica di poter stimare il disturbo ambientale che la popolazione di
carassi ha sulla fauna autoctona. I risultati sono messi in relazione alle condizioni ambientali
(temperatura dell’acqua).
Materiali:
‐ Acquario da 50 l
‐ Pompetta per acquari (garantisce il ricambio d’acqua)
‐ Cibo per i pesci (pellets, mangime misto per stagni, bucce di mela, piselli)
Procedimento:
Quattro carassi (Carassius auratus, Tabella 2) sono stati catturati nello stagno per mezzo di una
lenza con un piccolo amo senza ritegno. In seguito sono stati immessi in una vasca di circa 50l.
L’acqua era mantenuta ossigenata con una piccola pompa per acquari. La vasca era dotata
unicamente di un sottile strato di ghiaia sul fondo e di alcuni sassi a protezione della pompetta
(Figure 7A e 7B)
I pesci venivano alimentati con pellets appositi (Figura 8A) o cibo misto per stagni (Figura 8B) una
volta al giorno, la dieta è stata completata con piselli bolliti e bucce di mela (il carassio ha infatti
una dieta onnivora). L’acqua era cambiata parzialmente o totalmente almeno una volta ogni due
giorni. Una volta ogni dieci giorni l’acquario veniva pulito completamente da ogni residuo e la
ghiaia e i sassi restavano esposti al sole per alcune ore (nel frattempo i pesci erano tenuti in
un’altra vasca).
Figura 7A Vasca attrezzata con i pesci. Fotografia scattata il 27.5.2009, quando uno dei pesci era già morto.
Figura 7B Pesci sott’acqua: si nota l’ossigenazione fornita dal piccolo getto della pompetta
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La seguente tabella riporta i dati che concernenti le dimensioni e la massa dei pesci ospitati
nell’acquario al momento dell’allestimento (28.4.2009) e alla fine dell’esperimento (3.6.2009)
Pesci ospitati nell’acquario
28.4.2009 3.6.2009
PESCI IN ACQUARIO massa [g] lunghezza [cm] massa [g] lunghezza [cm]
Carassio dorato (Carassius auratus)
80 16.5 83 16.5
Carassio dorato (Carassius auratus)
164 22 ‐ (morto) ‐ (morto)
Carassio dorato (Carassius auratus)
205 22.5 203 22.5
Carassio dorato (Carassius auratus)
155 24 158 24
Tabella 2 I dati mostrano che sono stati scelti pesci di dimensioni medie (rispetto a alla popolazione totale dello stagno) per ragioni pratiche. La massa è da intendere unicamente come dato indicativo: la sua misurazione è infatti estremamente difficoltosa su un pesce vivo che si muove in continuazione e presenta quindi un possibile errore di 10g circa. È quindi inutile considerare l’aumento o la diminuzione del peso di un dato pesce e cercare di trarre delle conclusioni.
Figura 8A Pellets per carassi, 3 g Figura 8B Cibo misto per pesci di stagno, 1 g
5 cm 5 cm
Figura 8 1g di cibo misto per pesci di stagno pesato con la bilancia da cucina utilizzata durante l’esperienza.
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3.3.3 Censimento dei neozoi presenti nello stagno attraverso una nassa
Scopo dell’esperienza:
Con questa esperienza si intendono identificare le specie di pesci presenti nello stagno, stimando
anche il numero di individui, e, se possibile, quantificarne approssimativamente la biomassa
(attraverso il metodo della cattura e ricattura).
Utilizzando la nassa si cercherà inoltre di fare un censimento sommario delle tartarughe
americane (Trachemys sp.) presenti e di stimarne il numero.
Materiali:
‐ Nassa (Figura 9)
‐ Fotocamera
Procedimento:
La nassa è stata posata nella zona dello stagno con acque basse con la parte finale emergente
dall’acqua affinché le tartarughe intrappolate potessero respirare. La nassa veniva controllata più
spesso possibile (ad intervalli massimi di due‐tre giorni) per evitare che gli animali catturati
rimanessero troppo tempo intrappolati. Le catture sono sempre state annotate minuziosamente e
sono state scattate delle fotografie ad ogni esemplare rimasto intrappolato nella rete.
Figura 9 La nassa (fornita gentilmente dal KARCH, il centro di coordinamento per la protezione degli anfibi e dei rettili in Svizzera) fotografata il 30.7.2009. Si noti la parte emergente dall’acqua che permette alle tartarughe e alle rane catturate di respirare.
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4 Risultati
4.1 Il biotopo
La profondità dell’acqua dello stagno varia tra i 70 cm della parte ovest (che presenta un fondale
sassoso, argilloso o fangoso) ai 160 cm circa della parte centrale (dove il fondale è costituito da
uno strato di detriti organici solo parzialmente decomposti ‐ come foglie, piante acquatiche e
rami‐ e spesso diverse decine di centimetri). Il livello dell’acqua cambia però considerevolmente,
raggiungendo variazioni di 75‐80 cm (Figura 10). Seguendo il suggerimento del biologo Tiziano
Maddalena (responsabile scientifico per il KARCH8 in Ticino) ho installato nello stagno un’asta
graduata in legno, infissa nel fondale. Il livello 0 è stato posto in corrispondenza del livello dello
stagno al momento della posa dell’asta. Ho così potuto constatare che dopo abbondanti piogge o
forti temporali il livello dell’acqua può innalzarsi fino a 60 cm al di sopra del livello 0, durante
periodi di siccità può invece scendere di 15 cm. L’acqua si presenta con un pH di circa 6 (misurato
il 22.9.2009 e il 13.10.2009) e una temperatura variabile tra 0°C (quando lo stagno è ghiacciato) e
30°‐35°C circa (in estate in prossimità delle sponde).
8 Centro di coordinamento per la protezione degli anfibi e dei rettili in Svizzera
Figura 10 Lo stagno è soggetto ad importanti variazioni di livello. In alto a sinistra si può confrontare, attraverso l’asta graduata, il livello dell’acqua in seguito a forti precipitazioni (+54 cm) e siccità (‐ 10 cm). In alto a destra si possono osservare le spiacevoli conseguenze di queste importanti variazioni di livello: le ovature di rana temporaria deposte sulla superficie prativa allagata sono destinate a seccare. In basso a sinistra è ritratta la situazione dell’1.5.2009: l’acqua ha invaso il prato. Nei giorni precedenti lo stagno aveva raggiunto un livello molto alto (circa +63 cm), come testimonia la fascia di detriti ben visibile sulla superficie prativa nella fotografia in basso a destra.
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4.2 La biocenosi
4.2.1 Vegetazione acquatica e igrofila
Il biotopo presenta una vegetazione acquatica e palustre ben sviluppata (Figura 11). La parte
centrale dello è occupata da un groviglio di ninfee rosa (Nymphaea sp.) “frutto di impianto e
quindi verosimilmente cultivar”9 e di genzianacea gialla (Nymphoides peltata) “una specie
introdotta artificialmente ma che si ritiene fosse un tempo autoctona e poi estinta: è quindi in un
certo senso stata reinserita nel suo ambiente naturale”10. Sulle sponde (in particolare quella
rivolta a ovest) cresce una vegetazione palustre igrofila costituita da numerosi iris (Iris
pseudacorus) e da un cariceto (Carex sp.). Sul perimetro dello stagno si trovano anche dei giunchi
(Juncus effusus) e un fitto canneto di tifa (Typha palustris), situato nell’angolo sud‐ovest dello
specchio d’acqua. Nelle pozze del canaletto vi sono piccoli canneti di cannuccia di palude
(Phragmites australis).
9 Specie identificata e descritta dall’ing. Garbriele Carraro di Dionea SA 10 Specie identificata e descritta dall’ing. Garbriele Carraro di Dionea SA
Figura 11 Vegetazione acquatica allo stagno: nell’immagine in alto a destra si possono osservare ninfee rosa (Nymphaea sp.), in primo piano, e genzianacee gialle (Nymphoides peltata), sullo sfondo. L’immagine in alto a sinistra ritrae degli iris (Iris pseuadacoru) e dei salici (Salix alba). Al centro a sinistra frutto di Iris pseudacorus, a destra il cariceto (Carex sp.) che caratterizza la sponda dello stagno adiacente al prato. A lato si può vedere il piccolo ma fitto canneto di tifa (Typha palustris), situato nell’angolo sud‐ovest dello specchio d’acqua, con le caratteristiche infiorescenze.
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4.2.2 Alberi ad alto fusto sul perimetro dello stagno
La vegetazione ad alto fusto in prossimità dello specchio d’acqua (Figura 12) è in parte autoctona
e in parte alloctona. Sono state censite solamente le specie presenti nelle immediate vicinanze
dello stagno (ovvero in una fascia di circa 15 m dalla riva). Tra le specie autoctone più
rappresentative si annoverano salici (Salix sp.) – in particolare il salice bianco (Salix alba) è molto
diffuso ‐, il pioppo nero (Populus nigra), la betulla (Betula pendula), il pioppo tremulo (Populus
tremula ) e l’ontano nero (Alnus glutinosa). Sono stati censiti anche il nocciolo (Corylus avellana),
il castagno (Castanea sativa), il larice (Larix decidua), l’acero (Acer sp.), il ciliegio (Prunus avium) e
il pino silvestre (Pinus sylvestris). I giovani esemplari di sorbo montano (Sorbus aria), sorbo degli
uccellatori (Sorbus aucuparia), tasso (Taxus baccata), ligustro (Ligustrum vulgare), acero
campestre (Acer campestre) e agrifoglio (Ilex aquifolium) presenti sono stati piantati nel 2002 in
relazione al progetto della Dionea SA di sostitutione delle piante alloctone ad alto fusto con piante
indigene minori. Oltre alle specie citate vi è pure una forte presenza di alberi d’alto fusto alloctoni
‐in particolare quercia rossa (Quercus rubra) e robinia (Robinia pseudoacacia)‐ che “adombrano”
in modo importante lo specchio d’acqua e sono perciò considerati “fattori limitanti per i valori
naturalistici [dello stagno] a causa del loro forte accrescimento”. 11 Sulla sponda sud dello stagno
vi è inoltre un esemplare di Albero di Sant'Andrea (Diospyros lotus)12, una neofita che produce dei
piccoli kaki molto amati dagli uccelli ed arricchisce quindi l’ambiente (fatto inusuale).
11 Dionea SA, Stagno “Mott Grand”: proposte di gestione e di protezione, 2001 12 Specie identificata dall’ing. Garbriele Carraro di Dionea SA, che mi ha inoltre comunicato che “si tratta di un’ebenacea ormai acclimatata nella fascia collinare del Sopra‐ e Sottoceneri, propagatasi verosimilmente già nel secolo scorso con i roccoli (piccoli boschetti di forma circolare, attrezzati per la cattura degli uccelli). È sporadicamente presente in Ticino ma non ha carattere particolarmente invasivo”
Populus nigra Populus tremula
Robinia pseudoacacia Quercus rubra
Betula pendula Salix alba
Figura 12 Visione generale della vegetazione d’alto fusto che attornia lo specchio d’acqua. Con gli ovali è evidenziato un membro per ogni specie rappresentativa visibile nell’immagine. Le neofite (Quercus rubra e Robinia pseudoacacia) sono state evidenziate con tonalità sul rosso, mentre le specie indigene con tonalità verdastre.
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4.2.3 I neozoi presenti allo stagno
Nel biotopo vi è una forte presenza di specie aliene (Figura 13). Lo stagno ospita moltissimi
esemplari di carassio dorato (Carassius auratus) e di carpa koi (Cyprinus carpio, variante
domestica colorata della carpa comune), loro ibridi (Carassius auratus incrociato con Cyprinus
carpio), dei persico sole (Lepomis gibbosus), un temolo russo (Hypophthalmichthys molitrix) e
decine di individui di varie specie di tartarughe americane (Trachemys sp.) di differenti
dimensioni. Queste specie “entrano in conflitto”13 con la popolazione di anfibi (ad esclusione del
temolo russo, dato che si nutre esclusivamente di plancton e nel nostro ambiente è inabile alla
riproduzione14).
13 Cfr. Dionea SA, Stagno “Mott Grand”, proposte di gestione e di protezione, 2001 14 Vedi Appendice 8.1.4
Figura 13 Specie alloctone animali più importanti identificate allo stagno. Quelle presenti più massicciamente sono carassio dorato (Carassius auratus, in alto a sinistra), tartarughe americane (Trachemis sp., in alto a destra, dieci individui sono ritratti mentre si scaldano al sole sui sassi al centro dello stagno) e carpa (Cyprinus carpio, al centro a sinistra un esemplare nella forma koi lungo una sessantina di centimetri), ma vi sono anche parecchi individui di persico sole (Lepomis gibbosus, al centro a destra), un temolo russo (Hypophthalmichthys molitrix, in basso a sinistra) e ibridi tra carpa e carassio (Cyprinus carpio incrociato con Carassius auratus, immagine in basso a destra). Tutte le fotografie sono state scattate da me personalmente allo stagno.
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4.2.4 Specie autoctone emblematiche
Le specie di maggiore importanza naturalistica presenti nel biotopo sono quelle anfibie (Figura
14). Durante le uscite sono stati osservati il rospo comune (Bufo bufo), la rana temporaria (Rana
temporaria) e rane verdi (Rana esculenta e Rana lessonae, identificate grazie al canto). Con molta
probabilità nello stagno vive anche la rana agile (Rana dalmatina), segnalata nella scheda
dell’inventario ma mai osservata personalmente. Il biotopo ospita inoltre, nella bella stagione,
natrici dal collare (Natrix natrix) e natrici tessellate (Natrix tessellata). L’airone cenerino (Ardea
cinerea) visita spesso lo stagno per nutrirsi in particolare di anfibi (Rana temporaria durante il
periodo riproduttivo, Rana esculenta e Rana lessonae in estate). Tra gli insetti ve ne sono molti
che appartengono all’ordine Odonata (le specie osservate sono Orthetrum cancellatum, Aeshna
cyanea, Anax imperator, Ischnura elegans15) come pure effimere e gerridi (genere Gerris). In
estate lo stagno è un luogo di caccia ideale per moltissimi pipistrelli: le specie segnalatemi da
Tiziano Maddalena16 sono il serotino comune (Eptesicus serotinus), il vespertilio di Daubenton
(Myotis daubentonii), il pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii) e il pipistrello nano (Pipistrellus
pipistrellus). Anche il molosso di Cestoni (Tadarida teniotis) visita occasionalmente lo stagno.
15 Specie identificate da Tiziano Maddalena (tramite delle fotografie) 16 Comunicazione scritta di Tiziano Maddalena
Figura 14 Alcune fotografie scattate personalmente allo stagno, testimoni della grande biodiversità animale nel biotopo studiato. In alto: tre specie di anfibi che popolano lo stagno, da sinistra una rana verde (Rana esculenta) appostata su una foglia di ninfea in attesa di insetti, un maschio di rospo comune (Bufo bufo) durante il periodo riproduttivo e larve di Rana temporaria che si scaldano al sole in prossimità della riva. Al centro: natrice tessellata (Natrix tessellata) a caccia di rane e pesci nello stagno, un gerride (genere Gerris) e una delle numerose orme nella neve sopra lo stagno ghiacciato che testimoniano il passaggio di un airone cenerino (Ardea cinerea). In basso: tre specie di odonata, da sinistra due anisotteri (Aeshna cyanea e Orthetrum cancellatum) e uno zigottero (Ischnura elegans).
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4.3 Valutazione della predazione di uova e larve di rana temporaria da parte
dei pesci alloctoni nell’ambiente naturale
In un primo tentativo fallito avevo circondato alcune masse ovariche di rospo comune e rana
temporaria con una piccola recinzione fissa, sostenuta da paletti di legno e fissata al fondo con
sassi. Al primo forte acquazzone il livello dello stagno si alzò di circa 50 cm sommergendo la
recinzione. Alcuni carassi entrarono così nella zona recintata, vanificando tutto il lavoro. Ho così
dovuto costruire un nuovo tipo di recinzione (Figura 5A e 5B) che tenesse in considerazione i
problemi emersi in precedenza (munita di un galleggiante per adeguarsi alle grandi variazioni di
livello dello stagno). Sono così giunto ai risultati riportati in seguito nella Tabella 3.
Il 18.4.2009 nella gabbia 2 (senza pesci) è stato trovato un carassio che è riuscito ad infilarsi
all’interno della rete. Da quel momento i risultati per la seconda recinzione sono stati quindi
considerati completamente inattendibili e senza nessun valore per il tipo di ricerca condotto. Da
segnalare in ogni caso che in questa recinzione non è più stata catturata nessuna larva a partire
dal 18.4.2009.
Risultati dell’esperienza
Data 13.04.2009 14.04.2009 17.04.2009 18.04.2009 18.04.2009 18.04.2009 01.05.2009
Strumento strumento 1 strumento 1 strumento 1 colino colino colino colinoRete 1 2 1 2 1 2 1 2 1 2 1 2 1 2
Pescata L E L E L E L E L E L E L L L L L L L L
1 0 0 5 0 1 2 1 1 0 0 0 0 6 18 10 / 0 / 0 /2 2 0 6 0 1 0 0 4 0 0 0 0 6 11 0 / 0 / 0 /3 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 8 3 1 / 1 / 0 /4 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 8 2 31 / 31 / 0 /5 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 9 10 19 / 19 / 0 /6 0 0 1 0 0 1 0 2 0 0 0 0 4 4 25 / 25 / 0 /7 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 5 7 15 / 15 / 0 /8 2 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 5 4 11 / 11 / 0 /9 0 0 1 0 0 1 0 3 0 0 0 0 1 5 3 / 3 / 0 /10 0 0 2 0 1 0 0 1 0 0 0 0 14 14 1 / 1 / 0 /11 0 0 1 4 0 0 1 0 0 0 0 0 7 6 19 / 19 / 0 /12 2 0 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 8 3 15 / 15 / 0 /13 5 0 0 0 0 3 14 15 0 0 0 0 2 13 12 / 12 / 0 /14 3 0 0 0 0 0 2 14 0 0 0 0 1 6 13 / 3 / 0 /15 2 6 2 0 0 0 1 2 0 0 0 0 11 10 11 / 11 / 0 /16 1 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 3 3 15 / 15 / 0 /17 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 11 7 41 / 41 / 0 /18 1 1 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 3 6 22 / 22 / 0 /19 0 0 7 0 0 2 1 4 0 0 0 0 2 9 33 / 33 / 0 /20 0 0 1 0 0 3 0 2 0 0 0 0 2 6 15 / 15 / 0 /
Media 1 0.4 1.5 0.2 0.2 0.8 1.2 2.6 0.2 0 0 0 5.8 7.4 15.6 * 15.6 * 0 *
Legenda: L = larve; E = embrioni Rete 1 = rete con i pesci; Rete 2 = rete protetta dai neozoi Strumento 1 = strumento fabbricato appositamente, rivelatosi inadatto / = risultato non attendibile (comunque uguale a 0) * = valore medio non attendibile
Tabella 3 Per ogni uscita sono state eseguite 20 pescate. Sono stati annotati le larve e gli embrioni catturati ad ogni pescata nelle due differenti recinzioni (quella in cui sono stati immessi i carassi e l’ibrido carpa‐carassio, rappresentanti dei neozoi che popolano lo specchio d’acqua, e quella priva di pesci). Nell’ultima riga è riportata la media matematica del numero di embrioni e larve catturati.
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4.4 Valutazione attraverso un’esperienza di laboratorio della quantità di cibo
mangiata da un carassio
Di seguito sono elencati i dati sperimentali relativi alla quantità di cibo mangiata dai carassi
ospitati nell’acquario.
Risultati dell’esperienza
Data tipo quantità osservazioni tacqua
28.04.2009 pellets 3 g allestimento dell’acquario *
29.04.2009 pellets buccia mela
3g 1 cm2/pesce
20°C
30.04.2009 pellets 3g esperienza con larve e gelatina di uova di rana temporaria (vedi Capitolo 5.1.2)
20°C
01.05.2009 pellets 3g *
02.05.2009 pellets 3g *
03.05.2009 pellets 3g 20°C
04.05.2009 pellets 3g *
05.05.2009 pellets 3g *
06.05.2009 pellets 3g pesce con problemi di nuoto, probabile occlusione intestinale
20°C
07.05.2009 pellets 3g pesce con occlusione intestinale morto *
08.05.2009 digiuno 0g *
09.05.2009 digiuno 0g *
10.05.2009 digiuno 0g 20°C
11.05.2009 digiuno 0g *
12.05.2009 piselli bolliti 8 (3/3/2) *
13.05.2009 misto piselli bolliti
1.5g 3 (1/1/1)
*
14.05.2009 misto 2g 20°C
15.05.2009 misto 2g 20°C
16.05.2009 misto 2g 20°C
17.05.2009 misto 2g *
18.05.2009 misto piselli bolliti
1.5g5 (2/2/1)
*
19.05.2009 misto 1.5g 20°C
20.05.2009 misto 1.5g *
21.05.2009 misto 1.5g *
22.05.2009 misto 1.5g 20°C
23.05.2009 misto 1.5g *
24.05.2009 misto 1.5g 20°C
25.05.2009 misto 1.5g *
26.05.2009 misto 1.5g 20°C
27.05.2009 misto 1.5g *
28.05.2009 digiuno 0g *
29.05.2009 misto 1.5g 20°C
30.05.2009 misto 1.5g Cibo finito in 23', in 10' il 90% 20°C
31.05.2009 misto 1.5g 20°C
01.06.2009 misto 1.5g Cibo finito in 28', in 10' il 90% 20°C
02.06.2009 digiuno 0g 20°C
03.06.2009 misto 1.5g Cibo finito in 21', in 10' il 90% 20°C Tabella 4 Sono annotati il “tipo” e la “quantità” di cibo fornito ai pesci. Sotto “osservazioni” sono riportati gli eventi più significativi della ricerca, il comportamento e lo stato di salute dei pesci. Nell’ultima colonna è indicata la misura della temperatura dell’acqua.
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4.5 Censimento dei neozoi presenti nello stagno attraverso una nassa
Di seguito sono riportate tutte le catture effettuate con la nassa (Figura 15).
Catture effettuate con la nassa
Tabella 5 Catture effettuate con la nassa (Figura 15). Le tartarughe sono state censite attraverso le fotografie (ventrali e dorsali) e i vari individui sono stati denominati in ordine di cattura con le lettere dalla A alla H.
Carassio
(Carassius auratus)
Persico sole
(Lepomis gibbosus)
Tartaruga americana
(Trachemys scripta)
Rana verde
(Rana esculenta)
23.7.2009 1 1 (A)
25.7.2009 1 4 (B, C, D, E)
26.7.2009 1 1 (D)
27.7.2009 2 (D, F)
28.7.2009 1
30.7.2009 3 (C, D, E)
3.8.2009 5 2 3 (D, F, G)
14.9.2009 1 1
22.9.2009 1 (H) 1
27.9.2009 1 (H)
TOTALE CATTURE
8 3 14
3
Individui catturati
8 3 8 3
Figura 15 Alcune catture emblematiche durante l’esperienza. Nella fotografia in alto a sinistra si può vedere, all’interno della nassa, una parte della cattura del 3.8.2009 comprendente due persici sole (Lepomis gibbosus), uno dei quali è stato ritratto da solo nell’immagine in basso a sinistra. In alto a destra si può invece osservare una rana esculenta (Rana esculenta) catturata il 28.7.2009 mentre in basso a destra una tartaruga americana dalle orecchie rosse (Trachemys scripta elegans) catturata il 25.7.2009
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5 Discussione
5.1 Discussione dei risultati
5.1.1 Valutazione della predazione di uova e larve di rana temporaria da parte dei pesci
alloctoni nell’ambiente naturale
Il lavoro svolto non mi ha purtroppo permesso di trarre le conclusioni poste come obbiettivo a
causa di molte ragioni. In primo luogo, determinare la quantità di larve di rana presenti nelle
recinzioni non è per niente evidente, poiché le larve tendono a rimanere nascoste tra i detriti del
fondale: di conseguenza, se si pesca unicamente nella colonna d’acqua si hanno poche probabilità
di catturare qualcosa, se invece si striscia il colino sul fondale il numero di larve catturato subisce
delle grandi variazioni a dipendenza della posizione. Questo probabilmente perché anche
all’interno di una piccola superficie di fondale come quella delimitata da una recinzione le larve
tendono a riunirsi in punti con maggiore disponibilità di cibo e di nascondigli. Le recinzioni, inoltre,
sebbene poste a pochi metri di distanza, presentavano differenti condizioni di fondale (in quella
con i pesci il fondo era prevalentemente sassoso e argilloso, mentre nell’altra risultava ricoperto
di detriti organici), altro fattore che ha influenzato molto le catture. A questo si deve aggiungere
la non completa aderenza al fondale della recinzione priva di pesci (all’interno della quale è
addirittura riuscito ad entrare un carassio). Questo spiega perché dopo circa un mese non è più
stata catturata alcuna larva. L’unico risultato potenzialmente valido è quello ottenuto attraverso
la recinzione con i pesci, dove il numero di larve catturate si è azzerato dopo poco più di un mese.
Non si può però sapere se ciò sia dovuto alla predazione dei pesci oppure al fatto che le larve
sono fuggite, in un modo o nell’altro, anche da questa recinzione. I risultati sono comunque stati
compromessi anche da visitatori dello stagno, che il 15.4.2009 hanno gettato del pane nella
recinzione con i pesci (priva di copertura, vedi Figura 5A) e hanno pure cercato di spostare le
recinzioni servendosi di un lungo ramo.
5.1.2 Valutazione attraverso un’esperienza di laboratorio della quantità di cibo mangiata da
un carassio
Con questo esperimento ho potuto constatare che i carassi mangiano tanto cibo quanto ne viene
loro offerto. Riescono a mangiare fino a morire se viene loro offerto troppo cibo, ma possono
anche rimanere più giorni senza nutrirsi senza subire particolari conseguenze: sono quindi
estremamente resistenti e adattabili. La loro dieta è onnivora (hanno mangiato tutto ciò che ho
messo a loro disposizione – pellets, cibo misto, bucce di mela, piselli bolliti). Dato interessante è
che due carassi sono riusciti, in una sola notte, ad ingerire circa di 100g di gelatina ovarica di rana
temporaria e di tre larve appena sgusciate, sempre di rana temporaria, prelevati da una piccola
pozza situata a circa 800m di altitudine sui monti di Camorino. Ci tengo a segnalare che la gelatina
ovarica era già priva di embrioni, mentre le tre larve mangiate dai pesci sono state compensate
allevando in cattività 47 girini (provenienti sempre dalla stessa pozza). Il 6 giugno sono state
liberate nella pozza 39 piccole rane completamente metamorfosate (le restanti 8 larve sono
morte durante l’allevamento; due perché non si sono sviluppate e sono state mangiate dai loro
stessi compagni, mentre altre sei durante la metamorfosi).
0,5 g circa di cibo al giorno per pesce (vedi Tabella 4)sembra essere una piccola quantità, ma se la
moltiplichiamo per il numero di carassi verosimilmente presenti nello stagno (vedi capitolo 5.1.3)
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e per il numero di giorni in cui si nutrono durante l’anno (circa 7 mesi) otteniamo un quantitativo
per nulla irrilevante (nell’ordine di alcuni quintali) di nutrimento assunto annualmente! Bisogna
poi considerare che il pellets è un mangime secco e molto nutriente, nutrendosi di residui organici
umidi e meno nutrienti probabilmente i pesci nello stagno consumano giornalmente una
maggiore quantità di cibo. Benché la stima sia stata effettuata in maniera estremamente
grossolana, anche riducendo il risultato di un fattore dieci si riesce comunque ad avere un’idea del
possibile grande impatto che la popolazione di carassi può avere sullo stagno: un prelievo così
massiccio di nutrimento avrà infatti sicuramente ripercussioni sulla fauna autoctona, a causa della
predazione diretta o come conseguenza della concorrenza alimentare.
5.1.3 Censimento dei neozoi presenti nello stagno attraverso una nassa
Le catture, in particolare di carassi (Carassius auratus) e carpe (Cyprinus carpio), sono state molto
limitate. Infatti sono avvenute solo otto catture di carassi e addirittura nessuna di carpa.
L’esperienza con la nassa non ha quindi fornito i risultati sperati (quantificare in modo almeno
approssimativo il numero di individui delle varie specie aliene con il metodo della cattura e
ricattura) in quanto gli esemplari catturati sono stati troppo pochi per stimarne il numero totale.
Ciò è difficilmente spiegabile, in quanto lo stagno ospita certamente centinaia di indiviudui
catturabili. Si veda ad esempio la Figura 16 (fotografia scattata il 17.3.2009), dove su una piccola
porzione di stagno (2m2 circa) e in una colonna d’acqua di circa 20 cm (l’acqua è molto torbida e
non permette di vedere oltre in profondità) si contano già 10 carassi e 1 carpa. Bisogna
considerare che lo stagno ha una superficie di circa 1000m2 e che quando è stata scattata la
fotografia i pesci vi erano distribuiti in modo più o meno omogeneo. Ora, pur assumendo che la
zona fotografata possa presentare una densità di popolazione cinque volte superiore alla media
nello stagno (si tende infatti a scattare le fotografie nelle zone più densamente occupate da
pesci), eseguendo un semplice calcolo si può stimare che nel primo strato di acqua di 20cm siano
presenti circa 1000 carassi e 100 carpe che superano i 10cm di lunghezza! È un dato
estremamente approssimativo, ma può dare un’idea della popolazione di pesci nello stagno, che è
sicuramente nell’ordine di migliaia di individui.
6
1 2
4 5
8
7
10 9
3
1
Figura 16 All’interno dell’area evidenziata in giallo (circa 2m2) si contano almeno nove carassi (Carassius auratus), numerati in arancione, e una carpa (Cyprinus carpio), numerata in blu. Non sono stati presi in considerazione i pesci di dimensioni inferiori a 10cm circa, comunque molto numerosi.
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Probabilmente i pesci solitamente evitavano di entrare nella nassa in quanto avvertivano che
l’apertura era stretta. Inoltre durante il periodo dell’esperienza la temperatura dell’acqua è stata
in generale alta (sulle rive praticamente sempre superiore a 20‐25°C ad eccezione dei giorni di
pioggia), di conseguenza la maggior parte dei pesci rimaneva nella parte centrale dello stagno, più
fresca in quanto più profonda, irraggiungibile con le reti per la presenza di un intrico di ninfee.
L’esperienza ha però fornito anche qualche risultato interessante. Sono state catturate 8
tartarughe americane (Trachemys sp.) di differenti specie e dimensioni in 14 catture, che sono
state classificate (Tabella 5). Questa attività mi ha inoltre permesso di constatare che nello stagno
c’è il persico sole (Lepomis gibbosus ‐Figura 15 ‐ catturato tre volte) di cui ignoravo la presenza e
ho potuto osservare da vicino diversi individui di rana verde (Rana esculenta).
Gli unici dati da cui si potrebbero trarre delle conclusioni numeriche sono quelli relativi al numero
di individui ricatturati: carassi (8 catture) e persico sole (3 catture) non sono mai stati ricatturati.
Ciò dimostra che 8 e rispettivamente 3 individui rappresentano solamente una piccola parte della
popolazione totale di questi pesci presente nel biotopo (cosa comunque già risaputa). Nel caso
delle tartarughe, invece, in 14 catture si sono catturati 8 individui differenti: si può perciò stimare
una popolazione totale composta di circa 20 ‐30 individui. I risultati evidenziano in modo chiaro
che le specie alloctone presenti nello stagno hanno un possibile grande impatto sulla fauna
autoctona del biotopo. Tuttavia i risultati sono incompleti (non tutte le specie alloctone più
importanti sono state esaminate a fondo) e non permettono analisi approfondite in relazione agli
obbiettivi della mia ricerca. Ciò è sicuramente dovuto al fatto che durante la ricerca ho dovuto
affrontare molti imprevisti. Per fronteggiarli ho dovuto di volta in volta escogitare nuove strategie
di indagine o ricorrere a nuovi materiali. Il tempo a disposizione è inoltre stato molto breve per
questo tipo di indagine. La fase di attività sul campo mi ha però permesso di osservare
attentamente lo stagno durante tutte le stagioni e di informarmi (spesso anche
approfonditamente) sulle specie con le quali sono venuto in contatto.
5.2 L’intervento di rinaturalizzazione del Motto Grande è stato eseguito in
modo completamente adeguato?
Anche se l’intervento di risanamento effettuato al Parco Motto Grande fu di grande valore (venne
infatti premiato nel 1989 con il premio ASPAN17) vi sono alcuni punti che potrebbero essere
oggetto di discussione. Ad esempio, io non condivido l’utilizzo di piante non autoctone al fine di
risanare la zona boschiva (Figura 17). All’epoca, però, si riteneva che le specie alloctone utilizzate ‐
quali quercia rossa (Quercus rubra), robinia (Robinia pseudoacacia) ‐ fossero di grande pregio 18.
Anche lo stagno, inoltre, fu creato con la sola finalità ludico‐paesaggistica, senza prendere in
considerazione il suo potenziale ecologico.19
17 Associazione Svizzera per il Piano di Sistemazione Nazionale 18 Vedi progetti “Motto Grande”, archivio comunale 19 Cfr. Dionea Sa, Stagno “Mott Grand”, proposte di gestione e di protezione, 2001
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5.3 Protezione dello stagno dai neozoi
Personalmente ritengo che le specie alloctone introdotte siano difficilmente eliminabili. Ciò è
dovuto a molte ragioni. In primo luogo carassi sono molto resistenti a qualsiasi fattore ambientale
(freddo, caldo, carenza d’ossigeno). Anche le tartarughe americane sono molto resistenti e abili a
nascondersi e a mimetizzarsi. Queste specie invasive hanno inoltre trovato nello stagno un luogo
di riproduzione ideale, quindi anche eliminando un gran numero di individui ne basterebbero
pochi per riformare una popolazione completa. Pur ammettendo di riuscire ad eliminarle
completamente, ci sarebbe sicuramente qualcuno che, dopo l’intervento, porterebbe il suo
animale esotico nello stagno, vanificando così tutti gli sforzi. L’unica via per garantire una certa
protezione alle specie autoctone sarebbe quindi quella di creare dei microambienti ideali alla loro
riproduzione e inaccessibili o poco accessibili per le specie invasive. Descriverò in seguito una mia
proposta in tal senso.
5.4 Potenzialità ecologiche dello stagno
Il biotopo ha sicuramente grandi potenzialità quale luogo di riproduzione di anfibi e invertebrati
acquatici. Inoltre risulta essere molto attrattivo per molti rettili, mammiferi e uccelli. Offre infatti
condizioni di vita ideali ad almeno quattro specie di anfibi già presenti, anche se ognuna ha
esigenze ben distinte e differenti dalle altre. Questo grazie ai molteplici ambienti diversi che lo
stagno offre già (come zone soleggiate, zone in ombra, canneti, bosco, minibolle). Trovandosi
vicino al bosco e ad un torrente (Ria Grand) è inoltre facilmente accessibile da parte di molte
specie animali attraverso questi corridoi ecologici naturali. Il bosco circostante offre un ambiente
ideale a molti insetti e invertebrati, prede degli anfibi, che hanno così una fonte di nutrimento
assicurata.
Figura 17 Motto Grande(3.11.2009): in autunno è ben visibile la piantagione artificiale (evidenziata in rosso) che si distingue nettamente dal bosco naturale di alberi autoctoni.
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5.5 Possibili interventi di miglioramento
Frequentando lo stagno durante tutte le stagioni, ho potuto rilevare che , per qualche aspetto, la
gestione del biotopo potrebbe essere migliorata. Per questo intendo formulare alcune proposte di
intervento.
Problemi durante il periodo di deposizione delle uova
Durante i sopralluoghi primaverili ho notato che la rana temporaria e il rospo comune necessitano
di molta vegetazione acquatica o ramaglia immersa a cui possano fissare le loro ovature. In
particolare per il rospo comune, che depone i suoi lunghi cordoni di uova fissandoli
meticolosamente alle piante acquatiche o alla ramaglia immersa. Questi elementi quindi sono
indispensabili (come evidenziato dalle immagini di Figura 18). Nel corso della primavera 2009 ho
potuto constatare che nello stagno l’accoppiamento di Bufo bufo e Rana temporaria avviene
inoltre unicamente in acque poco profonde (meno di 50 cm).
Le “minibolle”20, create nel 2002 in base al progetto della ditta Dionea SA, offrono sicuramente un
ambiente ideale alla riproduzione degli anfibi, che ne sono attratti in grande numero durante la
primavera. Queste minibolle nascondono però una trappola poiché bastano pochi giorni di siccità
perché si prosciughino completamente, causando la morte di tutte le uova e le larve di anfibi
presenti. Le “minibolle” si prosciugano per motivi differenti: quelle situate nel canale per un
apporto d’acqua insufficiente, quelle collegate allo stagno, invece, per l’abbassamento del livello
dell’acqua. Quando piove abbondantemente ci si trova invece di fronte al problema contrario: il
livello dell’acqua nello stagno e nel canaletto si alza a dismisura, allagando il prato. Viene così a
crearsi una zona apparentemente ideale alla riproduzione degli anfibi, che depongono sulla
superficie prativa molte ovature. Purtroppo però in pochi giorni l’acqua si ritira lasciando
all’asciutto le uova. C’è così un enorme spreco di uova e un’elevata moria di larve (Figura 10).
In seguito a forti piogge anche il prato adiacente alla riva ovest dello stagno si allaga e le due
minibolle scavate sulla riva restano completamente sommerse. Sono così facilmente raggiungibili
20 Cfr. Dionea SA, Stagno “Mott Grand”: proposte di gestione e di protezione, 2001
Figura 18 Le ovature necessitano di acque basse e di molti sostegni immersi (come piante acquatiche e ramaglia). Si può infatti notare come l’unica ovatura di rana temporaria deposta nello stagno vero e proprio sia fissata a rami immersi, mentre i doppi cordoni di uova di rospo (a destra) sono meticolosamente tesi e avvolti attorno a piante acquatiche. Entrambe le deposizioni si trovano inacque molto basse.
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dai pesci, che possono cibarsi delle uova e delle larve di rana. I girini si disperdono inoltre in tutto
lo stagno, diventando facile preda dei pesci e l’utilità delle due minibolle viene completamente
compromessa.
Una possibile soluzione sarebbe quella di migliorare il sistema di regolazione del livello dell’acqua
nello stagno e nel canale. Il canale, come suggerisce Dionea SA21, andrebbe alimentato con l’acqua
di scarico della fontana, assicurandosi che raggiunga tutte le minibolle (e quindi anche quella
anche più distante dallo stagno, situata a lato delle altalene). La fontana dovrebbe essere attivata
già dall’inizio di marzo fino alla completa metamorfosi dei girini per assicurare un apporto d’acqua
costante. Bisognerebbe inoltre impedire l’innalzamento eccessivo dell’acqua nel canale
mantenendo in funzione un sistema di scarico dell’acqua in eccesso efficace, anche se una certa
variazione di livello va mantenuta: la rana agile predilige infatti specchi d’acqua che presentano
questa caratteristica (vedi Appendice 8.2.4).
Nello stagno bisognerebbe agire sostanzialmente nello stesso modo, ovvero mantenendo un
afflusso di acqua maggiore attraverso il canale di legno anche durante i periodi di siccità (magari
captandola dal torrente “Ria Grand”) e garantendo un corretto funzionamento del “troppo pieno”
anche durante piogge prolungate e violenti acquazzoni, ad esempio con un tubo di uscita di
diametro maggiore. In questo modo il livello dell’acqua dovrebbe subire variazioni minori. Un
livello costante dell’acqua nello stagno migliorerebbe sicuramente la situazione nelle minibolle
esistenti e favorirebbe la realizzazione di nuovi ambienti adatti alla riproduzione degli anfibi: ad
esempio permetterebbe la formazione, nello stagno, di zone con acque poco profonde ma mai
asciutte.
Scarsità di zone adatte alla riproduzione degli anfibi
Lo stagno è carente di zone adatte alla riproduzione degli anfibi che, come detto, necessitano di
acque poco profonde con abbondanza di piante acquatiche intricate e presenza di rami. L’unica
zona con queste caratteristiche è situata nell’angolo nord‐ovest dello stagno dove nel 2002 sono
state create le due piccole pozze. Purtroppo però, mentre nelle minibolle le larve muoiono a
causa del prosciugamento, nello stagno dapprima le uova e poi le larve sono esposte alla
predazione di pesci e tartarughe.
Per questo propongo di innalzare una “diga” di argilla, sassi e fango che separi lo stagno in due
parti: una, ad est, più profonda e l’altra, ad ovest, con acque relativamente basse (profondità
minore di 50‐60 cm) destinata unicamente agli anfibi. Sulla diga si potranno piantare arbusti (ad
esempio salici) e vegetazione palustre (ad esempio Iris pseudacorus, Typha palustris, Phragmites
australis). Ciò consentirà di ottenere una zona relativamente protetta dalle predazione di pesci e
tartarughe,al cui interno si potrebbero pure creare degli isolotti con dei canneti e circondati da
rami e piante acquatiche, appostamenti di caccia ideali per le rane verdi (vedi Appendice 8.2.3). Le
acque poco profonde si scalderebbero velocemente, favorendo così lo sviluppo dei girini22.
21 Cfr. Dionea SA, Stagno “Mott Grand”, proposte di gestione e di protezione, 2001 22 Vedi Max Meier, Anfibi e rettili del nostro paese, Edizioni Mondo, 1986
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L’acqua potrebbe raggiungere questa zona grazie a dei tubi di plastica di diametro di almeno 30
cm chiusi all’estremità da una rete metallica e posti all’interno della barriera (Figura 20 A e 20B).
Abbassando ogni anno di circa 1 metro il livello dello stagno per qualche settimana quando gli
anfibi hanno terminato la metamorfosi e prosciugando così la parte dello stagno loro destinata, vi
si garantirebbe l’assenza di “grossi” pesci (lunghi più di 10cm circa).
Figura 20A Sezione della diga che avrebbe la funzione di separare la zona destinata agli anfibi dal resto dello stagno.
Figura 20B Per alcune settimane all’anno si potrebbe abbassare il livello dello stagno (ad esempio diminuendo l’apporto d’acqua) al fine di lasciare all’asciutto la zona destinata agli anfibi, eliminando i pesci che per caso fossero riusciti ad entrarvi e permettendo la pulizia dei tubi di collegamento tra la zona destinata agli anfibi e il resto dello stagno.
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Troppa pressione antropica sullo stagno
Le zone più adatte alla riproduzione degli anfibi (in particolare Bufo bufo e Rana temporaria) sono
soggette ad una forte pressione antropica. Gli anfibi sono disturbati durante l’accoppiamento e le
uova sono danneggiate dai bambini che giocano e dai cani che fanno il bagno nello stagno. Questa
zona delicata andrebbe protetta. A mio avviso il metodo migliore è quello suggeritomi dal biologo
Tiziano Maddalena23: “creare un ostacolo naturale costituito da sassi accatastati e da una siepe
intricata di arbusti (formata ad esempio da salici, noccioli, biancospini, agrifogli, rose canine, rovi
di macchia, more) che, tra l’altro, fornirebbe un habitat ideale per molte specie di uccelli, rettili e
insetti”.
Trovo comunque peccato privare i visitatori della possibilità di accedere allo stagno e quindi di
osservare la fauna che lo abita. Per i bambini delle scuole elementari potrebbe essere
un’interessante attività osservare lo sviluppo e la metamorfosi delle rane direttamente nel loro
ambiente naturale. L’osservazione degli Anuri potrebbe inoltre sensibilizzare molte persone sullo
stato critico in cui si trovano questi anfibi proprio a causa della distruzione dei loro habitat
naturali, considerati un tempo zone inutili, dannose e improduttive.
Per questo si potrebbe costruire una passerella in legno per l’osservazione, come suggerito da
Dionea SA nel 2001 (proposta rifiutata), oppure creare un piccolo sentiero sulla “diga” che
separerebbe la parte dello stagno destinata agli anfibi da quella lasciata alle specie aliene.
Personalmente ritengo che la seconda opzione sia più semplice da realizzare e abbia un maggiore
potenziale didattico. Osservando il biotopo dai due lati di questo sentiero si potrebbe fare un
confronto diretto tra la parte dello stagno destinata agli anfibi e quella popolata dai neozoi
invasivi. Trovo inoltre che la posa di cartelli informativi all’entrata del parco sia indispensabile, per
evitare in futuro grandi errori (magari involontari), come quello di gettare nello stagno gli animali
domestici diventati “fastidiosi”.
Mantenere una zona dello stagno con specie alloctone
Interessante sarebbe mantenere una zona dello stagno (la parte più profonda, a est della diga)
popolata da specie alloctone, questo per almeno due ragioni, quali:
1) evitare proteste da parte della popolazione: a molti, infatti, piace osservare le tartarughe e i
pesci rossi nello stagno
2) creare un ambiente naturale con grandi potenzialità didattiche per i bambini (mostrando così
tutti gli errori da non più ripetere) e per gli studiosi, al fine di avere confronto diretto dell’impatto
ecologico delle specie neofite sul biotopo.
Va inoltre sottolineato che i neozoi che occupano lo stagno molto difficilmente potrebbero
abbandonarlo e riuscire a colonizzare nuovi ambienti, quindi vi sarebbe un bassissimo rischio di
“contaminazione” di altri biotopi umidi.
Tutto quanto discusso, sostenuto e proposto e nelle pagine precedenti può essere riassunto in
uno schema come quello di Figura 21
23 Comunicazione orale durante la visita allo stagno del 9.04.2009
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Legenda:
Stagno
Minibolle
Bosco
Diga + isolotti
Vegetazione palustre
Vegetazione acquatica
Ninfee
Siepe
Taglio della vegetazione arborea
Flusso d’acqua
Sentiero
C1
C3
Figura 21.0 Situazione attuale del biotopo. Riprendendo l’idea di Dionea SA, si è proceduto a segnalare glielementi di conflitto presenti attualmente nello stagnodesignandoli con C1, C2 e C3. Il C1 rappresenta l’impattoambientale delle popolazioni di neozoi, il C2 la pressioneantropica esercitata sulle zone di maggiore interesse per lariproduzione degli anfibi, il C3 la carenza generale, nello stagnoprincipale, di zone adatte alla riproduzione degli Anuri e iproblemi evidenziati in precedenza legati all’eccessiva variazionedel livello dell’acqua.
C2
Figura 21 Proposta di miglioramento per il biotopo: si noti la diga che permette di separare la parte popolata dalle specie alloctone da quella destinata agli anfibi, al finedi risolvere il conflitto designato con C1. La siepe e i sassi accatastati completerebberol’accerchiamento della zona protetta, impedendo ai visitatori l’accesso alla zona di maggior interesse ecologico (elemento C2). Si potrà però continuare ad osservare lostagno e la fauna che lo popola dal sentierino posto sulla diga di separazione, da dovesarebbe possibile un confronto diretto tra le due parti dello specchio d’acqua. Si è cercato di risolvere l’elemento C3 attraverso un incremento delle zone adatte allariproduzione degli anfibi (creazione di microambienti come isolotti e acque basse conmolta vegetazione acquatica) e una regolazione migliore del flusso d’acqua nello stagno e nel canale (come descritto in precedenza).
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In sintesi, la proposta di miglioramento offrirebbe i seguenti vantaggi
1) Un ambiente miglio.hre per gli anfibi, ovvero:
Incremento dei luoghi ideali alla riproduzione
Minore spreco di uova dovuto alle condizioni cliamtiche avverse (come ad esempio la siccità)
Sviluppo accelerato grazie alla maggiore temperatura dell’acqua
Ampliamento e miglioramento delle zone di caccia degli anfibi
Maggiore disponibilità di nascondigli e rifugi
3) Una buona protezione da parte delle specie aliene, in quanto:
La zona è irraggiungibile per i pesci
La zona è difficilmente accessibile alle tartarughe americane
2) Una maggiore disponibilità di cibo per gli anfibi poiché si creerebbe un ambiente ideale al ciclo
vitale delle loro prede (insetti e altri invertebrati).
3) Una migliore compatibilità con i visitatori del parco, al fine di:
Alleviare l’eccessiva pressione antropica, rendendo la parte dello stagno con il maggior valore
ambientale più difficilmente accessibile alle persone
Proteggere le ovature e i girini dal danneggiamento da parte di persone (in particolare
bambini) e cani.
3) Delle grandi potenzialità didattiche e di sensibilizzazione in relazione a:
Opportunità di osservare gli anfibi nel loro ambiente naturale, rivolta in particolare ai bambini
e alle scuole
Sensibilizzazione verso questi ambienti minacciati
Confronto diretto tra una parte del biotopo soggetta ad un forte impatto da parte dei neozoi e
una praticamente priva di elementi estranei alla fauna e alla flora indigene
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6 Conclusione
Questo lavoro mi ha appassionato molto. Ritengo che uno dei suoi più grandi pregi sia stato
quello di farmi comprendere quanto possa essere difficoltosa una ricerca sul terreno. Per questo
sono quasi dispiaciuto che il tempo a disposizione per la mia ricerca sia già finito: avrei volentieri
ripetuto alcune esperienze apportando i necessari cambiamenti per cercare di completare i
risultati mancanti, mi sarei adoperato per trovare nuove strategie di ricerca, avrei documentato
fotograficamente molte altre situazioni importanti, ecc.
Raramente le esperienze funzionano come previsto e danno i risultati sperati già al primo
tentativo: bisognerebbe ripeterle più e più volte, apportando costantemente dei miglioramenti
nelle tecniche e nel materiale impiegato. Il problema è che sull’arco dell’anno determinate
condizioni (nel mio caso ad esempio l’accoppiamento degli anfibi o una ben precisa fase nello
sviluppo delle larve) si manifestano una sola volta e hanno breve durata e quindi anche un banale
inconveniente può compromettere l’esito di un’esperienza. Ad esempio, durante un’uscita al
biotopo ho potuto assistere all’accoppiamento della rana temporaria (Rana temporaria) proprio
quando non avevo con me l’apparecchio fotografico, che avevo dimenticato a casa. Durante
l’esperienza “Valutazione della predazione di uova e larve di rana temporaria da parte dei pesci
alloctoni nell’ambiente naturale” ho invece potuto constatare che la catena della recinzione non
aderiva bene al fondale dello stagno solo quando le larve si erano già sviluppate. Ho così perso
l’occasione di raccogliere risultati significativi.
D’altra parte questo tipo di lavoro mi ha spinto a trovare spunti interessanti: se è vero che molte
volte non si raggiungono gli obbiettivi che ci si erano prefissati, spesso capita anche di ottenere
dei risultati inattesi. L’importante è prendere in considerazione questi imprevisti e trattarli con il
massimo rigore scientifico e non tralasciarli solo perché apparentemente non rientrano negli
obbiettivi iniziali. Capita così di giungere a conclusioni inaspettate e magari molto interessanti.
Trovo che la mia ricerca possa acquistare rilevanza solo se vista come parte di uno studio più
complesso e non come un lavoro completo e concluso. A questo proposito mi permetto di citare
un aforisma di Isaac Newton (1643‐1727): “Non so come il mondo potrà giudicarmi ma a me
sembra soltanto di essere un bambino che gioca sulla spiaggia, e di essermi divertito a trovare
ogni tanto un sasso o una conchiglia più bella del solito, mentre l'oceano della verità giaceva
insondato davanti a me”. Esattamente lo stesso vale per la mia ricerca. Con questa ricerca sono
convinto di aver esaminato solo un infinitesimo del potenziale campo di studio dello stagno. Ho
ottenuto qualche risultato interessante, ma per essere valorizzata adeguatamente la ricerca
dovrebbe continuare ancora per molti anni con ultreriori apporti. Studiare in modo approfondito
le specie alloctone e le conseguenze sull’ecosistema della loro introduzione nel biotopo e
sviluppare progetti di miglioramento sempre più raffinati, potrebbe, in futuro, risultare utile non
soltanto per lo specifico biotopo (lo stagno di Camorino rappresenta tutto sommato solamente un
piccolo ambiente), bensì anche per fronteggiare molti altri casi analoghi.
Spero che la mia ricerca possa costituire un tassello che, sommato ad altri, possa portare ad una
migliore conoscenza dei meccanismi che si innescano quando in un ambiente naturale giungono
nuove specie. Solo conoscendo approfonditamente la situazione si può infatti giungere
Samuele Rosselli IV c LAM gennaio 2009/novembre 2009
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all’elaborazione di progetti di intervento validi. A questo proposito mi ha fatto particolarmente
piacere il fatto che la Dionea SA abbia dimostrato interesse per il mio lavoro e si sia dichiarata
disponibile a “coinvolgermi nelle attività di gestione e di ripristino24” del biotopo del Parco Motto
Grande a Camorino.
24 Comunicazione scritta dell’Ing. Gabriele Carraro
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7 Bibliografia
Libri:
Max Meier, Anfibi e rettili del nostro paese, Edizioni Mondo, 1986
Malcolm Greenhalg, Stuart Carter, Riconoscere i pesci d’acqua dolce, Franco Muzzio Editore, 2003
Gerald Durrell, Guida del Naturalista, Arnoldo Mondadori Editore, 1982
Articoli di giornale
Marco Martucci, Il problema delle specie invasive, Azione, martedì 16.9.2008
Archivio comunale (comune di Camorino):
AA.VV., documenti vari
Dionea SA, Stagno “Mott Grand”: proposte di gestione e di protezione, 2001
Severino Bomio, Con l’architetto paesaggista per le generazioni future: un intervento premiato
dall’ASPAN, Popolo e Libertà, sabato 23 dicembre 1989
Sitografia:
Autore sconosciuto, Alieno (biologia) ,http://it.wikipedia.org/wiki/Alieno_(biologia), consultato il
22.11.2009
Autore sconosciuto, Carassius auratus, http://it.wikipedia.org/wiki/Carassio_Dorato , consultato il
4.4.2009
Autore sconosciuto, Hypophthalmichthys molitrix,
http://it.wikipedia.org/wiki/Hypophthalmichthys_molitrix, consultato il 24.9.2009
Kurt Grossenbacher (versione italiana di Alessandro Fossati), La Rana Temporaria,
http://www.karch.ch/karch/i/amp/rt/rtco.html#be, consultato il 24.9.2009
Hans Heusser (versione italiana di Alessandro Fossati), Il Rospo Comune,
http://www.karch.ch/karch/i/amp/bb/bbco.html#be, consultato il 24.9.2009
Christoph Vorburger (versione italiana adattata da Nicola Zambelli e Alessandro Fossati), Le Rane
Verdi, http://www.karch.ch/karch/i/amp/rle/rleco.html#be, consultato il 24.9.2009.
Mario Lippuner (versione italiana di Nicola Zambelli e Alessandro Fossati), La Rana Agile,
http://www.karch.ch/karch/i/amp/rd/rdco.html#be, consultato il 24.9.2009
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7.1 Ringraziamenti
Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato nello svolgimento del mio lavoro. In particolare vorrei
ringraziare:
Tiziano Maddalena del KARCH (Centro di coordinamento per la protezione degli anfibi e dei rettili
in Svizzera), che è stato il biologo di riferimento durante tutto il lavoro, dimostrandosi
estremamente disponibile. Egli ha infatti sempre risposto in modo puntuale ed esaustivo a tutti i
miei numerosissimi interrogativi e si è prestato a partecipare ad una mia uscita allo stagno,
durante la quale abbiamo discusso le problematiche principali del biotopo;
Damiano Torriani del KARCH, che mi ha aiutato nella posa della nassa;
Mirta Wyler, segretaria comunale di Camorino, che mi ha messo a disposizione la
documentazione dell’archivio comunale;
La Dionea SA e in particolare l’Ing. Gabriele Carraro;
e non da ultimo il Prof. Ottorino Pedrazzini che si è dimostrato molto disponibile in tutte le fasi
del mio lavoro.
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8 Appendice
8.1 Schede delle principali specie aliene animali
8.1.1 Il carassio dorato (Carassius auratus)25
Originario dell’Asia centrale, della Cina e
del Giappone, il carassio dorato
(chiamato comunemente pesce rosso) è
stato introdotto in tutto il mondo.
Capostipite di tutte le varietàdi carassio
domestiche, è allevato da secoli per
motivi ornamentali. La varietà selvatica, a
differenza di quella allevata, ha una
colorazione bronzo – verdastra.
L’immissione in ambienti naturali del pesce rosso ha dato origine a popolazioni rinselvatichite che
tendono a tornare alla colorazione della varietà selvatica.
Habitat
Bacini lacustri e canali con acque a corso lento o stagnanti, ricche di vegetazione.
Alimentazione
Onnivoro, si nutre prevalentemente di zooplancton e di invertebrati bentonici. Qualche volta si
ciba sulla superficie di insetti e vegetali.
Dimensioni
Lunghezza massima 35 cm, peso 1 kg circa. Eccezionalmente 60 cm e 3 kg circa.
8.1.2 La carpa (koi) (Cyprinus carpio)26
La forma selvatica della carpa comune si ritiene originaria
della Persia, dell'Asia Minore e della Cina. In Europa la
specie è stata introdotta molti secoli fa per
l'alimentazione e per la sua straordinaria capacità
d'adattamento. La carpa comune è stato uno dei primi
pesci ad essere introdotto in altri paesi oltre a quello di
origine.
25 Tratto da: Malcolm Greenhalg, Stuart Carter, Riconoscere i pesci d’acqua dolce, Franco Muzzio Editore,
2003 26 Tratto da: Malcolm Greenhalg, Stuart Carter, Riconoscere i pesci d’acqua dolce, Franco Muzzio Editore,
2003
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Habitat
Laghi,canali e fiumi con acque a corso lento o stagnanti, ricchi di vegetazione.
Alimentazione
Prevalentemente si nutre sul fondo di invertebrati e piante acquatiche, ma si ciba anche di semi e
frutti che cadono in acqua in superficie.
Dimensioni
Raggiunge una lunghezza di 60‐70 cm e un peso di 4‐6 kg (eccezionalmente 120 cm e 30 kg)
8.1.3 Il persico sole (Lepomis gibbosus)27
Originario del Nord America, è stato introdotto in Europa
agli inizi del 1900 ed è oggi ampiamente diffuso in fiumi e
laghi. Per la rapidità con cui invade e colonizza gli
ambienti acquatici, imponendosi sulla fauna ittica
indigena predando uova e avannotti di pesci, è
considerato un esempio di gestione irrazionale della
risorsa ittica.
Habitat
Fiumi, laghi e stagni, preferibilmente in acque a corso lento, con fondo sabbioso e ricche di
vegetazione. Abitualmente staziona vicino alle sponde e in acque superficiali, spostandosi a
profondità maggiori nei mesi invernali.
Alimentazione
Prevalentemente piccoli invertebrati catturati sul fondo o nella colonna d’acqua e uova di pesci.
Dimensioni
Lunghezza massima 15‐20 cm, peso 50 g circa.
27 Tratto da: Malcolm Greenhalg, Stuart Carter, Riconoscere i pesci d’acqua dolce, Franco Muzzio Editore,
2003
Samuele Rosselli IV c LAM gennaio 2009/novembre 2009
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8.1.4 Il temolo russo (Hypophthalmichthys molitrix)28
Specie è originaria dell'Estremo Oriente (Cina
meridionale e Siberia sudorientale), è stata
introdotta da molti anni in Europa. Si tratta di un
pesce molto caratteristico, con corpo appiattito
lateralmente e pinne ampie. La caratteristica più
notevole consiste nella bocca, che è molto ampia e
rivolta verso l'alto e negli occhi, che sono inseriti
molto in basso, vicino alla bocca. Le squame sono
piccolissime. Sul ventre è presente una carena di
squame dure. Il colore è verdastro argenteo su dorso e fianchi e argentato sul ventre, le pinne
sono chiare. La riproduzione avviene in natura solo nel suo areale d'origine, in Europa la specie
non riesce a deporre le uova in maniera efficace e la sua persistenza nelle acque libere dipende
esclusivamente dalle immissioni. Viene spesso immessa anche nei laghetti per la pesca sportiva.
Habitat
Vive in acque ferme o poco correnti, ricche di piante acquatiche e di fitoplancton, di cui si nutre. È
frequente nei laghi, dove non si avvicina quasi mai alle sponde, vivendo soprattutto nelle acque
aperte.
Alimentazione
Si ciba esclusivamente di fitoplancton che filtra attraverso le branchiospine.
Dimensioni
Raggiunge e supera il metro di lunghezza per un peso che può superare i 25 kg.
8.1.5 La tartaruga americana (Trachemys sp.)29
È originaria dell'America centro‐settentrionale e
delle regioni nord‐occidentali dell'America
meridionale. Le deposizioni delle uova avvengono tra aprile e luglio con schiuse tra luglio e settembre.
Habitat
Predilige i laghi, gli stagni e i fiumi dal corso d'acqua
lento e fangoso con abbondanza di piante
acquatiche. D’estate al prosciugarsi delle pozze d’acqua scava delle buche nel fango o si ripara nei
boschi o nell’erba alta.
Alimentazione:
Le tartarughe del genere Trachemys sono onnivore, le adulte si cibano di piante acquatiche, di
invertebrati, anfibi e piccoli pesci. I giovani esemplari sono prevalentemente carnivori.
28 Tratto da: Autore sconosciuto, Hypophthalmichthys molitrix, http://it.wikipedia.org/wiki/Hypophthalmichthys_molitrix, consultato il 24.9.2009 29 Tratto da: Autore sconosciuto, Trachemys, http://it.wikipedia.org/wiki/Trachemys, consultato il 24.9.2009
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8.2 Schede delle specie anfibie osservate
Premessa: le schede sugli anfibi sono volutamente dettagliate e ricche di particolari, in quanto
sono le specie principali da salvaguardare al biotopo studiato. Per poterle proteggere
efficacemente bisogna conoscere a sufficienza la specie e i suoi modi di vita.
8.2.1 La rana temporaria (Rana temporaria)30
Nessun altro anfibio europeo mostra una
variabilità di colorazione e punteggiatura
paragonabile a quella della rana temporaria.
La gamma dei colori di fondo si estende dal
bruno giallastro all'oliva, dal rossiccio al
marrone scuro, dal grigio fin quasi al nero; la
macchiettatura può essere più o meno
pronunciata, estesa o marmorizzata, oppure
mancare totalmente. Le femmine mostrano
di regola una sfumatura tendente al rosso.
La lunghezza media, da 7 a 9 cm, colloca la
Rana rossa tra i nostri anfibi più grandi. Gli
individui di dimensioni maggiori possono
anche raggiungere i 10 cm di lunghezza.
Modo di vita
Le rane rosse si dirigono numerose verso il luogo di riproduzione già durante l'autunno, tra agosto
e novembre. Parte degli animali trascorre l'inverno direttamente nell'acqua, in ambienti ricchi di
ossigeno, ad esempio in un ruscello oppure in uno stagno in prossimità dell'immissario o
dell'emissario. Altri svernano invece nel suolo boschivo e si avviano verso il luogo di riproduzione
quando il ghiaccio inizia a fondere. Nelle regioni temperate di pianura il periodo riproduttivo delle
rane rosse può avere inizio già verso la metà di febbraio; il culmine dell'attività viene però
raggiunto di norma attorno alla seconda settimana di marzo. In questo periodo la sua livrea si
tinge di magnifici colori vistosi. L’accoppiamento avviene nello stesso stagno o pozza dove la rana
si era sviluppata dall’uovo al girino ed all’individuo adulto. I maschi, che arrivano solitamente
prima delle femmine, si riuniscono in gruppi di centinaia, talvolta anche migliaia di individui,
emettendo un suono gutturale poco appariscente, sordo e aspro. I cori di rane rosse sono
manifestazioni prettamente serali, ma possono essere uditi anche di giorno se il tempo è sereno e
la temperatura mite.
Le femmine, quando giungono a loro volta allo stagno, vengono prontamente afferrate dai maschi
e agganciate saldamente all'altezza del torace. Alcune ore (o alcuni giorni) più tardi ha luogo la
deposizione delle uova. L'ammasso gelatinoso può contenerne fino a 4000.
30 Tratto da: ‐Kurt Grossenbacher (versione italiana di Alessandro Fossati), La Rana Temporaria, http://www.karch.ch/karch/i/amp/rt/rtco.html#be, consultato il 24.9.2009
‐Max Meier, Anfibi e rettili del nostro paese, Edizioni Mondo, 1986
Fotografia tratta da www.herpetofauna.at/amphibien/rana_temporaria.phpil 20.12.2009
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Nel corso della deposizione le femmine perdono circa un terzo del loro peso corporeo e appaiono
in seguito stremate. In pochi giorni la grande frenesia si calma e molti animali abbandonano lo
specchio d'acqua per disperdersi nei campi e nei boschi circostanti, dove durante alcune
settimane si rifugiano in buche scavate nel terreno. Verso maggio sgusciano di nuovo dalla buca
per cacciare insetti, molluschi, anellidi e altri invertebrati di cui si ciba. Una piccola parte della
popolazione rimane tuttavia ancora per settimane allo stagno, comportandosi però in modo
schivo, così da passare pressoché inosservata.
La concentrazione di un numero così elevato di individui in uno spazio molto ristretto fa sì che
anche gli ammassi gelatinosi vengano stipati l'uno accanto all'altro, tanto da formare un tappeto
di uova che può arrivare a coprire diversi metri quadrati
Dopo pochi giorni che l’uovo è stato deposto e fecondato al suo interno si apparirà una figura
nera allungata con una testa e una coda già somigliante ad un girino, poi ai lati della testa
spuntano delle branchie esterne ramificate e la coda si irrobustisce. Il girino riesce ora a liberarsi
dall'involucro trasparente raschiandone la parete gelatinosa con la sua piccola bocca munita di
dentini cornei e si sofferma sulla faccia superiore degli ammassi gelatinosi ormai vuoti,
approfittando così della temperatura più elevata dell'acqua bassa superficiale. La preferenza per
le acque poco profonde può tuttavia avere conseguenze letali sia per le uova, sia per le larve:
infatti, se la primavera è asciutta l'acqua non tarda a ritirarsi e uova e larve essiccano. Tale evento
si rivela però solo raramente disastroso per la popolazione, poiché viene largamente compensato
da un'enorme sovrapproduzione nelle primavere umide e favorevoli. Le branchie esterne si
trasformano in seguito in branchie interne mascellari, termina la formazione dell’occhio e
internamente si sviluppa un lungo intestino capace di digerire anche cibi vegetali. Più tardi i girini
si cibano di uova non fecondate o difettose e addirittura di individui deboli della loro stessa
specie, così come di altri piccoli animaletti ammalati o morti. La loro dieta principale è però
composta da detriti organici e alghe. Si potranno spesso osservare molti girini addossati gli uni agli
altri contro un sasso vicino alla superficie: si stanno nutrendo delle alghe che lo ricoprono mentre
si riscaldano al sole. In seguito ai girini cresceranno prima le zampe posteriori, poi quelle anteriori
e la coda verrà riassorbita. Cadranno le mascelle cornee e la bocca si allargherà vistosamente,
l’opercolo branchiale si chiuderà e la respirazione diventerà polmonare ed epidermica. Al termine
di questa metamorfosi il girino si sarà trasformato nella forma adulta. Nella fase cruciale della
metamorfosi, per diversi giorni, gli animali non si cibano. In condizioni ambientali favorevoli la
metamorfosi dall’uovo alla forma adulta (rana) dura pochi mesi, mentre se sono meno favorevoli
(ad esempio se l’acqua è più fredda) si può protrarre anche per due o tre stagioni.
Se le condizioni atmosferiche si mantengono favorevoli, alla fine di giugno migliaia di minuscole
ranocchiette dalle dimensioni di 12‐15 mm abbandonano quindi lo stagno per diffondersi nei
dintorni. Da questo momento e fino al raggiungimento della maturità sessuale, che avviene di
regola dopo tre anni le giovani rane rosse conducono una vita estremamente schiva e le si direbbe
quasi svanite nel nulla. Trascorrono infatti tutto questo periodo lontane dall'acqua e solo all'inizio
della quarta primavera fanno infine ritorno allo stagno dove sono nate. In montagna il periodo
riproduttivo inizia più tardi che in pianura e può estendersi fino all'inizio dell'estate, nel caso di
inverni molto nevosi anche fino a luglio.
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Habitat e distribuzione
La specie colonizza ogni tipo di acque stagnanti o a scorrimento lento, incluse le superfici umide di
dimensioni minime, anche di un solo metro quadrato, magari in pieno bosco. Vengono evitati solo
i torrenti con forte corrente e i bacini d'acqua con una popolazione ittica elevata. Nell'area alpina
la specie si spinge fino a circa 2500 m s.m.
La Rana rossa è una delle specie più diffuse d'Europa. Il suo areale comprende tutta l'Europa
centrale e si incunea per un buon tratto in Asia. Essa popola anche la Scandinavia fino al Capo
Nord, dove è nuovamente la sola specie di anfibio in grado di sopravvivere. A livello svizzero la
Rana rossa rappresenta a tutt'oggi l'anfibio dominante e non è ancora da considerare
direttamente minacciata.
8.2.2 Il rospo comune (Bufo bufo)31
Il Rospo comune, (Bufo bufo) è un
anfibio dall'aspetto goffo, con zampe
posteriori corte e muso appiattito.
Dietro gli occhi si distinguono le grosse
ghiandole paratoidi che, in caso di
maltrattamento, possono secernere un
liquido vischioso assai tossico, in grado
di provocare forti ulcerazioni alle
mucose di eventuali aggressori (anche
dell'uomo). La colorazione, brunastra,
cambia con le stagioni, con le fasi della
muta, con la durata della permanenza
in acqua ecc., variando dal giallo
sabbia al marrone scuro quasi nero. Soprattutto le femmine possono presentare marmorizzature
sui fianchi, mentre gli immaturi sono spesso rossastri. A partire dall'autunno e fino alla tarda
primavera i maschi sono muniti di cuscinetti nuziali scuri sulle tre dita interne delle zampe
anteriori. Il gracidio è poco potente, poiché la specie non possiede sacchi vocali esterni. Le
femmine, mute, sono sensibilmente più grandi dei maschi della stessa popolazione. Raggiunge i
12 cm di lunghezza nelle femmine solo gli 8 cm nei maschi, da 6 a 8 volte più numerosi delle
compagne.
Modo di vita
In generale l'attività inizia verso la fine dell'inverno, quando gli animali abbandonano le buche nei
boschi dove hanno svernato e, soprattutto durante le serate piovose, si recano in massa verso i
laghi e gli stagni dove avrà luogo la riproduzione. I luoghi di soggiorno estivi, in particolare quelli
delle femmine, possono distare chilometri dal luogo di riproduzione. Come la rana temporaria,
31 Tratto da: ‐Hans Heusser (versione italiana di Alessandro Fossati), Il Rospo Comune, http://www.karch.ch/karch/i/amp/bb/bbco.html#be, consultato il 24.9.2009
‐Max Meier, Anfibi e rettili del nostro paese, Edizioni Mondo, 1986
Samuele Rosselli IV c LAM gennaio 2009/novembre 2009
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anche il rospo comune si riproduce solo nello specchio d’acqua dove anni prima aveva compiuto
la metamorfosi, al quale è legato in modo strettissimo.
La femmina emette le piccole uova nere in due lunghi cordoni gelatinosi che la coppia provvede
ad avvolgere meticolosamente attorno alle piante acquatiche, alle erbe di palude o ai rami
immersi..A deposizione conclusa ne risulta un doppio cordone lungo da 1 a 3 metri e contenente
fino a 6000 uova. Terminata la fase riproduttiva i rospi rientrano nel bosco, dove nelle notti
piovose cacciano gli artropodi e i lombrichi di cui si nutrono. Nel corso della prima metà di ottobre
il Rospo comune si scava nel suolo boschivo un rifugio e vi si ritira a trascorrere l'inverno. I girini di
Rospo comune sono spesso facilmente visibili lungo le rive degli stagni, dove si riuniscono in gran
numero formando vistose chiazze nere. Non si nascondono e sembrano non temere i predatori. In
effetti possiedono anch'essi una secrezione tossica che li rende assai poco appetibili. Da giugno i
piccoli rospetti neometamorfosati, lunghi circa 1 cm, lasciano laghi e stagni, talvolta in massa e
anche in pieno giorno, per infilarsi nei boschi dove nello spazio di qualche settimana assumono il
comportamento notturno degli adulti. Il rospo comune si nutre di insetti, lombrichi e altri
invertebrati che cattura grazie alla velocissima lingua estroflettibile. Acquisisce la maturità
sessuale a 3‐5 anni.
Distribuzione, pericoli e protezione
Il Rospo comune è distribuito in tutta l'Europa e anche oltre, ad eccezione della Scandinavia e
delle isole. In Svizzera è comune e diffuso fino ai 1500 m s.m.; manca tuttavia in Alta Engadina e in
vaste parti delle Alpi vallesane e del Ticino settentrionale. Tra i 1500 e i 2200 m s.m. la sua
presenza diviene sporadica. Al di fuori del periodo riproduttivo la maggior parte degli animali vive
nei boschi, anche se capita spesso di trovarne nelle aree aperte, negli orti e nei giardini degli
agglomerati urbani. I circa 2500 siti di riproduzione noti in Svizzera mostrano che il Rospo comune
non è ancora in pericolo, pur se un certo regresso viene già riscontrato. Gli svantaggi risiedono
invece soprattutto nel fatto che dove un sito di riproduzione viene distrutto senza provvedere ad
una compensazione confacente nelle immediate vicinanze, la popolazione rischia fortemente
l'estinzione totale. Poiché la specie è poco duttile e non idonea alla colonizzazione di nuovi
ambienti, possono infatti trascorrere decenni prima che questi ultimi arrivino ad ospitare
popolazioni stabili. Un ulteriore fattore negativo, in grado di incidere fortemente sulle
popolazioni, è la già citata morte sulle strade, che colpisce una prima volta già al momento della
diffusione dei giovani neometamorfosati e in seguito sia durante l'avvicinamento autunnale e
primaverile ai siti di riproduzione sia durante il ritorno ai boschi. Questo fattore diviene
particolarmente rilevante quando la strada è situata nelle vicinanze del sito di riproduzione, dove
la concentrazione di animali si fa elevata.
Samuele Rosselli IV c LAM gennaio 2009/novembre 2009
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8.2.3 Le rane verdi (Rana esculenta e Rana lessonae)32
Le rane verdi sono certamente tra gli anfibi
più appariscenti e conosciuti: sono loro
infattile protagoniste dei sonori concerti
che si odono in primavera negli stagni.
Durante il giorno amano termoregolarsi al
sole, lungo il bordo dello specchio d'acqua,
pronte a gettarsi in acqua al minimo
disturbo. Sono particolarmente adattate
alla vita acquatica: le membrane
interdigitali delle zampe posteriori,
robuste e ben sviluppate, che ricoprono gli
arti fino alla punta delle dita, le ne fanno
delle ottime nuotatrici. La livrea è molto appariscente ma garantisce una perfetta mimetizzazione
tra tife, carici, iris e altra vegetazione dei pantani.
Le rane verdi europee formano un complesso composto di diverse specie strettamente
imparentate tra loro e di forme ibride. In Svizzera solo due di esse sono autoctone: la Rana dei
fossi o (Rana lessonae) e la Rana verde minore o Rana esculenta (Rana esculenta). La Rana
esculenta, la più diffusa in Ticino, è un ibrido tra Rana lessonae e Rana ridibunda. Il suo
patrimonio genetico è dunque composto dai genomi provenienti da queste due specie. Tuttavia,
ed è questo il fatto fuori dal comune, durante la produzione dei gameti nella Rana esculenta
avviene uno strano processo chiamato ibridogenesi, che porta alla distruzione selettiva dell’intero
patrimonio genetico proveniente dalla Rana lessonae. Ne consegue che l’accoppiamento di una
Rana esculenta con una Rana lessonae riunisce nuovamente i patrimoni genetici di Rana ridibunda
e Rana lessonae, dando come prole l’ibrido Rana esculenta, mentre gli incroci di individui di Rana
esculenta, generalmente, non danno prole in grado di sopravvivere (le larve di Rana ridibunda
risultanti muoiono infatti quasi subito, già allo stadio di piccoli girini). Per questo ragione la Rana
esculenta può sopravvivere in popolazioni miste con la Rana lessonae anche senza la presenza
diretta della Rana ridibunda, come avviene in Ticino dove si estinse molti secoli fa a causa di
condizioni ambientali sfavorevoli.
La Rana lessonae è a tutti gli effetti una specie pura. Rana lessonae e Rana esculenta sono quasi
sempre presenti l'una accanto all'altra nel medesimo stagno, ma non è facile distinguerle. Come
dimensioni, la Rana esculenta è la più grande delle due: i maschi raggiungono una lunghezza di
circa 7,5 cm e le femmine di 8,5 cm. La Rana lessonae è decisamente più piccola: i maschi arrivano
a 5,5 cm mentre le femmine a 6,5 cm. Di colorazione molto variabile; presenta un fondo verde a
macchie più scure che sulle cosce si fondono a formare vere e proprie bande e spesso fasce
giallastre che corrono lungo i fianchi. Caratteristiche della Rana lessonae sono le evidenti macchie
32 Tratto da: ‐ Christoph Vorburger (versione italiana adattata da Nicola Zambelli e Alessandro Fossati), Le Rane Verdi, http://www.karch.ch/karch/i/amp/rle/rleco.html#be, consultato il 24.9.2009.
‐Max Meier, Anfibi e rettili del nostro paese, Edizioni Mondo, 1986
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gialle nella zona inguinale, che mancano di norma nella Rana esculenta. Le varie specie di rane
verdi sono distinguibili in base al canto o grazie alla proporzione tra il tubercolo metatarsale e
l’intero corpo, diverso per forma e grandezza nei tre tipi di rane verdi.
Distribuzione
L’areale di distribuzione di Rana lessonae e Rana esculenta è pressoché identico e si estende su
tutta l’Europa temperata. In Svizzera le rane verdi popolano soprattutto le zone di pianura, senza
mai spingersi oltre i 1000 m di altitudine. Sono dunque distribuite su tutto l’Altopiano, nei
fondovalle del versante nordalpino, lungo il Giura, in Ticino, in Vallese e attorno al lago Lemano.
Habitat
A differenza di altre specie di anfibi indigeni, che visitano gli specchi d’acqua solo per riprodursi, le
rane verdi sono strettamente legate all’ambiente acquatico anche negli altri periodi dell’anno e
trascorrono la maggior parte della vita nell’acqua o nelle sue immediate vicinanze.
Non si mostrano però particolarmente esigenti per quanto riguarda il tipo di corpo d’acqua: sono
infatti in grado di colonizzare tutte le acque permanenti, pur se prediligono pozze, stagni e
laghetti ricchi di vegetazione, ma anche le lanche e le rive poco profonde dei grandi laghi. I luoghi
soleggiati vengono preferiti a quelli in ombra.
Modo di vita
Quasi tutti gli individui di Rana lessonae trascorrono l’inverno sulla terraferma, mentre quelli di
Rana esculenta svernano almeno in parte in acqua. Tra marzo e aprile ha luogo la migrazione
verso le acque nelle quali avviene la riproduzione, che inizia al più presto alla fine di aprile e si può
protrarre fino al principio di luglio. All’apice del periodo riproduttivo, tra maggio e giugno, i
maschi si riuniscono in gruppi nei punti poco profondi dello stagno e danno luogo ai ben noti
concerti. Il maschio gracida estroflettendo due sacchi vocali da un opercolo posto dietro l’angolo
della bocca. Gli individui più dotati nel canto sono avvantaggiati durante la stagione degli amori.
Le femmine attirate dai richiami dei maschi vengono immediatamente afferrate e abbracciate
all’altezza del torace. Le uova (fino a 5000) sono deposte in numerosi piccoli ammassi gelatinosi,
preferibilmente ancorati alla vegetazione delle acque basse vengono deposte in piccoli ammassi,
solitamente quelle di Rana esculenta non sono facilmente reperibili perché si depositano sul
fondo dello stagno e vengono coperte da detriti. Pochi giorni dopo appaiono i girini, che a
dipendenza dalla temperatura e dalla disponibilità di cibo impiegano da 5 a 12 settimane per
trasformarsi in piccole rane. Alcuni girini completano la metamorfosi termina in autunno, altri
invece svernano nel fango come la maggior parte degli adulti e la portano a termine solo l’anno
seguente. Molti di essi non giungono tuttavia alla metamorfosi poiché predati da pesci, tritoni e
insetti acquatici. Anche gli adulti sono prede ambite di numerosi carnivori come la volpe, la faina,
la natrice dal collare, uccelli quali l’airone e grossi pesci. Le rane verdi sono però a loro volta
efficaci predatori: la loro dieta è infatti costituita in gran parte di insetti, ma anche di lumache,
vermi e talvolta addirittura di altri anfibi. La rana verde caccia da una piattaforma fissa (ad
esempio un sasso), nascosta tra la vegetazione ripuale o addirittura immersa nell’acqua, dalla
quale emergono solo le grosse sfere degli occhi e le narici chiudibili poste molto in alto sul muso.
Per catturare la preda sfrutta la sua poderosa forza di stacco e ghermisce l’insetto con la
rapidissima lingua estroflettibile; riesce addirittura a spiccare dei balzi immersa nell’acqua grazie
all’ampia membrana delle zampe posteriori.
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Protezione
Il motivo che porta a ritenere le rane verdi in pericolo nel nostro cantone è principalmente la
perdita degli habitat adatti. Con la scomparsa del 90% delle zone umide, nelle pianure svizzere ne
sono sparite molte popolazioni. Anche per questi animali, come del resto per molte altre specie, la
conservazione degli habitat sopravvissuti riveste dunque la massima importanza. Per le rane verdi
si è pure rivelata efficace la costruzione di nuovi specchi d'acqua, poiché questi anfibi li
colonizzano rapidamente e sono in grado di dare origine in pochi anni a popolazioni
ragguardevoli.
8.2.4 La rana agile (Rana dalmatina)33
Caratteri distintivi
La Rana agile, Rana dalmatina, è una
delle quattro specie di rane rosse, assai
simili tra loro, autoctone dell'Europa
centrale. Con le sue dimensioni massime
di 7,5 cm è chiaramente più piccola della
Rana temporaria. Durante il periodo
estivo il dorso è di colore beige, grigio,
marrone chiaro o rossiccio, uniforme o
cosparso di macchie scure; durante il
periodo riproduttivo i maschi sono
spesso molto scuri, mentre le femmine assumono una colorazione rossastra. Ventre e gola sono di
un bianco‐giallastro pallido, ma soprattutto la seconda presenta spesso una picchiettatura da
grigiastra a rossiccia. Le lunghe zampe posteriori, che le permettono di effettuare impressionanti
balzi, presentano bande trasversali scure.
Distribuzione e habitat
L'areale di distribuzione della Rana agile si estende dalla Spagna nordorientale, attraverso la
Francia, l'Europa meridionale, centrale e in parte anche settentrionale, fino alla Turchia
nordoccidentale e all'Ucraina. A nord della catena alpina la sua distribuzione non è continua, bensì
formata da colonie isolate.
In Ticino, la Rana agile è molto comune nelle fasce di bassa quota. La si osserva solo
sporadicamente al di sopra dei 400 m poiché sostituita dalla Rana temporaria, a sua volta meno
diffusa alle basse quote. Nelle valli alpine è pressoché assente, ad eccezione della Leventina e dei
tratti inferiori di Valle Maggia e Mesolcina.
33 Tratto da: ‐Mario Lippuner (versione italiana di Nicola Zambelli e Alessandro Fossati), La Rana Agile, http://www.karch.ch/karch/i/amp/rd/rdco.html#be, consultato il 24.9.2009
‐Max Meier, Anfibi e rettili del nostro paese, Edizioni Mondo, 1986
Fotografia tratta da: Kurt Grossenbacher, Maschio di Rana agile (Rana dalmatina), http://www.karch.ch/karch/i/amp/rd/rd.html il 20.12.2009
Samuele Rosselli IV c LAM gennaio 2009/novembre 2009
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Dove le condizioni climatiche sono favorevoli, la Rana agile colonizza svariati tipi di acque ferme.
La si può trovare in pressoché tutti gli specchi d'acqua, eccetto in quelli con alte densità di pesci.
Preferisce comunque corpi d'acqua privi di pesci, che mostrano notevoli variazioni del livello
idrico, sono ricchi di vegetazione, almeno parzialmente soleggiati e ubicati in prossimità delle aree
boscate cui la specie è strettamente legata. L'habitat terrestre tipico di questo anuro è
rappresentato dai boschi misti di latifoglie tendenzialmente aperti e caldi, all'interno dei quali non
di rado sono privilegiati i settori più asciutti (al contrario della Rana temporaria, che occupa invece
le zone più umide). La Rana agile vive sia nei boschi acidi di castagno del Ticino centrale sia, più a
meridione, in quelli basici di quercia e carpino, di frassino e di ontano. A quote più elevate sono
parzialmente colonizzati anche i boschi di faggio e di betulla. All'interno dei boschi gli animali si
concentrano nelle aree più favorevoli dal punto di vista climatico, quali radure e sentieri con
abbondante vegetazione erbacea e arbustiva.
Modo di vita
La Rana agile trascorre il periodo estivo in ambienti terrestri che possono trovarsi anche a più di 1
km di distanza dalle acque nelle quali si riproduce dove caccia coleotteri, mosche e ragni. Già alla
fine dell'estate e durante l'autunno diversi animali si dirigono verso gli specchi d'acqua. La
migrazione vera e propria comincia però solo alla fine della latenza invernale, che nell'Europa
centrale ha luogo sulla terraferma. Negli anni con temperature e precipitazioni favorevoli il luogo
di riproduzione è raggiunto tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio. Qui i maschi aspettano le
femmine, sul fondo dello specchio d'acqua o più raramente sulla riva. Soprattutto la sera, e
prevalentemente dal fondo dello stagno, emettono il loro tipico richiamo: un sommesso e rapido
«wog wog wog...» per noi difficilmente udibile. Le femmine gravide, giunte allo stagno con un po'
di ritardo rispetto ai maschi, depongono ciascuna un ammasso gelatinoso contenente da 300 a
1500 uova e lo ancorano a rametti verticali o a piante acquatiche, a una profondità variabile tra i 5
e i 40 cm. Il modo di disporre le ovature si differenzia quindi nettamente da quello della Rana
temporaria, che le depone nelle acque molto basse, dando origine a veri e propri tappeti di uova
grandi anche diversi metri quadrati. In Ticino l'attività riproduttiva si protrae dalla metà di
febbraio fino all'inizio di aprile, quando in acqua si trovano ancora solo pochi sparuti individui: gli
altri sono già migrati verso i loro habitat terrestri. I girini nascono circa tre settimane dopo la
deposizione delle uova e sono subito in grado di nuotare. Il loro tempo di sviluppo è decisamente
più lungo di quello della Rana temporaria e, come per tutti gli anfibi, dipende dalla temperatura.
Le giovani rane appena metamorfosate lasciano lo stagno verso la metà di giugno e in luglio.
Comincia per loro la vita terrestre: i giovani, dalle dimensioni comprese tra i 12 e i 16 mm, si
apprestano a scoprire il loro nuovo habitat, dove rimarranno per un paio di inverni prima di
ritornare, sessualmente maturi, al luogo nel quale sono nati.
Protezione
La Rana agile appartiene alle specie rare e fortemente minacciate in Svizzera. La sua distribuzione
sul territorio si differenzia però sensibilmente da quella delle altre specie rare di anfibi. Queste
ultime mostrano infatti una distribuzione diffusa, caratterizzata da molte piccole popolazioni
residue isolate l'una dall'altra; la Rana agile è invece concentrata in alcuni ampi comparti
territoriali separati tra loro, all'interno dei quali può essere presente anche in quantità
abbondante. Le minacce principali per la sua sopravvivenza sono rappresentate dalla
trasformazione dei boschi misti di latifoglie in boschi di conifere e dalla distruzione dei suoi siti di
riproduzione. Come la Rana temporaria, anche la Rana agile è vittima del traffico stradale, poiché
anche le sue migrazioni primaverili coinvolgono un notevole numero di individui.
Samuele Rosselli IV c LAM gennaio 2009/novembre 2009
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9 Allegati
Allegato 1: Dionea SA, Stagno “Mott Grand”, progetti di gestione e di protezione, 2001
Allegato 2: Ordinanza sulla protezione dei siti di riproduzione di anfibi di importanza nazionale