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Udienza 14 dicembre 1875, Pres. Guzzo, ff. P., Est. De Conciliis, P. M. Maurigi (Concl. conf.)—Rivera (Avv. Di Marco e Todaro) c. Dolce e Bonfiglio (Avv. Del Tignoso)Source: Il Foro Italiano, Vol. 1, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1876), pp. 477/478-479/480Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23083229 .
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
fetto di una contraria dichiarazione la legge considera
armatore quel caratista che partecipa nella proprietà della nave per oltre una metà dell'intiero suo valore:
rimane però sempre vero che coll'accettare la qualità di
armatore esso assunse l'amministrazione della nave e
contrasse verso i proprietari di questa gli obblighi di
un loro mandatario, sicché quando in siffatto incarico
l'armatore abbia sostituito altra persona, questa si trova
soggetta all'azione diretta dei proprietari della nave, in
senso appunto del citato articolo 1748.
Nemmeno all'esercizio di quest'azione diretta per
parte del Ferrari verso il Ghilino poteva essere d'osta
colo la circostanza, che fosse tra lo stesso Ghilino e lo
Avellino stata attivata la giudiziale liquidazione dei
conti, in seguito alla quale emanò poi sentenza 10 di
cembre 1873, colla quale il Ghilino venne riconosciuto
tuttora in credito verso Avellino di cospicua somma.
Prima di tutto in questa liquidazione è a credersi che
siansi computate le ragioni di credito che il Ghilino
vantava verso l'Avellino a titolo di mutui, e dipendenti
da cause e rapporti personali estranei affatto all'ammi
nistrazione della nave; in secondo luogo poi quando
venne attivata quella liquidazione tra Ghilino ed Avel
lino, Ferrari già aveva fatto istanza perchè Ghilino fosse
dichiarato tenuto a rendergli conto della sua gestione,
e non poteva certamente essere in facoltà del Ghilino
di sottrarsi all'azione legittimamente intentata dal
Ferrari coll'instituire separatamente e senza il contrad
dittorio del Ferrari una liquidazione di conti coli'Avel
lino. E sotto questo aspetto la Corte venne pure a violare
la legge quando ritenne che questa postuma liquida
zione di conti impedisse al Ferrari l'esercizio intrapreso
delle azioni utili che per avventura potessero competere
all'Avellino contro Ghilino.
Per questi motivi, cassa la sentenza della Corte d'ap
pello di Genova del 29 maggio 1874.
CORTE DI CàSS AZIONE DI PALERMO.
Udienza 14 dicembre 1875, Pres. Guzzo, ff. P., Est.
Db Conciliis, P. M. Maueigi (Conci, conf.) — Ri
vera (Avv. Di Marco e Todaro) c. Dolce e Bonfiglio
(Avv. Del Tignoso).
Azione di spoglio — Apertura di porta — Ostacoli —
Diritto proibitivo.—Servitù—Possessorio e peti tor io
— Sentenza — Prova — Rigetto d'appello — Clan
destinità.
Quando taluno sostenga di essere stato spogliato del pos sesso di vietare lo aprire una porta e dalla medesima
passare alla scala della sua casa, il giudice non deve
soltanto esaminare se egli abbia avuto un possesso
qualunque della libertà della scala e di questo sia stato
privato dai convenuti con violenza o clandestinità, ma
anche se sia sussistito tale impedimento da fargli acqui
stare un possesso qualunque del diritto proibitivo della
porta di passaggio. La speciale ricerca del tribunale, se Vesercizio della ser
vitù di passaggio rivelata dal segno permanente della
porta abbia base nei titoli, esce dalla cerchia del
giudizio di spoglio e trasporta la causa nel campo del petitorio, o per lo meno del possessorio plenario, e
perciò la sentenza sarebbe da annullarsi se nel dispo sitivo si fosse dichiarato il diritto o il possesso legit timo della servitù, o se anche, senza dichiarare ciò, fosse esclusivamente appoggiata su questo motivo di merito.
L'apprezzamento del tribunale, che certi impedimenti alla
porta siano stati collocati dal proprietario o da altri
per aversi maggior sicurezza o per tutt'altre ragioni
famigliari, non già per impedire il passaggio e come esercizio di un diritto proibitivo, non può andare sog getto a censura in Cassazione.
In fatto di servitù discontinua, se dal giorno in cui si è cessato di goderne comincia a decorrere la prescrizione
estintiva, eia ciò non segue che dal medesimo il pro prietario del fondo servente acquisti un vero possesso
di libertà produttivo di effetti giuridici. jE perciò è errato il concetto che gli ostacoli interni della
porta, comunque apposti, siano la prova del non uso
di una servitù, e che questo uso da parte del proprie
tario del fondo dominante ingeneri in quello del fondo
serviente un possesso contrario alla medesima, il quale
anche non qualificato non può esser e tolto con violenza,
e può essere il fondamento di un'azione in reinte
grala.
Bespinto l'appello relativo ad un'azione di spoglio in merito debbonsi intendere respinte le domande relative all'istruzione sulla clandestinità.
(Omissis.) — La Corte, in quanto al primo e terzo mezzo del ricorso, osserva :
Che l'azione di spoglio fu ammessa dal giudicato del 19 dicembre 1873 in quanto che, giusta l'assunto del
signor Ri vera, egli era stato spogliato del possesso di
vietare ai signori Dolce e Bonfiglio lo aprire la porta e
passare dalla medesima nella scala della di lui casa; e
coerentemente a ciò tutta l'istruzione della causa ebbe
sempre a scopo d'indagare se nella parte esterna della
porta vi fosse stata una righella, o altro qualsiasi im
pedimento allogato per impedire al proprietario dei ca
todi lo accesso nella scala. Ripugna adunque al giudi
cato ciò che si assume nel primo mezzo del ricorso, che
si dovesse solo esaminare, se il Rivera avesse avuto un
possesso qualunque della libertà della scala, e di questo
possesso fosse stato privato dai convenuti con violenza
o clandestinità. Invece dovevasi esaminare, a mente del
ripetuto giudicato, se tale impedimento vi fosse stato da
parte del Rivera da fargli acquistare un possesso qua
lunque del diritto proibitivo, del diritto cioè di vietare ai signori Dolce e Bonfiglio l'esercizio della pretesa ser
vitù di passaggio. E questo esame appunto fece il tri
bunale quando prese a ragionare sugli impedimenti in
terni ed esterni, dai quali, secondo lo stesso signor Ri
vera, risultava il suo possesso del diritto proibitivo, e
valutandoli ebbe a convincersi che spoglio non vi era
stato. Ond'è che non sussiste nè la pretesa violazione
del giudicato del 1873, nè il preteso difetto di motiva zione. Ed in quanto a ciò che si attiene al cumulo del
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PAKTE PEIMA
petitorio e possessorio, ed allo snaturamento dell'azione
di spoglio, egli è vero clie prima di venire all'esame della indicata quistione, nella quale stava il vero ed u
nico tema della causa, il tribunale, provocato, come
esso disse, dalle deduzioni del Eivera, volle ricercare se
l'esercizio della servitù di passaggio rivelata dal segno permanente della porta avesse base nei titoli, e disse in
una sua considerazione che lo esercizio di quella servitù
aveva il suo appoggio nei titoli; ed è altresì vero che
questo esame esce dall'angusta cerchia del giudizio di
spoglio, e trasporta la causa nel campo del petitorio, o
per lo meno del possessorio plenario; e perciò la sen
tenza sarebbe senza meno da annullarsi se nel disposi
tivo si fosse dichiarato il diritto o il possesso legittimo della servitù, o se anche senza dichiarar ciò la sentenza
fosse poggiata esclusivamente su questo motivo di me
rito. Ma nulla si trova nel dispositivo relativamente al
diritto o al legittimo possesso della servitù pretesa dai
signori Bonfiglio e Dolce, e ben altri sono i motivi de
cisorii, pei quali l'azione fu respinta; e però non po
tendo quella eccentrica ed inopportuna considerazione
recare alcun pregiudizio al signor Eivera nello esperi
mento dei suoi dritti, sia nel possessorio plenario sia
nel petitorio, la Corte di cassazione pur censurando
quella considerazione non trova luogo ad annullare per
questo riguardo la sentenza ;
Che in quanto poi al merito della causa non è fon
data la doglianza che non siasi ritenuto il possesso del
dritto proibitivo per effetto della opposizione fatta dal
signor Eivera con gli atti del 15 e 25 novembre 1872,
imperocché a prescindere che tali atti, i quali non sono
altro che la citazione fatta ai convenuti per comparire
innanzi al pretore per sentir pronunziare la inibizione,
non sarebbero per se soli capaci a fare acquistare un
possesso del dritto proibitivo da poter dar luogo ad una
azione di spoglio, specialmente quando la domanda d'i
nibizione non fu accolta, ciò che ora si deduce nel terzo
mezzo del ricorso fu già altra volta dedotto in grado di
appello innanzi al tribunale con la comparsa del 14 a
gosto 1873, e fu respinto con la sentenza del 19 dicem
bre detto anno, passata in giudicato, nella quale fu
considerato al riguardo che quelle domande, sulle quali
il pretore aveva dichiarato non esser luogo a delibe
rare, non potevano tramutarsi in una inibizione di
retta, nè potevano spiegare alcuna influenza nella causa
attuale, appunto perchè il giudizio nel quale poteva
aver luogo la inibizione aveva toccato il suo termine
prima che l'azione di spoglio fosse stata promossa.
Ond'è che le pretese ora messe innanzi dal ricorrente
trovano l'ostacolo insuperabile del giudicato.
E neppure è fondata l'altra doglianza contenuta nello
stesso mezzo, cioè che gl'impedimenti interni a torto
non siano stati ritenuti capaci ad ingenerare il vagheg
giato possesso del dritto proibitivo. Imperocché il tri bunale valutando gli ostacoli interni verificati con le
perizie, ebbe a ritenere, bene o male, che quelli impe
dimenti erano stati collocati dal proprietario, o da
qualcuno degli abitatori delle botteghe, sia per aversi
maggiore sicurezza, sia per tutt'altre ragioni familiari,
e siffatto convincimento non censurabile in Cassazione
esclude per necessità che i medesimi si potessero rite
nere come manifestazioni della volontà del Eivera d'im
pedire il passaggio o come esercizio del dritto proibitivo. Indarno poi si soggiunge che ad ogni modo gli osta
coli interni, comunque apposti, erano la pruova del
non uso della pretesa servitù, e questo non uso da parte del proprietario del fondo dominante, ingenerava nel
proprietario del fondo serviente un possesso contrario
alla servitù, possesso che anche non qualificato non
poteva con violenza essere tolto, e poteva perciò essere
il fondamento dell'azione di reintegranda. A siffatto ragionamento si può in prima rispondere,
che se in fatto di servitù discontinua dal giorno in cui
si è cessato di goderne, comincia a decorrere la prescri
zione estintiva, da ciò non segue che dallo stesso giorno il proprietario del fondo serviente acquisti un vero pos sesso di libertà produttivo di effetti giuridici; imperoc ché non potendo ad un tempo coesistere da un lato il
possesso di libertà, e dall'altro quello della servitù, ciò
supporrebbe che il proprietario del fondo dominante fin
dal primo giorno del non uso perdesse di fatto il possesso della servitù, il che non si può ammettere. E tanto più non si può ammettere in quanto che non si avrebbe ancora
alcun elemento per sapere, se il non uso riveli l'animo di
abbandonare il proprio dritto, o piuttosto sia l'effetto
della naturale libertà di usare della servitù a proprio talento quando se ne abbia la necessità o il desiderio.
Ed in secondo luogo si può dire che il ricorrente di
mentica che l'azione di spoglio fu ammessa non perehè
egli assumeva di avere un possesso qualunque della li
bertà della scala, ma sibbene perchè da fatti da lui al
legati risultava di essere egli nel possesso del dritto
proibitivo, e che in conseguenza non è a parlare in que sta causa di un possesso qualunque di libertà, ma solo
del possesso del dritto di proibire. Per la qual cosa an
che ammesso che pel non uso della servitù di passaggio
indipendentemente dalla maggiore o minore durata di
questo non uso abbia il Eivera acquistato un possesso
qualunque di libertà della scala, ciò a nulla appende rebbe nell'attuale causa di spoglio, nella quale per virtù
del giudicato si doveva provare il possesso del dritto di
vietare il passaggio per la scala. Per tutte le anzidette
cose è manifesto che il primo ed il terzo mezzo del ri
corso non sono fondati.
Osserva in quanto al secondo mezzo, che anche esso
non regge; imperocché respinto l'appello furono con esso
respinte anche le domande relative all'istruzione sulla
clandestinità, ed i motivi del rigetto sono implicita mente e virtualmente compresi nelle considerazioni, per le quali non fu ammesso lo spoglio. Diffatti, avendo il
tribunale ritenuto l'inefficacia degli ostacoli interni, e l'inesistenza degli esterni, ed escluso perciò il possesso del dritto proibitivo, di cui il Rivera dicevasi spogliato, ne seguiva per necessità delle domande relative alla
clandestinità, essendo che sarebbe stato un non senso
occuparsi della clandestinità di uno spoglio, che si di chiarava non esistere.
Per questi motivi, ecc.
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