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sentenza 10 marzo 1988, n. 279 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11);Pres. Saja, Est. Gallo; Pellegrino c. Regione Puglia. Ord. Tar Puglia 27 febbraio 1986 (G.U., 1 as.s., n. 22 del 1987)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2149/2150-2155/2156Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184781 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rezza del traffico giuridico — non appare lesivo del diritto di difesa del primo, restandogli pur sempre un lasso di tempo suffi
cientemente ampio per impugnare l'alienazione.
È vero, come osserva l'ordinanza di rimessione, che il coniuge non intestatario dell'immobile «avrà la necessità, per evitare che
eventuali atti di alienazione divengano a lui opponibili nel breve
termine stabilito, di eseguire periodiche ravvicinate ispezioni dei
registri immobiliari». Ma è un onere che, pur fastidioso, non può dirsi eccessivamente gravoso al punto di offendere l'art. 24 Cost.
Comunque, a parte il rilievo che nella normalità dei casi difficil
mente l'alienazione dell'immobile potrà passare inosservata per oltre un anno al coniuge il consenso è stato pretermesso, que st'ultimo — una volta accertata, in esito ad un'ispezione dei regi stri immobiliari, la trascrizione di un acquisto separato al nome
dell'altro — ha sempre la possibilità di ottenere una sentenza che
accerti l'appartenenza dell'immobile alla comunione, e quindi un
titolo per domandare l'integrazione della trascrizione anche al pro
prio nome.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, 1° comma, c.c. sollevata, in riferimento agli art. 3, 24, 1° comma, 29, 2°
comma, e 42, 2° comma, Cost., dal Tribunale di Bari con l'ordi
nanza indicata in epigrafe; dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 184, 2° comma, c.c., sollevata
dalla stessa ordinanza in riferimento all'art. 24, 1° comma, Cost.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 marzo 1988, n. 279
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11); Pres. Saja, Est. Gallo; Pellegrino c. Regione Puglia. Ord. Tar
Puglia 27 febbraio 1986 (G.U., la s.s., n. 22 del 1987).
Regione — Puglia — Elenco delle specie cacciabili — Esclusione
del beccaccino — Questione infondata di costituzionalità (Cost, art. 3, 117; 1. reg. Puglia 27 febbraio 1984 n. 10, norme per la disciplina dell'attività venatoria, la tutela e la programma zione delle risorse faunistico-ambientali, art. 32, 42).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legit timità costituzionale dell'art. 33 l. reg. Puglia 27 febbraio 1984 n. 10, nella parte in cui non prevede il beccaccino fra le specie
cacciabili, in riferimento agli art. 3 e 117 Cost. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 marzo 1988, n. 278
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11); Pres. Saja, Est. Gallo; Federazione italiana caccia ed altri c.
Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Ferri). Ord. Tar Lazio,
sez. II, 8 novembre 1982 (G.U. n. 273 bis del 1985).
Caccia — Variazione dell'elenco delle specie cacciabili — Com
petenza del presidente del consiglio dei ministri — Mancanza
di limiti specifici — Questione infondata di costituzionalità
(Cost., art. 95, 97, 117; 1. 27 dicembre 1977 n. 968, principi
generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna
e la disciplina della caccia, art. 11).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11,
30 comma, l. 27 dicembre 1977 n. 968, nella parte in cui attri
buisce al presidente del consiglio dei ministri la competenza
ad apportare con decreto variazioni all'elenco delle specie di
uccelli cacciabili, sentito l'Istituto nazionale di biologia della
selvaggina ed il Comitato tecnico venatorio nazionale, in riferi
mento agli art. 95, 97 e 117 Cost. (2)
(1-2) L'ordinanza di rinvio Tar Lazio, sez. II, 8 novembre 1982 è mas
simata in Foro it., 1986, III, 352, con nota di richiami; quella di Tar
Il Foro Italiano — 1990.
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 aprile 1990, n. 2793; Pres. Vercellone, Est. Luccioli, P.M. Marti
nelli (conci, conf.); Provincia di Perugia (Aw. Felice) c. Prio relli. Cassa Pret. Perugia 21 ottobre 1987.
Caccia — Attività venatoria vietata — Esercizio presunto — Ele
menti rivelatori — Fattispecie (L. 27 dicembre 1977 n. 968, art. 8, 9).
Integra esercizio presunto di caccia punibile ogni atto o compor tamento che riveli univocamente il proposito di esercitare l'atti
vità venatoria ed a tale scopo è sufficiente riscontrare la sussi
stenza di elementi oggettivi specificamente rivelatori del propo sito di cacciare e non occorre dimostrare il compimento di atti
immediatamente rivolti all'uccisione od alla cattura ed ancora
meno al risultato finale dell'uccisione o della cattura (fattispe cie di attraversamento in auto di zona boscosa ricca di selvag
gina con uso dei fari per abbagliare le lepri). (3)
I
Diritto. — 1. - L'ordinanza di rimessione, rifiutando ogni cri
terio interpretativo, ritiene di doversi attenere al tema letterale
della disposizione impugnata che, non esprimendo alcuna deroga
esplicita al sistema normativo generale e regionale, tiene fermo
il principio fissato dal 1° comma dell'art. 11 della legge, sostan
ziato nel divieto di caccia ad ogni altra specie non indicata nel
l'elenco.
Opina l'ordinanza conseguentemente che non possa esservi di
versa soluzione, per decidere il ricorso sottoposto all'esame del
tribunale amministrativo, se non la declaratoria d'illegittimità del
l'art. 32 1. reg., nella parte in cui non ha inserito il beccaccino
fra le specie cacciabili.
2. - Non sembra, però, che una siffatta sequenza argomentati va sia rispettosa dei canoni ermeneutici fissati da consolidata giu
risprudenza. Il principio fondamentale che regge l'interpretazione è dato dalla
considerazione che la legge non può entrare in contraddizione
con se stessa, e che, perciò, va privilegiata l'interpretazione che
attribuisce alla norma un senso nel contesto normativo, e non
quella che la lascerebbe senza alcun significato.
Quando l'ordinanza afferma che, data l'esistenza di un divieto
di caccia come principio generale, occorre che la deroga sia espres samente prevista mediante l'inserzione della specie nell'elenco di
quelle cacciabili, esprime concetto esattissimo. Ma il ricorrente
Puglia 27 febbraio 1986, id.. Rep. 1988, voce Regione, n. 415. Con riferi
mento alla questione relativa alla 1. reg. Puglia 10/84, la corte pronuncia una sentenza interpretativa di rigetto, osservando che, secondo le indica
zioni del diritto vivente, la questione va risolta sul piano interpretativo e non su quello della legittimità costituzionale.
Sul potere di variare, ai sensi dell'art. 11 1. 968/77, l'elenco della specie
cacciabili, v., da ultimo, Pret. Bologna, ord. 1° marzo 1989, id., 1989,
I, 3252, con nota di richiami. In ordine ai limiti che incontrano le regioni nello stabilire la stagione
venatoria, v. Tar Marche 24 maggio 1989, n. 117, id., 1990, III, 150, con nota di richiami.
(3) Nel senso che costituisce atteggiamento di caccia il vagare a bassa
andatura su una autovettura, battendo con i fari il terreno circostante
al fine della ricerca e dell'abbagliamento della selvaggina, avendo a bor
do del veicolo un fucile e relative munizioni, v. Pret. Montefalco 21 feb
braio 1986, Foro it., Rep. 1987, voce Caccia, n. 19. In ordine alla pre sunzione di esercizio vietato della caccia, v. pure Cass. 12 febbraio 1985,
D'Onofrio, id., Rep. 1986, voce cit., n. 23, secondo cui il semplice aggi rarsi con il fucile in spalla ed accompagnati da cani segugi in zona facen
te parte di un parco nazionale, integra gli estremi dell'illecito amministra tivo di cui all'at. 9 1. 968/77; Pret. Todi 13 dicembre 198Ì2, id., Rep.
1984, voce cit., n. 17, secondo cui integra violazione del divieto di caccia
in zone vietate il comportamento di colui che esplode il colpo da fuori
della zona vietata e poi ricerca la selvaggina all'interno di detta zona, anche se con l'arma smontata.
Per la giurisprudenza, antecedente sull'entrata in vigore della 1. 968/77, secondo cui l'uso di fari abbaglianti per attirare le lepri è da ritenersi
modo idoneo all'esercizio della caccia, v. Cass. 23 gennaio 1975, Alessan
dria, 21 novembre 1974, Ceppatelli, id., Rep. 1976, voce cit., nn. 11, 12.
Sul concetto di «furto venatorio», v., da ultimo, Pret. Ferrara 8 no
vembre 1989, id., 1990, II, 207, con nota di richiami.
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2151 PARTE PRIMA 2152
sosteneva appunto che la deroga esisteva, e che essa era desumbi
le da altra esplicita disposizione, quella di cui all'art. 42, 1 ° com
ma, della stessa 1. reg., riproducente il divieto di cui all'ultimo
comma dell'art. 14 1. statale n. 968 del 1977: là dove è detto
che «è vietato a chiunque . . . l'esercizio venatorio da apposta
mento sotto qualsiasi forma al beccaccino». Divieto che necessa
riamente presuppone, sul piano della logica più elementare, la
liceità della caccia vagante al beccaccino stesso, e perciò si so
stanzia in un'espressa inserzione di questa specie fra quelle cac
ciabili, proprio in forza dell'art. 42, 1° comma, 1. reg.
3. - Non tenere nessun conto di siffatta disposizione equivale
a lasciarla senza senso, ma è proprio ciò che le regole ermeneuti
che suggerite da consolidata giurisprudenza non consentono.
D'altra parte, è la stessa ordinanza che, dando esclusivo rilievo
all'asserita carenza di un'apposita previsione, mostra di voler tra
scurare i lavori preparatori della legge regionale, cui peraltro la
regione aveva fatto riferimento. La posizione non appare censu
rabile, se si ha riguardo al valore che detti lavori possono avere
sul piano interpretativo a fronte di quello oggettivo che la norma
assume una volta emanata. Ma è poi contraddittorio prescindere
dalla norma stessa, come fa l'ordinanza.
Deve, quindi, concludersi che — secondo le indicazioni del di
ritto vivente — la questione va risolta sul piano intepretativo e
non su quello della legittimità costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 32 1. reg. pugliese 27 febbraio 1984 n. 10, sollevata dal Tar della Puglia con riferimento agli art. 2 e 117 Cost.
II
Diritto. — 1. - L'ultimo comma dell'art. 11 della legge impu
gnata non sembra meritare le censure d'illegittimità costituziona
le che ad esso vengono mosse.
2. - Seguendo l'ordine stesso delle doglianze, va detto subito
che gli argomenti desunti dagli art. 95 e 97 Cost, non hanno
consistenza.
È evidente, infatti, che l'attribuzione ex art. 95 Cost, al presi
dente del consiglio di funzioni costituzionali non esclude che la
legge possa assegnargli anche compiti di natura amministrativa,
specie se si riferiscono ad interessi generali non facilmente classi
ficabili nell'ambito della competenza dei singoli ministeri: e, del
resto, numerosissimi sono tali compiti amministrativi che tuttora
sussistono, per gran parte previsti da leggi lontanissime, anche
precedenti al rafforzamento e all'accertamento di poteri nel pre
sidente introdotti dalla dittatura, e molti anzi attribuiti ex novo
da leggi della repubblica. Né rileva, ai fini del presente giudizio, che non siano state an
cora emanate le disposizioni di legge per l'organizzazione della
presidenza del consiglio ex art. 97 Cost. Ciò non ha, infatti, fino
ra impedito il funzionamento dell'organo dello Stato, regolato
da prassi e convenzioni, anche costituzionali, e da talune vecchie
leggi interpretate in adeguamento alla Costituzione. Mentre poi
la procedura per l'attuazione della funzione amministrativa in esa
me è specificamente prevista nel comma impugnato, ed il relativo
potere decisionale è ben collocato a livello cosi elevato, trattan
dosi di salvaguardare un interesse generale dello Stato (art. 1 del
la legge). A tale proposito, anzi, va subito respinta l'idea che si tratti
di procedura anomala per essere stato il decreto in parola emana
to su proposta del ministro dell'agricoltura e foreste, che lo ha
controfirmato. Non va dimenticato, infatti, che il comitato di
cui all'art. 4 che deve essere sentito, ai sensi dell'art. 11, per
l'emanazione del decreto da parte del presidente del consiglio,
è il Comitato tecnico venatorio nazionale, costituito appunto presso
il ministero dell'agricoltura e foreste. È comprensibile che il pre
sidente del consiglio non prenda spontanee iniziative in una ma
teria cosi' squisitamente tecnica, se non quando riceva segnalazio
ni circa la necessità di variazioni all'elenco, proprio da parte dei
due enti (Istituto nazionale di biologia della selvaggina e Comita
to venatorio nazionale) che egli comunque è tenuto a sentire quan
do intenda procedere a seguito di segnalazioni pervenutegli da
altre fonti.
Non può stupire, pertanto, che, quando il Comitato venatorio
nazionale ritenga opportuno di assumersi l'iniziativa di una se
gnalazione in materia, lo faccia attraverso l'intermediazione del
Il Foro Italiano — 1990.
ministro, del cui dicastero è organo, secondo prassi amministrati
va consolidata. Del resto, è la legge stessa che, proprio nel penul
timo comma del richiamato art. 4, prevede poteri positivi da par
te del comitato in tema di adeguamento del legislatore nazionale
alle norme comunitarie ed alla convenzioni internazionali concer
nenti l'esercizio della caccia, come bene è stato ricordato dalla
lega per l'abolizione della caccia nella sua memoria: ed il conte
stato decreto del presidente 4 maggio 1982 fa appunto riferimen
to alla direttiva comunitaria n. 79/409/Cee del 2 aprile 1979.
Parimenti corretto, comunque, in proposito è il rilievo dell'av
vocatura generale, secondo cui, quand'anche si dovesse ritenere
che l'atto emanato si discosti dal modello legale, potrebbero al
più trarsene conseguenze sul piano della legittimità del provvedi
mento. In realtà, le anomalie denunziate — ammesso che abbia
no rilevanza pregiudizievole — riguarderebbero la regolarità del
procedimento amministrativo, ma non entrerebbero in conflitto
con alcuna norma costituzionale, considerato che, comunque, il
potere è stato esercitato dal presidente del consiglio e che i due
enti tecnici hanno espresso il loro avviso.
3. - Più penetrante si direbbe, invece, prima facie la preoccu
pazione relativa all'ampia e generica formulazione del comma im
pugnato che — secondo l'ordinanza di rimessione — sarebbe tale
da consentire al presidente del consiglio di innovare alle scelte
di fondo operate dal legislatore per l'elencazione delle specie cac
ciabili, cosi derogando ai principi generali delineati dalla legge. Ma si tratta soltanto di impressioni dovute all'apparente som
marietà della tecnica di normazione. In realtà, invece, già nel
corpo stesso della disposizione vi è un elemento significativo che
ne orienta l'interpretazione e la collega alla ratio della legge. Si
vuol alludere al parere obbligatorio, anche se non vincolante, di
due organi tecnici che sta alla base del provvedimento del presi
dente: il parere dell'Istituto nazionale di biologia della selvaggina
e quello del Comitato tecnico venatorio nazionale. Pareri che vanno
messi in relazione ad uno dei principi fondamentali dettati dalla
legge in esame, quello di cui al 1° comma dell'art. 8, secondo
cui «l'esercizio della caccia è consentito purché non contrasti,
con l'esigenza di conservazione della selvaggina e non arrechi danno
effettivo alle produzioni agricole». È evidente a questo punto che
l'obbligo del presidente del consiglio di sentire i due citati istituti
prima di emettere qualunque provvedimento di variazione delle
specie cacciabili, è voluto dal legislatore proprio in funzione della
specifica competenza di quegli enti in materia di biologia della
selvaggina e di problemi venatori, di cui il presidente attinge gli
elementi per esprimere le valutazioni del caso nell'ambito del prin
cipio generale di cui al 1° comma dell'art. 8.
Ciò dimostra che si tratta di valutazioni tecniche e fattuali,
di cui la legge ha perentoriamente segnato i criteri, e che, per
ciò stesso, escludono il temuto ampio potere discrezionale, ed
ogni possibilità di innovare o di derogare alle scelte di fondo ope
rate dal legislatore per l'elencazione delle specie cacciabili.
4. - Il decreto impugnato innanzi al giudice amministrativo è
esemplare di tali limiti. La premessa fa innanzitutto riferimento alle indicazioni — co
me già si è accennato — della direttiva comunitaria che suggeri
sce la riduzione della pressione venatoria nei confronti di alcuni
specie dell'avifauna minore, ma anche alla documentazione in cam
po scientifico relativa alla diminuzione di talune specie su quasi
tutta l'area europea ds esse interessata: documentazione che evi
dentemente proviene dagli enti competenti. Cosi come dagli stessi
enti è data attestazione circa la potenziale nocività per l'agricol
tura e per altre specie selvatiche, della cornacchia grigia, della
ghiandaia e della gazza, o della rarità in Italia della Limosa lap
ponica (Pittima minore). Né è esatto che il legislatore abbia cancellato dalla legge la
nozione di nocività per talune specie, ché anzi, da una parte,
ha conferito proprio al Comitato venatorio nazionale compiti di
studio e di ricerca, fra l'altro, per la «tutela delle produzioni agri
cole», (art. 4, 3° comma) e, dall'altra, ha attribuito alle regioni
il controllo della specie di cui all'art. 11 per il caso che «moltipli candosi eccessivamente, arrechino danni gravi alle colture agrico
le e al patrimonio faunistico . . .» (art. 12, 2° comma). Proprio,
dunque, quella nocività «in particolare per l'agricoltura e per al
tre specie selvatiche» che il decreto ha preso in considerazione
al 5° comma, dietro suggerimento degli enti specializzati.
5. - Appare chiaro, allora, a questo punto, che la funzione
attribuita al presidente del consiglio ha quello stesso carattere am
ministrativo di aggiornamento, in relazione a dati tecnici e di fat
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
to forniti dai competenti istituti, che possiedono analoghi atti del
l'esecutivo diretti all'aggiornamento o all'approvazione o addirit
tura alla formazione di tabelle contenenti elenchi relativi ad altre
materie. Cosi per le sostanze stupefacenti (cfr. sent. 19 gennaio
1972, n. 9, Foro it., 1972, I, 271), per i giochi non d'azzardo
(sent. 27 giugno 1972, n. 113, ibid., 2741) o per le malattie pro fessionali (sent. 10 luglio 1981, n. 127, id., 1982, I, 2148).
In tali casi, questa corte ha avvertito che si tratta di «atti am
ministrativi» nei quali «non si configura alcuna delega da parte del legislatore»: ha precisato, anzi, la corte che «nel nostro ordi
namento è riscontrabile una certa proclività del legislatore a col
locare in un testo legislativo, in aggiunta alla parte normativa, anche dati della realtà, individuati in base a criteri tecnici. Acca
de sovente in tali casi che il legislatore demandi poi all'esecutivo, o all'organo dell'esecutivo competente per materia, di apportare a quei dati gli aggiustamenti che l'esperienza, una più matura
riflessione, il progresso tecnico rendono consigliabili» (sent. n.
127 del 1981). In altri termini, si tratta di elementi o di situazioni
che non possono essere tutti e compiutamente predeterminati nel
la normazione primaria. In tal caso, il legislatore formula un elen
co, di per se stesso ampiamente indicativo di un certo orienta
mento nella scelta della selvaggina cacciabile, e detta principi ri
gorosi, in relazione ai quali, ed entro l'ambito dei quali, conferisce
poi all'esecutivo o ad un suo organo il potere di adeguarli ai
mutamenti inevitabili che la realtà subisce nel tempo. Da tutto ciò appare anche evidente che l'art. 117 Cost., non
viene in causa, perché allo Stato resta ferma la competenza per l'emanazione di principi e disposizioni generali concernenti l'inte
ro territorio nazionale, mentre le regioni (salvo le competenze esclusive stabilite dagli statuti speciali di talune regioni e province autonome — art. 5, ultimo comma) provvedono ai piani annuali
o pluriennali territoriali, ed intervengono con atti normativi a
vietare o a ridurre la caccia per periodi prestabiliti e per determi
nate specie sulla base delle importanti e motivate ragioni indicate
nell'art. 12.
La competenza amministrativa del presidente del consiglio è
estranea a tutto questo, essendo prevista esclusivamente nei limiti
di aggiornamento e di adeguamento degli elenchi nazionali, sug
geriti dagli organi tecnici nello stretto ambito dei rigorosi criteri
fissati dalla legge. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, ultimo com
ma, 1. 27 dicembre 1977 n. 968 (principi generali per la protezio ne e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), sollevata
dal Tar del Lazio con ordinanza 8 novembre 1982 con riferimen
to agli art. 95, 97 e 117 Cost.
Ili
Motivi della decisione. — Con il secondo motivo, da esaminar
si innanzi tutto per la sua logica priorità, la pronvincia di Peru
gia censura la sentenza impugnata per aver escluso che il circola
re in ambiente venatorio protetto in atteggiamento di ricerca del
la selvaggina, ma sprovvisti dei mezzi indicati nell'art. 9 1. 27
dicembre 1977 n. 968, costituisca un comportamento di caccia
sanzionabile: sostiene invece la ricorrente doversi ricercare caso
per caso l'effettivo concretarsi della fattispecie repressa mediante
l'accertamento di elementi oggettivi e soggettivi univocamente ri
velatori di un proposito di caccia, con qualsiasi mezzo sia posta in essere la condotta.
Il motivo è fondato. Ed invero l'interpretazione dell'art. 8, 3°
comma, della legge in esame adottata nella decisione in oggetto,
che pone tra gli elementi costitutivi dell'illecito l'uso dei mezzi
indicati nell'art. 9, poggia su di una lettura ingiustificatamente restrittiva della norma, ed appare anzi smentita da una serie di
rilievi di ordine letterale e logico sistematico.
Sul piano formale va osservato che mentre il 2° comma dello
stesso art. 8, nel definire «l'esercizio effettivo» della caccia, fa
espresso riferimento all'«impiego dei mezzi di cui al successivo art. 9», il 3° comma, in relazione all'«esercizio presunto», consi
dera attività di caccia «il vagare o il soffermarsi con i mezzi de
stinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina o
di attesa della medesima per abbatterla o catturarla».
Come è evidente, la definizione della fattispecie prescinde dal
richiamo, in ordine ai mezzi adottati, alle categorie ricomprese
Il Foro Italiano — 1990.
nell'art. 9 ed ha invece riguardo al dato fattuale della «destina
zione allo scopo». Va d'altro canto rilevato che la previsione del vagare o soffer
marsi, in alternativa, «con i mezzi destinati a tale scopo» ovvero
«in attitudine di ricerca o di attesa» della selvaggina, senza ulte
riori specificazioni oltre quella dello scopo dell'abbattimento o
della cattura, vale ad evidenziare la non indispensabilità, ai fini
dell'integrazione della fattispecie, dell'uso dei mezzi in discorso.
Nell'opportuno raffronto del nuovo testo della legge sulla cac
cia alla precedente normativa è da osservare altresì che la disposi zione del citato art. 8 non diverge in modo apprezzabile dall'art.
1 r.d. 5 giugno 1939 n. 1016, salvo che per la previsione, limita
tamente all'«esercizio effettivo», dell'impiego dei mezzi indicati
nel successivo art. 9: la diversa formulazione si giustifica con il
rilievo che mentre nel t.u. del 1939 si prescinde dall'indicazione
di specifici mezzi di caccia consentiti, nella nuova legge è posto
l'esplicito divieto di usare mezzi diversi da quelli espressamente consentiti (art. 31, lett. e).
Una siffatta differenziazione scompare invece nei commi im
mediatamente successivi dei rispettivi articoli, riguardanti ^eser
cizio presunto», che nell'una e nell'altra disposizione appaiono riferirsi ad una destinazione effettiva e ad una concreta idoneità
del mezzo impiegato. Ed è opportuno ricordare che la giurisprudenza formatasi sot
to il precedente regime normativo era del tutto pacifica nel rite
nere che l'atteggiamento di caccia giuridicamente rilevante ai sen
si dell'art. 1 t.u. n. 1016 si configurasse come condotta a forma
libera, realizzabile con qualsiasi atto avente quale fine ultimo l'uc
cisione o la cattura della selvaggina, e riscontrabile da elementi
sintomatici, quali il vagare o il soffermarsi, con armi, arnesi o
altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa (v. Cass.
pen. 9 gennaio 1969, n. 1431; 18 luglio 1968, n. 742; 14 ottobre
1966, n. 1058). In applicazione di tali criteri la stessa giurisprudenza ha unifor
memente affermato che l'uso dei fari di autovetture per abbaglia re le lepri costituiva un modo di esercizio della caccia (v. Cass.
pen. 22 ottobre 1975, n. 9753; 23 gennaio 1975, n. 674; 31 gen naio 1969, n. 1361).
L'adozione in relazione alla nuova disciplina sulla caccia di
una diversa e più restrittiva interpretazione non solo non trova
fondamento, come già rilevato, in una significativa diversità del
precetto normativo, ma appare contrastante con i principi ispira tori della legge di riforma, che ha posto nella sua disposizione introduttiva il principio fondamentale che la fauna selvatica ita
liana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed a tale
principio ha ispirato tutta la sua impostazione, riconoscendo il
diritto di cacciare come eccezione alla regola della protezione del
la selvaggina nell'interesse della comunità nazionale e ravvisando
quale unico modo possibile per sottrarre la fauna selvatica alla
sua destinazione pubblica l'esercizio legittimo della caccia.
Va ancora rilevato che l'intepretazione seguita nella sentenza
impugnata, secondo la quale in mancanza dell'impiego dei mezzi
indicati nell'art. 9 la condotta sarebbe sanzionabile solo ove si
sia verificato l'evento dell'abbattimento o della cattura, si fonda
su di un'errata dilatazione del disposto del 4° comma dell'art.
8, la cui funzione non è quella di sovrapporsi, limitandone la
portata, al precetto di cui al 3° comma, ma di collocarsi come
norma di chiusura, diretta a reprimere ogni altro modo di eserci
zio dell'attività venatoria cui sia seguito l'abbattimento o la cattura.
Non è, peraltro, chi non veda a quali incongruenze e disfunzio
ni darebbe luogo la soluzione accolta dal Pretore di Perugia, at
teso che da essa deriverebbe l'impossibilità di qualsiasi intervento
preventivo e di qualsiasi misura sanzionatoria proprio nei con
fronti delle condotte più subdole ed odiose: la necessità di atten
dere l'evento dell'abbattimento o della cattura per la prevenzione e repressione di dette condotte si porrebbe in termini di insanabi
le e plateale contrasto con l'esigenza di tutela della fauna selvati
ca che costituisce il fine primario della legge.
Deve, pertanto, ritenersi che integri esercizio presunto di caccia
punibile ogni atto o comportamento che riveli univocamente il
proposito di esercitare l'attività venatoria e che la direzione del
l'atteggiamento assunto dal soggetto verso tale finalità debba es
sere valutata caso per caso, secondo i correnti parametri di valu
tazione ed avvalendosi anche di nozioni di comune esperienza. A tale scopo è sufficiente riscontrare la sussistenza di elementi
oggettivi specificamente rivelatori del proposito di cacciare, e non
occorre dimostrare il compimento di atti immediatamente rivolti
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2155 PARTE PRIMA 2156
all'uccisione o alla cattura, ed ancor meno il risultato finale del
l'uccisione o della cattura.
È evidente, pertanto, l'errore in cui è incorso il Pretore di Pe
rugia il quale, escluso l'impiego di uno dei mezzi ricompresi nel
l'elencazione di cui all'art. 9, ha negato, in difetto di abbattimen
to o di cattura, la sussistenza dell'illecito ed ha ritenuto irrilevan
te la prova per testi richiesta dalla provincia.
L'accoglimento del secondo motivo di ricorso determina l'as
sorbimento del primo e del terzo.
La sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata
e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa nel Pretore
di Foligno, il quale procederà a nuovo esame della controversia
attenendosi al principio di diritto sopra enunciato.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 febbraio 1988, n. 126
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 febbraio 1988, n. 7); Pres. Saja, Est. Cheli; Soc. Autorimessa Titanus c. Soc. Mon
tedison (Aw. Salvucci) e altro; interv. Pres. cons, ministri
(Aw. dello Stato Cosentino). Ord. Trib. Milano 22 novembre
1979 (G.U. n. 173 del 1980).
Locazione — Regime vincolistico — Immobili ad uso diverso dal
l'abitazione — Espropriazione per pubblica utilità — Compen so per la perdita dell'avviamento — Diritto del conduttore —
Decurtazione dell'indennità di espropriazione — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art! 3, 42; 1. 27 gennaio 1963
n. 19, tutela giuridica dell'avviamento commerciale, art. 6).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6
l. 27 gennaio 1963 n. 19, nella parte in cui precederebbe che
in caso di esproprio il diritto del conduttore al compenso per la perdita dell'avviamento debba essere fatto valere sull'inden
nità di espropriazione corrisposta al locatore, anche se a costui
non derivi alcuna utilità dall'avviamento stesso per effetto del
l'intervenuta espropriazione, in riferimento agli art. 42, 3 ° com
ma, e 3 Cost, (nella motivazione si rileva che, contrariamente
a quanto assunto dall'ordinanza di rimessione, il compenso che
il conduttore può rivendicare sull'indennità di esproprio spetta soltanto nell'ipotesi in cui dalla perdita dell'avviamento del con
duttore possa derivare un'utilità per il locatore, ed entro i limi
ti di essa). (1)
(1) L'ordinanza di rimessione è riassunta in Foro it., Rep. 1981, voce
Locazione, n. 767 e riportata per esteso in Giur. costit., 1980, II, 1245. La Corte costituzionale rileva in motivazione che, nell'ipotesi di proce
dimento espropriativo, l'utilità del locatore conseguente alla perdita di avviamento subita dal conduttore «non potrà realizzarsi altro che attra verso un eventuale incremento dell'indennità di espropriazione ai sensi dell'art. 39 1. 25 giugno 1865 n. 2359», potendo avere senso soltanto in tale ottica l'attribuzione al conduttore (da parte dello stesso art. 6 1. 19/63) del potere di opporsi all'indennità di esproprio «per insufficien te determinazione del quantum». Va tuttavia rammentato che secondo Cass. 13 novembre 1974, n. 3596, Foro it., 1975, I, 603, con nota di richiami (nonché Giust. civ., 1975, I, 410, con nota di A. Tabet) —
alla quale si era appunto rifatta l'ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano — è da escludere che in conseguenza dell'art. 6 1. 19/63 si sia determinata una modifica della normativa in tema di determinazione dell'indennità di espropriazione ex art. 39 1. 2359/1865 e, quindi, «che nel 'giusto prezzo' da attribuire all'immobile 'in una libera contrattazione di compravendita' debba tenersi conto anche del plusvalore locativo po stulato dall'art. 4 1. 19 del 1963».
Sulle problematiche concernenti la quantificazione dell'indennità di espro priazione, v., da ultimo, Cass. 16 giugno 1989, n. 2891 e 31 marzo 1989, n. 1579, Foro it., 1990, I, 581, con nota di richiami di G. Catalano; 29 novembre 1989, n. 5215, ibid., 884, con nota di richiami; Corte cost. 9 novembre 1988, n. 1022 e 3 marzo 1988, n. 262, id., 1989, I, 983, con nota di D. Bellantuono (in tema di indennità aggiuntiva spettante ex art. 17, 2° comma, 1. 865/71 al mezzadro, fittavolo, colono o compar tecipante che siano costretti ad abbandonare il fondo espropriato).
Gli art. 34 ss. e 69 I. 392/78, attualmente vigente, hanno disciplinato l'istituto dell'indennità per perdita dell'avviamento in modo differente dalla 1. 19/63, in particolare perchè riconoscono al conduttore di immo
li Foro Italiano — 1990.
Fatto. — 1. - Nel corso di un procedimento civile promosso dalla s.n.c. Autorimessa Titanus — conduttrice da trent'anni di
un immobile sito in Milano ed adibito ad autorimessa — contro
la s.p.a. Montedison — proprietaria espropriata dell'immobile stes
so — nonché contro il comune di Milano — ente espropriante — al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all'indennizzo
previsto dagli art. 4 e 6 1. 27 gennaio 1963 n. 19 per la perdita dell'avviamento conseguente ad esproprio ed alla cessazione del
l'attività aziendale, il Tribunale di Milano, con ordinanza ememssa
il 22 novembre 1979, ha sollevato questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 6 della citata legge n. 19 con riferimento agli art. 42, 3° comma, e 3 Cost.
Secondo il giudice a quo la norma denunciata può essere inter
pretata solo nel senso che, in caso di esproprio, il diritto del con
duttore al compenso per la perdita dell'avviamento debba essere
fatto valere sull'indennità corrisposta all'espropriato, anche se a
costui non derivi alcuna utilità dall'avviamento stesso per effetto
dell'intervenuta espropriazione. La disposizione impugnata si porrebbe perciò in contrasto con
l'art. 42, 3° comma, Cost., in quanto verrebbe a determinare
una sensibile decurtazione dell'indennizzo spettante al proprieta rio espropriato, indennizzo da calcolare, nel caso concreto, in
base al valore dell'immobile e senza che possano entrare nella
valutazione i diritti dei terzi su di esso.
Il giudice a quo ricorda anche che l'art. 17 1. 22 ottobre 1971
n. 865, nell'ipotesi di espropriazione attinente a terreno non col
tivato dal proprietario, pone a carico dell'espropriante il paga mento di un'indennità aggiuntiva a favore del fittavolo, mezza
dro, colono o compartecipante che siano costretti ad abbando
nare il terreno stesso: da tale disciplina discenderebbe
un'ingiustificata disparità du trattamento tra il proprietario di
un terreno agricolo coltivato da terzi, il quale, grazie all'inter
vento dell'espropriante, può percepire integralmente l'indennità
di esproprio a lui spettante, ed il proprietario di un immobile
urbano dato in locazione, il quale ultimo, non essendo sollevato
dall'espropriante dell'onere di corrispondere al conduttore un
compenso per la perdita dell'avviamento aziendale, vedrebbe in
cisa e ridotta la sua indennità di espropriazione. Di qui, secondo
il giudice rimettente, il sospetto di contrasto della norma impu
gnata anche con l'art. 3 Cost.
2. - Davanti alla corte si è costituita la s.p.a. Montedison so
stenendo l'irrilevanza della questione di costituzionalità sollevata
dal Tribunale di Milano sul presupposto che una corretta inter
pretazione degli art. 4 e 6 1. n. 19 del 1963 dovrebbe indurre
ad ecludere che al conduttore, in caso di esproprio dell'immobile
del locatore, sia da quest'ultimo dovuto alcunché a titolo di com
penso dell'eventuale perdita dell'avviamento. In linea subordina
ta, e limitatamente all'ipotesi che venga condivisa l'interpretazio ne della norma impugnata adottata dal Tribunale di Milano, la
Montedison svolge considerazioni adesive all'ordinanza di rimes
sione, chiedendo alla corte di dichiarare l'illegittimità costituzio
nale della norma impugnata. Si è costituita anche la s.n.c. Autorimessa Titanus sostenendo
che la normativa applicabile nel giudizio a quo non sarebbe quel la dettata dalla 1. 27 gennaio 1963 n. 19, bensì' quella contenuta
nella 1. 22 ottobre 1971 n. 865, che rappresenta la nuova discipli na generale dell'espropriazione per pubblica utilità. Con la con
seguenza che l'indagine del giudice costituzionale dovrebbe ap
puntarsi non sull'art. 6 1. n. 19 del 1963 ma sull'art. 17 n. 865
del 1971. (Omissis)
bile non abitativo il diritto all'indennità in misura fissa, indipendente mente dal vantaggio che il locatore possa effettivamente trarre dalla per dita di avviamento, e senza che rilevi la mancanza nel caso concreto di una perdita di avviamento derivante al conduttore dal dover rilasciare l'immobile locato: v., per tutte, Corte cost. 6 ottobre 1983, n. 300, id., 1983, I, 2933; 23 dicembre 1987, n. 583, id., 1988, I, 708, e, da ultimo, 31 luglio 1989, n. 481, id., 1990, I, 783, tutte con note di richiami e osservazioni di D. Piombo. Nel senso che l'art. 6 1. 19/63 è da ritenere tuttora in vigore, non essendo incompatibile con la normativa della 1.
392/78, v. M. Buoncristiano, in Equo canone, Cedam, Padova, 1980, 404 ss. (ad avviso del quale, d'altra parte, anche se si accedesse alla solu zione opposta, non potrebbe negarsi l'indennità di avviamento al condut tore dell'immobile espropriato).
Per qualche attinenza con l'ipotesi considerata dalla pronunzia in epi grafe, cfr. Pret. Roma 9 febbraio 1990, in questo fascicolo.
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