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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 marzo 1988, n. 279 (Gazzetta...

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sentenza 10 marzo 1988, n. 279 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11); Pres. Saja, Est. Gallo; Pellegrino c. Regione Puglia. Ord. Tar Puglia 27 febbraio 1986 (G.U., 1 a s.s., n. 22 del 1987) Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1990), pp. 2149/2150-2155/2156 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184781 . Accessed: 28/06/2014 07:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.120 on Sat, 28 Jun 2014 07:53:59 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 10 marzo 1988, n. 279 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11);Pres. Saja, Est. Gallo; Pellegrino c. Regione Puglia. Ord. Tar Puglia 27 febbraio 1986 (G.U., 1 as.s., n. 22 del 1987)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2149/2150-2155/2156Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184781 .

Accessed: 28/06/2014 07:53

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

rezza del traffico giuridico — non appare lesivo del diritto di difesa del primo, restandogli pur sempre un lasso di tempo suffi

cientemente ampio per impugnare l'alienazione.

È vero, come osserva l'ordinanza di rimessione, che il coniuge non intestatario dell'immobile «avrà la necessità, per evitare che

eventuali atti di alienazione divengano a lui opponibili nel breve

termine stabilito, di eseguire periodiche ravvicinate ispezioni dei

registri immobiliari». Ma è un onere che, pur fastidioso, non può dirsi eccessivamente gravoso al punto di offendere l'art. 24 Cost.

Comunque, a parte il rilievo che nella normalità dei casi difficil

mente l'alienazione dell'immobile potrà passare inosservata per oltre un anno al coniuge il consenso è stato pretermesso, que st'ultimo — una volta accertata, in esito ad un'ispezione dei regi stri immobiliari, la trascrizione di un acquisto separato al nome

dell'altro — ha sempre la possibilità di ottenere una sentenza che

accerti l'appartenenza dell'immobile alla comunione, e quindi un

titolo per domandare l'integrazione della trascrizione anche al pro

prio nome.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, 1° comma, c.c. sollevata, in riferimento agli art. 3, 24, 1° comma, 29, 2°

comma, e 42, 2° comma, Cost., dal Tribunale di Bari con l'ordi

nanza indicata in epigrafe; dichiara non fondata la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 184, 2° comma, c.c., sollevata

dalla stessa ordinanza in riferimento all'art. 24, 1° comma, Cost.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 marzo 1988, n. 279

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11); Pres. Saja, Est. Gallo; Pellegrino c. Regione Puglia. Ord. Tar

Puglia 27 febbraio 1986 (G.U., la s.s., n. 22 del 1987).

Regione — Puglia — Elenco delle specie cacciabili — Esclusione

del beccaccino — Questione infondata di costituzionalità (Cost, art. 3, 117; 1. reg. Puglia 27 febbraio 1984 n. 10, norme per la disciplina dell'attività venatoria, la tutela e la programma zione delle risorse faunistico-ambientali, art. 32, 42).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legit timità costituzionale dell'art. 33 l. reg. Puglia 27 febbraio 1984 n. 10, nella parte in cui non prevede il beccaccino fra le specie

cacciabili, in riferimento agli art. 3 e 117 Cost. (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 marzo 1988, n. 278

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11); Pres. Saja, Est. Gallo; Federazione italiana caccia ed altri c.

Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Ferri). Ord. Tar Lazio,

sez. II, 8 novembre 1982 (G.U. n. 273 bis del 1985).

Caccia — Variazione dell'elenco delle specie cacciabili — Com

petenza del presidente del consiglio dei ministri — Mancanza

di limiti specifici — Questione infondata di costituzionalità

(Cost., art. 95, 97, 117; 1. 27 dicembre 1977 n. 968, principi

generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna

e la disciplina della caccia, art. 11).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11,

30 comma, l. 27 dicembre 1977 n. 968, nella parte in cui attri

buisce al presidente del consiglio dei ministri la competenza

ad apportare con decreto variazioni all'elenco delle specie di

uccelli cacciabili, sentito l'Istituto nazionale di biologia della

selvaggina ed il Comitato tecnico venatorio nazionale, in riferi

mento agli art. 95, 97 e 117 Cost. (2)

(1-2) L'ordinanza di rinvio Tar Lazio, sez. II, 8 novembre 1982 è mas

simata in Foro it., 1986, III, 352, con nota di richiami; quella di Tar

Il Foro Italiano — 1990.

Ill

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 aprile 1990, n. 2793; Pres. Vercellone, Est. Luccioli, P.M. Marti

nelli (conci, conf.); Provincia di Perugia (Aw. Felice) c. Prio relli. Cassa Pret. Perugia 21 ottobre 1987.

Caccia — Attività venatoria vietata — Esercizio presunto — Ele

menti rivelatori — Fattispecie (L. 27 dicembre 1977 n. 968, art. 8, 9).

Integra esercizio presunto di caccia punibile ogni atto o compor tamento che riveli univocamente il proposito di esercitare l'atti

vità venatoria ed a tale scopo è sufficiente riscontrare la sussi

stenza di elementi oggettivi specificamente rivelatori del propo sito di cacciare e non occorre dimostrare il compimento di atti

immediatamente rivolti all'uccisione od alla cattura ed ancora

meno al risultato finale dell'uccisione o della cattura (fattispe cie di attraversamento in auto di zona boscosa ricca di selvag

gina con uso dei fari per abbagliare le lepri). (3)

I

Diritto. — 1. - L'ordinanza di rimessione, rifiutando ogni cri

terio interpretativo, ritiene di doversi attenere al tema letterale

della disposizione impugnata che, non esprimendo alcuna deroga

esplicita al sistema normativo generale e regionale, tiene fermo

il principio fissato dal 1° comma dell'art. 11 della legge, sostan

ziato nel divieto di caccia ad ogni altra specie non indicata nel

l'elenco.

Opina l'ordinanza conseguentemente che non possa esservi di

versa soluzione, per decidere il ricorso sottoposto all'esame del

tribunale amministrativo, se non la declaratoria d'illegittimità del

l'art. 32 1. reg., nella parte in cui non ha inserito il beccaccino

fra le specie cacciabili.

2. - Non sembra, però, che una siffatta sequenza argomentati va sia rispettosa dei canoni ermeneutici fissati da consolidata giu

risprudenza. Il principio fondamentale che regge l'interpretazione è dato dalla

considerazione che la legge non può entrare in contraddizione

con se stessa, e che, perciò, va privilegiata l'interpretazione che

attribuisce alla norma un senso nel contesto normativo, e non

quella che la lascerebbe senza alcun significato.

Quando l'ordinanza afferma che, data l'esistenza di un divieto

di caccia come principio generale, occorre che la deroga sia espres samente prevista mediante l'inserzione della specie nell'elenco di

quelle cacciabili, esprime concetto esattissimo. Ma il ricorrente

Puglia 27 febbraio 1986, id.. Rep. 1988, voce Regione, n. 415. Con riferi

mento alla questione relativa alla 1. reg. Puglia 10/84, la corte pronuncia una sentenza interpretativa di rigetto, osservando che, secondo le indica

zioni del diritto vivente, la questione va risolta sul piano interpretativo e non su quello della legittimità costituzionale.

Sul potere di variare, ai sensi dell'art. 11 1. 968/77, l'elenco della specie

cacciabili, v., da ultimo, Pret. Bologna, ord. 1° marzo 1989, id., 1989,

I, 3252, con nota di richiami. In ordine ai limiti che incontrano le regioni nello stabilire la stagione

venatoria, v. Tar Marche 24 maggio 1989, n. 117, id., 1990, III, 150, con nota di richiami.

(3) Nel senso che costituisce atteggiamento di caccia il vagare a bassa

andatura su una autovettura, battendo con i fari il terreno circostante

al fine della ricerca e dell'abbagliamento della selvaggina, avendo a bor

do del veicolo un fucile e relative munizioni, v. Pret. Montefalco 21 feb

braio 1986, Foro it., Rep. 1987, voce Caccia, n. 19. In ordine alla pre sunzione di esercizio vietato della caccia, v. pure Cass. 12 febbraio 1985,

D'Onofrio, id., Rep. 1986, voce cit., n. 23, secondo cui il semplice aggi rarsi con il fucile in spalla ed accompagnati da cani segugi in zona facen

te parte di un parco nazionale, integra gli estremi dell'illecito amministra tivo di cui all'at. 9 1. 968/77; Pret. Todi 13 dicembre 198Ì2, id., Rep.

1984, voce cit., n. 17, secondo cui integra violazione del divieto di caccia

in zone vietate il comportamento di colui che esplode il colpo da fuori

della zona vietata e poi ricerca la selvaggina all'interno di detta zona, anche se con l'arma smontata.

Per la giurisprudenza, antecedente sull'entrata in vigore della 1. 968/77, secondo cui l'uso di fari abbaglianti per attirare le lepri è da ritenersi

modo idoneo all'esercizio della caccia, v. Cass. 23 gennaio 1975, Alessan

dria, 21 novembre 1974, Ceppatelli, id., Rep. 1976, voce cit., nn. 11, 12.

Sul concetto di «furto venatorio», v., da ultimo, Pret. Ferrara 8 no

vembre 1989, id., 1990, II, 207, con nota di richiami.

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2151 PARTE PRIMA 2152

sosteneva appunto che la deroga esisteva, e che essa era desumbi

le da altra esplicita disposizione, quella di cui all'art. 42, 1 ° com

ma, della stessa 1. reg., riproducente il divieto di cui all'ultimo

comma dell'art. 14 1. statale n. 968 del 1977: là dove è detto

che «è vietato a chiunque . . . l'esercizio venatorio da apposta

mento sotto qualsiasi forma al beccaccino». Divieto che necessa

riamente presuppone, sul piano della logica più elementare, la

liceità della caccia vagante al beccaccino stesso, e perciò si so

stanzia in un'espressa inserzione di questa specie fra quelle cac

ciabili, proprio in forza dell'art. 42, 1° comma, 1. reg.

3. - Non tenere nessun conto di siffatta disposizione equivale

a lasciarla senza senso, ma è proprio ciò che le regole ermeneuti

che suggerite da consolidata giurisprudenza non consentono.

D'altra parte, è la stessa ordinanza che, dando esclusivo rilievo

all'asserita carenza di un'apposita previsione, mostra di voler tra

scurare i lavori preparatori della legge regionale, cui peraltro la

regione aveva fatto riferimento. La posizione non appare censu

rabile, se si ha riguardo al valore che detti lavori possono avere

sul piano interpretativo a fronte di quello oggettivo che la norma

assume una volta emanata. Ma è poi contraddittorio prescindere

dalla norma stessa, come fa l'ordinanza.

Deve, quindi, concludersi che — secondo le indicazioni del di

ritto vivente — la questione va risolta sul piano intepretativo e

non su quello della legittimità costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 32 1. reg. pugliese 27 febbraio 1984 n. 10, sollevata dal Tar della Puglia con riferimento agli art. 2 e 117 Cost.

II

Diritto. — 1. - L'ultimo comma dell'art. 11 della legge impu

gnata non sembra meritare le censure d'illegittimità costituziona

le che ad esso vengono mosse.

2. - Seguendo l'ordine stesso delle doglianze, va detto subito

che gli argomenti desunti dagli art. 95 e 97 Cost, non hanno

consistenza.

È evidente, infatti, che l'attribuzione ex art. 95 Cost, al presi

dente del consiglio di funzioni costituzionali non esclude che la

legge possa assegnargli anche compiti di natura amministrativa,

specie se si riferiscono ad interessi generali non facilmente classi

ficabili nell'ambito della competenza dei singoli ministeri: e, del

resto, numerosissimi sono tali compiti amministrativi che tuttora

sussistono, per gran parte previsti da leggi lontanissime, anche

precedenti al rafforzamento e all'accertamento di poteri nel pre

sidente introdotti dalla dittatura, e molti anzi attribuiti ex novo

da leggi della repubblica. Né rileva, ai fini del presente giudizio, che non siano state an

cora emanate le disposizioni di legge per l'organizzazione della

presidenza del consiglio ex art. 97 Cost. Ciò non ha, infatti, fino

ra impedito il funzionamento dell'organo dello Stato, regolato

da prassi e convenzioni, anche costituzionali, e da talune vecchie

leggi interpretate in adeguamento alla Costituzione. Mentre poi

la procedura per l'attuazione della funzione amministrativa in esa

me è specificamente prevista nel comma impugnato, ed il relativo

potere decisionale è ben collocato a livello cosi elevato, trattan

dosi di salvaguardare un interesse generale dello Stato (art. 1 del

la legge). A tale proposito, anzi, va subito respinta l'idea che si tratti

di procedura anomala per essere stato il decreto in parola emana

to su proposta del ministro dell'agricoltura e foreste, che lo ha

controfirmato. Non va dimenticato, infatti, che il comitato di

cui all'art. 4 che deve essere sentito, ai sensi dell'art. 11, per

l'emanazione del decreto da parte del presidente del consiglio,

è il Comitato tecnico venatorio nazionale, costituito appunto presso

il ministero dell'agricoltura e foreste. È comprensibile che il pre

sidente del consiglio non prenda spontanee iniziative in una ma

teria cosi' squisitamente tecnica, se non quando riceva segnalazio

ni circa la necessità di variazioni all'elenco, proprio da parte dei

due enti (Istituto nazionale di biologia della selvaggina e Comita

to venatorio nazionale) che egli comunque è tenuto a sentire quan

do intenda procedere a seguito di segnalazioni pervenutegli da

altre fonti.

Non può stupire, pertanto, che, quando il Comitato venatorio

nazionale ritenga opportuno di assumersi l'iniziativa di una se

gnalazione in materia, lo faccia attraverso l'intermediazione del

Il Foro Italiano — 1990.

ministro, del cui dicastero è organo, secondo prassi amministrati

va consolidata. Del resto, è la legge stessa che, proprio nel penul

timo comma del richiamato art. 4, prevede poteri positivi da par

te del comitato in tema di adeguamento del legislatore nazionale

alle norme comunitarie ed alla convenzioni internazionali concer

nenti l'esercizio della caccia, come bene è stato ricordato dalla

lega per l'abolizione della caccia nella sua memoria: ed il conte

stato decreto del presidente 4 maggio 1982 fa appunto riferimen

to alla direttiva comunitaria n. 79/409/Cee del 2 aprile 1979.

Parimenti corretto, comunque, in proposito è il rilievo dell'av

vocatura generale, secondo cui, quand'anche si dovesse ritenere

che l'atto emanato si discosti dal modello legale, potrebbero al

più trarsene conseguenze sul piano della legittimità del provvedi

mento. In realtà, le anomalie denunziate — ammesso che abbia

no rilevanza pregiudizievole — riguarderebbero la regolarità del

procedimento amministrativo, ma non entrerebbero in conflitto

con alcuna norma costituzionale, considerato che, comunque, il

potere è stato esercitato dal presidente del consiglio e che i due

enti tecnici hanno espresso il loro avviso.

3. - Più penetrante si direbbe, invece, prima facie la preoccu

pazione relativa all'ampia e generica formulazione del comma im

pugnato che — secondo l'ordinanza di rimessione — sarebbe tale

da consentire al presidente del consiglio di innovare alle scelte

di fondo operate dal legislatore per l'elencazione delle specie cac

ciabili, cosi derogando ai principi generali delineati dalla legge. Ma si tratta soltanto di impressioni dovute all'apparente som

marietà della tecnica di normazione. In realtà, invece, già nel

corpo stesso della disposizione vi è un elemento significativo che

ne orienta l'interpretazione e la collega alla ratio della legge. Si

vuol alludere al parere obbligatorio, anche se non vincolante, di

due organi tecnici che sta alla base del provvedimento del presi

dente: il parere dell'Istituto nazionale di biologia della selvaggina

e quello del Comitato tecnico venatorio nazionale. Pareri che vanno

messi in relazione ad uno dei principi fondamentali dettati dalla

legge in esame, quello di cui al 1° comma dell'art. 8, secondo

cui «l'esercizio della caccia è consentito purché non contrasti,

con l'esigenza di conservazione della selvaggina e non arrechi danno

effettivo alle produzioni agricole». È evidente a questo punto che

l'obbligo del presidente del consiglio di sentire i due citati istituti

prima di emettere qualunque provvedimento di variazione delle

specie cacciabili, è voluto dal legislatore proprio in funzione della

specifica competenza di quegli enti in materia di biologia della

selvaggina e di problemi venatori, di cui il presidente attinge gli

elementi per esprimere le valutazioni del caso nell'ambito del prin

cipio generale di cui al 1° comma dell'art. 8.

Ciò dimostra che si tratta di valutazioni tecniche e fattuali,

di cui la legge ha perentoriamente segnato i criteri, e che, per

ciò stesso, escludono il temuto ampio potere discrezionale, ed

ogni possibilità di innovare o di derogare alle scelte di fondo ope

rate dal legislatore per l'elencazione delle specie cacciabili.

4. - Il decreto impugnato innanzi al giudice amministrativo è

esemplare di tali limiti. La premessa fa innanzitutto riferimento alle indicazioni — co

me già si è accennato — della direttiva comunitaria che suggeri

sce la riduzione della pressione venatoria nei confronti di alcuni

specie dell'avifauna minore, ma anche alla documentazione in cam

po scientifico relativa alla diminuzione di talune specie su quasi

tutta l'area europea ds esse interessata: documentazione che evi

dentemente proviene dagli enti competenti. Cosi come dagli stessi

enti è data attestazione circa la potenziale nocività per l'agricol

tura e per altre specie selvatiche, della cornacchia grigia, della

ghiandaia e della gazza, o della rarità in Italia della Limosa lap

ponica (Pittima minore). Né è esatto che il legislatore abbia cancellato dalla legge la

nozione di nocività per talune specie, ché anzi, da una parte,

ha conferito proprio al Comitato venatorio nazionale compiti di

studio e di ricerca, fra l'altro, per la «tutela delle produzioni agri

cole», (art. 4, 3° comma) e, dall'altra, ha attribuito alle regioni

il controllo della specie di cui all'art. 11 per il caso che «moltipli candosi eccessivamente, arrechino danni gravi alle colture agrico

le e al patrimonio faunistico . . .» (art. 12, 2° comma). Proprio,

dunque, quella nocività «in particolare per l'agricoltura e per al

tre specie selvatiche» che il decreto ha preso in considerazione

al 5° comma, dietro suggerimento degli enti specializzati.

5. - Appare chiaro, allora, a questo punto, che la funzione

attribuita al presidente del consiglio ha quello stesso carattere am

ministrativo di aggiornamento, in relazione a dati tecnici e di fat

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

to forniti dai competenti istituti, che possiedono analoghi atti del

l'esecutivo diretti all'aggiornamento o all'approvazione o addirit

tura alla formazione di tabelle contenenti elenchi relativi ad altre

materie. Cosi per le sostanze stupefacenti (cfr. sent. 19 gennaio

1972, n. 9, Foro it., 1972, I, 271), per i giochi non d'azzardo

(sent. 27 giugno 1972, n. 113, ibid., 2741) o per le malattie pro fessionali (sent. 10 luglio 1981, n. 127, id., 1982, I, 2148).

In tali casi, questa corte ha avvertito che si tratta di «atti am

ministrativi» nei quali «non si configura alcuna delega da parte del legislatore»: ha precisato, anzi, la corte che «nel nostro ordi

namento è riscontrabile una certa proclività del legislatore a col

locare in un testo legislativo, in aggiunta alla parte normativa, anche dati della realtà, individuati in base a criteri tecnici. Acca

de sovente in tali casi che il legislatore demandi poi all'esecutivo, o all'organo dell'esecutivo competente per materia, di apportare a quei dati gli aggiustamenti che l'esperienza, una più matura

riflessione, il progresso tecnico rendono consigliabili» (sent. n.

127 del 1981). In altri termini, si tratta di elementi o di situazioni

che non possono essere tutti e compiutamente predeterminati nel

la normazione primaria. In tal caso, il legislatore formula un elen

co, di per se stesso ampiamente indicativo di un certo orienta

mento nella scelta della selvaggina cacciabile, e detta principi ri

gorosi, in relazione ai quali, ed entro l'ambito dei quali, conferisce

poi all'esecutivo o ad un suo organo il potere di adeguarli ai

mutamenti inevitabili che la realtà subisce nel tempo. Da tutto ciò appare anche evidente che l'art. 117 Cost., non

viene in causa, perché allo Stato resta ferma la competenza per l'emanazione di principi e disposizioni generali concernenti l'inte

ro territorio nazionale, mentre le regioni (salvo le competenze esclusive stabilite dagli statuti speciali di talune regioni e province autonome — art. 5, ultimo comma) provvedono ai piani annuali

o pluriennali territoriali, ed intervengono con atti normativi a

vietare o a ridurre la caccia per periodi prestabiliti e per determi

nate specie sulla base delle importanti e motivate ragioni indicate

nell'art. 12.

La competenza amministrativa del presidente del consiglio è

estranea a tutto questo, essendo prevista esclusivamente nei limiti

di aggiornamento e di adeguamento degli elenchi nazionali, sug

geriti dagli organi tecnici nello stretto ambito dei rigorosi criteri

fissati dalla legge. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, ultimo com

ma, 1. 27 dicembre 1977 n. 968 (principi generali per la protezio ne e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), sollevata

dal Tar del Lazio con ordinanza 8 novembre 1982 con riferimen

to agli art. 95, 97 e 117 Cost.

Ili

Motivi della decisione. — Con il secondo motivo, da esaminar

si innanzi tutto per la sua logica priorità, la pronvincia di Peru

gia censura la sentenza impugnata per aver escluso che il circola

re in ambiente venatorio protetto in atteggiamento di ricerca del

la selvaggina, ma sprovvisti dei mezzi indicati nell'art. 9 1. 27

dicembre 1977 n. 968, costituisca un comportamento di caccia

sanzionabile: sostiene invece la ricorrente doversi ricercare caso

per caso l'effettivo concretarsi della fattispecie repressa mediante

l'accertamento di elementi oggettivi e soggettivi univocamente ri

velatori di un proposito di caccia, con qualsiasi mezzo sia posta in essere la condotta.

Il motivo è fondato. Ed invero l'interpretazione dell'art. 8, 3°

comma, della legge in esame adottata nella decisione in oggetto,

che pone tra gli elementi costitutivi dell'illecito l'uso dei mezzi

indicati nell'art. 9, poggia su di una lettura ingiustificatamente restrittiva della norma, ed appare anzi smentita da una serie di

rilievi di ordine letterale e logico sistematico.

Sul piano formale va osservato che mentre il 2° comma dello

stesso art. 8, nel definire «l'esercizio effettivo» della caccia, fa

espresso riferimento all'«impiego dei mezzi di cui al successivo art. 9», il 3° comma, in relazione all'«esercizio presunto», consi

dera attività di caccia «il vagare o il soffermarsi con i mezzi de

stinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina o

di attesa della medesima per abbatterla o catturarla».

Come è evidente, la definizione della fattispecie prescinde dal

richiamo, in ordine ai mezzi adottati, alle categorie ricomprese

Il Foro Italiano — 1990.

nell'art. 9 ed ha invece riguardo al dato fattuale della «destina

zione allo scopo». Va d'altro canto rilevato che la previsione del vagare o soffer

marsi, in alternativa, «con i mezzi destinati a tale scopo» ovvero

«in attitudine di ricerca o di attesa» della selvaggina, senza ulte

riori specificazioni oltre quella dello scopo dell'abbattimento o

della cattura, vale ad evidenziare la non indispensabilità, ai fini

dell'integrazione della fattispecie, dell'uso dei mezzi in discorso.

Nell'opportuno raffronto del nuovo testo della legge sulla cac

cia alla precedente normativa è da osservare altresì che la disposi zione del citato art. 8 non diverge in modo apprezzabile dall'art.

1 r.d. 5 giugno 1939 n. 1016, salvo che per la previsione, limita

tamente all'«esercizio effettivo», dell'impiego dei mezzi indicati

nel successivo art. 9: la diversa formulazione si giustifica con il

rilievo che mentre nel t.u. del 1939 si prescinde dall'indicazione

di specifici mezzi di caccia consentiti, nella nuova legge è posto

l'esplicito divieto di usare mezzi diversi da quelli espressamente consentiti (art. 31, lett. e).

Una siffatta differenziazione scompare invece nei commi im

mediatamente successivi dei rispettivi articoli, riguardanti ^eser

cizio presunto», che nell'una e nell'altra disposizione appaiono riferirsi ad una destinazione effettiva e ad una concreta idoneità

del mezzo impiegato. Ed è opportuno ricordare che la giurisprudenza formatasi sot

to il precedente regime normativo era del tutto pacifica nel rite

nere che l'atteggiamento di caccia giuridicamente rilevante ai sen

si dell'art. 1 t.u. n. 1016 si configurasse come condotta a forma

libera, realizzabile con qualsiasi atto avente quale fine ultimo l'uc

cisione o la cattura della selvaggina, e riscontrabile da elementi

sintomatici, quali il vagare o il soffermarsi, con armi, arnesi o

altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa (v. Cass.

pen. 9 gennaio 1969, n. 1431; 18 luglio 1968, n. 742; 14 ottobre

1966, n. 1058). In applicazione di tali criteri la stessa giurisprudenza ha unifor

memente affermato che l'uso dei fari di autovetture per abbaglia re le lepri costituiva un modo di esercizio della caccia (v. Cass.

pen. 22 ottobre 1975, n. 9753; 23 gennaio 1975, n. 674; 31 gen naio 1969, n. 1361).

L'adozione in relazione alla nuova disciplina sulla caccia di

una diversa e più restrittiva interpretazione non solo non trova

fondamento, come già rilevato, in una significativa diversità del

precetto normativo, ma appare contrastante con i principi ispira tori della legge di riforma, che ha posto nella sua disposizione introduttiva il principio fondamentale che la fauna selvatica ita

liana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed a tale

principio ha ispirato tutta la sua impostazione, riconoscendo il

diritto di cacciare come eccezione alla regola della protezione del

la selvaggina nell'interesse della comunità nazionale e ravvisando

quale unico modo possibile per sottrarre la fauna selvatica alla

sua destinazione pubblica l'esercizio legittimo della caccia.

Va ancora rilevato che l'intepretazione seguita nella sentenza

impugnata, secondo la quale in mancanza dell'impiego dei mezzi

indicati nell'art. 9 la condotta sarebbe sanzionabile solo ove si

sia verificato l'evento dell'abbattimento o della cattura, si fonda

su di un'errata dilatazione del disposto del 4° comma dell'art.

8, la cui funzione non è quella di sovrapporsi, limitandone la

portata, al precetto di cui al 3° comma, ma di collocarsi come

norma di chiusura, diretta a reprimere ogni altro modo di eserci

zio dell'attività venatoria cui sia seguito l'abbattimento o la cattura.

Non è, peraltro, chi non veda a quali incongruenze e disfunzio

ni darebbe luogo la soluzione accolta dal Pretore di Perugia, at

teso che da essa deriverebbe l'impossibilità di qualsiasi intervento

preventivo e di qualsiasi misura sanzionatoria proprio nei con

fronti delle condotte più subdole ed odiose: la necessità di atten

dere l'evento dell'abbattimento o della cattura per la prevenzione e repressione di dette condotte si porrebbe in termini di insanabi

le e plateale contrasto con l'esigenza di tutela della fauna selvati

ca che costituisce il fine primario della legge.

Deve, pertanto, ritenersi che integri esercizio presunto di caccia

punibile ogni atto o comportamento che riveli univocamente il

proposito di esercitare l'attività venatoria e che la direzione del

l'atteggiamento assunto dal soggetto verso tale finalità debba es

sere valutata caso per caso, secondo i correnti parametri di valu

tazione ed avvalendosi anche di nozioni di comune esperienza. A tale scopo è sufficiente riscontrare la sussistenza di elementi

oggettivi specificamente rivelatori del proposito di cacciare, e non

occorre dimostrare il compimento di atti immediatamente rivolti

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2155 PARTE PRIMA 2156

all'uccisione o alla cattura, ed ancor meno il risultato finale del

l'uccisione o della cattura.

È evidente, pertanto, l'errore in cui è incorso il Pretore di Pe

rugia il quale, escluso l'impiego di uno dei mezzi ricompresi nel

l'elencazione di cui all'art. 9, ha negato, in difetto di abbattimen

to o di cattura, la sussistenza dell'illecito ed ha ritenuto irrilevan

te la prova per testi richiesta dalla provincia.

L'accoglimento del secondo motivo di ricorso determina l'as

sorbimento del primo e del terzo.

La sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata

e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa nel Pretore

di Foligno, il quale procederà a nuovo esame della controversia

attenendosi al principio di diritto sopra enunciato.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 febbraio 1988, n. 126

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 febbraio 1988, n. 7); Pres. Saja, Est. Cheli; Soc. Autorimessa Titanus c. Soc. Mon

tedison (Aw. Salvucci) e altro; interv. Pres. cons, ministri

(Aw. dello Stato Cosentino). Ord. Trib. Milano 22 novembre

1979 (G.U. n. 173 del 1980).

Locazione — Regime vincolistico — Immobili ad uso diverso dal

l'abitazione — Espropriazione per pubblica utilità — Compen so per la perdita dell'avviamento — Diritto del conduttore —

Decurtazione dell'indennità di espropriazione — Questione in

fondata di costituzionalità (Cost., art! 3, 42; 1. 27 gennaio 1963

n. 19, tutela giuridica dell'avviamento commerciale, art. 6).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6

l. 27 gennaio 1963 n. 19, nella parte in cui precederebbe che

in caso di esproprio il diritto del conduttore al compenso per la perdita dell'avviamento debba essere fatto valere sull'inden

nità di espropriazione corrisposta al locatore, anche se a costui

non derivi alcuna utilità dall'avviamento stesso per effetto del

l'intervenuta espropriazione, in riferimento agli art. 42, 3 ° com

ma, e 3 Cost, (nella motivazione si rileva che, contrariamente

a quanto assunto dall'ordinanza di rimessione, il compenso che

il conduttore può rivendicare sull'indennità di esproprio spetta soltanto nell'ipotesi in cui dalla perdita dell'avviamento del con

duttore possa derivare un'utilità per il locatore, ed entro i limi

ti di essa). (1)

(1) L'ordinanza di rimessione è riassunta in Foro it., Rep. 1981, voce

Locazione, n. 767 e riportata per esteso in Giur. costit., 1980, II, 1245. La Corte costituzionale rileva in motivazione che, nell'ipotesi di proce

dimento espropriativo, l'utilità del locatore conseguente alla perdita di avviamento subita dal conduttore «non potrà realizzarsi altro che attra verso un eventuale incremento dell'indennità di espropriazione ai sensi dell'art. 39 1. 25 giugno 1865 n. 2359», potendo avere senso soltanto in tale ottica l'attribuzione al conduttore (da parte dello stesso art. 6 1. 19/63) del potere di opporsi all'indennità di esproprio «per insufficien te determinazione del quantum». Va tuttavia rammentato che secondo Cass. 13 novembre 1974, n. 3596, Foro it., 1975, I, 603, con nota di richiami (nonché Giust. civ., 1975, I, 410, con nota di A. Tabet) —

alla quale si era appunto rifatta l'ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano — è da escludere che in conseguenza dell'art. 6 1. 19/63 si sia determinata una modifica della normativa in tema di determinazione dell'indennità di espropriazione ex art. 39 1. 2359/1865 e, quindi, «che nel 'giusto prezzo' da attribuire all'immobile 'in una libera contrattazione di compravendita' debba tenersi conto anche del plusvalore locativo po stulato dall'art. 4 1. 19 del 1963».

Sulle problematiche concernenti la quantificazione dell'indennità di espro priazione, v., da ultimo, Cass. 16 giugno 1989, n. 2891 e 31 marzo 1989, n. 1579, Foro it., 1990, I, 581, con nota di richiami di G. Catalano; 29 novembre 1989, n. 5215, ibid., 884, con nota di richiami; Corte cost. 9 novembre 1988, n. 1022 e 3 marzo 1988, n. 262, id., 1989, I, 983, con nota di D. Bellantuono (in tema di indennità aggiuntiva spettante ex art. 17, 2° comma, 1. 865/71 al mezzadro, fittavolo, colono o compar tecipante che siano costretti ad abbandonare il fondo espropriato).

Gli art. 34 ss. e 69 I. 392/78, attualmente vigente, hanno disciplinato l'istituto dell'indennità per perdita dell'avviamento in modo differente dalla 1. 19/63, in particolare perchè riconoscono al conduttore di immo

li Foro Italiano — 1990.

Fatto. — 1. - Nel corso di un procedimento civile promosso dalla s.n.c. Autorimessa Titanus — conduttrice da trent'anni di

un immobile sito in Milano ed adibito ad autorimessa — contro

la s.p.a. Montedison — proprietaria espropriata dell'immobile stes

so — nonché contro il comune di Milano — ente espropriante — al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all'indennizzo

previsto dagli art. 4 e 6 1. 27 gennaio 1963 n. 19 per la perdita dell'avviamento conseguente ad esproprio ed alla cessazione del

l'attività aziendale, il Tribunale di Milano, con ordinanza ememssa

il 22 novembre 1979, ha sollevato questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 6 della citata legge n. 19 con riferimento agli art. 42, 3° comma, e 3 Cost.

Secondo il giudice a quo la norma denunciata può essere inter

pretata solo nel senso che, in caso di esproprio, il diritto del con

duttore al compenso per la perdita dell'avviamento debba essere

fatto valere sull'indennità corrisposta all'espropriato, anche se a

costui non derivi alcuna utilità dall'avviamento stesso per effetto

dell'intervenuta espropriazione. La disposizione impugnata si porrebbe perciò in contrasto con

l'art. 42, 3° comma, Cost., in quanto verrebbe a determinare

una sensibile decurtazione dell'indennizzo spettante al proprieta rio espropriato, indennizzo da calcolare, nel caso concreto, in

base al valore dell'immobile e senza che possano entrare nella

valutazione i diritti dei terzi su di esso.

Il giudice a quo ricorda anche che l'art. 17 1. 22 ottobre 1971

n. 865, nell'ipotesi di espropriazione attinente a terreno non col

tivato dal proprietario, pone a carico dell'espropriante il paga mento di un'indennità aggiuntiva a favore del fittavolo, mezza

dro, colono o compartecipante che siano costretti ad abbando

nare il terreno stesso: da tale disciplina discenderebbe

un'ingiustificata disparità du trattamento tra il proprietario di

un terreno agricolo coltivato da terzi, il quale, grazie all'inter

vento dell'espropriante, può percepire integralmente l'indennità

di esproprio a lui spettante, ed il proprietario di un immobile

urbano dato in locazione, il quale ultimo, non essendo sollevato

dall'espropriante dell'onere di corrispondere al conduttore un

compenso per la perdita dell'avviamento aziendale, vedrebbe in

cisa e ridotta la sua indennità di espropriazione. Di qui, secondo

il giudice rimettente, il sospetto di contrasto della norma impu

gnata anche con l'art. 3 Cost.

2. - Davanti alla corte si è costituita la s.p.a. Montedison so

stenendo l'irrilevanza della questione di costituzionalità sollevata

dal Tribunale di Milano sul presupposto che una corretta inter

pretazione degli art. 4 e 6 1. n. 19 del 1963 dovrebbe indurre

ad ecludere che al conduttore, in caso di esproprio dell'immobile

del locatore, sia da quest'ultimo dovuto alcunché a titolo di com

penso dell'eventuale perdita dell'avviamento. In linea subordina

ta, e limitatamente all'ipotesi che venga condivisa l'interpretazio ne della norma impugnata adottata dal Tribunale di Milano, la

Montedison svolge considerazioni adesive all'ordinanza di rimes

sione, chiedendo alla corte di dichiarare l'illegittimità costituzio

nale della norma impugnata. Si è costituita anche la s.n.c. Autorimessa Titanus sostenendo

che la normativa applicabile nel giudizio a quo non sarebbe quel la dettata dalla 1. 27 gennaio 1963 n. 19, bensì' quella contenuta

nella 1. 22 ottobre 1971 n. 865, che rappresenta la nuova discipli na generale dell'espropriazione per pubblica utilità. Con la con

seguenza che l'indagine del giudice costituzionale dovrebbe ap

puntarsi non sull'art. 6 1. n. 19 del 1963 ma sull'art. 17 n. 865

del 1971. (Omissis)

bile non abitativo il diritto all'indennità in misura fissa, indipendente mente dal vantaggio che il locatore possa effettivamente trarre dalla per dita di avviamento, e senza che rilevi la mancanza nel caso concreto di una perdita di avviamento derivante al conduttore dal dover rilasciare l'immobile locato: v., per tutte, Corte cost. 6 ottobre 1983, n. 300, id., 1983, I, 2933; 23 dicembre 1987, n. 583, id., 1988, I, 708, e, da ultimo, 31 luglio 1989, n. 481, id., 1990, I, 783, tutte con note di richiami e osservazioni di D. Piombo. Nel senso che l'art. 6 1. 19/63 è da ritenere tuttora in vigore, non essendo incompatibile con la normativa della 1.

392/78, v. M. Buoncristiano, in Equo canone, Cedam, Padova, 1980, 404 ss. (ad avviso del quale, d'altra parte, anche se si accedesse alla solu zione opposta, non potrebbe negarsi l'indennità di avviamento al condut tore dell'immobile espropriato).

Per qualche attinenza con l'ipotesi considerata dalla pronunzia in epi grafe, cfr. Pret. Roma 9 febbraio 1990, in questo fascicolo.

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