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sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo(concl. parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Favara) c. Soc. Best (Avv. Scalzo); Soc. Best c.Min. finanze. Cassa App. Torino 12 dicembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2473/2474-2489/2490Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184145 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
Svolgimento del processo. — I dott. Angelo Castellucci e Vale
rio Scarcelletti, medici specialisti titolari di laboratori (rispettiva mente, di analisi cliniche e radiologia) convenzionati con l'Usi n. 8 della regione Marche, convenivano detta Usi e l'associazione
dei comuni Valle Misa-Mevola dinanzi al Pretore di Senigallia assumendo che la stessa unità sanitaria locale non aveva provve duto a riservare ai medici ed enti privati convenzionati il venti
per cento dell'attività specialistica del proprio territorio in viola
zione del disposto della 1. reg. n. 37 del 5 novembre 1982 che
al punto 2.1.5. impone un tale obbligo alle Usi della regione. Tanto premesso — ed aggiungendo che la Usi convenuta non
aveva neanche ottemperato al disposto dell'art. 3 d.l. 678/81 (co si come modificato dalla legge di conversione 12/82), a norma
del quale gli utenti possono accedere alle strutture convenzionate,
per le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio per le quali le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare
le richieste di accesso alle prestazioni stesse entro il termine di
tre giorni; e che il complessivo comportamento della Usi n. 8, oltre a determinare una grave disparità di trattamento tra gli assi
stiti dalla stessa Usi e gli assistiti dalle altre Usi della regione, causava un pregiudizio professionale ed economico ad essi istanti — chiedevano che l'adito pretore ordinasse alla Usi ed all'asso
ciazione dei comuni convenute di applicare la 1. reg. n. 37 del
1982 e quindi le condannasse a riservare agli attori almeno il 20%
del totale di richieste di analisi e prestazioni radiologiche dell'in tero territorio.
Radicatosi il contraddittorio, nel giudizio dinanzi al pretore in
terveniva anche l'ordine nazionale dei biologi, spiegando inter
vento adesivo in favore delle pretese degli attori.
Nel corso dello stesso giudizio, l'Usi n. 8 della regione Marche
ha proposto a questa corte regolamento preventivo di giurisdizio
ne, deducendo il difetto di giurisdizione del pretore-giudice del
lavoro di Senigallia nella causa di cui sopra. Resistono con con
troricorso i dottori Castellucci e Scarcelletti e l'ordine nazionale
dei biologi. Sia l'Usi che l'ordine dei biologi hanno anche presen tato memoria.
Motivi della decisione. — A sostegno dell'istanza la ricorrente
Usi deduce il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. in relazione alla
domanda proposta dagli attori, posto che con questa si chiede
al giudice ordinario di condannare la pubblica amministrazione
ad un facere in violazione del divieto posto allo stesso giudice ordinario dall'art. 4 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E. Aggiunge
comunque che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario di scenderebbe anche dalla considerazione che, in materia di presta zioni medico-specialistiche e di diagnostica strumentale e di
laboratorio, sia la posizione dell'utente che intenda far ricorso
ai laboratori privati a spese della struttura pubblica sia la posizio ne del libero professionista che intenda beneficiare di tale richie
sta configurano posizioni d'interesse legittimo devolute alla
cognizione del giudice amministrativo.
L'istanza è fondata, anche se per una ragione preliminare e
assorbente rispetto a quelle dedotte, dalle quali le sezioni unite
possono prescindere posto che il regolamento di giurisdizione, non
costituendo un mezzo d'impugnazione, non deve necessariamente
contenere l'esposizione dei motivi, essendo sufficiente la sola espo sizione dei fatti rilevanti per la decisione (sez. un. 808/75, Foro
it., Rep. 1975, voce Giurisdizione civile, n. 182; n. 1542/77, id.,
Rep. 1977, voce cit., n. 183; n. 6441/79, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 193; n. 4992/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 152). Ed invero queste sezioni unite, con la decisione n. 1870/87 (id.,
Rep. 1987, voce Sanità pubblica, n. 186), hanno chiarito che, nel sistema dell'assistenza sanitaria disciplinato dalla 1. 833/78,
le convenzioni fra unità sanitarie locali e minori strutture private
(quali centri di diagnostica strumentale, laboratori di analisi, ecc.),
stipulate ai sensi dell'art. 44, 1° e 2° comma, di detta legge e
delle corrispondenti disposizioni attuattive delle leggi regionali, hanno natura di contratti di diritto pubblico e danno vita a rap
porti che si inquadrano nello schema delle concessioni ammini
strative di pubblico servizio, in quanto — attraverso tali
convenzioni — vengono attribuiti a soggetti privati, in funzione
integrativa e di supporto della struttura pubblica, attività che la
legge riserva di norma alla pubblica amministrazione, e cioè «agli
ambulatori e presidi delle unità sanitarie locali di cui l'utente fa
parte » (art. 25/6 cit. 1. 833/78 cosi come mod. dalla 1. 33/80).
Mentre infatti, a norma del 3° comma dello stesso art. 25,
Il Foro Italiano — 1989.
l'assistenza medico-generica e pediatrica è prestata indifferente
mente dal personale dipendente o convenzionato del servizio sa
nitario nazionale, le prestazioni di laboratorio, diagnostica
strumentale, ecc. sono «di norma» (comma 6° cit.) fornite dalle
suindicate strutture pubbliche, e soltanto «possono» (comma 7°) esser fornite anche da ambulatori e presidi privati convenzionati
ai sensi della legge stessa, a condizione peraltro (commi 8° e 9°) che ricorra l'impossibilità dei presidi pubblici di soddisfare la ri chiesta dell'utente entro tre giorni (o immediatamente se essa è
urgente); sicché è rimesso al potere organizzatorio dell'unità sani
taria locale, dal quale dipendono le capacità delle strutture pub bliche al momento della richiesta, stabilire se la prestazione sanitaria di che trattasi debba essere erogata da una struttura
privata. L'attività di questa, inoltre, dev'esser tale da garantire l'eroga
zione di prestazioni sanitarie non inferiori a quelle erogate dai
corrispondenti presidi e servizi delle unità sanitarie locali (art.
44/11, lett. a), mentre la struttura stessa deve rispondere ai requi siti di strutturazione, dotazione strumentale e qualificazione fun
zionale del personale, stabiliti uniformemente per tutto il territorio
nazionale (art. 25/XII).
Infine, la stessa necessità del convenzionamento — e dunque la valutazione dell'opportunità di far ricorso alle strutture private — è accertata dalla regione alla stregua degli obiettivi e delle esi
genze individuati con il piano sanitario regionale (art. 44/1). Siffatta disciplina — che differenzia nettamente i rapporti co
me quelli in esame dai rapporti correnti con il personale sanitario
o pediatrico convenzionato — offre sufficienti ragioni della sus
sunzione dei rapporti in esame nell'ambito della concessione am
ministrativa, posto che attraverso di essi viene attribuito al privato
l'espletamento di un pubblico servizio che, sebbene attenga ad
un'attività che può essere liberamente esercitata dal privato stes
so senza oneri per la collettività, la legge affida alle strutture pub bliche disciplinandone l'erogazione tendenzialmente gratuita attraverso le unità sanitarie locali, alla cui attività le strutture
private concorrono in funzione integrativa e secondaria previa valutazione di opportunità e sotto il controllo degli organi pubblici.
La ritenuta qualificazione del rapporto in esame come rappor to di concessione amministrativa di pubblico servizio, esclude in
radice la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia og
getto del presente regolamento, atteso che tale controversia —
come tutte quelle connesse ad un tale rapporto ed ancorché non
originate da atti o provvedimenti della pubblica amministrazione — è devoluta alla giurisdizione esclusiva dei tribunali ammini
strativi regionali a norma dell'art. 5 1. 1034/71, che in tale mate
ria fa salva la giurisdizione dell'a.g.o. unicamente per le questioni concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi, dei quali qui non è questione.
Deve, pertanto, affermarsi la giurisdizione del giudice ammini
strativo.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 maggio
1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo
(conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Favara) c. Soc. Best (Avv. Scalzo); Soc. Best c. Min. finanze. Cassa
App. Torino 12 dicembre 1986.
Dogana — Indebita riscossione di tributi doganali — Violazione
della normativa comunitaria — Azione di ripetizione — Prova
della non traslazione dell'onere su altri soggetti — Necessità — Esclusione (D.l. 30 settembre 1982 n. 688, misure urgenti in materia di entrate fiscali, art. 19; 1. 27 novembre 1982 n.
873, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 set
tembre 1982 n. 688, art. unico).
Dogana — Indebita riscossione di tributi doganali
— Violazione
della normativa comunitaria — Azione di ripetizione — Inte
ressi — Disciplina applicabile (Cod. civ., art. 1224, 1284; d.p.r.
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2475 PARTE PRIMA 2476
23 gennaio 1973 n. 43, approvazione del testo unico delle di
sposizioni legislative in materia doganale, art. 93).
L'azione di ripetizione di tributi doganali indebitamente riscossi
dall'amministrazione finanziaria in violazione della normativa
comunitaria non è subordinata alla prova documentale, previ sta dall'art. 19 d.l. 30 settembre 1982 n. 688, convertito in I.
27 novembre 1982 n. 873, circa la non traslazione su altri sog
getti del relativo onere economico. (1) Nei casi di restituzione di tributi doganali indebitamente riscossi
dall'amministrazione finanziaria in violazione della normativa
comunitaria, gli interessi sulle somme da rimborsare sono do
vuti non nella misura stabilita dall'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 (riguardante esclusivamente la diversa ipotesi di rim
borso regolata dal precedente art. 91), ma in quella general mente prevista dall'art. 1284, 1° comma, c.c., salva l'eventuale
applicazione dell'art. 1224, 2° comma, c.c. (2)
(1) Con un repentino susseguirsi di pronunce — tutte rese nella mede sima udienza — la Cassazione conferma recisamente il proprio orienta mento giurisprudenziale che ribadisce la non applicabilità dell'art. 19 d.l. 688/82 alle ipotesi di ripetizione di tributi doganali indebitamente riscossi in violazione della normativa comunitaria: v. sent. 21 giugno 1989, n.
2949, 5 giugno 1989, n. 2711, 17 maggio 1989, nn. 2337, 2345, 2347 e 2352, 15 maggio 1989, n. 2215, Foro it., Mass.
Nello stesso senso, v. anche Cass. 23 luglio 1987, n. 6428, id., Rep. 1988, voce Dogana, n. 53; 11 giugno 1987, n. 5074, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 73; 28 maggio 1987, n. 4774, ibid., n. 48; 18 marzo 1987, nn.
2715, 2716, ibid., nn. 95, 96; 10 marzo 1987, nn. 2461-2463 , 2465, 2466, ibid., nn. 90-94; 26 febbraio 1987, nn. 2034, 2036, ibid., nn 101, 102; 12 febbraio 1987, nn. 1532, 1533, 1534, 1535, ibid., nn. 61, 103, 88, 89; Trib. Torino 12 febbraio 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 49; Cass. 23 gennaio 1987, n. 634, id., Rep. 1987, voce cit., n. 72; 22 gennaio 1987, nn. 559, 560, 561, ibid., nn. 80, 76, 81; 21 gennaio 1987, n. 520, ibid., n. 62; 15 gennaio 1987, nn. 237, 238, ibid., nn. 78, 79; App. Mila no 6 gennaio 1987, ibid., n. 85; Cass. 16 dicembre 1986, n. 7522, id., Rep. 1986, voce cit., n. Ili; Trib. Torino 20 novembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 70; Cass. 18 ottobre 1986, n. 6131, ibid., n. 69; 18 ottobre 1986, n. 6132, id., Rep. 1986, voce cit., n. 113; Trib. Milano 18 settembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 86; App. Venezia 13
agosto 1986, ibid., n. 87; Cass. 15 luglio 1986, n. 4558, id., Rep. 1986, voce cit., n. 114; 4 luglio 1986, n. 4390, ibid., n. 115; 3 luglio 1986, n. 4369, ibid., n. 116; 18 giugno 1986, n. 4063, id., Rep. 1987, voce cit., n. 82; 20 maggio 1986, n. 3339, id., Rep. 1986, voce cit., n. 120; 9 maggio 1986, n. 3083, ibid., n. 118; 7 maggio 1986, n. 3061, ibid., n. 117; 3 maggio 1986, n. 3014, ibid., n. 127; 29 aprile 1986, n. 2961, ibid., n. 128; 16 aprile 1986, nn. 2711, 2717, 2719, 2720, ibid., nn. 99, 121, 123, 124; 16 aprile 1986, n. 2718, id., Rep. 1987, voce cit., n. 64; 7 aprile 1986, nn. 2417, 2425, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 98, 119; 7 aprile 1986, n. 2415, id., 1986, I, 2187, con nota di S. Di Paola; v. inoltre Cass. 4 aprile 1986, n. 2339, id., Rep. 1986, voce cit., n. 125.
Per talune isolate voci discordi, cfr. Trib. Trento 11 aprile 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 100 e App. Trento 22 febbraio 1986, ibid., n. 98.
In dottrina, l'argomento è trattato da P. Braccioni, Indebito dogana le, presunzioni e diritto comunitario (nota a App. Trento 22 febbraio 1986, cit.), in Rass. trib., 1988, II, 49; A. Gnan, Indebita corresponsione di diritti doganali e diritto al rimborso (nota a Trib. Torino 12 febbraio 1987, cit.), in Foro pad., 1988, I, 517; E. Cortese Pinto, Ripetizione dell'indebito di origine comunitaria (nota a Cass. 16 aprile 1986, n. 2711, cit.), in Giusi, civ., 1987, I, 637; D. Rinoldi, Una storia infinita (nota a Trib. Trento 11 aprile 1986, cit.), in Foro pad., 1987, I, 101; L. Danie le, La Corte di cassazione e la restituzione dell'indebito comunitario (no ta a Cass. 18 ottobre 1985, n. 5129, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n.
71), in Dir. scambi internaz., 1985, 739; D. Rinoldi, Disapplicazione di norma interna e principi interpretativi stabiliti dalla corte comunitaria
(nota a Cass. 18 ottobre 1985, n. 5129, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 130), in Foro pad., 1986, I, 148; E. Della Riccia, Conflitto tra norme comunitarie e norme nazionali (nota a Cass. 24 ottobre 1985, n. 5235), in Nuova giur. civ., 1986, I, 400; G. Giacalone, Quando il verdetto è targato «Europa» (nota a Cass. 7 aprile 1986, n. 2415, cit.), in Corriere giur., 1986, 627.
In ordine ai profili di costituzionalità relativi all'art. 19 d.l. cit., v. Corte cost., ord. 16 giugno 1988, nn. 681 e 651, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 45, e id., 1989, I, 2036, con nota di richiami, entrambe citate in motivazione, che dichiarano la manifesta infondatezza delle que stioni sollevate. Sul punto, v. anche la meno recente ord. 28 maggio 1987, n. 212, id., Rep. 1988, voce cit., n. 46.
Va ricordato, inoltre, che l'illegittimità «comunitaria» della tassazione del whisky importato in Italia dalla Gran Bretagna era stata dichiarata da Corte giust. 15 luglio 1982, causa 216/81, id., 1983, IV, 285, con nota di A. Tizzano, citata in motivazione.
Circa il divieto di subordinare il rimborso di tributi nazionali riscossi
Il Foro Italiano — 1989.
II
CORTE D'APPELLO DI TORINO; sentenza 3 aprile 1989; Pres.
Brunetti, Est. Vitro; Min. finanze c. Soc. Seagram-Italia (Aw.
Bernascone, Mosso, Scalzo).
Dogana — Indebita riscossione di tributi doganali — Violazione
della normativa comunitaria — Azione di ripetizione — Inte
ressi — Disciplina applicabile (D.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, art. 93).
Nell'ipotesi di restituzione di tributi doganali indebitamente ri
scossi dall'amministrazione finanziaria in violazione della nor
mativa comunitaria, gli interessi sulle somme da rimborsare sono
dovuti nella misura prevista dall'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973
n. 43. (3)
I
Svolgimento del processo. — Con citazione del 29 dicembre
1982 la srl Best conveniva dinanzi al Tribunale di Torino l'ammi
nistrazione delle finanze dello Stato, esponendo di avere importa
in violazione del diritto comunitario alla prova che il relativo onere eco nomico non sia stato trasferito su altri soggetti, qualora il rimborso stes so sia condizionato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile l'esercizio di tale diritto, v. Corte giust. 9 novembre 1983, causa 199/82, id., 1984, IV, 297, con nota di L. Daniele, e la più recente 24 marzo
1988, causa 104/86, id., 1988, IV, 477, con nota di L.S. Rossi, entrambe citate in motivazione.
(2-3) La soluzione adottata dalla Cassazione è incentrata su una com
plessa ed articolata operazione interpretativa, ricostruttiva dei meccani smi di formazione di talune norme della c.d. legge doganale (d.p.r. 23
gennaio 1973 n. 43). I minuziosi rilievi formulati dalla corte consentono di constatare l'as
senza di intento modificatore, da parte del legislatore del 1973, della di
sposizione regolatrice determinati casi di rimborso di tributi doganali, contenuta nell'art. 29 del vecchio testo unico del 1940 ed ora, perciò, quasi integralmente riprodotta nell'art. 91 d.p.r. 43/73. A tale riguardo, infatti, la legge di delega non aveva affatto autorizzato alcun cambia mento della precedente normativa.
Ciò che appare meno condivisibile è, invece, la conseguenza che viene fatta discendere da tale premessa, quella, cioè, che, all'interno del nuovo testo unico, ogni riferimento all'ipotesi del rimborso non possa che ricon dursi a quei particolari tipi di cui all'art. 91.
Del resto, se è vero che ubi lex voluit dixit, non è agevole comprendere come mai un legislatore pur non di rado poco accorto in materia tributa ria, invece di circoscrivere tassativamente l'ambito di applicabilità delle proprie statuizioni, abbia adoperato espressioni estremamente ampie («diritti indebitamente corrisposti») non solo nel testo dello stesso art. 93 d.p.r. cit., ma, ciò che più conta, sin dalla legge di delega (cfr. art. 2, punto 22, 1. 23 gennaio 1968 n. 29), rendendo evidente la propria volontà di fissare un criterio direttivo mirante ad introdurre nella normativa doga nale una nuova disposizione sugli interessi, valida per tutte le ipotesi di restituzione di tributi indebitamente versati.
A conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle raggiunte da Cass. 2216/89 perviene la sentenza sub II, coordinandosi con le tesi di fensive sostenute dinanzi alla Cassazione dalla società resistente.
Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimità, constano taluni precedenti i quali, pur non negli esatti termini della pronunzia sub I, appaiono ispirati alla medesima visione restrittiva: cfr. Cass. 12 febbraio 1987, n. 1533, Foro it., Rep. 1987, voce Dogana, n. 103, e, con specifico riferimento al problema della decorrenza degli interessi, Cass. 26 feb braio 1987, nn. 2034, 2036, ibid., nn. 101, 102; 12 febbraio 1987, n. 1532, 23 gennaio 1987, n. 635, ibid., nn. 105, 104; 8 novembre 1984, n. 5641 e 5 novembre 1984, nn. 5594, 5596, 5597, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 107, 104-106.
Sull'inapplicabilità della prescrizione quinquennale alle fattispecie di rim borso considerate, v. Cass. 10 marzo 1987, n. 2464, id., Rep. 1987, voce cit., n. 108; 14 ottobre 1985, n. 4972, id., Rep. 1986, voce cit., n. 135; Trib. Napoli 12 novembre 1984, ibid., n. 136, annotata da M. Nunzian te, Il Gatt tra ordinamento italiano e ordinamento comunitario, in Dir. e giur., 1985, 740.
Un particolare rilievo assumono, poi, quelle decisioni che hanno rite nuto compatibile il risarcimento del maggior danno, ex art. 1224, 2° com ma, c.c., con l'applicazione del tasso d'interesse speciale previsto in materia doganale: v. Cass. 16 aprile 1986, n. 2711, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 139; 7 aprile 1986, n. 2415, id., 1986, I, 2187, con nota di S. Di Paola; v., inoltre, Cass. 7 aprile 1986, n. 2417, id., Rep. 1986, voce cit., n. 138; 4 marzo 1986, nn. 1345, 1346, ibid., nn. 140, 141; 30 gen naio 1986, n. 600, ibid., n. 142. [C. Rizzo]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
to attraverso la dogana di Domodossola, nel periodo dal 1973
al 1979, partite di whisky, sulle quali la dogana aveva riscosso
11 diritto erariale e la sovraimposta di confine secondo le aliquote in vigore, in contrasto con l'art. 95 del trattato Cee che impone
agli Stati membri di non sottoporre i prodotti importati nell'area
comunitaria ad imposizioni fiscali superiori a quelle che colpisco no il similare o concorrente prodotto nazionale, in quanto l'ac
quavite di vino (prodotto nazionale in concorrenza col whisky) era stata sempre esente ed aveva scontato l'imposta di fabbrica
zione con agevolazioni poi soppresse soltanto nel 1981. L'illegit timità della tassazione del whisky importato in Italia dalla Gran
Bretagna era stata dichiarata dalla Corte di giustizia Cee con sen
tenza 15 luglio 1982 (causa 216/81, Foro it., 1983, IV, 285); ne
conseguiva il diritto ad ottenere il rimborso delle somme illegitti mamente pagate a titolo di diritto erariale e la differenza di so
vraimposta di confine, nella misura di lire 446.033.106, oltre
interessi e maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224
c.c.
Si costituiva l'amministrazione finanziaria, deducendo che l'at
trice era tenuta — a norma dell'art. 19 d.l. 30 settembre 1982
n. 688, conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873, a fornire la prova documentale di non aver trasferito su altri soggetti l'onere relati
vo ai predetti diritti e tributi, e chiedendo il rigetto della domanda.
Il tribunale, con sentenza 11 febbraio 1986, accoglieva la do
manda, condannando l'amministrazione al pagamento di lire
446.023.106, oltre gli interessi al tasso annuo del 10% dal 29 di
cembre 1982, nonché alle spese del giudizio. Avverso la sentenza proponevano appello la soc. Best (per il
capo relativo alla misura degli interessi) e l'amministrazione fi
nanziaria, la quale (a parte la questione relativa alla misura degli interessi e del maggior danno ex art. 1224 c.c.) sollevava esclusi
vamente il problema della disapplicazione dell'art. 19 d.l. n. 688
citato, chiedendo che la corte d'appello rigettasse la domanda,
per mancata prova della traslazione o — in subordine — dispo nesse l'ispezione delle scritture contabili della ditta attrice e con
sulenza tecnica contabile od ordinasse alla Best di esibire fatture
e libri contabili, al fine di accertare se fosse avvenuta la traslazio
ne su terzi dell'onere sopportato dal contribuente.
Riuniti gli appelli, la Corte d'appello di Torino, con sentenza
12 dicembre 1986, rigettava l'appello dell'amministrazione e, in
parziale accoglimento di quello della soc. Best, disponeva che al
pagamento della somma capitale indicata nella sentenza di primo
grado si aggiungesse la condanna al pagamento degli interessi al
tasso annuo del 18% dal 29 dicembre 1982 al saldo; condannava
l'amministrazione alle spese del giudizio di secondo grado. La corte osservava: a) che i tributi in questione — come era
pacifico — avendo colpito l'importazione in Italia dalla Gran Bre
tagna di whisky erano illegittimi perché contrastanti con l'art.
95 trattato Cee, come aveva statuito la Corte di giustizia Cee
con sentenza 15 luglio 1982 nella causa 216/81 (cit.); b) che si
trattava, pertanto, soltanto di stabilire la fondatezza delle ecce
zioni della finanza, basate sulla sentenza della Corte di giustizia 9 novembre 1983 (causa 199/82, id., 1984, IV, 297) e sull'art.
19 citato; che la sentenza aveva affermato (come altre precedenti) che nulla impedisce ai giudici nazionali di tener conto, in confor
mità dei singoli diritti interni, della possibilità che tasse indebita mente versate fossero state incorporate nei prezzi di vendita
dell'impresa e conseguentemente trasferite sugli acquirenti; ma
aveva precisato che sono incompatibili col diritto comunitario le
condizioni di prova che abbiano l'effetto di rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dei tri
buti indebitamente riscossi in contrasto col diritto comunitario;
e tale incompatibilità si attagliava al citato art. 19 (secondo la
giurisprudenza della Suprema corte: sent. n. 5129 del 1985, id.,
Rep. 1985, voce Dogana, n. 71, e n. 5235 del 1985, id., Rep.
1986, voce cit., n. 130); c) che l'azione di ripetizione dell'impor
tatore non poteva ritenersi subordinata alla prova documentale
di non aver trasferito su altri l'onere economico ed era soggetta
alle disposizioni generali della condictio indebiti (art. 2033 c.c.); c) che anche la richiesta subordinata dell'amministrazione di di
sapplicare l'art. 19 soltanto per la parte contrastante col diritto
comunitario e di applicarlo per la parte in cui non contrasta,
mediante le regole relative alle presunzioni ex art. 2729 c.c. non
era decisiva, perché l'indebito oggettivo sussiste anche in presen
za di un'eventuale traslazione (Cass. n. 2415 del 1986, id., 1986,
I, 2187); e) che si doveva accogliere parzialmente, invece, l'appel
II Foro Italiano — 1989.
10 della soc. Best avverso il capo della sentenza di primo grado che riconosceva gli interessi nella misura del 10% annuo, in quanto contrastante con l'art. 93 legge doganale e con l'art. 13 d.l. 30
settembre 1982 n. 688, che fissano nel 9% semetrale gli interessi
in caso di rimborso di diritti doganali indebitamente corrisposti;
f) che poteva riconoscersi il diritto al ristoro del maggior danno, ma che nella specie non poteva dirsi che la Best avesse allegato e dimostrato di aver subito un danno maggiore del 18% annuo, che costituisce l'interesse legale speciale, in quanto, se è vero che
11 danno derivante dalla svalutazione non era coperto dall'interes
se annuo del 5%, il discorso cambiava quando si attribuiva l'in
teresse legale del 18% annuo (sensibilmente superiore al tasso di
interesse che la corte torinese stabiliva nei casi di maggior danno
dipendente dalla mancata corresponsione dell'indennità di espro
priazione, stabilito normalmente nel 7%, più il 5% di interesse
legale), posto che l'interessata non aveva dimostrato che si era
verificato un danno maggiore. Avverso la suddetta sentenza l'amministrazione finanziaria del
lo Stato ha proposto ricorso per cassazione. La soc. Best ha resi
stito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione. — I ricorsi si devono riunire (art. 335
c.p.c.). Come riconosce l'amministrazione, va esaminato per primo,
nell'ordine logico, il secondo motivo del suo ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del t.u. leggi dogana
li, dell'art. 1 1. 11 maggio 1981 n. 213, dell'art. 35, ultimo com
ma, dell'art. 19, 1° comma, d.l. 30 settembre 1982 n. 688, come
convertito, dell'art. 2033 c.c., nonché omesso ed insufficiente esame
di punti decisivi (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), osservando che la
sentenza 15 luglio 1982 della Corte di giustizia Ce (cit.) non ha
negato la sussistenza del potere impositivo, avendo posto una re
gola di non discriminazione, senza prescrivere che la parità debba
raggiungersi al livello di imposizione più basso (ed infatti l'art.
1 1. n. 213 del 1981 ha ottemperato alla regola di non discrimina
zione, elevando il livello di imposizione dei prodotti nazionali
e cioè eliminando gli abbuoni dei quali l'industria nazionale be
neficiava). Da una sentenza della Corte di giustizia Ce che dichia
ra non consentita la concessione di abbuoni ed aiuti discende
l'obbligo dello Stato di eliminare gli abbuoni e/o aiuti e non un
obbligo di estenderli a tutti gli operatori; meno che mai discende
una inesistenza del potere di imposizione, con conseguente ripeti bilità delle somme percette. La 1. n. 213/81, nel sopprimere gli abbuoni senza disporre alcunché a favore degli operatori in pre cedenza discriminati, ha rafforzato il potere di imposizione ed
ha confermato la legittimità delle anteriori percezioni. Secondo l'amministrazione, il permanere del potere impositivo
porta con sé, a monte di ogni questione di prescrizione, l'irripeti bilità delle somme riscosse dalla dogana (art. 35 t.u.), restando
applicabile il principio della legge doganale secondo cui le riscos
sioni sono di norma definitive ed irreversibili, salva l'eccezionale
deroga contenuta nell'art. 29 legge del 1940 (art. 91 t.u. del 1973). Né può obiettarsi che rimborsi conseguenti all'applicazione di un
diritto diverso da quello fissato in tariffa sono consentiti, seppu re entro un termine prescrizionale di cinque (e non dieci) anni:
la disposizione è stata scritta quando non v'era né Corte costitu
zionale, né Corte di giustizia Ce e quindi non v'era alcuna possi bilità (oltre quelle previste dall'art. 29) di ottenere rimborsi.
Secondo l'amministrazione le suddette considerazioni (di per sé assorbenti) erano state lasciate in ombra, essendosi dalle parti e dai giudici focalizzata l'attenzione sulla disposizione (essa pure
assorbente) contenuta nell'art. 19, 1° comma, d.l. 30 settembre
1982 n. 688, che contiene l'enunciazione di una regola generale
per il diritto tributario (nel settore dei diritti doganali, delle im
poste di fabbricazione e di consumo), nel quale coincidenza nor
male fra soggetto che ha effettuato il pagamento non dovuto ed
il soggetto realmente danneggiato non si ha, per l'operare norma
le dei noti meccanismi di traslazione (sentenza Corte giust. 27
febbraio 1980, id., 1981, IV, 287). È razionale, quindi che ad un insieme composito di fatti (il pagamento, più il verificarsi di
un pregiudizio da non avvenuta traslazione) si assegni il ruolo
di fattispecie costitutiva del diritto a ripetere. Siffatta fattispecie
composita poneva dei problemi di prova, alla stregua della sen
tenza 9 novembre 1983, in causa n. 199/82, (cit.), della Corte
di giustizia e cioè effettuando attività istruttorie per cercare di
ricostruire i fatti.
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2479 PARTE PRIMA 2480
La corte del merito, invece di esaminare nel merito i principi ivi enunciati, ha preferito accantonare l'art. 19 cit., mentre pote va considerarsi pacifico che la società resistente avesse traslato
sui consumatori l'onere de quo. Invece, la corte d'appello ha omes
so di considerare detto punto decisivo, restando prigioniera della
pregiudiziale in diritto, da essa artificiosamente costruita.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La società resistente, in ordine alle censure diverse da quelle concernenti l'applicabilità dell'art. 19 d.l. 688/82, ha dedotto che
esse non avevano formato oggetto dell'appello, nel quale l'ammi
nistrazione aveva concentrato il proprio gravame esclusivamente
sulla lamentata disapplicazione dell'art. 19 sul diritto dell'ammi
nistrazione di fornire la prova, anche a mezzo di presunzioni, dell'avvenuta traslazione su terzi dell'onere fiscale di cui si tratta;
nessuna censura era stata, invece, mossa sul diritto dell'importa tore alla ripetizione d'indebito come conseguenza della dichiara
zione di illegittimità del tributo pronunciata dalla Corte di giustizia con sentenza in causa 216/81 (cit.).
L'eccezione è fondata, perché non può seguirsi l'assunto espo sto dall'amministrazione in memoria (dove dette censure sono ul
teriormente sviluppate, anche sotto il profilo dell'inesistenza di
un diritto al rimborso a favore di coloro che lo hanno azionato
in data posteriore alla sentenza citata della Corte Cee), secondo
cui la non ripetibilità delle somme, posta nell'appello, aveva un
carattere unitario ed avrebbe dovuto essere esaminata anche d'uf
ficio, sotto ogni profilo, dalla corte d'appello. Invero, tale assun
to è valido per quanto concerne il primo grado, ma una volta
che il tribunale aveva affermato il diritto al rimborso sulla base
della sentenza della Corte Cee in causa 216/81 (cit.), nonché la
non applicabilità dell'art. 19 d.l. 688/82, l'impugnazione limitata
a questo secondo punto rendeva incontestabile il primo (come ha dato atto la corte d'appello nella frase di apertura della moti
vazione).
Invero, l'invocazione dell'art. 19 poteva basarsi soltanto sul
l'indebita corresponsione e sul diritto al rimborso dei tributi ivi
indicati (come è detto testualmente), che costituivano il presup
posto essenziale della norma e dell'eccezione basata su di essa.
Ai sensi dell'art. 329, 2° comma, c.p.c. quel presupposto è passa to in giudicato, per l'acquiescenza parziale.
Si può esaminare, pertanto, soltanto la seconda parte del motivo.
L'amministrazione ripropone, in questa sede, la tesi della di
sapplicazione parziale dell'art. 19, 1° comma, d.l. 30 settembre
1982 n. 688, convertito, con modificazioni, in 1. 27 novembre
1982 n. 873, già ripudiata da questa corte in numerose precedenti sentenze.
In tali decisioni si è, innanzi tutto, ritenuto che la sentenza
della Corte costituzionale n. 113/85 (id., 1985, I, 1600), con la
quale si è precisato che il principio, espresso nella precedente sen
tenza n. 170/84 (id., 1984, I, 2062, secondo cui la norma comu
nitaria entra e permane in vigore, nel nostro territorio, senza che
i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato, e
ciò tutte le volte in cui essa soddisfa il requisito della immediata
applicabilità) vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli
organi della Cee, mediante regolamenti, ma anche per le statui
zioni risultanti da sentenze interpretative della Corte di giustizia, non ha sostanzialmente innovato quanto già risultante dalla pre cedente sentenza, n. 170/84, avendo adeguato il principio della
disapplicazione nei rapporti tra ordinamento interno e ordina
mento comunitario, nel senso che sono vincolanti per il giudice
nazionale, non solo le norme giuridiche emanate dagli organi co
munitari, ma anche i principi enunciati nelle sentenze interpreta tive della Corte di giustizia, ossia, in definitiva, le norme
comunitarie cosi come interpretate dalla corte medesima.
Si è, poi, rilevato che i poteri d'incidenza del giudice nazionale
sull'ordinamento giuridico non sono quelli propri, invece, della
Corte costituzionale e che la disapplicazione della norma interna,
confliggente con il diritto comunitario, non implica alcuna possi bilità di incidere sul suo contenuto (che, quindi, rimane immuta
to), ma solo di prescindere dalla relativa disciplina giuridica quando
questa non si uniformi alla normativa comunitaria, con specifico riferimento alla fattispecie dedotta in giudizio, per cui la norma
interna continua ad operare ad ogni altro effetto giuridico. Non si è negato che sia astrattamente ammissibile una disappli
cazione parziale della norma, ma se n'è individuato il limite nella
indivisibilità del precetto, la quale ricorre tutte le volte in cui
la portata del testo normativo non consente alcun frazionamento
li Foro Italiano — 1989.
se non attraverso un'opera creativa dell'interprete, che non solo
alteri la testuale formulazione, ma incida altresì sul contenuto
del precetto. Con riferimento all'art. 19, si è osservato che il precetto in
esso contenuto in tema di restituzione dell'indebito doganale, si
presenta con carattere d'invisibilità per quanto concerne i requisi
ti della condictio previsti dalla legge nazionale, in quanto il dirit
to alla restituzione è stato riconosciuto soltanto se — e nei limiti
in cui — risulti documentalmente provata dall'importatore la non
traslazione dell'imposta sui terzi consumatori della merce. Infat
ti, non è apparso possibile enuncleare dal testo normativo una
duplicità di precetti tra loro autonomi e distinti (l'uno riguardan
te il requisito della non traslazione e l'altro concernente il regime della sua prova in giudizio), ciascuno suscettibile di vita propria
avulsa e indipendente da quella dell'altro, poiché la legge nazio
nale, nel disciplinare la condictio in materia doganale, ha unita
riamente considerato i presupposti che devono ricorrere per
l'accoglimento dell'azione di restituzione; e non potrebbe incider
si su tale unitaria disciplina senza dar vita ad un precetto nuovo
e diverso da quello espresso dal legislatore nazionale, attribuendo
al giudice un potere di supplenza della funzione legislativa, ad
esso estraneo. V'è anzi da aggiungere che il mancato intervento
legislativo al fine di uniformare, mediante opportune modifiche,
la norma in esame ai principi comunitari, potrebbe costituire un
sintomo della intima compenetrazione e reciproca interdipenden za delle disposizioni che compongono la norma, il cui testo po trebbe non essere apparso suscettibile di manipolazione senza
compremetterne la struttura unitaria e indivisibile.
In realtà, l'artificiosa ricostruzione del precetto normativo, pro
posta dall'amministrazione, non rientra nel concetto di disappli
cazione (né totale né parziale), in quanto il giudice, lungi dal
rendere irrilevante in giudizio la norma illegittima, procederebbe all'arbitraria elaborazione di un nuovo precetto non contenuto
nel diritto interno.
Ciò risulta dimostrato — si è detto — dalla considerazione che,
in mancanza di un precetto attinente al profilo probatorio della
condictio in materia doganale, l'interprete sarebbe costretto a fog
giare di propria iniziativa un precetto diverso che non risulta ri
cavabile dal testo, per il motivo assorbente che manca una norma, la quale legittimamente abbia risolto il problema dell'onere della
prova, e non vi sono argomenti interpretativi per concludere nel
senso che, nel caso in esame, l'onere probatorio ha per il diritto
interno quel contenuto che si pretende di ricavare da altre dispo sizioni dello stesso ordinamento.
Tali rilievi, già contenuti nelle precedenti decisioni di questo
collegio, non sono scalfiti né dalle successive pronunzie della Corte
costituzionale (ordinanze nn. 651/88, id., Rep. 1988, voce Fab
bricazione (imposte), n. 6; 681/88, ibid., voce Dogana, n. 45 e
807/88) né dalle sopravvenute sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (25 febbraio 1988, in cause 331, 376 e
378/85, e 24 marzo 1988, in causa 104/86, id., 1988, IV, 477) né infine dagli ulteriori argomenti svolti in questa sede dalla am
ministrazione.
Con la prima e la terza delle richiamate pronunzie, la Corte
costituzionale, esaminando la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 19 con riguardo all'azione di rimborso di tributi
indebitamente versati (sent. n. 651), e cioè di un'imposta di fab
bricazione, non aventi rilevanza nell'ordinamento comunitario, e di diritti per servizi amministrativi indebitamente corrisposti per
l'importazione di merci provenienti da paesi aderenti al Gatt, sot
tratte al regime comunitario (sent. n. 807), l'ha dichiarata mani
festamente infondata in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., ritenendo
la ratio ispiratrice della norma impugnata «ragionevole e plausi bile» e, quindi, «congrua e giustificata» la deroga apportata alla
disciplina comune prevista dall'art. 2033 c.c., tenuto conto dei
presupposti d'ordine economico su cui la norma si fonda e delle
finalità che s'intendono perseguire, per quanto riguarda sia l'o
nere probatorio posto a carico del soggetto che agisce in ripeti zione in virtù di una presunzione di traslazione, sia la previsione di una prova documentale anche in relazione a fattispecie createsi
in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma.
Con la seconda decisione, la Corte costituzionale, con riguardo a diritti doganali pagati all'importazione di merci da paesi dell'a
rea Cee ed aventi, quindi, rilevanza nell'ordinamento comunita
rio, ha invece dichiarato inammissibile la questione, in base al
principio della immediata applicazione nell'ordinamento nazio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
naie delle norme comunitarie e dei principi affermati dalle sen
tenze interpretative della Corte di giustizia (in particolare dalla
sentenza del 9 novembre 1983, in causa 199/82, cit.) e della con
seguente disapplicazione da parte del giudice delle norme nazio
nali con essi confliggenti. Ciò la Corte costituzionale ha affermato
dopo avere rifiutato la premessa interpretativa del giudice remit
tente (ad avviso del quale la incompatibilità dell'art. 19 con il
diritto comunitario sarebbe soltanto parziale, in quanto la Corte
di giustizia l'avrebbe ravvisata limitatamente a quella parte della
disposizione attinente al regime probatorio, che impone la prova documentale mentre la norma risulterebbe tuttora applicabile —
e quindi assoggettabile al sindacato di legittimità costituzionale — nella parte in cui subordina la ripetizione dell'indebito alla
dimostrazione che l'onere tributario non sia stato trasferito su
altri soggetti) ed avere dato atto che la Corte di giustizia, dopo avere ribadito che non sarebbe in contrasto con l'ordinamento
comunitario un sistema giuridico nazionale che rifiuti la restitu
zione di tributi indebitamente riscossi qualora ciò comporti un
arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto, ha afferma
to l'incompatibilità dell'art. 19 con il diritto comunitario, rife
rendosi non solo agli aspetti relativi alla prova documentale ma
anche a quelli che riguardano l'onere probatorio. È evidente che le due pronunzie esprimono principi non con
trastanti ma diversi fra loro, essendo differenti i parametri di
riferimento, costituiti, nella prima, dalle norme costituzionali del
nostro ordinamento e, nella seconda, dal diritto comunitario e
ben potendo profilarsi l'ipotesi di una norma costituzionalmente
legittima secondo l'ordinamento interno e, ciò nonostante, da di
sapplicare in quanto contrastante con il diritto comunitario; e
che la seconda ribadisce proprio tale principio.
Quanto alle sopravvenute decisioni della Corte di giustizia, la
prima ha affermato che «le traité instituant la Communauté éco
nomique européenne doit ètre interprété en ce sens qu'un Etat
membre n'est pas en droit d'adopter des dispositions qui subor
donnent le remboursement de taxes nationales pergues en viola
tion du droit communautaire à la preuve que ces taxes n'ont pas été répercutées, sur les acheteurs des produits les ayant suppor
tées, en rejetant la charge de cette preuve négative sur les seules
personnes physiques ou morales sollicitant le remborsement» e
che «la reponse n'est pas différente selon qu'il y a ou non ré
troactivité de la disposition nationale, selon la nature de la taxe
en cause et selon le caractère concurrentiel, réglementé ou mono
polistique, en tout ou en parties, du marché».
Con la seconda, la Corte di giustizia, dopo avere richiamato
la sua precedente giurisprudenza (secondo cui il diritto comunita
rio non esclude che la norma nazionale tenga conto del fatto che
l'onere dei tributi indebitamente riscossi può essere stato trasferi
to su altri operatori economici o sui consumatori e secondo cui
sono incompatibili con il diritto comunitario tutte le modalità
di prova che abbiano l'effetto di rendere eccessivamente difficile
ottenere il rimborso, il che vale in particolare per le presunzioni o per i criteri di prova che tendono a far gravare sul contribuente
l'onere di dimostrare che i tributi indebitamente versati non sono
stati trasferiti su altri soggetti, o per particolari limitazioni in me
rito alla forma della prova da fornire), ha disatteso l'argomenta zione del governo italiano (responsabile per essere venuto meno,
con l'art. 19, agli obblighi imposti dal trattato), secondo la quale la «disposizione controversa» (ossia l'art. 19) sarebbe compatibi le con le norme del diritto comunitario e con la giurisprudenza della corte, nel senso che la prova dell'effettivo trasferimento del
l'onere fiscale resterebbe a carico dell'amministrazione nazionale
e che a carico degli operatori interessati sarebbe solo la prova dell'asserzione che il suddetto onere non è stato traslato: prova
che sarebbe possibile produrre grazie alla documentazione che ogni
impresa deve necessariamente possedere. Al riguardo, la corte,
sempre con riferimento alla «disposizione controversa», ha affer
mato l'obbligo degli Stati membri di eliminare dal loro ordina
mento le disposizioni incompatibli con il diritto comunitario, perché
il mantenimento in vigore della stessa crea una situazione di fatto
ambigua, in quanto mantiene gl'interessati in una situazione d'in
certezza circa le possibilità loro garantite di fare appello al diritto
comunitario.
In base a tali considerazioni, la Corte di giustizia ha dichiarato
che la repubblica italiana è venuta meno agli obblighi impostile dal trattato, addossando al contribuente, mediante l'art. 19, l'o
nere di provare, esclusivamente con la prova documentale, che
Il Foro Italiano — 1989.
diritti e tasse nazionali di cui egli chieda il rimborso non sono
stati trasferiti su altri soggetti ed «attribuendo al suddetto artico
lo effetto retroattivo» (tale dizione, contenuta nella versione in
lingua italiana della sentenza, è stata poi rettificata, con l'ordi
nanza del 27 aprile 1988, nell'altra «attribuendo alle relative di
sposizioni un effetto retroattivo»). Anche se si vuole escludere che in tali decisioni — e in partico
lare nella seconda, la quale individua nell'art. 19 la disposizione controversa che la repubblica italiana aveva l'obbligo di elimina
re dal proprio ordinamento ed il cui mantenimento in vigore «crea
una situazione di fatto ambigua» — sia già possibile cogliere un
segnale della considerazione unitaria del citato articolo da parte della Corte di giustizia (che, secondo la difesa erariale, deve rite
nersi esclusa dalla rettifica della sentenza con la sostituzione delle
parole «suddetto articolo» con l'espressione «relative disposizio
ni»), è certo che esse, lungi dall'avere disatteso l'orientamento
emerso nelle precedenti decisioni di questa corte circa l'indivisibi
lità della norma lasciano quanto meno impregiudicata la questio ne relativa alla divisibilità ed alla disapplicazione parziale del
precetto normativo: questione che dev'essere, per ciò, verificata
alla stregua delle ulteriori argomentazioni prospettate in questa sede dall'amministrazione delle finanze.
La difesa erariale, muovendo dalla considerazione che la Corte
di giustizia, con la sentenza del 24 marzo 1988, cit., ha criticato
l'art. 19 per tre delle più disposizioni in esso conviventi (e cioè
per la norma che pone l'onere della prova esclusivamente a cari
co dell'importatore; e per la forma — documentale — della pro va richiesta; e per la norma transitoria che ha attribuito efficacia
retroattiva alle prime due disposizioni), sostiene che sarebbe suf
ficiente eliminare dalla norma le tre disposizioni censurate per ottenere un testo del tutto conforme ai principi comunitari. So
stiene poi che, trasferendo l'art. 19 dallo schema della condictio
in quello dell'arricchimento senza causa e, per taluni aspetti, in
quello del risarcimento del danno, «il nucleo indennitario della
disposisione avrebbe potuto essere enfatizzato con ricorso all'e
spressione 'quando e per quanto (l'importatore) ha subito pregiu dizio per non avere trasferito l'onere su altri soggetti'». Inoltre,
l'art. 19 conterrebbe in realtà due disposizioni, l'una sostanziale
(meritoria), uscita indenne dal vaglio della Corte di giustizia, l'al
tra processuale (probatoria), ritenuta contrastante con il diritto
comunitario, di modo che il diritto italiano si ricomporrebbe la
sciando ferma la prima e sostituendo l'altra (ossia la regola pro
cessuale speciale, caducata) con quella di diritto comune, con
conseguente onere per lo Stato di provare la traslazione utilizzan
do gli ordinari mezzi di prova. Se è vero (con riguardo al primo profilo) che le disposizioni
di cui una norma risulta composta non s'identificano necessaria
mente con i singoli articoli o con le partizioni interne di articoli
(commi, paragrafi) in cui si presentano topograficamente raccolte
e suddivise le proposizioni linguistiche in cui esse si esprimono
(perché, da un lato, per aversi una disposizione giuridicamente
significante, spesso si richiede il concorso di più proposizioni, anche se topograficamente distinte, dall'altro, entro una sola pro
posizione possono essere formulate più disposizioni, dotate —
ciascuna — di un proprio e distinto significato giuridico), occorre
tuttavia che la singola disposizione, per essere tale, abbia un pro
prio autonomo e distinto significato (sia cioè giuridicamente si
gnificante) e che non si ponga come una componente essenziale
della intera norma, in modo che questa sia suscettibile di soprav
vivere con un proprio contenuto anche prescindendo dalla singo
la disposizione e senza che il normale margine d'incertezza della
norma ne risulti ulteriormente accresciuto.
Anche se si volesse convenire che il 1° comma dell'art. 19,
nonostante la sua unità strutturale, possa scomporsi in distinte
disposizioni (quella relativa alla rilevanza della traslazione; quella
relativa all'onere della prova negativa a carico dell'importatore,
implicante una presunzione di traslazione; e quella relativa alla
retroattività della norma) ed anche se si volesse ammettere che
sia sufficiente isolare soltanto logicamente (e non anche gramma
ticalmente e sintatticamente) tali disposizioni, risulta evidente che
i frammenti che residuerebbero alla espunzione dalla norma di
proposizioni («quando prova documentalmente») o addirittura di
incisi («anche anteriormente alla data . . .») conserverebbero un
contenuto inidoneo ad esprimere e ad esaurire il precetto norma
tivo superstite e rimarrebbero privi di un significato giuridico suf
ficientemente certo. Quei frammenti richiedono, infatti, addizioni
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2483 PARTE PRIMA 2484
testuali che valgano a ricollegarli fra loro, con un capovolgimen
to, anche, della impostazione della norma nella parte in cui all'o
nere della prova negativa della traslazione a carico dell'importatore deve sostituirsi l'onere della prova positiva a carico dell'ammini
strazione. Il giudice dovrebbe, cioè, operare non una semplice
ricucitura, ma una ricostruzione della norma (quella stessa che
il legislatore ha ritenuto di non dover o poter fare), dando vita
ad un precetto che, altrimenti non risulta compiuto e coerente
in ciò che rimane, dal punto di vista testuale, una volta eliminati
le proposizioni e gl'incisi confliggenti con il diritto comunitario: il che dimostra che le singole disposizioni (posto che di disposi zioni si tratti e non di mere proposizioni) sono insuscettibili di
operare normativamente l'una senza l'altra.
Suffraga tale considerazione anche il fatto che, con l'art. 19, 10 comma, si è ricondotta ad unità, racchiudendola in un comma
unico, la precedente disposizione (l'art. 10 d.l. 10 luglio 1982 n.
430, non convertito in legge), sostanzialmente ad esso conforme
nel suo contenuto, che era suddivisa in due commi, ma che la
Corte di giustizia (sent. 9 novembre 1983, cit.), ritenendola coin
cidente con la successiva norma nel frattempo emanata, intese
come precetto unico.
Ancor meno sarebbe possibile, senza un'opera creativa dell'in
terprete, riproporre la norma nei termini ipotizzati dalla difesa
erariale, comprendendola nello schema dell'arricchimento senza
causa, non solo perché l'art. 19, pur non connotati di specialità
rispetto alla disciplina generale, regola pur sempre una ipotesi di ripetizione d'indebito, ma anche perché una norma diversa
mente formulata nei termini suddetti nulla più salverebbe dell'o
riginario testo normativo e sarebbe davvero del tutto nuova rispetto ad esso.
Infine, l'impostazione proposta dall'amministrazione nel senso
che l'art. 19, 1° comma, conterrebbe due disposizioni — l'una
sostanziale-meritoria, in cui si configurerebbe il fatto costitutivo
della fattispecie, e l'altra processuale-probatoria, che ne costitui
rebbe il fatto impeditivo — muove da una inesatta percezione della sostanza del fenomeno.
Premesso che le due disposizioni, compresa quella concernente
l'onere probatorio, attengono entrambe al profilo sostanziale, deve
osservarsi che nell'art. 19, 1° comma, la disciplina sulla prova
presuppone «a monte» una regola che fa della non traslazione
uno degli elementi essenziali della fattispecie legale costitutiva del
diritto al rimborso, costruita in modo da attribuire un ruolo co
stitutivo alla non traslazione; e, quindi, opera, cosi come dettata, solo in quanto quest'ultima si pone come elemento essenziale di
quella fattispecie; ossia postula che la non traslazione sia elemen
to costitutivo del diritto al rimborso.
Nella struttura della norma, infatti, tre sono gli elementi —
tutti ugualmente essenziali ed aventi pari valenza costitutiva —
e cioè il pagamento dell'imposta, il fatto che tale pagamento sia
indebito e la circostanza che l'onere fiscale non sia stato trasferi
to su altri soggetti, di cui la stessa disciplina della prova costitui
sce un sintomo evidente. La coessenzialità di questi tre elementi fa si che la caducazione di uno di essi determina il venir meno
dell'intera fattispecie costitutiva; e la Corte di giustizia, affer
mando la contrarietà all'ordinamento comunitario dell'imposizione dell'onere della prova a carico del solvens, ha con ciò stesso ne
gato conformità, a tale ordinamento, ad una regola sostanziale
del diritto al rimborso che assume come elemento costitutivo del
la fattispecie la non avvenuta traslazione dell'onere fiscale su al
tri soggetti, con la conseguenza che l'affermazione di contrarietà
all'ordinamento comunitario della qualificazione della non tras
lazione come elemento costitutivo del diritto al rimborso coinvol
ge necessariamente l'intera fattispecie. Non è vero, dunque, che
le pronunzie della Corte di giustizia abbiano inciso solo sulla re
gola probatoria; è vero, invece, che esse, ancor prima, hanno
inciso sull'intera norma, rendendola — per la caducazione di uno
degli elementi costitutivi della fattispecie legale da tale norma di
segnata — inoperante ed inapplicabile. Il vizio d'impostazione della tesi propugnata dall'amministra
zione consiste nel collocare fuori dal nucleo costitutivo del diritto
al rimborso il momento traslativo dell'onere fiscale e nell'attri
buire ad esso (nel suo aspetto positivo di traslazione avvenuta) 11 ruolo di elemento impeditivo di quel diritto, se non di elemento
estintivo, nel senso che questo sarebbe già sorto con l'indebito
pagamento dell'imposta, ma si estinguerebbe per effetto della suc
cessiva traslazione. In altri termini, la difesa erariale ipotizza una
fattispecie legale diversa da quella disegnata dalla norma, in cui
Il Foro Italiano — 1989.
agli elementi costitutivi (pagamento e inesistenza del relativo ob
bligo) si contrappone, all'esterno della fattispecie medesima, un
possibile elemento estintivo o impeditivo (la traslazione, conside
rata in termini positivi anzi che negativi). Si dimostra, quindi, esatta l'affermazione, contenuta nei prece
denti di questa corte, che la lettura dell'art. 19, 1° comma, nel
senso proposto dall'amministrazione e la invocata disapplicazio ne parziale condurrebbero alla creazione di un precetto nuovo,
attribuendo al giudice poteri che vanno al di là della funzione
che gli compete. Col primo motivo, l'amministrazione deduce la violazione e
falsa applicazione degli art. 91 e 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n.
43 (l'art. 93 come modif. dall'art. 13 d.l. 30 settembre 1982 n.
688 conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873), nonché omesso esame
di punti decisivi, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., osser
vando che la domanda di rimborso era basata sull'assunto che
la sentenza della Corte di giustizia 15 luglio 1982 (nella causa
n. 214/81, cit.) avrebbe creato un diritto a rimborso non previsto dal t.u. leggi doganali, per cui non è applicabile neppure l'art.
93 del detto t.u., come modificato nel 1982. Il tasso di interesse
non può essere quello del 9% semestrale previsto per i rimborsi
ex art. 91 t.u., non potendosi far capo ad esso, solo per applicare un tasso di interesse di particolare favore.
Il motivo è fondato. Questa corte, con sentenza 5 novembre
1984, n. 5594 (id., Rep. 1984, voce cit., n. 104), in una contro
versia in cui residuava soltanto la questione della decorrenza de
gli interessi dovuti dall'amministrazione finanziaria sulle somme
indebitamente percette per i diritti di visita sanitaria a seguito della sentenza della Corte cost. n. 163 del 29 dicembre 1977 (id.,
1978, I, 1) nonché sul maggior danno ex art. 1224, 2° comma,
c.c.), ha premesso che al rimborso dei tributi percepiti indebita
mente per difetto di potere impositivo non è applicabile la pre scrizione quinquennale prevista dall'art. 29 legge doganale del 1940
(ed ora dall'art. 91, 1° comma, t.u. n. 43 del 1973), la quale si riferisce al diverso caso di somme pagate in più del dovuto
per errore di calcolo o di applicazione di tariffa, ma è invece
applicabile l'ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. Il
principio suddetto contiene in sé il riconoscimento che anche quan do il contribuente deduca a fondamento della sua azione di ripe tizione il difetto sopravvenuto di potere impositivo, per l'eliminazione della norma da cui quel potere derivava, la condic
tio indebiti non perde il suo connotato di azione concessa in via
generale dalla legge al solvens (art. 2033 c.c.) sia nel caso che
il difetto causale dell'attribuzione sia originario, sia che esso si
sia verificato in epoca successiva. Un analogo principio deve ap
plicarsi nel caso di ripetizione di somme corrisposte in base a
legge dichiarata incostituzionale o contrastante con la normativa
comunitaria.
La sentenza ha escluso che la decorrenza degli interessi trovi
la sua disciplina nell'art. 93 d.p.r. n. 43 del 1973, norma che, sia per la sua collocazione dopo gli art. 91 e 92, sia per il riferi
mento specifico alle domande di rimborso o di restituzione men
zionate negli articoli suddetti, è formulata chiaramente nel senso
che ha inteso disciplinare la fattispecie dei rimborsi e delle resti
tuzioni previste dai precedenti art. 91 e 92, cosicché sia in base
all'interpretazione letterale che sistematica deve negarsi che essa
sia espressione di un principio generale applicabile a qualsiasi fat
tispecie di indebito in materia doganale. Il collegio ritiene di seguire l'orientamento già espresso, benché
il problema da risolvere in questa causa sia diverso da quello
(della decorrenza degli interessi) oggetto della sentenza n. 5594/84
(cit.). Infatti, la norma applicata dalla corte d'appello (art. 93
t.u. del 1973, modificato con l'art. 15 d.l. 26 maggio 1978 n.
216, conv. in 1. 24 luglio 1978 n. 388 e con l'art. 13 d.l. 30 set
tembre 1982 n. 688 conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873) si com
pone di un precetto fondamentale (l'affermazione del diritto agli interessi in occasione del rimborso di diritti doganali indebita
mente corrisposti) e di due precetti secondari (la fissazione della
data di decorrenza degli interessi e la misura e il computo seme
strale degli stessi). Se nella presente causa (del tutto analoga a quella esaminata
dalla sentenza n. 5594/84, cit., perché la differenza deriva soltan
to dalla circostanza, le cui ragioni storiche sono ben note, nel
l'ambito dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte
costituzionale, che in quel caso la contrarietà al diritto comunità
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rio dell'imposizione venne dichiarata dalla Corte costituzionale, mentre nel presente caso è stata dichiarata dalla Corte di giusti
zia) vi è una ragione per escludere uno dei precetti secondari, è ovvio che la medesima ragione porta ad escludere, a fortiori, il precetto fondamentale. Non rileva il fatto che il problema della
decorrenza degli interessi non è stato sollevato in questa causa,
perché ciò dipende dal fatto che la sentenza impugnata ha fissato
detta decorrenza nella data della domanda giudiziale e l'ammini
strazione non poteva logicamente chiedere una modifica di tale
statuizione, coerente con la postulata applicazione dell'art. 2033
c.c. (seconda ipotesi del secondo periodo). Per confermare l'inapplicabilità dell'art. 93 cit. occorre, in pri
mo luogo, premettere l'affermazione (che rileva anche ai fini del
problema del termine di prescrizione del diritto al rimborso, non
proponibile in questa causa, ma in numerose altre discusse a que sta medesima udienza) secondo cui il t.u. della legge doganale
non prevede espressamente il rimborso delle somme indebitamen
te pagate per l'illegittimità costituzionale della norma impositiva,
ovvero per contrarietà della norma stessa al diritto comunitario.
L'affermazione — si deve sottolineare — è peculiare al sistema
doganale (comprensivo di tutti i diritti indicati nell'art. 3 legge
doganale); invero, per altri tipi di imposte (come per esempio
l'Irpef e l'Ilor) questa corte ha già statuito che il sistema è strut
turato in modo da abbracciare le ipotesi di rimborso per illegitti
mità originaria (invalidità) della norma impositiva (vedi, fra le
altre, Cass. n. 3197 del 28 aprile 1988, id., Rep. 1988, voce Red
diti (imposte sui), n. 545), senza necessità di applicare la normati
va generale del codice civile in tema di indebito. Il richiamo si
è fatto per indicare il metodo seguito da questa corte, che è quel
lo dell'esegesi del sistema positivo. È necessario, quindi, analizzare come si è formato il sistema
positivo delle leggi doganali. La legge doganale del 1940 prevedeva già il rimborso all'art.
29, il cui contenuto è stato riprodotto quasi testualmente nell'art.
91 t.u. del 1973. Le uniche varianti dipendono dal coordinamen
to della norma sui rimborsi con le modifiche apportate in tema
di procedura di accertamento e di sua revisione (invece delle pa
role «merce descritta nel risultato di visita», usate dalla legge del
1940, il testo del 1973 reca «merce descritta nel risultato dell'ac
certamento»; è stato modificato il 3° comma, col richiamo al
l'art. 74, in tema di revisione dell'accertamento).
Il nucleo essenziale che è rimasto intatto è del seguente tenore:
«Il contribuente ha diritto al rimborso delle somme pagate in
più del dovuto per errori di calcolo nella liquidazione o per l'ap
plicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per
la merce descritta . . .». La ragione per la quale la norma e rima
sta invariata sta nella circostanza che il legislatore delegato non
era autorizzato a cambiarla, in virtù della delega contenuta negli
art. 1 e 2 1. 23 gennaio 1968 n. 29, ma soltanto a coordinarla
con le disposizioni vigenti, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge.
Invero, le materie dei rimborsi e degli interessi sono indicate
nei principi e criteri direttivi di cui ai nn. 20 e 22 della legge delega, in modo radicalmente diverso. Mentre per i rimborsi il
n. 20 si limita a dettare il criterio direttivo della semplificazione delle modalità e procedure, invece il n. 22 per gli interessi dovuti
sulle somme da rimborsare indica un criterio direttivo nuovo, com
prendente l'obbligo del pagamento degli interessi, il loro compu
to e la loro misura, nonché la decorrenza (questi due ultimi aspetti
della disciplina sono stati modificati, come si è già detto, succes
sivamente all'esercizio della delega, con i decreti legge del 1978
e del 1982, ma tali modifiche non hanno importanza ai fini del
discorso che si sta facendo). Si vuol dire, infatti, che una delega
concernente i rimborsi, la quale si limitava a dettare criteri diret
tivi soltanto per la semplificazione delle procedure, anche se le
somme indicate come oggetto del rimborso erano descritte come
quelle «indebitamente riscosse» (art. 2, punto 20, della legge-delega
del 1978) non era diretta a modificare la disciplina vigente per
il diritto al rimborso, il quale era e restava quello risultante dalla
legge vigente (art. 29 legge del 1940) e cioè quello avente ad og
getto «le somme pagate in più del dovuto (soltanto) per errori
di calcolo nella liquidazione o per l'applicazione di un diritto di
verso da quello fissato nella tariffa», e non per altre ipotesi (co
me quelle di causa) che necessariamente devono trovare la loro
disciplina in altre norme dell'ordinamento.
Correlativamente a quella assai limitata modifica della discipli
II Foro Italiano — 1989.
na dei rimborsi (concernenti le modalità procedurali e non Vari), la delega conernente gli interessi a carico dell'amministrazione
(chiamati «interessi passivi» nella rubrica dell'art. 93 d.p.r. del
1973) non poteva riguardare che quegli stessi rimborsi a cui si
riferiva il punto 20, malgrado che il punto 22 parli di «rimborso
agli operatori dei diritti indebitamente corrisposti», posto che nes
sun elemento letterale del punto 22 induce ad attribuire alla sud
detta espressione una latitudine più ampia, comprensiva cioè dei
rimborsi diversi da quelli già disciplinati dall'art. 29 legge del 1940.
La suddetta novità di disciplina era giustificata politicamente dalla necessità di estendere agli introiti tributari doganali criteri
non difformi da quelli vigenti per gli altri principali tributi (in materia di imposte dirette, la legge n. 1316 del 1960 e in materia
di tasse ed imposte indirette sugli affari, la 1. n. 29 del 1961:
vedi punto 14 della relazione del ministero delle finanze al dise
gno di legge); ovvero da «sani criteri di giustizia nei rapporti fra
l'amministrazione ed i cittadini» (relazione Trabucchi per la quinta commissione del senato) o «legittime aspettative di giustizia «(re lazione Bima, per la commissione della camera). Si tratta di indi
cazioni generiche, delle quali la più puntuale è quella del ministro
proponente (estendere alla materia doganale la disciplina già in
trodotta agli inizi degli anni sessanta per gli altri principali tribu
ti), che però non riesce a superare la lettera della disposizione, coordinata nell'insieme della delega.
Il modo come la delega è stata esercitata conferma quanto si
è detto. La materia dei rimborsi e degli interessi sui medesimi
è stata oggetto del d.p.r 2 febbraio 1970 n. 62 (il successivo d.p.r. 18 febbraio 1971 n. 18 non se ne occupa). L'art. 14 d.p.r. 62/70
ha regolato la restituzione di somme per il tramite degli spedizio nieri doganali, e cioè soltanto le modalità del rimborso: per sape re di quali rimborsi si tratta, bisogna far capo all'art. 29 legge
doganale del 1940. L'art. 18 ha regolato gli «interessi passivi»; anche in questo caso, per attribuire un significato alla norma su
gli interessi, si deve far capo alla norma sul capitale, che è quella
dell'art. 29 1. del 1940.
In sede di coordinamento, l'art. 29 legge doganale del 1940
è divenuto l'art. 91 con le modifiche già indicate, non attinenti
all'identificazione dei rimborsi, essendo questi sempre e soltanto
quelli «delle somme pagate in più del dovuto per errori di calcolo
nella liquidazione o per l'applicazione di un diritto diverso da
quello fissato in tariffa per la merce descritta»); l'art. 14 d.p.r.
n. 62 del 1970 è divenuto l'art. 92 t.u. del 1973; l'art. 18 d.p.r. del 1970 è divenuto l'art. 93 t.u. del 1973, il quale, pertanto,
si applica soltanto alle ipotesi del precedente art. 91, del tutto
estraneo alla presente causa.
Nessuna delle argomentazioni addotte in contrario dalla difesa
della soc. Best può condividersi.
a) Il richiamo a Cass. n. 600 del 1986 (id., Rep. 1986, voce
cit., n. 142) e n. 2415 del 1986, cit., non importa un contrasto
con quanto qui si sta affermando, perché in quelle sentenze il
problema non era stato sollevato e si discuteva soltanto del diver
so problema della compatibilità della richiesta di maggior danno
ex art. 1224 c.c. con l'art. 93 (si veda anche Cass. 4 marzo 1986,
n. 1345, ibid., n. 140, dove in motivazione si dice che non si
poneva, perché non aveva formato oggetto di censura, la questio ne circa la disciplina applicabile agli interessi, se cioè essa dovesse
ricercarsi nell'ambito dell'art. 2033 c.c. ovvero nelle norme tribu
tarie speciali).
b) La tesi secondo cui non possono distinguersi le ipotesi indi
cate dall'art. 91 da ogni altro indebito, è resistita dal tenore chia
rissimo dell'art. 91, che — per poter avere il significato voluto
dalla controricorrente — avrebbe dovuto essere formulato cosi:
«rimborso delle somme pagate in più del dovuto», senza la speci
ficazione che segue (ed in tal caso, come già segnalato, si sarebbe
avuto un eccesso di delega, non prevedendo la delega del 1968
una modifica dell'art. 29 legge doganale del 1940).
e) L'assunto secondo cui l'art. 93 riguarda tutti gli indebiti è
superato dal modo come la norma si è formata, illustrato supra.
d) La diligente rassegna di tutte le norme che in materia di
imposte dirette ed indirette (diverse dai diritti doganali) hanno
previsto gli interessi sulle somme da rimborsare al contribuente
offre la ragione politica della norma, ma non dà nessun contribu
to alla sua interpretazione. Infatti, per ciascuna di quelle norme
bisognerebbe effettuare l'analisi rivolta a stabilire se comprenda
anche il caso di rimborso di indebito per illegittimità (costituzio
nale o comunitaria) della norma istitutiva del tributo. Si tratta
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2487 PARTE PRIMA 2488
quindi di ipotesi specifiche, ciascuna delle quali riceve una disci
plina peculiare e non è utile una confusione della disciplina delle
varie imposte.
e) L'analisi del punto 22 della legge di delega è stato compiuto
e comporta la conclusione che la parità di trattamento fra l'am
ministrazione (nell'ambito doganale) ed il contribuente — in sede
rispettivamente di ritardo nel pagamento e di ritardo nella resti
tuzione — è stato realizzato nei limiti indicati.
f) La questione di illegittimità costituzionale dell'art. 93 d.p.r.
del 1973 (e succ. modifiche) se interpretato nel senso qui indicato
(per la pretesa disparità di trattamento rispetto all'ipotesi di rim
borso di somme pagate in più per errore di calcolo od erronea
applicazione della tariffa), è manifestamente infondata. La stessa
difesa del contribuente nota acutamente che l'ipotesi dell'art. 91
si diversifica, rispetto a quella di causa, perchè proprio nell'art.
91 è prevista una procedura amministrativa (anche d'ufficio) per
correggere gli errori in cui si è incorsi nel calcolo o nell'applica
zione della tariffa, in quanto si tratta di elementi già a disposizio
ne dell'ufficio, in base alla documentazione posseduta, per cui
si giustifica la sanzione del ritardo con gli interessi nella medesi
ma più elevata misura di quelli dovuti dal privato alla dogana,
nel caso inverso. Invece, là dove si tratta di indebito che trova
la sua regola nell'art. 2033 c.c., il principio di eguaglianza vuole
che si applichi il codice civile, anche sulla misura degli interessi.
Invero, resta salva l'applicabilità dell'art. 1224, cpv., c.c., in
ordine al «maggior danno».
g) Non sussiste il contrasto col diritto comunitario (quale risul
ta dalle sentenze della Corte Cee 27 marzo 1980, in causa n. 61/79,
id., 1981, IV, 119 e 9 novembre 1983, in causa n. 199/83, cit.)
perché non esistono condizioni meno favorevoli di quelle relative
ad analoghi rimborsi di natura interna. Invero, in materia doga
nale, è trattato ugualmente anche il caso di invalidità originaria
della norma impositiva per ragioni attinenti all'ordinamento sta
tale (illegittimità costituzionale).
Concludendo, la sentenza impugnata va cassata sul capo in que
stione ed il giudice di rinvio applicherà il seguente principio:
«In tema di condictio indebiti nei confronti dell'amministrazio
ne finanziaria, in relazione al pagamento di diritti doganali per
importazioni di merci nell'ambito della Cee (nella specie, diritti
erariali e sovraimposta di confine su whisky importato in Italia
dalla Gran Bretagna, a seguito della dichiarazione di illegittimità
di tale tassazione con sentenza della Corte di giustizia Cee 15
luglio 1982, in causa 216/81) gli interessi sulle somme da rimbor
sare sono dovuti non nella misura stabilita dall'art. 93 t.u. leggi
doganali 23 gennaio 1973 n. 43, mod. dall'art. 15 d.l. 26 maggio
1978 n. 216 conv. in 1. 24 luglio 1978 n. 388 e dall'art. 13 d.l.
30 settembre 1982 conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873 (norma
che riguarda soltanto la diversa ipotesi di rimborso regolata dal
l'art. 91 dello stesso t.u., per i casi ivi previsti), ma nella misura
stabilita dall'art. 1284, 1° comma, c.c. (salva l'eventuale applica zione dell'art. 1224, cpv., c.c.)».
L'accoglimento del primo motivo del ricorso principale com
porta la necessità di esaminare il ricorso incidentale condizionato
della soc. Best, col quale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 od insufficiente motivazione su un punto decisivo
della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), osservando che
in appello la soc. Best aveva chiesto che le venisse riconosciuto
il maggior danno per svalutazione monetaria nella stessa misura
del 5% annuo equitativamente liquidata dal tribunale, in aggiun
ta agli interessi al tasso previsto dalla normativa doganale. La
corte d'appello, riconosciuti gli interessi nella misura «doganale»
del 18%, li ritenne remunerativi anche della svalutazione; rifor
mata tale decisione e riconosciuto alla società il minor interesse
del 5%, dovrebbe esere riconsiderata a favore della stessa la que
stione del diritto al risarcimento del maggior danno derivante dalla
svalutazione.
Il ricorso incidentale è fondato.
Si premette che non può accogliersi l'eccezione di inammissibi
lità (mossa nella memoria dell'amministrazione), per la sua tardi
vità rispetto alla notifica della sentenza (23 gennaio 1987), posto
che l'impugnazione riguarda un punto strettamente dipendente da quello investito dal primo motivo del ricorso principale; il che
esonera dal riesaminare il problema della disciplina delle impu
gnazioni incidentali tardive.
D'altra parte, l'accoglimento del ricorso incidentale dipende dal
li Foro Italiano — 1989.
l'accoglimento di quel primo motivo, posto che — nella logica
della sentenza impugnata — la reiezione della domanda di «mag
gior danno» ex art. 1224, 2° comma, c.c. è stata basata soltanto
sul riconoscimento degli interessi al 18% annuo; cassata detta
pronuncia, dovendo il giudice di rinvio riconoscere gli interessi
al 5% annuo, dovrà necessariamente riesaminare la domanda ex
art. 1224, 2° comma, c.c. In questa sede non si devono dare
ulteriori precisazioni, né sotto l'aspetto probatorio, né sotto l'a
spetto della valutazione della posizione della soc. Best, nel rap
porto di indebito di cui si tratta, in quanto tutti i suddetti profili
dovranno essere riesaminati ex novo dal giudice di rinvio, che
si designa in altra sezione della Corte d'appello di Torino.
II
Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Per quanto concerne
gli interessi, occorre premettere alcune osservazioni sull'indebito.
L'ambito di applicazione della normativa in materia di indebi
to, ha subito, ad opera di dottrina e giurisprudenza, un progres
sivo ampliamento, si che può attualmente ritenersi il rimedio di
carattere generale previsto dall'ordinamento per rimuovere le pre
stazioni che risultano, per qualsiasi ragione, non dovute.
In particolare in giurisprudenza si è precisato: «L'indebito og
gettivo si ha o perché manca una causa originaria giustificativa
del pagamento (condictio indebiti sine causa) o perché la causa
del rapporto, originariamente esistente, è poi venuta meno in vir
tù di eventi successivi che hanno messo ne nulla (a seguito di
annullamento, risoluzione o inefficacia del negozio) il rapporto medesimo (condictio ob causam finitam) (Cass. 2 aprile 1982,
n. 2029, Foro it., Rep. 1982, voce Indebito, n. 2; 22 settembre
1979, n. 4889, id., Rep. 1979, voce cit., n. 3; 21 luglio 1979,
n. 4398, ibid., n. 2; 20 marzo 1979, n. 1622, ibid., n. 1; 5 novem
bre 1978, n. 4995, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1; 18 aprile 1975,
n. 1460, id., Rep. 1975, voce cit., n. 4; 20 dicembre 1974, n.
4378, id., 1975, I, 1135; 26 maggio 1971, n. 1558, id., Rep. 1971, voce cit., n. 3).
L'applicabilità dell'art. 2033 delle imposte doganali è stata co
stantemente affermata in giurisprudenza in questi termini: «Il de
tentore di merce importata che l'abbia presentata e dichiarata
come propria all'ufficio doganale ed in tale qualità sia stato as
soggettato al pagamento delle imposte doganali, è legittimato al
l'azione di ripetizione a norma dell'art. 2033, ove quelle imposte
siano state indebitamente percette dall'amministrazione, a nulla
rilevando che il peso tributario possa essere stato trasferito ad
altri mediante incorporazione nel prezzo» (Cass. 6 maggio 1982,
n. 2835, id., Rep. 1982, voce Dogana, n. 58).
Analoga soluzione è stata adottata per i diritti di visita sanita
ria: «L'azione per il rimborso di diritti di visita sanitaria indebi tamente riscossi, perché in contrasto con norme comunitarie, è
azione di restituzione per indebito oggettivo ai sensi dell'art. 2033,
che non ne subordina l'accoglimento alla condizione che l'attore
non abbia potuto rivalersi dell'onere sopportato» (Cass. 2 marzo
1982, n. 1290, id., 1982, I, 1297). Sulla natura del debito, si è precisato che, se la prestazione
consisteva in danaro o suoi rappresentativi, il debito è di valuta
(Cass. n. 1197 del 1957, id., Rep. 1957, voce Obbligazioni e con
tratti, n. 336; n. 110 del 1960, id., Rep. 1960, voce Vendita, n.
53; n. 1460 del 1975, cit.). Il solvens può, comunque, domandare il risarcimento del dan
no da svalutazione monetaria ex art. 1224, 2° comma (Cass. n.
3020 del 1987, id., Rep. 1987, voce Obbligazioni in genere, n.
21), con decorrenza uguale a quella relativa agli interessi (Cass. n. 2513 del 1987, ibid., voce Indebito, n. 9).
In relazione all'ipotesi di buona fede dell'accipiens, un'inter
pretazione restrittiva ha individuato la domanda di cui alla nor
ma in esame solo in quella giudiziale, e non in qualsiasi domanda
legalmente efficace a costituire in mora l'accipiens (Cass. n. 2513
del 1987, cit.; n. 2138 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 4, ecc.). L'eventuale credito per interessi si pone, rispetto al debito di
capitale, su un piano autonomo, e, pertanto, rimane soggetto ad
autonoma prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4 (Cass. 21
luglio 1981, n. 4682, id., Rep. 1981, voce cit., n. 6). La massima
è stata enunciata proprio in relazione al pagamento di tributi do
ganali non dovuti.
Ovviamente, questa disciplina, che si è visto, di carattere e
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di applicazione generali, può essere derogata da norme speciali. L'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, contenuto nel «capo
V: Riscossione», prescrive: «In occasione del rimborso di diritti
doganali indebitamente corrisposti ovvero della restituzione di som
me assunte in deposito dalla dogana a qualsiasi titolo per le quali sia venuta meno la ragione del deposito spetta al contribuente
sui relativi importi l'interesse nella misura prevista al 1° comma
dell'art. 86, da computarsi per semestri solari compiuti a partire dal semestre successivo a quello in cui sia stata presentata la do
manda, rispettivamente, di rimborso o di restituzione».
La rubrica del predetto articolo è del seguente tenore: «Interes
si passivi». Da questa norma si evince, in modo inconfutabile,
che viene prescritta la corresponsione di un particolare tasso di
interessi passivi in due precise ipotesi. La prima viene individuata
con queste parole: «In occasione del rimborso di diritti doganali indebitamente corrisposti». La seconda ipotesi viene individuata
nel seguente modo: «In occasione . . . ovvero della restituzione
di somme assunte in deposito dalla dogana a qualsiasi titolo . . .».
Come si può agevolmente constatare, si tratta di ipotesi molto
generiche e tali che possono comprendere una serie indeterminata
di «indebiti». Eppure la Suprema corte ritiene il contenuto pre
cettivo di tali norme applicabile solo ai casi disciplinati nei prece
denti art. 91 e 92.
La motivazione di questa tesi della Suprema corte non sembra,
però, molto convincente. Appare opportuno riportarla per inte
ro: «La norma, che fa decorrere gli interessi dal semestre succes
sivo a quello in cui sia stata presentata la domanda rispettivamente di rimborso o di restituzione (nella misura del tre per cento seme
strale, indicata nel richiamato art. 86), sia per la sua collocazione
dopo i precedenti art. 91 e 92 — che prevedono appunto i rim
borsi delle somme pagate in più del dovuto per errori di calcolo
o di tariffa e rispettivamente la restituzione di somme per il tra
mite degli spedizionieri doganali — sia per il riferimento specifi co alle stesse domande di rimborso o di restituzione menzionate
negli articoli suddetti, è formulata chiaramente nel senso che ha
inteso disciplinare esclusivamente le fattispecie dei rimborsi e del
le restituzioni previste dai precedenti art. 91 e 92 cosicché sia
in base alla interpretazione letterale che sistematica deve negarsi
che essa sia espressione di un principio generale applicabile a qual
siasi fattispecie di indebito in materia doganale» (Cass. nn. 5594 e 5597 del 1984, id., Rep. 1984, voce Dogana, nn. 107, 106; n.
1532 del 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 105). Va assunto per intanto che la collocazione dell'art. 93 non ap
pare particolarmente significativa, in quanto non poteva essere
collocato se non nel posto in cui è, atteso che nel capo della
riscossione necessariamente, dato l'argomento che tratta, non po
teva non essere collocato se non per ultimo.
Non persuade poi il fatto che la predetta motivazione non indi
vidua le fattispecie contenute negli art. 91 e 92. Esse sono sen
z'altro, quanto meno, in numero di cinque.
La prima viene individuata con le seguenti parole: «... rim
borso delle somme pagate in più del dovuto per errori di calcolo
nella liquidazione», con paramentro di «specificazione» nell'er
rore di calcolo.
La seconda ipotesi viene individuata cosi: «. . . rimborso . . . o
per l'applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa
per la merce descritta», con paramentro di «specificazione» nel
«diritto diverso». La terza ipotesi viene descritta come: «indebito
pagamento dipendente da erroneo od inesatto accertamento della
qualità, della quantità, del valore o dell'origine della merce . . .»,
con parametro di «specificazione» nell'erroneo od inesatto accer
tamento della qualità, quantità o valore.
La quarta ipotesi è assolutamente «generica» e non contiene
nessun parametro di specificazione, se non nel fatto che l'opera
zione doganale viene effettuata da «spedizioniere doganale». Es
sa infatti è cosi descritta: «. . . rimborso di diritti doganli indebitamente riscossi . . .».
La quinta ipotesi viene descritta come «svincolo totale o par
ziale di somme assunte in deposito dalla dogana . . .». Come si
può constatare le ipotesi non sono affatto omogenee e per di
più è annoverata fra esse quella generale: «Rimborso di diritti
doganali indebitamente riscossi», che può essere considerata co
me norma di chiusura, che copre tutti gli indebiti. Ed allora non
assume significato alcuno collegare l'art. 93 agli art. 91 e 92 e
tanto meno assume significato collegarlo solo ad essi. Ed infatti,
se il legislatore avesse voluto limitare la «precettiva» dell'art. 93
alle ipotesi contenute negli art. 91 e 92 avrebbe, senz'altro, ri
II Foro Italiano — 1989.
chiamato i predetti articoli, ad es., con la seguente dizione: «nei
casi di cui agli articoli precedenti . . .». Il legislatore non ha, in
vece, proceduto in questi termini e ben a ragione, perché nell'art.
92 ha inserito l'ipotesi di chiusura, che, in quanto tale, non pote va non essere generalissima. Ed allora il legislatore ha dettato
il suo «precetto», prescindendo dalle ipotesi descritte negli art.
91 e 92 ed ha adottato una formulazione che può comprendere tutte le possibili ipotesi: «In occasione del rimborso di diritti do
ganali indebitamente corrisposti ovvero della restituzione di som
me assunte in deposito dalla dogana . . .». Cioè con la prima
ipotesi ha richiamato quella generalissima già disciplinata nell'art.
92 e concernente qualunque «indebito». La seconda ipotesi ri
chiama quella pure generalissima di «somme assunte in deposito della dogana».
L'interpretazione letterale e sistematica porta, perciò, a conclu
sioni del tutto opposte a quelle, alle quali è pervenuta la Suprema
corte, la quale, fra l'altro, ha proceduto ad individuare le ipotesi indicate negli art. 91 e 92 in modo del tutto riduttivo. Infatti
nella predetta motivazione le ipotesi descritte negli art. 91 e 92
vengono individuate in questo modo, in modo sintetico:
«. . . . rimborsi delle somme pagate in più del dovuto per errori
di calcolo o di tariffa e rispettivamente la restituzione di somme
per il tramite degli spedizionieri doganali» e viene ignorata com
pletamente, fra le altre, quella più importante e cosi descritta
dalla legge: «Il rimborso di diritti doganali indebitamente riscossi».
Non solo, ma un ulteriore elemento di «generalizzazione» con
tenuto nell'art. 93 e ignorato dalla predetta motivazione concerne
il richiamo all'art. 86, sempre contenuto nel «capo V: Riscossio
ne» e concernente, quale pendant, degli interessi passivi, quelli
attivi, dovuti dal contribuente «per il ritardato pagamento dei
diritti doganali e di tutti gli altri diritti e tributi che si riscuotono
in dogana». In altri termini, l'interpretazione sistematica porta
alla conclusione che gli art. 77-93 riguardano la riscossione e i
rimborsi, con la disciplina dei vari aspetti che questi due istituti
implicano per la loro attuazione.
Non può pertanto essere seguita la Suprema corte nella sua
interpretazione restrittiva e, pertanto, il tasso degli interessi pas
sivi per il «rimborso di diritti doganali indebitamente corrisposti»
non poteva non essere pari a quello imposto dal legislatore per
gli interessi attivi, dovuti dal contribuente moroso, altrimenti l'in
tera disciplina sarebbe incorsa nel vizio di incostituzionalità per
violazione del principio di ragionevolezza. Ne consegue che la sentenza in oggetto deve essere confermata.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 21 apri le 1989, n. 1891; Pres. Brancaccio, Est. Rapone, P.M. Ama
tucci E. (conci, conf.); Di Lao (Avv. Tomaselli) c. Azienda
municipale trasporti di Catania (Avv. Magnano di San Lio,
Isola). Cassa Trib. Catania 29 ottobre 1985.
Lavoro (rapporto) — Sterilizzazione della contingenza — Rim
borso dei contributi — Disciplina (Cod. civ., art. 2120, 2121;
d.l. 1° febbraio 1977 n. 12, norme per l'applicazione dell'in
dennità di contingenza, art. 1, 1 bis; 1. 31 marzo 1977 n. 91,
conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 1° febbraio
1977 n. 12, art. 1).
Va cassata con rinvio ad altro giudice la sentenza che abbia rite
nuto applicabile la c.d. sterilizzazione della contingenza di cui
al d.l. n. 12 del 1977, convertito con modificazioni, nella l. n. 91 del 1977, al rimborso dei contributi (e cioè all'importo che in base a contratto aziendale delle aziende municipalizzate
viene corrisposto ai lavoratori collocati in pensione anticipata
mente per invalidità fisica, pari ai contributi previdenziali e as
sistenziali che l'azienda avrebbe versato in loro favore fino alla
data di compimento del sessantesimo anno di età), argomen
tando l'assimilabilità di tale istituto al trattamento di fine rap
porto e quindi l'assoggettabilità alla normativa richiamata sulla
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