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sezione lavoro; sentenza 29 settembre 1988, n. 5260; Pres. Nocella, Est D'Alberto, P.M. Dettori(concl. conf.); Soc. Iac Italia (Avv. Pesce) c. Parodi (Avv. Spaziani Testa, Dalla Cola). ConfermaTrib. Milano 15 febbraio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2569/2570-2573/2574Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184164 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stato emanato l'apposito decreto del ministro per il lavoro e la
previdenza sociale (la legittimità del quale il giudice ordinario può
sempre controllare a norma dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248,
ali. E), deve ritenersi sussistente ove esso sia garantito — per le pubbliche amministrazioni, per le aziende pubbliche al quale concetto sono riconducibili gli enti pubblici economici (che ope
rano invero secondo criteri di imprenditorialità per scopi di im
mediato interesse pubblico), e per le aziende esercenti pubblici
servizi, fra le quali debbono essere in particolare comprese quelle
esercenti pubblici servizi di trasporto in concessione ai sensi del
r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 e relativo regolamento allegato A e
successive integrazioni e modificazioni — da norme che rendano
il licenziamento del lavoratore quale fatto del tutto eccezionale,
vale a dire circoscritto a predeterminate concrete ipotesi, ferma
in ogni caso la garanzia del controllo giurisdizionale per il ripri
stino del rapporto. Ai fini di cui trattasi la stabilità dell'impiego
dev'essere quindi intesa in senso «pubblicistico» — e, pertanto,
più ristretto rispetto al concetto di «resistenza» del rapporto che
consente il decorso della prescrizione dei diritti retributivi del pre
statore di lavoro e ciò secondo l'orientamento della sentenza di
queste sezioni unite 12 aprile 1976, n. 1268 (id., 1976, I, 915) e delle numerose successive conformi decisioni della sezione lavo
ro — per cui inadeguate si rivelano quelle formule che, pur ga
rantendo la tutela del posto di lavoro, lascino ai datori dei margini
di discrezionalità, il che è da dire in relazione all'art. 3 1. 15
luglio 1966 n. 604 e conseguentemente all'art. 18 1. 20 maggio
1970 n. 300. In tal senso si è invero espressa la giurisprudenza
di questa corte: cfr., in particolare, le sentenze 9 marzo 1982,
n. 1492 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 716) e 9 gennaio 1984, n.
156 (id., Rep. 1984, voce cit., n. 490) sulla diversa accezione,
per l'appunto, del concetto di stabilità previdenziale.
Sul punto va da ultimo precisato che le «norme» sulla stabilità
cui si riferisce il richiamato art. 36 d.p.r. n. 818 del 1957 possono
essere identificate — tenuto conto della generale «sindacalizza
zione» dei rapporti di lavoro anche di natura pubblica — altresì
in clausole della contrattazione collettiva che assicurino detto re
quisito in modo tale che — al di là della ancora generica previsio
ne dell'art. 3 1. n. 604 del 1966 (cfr. inoltre l'inciso di cui all'art.
I di essa) — la cessazione del rapporto da parte del datore di
lavoro sia configurata come ammissibile solo per il verificarsi di
concrete ipotesi di carattere oggettivo tassativamente predetermi
nate (sulla possibilità che un tal tipo di stabilità sia pattiziamente
convenuto, cfr. ancora la sentenza n. 156 del 1984).
Alla stregua di tali rilievi si osserva, pertanto, come, con riferi
mento alla fattispecie, se non esatta è la considerazione del con
sorzio ricorrente secondo cui fra le norme sullo stato giuridico
e sul trattamento economico non rientrerebbero le clausole dei
contratti collettivi (il che contrasta invero con l'orientamento
espresso da questa corte), il punto che nella sentenza impugnata
rimane al riguardo censurabile, e con profilo di decisività, è quel
lo relativo al concreto accertamento della stabilità, intesa nel sen
so sopra richiamato. Considerato, peraltro, che la qualità di enti
pubblici economici rivestita dai consorzi di bonifica (cfr., ad es., Cass. 10 maggio 1983, n. 3204, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rap
porto), n. 876; sez. un. 10 maggio 1984, n. 2847, id., Rep. 1984,
voce Impiegato dello Stato, n. 222, e 3 aprile 1985, n. 2279, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 807) non sarebbe di per sé sufficiente
per ritenere una tale stabilità (che può non esserci, del resto, nep
pure per i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non econo
mici, cosi come a contrario è confermato dalla stessa previsione
della prima parte dell'art. 36 d.p.r. n. 818 del 1957), il problema
rimane circoscritto a quello di una più approfondita disamina
delle clausole della contrattazione collettiva applicabile a tali enti
e di uno specifico confronto con i criteri enunciati nelle sentenze
n. 1492 del 1982 e n. 156 del 1984. Si osserva, invero, come effettivamente non esauriente si riveli
la motivazione del tribunale in ordine alle cause di risoluzione
del rapporto indicate da determinate clausole della fonte colletti
va presa in riferimento, difettando l'analisi dei presupposti di ope
ratività di alcune di esse in relazione al requisito di tassativa
predeterminazione di cui si è detto, requisito che, fra l'altro, de
v'essere ulteriormente verificato con particolare riguardo alla pre
visione della riorganizzazione dei servizi la quale non potrebbe
coincidere con l'atipica formulazione dell'art. 3, 2a parte, 1. n.
604 del 1966. Peraltro non direttamente pertinente si rivela —
cosi come enunciato nella sentenza impugnata — il confronto
II Foro Italiano — 1989.
con il regime degli impiegati civili dello Stato i quali invero anche
nel caso di sopraggiunta inabilità possono essere diversamente uti
lizzati, laddove per l'ipotesi di soppressione dell'ufficio o di ridu
zione di ruoli organici è previsto il collocamento in disponibilità con le relative garanzie economiche, nonché la possibilità di tras
ferimento presso altre amministrazioni e di richiamo in servizio
entro due anni (art. 72 ss. d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3). (Omissis) In base a tali ragioni e rimanendo superata altresì' ogni ulterio
re considerazione, dev'essere rigettato il primo motivo del ricorso
e vanno dichiarati assorbiti il secondo e il quarto, mentre debbo
no essere accolti il terzo e il quinto motivo, con conseguente cas
sazione della sentenza impugnata in relazione a tali motivi e rinvio
della causa ad altro giudice d'appello che si designa nel Tribunale
di Cassino (sezione lavoro), il quale dovrà procedere a nuovo
esame del merito accertando per quali rapporti del personale del
consorzio ricorrente le relative retribuzioni siano escluse dalla ga ranzia di stabilità e perciò assoggettate alla contribuzione per l'as
sicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria
ritenendo pertanto in relazione ad essi la spettanza del beneficio
dello sgravio contributivo di cui all'art. 18 d.p.r. 30 agosto 1968
n. 918 come modificato dalla legge di conversione 25 ottobre 1968
n. 1098 e successive proroghe, determinando tale stabilità unifor
mandosi al principio secondo cui «tale stabilità dev'essere intesa
nel senso pubblicistico di cui all'art. 36 d.p.r. 26 aprile 1957 n.
818 e riconosciuta sussistente allorquando le norme regolanti lo
stato giuridico e il trattamento economico del personale dipen
dente da pubbliche amministrazioni, da aziende pubbliche — fra
le quali rientrano gli enti pubblici economici e perciò i consorzi
di bonifica — e da aziende esercenti pubblici servizi prevedano
la possibilità per il datore di lavoro di far cessare il rapporto
solo in presenza di concrete ipotesi di carattere oggettivo tassati
vamente predeterminate ancorché in forza di atti negoziali, ovve
ro quando la stabilità sia accertata con provvedimento del ministro
per il lavoro e la previdenza sociale». Il giudice di rinvio dovrà
inoltre espressamente esaminare il punto concernente il dedotto
versamento da parte del consorzio della somma di lire 17.506.826
e la conseguente contestazione dell'addebito di lire 28.968.604.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 29 settem
bre 1988, n. 5260; Pres. Nocella, Est D'Alberto, P.M. Det
tori (conci, conf.); Soc. Iac Italia (Avv. Pesce) c. Parodi (Aw.
Spaziani Testa, Dalla Cola). Conferma Trib. Milano 15 feb
braio 1986.
Ingiunzione (procedimento per) — Dirigente commerciale — Li
cenziamento ingiustificato — Lodo arbitrale irrituale — Prova
scritta idonea — Sussistenza — Contestazione giudiziale — Ir
rilevanza — Estremi (Cod. proc. civ., art. 633, 634, 641). Lavoro (rapporto) — Dirigente commerciale — Licenziamento
ingiustificato — Collegio arbitrale — Lodo — Legittimità —
Condizioni.
Ancorché se ne contesti in giudizio la validità, il lodo arbitrale
irrituale, che condanna il datore di lavoro a corrispondere al
dirigente commerciale licenziato ingiustificatamente indennità
supplementare pari a nove mensilità di preavviso, costituisce
prova scritta idonea ai fini della pronunzia di ingiunzione di
pagamento. (1)
(1) La sentenza confermata, Trib. Milano 15 febbraio 1986 è riassunta
in Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), nn. 733, 743.
La corte ribadisce, con riferimento al lodo irrituale reso in sede d'im
pugnazione di licenziamento di dirigente commerciale (sulla irritualità del
lodo de quo la giurisprudenza è costante: fra le tante, Cass., sez. lav.,
14 gennaio 1987, n. 214, id., 1987, I, 790, con nota di richiami; adde,
per ulteriori riferimenti, sez. un. 11 febbraio 1987, n. 1463, ibid., 1047,
con osservazioni di C.M. Barone; nonché sez. lav. 11 giugno 1987, n.
5108, id., 1988, I, 680, con altre indicazioni), il principio enunciato da
Cass. 19 giugno 1985, n. 3688, id., Rep. 1985, voce Ingiunzione (procedi
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2571 PARTE PRIMA 2572
È congniamente motivata la sentenza di merito confermativa del
lodo dell'apposito collegio di conciliazione ed arbitrato che ha
ritenuto ingiustificato il licenziamento del dirigente di azienda
commerciale, perché privo della contestuale motivazione scritta
richiesta dal contratto collettivo. (2)
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Milano
per decreto di ingiunzione, Giorgio Parodi, già dipendente della
s.r.l. Iac Italia con qualifica di dirigente commerciale, esponeva che il collegio di conciliazione ed arbitrato, istituito a norma del
ccnl 22 dicembre 1981 per i dirigenti commerciali, aveva, con
lodo del 4 ottobre 1984, dichiarato ingiustificato il suo licenzia
mento per difetto del requisito della motivazione contestuale ed
aveva condannato la soc. Iac al pagamento di una indennità sup
plementare pari a nove mensilità di preavviso. Il pretore del lavoro emetteva decreto di ingiunzione a favore
dell'istante Parodi e a carico della s.r.l. Iac Italia per la somma
di lire 39.980.205. Nel citato lodo del 4 ottobre 1984 si precisava che Giorgio Pa
rodi era stato licenziato con nota del 27 aprile 1984 scritta in
tedesco su carta non intestata e senza l'indicazione dei motivi; che la società aveva poi ribadito il licenziamento con nota del
4 maggio 1984; che lo stesso Parodi aveva eccepito la carenza
di motivazione con nota del 16 maggio 1984; infine, che solo
con nota pervenuta il 26 maggio 1984 la società aveva fornito
una motivazione, rilevando però che questa era ampiamente nota
ad esso Parodi e che non era stata espicitata soltanto per motivi
di riservatezza e a tutela dello stesso dirigente; riteneva quindi il collegio arbitrale che non era stato rispettato il requisito essen
ziale della contestuale motivazione posto dal contratto collettivo
ed in relazione a ciò sanciva a carico della società l'erogazione di una indennità supplementare.
Con ricorso del 14 novembre 1984 al Pretore di Milano la soc.
Iac proponeva opposizione al decreto ingiuntivo e, premesso che
aveva già reso nota a Giorgi Parodi la motivazione del licenzia
mento già prima della sua comunicazione e che lo aveva conve
nuto in altro giudizio per risarcimento di danni, esponeva: che
il lodo de quo, ancorché emeso da un collegio arbitrale definito
nella contrattazione collettiva come «arbitrato irrituale», in real
tà concludeva «un procedimento decisionale formale... (ex) art.
808 ss. c.p.c.» e quindi poteva essere reso esecutivo con le moda
mento per), n. 19 e dalla richiamata Cass. 28 aprile 1975, n. 1628, id., Rep. 1975, voce cit., n. 11, in relazione al lodo di arbitri irrituali, generi camente inteso. La stessa corte ritiene, inoltre, sia pure implicitamente, inutile [in conformità a quanto affermato, in generale, da Cass. 15 giu gno 1953, n. 1754, id., Rep. 1953, voce cit., n. 15 e, con specifico riguar do a lodo irrituale, del tipo di quello esaminato dalla riportata sentenza, da C.M. Barone (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le con troversie in materia di lavoro, Zanichelli - Foro italiano, Bologna-Roma, 1987, 223-224, e, prima, da Pret. Milano 17 giugno 1985, Foro it., Rep. 1985, voce Ingiunzione (procedimento per) n. 20, per esteso in Orient,
giur. lav., 1985, 993)], ai fini della emanazione del decreto ingiuntivo, l'allegazione dell'atto di compromesso, (allegazione) reputata, invece, ne
cessaria, sempre però da un punto di vista generale, dalla prevalente dot trina (da ultimo, Punzi, Arbitrato, arbitrato rituale e irrituale, voce
dell'Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, II, 43; adde, per una posizio ne più sfumata, A. Proto Pisani, Il procedimento d'ingiunzione, in Riv. trim. dir. eproc. civ., 1987, 291 ss., spec. 300-301). E quest'ultima impo stazione sembra condivisa, in relazione all'arbitrato irrituale di diritto del lavoro, da Flammia, Arbitrato, arbitrato e conciliazione in materia di lavoro, voce dell 'Enciclopedia giuridica Treccani, cit., 2, per il quale, «il lodo, giusta la correlativa prova documentale, può soltanto valere ai fini del decreto di ingiunzione ex art. 633 c.p.c.».
(2) Per enunciazione coincidente, a proposito della interpretazione, da
parte del giudice di merito, dell'art. 22 del contratto collettivo 9 ottobre 1979 per i dirigenti di aziende industriali nel senso che il licenziamento del dirigente, intimato senza la contestuale specificazione dei motivi, è, perciò stesso, ingiustificato, pur conservando la sua efficacia, e comporta l'obbligo per il datore di lavoro del pagamento dell'indennità supplemen tare prevista dall'art. 19, a nulla rilevando la presunta conoscenza da
parte del dirigente delle ragioni poste a base del licenziamento stesso, Cass. n. 214 del 1987 cit., in parte qua, in Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 772 e per esteso, con nota redazionale critica sul
punto, in Mass. giur. lav., 1987, 67. Per l'impossibilità di dedurre, in sede d'impugnazione del lodo arbitra
le irrituale, l'errore di diritto, cons., sulla stessa linea della pronuncia in rassegna, la citata Cass. 11 giugno 1987, n. 5108.
Il Foro Italiano — 1989.
lità di cui all'art. 825 c.p.c., e non con il procedimento per in
giunzione; che il collegio arbitrale presuppone uno specifico ac
cordo delle parti, non essendo sufficiente la previsione del contratto
collettivo; che il contratto non poneva la sanzione della invalidità
del recesso in caso di mancanza della motivazione; che questa,
comunque, era stata fornita sia prima che dopo. La società chie
deva quindi la declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo. Resi
steva G. Parodi, rilevando che l'opposizione non riguardava alcuna
delle censure astrattamente opponibili alla pronunzia per arbitri
e chiedeva il rigetto della opposizione. Il pretore con la sentenza del 24 aprile 1985 rigettava l'opposi
zione; qualificato come irrituale l'arbitrato de quo, rilevava che
la valutazione della «ingiustificatezza del licenziamento» non po teva non riguardare anche i requisiti formali, e che conseguente mente il lodo si palesava legittimo.
Avverso la detta sentenza interponeva appello la soc. Iac Ita
lia, deducendo: che nella specie trattasi di arbitrato rituale contra
legem ex art. 806 c.p.c.; che il collegio arbitrale aveva operato una interpretazione della norma contrattuale «equivalente nell'or
dinamento giuridico alla norma di legge (art. 1372 c.c.)», nel mo
mento in cui aveva valutato il requisito della motivazione, e con
ciò aveva ecceduto i limiti del mandato; che, comunque, G. Pa
rodi aveva avuto sicura e preventiva conoscenza delle motivazio
ni del recesso; che, pertanto, il provvedimento arbitrale era da
ritenere nullo.
Con rituale memoria difensiva l'appellato contrastava il grava
me, di cui chiedeva il rigetto, deducendo, tra l'altro, che, nel
caso, il problema sulla qualificazione dell'arbitrato, se rituale o
irrituale, non aveva ragione d'essere, atteso che le stesse parti
contraenti, all'art. 24, lett. a), «dichiarano espressamente, e di
ciò si danno atto, che l'arbitrato è irrituale».
L'appello era rigettato dall'adito Tribunale di Milano con sen
tenza 11 dicembre 1985-15 febbraio 1986, nella cui parte motiva
è precisato, tra l'altro: che in assenza di tutela legale in materia
di licenziamenti individuali per il personale avente la qualifica di dirigente, «il ccnl 22 dicembre 1981 per i dirigenti di aziende
commerciali ha istituito un collegio di conciliazione e arbitrato
(art. 24) dalla natura irrituale, secondo la definizione contenuta
nella stessa fonte collettiva (art. 24, ultimo comma, lett. a)»; che,
inoltre, tale contratto: «1) pone limiti convenzionali al potere di
licenziamento, stabilendo che esso deve essere formulato per iscritto
(ex art. 25, 1° comma) e deve contenere la motivazione conte
stuale (art. 27, 1° comma); 2) definisce le doglianze tipiche che
il dirigente può contestare al disposto licenziamento, individuan
dole nella carenza di motivazioni contestuali e nella inadeguata
giustificazione (art. 27, 2° comma); 3) disciplina quindi compiu tamente la procedura arbitrale (art. 27, 3° comma, ss.); 4) descri
ve infine con chiarezza la funzione del lodo, stabilendo che il
collegio con motivato giudizio, ove riconosca che il licenziamento
è ingiustificato... disporrà... a favore del dirigente e a carico del
datore di lavoro, a titolo risarcitorio, una indennità supplementa re... in misura graduabile... (art. 24, 15° e 16° comma)».
Contro questa sentenza la soccombente società ha proposto ri
corso per cassazione affidato a due mezzi di annullamento. Gior
gio Parodi ha proposto controricorso.
Motivi della decisione. — (Omissis). Quanto all'ultima censura
formulata dalla società nel primo mezzo in esame, l'inconsistenza
del correlato assunto è palesata dal principio che questa corte
ha già avuto occasione di enunciare ed a tenore del quale un
lodo arbitrale irrituale, ancorché la sua validità sia oggetto di
contestazione in un giudizio in corso, costituisce prova scritta, idonea come fondamento per l'emanazione di un decreto ingiun
tivo, in quanto la prova scritta richiesta dall'art. 633 c.p.c. può essere costituita anche da un documento privo di efficacia proba toria piena e l'emissione del decreto ingiuntivo non è preclusa dall'esistenza di contestazioni intorno all'esistenza ed all'esigibili tà del credito (sent. 28 aprile 1975, n. 1628, Foro it., Rep. 1975, voce Ingiunzione (procedimento per), n. 19). Del pari non fonda
te ravvisa la corte le censure di cui al secondo mezzo di ricorso.
Non appare frustraneo, innanzi tutto, rilevare che nella parte motiva della sua pronunzia, il giudice a quo, lungi dall'incorrere
nel denunciato difetto di attività (per «omessa motivazione»), os
serva, tra l'altro (dopo l'articolata menzione delle disposizioni contenute negli art. 24, 25, 27 del ccnl 22 dicembre 1981 e indica
te nella narrativa che precede): — che, stante la menzionata disciplina contrattuale deve consi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
derarsi giustificata la decisione del collegio arbitrale, il quale ha
ritenuto sussistente, nel caso di specie, la mancanza «di motiva
zione contestuale» del licenziamento e ha ricondotto tale vizio
«alla categoria della ingiustificatezza», specificamente sanzionata
dal contratto collettivo; — che, «del resto,... in assenza di una disciplina legale, è pro
prio l'elemento della motivazione contestuale scritta che può con
sentire al dirigente di attivare la procedura in esame, in quanto determina la materia su cui dovrà innestarsi la successiva valu
tazione»; — che, secondo il meccanismo convenzionale di tutela, «sussi
ste l'obbligo tipico e specifico della forma scritta e della motiva
zione contestuale, e ciò importa che non possono considerarsi
equipollenti forme diverse, quali la motivazione orale ovvero la
motivazione scritta, comunicata addirittura dopo la promozione del procedimento arbitrale; se la motivazione contestuale appare finalizzata a consentire la formulazione di un giudizio di giustifi
catezza, è del tutto conseguente assimilare la mancata motivazio
ne per l'appunto alla mancanza di giustificazione».
Ora, alla luce di quanto esposto sin qui, ritiene la corte che
il secondo mezzo in esame sia insuscettibile di sortire alcun effet
to, a prescindere dalla considerazione secondo cui nello stesso
mezzo non risulta denunciata alcuna violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale in relazione all'interpretazione di spe cifiche disposizioni del suindicato contratto collettivo di diritto
comune data dal giudice a quo: disposizioni a tenore delle quali, secondo il tribunale, il licenziamento del dirigente di azienda com
merciale, intimato senza la contestuale specificazione scritta dei
motivi, è, per ciò stesso, ingiustificato, pur conservando la sua
efficacia, e comporta l'obbligo del datore di lavoro del pagamen to di un'indennità «supplementare».
E ciò, sia perché tali disposizioni della contrattazione collettiva
pongono validi limiti al recesso del datore di lavoro del dirigente, da ritenere, come già precedentemente detto, legittimamente ri
messi all'autorità privata (v. Cass. 14 gennaio 1987, n. 214, id.,
1987, I, 790); sia per l'assorbente rilievo che l'arbitrato irrituale — con la cui natura è compatibile il conferimento agli arbitri
del potere di decidere la controversia secondo diritto — non è
impugnabile per errore di diritto, ma soltanto per l'errore concer
nente la formazione della volontà degli arbitri, per cui essi abbia
no avuto una falsa rappresentazione della realtà, omettendo di
considerare elementi della controversia, supponendone altri inesi
stenti o ritenendo pacifici fatti contestati e viceversa. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 luglio
1988, n. 4420; Pres. Tilocca, Est. Caizzone, P.M. Leo (conci,
conf.); Frescura (Aw. Faraone, Steccanella) c. Da Re (Aw.
Mesiano, Da Re). Conferma App. Venezia 20 dicembre 1983.
Separazione di coniugi — Separazione consensuale omologata —
Attribuzione pattizia della casa familiare al coniuge affidatario
di figli minori — Effetti (Cod. civ., art. 155; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di
matrimonio, art. 11).
L'attribuzione consensuale della casa familiare di proprietà co
mune al coniuge affidatario di figli minori, in sede di separa zione consensuale omologata, vale a costituire un atipico diritto
personale di godimento, inopponibile ai terzi. (1)
(1) La sentenza si legge anche in Nuova giur. civ., 1989, I, 160, con
nota di Di Nardo. La Cassazione, nel ribadire il prevalente orientamento che esclude, a
favore del coniuge cui sia stata assegnata la casa familiare, una situazione
giuridica di tipo reale (in tal senso, v. Cass. 31 gennaio 1986, n. 624
e 16 ottobre 1985, n. 5082, Foro it., 1986, I, 1317, con nota di Janna
relli, Incerta sorte per la casa familiare. In nota a Cass. 5082/85, v.
anche A. Finocchiaro, in Giust. civ., 1986, I, 70; Di Nardo, in Nuova
giur. civ., 1986, I, 353. In nota a Cass. 624/86, v. Marchio, in
Il Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. — Frescura Lavina, separata con
sensualmente dal marito Da Re Alessandro con separazione rego lamentare omologata alla condizione, tra le altre, che
l'appartamento di proprietà comune indivisa, per quote eguali, dei coniugi, restasse a disposizione di lei per abitarvi con i figli minori a lei affidati, con citazione notificata il 27 aprile 1979
conveniva davanti al Tribunale di Treviso il Da Re, chiedendo
che fosse accertata la natura di diritto reale di abitazione, oppo nibile a terzi mediante trascrizione, della disponibilità dell'immo
bile a lei cosi attribuita.
Giur. it., 1987, I, 1, 1221 e Caputo - Buttitta, in Vita not., 1986, 193) afferma anche la non opponibilità di tale diritto nei confronti dei terzi.
Nel caso di specie, l'assegnazione della casa familiare alla moglie, com
proprietaria e affidataria dei figli minori, era avvenuta sulla base di un
accordo in sede di separazione consensuale regolarmente omologata. La
domanda attrice era diretta a far accertare giudizialmente la natura di
diritto reale di abitazione, opponibile a terzi mediante trascrizione, della
disponibilità dell'immobile. Respinta la domanda in prima istanza, la corte
d'appello aveva negato che si potesse far riferimento al diritto reale di
abitazione per il fatto che tale diritto «è attribuito al titolare per i bisogni abitativi suoi e della famiglia (art. 1022 c.c.) con la conseguenza che le
esigenze dei familiari sono considerate in qualche modo in funzione di
quelle dell'avente diritto, mentre il godimento della casa familiare è bensì
assegnato a uno dei coniugi in quanto affidatario dei figli minori, ma
sono costoro i veri beneficiari dell'accordo o della statuizione». A ciò si era aggiunto che la variabilità delle condizioni di separazione mal si
concilia con la tendenziale stabilità del diritto reale. Inoltre, si negava la possibilità di ricomprendere il diritto alla casa familiare, che può rap
presentare un mezzo di adempimento dell'obbligo di adempimento. Con
tra, App. L'Aquila 19 maggio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Separazione di coniugi, n. 82 e in Giust. civ., 1983, I, 2725; Cass. 1° febbraio 1983, n. 858, Foro it., Rep. 1983, voce cit., nn. 77, 81 e in Giur. it., 1983,
I, 1, 701. In dottrina, v. Belvedere, Residenza e casa familiare: riflessio ni critiche, in Riv. critica dir. privato, 1988, 243) nel comodato precario che è essenzialmente gratuito (v. Trib. Roma 28 settembre 1979, Foro
it., Rep. 1980, voce cit., n. 74; App. Firenze 12 marzo 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 63 e in Nuova giur. civ., 1986, I, 338, con nota di
Giusti. Sulla onerosità dell'attribuzione della casa familiare, v. Cass. 28
gennaio 1986, n. 549, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 71 e in Giur.
it., 1987, I, 1, 1292, con nota di Marchio, secondo cui, ai fini della
determinazione dell'assegno, occorre tener conto di tutte le utilità suscet
tibili di valutazione economica; Cass. 1° luglio 1987, n. 5750, Foro it.,
Rep. 1987, voce Matrimonio, n. 178 e in Giust. civ., 1988, I, 2087). Tut
tavia, la corte d'appello ribadiva che l'immobile non poteva essere ven
duto a terzi come libero, risultando l'occupazione da atto di data certa
(verbale di separazione consensuale o provvedimento giudiziale). La Cassazione, reputando conforme al diritto il dispositivo della sen
tenza impugnata, respinge il ricorso e si limita a correggerne il tiro. In
nanzitutto, si prende atto che l'accordo dei coniugi, in ordine
all'assegnazione della casa familiare, conteneva un esplicito rinvio al 4°
comma dell'art. 155 c.c. Si riconosce che i coniugi, in sede di separazione
consensuale, possono attribuirsi l'un l'altro diritti reali immobiliari (in tal senso, v. Cass. 12 giugno 1963, n. 1594, Foro it., Rep. 1963, voce
Separazione di coniugi, n. 74. Contra, Trib. Bergamo 15 novembre 1984
e 19 ottobre 1984, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 18, 19 e in Giust. civ.,
1985, I, 216. Quanto ai criteri per appurare se nel caso concreto sia stato
attribuito un diritto reale o un diritto personale di godimento, v. Cass. 21 settembre 1977, n. 4039, Foro it., Rep. 1977, voce Superficie, n. 2). Si afferma, in assenza di diversa pattuizione, che il diritto del coniuge alla casa familiare, avendo nel caso di specie lo stesso contenuto del dirit
to previsto dall'art. 155, 4° comma, c.c., non poteva avere altra natura
che quella di un atipico diritto personale di godimento. A questo punto, invece di trarre tutte le ulteriori conseguenze, la Cassazione decide che
tale diritto, non avendo natura reale, non può essere opponibile a terzi.
Se il coniuge proprietario aliena la casa a terzi — si legge in motivazione
—, unica conseguenza è che egli potrà essere tenuto al risarcimento del
danno a favore del coniuge assegnatario. Le questioni che il caso di specie suggerisce e che la Cassazione avrebbe
dovuto affrontare meno frettolosamente sono due: 1) se il richiamo patti zio all'art. 155, 4° comma, c.c., e quindi l'attribuzione al coniuge di
un diritto dello stesso contenuto di quello derivante dall'assegnazione giu
diziale, consentiva di applicare anche la disposizione contenuta nell'art.
II,6° comma, 1. 74/87 sul divorzio; 2) se l'accordo, regolarmente omo
logato dal giudice della separazione, era trascrivibile e perciò opponibile ai terzi.
1. - Dall'esame della 1. 74/87 si evince innanzitutto l'intento del legisla tore di realizzare una tutela sostanzialmente uguale per i figli dei coniugi divorziati e separati (v. App. Bari 6 luglio 1988, id., 1988, I, 3411, con
riferimento all'adeguamento automatico dell'assegno di mantenimento dei
figli, previsto dall'art. 11 1. 74/87, nei casi di separazione).
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