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ordinanza 4 novembre 1991; Giud. Filocamo; imp. X.Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.181/182-183/184Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185925 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
(Omissis). Occorre, innanzi tutto, rilevare che l'inciso «il giu dice sente la persona offesa e l'imputato, se comparsi» conte
nuto nell'art. 561 c.p.p., il quale, peraltro, non richiama l'art.
421 c.p.p., non può essere inteso nel senso prospettato, in via
di eccezione, dai difensori dell'imputato: invero, se è pacifico che il giudizio deve svolgersi allo stato degli atti e non possono essere acquisiti nuovi elementi probatori (se ciò fosse necessa
rio, dovrebbero emettersi i provvedimenti previsti nell'art. 562
c.p.p.), incontestabile appare il potere del giudice e delle stesse
parti, in sede di tale esame ovvero anche in sede di discussione, di chiarire e di specificare gli elementi probatori già acquisiti, anche al solo fine di pervenire alla convinzione che si possa
giungere ad una decisione sulla base degli atti acquisiti. (Omissis)
ricavabile dall'art. 561, 2° comma, su cui insiste la Relazione al testo
definitivo del codice (Le leggi, 1988, 2717): «la discussione e le conclu sioni delle parti — e conseguentemente la decisione del giudice — si basano esclusivamente sugli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari»; gli apporti ulteriori — ivi compresi quelli emergenti dalle 'audizioni' dell'imputato e della persona offesa — si rivelano inidonei ad alterare gli equilibri pregressi.
In questa ottica, il discrimen tra utilizzazione in chiave ermeneutica — al mero fine di chiarire gli elementi già acquisiti al fascicolo del
pubblico ministero — e utilizzazione quali nuovi elementi di prova degli apporti delle effettuate 'audizioni' si rivela alquanto labile: avvalersi delle dichiarazioni rese dall'imputato o dalla persona offesa al fine di
operare una selezione qualitativa degli elementi già contenuti nel fasci colo del pubblico ministero importa pur sempre una utilizzazione di tali dati, e, pertanto, un indiscutibile superamento dello 'stato degli atti'; vicenda, questa, a ben vedere non ontologicamente incompatibile con il giudizio abbreviato, ma consentita solo ove prevista in via espres sa dalla legge (cosi, ad es., in materia di trasformazione del giudizio direttissimo in rito abbreviato: cfr. art. 452, 2° comma, c.p.p.). [G. Di Chiara]
I
PRETURA DI VERONA; PRETURA DI VERONA; ordinanza 4 novembre 1991; Giud.
Filocamo; imp. X.
Dibattimento penale — Ammissione di nuove prove — Poteri
del giudice (Cod. proc. pen., art. 507).
I poteri istruttori del giudice previsti dall'art. 507 c.p.p. posso no esplicarsi anche se la parte che li ha sollecitati risulta deca
duta dal diritto alla prova per mancata deduzione della stessa
nei termini di legge (nella specie, il pretore ha ritenuto di di
sporre l'ammissione di nuovi testi, ex art. 507, su sollecitazio
ne del p.m., nonostante questi avrebbe potuto indicarne tem
pestivamente i nominativi, nei termini di cui all'art. 468 c.p.p., in base agli atti del proprio fascicolo). (1)
(1-3) I. - La problematica dei poteri suppletivi del giudice in punto di prova, sanciti dall'art. 507, ha costituito, sin dall'inizio del dibattito
scientifico sul codice del 1988, un tema cruciale nell'economia del 'nuo
vo' dibattimento, in ordine alla esatta distribuzione dei ruoli tra giudice e parti ed al pericolo del riemergere di inusitate funzioni di supplenza
incompatibili con il modello del 'processo di parti': cfr., in vario senso,
Boschi, Il giudice tra il ruolo dell'inquisitore e quello del garante, in
Foro it., 1988, V, 287; Corso, Il giudice nel nuovo processo penale, in Profili del nuovo processo penale a cura di Garavoglia, Padova,
1988, 99; Lattanzi, La formazione della prova nel dibattimento, in
Cass, pen., 1989, 2301; Manzione, in Commento al nuovo codice di
procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1991, V, sub art.
506-507, 390 s.; Nappi, Libero convincimento, regole di esclusione, regole
li Foro Italiano — 1992.
II
PRETURA DI VENEZIA; sezione distaccata di Mestre; senten
za 17 gennaio 1991; Giud. Di Mauro; imp. Frasson.
Dibattimento penale — Onere di presentazione della prova (Cod.
proc. pen., art. 468, 493, 567). Dibattimento penale — Ammissione di nuove prove — Limiti
(Cod. proc. pen., art. 507).
La parte che ha indicato la prova testimoniale ha l'onere di
presentarla al dibattimento ovvero di curarne gli adempimen ti necessari per la presentazione (nella specie, il pretore ha
ritenuto la parte decaduta dalla prova già ammessa per omes
sa citazione dei testi nei termini di legge e mancata presenta zione degli stessi all'udienza fissata). (2)
L'art. 507 c.p.p. non prevede una sorta di sostituzione del giu dice alla parte inattiva o poco diligente, ma rappresenta un
parziale temperamento del principio generale di cui all'art.
190, 1° comma, c.p.p., consentendo un'integrazione anche
d'ufficio del materiale probatorio sempre che la prova da as
sumere abbia caratteristiche di novità rispetto alle precedenti
acquisizioni dibattimentali. (3)
I
Sulla richiesta formulata dal p.m. di ammissione ex art. 507
c.p.p. di testi non inizialmente indicati dalle parti (Belloni Gil
berto, Gragantini Gaetano, Falzi Franco), alla quale la difesa
ha opposto l'impossibilità di ricorrere all'art. 507 cit. stante la
decadenza conseguente alla mancata tempestiva indicazione dei
testi, dei nominativi dei quali il p.m. avrebbe potuto avere co
noscenza in base agli atti del proprio fascicolo, osserva:
1) Deve anzitutto mettersi in rilievo che l'art. 507 c.p.p. su
bordina l'esercizio dei poteri istruttori anche officiosi ricono
sciuti al giudice alla sussistenza di tre sole condizioni: che siano
stati acquisiti i mezzi di prova introdotti dalle parti; che si tratti
di «nuovi mezzi di prove» e che l'ammissione degli stessi risulti
assolutamente necessaria. L'interpretazione letterale della nor
ma induce a ritenere, da un lato, che la novità dei mezzi di
prova debba essere valutata in rapporto alle prove acquisite in
base all'originario esercizio del diritto alla prova riconosciuto
alle parti (mezzi di prova «nuovi» sono, pertanto, quelli diversi
dalle prove acquisite e quindi sia le prove ammesse e non assun
te, sia quelle richieste e non originariamente ammesse, sia quel le con richiesta), dall'altro lato, che l'assoluta necessità si iden
fichi con l'indispensabilità dei mezzi di prove nuovi rispetto alla
ricerca della verità, ricerca alla quale il dibattimento è pur sem
pre finalizzato. Infine, nessun ulteriore requisito oltre quelli sud
detti è previsto dalla norma in esame siccome letteralmente for
mulata: in particolare, non è richiesto che si tratti di mezzi di
prove non potute introdurre prima nel dibattimento.
Una simile interpretazione letterale risulta confermata anche
dal ricorso a ulteriori criteri ermeneutici. La ratio dell'art. 507
è quella di riconoscere un ambito di iniziativa probatoria rimes
di assunzione, in Cass, pen., 1991, 1517; Randazzo, L'assunzione di
nuove prove e le integrazioni inquisitorie del giudice dibattimentale, ibid.,
1690; Siracusano, Il giudizio, in Siracusano-Dalia-Galatt-Tranchina
Zappalà, Manuale di diritto processuale penale, Milano, 1991, II, 259
s.; Tranchina, Nostalgie inquisitorie nel 'sistema accusatorio' del nuo
vo codice di procedura penale, in Legislazione pen., 1989, 390; Id., Ruoli naturali ed innaturali del giudice nel nuovo processo penale, in
Indice pen., 1989, 626; Zagrjebelsky, Sul ruolo del giudice nel nuovo
codice di procedura penale, in Cass, pen., 1989, 919.
Sul concetto di «nuovi mezzi di prova», cfr. Pret. Torino 22 marzo
1990, Foro it., Rep. 1990, voce Dibattimento penate, n. 39.
Per ulteriori problematiche in tema di integrazione probatoria ex art.
507, cfr. Pret. Genova 26 novembre 1990 e 12 ottobre 1990, id., 1991,
II, 692, con osservazioni di Scaglione. II. - In ordine alla seconda massima, cfr., nello stesso senso, Pret.
Salerno, ord. 20 marzo 1991, Arch, nuova proc. pen., 1991, 609, con
nota di Scarpetta, La decadenza dalla prova testimoniale ammessa
è riconducibile all'omessa citazione dei testi? Sulla sequenza richiesta - ammissione - citazione o presentazione in udienza del teste, cfr. Bo
netto, in Commento al nuovo codice di procedura penale, cit., sub
art. 468, 50.
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PARTE SECONDA
sa anche d'ufficio al giudice per garantire che il processo penale
(che non è un processo di parti e la cui definizione è di interesse
pubblico) rimanga funzionalmente aderente all'accertamento della
verità e, pertanto, non tollererebbe una insuperabile subordina
zione di tali poteri istruttori alla iniziativa (presente e anche
passata) delle parti. Sotto il profilo sistematico, poi, non sono
rinvenibili argomenti a favore della tesi propugnata dalla dife
sa, secondo cui l'assoluta necessità di cui all'art. 507 non con
sentirebbe di superare le decadenze nelle quali le parti siano
incorse. Una simile limitazione, da una parte, non è espressa
mente prevista da alcuna norma, ma, d'altra parte, non è nean
che ricavabile dalle norme che prevedono rigidi termini deca
denziali poiché le parti indichino, oggettivamente e soggettiva
mente, le prove orali di cui intendono ottenere l'ammissione
(art. 468 e, per il processo pretorile, 567, 2° comma, c.p.p.).
Tali ultime norme, infatti, come è evidente dalla loro colloca
zione sistematica e dalla stessa terminologia giuridica utilizzata,
pongono limitazioni temporali solamente all'esercizio del diritto
alla prova riconosciuto alle parti dall'art. 190, 1° comma, c.p.p.
e comminano decadenze relative esclusivamente a tale diritto
(nel senso che, decorsi i termini, le parti non hanno più diritto
alla ammissione delle prove, pur se non superflue e non irrile
vanti). Ma tali norme non possono incidere sui poteri istruttori
riconosciuti al giudice in modo svincolato dal diritto alla prova
che fa capo alle parti: si tratta di due ambiti ben diversi, al
primo dei quali fa espresso riferimento il 2° comma del citato
art. 190 (e dal citato tra i primi due commi di tale disposizione
è ben evidenziata la contrapposizione tra diritto alla prova rico
nosciuta alle parti e potere probatorio riconosciuto al giudice).
La conseguenza del decorso dei termini di decadenza di cui so
pra, pertanto, è solo l'estinzione del diritto delle parti di ottene
re l'ammissione della prova, ferma restando la possibilità di
esercizio dei poteri istruttori rimessi al giudice ove ricorrano
le condizioni di cui all'art. 507 c.p.p.
2) L'interpretazione proposta, infine, non lede il diritto di
difesa dell'imputato (come prospettato dalla difesa), poiché l'e
sercizio dei poteri probatori da parte del giudice (che non è
di per sé finalizzato alla raccolta di elementi d'accusa, ma solo
di elementi indispensabili all'accertamento della verità) non li
mita in alcun modo l'esercizio (necessariamente antecedente) del
diritto alla prova dell'imputato, né può basarsi su elementi di
conoscenza estranei al materiale già introdotto dalle parti; né
infine può influire sulle scelte processuali dell'imputato, scelte
che vengono evidentemente effettuate sulla base delle mere po
tenzialità di prova ricavabili dagli atti del fasciolo del p.m. e
non sulla base dell'esito dell'assunzione effettiva delle prove.
3) Si aggiunga, infine, che un'interpretazione contraria a quella
qui proposta incorrerebbe in inevitabili censure di incostituzio
nalità per eccesso di delega, posto che la direttiva n. 73 della
1. 81/87 prevede l'incondizionato potere del giudice di disporre
l'assunzione di mezzi di prove, senza alcun collegamento con
l'esercizio o il mancato esercizio del diritto alla prova facente
capo alle parti. (Omissis)
II
Frasson Gino veniva tratto al giudizio di questo pretore per
rispondere della contravvenzione in epigrafe. All'udienza del 10 novembre 1990, il pubblico ministero, do
po esposizone introduttiva, chiedeva l'ammissione di due testi
(i dipendenti della Usi che avevano accertato il fatto), dei quali
era stata già autorizzata la citazione, a seguito di presentazione
della lista testimoniale, nei termini di cui all'art. 567 c.p.p. La
difesa eccepiva l'inammissibilità della prova richiesta, per l'o
messa citazione dei testi. Il pubblico ministero instava per il
differimento del dibattimento, al fine di produrre prova docu
metale della richiesta — agli organi addetti alle notifiche —
della citazione dei testi. L'istanza veniva accolta, con conse
guente rinvio del procedimento all'odierna udienza, alla quale
si sono presentati i due dipendenti della Usi, citati a seguito
Il Foro Italiano — 1992.
di attivazione della procura circondariale, in data successiva al
10 novembre 1990.
La difesa ha riproposto l'eccezione formulata alla prima udien
za, che questo giudicante ha accolto con conseguente declarato
ria di inammissibilità della prova indicata dall'organo pubblico.
Va infatti rilevato che, in forza del combinato disposto degli
art. 493, 1° comma, e 567, 2° comma, c.p.p., l'ammissibilità
delle prove testimoniali è subordinata al verificarsi di due con
dizioni: 1) presentazione della lista dei testimoni almeno due
giorni prima della data fissata per il dibattimento (sempre che
non ricorra l'ipotesi di cui all'art. 493, 3° comma, c.p.p.); 2)
presentazione dei testi all'udienza fissata per il dibattimento o
documentazione dell'avvenuta, tempestiva richiesta di citazione
all'organo addetto alle notifiche.
La seconda condizione deriva indefettibilmente dalla prima.
Se la parte che ha indicato la prova testimoniale si potesse
sottrarre all'onere di presentare detta prova al dibattimento (o
di curare gli adempimenti necessari per la presentazione) da un
lato verrebbe ad essa attribuita la facoltà di una semplice indi
cazione dei testi, meramente ripetitiva di quella già risultante
dalla lista presentata ai sensi degli art. 468, 567 c.p.p., dall'al
tro si verrebbe ad imporre all'organo giudicante l'obbligo di
differire l'inizio dell'istruzione dibattimentale. Ne deriverebbe,
pertanto, una piena, assoluta ed irrazionale disponibilità delle
parti dei tempi e dei modi di celebrazione del processo.
Ovviamente, non può essere attribuito alcun effetto di sana
toria della decadenza verificatasi all'udienza del 10 novembre
1990 alla circostanza che il pubblico ministero abbia chiesto la
citazione ed ottenuto in concreto la presenza dei testi, alla suc
cessiva udienza, essendo stato il rinvio disposto al solo fine di
consentire la dimostrazione dell'avvenuta attivazione, in vista
dell'adduzione della prova, anteriormente alla prima udienza.
Una diversa conclusione avrebbe indebitamente e surretizia
mente trasformato il rinvio della trattazione in una riammissio
ne in termini per la presentazione del mezzo di prova.
Tanto premesso, va rilevato che, nel merito, la tesi accusato
ria presentata dal pubblico ministero è risultata totalmente sfor
nita di supporto probatorio.
Va anche sottolineato che, nel caso di specie, non c'era spa
zio alcuno per l'attivazione, da parte del giudicante, del potere
di assumere ex officio, i due testi indicati dal pubblico ministero. L'art. 507 c.p.p. non prevede una sorta di sostituzione del
giudice alla parte inattiva o poco diligente, ma rappresenta un
limitato temperamento del principio generale emergente dall'art.
190, 1° comma, c.p.p. consentendo una integrazione del mate
riale probatorio, indipendentemente dall'attivazione delle parti,
sempreché la prova da assumere abbia carattere di novità, ri
spetto a quelle già acquisite nel corso dell'istruttoria dibatti
mentale espletata. Si impone, quindi, l'assoluzione dell'imputato perché non è
emersa la prova della sussistenza del fatto.
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