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sezione III penale; sentenza 8 novembre 1991; Pres. Battimelli, Est. Morgigni, P.M. (concl.diff.); ric. Faticanti. Conferma Pret. Roma 12 aprile 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.357/358-361/362Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185962 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
L'attività ispettiva e di vigilanza nel settore del lavoro deve
continuare ad essere svolta dagli organi di cui sopra si è detto
e nel rispetto della legislazione antecedente e del nuovo codice, come si desume dal testo dell'art. 220 disp. att.
Gli ispettori ed i funzionari Usi — anche alla luce della legge — sono da considerare pubblici ufficiali. Essi quindi nel mo
mento in cui hanno notizie di un reato devono fare denuncia
scritta senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di
polizia giudiziaria (art. 331 c.p.p.). La sospensione dell'azione
penale per il tempo previsto dalla diffida non incide minima
mente su tale obbligo. Scaduto questo termine il pubblico mini
stero deve infatti verificare se l'agente si è adeguato ai precetti a lui imposti ed in caso di inosservanza dar corso al procedi mento penale. Nella specie, il giudice del merito non si è attenu
to ai principi innanzi evidenziati. Avrebbe dovuto verificare il
rispetto della diffida. Ma invece fermato il suo accertamento
al momento antecedente della iniziale denunzia. È pertanto in
dispensabile rinnovare all'uopo il giudizio.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 8 no
vembre 1991; Pres. Battimelli, Est. Morgigni, P.M. (conci,
diff.); ric. Faticanti. Conferma Pret. Roma 12 aprile 1991.
Pena (applicazione su richiesta) — Consenso — Revoca — Esclu
sione (Cod. proc. pen., art. 446, 447). Pena (applicazione su richiesta) — Reati edilizi — Patteggia
mento — Demolizione — Inderogabilità (Cod. proc. pen., art. 444, 445; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia
di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupe ro e sanatoria delle opere edilizie, art. 7).
Nel procedimento di applicazione della pena su richiesta, il rag
giungimento dell'accordo vincola irrevocabilmente entrambe
le parti, sicché, la revoca unilaterale o bilaterale del consenso
prestato è priva di ogni efficacia. (1)
(1) I. - Nello stesso senso, v. Cass. 27 aprile 1991, Canzio, Foro
it., 1992, II, 158, con nota di richiami. Contra, Cass. 24 giugno 1991,
Grossi, Arch, nuova proc. pen., 1991, 732. Tra i giudici di merito, aderiscono alla tesi prospettata nella sentenza in epigrafe, Giud. ind.
prel. Pret. Reggio Emilia 1° luglio 1991, id., 1992, 100; Giud. ind.
prel. Pret. Roma 16 aprile 1991, Critica del diritto 1991, fase. 6, 40;
contra, Giud. ind. prel. Pret. Forlì 24 maggio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Pena (applicazione su richiesta), n. 78. Peraltro, secondo Cass.
6 luglio 1990, Filoni e 20 marzo 1991, Lanciotti, Arch, nuova proc. pen., 1992, 70, la richiesta di applicazione della pena non può essere
subordinata ad alcuna condizione diversa dall'unica prevista — per il
solo imputato — dall'art. 444, 3° comma, c.p.p. In particolare, per la seconda delle citate pronunce, il patteggiamento
è un negozio giuridico di natura processuale, caratterizzato da un in
contro di volontà, attuativo dello specifico interesse dello Stato alla
speditezza processuale; perciò, le dichiarazioni delle parti possono esse
re subordinate solo alle condizioni espressamente previste dalla legge, dovendosi ritenere tamquam non esset la condizione non consentita.
Rispetto a dette argomentazioni (tutte «interne» al sistema del nuovo
c.p.p.), la sentenza in epigrafe prospetta, invece, due affinità con la
disciplina contrattualistica ex art. 1321 ss. c.c. Sicché, viene evidenziato
che l'art. 447, 3° comma, c.p.p. prevederebbe un'ipotesi di proposta
irrevocabile, al pari dell'art. 1329 c.c. (in proposito, v. Chiliberti e
Roberti, Manuale pratico dei procedimenti penali, Milano, 1990, 250
ss.) e sarebbe «in linea» con l'art. 1354, 1° comma, c.c.
Orbene, al di là della necessaria cautela nella individuazione di paral lelismi tra la normativa civilistica e quella processualpenalistica in con
siderazione dell'indisponibilità dell'oggetto del procedimento penale (v.
Conso, Accadeva un anno fa, in Giust. pen., 1990, III, 481, spec. 485), non appare del tutto pertinente il riferimento all'art. 1354, 1° comma,
c.c., che statuisce la radicale nullità del contratto, cui sia stata apposta una condizione contraria a norme imperative. Invero, se detto principio
giuridico fosse vigente anche nell'ambito processualpenalistico, il giudi ce dovrebbe ritenere integralmente nullo il patteggiamento caratterizza
li. Foro Italiano — 1992.
L'ordine giudiziale di demolizione delle costruzioni abusive va
adottato anche in caso di pena applicata su richiesta delle
parti, costituendo un provvedimento dovuto e conseguenziale alla decisione di condanna e, come tale, indisponibile dalle
parti (anche) in sede di patteggiamento. (2)
Il 27 febbraio 1991 Faticanti Luca, persona sottoposta ad in
dagini in ordine ai reati di cui all'art. 20 1. 28 febbraio 1985 n. 47 ed art. 1, 2, 4, 13 e 14 1. n. 1086 del 1971, ed il procurato re della repubblica presso la Pretura circondariale di Roma chie
devano congiuntamente che il g.u.p. applicasse ad esso Fatican
ti la pena di un mese e dieci giorni di arresto e lire otto milioni
di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale della
pena. Il 4-5 marzo 1991 il Faticanti rivolgeva istanza di disseque
stro dello stabile. L'11 marzo 1991 il pubblico ministero rigetta va l'istanza.
to da una condizione «atipica» [ed illegittima] rispetto all'unica espres samente ammessa (a favore dell'imputato) ex art. 444, 3° comma, c.p.p.: il che non accade, operando, anzi, la regola contraria (utile per inutile non vitiatur), stando almeno a Cass. 20 marzo 1991, Lanciotti, cit.
(come già evidenziato). II. - In dottrina, oltre ai riferimenti contenuti nella nota redazionale
a Cass. 27 aprile 1991, cit., cfr., conformemente alla sentenza in epi
grafe, Chiliberti e Roberti, op. cit.; Santangelo, Patteggiamento: il pentimento è abnorme?, in Critica del diritto, 1990, fase. 4, 75 ss.; Giustozzi, in AA. VV., Manuale pratico del nuovo processo penale, Padova, 1991, 593; Cordero, Procedura penale, Milano, 1991, 593; contra, Aricò, Applicazione della pena su richiesta delle parti, in AA.
VV., / procedimenti speciali a cura di Dalia, Napoli, 1989, 108 ss.
(2) I. - La pronuncia si conforma ad un consolidato orientamento
di legittimità; nello stesso senso, Cass. 26 novembre 1990, Fozzi, Riv.
pen., 1991, 949; 7 dicembre 1990, Gruosso, Cass. pen., 1991, 2026; 7 gennaio 1991, De Martino e 4 dicembre 1990, Coppola, Giur. it.,
1991, II, 486, con nota di De Roberto; 4 febbraio 1991, Esposito, Arch, nuova proc. pen., 1991, 438; 29 aprile 1991, Cifaratti, 17 maggio 1991, Albanese e 30 aprile 1991, Di Leo, ibid., 782.
È rimasta cosi isolata la posizione di Cass. 9 ottobre 1990, Accanci
rioco, ibid., 277 (criticata dalla sentenza in epigrafe), secondo cui l'ac
cordo ex art. 444 c.p.p. dovrebbe comprendere esplicitamente tutti gli effetti, penali e non, della sentenza; sicché, in assenza dell'espresso con
senso dell'imputato (anche) all'ordine di demolizione de quo, il pretore dovrebbe dare atto del dissenso tra le parti.
II. - La tesi patrocinata nel provvedimento in epigrafe era già stata
recepita da Pret. Catania-Giarre 3 dicembre 1990, Foro it., 1991, II,
307, con nota di Giorgio. In senso contrario, Pret. Caltanissetta-Gela
19 ottobre 1990, Riv. giur. urbanistica, 1991, 87. III. - In dottrina, criticamente rispetto all'evidenziato prevalente filo
ne giurisprudenziale di legittimità, v. Marinari, Patteggiamento e de
molizione: automatismo apparente?, in Cass. pen., 1991, 2027 ss., che, tra l'altro, conferma le perplessità già espresse da Giorgio sub V nella
nota cit. a Pret. Catania-Giarre 3 dicembre 1990. V., inoltre, Aldro
vandi, Natura giuridica dell'ordine di demolizione (...) ed applicazione della pena su richiesta delle parti, in Riv. giur. urbanistica, 1991, 91 ss.
IV. - La natura di sanzione amministrativa dell'ordine ex art. 7, ulti
mo comma, 1. 47/85 è stata ulteriormente ribadita da Cass. 30 gennaio
1991, Radio, Riv. pen., 1992, 77. In dottrina, cfr., approfonditamente, Novarese, Sulla natura giuridica della demolizione della costruzione abusiva ordinata dal giudice se non altrimenti eseguita, in Riv. giur. edilizia, 1990, II, 197 ss.
V. - In ultimo va segnalato che, secondo Cass. 7 gennaio 1991, Ven
tura, Giur. it., 1991, II, 488, (anche) l'ordine di reintegra ex art. 1
sexies 1. 8 agosto 1985 n. 431, costituendo una sanzione amministrativa
irrogabile dal giudice (penale), va adottato con la sentenza ex art. 444
c.p.p. [G. Giorgio]
* * *
L'opportunità di conoscere l'intera produzione giurisprudenziale sul
nuovo codice di rito, nell'impossibilità di pubblicare una quantità or
mai cospicua e sempre crescente di provvedimenti, suggerisce di proce dere a brevi rassegne o schede di giurisprudenza, incentrate di volta
in volta su istituti o profili tematici specifici.
Schede su Corte di cassazione e codice di procedura penale: il proble ma della revocabilità della richiesta di patteggiamento, [a cura di R.
Guariniello]
È proprio vero che — sul problema relativo alla revocabilità, o no, della richiesta o del consenso in materia di patteggiamento — la Corte
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PARTE SECONDA
Il 25 marzo 1991 veniva notificato al Faticanti il decreto di
fissazione della udienza.
Il 10 aprile 1991 il Faticanti, constatato che il pubblico mini
stero aveva rigettato l'istanza di dissequestro, revocava la ri
chiesta di applicazione della pena. Il 12 aprile 1991 il g.u.p. di Roma applicava la pena suddetta
con la sospensione condizionale ed ordinava la demolizione del
l'immobile in sequestro. Ricorre il Faticanti, deducendo: 1) violazione della legge pro
cessuale, per avere il giudice applicato la pena malgrado la in
tervenuta revoca e comunque in presenza della implicita condi
zione che non fosse ordinata la demolizione; 2) violazione di
legge, contraddittorietà e mancanza di motivazione relativamente
all'ordine di demolizione.
Il ricorso è infondato.
Il problema della revocabilità del consenso prestato al patteg
giamento è risolto in dottrina variamente: a) taluni sostengono
che, quando sia intervenuta l'accettazione della controparte, non
di cassazione sarebbe tanto divisa da rendere necessario un intervento delle sezioni unite?
Chi riesamini le argomentazioni addotte pro e contro la revocabilità, si accorge che due temi sono al centro del dibattito. Un primo tema attiene alla ricostruzione dogmatica del patteggiamento (un tema, sia detto per inciso, che espone l'interprete alla sottile e mistificante tenta zione di giustapporre ai testi normativi aprioristiche elaborazioni con
cettuali). Ben più nevralgico appare il secondo tema, riguardante il si
gnificato da riservare alla norma dettata dall'art. 447 c.p.p. Dopo aver stabilito al 1° comma che, «nel corso delle indagini preliminari, il giu dice, se è presentata una richiesta congiunta o una richiesta con il con senso scritto dell'altra parte, fissa, con decreto in calce alla richiesta, l'udienza per la decisione», l'art. 447, nel 3° comma, precisa: «Se la richiesta è presentata da una parte, il giudice fissa con decreto un ter mine all'altra parte per esprimere il consenso o il dissenso e dispone che la richiesta e il decreto siano notificati a cura del richiedente. Prima della scadenza del termine non è consentita la revoca o la modifica della richiesta e in caso di consenso si procede a norma del 1° comma».
Al proposito, Sez. I 24 giugno 1991, c.c., pres. Carnevale, est. Se ria nni, ric. Grossi e altri, aveva esordito in termini favorevoli alla revo cabilità. Anzitutto, perché «l'accordo tra le parti, che caratterizza l'isti
tuto, non è riconducibile alla categoria dei negozi giuridici bilaterali di diritto privato o di diritto pubblico», e perché «la richiesta di appli cazione della pena ed il consenso costituiscono due manifestazioni di volontà unilaterali convergenti, provenienti dall'imputato e dal p.m., e rivolte al giudice». E inoltre perché «la tesi della revocabilità della richiesta e del consenso è rafforzata, sul piano più strettamente erme
neutico, dalla previsione del 3° comma dell'art. 447»: «L'irrevocabilità e l'immodificabilità della richiesta nel periodo di interpello, stabilite nell'ultimo comma dell'art. 447, costituisce, come appare evidente dalla lettera della norma e dalla ratio cui essa si ispira, una deroga al princi pio generale della revocabilità e della modificabilità della richiesta: de
roga giustificata — seconda la Relazione al progetto definitivo del codi ce — dall'apertura di una fase incidentale che deve giungere a compi mento, senza trovare ostacoli nella stessa parte che l'ha provocata». La revoca della richiesta può avvenire, sia in caso di dissenso, sia quan do l'altra parte (che può anche essere l'imputato) abbia prestato il suo assenso. Poiché la revoca della richiesta è possibile per entrambe le
parti, se ne deduce che entrambe le parti possono revocare il consenso
prestato». (Per l'affermazione che «il c.d. patteggiamento è un negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con l'adesione dell'al tra parte e la ratifica del giudice che ne ha riscontrato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, e neppure è modificabile in dipendenza di situazioni che sopravvengono», v., nel quadro di una tematica collatera le, Sez. 128 giugno 1991, c.c., pres. Vitale, est. Valiante, ric. Del Sorbo).
A ben vedere, però, la tesi accolta dalla sentenza Grossi non sembra finora aver ottenuto fortuna. Di avviso opposto, per cominciare, è la terza sezione. Emblematica, da ultimo, è Sez. Ili 24 aprile 1992, c.c., pres. Gambino, est. Pilla, ric. Pellegrini, imperniata su due argomenti. Primo argomento: «L'accordo raggiunto dalle parti o il consenso pre stato da una delle stesse alla proposta formulata dall'altra non sono revocabili ad nutum da ciascuna delle parti medesime, dal momento che la richiesta concordata della pena integra un vero e proprio incon tro negoziale delle volontà dei soggetti legittimati, diretto alla definizio ne del processo, in virtù del quale, da un lato, l'imputato o l'indagato rinunciano ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa, ottenendo in cambio numerosi benefici (riduzione della pena, non pagamento del le spese processuali, non applicazione delle pene accessorie e delle misu re di sicurezza, inefficacia della sentenza nei giudizi civili, estinzione del reato al termine di cinque anni), e, dall'altro, il p.m. si accontenta del risultato raggiunto, così abbandonando ogni iniziativa volta al con
seguimento di un risultato punitivo di più consistente afflittività». Se condo argomento: «Ai sensi dell'art. 447, 3° comma, la revoca o la modifica della richiesta non sono consentite prima della scaden
II Foro Italiano — 1992.
possa esservi più revoca successiva; b) altri ritengono che il con
senso sia sempre revocabile fino alla pronuncia del giudice; c) altri infine considerano revocabile il consenso dell'indagato ed
irrevocabile quello del pubblico ministero.
Reputa il collegio di dover aderire al primo dei tre orien
tamenti.
L'argomento fondamentale in senso contrario si vuole desu
mere dall'ultimo comma dell'art. 447, che cosi' recita: «Se la
richiesta è presentata da una parte, il giudice fissa con decreto
un termine all'altra parte per esprimere il consenso o il dissenso
e dispone che la richiesta e il decreto siano notificati a cura
del richiedente. Prima della scadenza del termine non è consen
tita la revoca o la modifica della richiesta e in caso di consenso
si procede a norma del 1° comma. Si afferma che, argomentan do a contrario, la revoca è sempre possibile dopo la scadenza
del termine anche se sia intervenuto il consenso dell'altra parte. Si aggiunge che il legislatore ha previsto all'art. 446 che il
giudice possa disporre la comparizione personale dell'imputato,
za del termine fissato dal g.i.p. al fine di consentire all'altra parte di manifestare il consenso o il dissenso: ora, se non sono ammesse la revo ca o la modifica della richiesta durante lo spatium temporis per accetta re o meno la richiesta medesima, è evidente che il consenso non può essere revocato dopo che l'accordo si è formato per l'elementare ragio ne che non troverebbe alcuna spiegazione logica l'ipotesi di una propo sta che, irrevocabile durante il termine concesso all'altra parte per ac cettarla o meno, diverrebbe revocabile dopo il raggiungimento dell'ac cordo» (conformi Sez. III 27 marzo 1992, c.c., pres. Glinni, est. Simoncelli, ric. P.m. in c. lezzi, ove si aggiunge che «del contenuto del fascicolo del p.m., da depositare ad opera del p.m. stesso [ex art.
447, 1° comma], può prendere visione l'imputato [o l'indagato], il qua le potrebbe regolarsi in ordine alla conservazione o meno dell'accordo sulla base delle risultanze delle indagini preliminari, le quali intanto non possono, però, essere proseguite»; Sez. Ili 12 dicembre 1991, c.c., pres. Accinni, est. Pilla, ric. p.m. in c. Pizzale; Sez. Ili 8 novembre 1991, c.c., pres. Battimela, est. Morgigni, ric. Faticanti, in epigrafe, che sottolinea come «il problema della revocabilità del consenso presta to al patteggiamento è risolto in dottrina variamente: a) taluni sosten
gono che, quando sia intervenuta l'accettazione della controparte, non
possa esservi più revoca successiva; b) altri ritengono che il consenso sia sempre revocabile fino alla pronuncia del giudice: c) altri infine con siderano revocabile il consenso dell'indagato ed irrevocabile quello del
pubblico ministero», e dichiara la propria adesione «al primo dei tre
orientamenti»). Nella sentenza Pellegrini, la terza sezione si preoccupa di ricordare
che «il giudice per poter applicare la pena concordata deve accertare che la manifestazione espressa dall'imputato o dall'indagato corrispon da all'interno volere dello stesso, tant'è che la legge lo facultizza, qua lora ritenga opportuno verificare la volontarietà della richiesta o del consenso, a disporre la comparizione dell'imputato (art. 446, 5° com
ma, c.p.p.)». «Si tratta, però» — avverte subito dopo la sentenza Pelle
grini — «evidentemente di ipotesi nelle quali il giudice ha il sospetto che vi sia divergenza tra volontà e manifestazione e cioè di ipotesi nelle
quali la supposta divergenza sia dovuta, oltre che a violenza subita o ad eccesso di delega da parte del procuratore speciale, anche — tanto
per mutuare il linguaggio civilistico — ad errore ostativo. Peraltro, in quest'ultima evenienza la citata divergenza in tanto può essere presa in considerazione, in quanto si sia voluta una cosa e se ne sia dichiarata
un'altra, sicché restano del tutto estranei al problema e sono giuridica mente irrilevanti i motivi per i quali il dichiarante si sia determinato in un certo modo». Di qui, nella fattispecie esaminata dalla sentenza
Pellegrini, la conseguenza che l'imputato «non può addurre a sostegno della legittimità del suo 'pentimento' la circostanza che egli non cono sceva che la sospensione condizionale della pena non può essere conces sa per di più di due volte e che se egli fosse stato messo al corrente di tanto si sarebbe ben guardato dal chiedere il patteggiamento»: «si
tratta, infatti, di motivi (determinati, oltretutto, da errore di diritto non cadente su uno degli elementi costitutivi dell'atto), i quali avrebbero
potuto al più indurre l'istante a diversa decisione, ma che, comunque, non hanno cagionato una divergenza fra la volontà e la manifestazione».
Un'ipotesi particolare è quella sottoposta all'esame di Sez. Ili 27 aprile 1992, c.c., pres. Cavallari, est. Ceci, ric. P.m. in c. Giarrizzo. All'u dienza fissata innanzi il g.i.p. presso la pretura a seguito di accordo tra le parti per l'applicazione della pena in ordine a reati urbanistici, il p.m. avanzava «richiesta di rideterminazione della pena concordata
perché erroneamente non contestato il reato ex art. 20, lett. c), 1. 47/85». Ma «il g.i.p., ritenuta la pena esattamente determinata in relazione ai reati contestati, senza che fosse possibile in quella sede dare ai fatti una diversa qualificazione giuridica, rigettava la richiesta e procedeva all'applicazione della pena patteggiata». Al proposito, la terza sezione osserva che «non può muoversi addebito al decidente per avere resistito al tentativo dell'accusa di rompere il vincolo formatosi tra le parti circa
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GIURISPRUDENZA PENALE
per verificare senza formalismi la volontarietà della richiesta e
del consenso.
Si rileva che nelle more possono intervenire fatti nuovi che
modificano i termini della intesa conseguita. Si assume che non si può pregiudicare la posizione dell'impu
tato, impedendo la revoca per chiedere l'applicazione dell'art. 129 c.p.p., non a caso richiamato dall'art. 444, 2° comma.
Nessuna di queste argomentazioni è convincente. All'art. 447, ultimo comma, deve darsi una lettura ed un significato ben di
verso. Se il consenso prestato sotto forma di richiesta (o di ac
cettazione) fosse sempre revocabile la fissazione stessa del ter
mine di irrevocabilità della stessa sarebbe del tutto inutile e quindi non spiegabile sotto il profilo logico. Accogliendo la tesi qui
seguita, la norma ha invece un suo significato. La richiesta po
la natura e la entità della pena da applicare, per i reati contestati, che non può confondersi con il potere riconosciuto al g.i.p., in via genera le, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale, di dare ai fatti una diversa qualificazione giuridica e, per l'effetto, di pronunciare la pro pria incompetenza a decidere sugli stessi». «Nella specie» — sostiene la terza sezione — «il g.i.p. ha ritenuto correttamente che sussistevano le condizioni di applicabilità della disciplina regolata dagli art. 444 ss.
c.p.c. e di accogliere l'accordo, irreformabile, intervenuto fra le parti, circa la misura della pena, ancorché questa, per la ricorrenza del reato di cui all'art. 1 sexies 1. 431/85, avrebbe dovuto atteggiarsi, fuori dello schema del patteggiamento, su quanto previsto dalla lett. c) dell'art. 20 1. 47/85; l'accordo, già formatosi, veniva a costituire ostacolo alla richiesta di rideterminazione della misura della pena sulla base del sud detto disposto della legge urbanistica; da qui deriva la insussistenza del
l'obbligo del decidente di restituzione degli atti al p.m., venendo in
questione, nella specie, il calcolo della pena concordata, in relazione all'indole dei reati ascritti, non già il tema che i fatti esigessero una definizione giuridica sotto specie diverse, penalmente rilevanti».
Anche la quarta sezione si è pronunciata contro la tesi della revocabi lità: «L'istanza di applicazione immediata della pena non è revocabile
né modificabile prima della scadenza del termine stabilito per l'espres sione del consenso del pubblico ministero (art. 447, 3° comma). A mag gior ragione la richiesta o il consenso non sono revocabili, e tanto me no unilateralmente, quando ci sia stata l'adesione del pubblico ministe ro: con essa, infatti, si costituisce un negozio giuridico bilaterale, che
impegna entrambe le parti. Tale conclusione è cosi ovvia che la legge non ha ritenuto necessario prevederla espressamente» (cosi, con riguar do a un'ipotesi in cui il pubblico ministero aveva prestato il suo consen so prima dell'apertura del dibattimento, ma, «poco dopo, chiamato il
processo, lo stesso pubblico ministero dichiarava che, a seguito di con sultazioni con il procuratore della repubblica, intendeva revocare il suo
consenso», Sez■ IV 23 gennaio 1992, c.c., pres. Severino, est. Valiante, ric. Mala, ove si giunge, quindi, ad affermare che «non poteva il pub blico ministero revocare il consenso, sia pure per obbedire alla richiesta
del procuratore della repubblica» e che «erroneamente il pretore ha
negato efficacia allo stesso»), (Nello stesso senso, Sez. IV II marzo
1992, u.p., pres. Lumia, est. Valiante, ric. Maradona, la quale, in rap porto a un noto caso giudiziario, osserva che «la regola dell'affidamen
to lega l'imputato e il pubblico ministero alla richiesta formulata e alla
volontà espressa, tanto che non è revocabile o modificabile neppure
prima che il giudice l'accolga (art. 447, 3° comma)».
Analoga e per più versi illuminante è, d'altra parte, l'analisi condotta da Sez. V 20 novembre 1991, c.c., pres. Bertoni, est. Lattanzi, ric.
Pasquarelli e altro. «L'art. 447, 3° comma» — questa l'argomentazio ne sviluppata dalla quinta sezione — «tende a vincolare una parte nel
tempo dato all'altra per aderire, facendole riacquistare la libertà solo
quando l'adesione non vi è stata»: invero, «sarebbe illogica, e darebbe
luogo ad un'inutile perdita di tempo, una disposizione che non consen
tisse la revoca fino a quando per l'altra parte non è scaduto il termine
per aderire alla richiesta rendendola però possibile subito dopo nono
stante l'adesione»; e del resto, «le ultime parole del 3° comma dell'art. 447 («in caso di consenso si procede a norma del 1° comma») stanno
a significare che dopo l'utile conclusione della fase incidentale deve im
mediatamente seguire il procedimento per l'applicazione della pena». Per giunta, «anche se si ritiene che le parti con le rispettive manifesta
zioni di volontà non si vincolano reciprocamente e mantengono un po tere unilaterale di recesso, è certo che nessun recesso è più possibile
quando quelle manifestazioni hanno determinato nel procedimento ef fetti irreversibili»: ebbene, «l'art. 60 c.p.p. stabilisce espressamente che
quello regolato dall'art. 447 è uno dei casi in cui si assume la qualità di imputato ed è con l'imputazione che il pubblico ministero esercita
l'azione penale (art. 405, 1° comma, c.p.p.)»: si produrrebbero, quin
di, «effetti che rendono chiaramente impossibile la revoca della richie
sta di applicazione della pena, perché dopo l'esercizio dell'azione pena le il procedimento non può regredire ritornando nella situazione delle
indagini preliminari che esisteva prima che le parti attivassero il mecca
nismo dell'art. 447».
Il Foro Italiano — 1992.
trebbe essere revocata fino alla sua accettazione: il legislatore ha voluto che, per non rendere affannosa la decisione della con
troparte e per la chiarezza delle posizioni reciproche, durante
il termine fissato non subisse modifiche. Intervenuto il dissen
so, la richiesta è revocabile.
In caso di consenso, si precisa nell'ultima parte dell'art. 447, «si procede a norma del 1° comma», cioè si fissa l'udienza per la decisione. Anche questa previsione sembra superflua, essen
do ovvio che si debba procedere al suddetto adempimento. Essa
invece serve proprio a precisare che in caso di consenso è questa l'unica possibilità consentita.
Il legislatore ha quindi adottato la logica negoziale: la propo sta può essere revocata finché il contratto non sia concluso (art. 1328 c.c.) e tale conclusione si verifica quando il proponente
venga a conoscenza dell'accettazione (art. 1326 c.c.). Il 3° com
ma dell'art. 447 c.p.p. si spiega quindi proprio come deroga alla libera revocabilità della proposta.
V'è inoltre da considerare che il legislatore del 1988 ha voluto
certamente dare impulso ai procedimenti speciali, per consegui re la finalità di «massima semplificazione nello svolgimento del
processo con eliminazione di ogni attività non essenziale» (art.
2, punto 1, della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81). Tale
finalità sarebbe certamente frustrata se si desse spazio all'inda
gato per svolgere attività non essenziali eventualmente con puro intento dilatorio.
Del tutto estranea è poi l'osservazione circa il sopravvenire di «fatti nuovi», che possono essere sottoposti al giudice in sede
di comparizione per l'eventuale richiesta di applicazione dell'art.
129, che può sempre essere prospettata — ex art. 444, 3° com
ma — in sede di conclusioni, senza necessità di revoca. Si deve
quindi concludere che, qualora la richiesta di patteggiamento della pena sia stata accettata dall'altra parte, non è più possibi le la revoca unilaterale del consenso prestato. Col primo motivo — in subordine — si deduce anche la inefficacia della richiesta
per non essersi verificata la condizione della «non demolizione».
Questa condizione invero non è stata formulata: il ricorrente
ha soltanto chiesto il dissequestro dello stabile. Trattasi di istanza
volta a dare ingresso ad un istituto processuale totalmente di
verso dall'ordine di demolizione, regolato dalla 1. n. 47 del 1985.
Il Faticanti ha citato una decisione di questa stessa sezione
(n. 14041 del 9 ottobre 1990, Acconcirioco), nella quale si è
affermato che in caso di demolizione ordinata senza accordo
delle parti il consenso si dovrebbe considerare non validamente
prestato. L'orientamento menzionato è stato successivamente abban
donato da questa corte che con le decisioni (tra le altre) sez.
Ili 7 dicembre 1990, n. 5316; sez. Ili 4 dicembre 1990, n. 1015; sez. Ili 7 gennaio 1991, n. 2696 ha ritenuto che l'ordine di de
molizione ha natura di sanzione amministrativa. Esso è dispo sto dal giudice soltanto in via di supplenza, legislativamente im
posta dall'art. 7 1. n. 47 del 1985 soltanto quando la pubblica amministrazione sia stata inattiva, non avendo eseguito — alla
data della pronuncia — la demolizione stessa. Al sindaco infatti
compete il governo del territorio e la valutazione degli interessi
attinenti alla materia edilizia. L'ordine è quindi un provvedi mento dovuto e conseguenziale alla decisione di condanna, sen
za alcuna discrezionalità. Ne deriva che esso non è disponibile dalle parti in sede di patteggiamento ed il suo inserimento, co
me condizione della richiesta o del consenso, rende invalido que st'ultimo. A tale conclusione si giunge dall'interpretazione del
l'art. 444 c.p.p.: al 3° comma è previsto che l'efficacia della
richiesta può essere subordinata unicamente alla concessione della
sospensione condizionale.
La soluzione accolta è poi anche in linea con la logica con
trattuale: l'art. 1354 c.c. dispone che «è nullo il contratto al
quale è apposta una condizione... contraria a norme impe rative...».
Né dalla mancata previsione delle parti dell'ordine di demoli
zione può derivare la invalidità della richiesta, poiché l'art. 7
citato è norma cogente per giudice e parti. Queste ultime nel
manifestare la loro volontà non possono ignorare le conseguen
ze giuridiche obbligatorie. Ne deriva che non occorre specifica
motivazione, trattandosi di provvedimento non discrezionale.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese proces
suali: (Omissis)
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