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sezioni unite penali; sentenza 12 ottobre 1993; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Trojano, P.M.Aponte (concl. conf.); ric. Durante. Annulla Trib. Lecce, ord. 24 marzo 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp. 1/2-7/8Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188415 .
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Anno CXIX Roma, 1994 Volume CXVII
IL FORO
ITALIANO
PARTE SECONDA
GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 12
ottobre 1993; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Troiano, P.M. Aponte (conci, conf.); ric. Durante. Annulla Trib. Lecce, ord. 24 marzo 1993.
CORTE DI CASSAZIONE;
Misure cautelari personali — Impugnazioni — Interesse — Scar
cerazione dell'indagato nelle more del procedimento — Irrile
vanza (Cod. proc. pen., art. 309, 310, 311, 568).
L'interesse dell'indagato alla decisione del riesame o comunque
dell'impugnazione proposta avverso il provvedimento appli cativo o confermativo della custodia cautelare persiste anche
nel caso di sua scarcerazione nel corso del procedimento inci
dentale, in quanto la pronuncia inoppugnabile nel procedi mento de libertate costituisce decisione irrevocabile idonea,
nei casi di proscioglimento o condanna di cui al 2° comma
dell'art. 314 c.p.p., a fondare il diritto alla riparazione per
l'ingiusta detenzione. (1)
(1) Con la sentenza che si riporta le sezioni unite hanno «risolto» un contrasto determinatosi nella giurisprudenza della Suprema corte. Al riguardo, può ricordarsi come, da un lato, Cass. 31 gennaio 1991,
Longobardi, Foro it., Rep. 1991, voce Misure cautelari personali, n.
271, abbia ritenuto che «sussiste, invero, l'interesse dell'imputato, an che dopo la cessazione di efficacia della custodia cautelare ai sensi degli art. 294 e 302 c.p.p., ad ottenere una pronuncia» nel procedimento incidentale de libertate «che, escludendo la sussistenza degli indizi, ven
ga a configurarsi come una decisione che sancisca la carenza, in radice,
degli elementi sostanziali legittimanti l'emissione del provvedimento re
strittivo della libertà personale», e, dall'altro, Cass. 12 aprile 1991, De
Biasi, id., Rep. 1992, voce cit., n. 517, abbia, invece, sostenuto, con
riferimento ad un'ipotesi di riesame, che è da ritenersi insussistente l'in
teresse che legittima la richiesta di riesame quando la misura cautelare,
per scadenza del termine o per revoca successiva, abbia perduto la sua
efficacia, ed abbia escluso, altresì', che sia idonea a conferire attualità a detto interesse la eventualità che l'indagato, ricorrendone i presuppo
Il giudice delle indagini preliminari della Pretura di Lecce, con provvedimento in data 1° marzo 1993, dispose nei con
fronti di Durante Gregorio la misura della custodia cautelare
in carcere per il delitto di usura impropria, punito dall'art.
644 bis c.p.
L'indagato propose istanza di riesame, deducendo la carenza
di gravi indizi e di esigenze cautelari, nonché l'incompetenza del giudice a quo, per ragioni di connessione.
Con ordinanza 24 marzo 1993 il Tribunale di Lecce dichiarò
inammissibile l'impugnazione per sopravvenuta carenza d'inte
resse, a seguito della scarcerazione dell'indagato intervenuta nelle
more del procedimento. Il tribunale premise che, considerata la natura impugnatoria
dell'istanza di riesame, è ad essa applicabile la norma di cui
all'art. 568/4 c.p.p., secondo cui per proporre impugnazione è necessario avervi un interesse concreto ed attuale. Aggiunse,
inoltre, che, siccome il procedimento di riesame mira a sotto
porre ad un organo collegiale il controllo sulla legittimità del
sti, possa successivamente invocare la riparazione per l'ingiusta deten
zione ed il risarcimento del danno in base alle norme in materia di
responsabilità civile dei magistrati. Nel mentre pare utile ricordare come, nel vigore dell'abrogato codice
di rito, sempre le sezioni unite, con la sentenza 29 ottobre 1983, Medici
(id., Rep. 1984, voce Libertà personale dell'imputato, n. 378), avessero
stabilito che «l'imputato, scarcerato per concessione della libertà prov
visoria, conserva interesse all'impugnazione del precedente mandato di
cattura, poiché rimane assoggettato a conseguenze pregiudiziali penali ed extrapenali», è da notare, poi, come il collegamento tra il persistere dell'interesse all'impugnazione nel procedimento incidentale de quo an
che nel caso di sopravvenuta revoca della custodia cautelare e la disci
plina della riparazione per l'ingiusta detenzione sia stato operato pure in dottrina; al riguardo, oltre a Palumbo, L'interesse ad impugnare in materia di provvedimenti cautelari, in Giust. pen., 1991, III, 385
ss., cfr. anche Campanello, Sull'impugnazione dei provvedimenti «de li
Il Foro Italiano — 1994 — Parte II-Ì.
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PARTE SECONDA
provvedimento impositivo della misura, ad immediata tutela della
libertà dell'indagato e non è destinato ad incidere sulla fonda
tezza dell'accusa, l'intervenuta scarcerazione, eliminando il pe ricolo di un illegittimo perdurare della compressione della liber
tà personale, importa il venir meno della attualità dell'interesse
al riesame, il quale, dovendo essere concreto ed attuale, non
può essere ravvisato nell'ipotetico diritto alla riparazione di un'in
giusta detenzione.
Contro questo provvedimento il Durante ha proposto ricorso
per cassazione.
Con il primo motivo, incentrato sulla violazione degli art.
568, 4° comma, e 314, 2° comma, c.p.p., in relazione all'art.
606, lett. b), stesso codice, si deduce che la scarcerazione, avve
nuta nel corso del procedimento, non aveva eliso l'interesse del
l'indagato ad un controllo da parte del giudice del riesame sulla
sussistenza dei gravi indizi di responsabilità, al fine di avvalersi
dell'eventuale pronunzia di accoglimento del gravame quale ti
tolo per la riparazione dell'ingiusta detenzione prevista dal cit.
art. 314.
Con la seconda doglianza, si sostiene, sotto il profilo della
violazione degli art. 12, lett. c, e 15, 2° comma, c.p.p., che
il delitto di usura impropria — trovandosi in rapporto di con
nessione con il distinto delitto, consumato ai danni dell'indaga to da Musi Maria Teresa con la querela 8 ottobre 1992 e da
qualificarsi non già come simulazione di reato, bensì come ca
lunnia — sarebbe attratto assieme a quest'ultimo nella compe tenza per materia del tribunale e che pertanto il giudice del rie
same, se non avesse dichiarato l'inammissibilità del gravame avrebbe dovuto rimettere gli atti alla procura della repubblica
presso il Tribunale di Lecce.
L'indagato ha depositato due memorie, nelle quali, dopo aver
ribadito la persistenza dell'interesse al riesame malgrado la ri
messione in libertà, chiede l'annullamento sia dell'impugnata
ordinanza, che del provvedimento impositivo della misura cau
telare, non avendo il tribunale adottato una decisione sul meri
bertate» revocati, in Giur. it., 1993, II, 452 ss., nonché Cordero, Pro cedura penale, 2a ed., Milano, 1993, 513. Quest'ultimo, peraltro, se da un lato ritiene che in materia «costituisce precedente par excellence l'ordinanza emessa dal tribunale investito del riesame, o dalla Cassazio
ne», dall'altro afferma pure che «fuori da tali casi, bisogna che la que stione sia risolta dalla sentenza e affinché interloquisca "con efficacia di giudicato" (art. 34 c.p.c.), su temi estranei alla causa, occorre una domanda dell'interessato»; assunto, quest'ultimo, che non è invece con diviso dalle sezioni unite per le ragioni indicate nella motivazione della sentenza.
Sempre in dottrina, Montaldi (in Commento al nuovo codice di pro cedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, III, 317 ss.) e Amato (in Commentario del nuovo codice di procedura penale diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1990, III, parte seconda, 230 ss.) annoverano tra le «decisioni irrevocabili» che possono eventualmente rilevare ex 2° comma dell'art. 314 c.p.p. anche la sentenza resa nel
procedimento principale. Orbene, benché sul punto la decisione che si
riporta non sia particolarmente esplicita, purtuttavia sembra potersi ri tenere che anch'essa non escluda siffatta eventualità, posto che, nella
motivazione, si afferma, tra l'altro, che il termine «decisione irrevoca bile» «allude ad una gamma di provvedimenti più ampia delle sole sen tenze» e che «... in alcune ipotesi l'illegittimità della misura cautela re» ai sensi del 2° comma dell'art. 314 c.p.p., «può risultare, in modo
implicito e tuttavia evidente, dalla stessa sentenza definitiva di merito», il che, sempre secondo le sezioni unite, si verificherebbe «sicuramente nei casi in cui l'imputato sia stato condannato per un reato diverso da quello contestato ed inoltre punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare risulti ex post inflitta in violazione» dell'art. 280 c.p.p., «ovvero nel caso in cui l'imputato sia stato viceversa assolto perché il reato era estinto sin dal momento di applicazione o conferma della stessa misura».
Da ultimo, va sottolineato che la sentenza in epigrafe ribadisce il
principio, già sostenuto in precedenti decisioni (v., tra le altre, sez. un. 1° luglio 1992, Grazioso, Foro it., 1993, II, 290), secondo il quale an che alle pronunce rese in materia cautelare deve esser riconosciuta una sia pur limitata efficacia preclusiva di natura endoprocessuale fondata sul principio del ne bis in idem.
to della richiesta del riesame, nel termine di dieci giorni fissato
dall'art. 309, 9° comma, c.p.p. Il ricorso, assegnato alla sesta sezione penale di questa corte
è stato rimesso, con ordinanza 27 maggio 1993, alle sezioni uni
te, a norma dell'art. 618 c.p.p., poiché, avendo il g.i.p. revoca
to la misura cautelare nei confronti di entrambi i soggetti, era
necessario dirimere il contrasto, sorto nella giurisprudenza della
Suprema corte, sull'ammissibilità dell'impugnazione avverso il
provvedimento applicativo della misura anche dopo la rimessio
ne in libertà dell'indagato. Le sezioni unite sono chiamate a risolvere il quesito se per
manga l'interesse ad ottenere una pronunzia, in sede di riesa
me, di appello o di ricorso per cassazione, sulla legittimità del
l'ordinanza che ha applicato o mantenuta la custodia cautelare
in carcere, qualora quest'ultima sia stata revocata nelle more
del procedimento.
Questo problema è stato risolto in senso negativo dalla pre valente giurisprudenza di questa corte. Sul duplice presupposto
che, a norma dell'art. 568/4 c.p.p., l'interesse all'applicazione deve essere concreto ed attuale e che il procedimento incidenta
le de libertate mira soltanto a controllare se lo stato di libertà
dell'indagato sia stato legittimamente compresso, si afferma che
la permanenza di tale interesse deve esser apprezzata unicamen
te con riguardo all'effetto primario e diretto dell'ordinanza im
positiva della misura, costituito da tale compressione e, pertan
to, vien meno ogni qual volta l'indagato sia stato liberato. Si
aggiunge, inoltre, che la permanenza dell'interesse all'impugna zione non può essere desunta dal diritto alla riparazione per
l'ingiusta detenzione — assicurato dall'art. 314/2 c.p.p. anche
al condannato purché l'illegittimità della misura cautelare sia
stata accertata con «decisione irrevocabile» — sia perché l'eser
cizio di questo diritto integra una mera eventualità futura ed
astratta, sia perché la decisione irrevocabile, di cui alla citata
norma, non può formarsi nel procedimento de libertate, che
si conclude con una pronunzia adottata allo stato degli atti, ma deve essere contenuta nella sentenza definitiva di merito (Cass. sez. I, 25 giugno 1990, Dall'Orto, Foro it., Rep. 1991, voce
Misure cautelari personali, n. 365; sez. V 12 aprile 1991, De
Biasi; sez. VI 15 dicembre 1992, n. 4439, De Biasi, id., Rep. 1992, voce cit., n. 517; 5 marzo 1993, Sbraga; 5 marzo 1993,
Raffo; 30 marzo 1993, n. 931; sez. II 7 aprile 1993, Bossi). L'orientamento favorevole alla persistenza dell'interesse al
l'impugnazione si fonda invece sul duplice rilievo che, da un
lato, l'esclusione da parte del tribunale del riesame dei gravi indizi di responsabilità si risolverebbe pur sempre in un miglio ramento sia pur minimo della situazione processuale dell'inda
gato e, dall'altro, l'interesse in esame deve essere apprezzato anche in termini di diritto soggettivo di natura patrimoniale con
riguardo alla riparazione per l'ingiusta custodia cautelare sof
ferta, la quale ai sensi del cit. art. 314 c.p.p., è svincolata dal
l'esito finale del giudizio (Cass., sez. V, 31 gennaio 1991, Lon
gobardi, id., Rep. 1991, voce cit., n. 271; sez. VI 22 gennaio 1993, Guarnotta).
Le sezioni unite ritengono di aderire a quest'ultimo indirizzo, anche se non tutte le ragioni sulle quali esso si fonda, possono essere condivise.
Non è, invero, decisivo il primo argomento, incentrato sui
vantaggi che l'indagato rimesso in libertà potrebbe conseguire, tramite l'annullamento dell'ordinanza applicativa della misura
cautelare, in ordine alla situazione probatoria delineatasi nel pro cedimento principale. Giova al riguardo ricordare che l'interes
se al gravame, oltre che essere concreto ed attuale, deve riguar dare il conseguimento di una posizione di vantaggio giuridica mente tutelata. Al contrario l'efficacia della pronuncia adottata
dal tribunale per il riesame in ordine alla carenza dei gravi indi
zi di responsabilità resta rigorosamente circoscritta nell'ambito
del procedimento incidentale de libertate ed è finalizzata soltan
to all'eliminazione della misura cautelare. Quella pronunzia non
vincola, invece, né l'apprezzamento dell'ufficio del p.m. titola
re delle indagini preliminari quanto alla rilevanza degli elementi
indiziari acquisiti, mé tanto meno quello del g.i.p., ai fini del Il Foro Italiano — 1994.
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GIURISPRUDENZA PENALE
rinvio al giudizio, o del giudice del dibattimento. Il vantaggio
conseguibile dall'indagato dalla pronunzia in esame è, quindi, di puro fatto e pertanto non vale, di per sé, a fondare la persi stenza dell'interesse al gravame malgrado la rimessione in liber
tà. La sopravvivenza rispetto a tale evento dell'interesse in esa me deve essere dunque verificata sotto il diverso profilo dell'e ventuale incidenza dell'istituto della riparazione per l'ingiusta detenzione sul regime delle impugnazioni, previste dagli art. 309, 310 e 311 c.p.p. avverso le ordinanze in tema di misure cautelari.
Si premette che detto istituto, introdotto sulla base della di
rettiva n. 100 dagli art. 314 e 315 c.p.p., riguarda esclusivamen
te la custodia cautelare, comprensiva, ex art. 284/5 c.p.p., an
che degli arresti domiciliari, restandone, invece, escluse le altre
misure coercitive o inter ditti ve.
Devesi, inoltre, precisare che, a mente dell'art. 314/1 c.p.p., la riparazione per l'ingiusta detenzione, è senz'altro assicurata
all'imputato che sia stato prosciolto con una delle formule enu
merate da detta norma le quali, come chiarito nella relazione
al progetto preliminare (pag. 78), «sono di per sé sufficienti
ad attestare ex post la sostanziale ingiustizia» della compressio ne della libertà personale. Al contrario, nei confronti dell'impu tato assolto con diversa formula ed allo stesso condannato il
diritto in discorso è subordinato dal 2° comma della medesima
norma al duplice presupposto che la misura cautelare detentiva
sia «formalmente» illegittima perché imposta e mantenuta in
assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli art. 273
e 280 c.p.p. e che, inoltre, questa illegittimità sia stata accertata
con una «decisione irrevocabile».
Per quanto attiene al primo presupposto, giova innanzi sotto
lineare che, fra le ipotesi di illegittimità formale elencate nel
cit. art! 273 c.p.p., rilevano, ai fini del 2° comma dell'art. 314,
soltanto l'assenza, all'epoca dell'applicazione o della conferma
della misura, di gravi indizi di colpevolezza, ovvero la presenza, in quella stessa data, di cause di non punibilità, di estinzione
del reato o di estinzione della pena che si ritenga irrogabile,
poiché, come rilevato nella relazione al progetto preliminare (pag.
78), la sussistenza di cause di giustificazione, implicando l'asso
luzione perchè il fatto non costituisce reato, rientra nella previ sione del 1° comma della medesima norma. La formulazione
letterale della norma in esame e la citata relazione, la quale valorizza l'ingiustizia «formale» della misura svincolata dall'e
sito del giudizio sul merito, rendono evidente che il condannato
ha diritto all'equa riparazione ove sussista una qualsiasi delle
cause di illegittimità enucleabili dal cit. art. 273, oltre, natural
mente, dall'art. 280 c.p.p.
Va, altresì', rilevato che, stante la tassatività della formulazio
ne dell'art. 314/2 c.p.p. non sono idonee a fondare il diritto
in esame sia la violazione dell'art. 274, relativo alle esigenze cautelari (cfr. Relazione al progetto definitivo, pag. 184) o l'i
nosservanza dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle
misure, enunciati nel successivo art. 275.
Infine, il secondo presupposto, concernente l'accertamento del
la illegittimità della misura detentiva mediante una «decisione
irrevocabile», integra il punto fondamentale di raccordo fra l'i
stituto della riparazione e l'interesse ad impugnare le ordinanze,
con le quali dette misure sono state applicate o mantenute. Il
problema posto dall'esatto significato dell'espressione «decisio
ne irrevocabile» consente in astratto tre diverse soluzioni. Oc
corre subito sgombrare il campo da quella secondo cui tale de
cisione dovrebbe essere adottata dallo stesso giudice competen
te, a norma degli art. 315 e 646 c.p.p., per il giudizio relativo
all'accertamento del diritto alla riparazione. Questa tesi invero
collide con la chiara formulazione del cit. art. 314, 2° comma,
dalla quale risulta che la decisione in esame integra il presuppo sto logico e cronologico di quest'ultimo giudizio e, quindi, do
vendo precederlo, deve essere necessariamente emessa nel corso
del procedimento penale instaurato per l'accertamento del reato.
Come si è già rilevato, secondo alcune pronunzie di questa
corte, la statuizione sull'illegittimità formale della misura do
vrebbe essere necessariamente contenuta nella medesima senten
za di merito conclusiva del giudizio sulla responsabilità. Ma neanche questa tesi, che pur presenta risvolti di verità,
può essere condivisa, se intesa nella sua assolutezza.
Al riguardo soccorre innanzi tutto l'interpretazione letterale
del cit. art. 314, che, mentre al 1° comma, collega il diritto
all'equa riparazione al proscioglimento con «sentenza» irrevo
cabile, al 2° comma, invece, impiega, rispetto al condannato, il termine più generico «decisione» irrevocabile, che, allude ad
una gamma di provvedimenti più ampia delle sole sentenze. Inol
tre, non va trascurato che la sussistenza dei gravi indizi al mo
mento dell'applicazione della misura cautelare o del rigetto del
l'istanza di revoca esula ontologicamente dal tema dei fatti de
voluti al giudice del merito, che è circoscritto all'accertamento
della responsabilità dell'imputato e dal quale esula il controllo
sulla legittimità dei provvedimenti de liberiate, ancorché conte
nuti nella sentenza di primo grado (Cass., sez. un., 23 novem
bre 1990, Santucci, id., 1991, II, 73). Infine non è consentito
argomentare in contrario dal disposto dell'art. 315/2 c.p.p., se
condo il quale la domanda di riparazione deve essere proposta entro un termine di decadenza decorrente dal giorno in cui la
sentenza di condanna o di assoluzione è divenuta irrevocabile.
Come sottolineato anche da un'autorevole dottrina, la scelta
della data dell'irrevocabilità della sentenza definitiva, quale dies
a quo per la decorrenza del termine, trova la sua ragion d'esse
re non già nel fatto che tale pronunzia debba contenere necessa
riamente la decisione irrevocabile, che è titolo del diritto alla
riparazione, ma più, in generale, nei limiti in cui l'esercizio di
tale diritto è stato circoscritto a seconda che si tratti di imputa to assolto con una delle formule di cui al 1° comma dell'art.
314, ovvero di imputato assolto con formula diversa o condan
nato. Come si è già avuto modo di ricordare, mentre nel primo
caso, tale diritto compete senza alcun limite (che non sia quello derivante dal concorso di dolo o colpa da parte dell'interessato
o quello quantitativo posto dall'art. 315/2 c.p.p.), nel secondo
caso, invece, lo stesso diritto non soltanto presuppone l'inosser
vanza degli art. 273 e 280 c.p.p., ma, ex art. 314, 4° comma, è escluso, fra l'altro, per quella parte della custodia cautelare
che sia computata nella determinazione della pena inflitta. Ne
deriva, pertanto, la necessità di attendere la pronunzia della sen
tenza definitiva per l'esatta definizione della causa petendi e
del petitum della domanda di riparazione. Vero è che in alcune ipotesi l'illegittimità della misura caute
lare, ai sensi del 2° comma del cit. art. 314, può risultare, in
modo implicito e tuttavia evidente, dalla stessa sentenza defini
tiva di merito. Ciò si verifica sicuramente nei casi in cui l'impu tato sia stato condannato per un reato diverso da quello conte
stato ed inoltre punito con pena edittale non superiore nel mas
simo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare risulti
ex post inflitta in violazione del cit. art. 280 c.p.p., ovvero nel
caso in cui l'imputato sia stato viceversa assolto perché il reato
era estinto sin dal momento di applicazione o conferma della
stessa misura. Ma trattasi di ipotesi marginali, per cui resta il
problema di individuare, per gli altri casi, ed in particolare per
l'ipotesi concernente la sussistenza dei gravi indizi di colpevo
lezza, la pronunzia idonea ad integrare la «decisione irrevocabi
le» di cui all'art. 314/2 c.p.p. Un'autorevole dottrina, pur af
fermando che siffatta decisione è costituita principalmente dalle
pronunzie emesse da tribunale o da questa corte nel procedi mento incidentale de libertate, sostiene che il giudice del merito
possa essere investito del potere di statuire in sentenza sulla le
gittimità della misura cautelare a seguito di una specifica do
manda di accertamento incidentale proposta a norma dell'art.
34 c.p.c. Ma, pur apprezzandone l'indubbia Originalità, il colle
gio non ritiene di condividere questa conclusione. Essa, invero,
si scontra con ostacoli che, in assenza di necessarie previsioni
normative, non appaiono superabili. Trattasi innanzi tutto del
l'innesto nel processo penale di una statuizione di accertamento
incidentale tipica del processo civile, la quale, per di più, inve
stirebbe una questione (la legittimità formale della misura cau
telare) che non è pregiudiziale, cosi come invece richiede il cita
to art. 34 c.p.c., rispetto alla questione principale devoluta al
giudice del merito (l'accertamento del reato). È non del tutto
inutile sottolineare che il rapporto di pregiudizialità, nel senso
richiesto dalla norma citata, non sussiste neanche nei casi, già
menzionati, in cui l'illegittimità formale della misura coercitiva
li Foro Italiano — 1994.
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PARTE SECONDA
risulta dalla stessa sentenza di condanna. In queste ipotesi, in
vero, tale rapporto opera in direzione contraria, poiché non è
l'illegittimità della misura a «pregiudicare» la statuizione finale
sul merito dell'accusa, ma precisamente l'opposto. Un ulteriore
ostacolo va, infine, individuato nella necessità — in cui lo stes
so giudice penale si troverebbe nella gran parte dei casi — di
dovere esaminare e valutare gli atti inclusi soltanto nel fascicolo
del p.m. al fine di controllare la sussistenza, o meno, degli indi
zi di responsabilità al momento dell'applicazione della misura,
in aperto contrasto con i principi che reggono l'attuale procedi
mento penale. Dalle suesposte considerazioni discende che la «decisione» ir
revocabile» — integrante ex art. 314/2 c.p.p. il titolo del diritto
alla riparazione — deve essere individuata nell'ordinanza, non
impugnata, adottata dal tribunale ex art. 309 e 310 stesso codi
ce in sede di riesame o di appello avverso il provvedimento de
libertate, ovvero nella pronunzia emessa da questa corte a se
guito di ricorso contro tale ordinanza, o in sede di ricorso per saltum contro lo stesso provvedimento applicativo della misura.
Alcune delle citate sentenze, che aderiscono al criticato indiriz
zo, oppongono che quelle pronunzie, in quanto adottate allo
stato degli atti, sono sprovviste del crisma dell'irrevocabilità.
Deve, però, rilevarsi che, secondo il prevalente orientamento
di questa corte, ribadito dalle sezioni unite, l'esigenza di evitare
un'illimitata reiterazione di provvedimenti o di richieste di revo
ca, incompatibile con l'economia processuale, giustifica il rico
noscimento anche alle pronunzie in esame di una sia pur limita
ta efficacia preclusiva di natura endoprocessuale fondata sul prin
cipio del ne bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p. (Cass., sez.
un., 1° luglio 1992, Grazioso, id., 1993, II, 290; 18 giugno 1993,
Dell'Olmo). Sulla base di tale principio è stato, infatti, affer
mato che soltanto un successivo, apprezzabile mutamento del
fatto consente sia la reiterazione di un'ordinanza applicativa di
misure cautelari, annullata dal tribunale del riesame per ragioni
di merito, con pronunzia non più soggetta a gravame; sia la
revoca, per inidoneità degli indizi, della medesima ordinanza, la quale sia stata, invece, confermata in sede di gravame o sia,
comunque, divenuta definitiva (cfr. sez. un. citate, nonché Cass.,
sez. I, 22 febbraio 1993, Corrado; sez. VI 21 luglio 1992, Cam
piello); nonché, infine, la reiterazione di una richiesta di revo
ca, qualora un'ordinanza di rigetto di una precedente istanza
sia stata confermata in sede di impugnazione (per tutte, Cass., sez. I, 10 marzo 1993, Rey). Ed anche ove si ritenga, con alcu
ne sentenze di questa corte, che il giudicato formatosi nel pro cedimento de libertate copra soltanto le circostanze dedotte e
valutate dal giudice, ma non anche il deducibile (Cass., sez.
V, 21 ottobre 1992, Giorgi; sez. VI 23 settembre 1992, Paradi
so) resta pur sempre che le pronunzie adottate in tale procedi mento posseggono, nei limiti derivanti dalla loro funzione, il
carattere dell'irrevocabilità, che ne permette l'inserimento nello
schema di cui all'art. 314/2 c.p.p. I principi sopra illustrati consentono di considerare nella giu
sta prospettiva il problema della persistenza, o meno, dell'inte
resse ad impugnare anche dopo la revoca dei provvedimenti in
tema di libertà.
È indubbio che, a norma dell'art. 568/4 c.p.p., applicabile anche alle misure cautelari, l'interesse all'impugnazione deve es
sere, come già rilevato, concreto ed attuale e, pertanto, non
può risolversi in una mera ed astratta pretesa alla esattezza teo
rica del provvedimento impugnato, priva di incidenza pratica nell'economia del procedimento.
Tuttavia, è a considerare che detto interesse deve essere valu
tato alla stregua dell'intero complesso delle norme che regolano
gli effetti dell'atto impugnato. Pertanto, se — per un verso —
l'effetto diretto e primario del provvedimento, che impone o
conferma la misura coercitiva, risolvendosi nella compressione della libertà personale e viene meno con la rimessione in libertà — per l'altro — dallo stesso provvedimento, se ingiusto deriva, ex art. 314 c.p.p., anche l'effetto ulteriore del diritto ad una
equa riparazione. E poiché soltanto la pronunzia adottata dal
tribunale per il riesame o dalla Corte suprema nel procedimento
Il Foro Italiano — 1994.
incidentale de liberiate può integrare — salvo le ipotesi sopra
indicate — la decisione irrevocabile, idonea, nei casi di proscio
glimento o di condanna di cui all'art. 314/2, a fondare tale
diritto, ne consegue che la revoca della misura non può incidere
sull'attualità dell'interesse a coltivare il gravame. Questa attua
lità, invero, persiste perché solo attraverso una pronunzia di
annullamento della misura nella sede indicata, l'indagato può
precostituirsi il titolo per chiedere, nelle fattispecie elencate dal
citato art. 314/2, un'equa riparazione per l'ingiusta detenzione.
L'impugnata ordinanza, avendo erroneamente dichiarato l'i
nammissibilità della richiesta di riesame per sopravvenuta ca
renza di interessi determinata dalla rimessione in libertà del ri
corrente, deve essere, quindi, annullata con rinvio.
Non può, invero, condividersi l'assunto, prospettato in me
moria, che la mancata pronunzia sul merito dell'istanza di rie
same nel termine di dieci giorni prescitto dall'art. 309, 9° com
ma e 10° comma, c.p.p. avrebbe comportato l'immediata per
dita di efficacia ab origine del provvedimento applicativo della
misura coercitiva e che, pertanto, l'accoglimento del ricorso im
porrebbe l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata
e del suddetto provvedimento.
Invero, mentre il 9° comma dell'art. 309 c.p.p. stabilisce che
il tribunale entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, se non
debba dichiarare l'inammissibilità della richiesta, annulla, rifor
ma o conferma l'ordinanza impugnata, il 10° comma, a sua
volta, dispone che l'ordinanza che applica la misura coercitiva
perde immediatamente efficacia se la decisione sulla richiesta
di riesame non intervenga nel termine prescritto. Dall'esegesi
combinata di tali disposizioni emerge chiaramente che la perdi ta di efficacia si verifica soltanto qualora nel suindicato termine
non sia adottata alcuna decisione e, pertanto, non ricorre allor
ché, invece, il tribunale abbia in qualsiasi modo pronunziato sulla richiesta di riesame, sia dichiarandone l'inammissibilità,
sia decidendo sulla sua fondatezza; e ciò anche nel caso in cui
tale pronunzia sia affetta da nullità (cfr. Cass., sez. un., 12
febbraio 1993, Piccioni, id., 1993, II, 403; sez. I 19 settembre
1988, Nicoli, id., Rep. 1989, voce Libertà personale dell'impu
tato, n. 212; sez. I 2 marzo 1983, Oliveri).
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 18
giugno 1993; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Gaz
zara (conci, conf.); ric. Rabiti. Annulla App. Bologna 17
maggio 1991.
Giudizio abbreviato — Sentenza ricorribile dal pubblico mini
stero — Appello dell'imputato — Appello incidentale del pub blico ministero — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art. 443).
Non può riconoscersi il potere di proporre appello incidentale
alla parte priva del potere di proporre quello principale; ne
consegue che, ove il pubblico ministero abbia appellato in
via incidentale una sentenza oggettivamente inappellabile per la parte pubblica a norma dell'art. 443, 3° comma, c.p.p.,
l'impugnazione incidentale deve essere dichiarata inammis
sibile. (1)
(1) La pronuncia pone termine al contrasto giurisprudenziale profila tosi in ordine all'ammissibilità dell'appello incidentale del pubblico mi nistero avverso le sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato, nelle
ipotesi in cui la titolarità del potere di proporre appello principale
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