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sezioni unite penali; sentenza 18 giugno 1991; Pres. Boschi, Est. Mele, P.M. Lombardi (concl.conf.); ric. Tallia. Annulla senza rinvio App. Torino 30 dicembre 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.151/152-155/156Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185913 .
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PARTE SECONDA
che lo esamina, un determinato avvenimento; c) la relazione
fra l'oggetto di tale rappresentazione e il thema decidendum
non è sempre palese, ma la maggiore, o minore, connessione
di esso con i fatti da accertare può risultare solo dopo un'atten
ta ed oculata valutazione.
D'altronde, la prova penale non è quasi mai monolitica, ma
si ottiene componendo, come in un mosaico, i vari frammenti
di verità (logica), collocando ciascuno nel posto che gli compe te. E, a tal fine bisogna stabilire, anzitutto, quale sia il grado di attendibilità di ogni singolo elemento, e poi verificare se,
per avventura, esso non venga neutralizzato da qualche altro, di significato opposto o incompatibile.
Dunque, al di là delle classificazioni teoriche, non è possibile
stabilire, nel processo penale, un ordine di precedenza fra prove dirette (o «storiche») e prove indirette (o «critiche»), poiché sia in relazione alle une, che alle altre, resta fondamentale l'at
tività raziocinante del giudice, che vale ad accertarne la credibi
lità e l'incidenza, e quindi a coordinarle adeguatamente allo scopo di pervenire ad un convincimento di colpevolezza o di innocen
za dell'imputato, o di mancanza di un fatto penalmente rilevan
te (Cass., sez. V, 8 giugno 1989, Monformoso, Foro it., Rep.
1990, voce Prova penale, nn. 19, 24). Tale attività dev'essere documentata nella motivazione per ga
rantire che il «libero convincimento» sia stato raggiunto, dal
giudice, attraverso un iter logico ineccepibile. È tutt'altro che infrequente, invero, il fatto che, nei congrui
casi, una pluralità di indizi può consentire al giudice di raggiun
gere livelli di «certezza» di gran lunga superiori a quelli resi
possibili da una o più prove «dirette». Questa ipotesi, ovvia
mente, si realizza soltanto se, e in quanto, gli indizi siano «gra
vi», vale a dire attendibili e convincenti, «precisi», e cioè univo
ci e non suscettibili di interpretazione diversa, altrettanto, o an
che più, verosimile, e «concordanti», perché non contrastanti
fra loro e con altre sicure emergenze processuali, ma anzi capa ci di integrarsi a vicenda, rendendo più efficace l'intero quadro
probatorio (v., da ultimo, Cass., sez. I, 30 gennaio 1991,
Vassallo). In ordine agli indispensabili requisiti degli indizi, testé indica
ti, sembra utile sottolineare che, da una parte, essi erano già da tempo entrati nel nostro patrimonio giurisprudenziale, per cui il 2° comma dell'art. 192 c.p.p. non fa altro che codificare
una prassi giudiziaria già consolidata, e, dall'altra, che, a ben
guardare, essi si addicono anche alle «prove». (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 18
giugno 1991; Pres. Boschi, Est. Mele, P.M. Lombardi (conci,
conf.); ric. Tallia. Annulla senza rinvio App. Torino 30 di
cembre 1988.
Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Ana
lisi — Preavviso — Termine (Cod. proc. pen. del 1930, art.
304 ter, 1. 10 maggio 1976 n. 319, norme per la tutela delle
acque dall'inquinamento, art. 15; 1. 24 dicembre 1979 n. 650,
integrazioni e modifiche delle leggi 16 aprile 1973 n. 171 e
10 maggio 1976 n. 319, in materia di tutela delle acque dal
l'inquinamento, art. 18).
In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, le operazioni di analisi dei campioni, avendo natura amministrativa, non
sono assoggettate agli adempimenti previsti dalle norme pro cessuali penali, tra cui quello relativo al rispetto del termine
dilatorio di ventiquattro ore tra il momento del prelievo e
quello delle analisi (in motivazione, viene precisato che —
in ossequio al principio di ragionevolezza — il detto termine
Il Foro Italiano — 1992.
non deve comunque essere cosi ridotto da rendere solo fitti
zio il diritto del titolare dello scarico a partecipare agli accer
tamenti di laboratorio). (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 30 dicembre
1988 la Corte d'appello di Torino confermava quella del Preto
re di Biella del 25 marzo 1988, con la quale Tallia Gastone,
nella qualità di rappresentante legale della s.p.a. f.lli Tallia di
Delfino, era stato condannato alla pena di mesi uno e giorni venti di arresto per violazione dell'art. 21, 3° comma, 1. 10 mag
gio 1976 n. 319 per avere scaricato nel corpo idrico ricettore
del rio Valtrucco reflui liquidi provenienti dalla lavorazione del
l'impresa predetta, con caratteristiche chimiche eccedenti la ta
bella A allegata alla legge, relativamente ai parametri 7, 8 e 45.
Contro tale sentenza ha prodotto ricorso per cassazione il
Tallia (omissis) Con un secondo motivo deduce quanto già sottoposto alla
valutazione della corte d'appello, rilevando l'inesattezza dell'as
sunto negativo della natura processuale dell'analisi dei campio ni. Pur non volendo ritenere trattarsi di vera e propria perizia, sarebbe stato comunque doveroso applicare la normativa di cui
all'art. 304 ter, 1° comma, c.p.p. allora vigente, in omaggio
all'interpretazione fornita in materia dalla Corte costituzionale
con le decisioni n. 148 del 1969 (Foro it., 1970, I, 10), quanto
al valore degli accertamenti tecnici della polizia giudiziaria, e
n. 248 del 1983 (id., 1984, I, 371), circa l'obbligo dell'avviso con modalità non diverse da quelle previste nella norma proces suale ricordata, ivi compreso il termine dilatorio di ventiquattro ore.
(1) I. - La pronuncia — benché connessa alle norme del c.p.p. del
1930 — affronta alcune questioni ermeneutiche tuttora importanti, con
cernenti l'attività di campionamento e di analisi dei reflui. Di queste, innanzitutto, viene ribadita la natura strettamente amministrativa (co me opinato anche da Corte cost. 26 giugno 1990, n. 330, Foro it.,
1991, I, 32, con nota di Giorgio, cui si rinvia per i conformi richiami
della giurisprudenza di legittimità) e la conseguente inapplicabilità del
termine dilatorio (desunto dall'art. 304 ter c.p.p. del 1930) di ventiquat tro ore tra l'esecuzione dell'una e, poi, dell'altra.
II. - È noto che l'art. 223 disp. att. c.p.p. del 1988 ha escluso la
natura endoprocedimentale di ogni attività di prelievo svolta motu pro
prio da organi della pubblica amministrazione, stabilendo a favore del
privato interessato la [limitata] garanzia difensiva del necessario preav viso circa la data ed il luogo di esecuzione delle analisi (irripetibili) di laboratorio (per richiami di dottrina, cfr. sub I e VII la nota cit. di Giorgio a Corte cost. 26 giugno 1990, n. 330, nonché per auspici de iure condendo, v. sub II della nota di Paone a Corte cost. 10 otto bre 1990, n. 434, ibid., 22-23 ss.). Non è stata, invece, prefissata l'am
piezza (legale) del lasso di tempo, che deve intercorrere tra il momento
del campionamento e quello dei riscontri di laboratorio, la cui (maggio re o minore) durata — attesa la sua (persistente) estraneità alle norme
processuali (ora, gli art. 360 e 364, 2° comma, c.p.p. del 1988) — è, di fatto, affidata alla discrezionalità degli organi delle Usi competenti in materia.
III. - È, peraltro, evidente che l'assegnazione di un ristrettissimo ter mine di preavviso (ad horas, per esempio) può radicalmente affievolire
o, comunque, rendere molto difficile l'attuazione del contraddittorio in sede di analisi di laboratorio. La Suprema corte, in proposito, ritiene
censurabili, in virtù del «principio di ragionevolezza», l'assegnazione al titolare dello scarico di un termine cosi ristretto da rendere «fittizio ed apparente» e comunque «non produttivo» l'esercizio del («minimo») diritto difensivo de quo.
Resta, dunque, aperta la possibilità di un sindacato di legittimità in subiecta materia del giudice penale, cui sostanzialmente spetta accertare che i comportamenti degli organi della pubblica amministrazione siano
rispettosi sia del principio di «imparzialità», sancito dall'art. 97 Cost., sia dei limiti difensivi dei privati (anche nell'ambito dei procedimenti amministrativi), a mente dell'art. 24 Cost.
Tuttavia, tale (incidentale) tutela giurisdizionale, se pur apprezzabile, non può ritenersi del tutto soddisfacente, poiché solo la fissazione di
parametri (cronologici) predeterminati dal legislatore sarebbe idonea a
convogliare l'ampia discrezionalità degli organi pubblici in binari certi e più vincolanti (in proposito, cfr. anche Giarda, Prelievo, campiona mento ed analisi di acque e legge Merli: alcune precisazioni della Corte
costituzionale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, 1614 ss., spec. 1616). E, d'altronde, il giudice è (fisiologicamente) un legislatore «sciancato», che non può — come tale — colmare le (obiettive) lacune normative.
Peraltro, in subiecta materia non sarebbe auspicabile un contenzioso
giudiziario conseguente alla (pretesa) mancata fruizione di qualche ora
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GIURISPRUDENZA PENALE
Il ricorso, essendo stato evidenziato un contrasto di decisioni, è stato assegnato a queste sezioni unite, anche in relazione al
testo dell'art. 618 del nuovo codice di rito.
Motivi della decisione. — (Omissis). Queste sezioni unite de
vono, pertanto, risolvere l'unico quesito posto ritualmente, che
è quello attinente alla pretesa illegittimità della procedura adot
tata in materia, sulla premessa, peraltro, che dall'accoglimento del motivo possa discendere il pieno proscioglimento dell'impu tato ex art. 152, cpv., c.p.p. previgente, essendo il reato pre scritto sin dal 7 aprile 1991.
Sul punto va preliminarmente osservato che la giurisprudenza di questa Suprema corte è pressoché uniforme, se si eccettua
un'isolata decisione (sez. Ili 21 settembre 1987, Guidotti, id.,
Rep. 1988, voce Acque pubbliche, n. 145), nella quale, peraltro
apoditticamente, viene asserito che la dichiarazione di illegitti mità costituzionale dell'art. 15, 7° comma, 1. 319/76, come so
stituito dall'art. 18 1. 650/79, nella parte in cui non prevede l'avviso al titolare dello scarico perché possa presenziare, even
tualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, all'esecu
zione delle analisi, comporta per analogia l'applicazione del di
sposto dell'art. 304 ter, ivi compresa l'osservanza del termine
non inferiore a ventiquattro ore. Ma va anche chiarito che la
stessa sentenza fa espressa riserva di tale innovazione con l'inci
so «per quanto è possibile» e deduce che in ogni caso l'assegna zione di un termine inferiore non comporta una nullità ricondu
cibile al regime di cui all'art. 186, n. 3; ma soltanto a quella
regolata dagli art. 377 e 401 c.p.p.
in più, dedotta come necessaria, per l'effettivo esercizio del diritto di
fensivo de quo. Invero, la scelta dell'autorità giudiziaria sarebbe co
munque opinabile e non è da escludersi che — a seconda delle opzioni
(più o meno «verdi») dei singoli giudici — un termine dilatorio di due
tre ore possa magari essere ritenuto presso qualche pretura e/o corte
d'appello congruo e, al contrario, iugulatorio presso altri uffici giudi ziari: il tutto, ad onta del principio di certezza del diritto, la cui impor tanza — nell'ambito della normativa antinquinamento — è stata recen
temente sottolineata anche da Corte giust. 28 febbraio 1991, causa 360/87
(Foro it., 1991, IV, 321 ss., spec. 329, con note di Giorgio ed Amendola). In argomento, va ricordato che secondo Cass. 7 gennaio 1991, Bel
lucci, Cass, pen., 1991, 1829, un lasso temporale di pochissime ore tra
il prelievo del refluo (effettuato, nel caso di specie, alle ore 21,20) e
le analisi di laboratorio (disposte per l'indomani mattina, alle ore 9.00)
comporta la nullità del risultato delle analisi.
IV. - La natura (normalmente) amministrativa del prelievo e delle
successive analisi è stata ribadita da Cass. 6 aprile 1990, Cortese, Riv.
pen., 1991, 301; 15 giugno 1990, Trivella, ibid., 521 e 10 dicembre 1990,
Cappio, ibid., 1331. Quanto al preavviso, è stato sottolineato che esso
deve indicare precisamente luogo e data delle operazioni (Cass. 28 mag
gio 1990, Tassi, ibid., 411); mentre la sua omissione è stata valutata
come fonte (solo) di una nullità relativa, sanabile se non dedotta prima delle formalità di apertura del dibattimento da Cass. 11 luglio 1990,
Lori, ibid., 521, a differenza — tra i giudici di merito — di App. Tren
to 6 giugno 1990, ibid., 63, secondo cui invece sarebbe configurabile una ipotesi di nullità assoluta, con conseguente radicale inutilizzabilità
delle analisi. V. - Vanno, infine, segnalate due pronunce, che possono suscitare
qualche perplessità: secondo la prima, la consegna di un avviso ad un
dipendente del titolare dello scarico, presente al prelievo, può ritenersi
legittima, quando «possa presumersi» che in tal modo l'interessato ven
ga poi tempestivamente informato (Cass. 15 giugno, Trivella, cit.). Per
la seconda, invece, anche le guardie comunali possono procedere al pre lievo di campioni di acque reflue, trattandosi di un atto di controllo
amministrativo doveroso di competenza di tutta la polizia giudiziaria — a differenza delle analisi, che richiedono una specializzazione tecnica — Cass. 27 settembre 1991, Dalmazzo, inedita, ma richiamata da Po
stiglione, Traffico urbano: parcheggi a tutela dell'ambiente, in La po lizia municipale, 1991, fase. 21, 20 ss., spec. 23 (estensore della stessa). Sul punto, in dottrina, sostanzialmente conforme è la posizione di Landi
Santoloci, Tecnica di polizia giudiziaria ambientale, Roma, 1991, 94-95;
diversamente, cfr. Amendola, La tutela penale dell'inquinamento idri
co, Milano, 1989, 329-330, secondo cui sarebbe «preferibile» optare
per la tesi della esclusiva competenza dei funzionari dei servizi ambien
tali multizonali, delle Usi, salvo il libero apprezzamento del giudice cir
ca la capacità professionale di altri prelevatori. Invece, per P. e F. Giam
pietro, Rassegna critica della giurisprudenza sull'inquinamento delle
acque e del suolo, Milano, 1985, II, 1828-1836, non va esclusa la possi bilità d'intervento in subiecta materia anche dei funzionari ispettivi dei
servizi d'igiene ambientale (di base) delle Usi. [G. Giorgio]
Il Foro Italiano — 1992.
Tutte le altre decisioni in materia sono, come si diceva, di
segno contrario, non rinvenendosi nullità alcuna in tale ultima
ipotesi, sulla base della presupposta inapplicabilità dell'art. 304
ter c.p.p. previgente.
Tuttavia, essendo sempre auspicabile un costante indirizzo in
terpretativo di questa Suprema corte, e in obbedienza alle linee
generali cui si ispira l'art. 618 del nuovo codice di rito, tendente
a prevenire eventuali contrasti (disposizione che, al di là della
possibile applicazione della norma al caso concreto, rappresen ta una linea di tendenza legislativa che non può essere trascura
ta dall'interprete) appare opportuna una ripetuta riflessione sul
la validità dei principi sin qui affermati, al fine di rivederne
la portata o di confermarne il valore.
Il discorso deve prendere le mosse dalla sentenza n. 248 del
1983 della Corte costituzionale, che, occupandosi della norma
in argomento cosi come fino allora interpretata, ebbe a dichia
rare incostituzionale l'art. 15, nella parte in cui non prevedeva che il laboratorio di igiene e profilassi desse avviso al titolare
dello scarico perché questi potesse presenziare, eventualmente
con l'assistenza di consulente tecnico, all'esecuzione delle analisi.
A tale conclusione la corte perveniva con una sintetica, ma
efficace motivazione, nella quale, distinguendo i due momenti
del prelievo (per il quale confermava l'inesistenza ovvia di al
cun obbligo di preavviso) e dell'analisi, esprimeva due proposi
zioni, che devono essere tenute ben presenti ai fini della decisione:
1) che le acque campionate debbono essere esaminate con la
massima tempestività, stante la potenziale loro deteriorabilità;
2) che le analisi di laboratorio, assumendo particolare effica
cia probatoria, costituiscono un vero e proprio accertamento,
nella sostanza assimilabile ad una perizia. Tali principi venivano ripetuti nella sentenza n. 469 del 1988
{id., Rep. 1988, voce Regione, n. 340), nella quale si riafferma
va che la doverosa massima tempestività dell'accertamento, com
portandone l'irripetibilità nel corso del successivo procedimen
to, rendeva «necessaria una pronta e quindi immediata tutela
del diritto di difesa, a sua volta realizzabile soltanto con l'avvi
sare dell'inizio delle operazioni d'analisi chi dal loro esito sfa
vorevole potrebbe risultare irrimediabilmente pregiudicato», ter
minando con un dispositivo del tutto eguale a quello della pre cedente decisione.
Il discorso è stato infine completato dalla stessa Corte costi
tuzionale con la sentenza n. 434 del 1990 id., 1991, I, 21), nella
quale esplicitamente si affermava, con riferimento a precedenti decisioni (sentenze n. 149 del 1969, id., 1970, I, 8 e n. 15 del
1986, id., 1986, I, 2727) che la mancata osservanza degli art.
390, 304 bis, ter e quater c.p.p. comportava contrasto con il
diritto di difesa in occasione della revisione delle analisi, ma
non in relazione allo svolgimento precedente delle stesse, conse
guenti al prelievo. Dal quadro delle sentenze sopra riportate — e non potendosi
evidentemente dare efficacia estensiva alle decisioni abrogatrici della corte delle leggi, che implicano la concreta cancellazione
di normative preesistenti — emergono in maniera limpida alcu
ne proposizioni che conviene qui richiamare anche ai fini di
un inquadramento dell'attività di analisi dei campioni. L'avere la corte ritenuto tali operazioni soltanto assimilabili
alla perizia dimostra come ad esse sia stato negato il carattere
vero e proprio di accertamento processuale, che, se riconosciu
to, avrebbe comportato anche l'applicazione di tutte le norme
che disciplinano tale istituto e non solo di quelle garantistiche
alle quali si è fatto riferimento dalla difesa. II che non è senza
ragione, posto che il contributo al convincimento del giudice
riguarda un atto che rimane amministrativo perché è al di fuori
del processo, eseguito da soggetti che non rivestono la qualifica
di ufficiali di polizia giudiziaria e svolto in una sede certamente
extraprocessuale. L'assimilabilità rimane per questo circoscritta
ad un particolare modo di atteggiarsi del diritto di difesa, in
relazione al quale, in nessun caso si fa riferimento alla nomina
di un difensore, ma a quella di un consulente tecnico, proprio
per il manifesto intento di consentire alla persona interessata
di opporre alle cognizioni tecniche di chi le analisi esegue quelle
dello stesso genere di un esperto di sua fiducia; e non altro.
Era evidente d'altronde, sin dalle prime decisioni, che, con
l'assimilazione alla perizia, si intendeva garantire solo quella
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PARTE SECONDA
limitata attività di difesa avanzata, che, esercitandosi fuori del
processo, non poteva essere la stessa di quella prevista nel codi
ce di procedura penale per le attività istruttorie vere e proprie. Se diversamente avesse voluto intendere la Corte costituzio
nale, sarebbe stato sufficiente (come poi abbiamo visto aver
fatto per altra ipotesi) il doveroso riferimento proprio a quelle norme del genere dell'art. 304 ter, che qualificano in modo pre ciso le attività difensive non solo consentite, ma spesso necessarie.
Se qualche dubbio fosse rimasto in ordine a siffatta interpre
tazione, questo deve ritenersi completamente fugato dall'ultima
citata decisione della Corte costituzionale del 1990, dove vi è
esplicito richiamo, ad altri fini, proprio a tale categoria di nor
me, sicché si può con sicurezza escludere che nelle precedenti
decisioni, con il solo riferimento all'avviso da dare all'interessa
to, si intendesse richiamare tutta la disciplina attinente alle ga ranzie che circondano la perizia. Non solo, ma dal contesto
delle sentenze richiamate, nelle quali si fa sempre riferimento
all'urgenza nel disporre le analisi a causa della deteriorabilità
del campione, emerge in maniera evidente come ciò che in nes
sun caso si intendeva richiedere era il termine previsto nel 1°
comma dell'art. 304 ter di non meno di ventiquattro ore, tempo che è noto essere sufficiente in taluni casi ad alterare alcune
componenti frequentemente riscontrate in acque inquinate.
Questo non significa — ed in ciò è indiscutibile l'esattezza
delle considerazioni di opportunità svolte dalla difesa — che
tra il momento dell'avviso e quello dell'espletamento dell'anali
si possa intercorrere un termine cosi ridotto da renderlo fittizio,
apparente e comunque non produttivo perché inidoneo all'ap
prestamento di quel minimo di difesa previsto dalla legge nella
lettura corretta della norma che ne ha fatto la Corte costituzio
nale, perché ciò vanificherebbe in concreto la stessa ragione del
l'avviso. Sicché non si può escludere che in talune ipotesi sia
possibile dimostrare l'assoluta inidoneità del termine assegnato in relazione alla non deperibilità delle acque per ricavarne la
impossibilità del concreto, se pur limitato esercizio del diritto
di difesa. Ma è evidente che questo riguarda un principio di ragionevo
lezza. Esso non trova alcun aggancio né logico, né normativo
nel 1° comma dell'art. 304 ter, nel senso di ritenere che, con
la scelta delle ventiquattro ore, il legislatore abbia inteso fornire
un canone interpretativo, intorno al quale far ruotare l'indivi
duazione anche di altri termini o imporre al giudice di chiarire
le ragioni per le quali da tale termine si sia eventualmente disco
stato. Un'affermazione del genere finirebbe per ridare indiretta
mente alla norma in argomento e al termine ivi fissato quel valore di regola, cui seguirebbe un obbligo di motivazione inte
so a giustificare le ragioni per le quali ci si sia discostati per avventura da quest'ultimo. Poiché invece la pretesa regola non
ha nella materia della quale ci si occupa alcuna applicazione, è evidente l'insussistenza di qualsiasi dovere di motivazione per
ipotesi che finirebbero con l'essere catalogate come eccezioni di fronte ad una regola che invece non esiste.
Nel caso di specie peraltro, essendosi il prelievo esaurito in
torno alle ore 12 e le analisi iniziate alle ore 9 del giorno succes
sivo, il lasso di tempo intercorso è stato di sole tre ore inferiore
alle ventiquattro, termine quindi più che valido per il reperi mento di un consulente e per il suo intervento; sicché non è
possibile rinvenire alcun motivo di illegittimità neanche sotto il profilo della sostanziale validità del termine assegnato.
Dovendosi quindi, per le ragioni sin qui esposte, escludere
la possibilità di applicazione dell'art. 152, cpv., codice previ
gente, che presuppone la evidenza dell'innocenza dell'imputato, si deve far luogo alla dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Il Foro Italiano — 1992.
1
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 7 giu
gno 1991; Pres. Boschi, Est. Moro, P.M. Martusciello
(conci, diff.); ric. P.m. in causa Morra. Conferma Trib. Na
poli, ord. 31 ottobre 1990.
Misure cautelari personali — Fermo — Omessa convalida —
Applicazione di misura cautelare — Interrogatorio — Termi
ne di cinque giorni — Decorrenza dalla data del fermo (Cod.
proc. pen., art. 294).
In caso di fermo non seguito da procedimento di convalida (per cui non fu effettuato autonomo interrogatorio) e di successi
va emissione e notificazione di provvedimento di custodia cau
telare, il termine entro il quale il giudice per le indagini preli minari deve procedere all'interrogatorio ai sensi dell'art. 294
c.p.p. decorre dalla data del fermo e non già dal momento
in cui è stato notificato il provvedimento con cui si disponeva la custodia cautelare. (1)
II
PRETURA DI MATERA; ordinanza 22 febbraio 1991; Giud.
Vetrone.
Misure cautelari personali — Fermo — Pericolo di fuga — Re
quisiti (Cod. proc. pen., art. 384, 391).
Il pericolo di fuga di cui è menzione nell'art. 384 c.p.p. non
deve essere valutato astrattamente in relazione al titolo e alla
gravità del reato, in quanto la norma richiede quale condizio
ne legittimatrice, tra le altre, quella che sussistano precise cir
costanze di fatto tali da far ritenere probabile la fuga del
soggetto da sottoporre al fermo. (2)
I
Rilevato a) che Morra Carmine è stato fermato dai carabinie
ri di Napoli il 15 settembre 1990 ai sensi dell'art. 384; b) che
non è seguito un procedimento di convalida del fermo ma è
stata emessa e notificata il 17 settembre 1990 all'indiziato una
ordinanza cautelare di custodia in carcere per gli stessi fatti per i quali il Morra era già stato fermato e cioè i reati di cui agli art. 71 e 71 bis legge stupefacenti e successive modifiche; c) che l'interrogatorio dell'imputato avvenne il 21 settembre suc
cessivo; d) che conseguentemente la difesa dell'imputato, consi
derando come dies a quo il giorno del fermo e non quello della
notifica dell'ordinanza cautelare, ha chiesto la rimessione in li
bertà essendo trascorso il termine perentorio di cui all'art. 294;
e) che l'istanza veniva rigettata dal g.i.p.; f) che il Tribunale
di Napoli, in sede di riesame, ha invece ritenuto fondata la tesi difensiva proposta ed ha, pertanto, revocato la misura cautelare
della custodia in carcere sostenendo: — che il termine per effettuare l'interrogatorio dell'imputato
in vinculis decorre dal momento della privazione della libertà
personale indipendentemente dal titolo della custodia; — che comunque — data l'irritualità dell'avviso al difensore
di fiducia poiché il verbale di notifica al difensore non indicava
l'indiziato che doveva essere interrogato né il procedimento re
lativo — sicuramente nullo è l'interrogatorio reso dal Morra
(1) Questione controversa. In senso conforme, v. Cass. 12 febbraio 1991, Fardella, Cass, pen.,,
1991, II, 601; 24 maggio 1990, P.m. in c. Magnotta, Giur. it., 1990, II, 355; 12 marzo 1990, Savio, Foro it., 1990, II, 481; contra, Cass. 31 gennaio 1991, Napoli, Cass, pen., 1991, II, 604; 23 agosto 1990, Pranno, Arch, nuova proc. pen., 1991, 286; e, in dottrina, Spangher, Fermo non convalidato e termine per l'interrogatorio ex art. 294 c.p.p., in Cass, pen., 1991, II, 601.
(2) Nello stesso senso, v. Cass. 25 giugno 1990, Pardo, cit. da Guari
niello, Il nuovo codice di procedura penale: un anno di applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in Foro it., 1990, II, 581, n. 58; 27 marzo 1991, Matina, Arch, nuova proc. pen., 1991, 413; e, in dottrina, D'Ambrosio-Vigna, Polizia giudiziaria e nuovo processo penale, Roma, 1989, 304; D'Ambrosio, in Commento ai nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, 404, sub art. 384; Nappi, Guida a! nuovo codice di procedura penale, 2a
ed., Milano, 1991, 166.
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