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Rivista di giurisprudenza amministrativaSource: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1990),pp. 449/450-451/452Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183045 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Sotto tale profilo va anzi sottolineato come, correttamente ri
sultano richiamati, nel preambolo dello stesso d.m., sia gli art.
I e 20 r.d. 4 agosto 1913 n. 1068 come modificati dal d.p.r. 29 dicembre 1987 n. 556, che l'art. 7, ultimo comma, del d.p.r. 3 marzo 1975 n. 138.
Le disposizioni del d.p.r. n. 556, sopra riconosciute legittime, richiedevano infatti che le limitazioni da esse apportate al campo di applicazione delle disposizioni degli art. 1 e 20 del regolamento n. 1068 del 1913 venissero concretamente definite con atto del
ministro del tesoro specificativo dei casi e delle modalità di nego ziazione dei titoli di Stato ai quali andava circoscritta l'inapplica bilità degli stessi art. 1 e 20, cosi dando compiutezza alla previ sione limitativa.
Il d.m. 8 febbraio 1988 si appalesa legittimo anche per quanto concerne l'individuazione dei partecipanti alle negoziazioni da es
so disciplinate (nel cui novero non sono ricompresi gli agenti di
cambio). Alle considerazioni più sopra esposte circa la natura e l'esten
sione dei poteri del ministro del tesoro in materia, deve infatti
aggiungersi che gli art. 38 e 39 1. 30 marzo 1981 n. 119 (legge finanziaria 1981) hanno autorizzato in via generale (e quindi non
soltanto per quanto concerne l'anno 1981) il ministro stesso «ad
effettuare operazioni di indebitamento nel limite annualmente ri
sultante nel quadro generale di competenza» attribuendogli —
anche attraverso il richiamo alle disposizioni della 1. 27 dicembre 1953 n. 941, e a quelle del d.l. 28 gennaio 1958 n. 8 (convertito nella 1. 23 febbraio 1958 n. 84) — il potere di determinare le condizioni e modalità relative al collocamento dei titoli emessi
e, pertanto, anche quello di determinare i possibili futuri acqui renti. L'art. 39 prevede anzi, sia pure relativamente ai soli Bot,
che i decreti del ministro del tesoro possano contenere norme
«a modificazione, ove occorra, di quelle previste dal regolamento di contabilità generale dello Stato».
Appare, pertanto, confermato, in modo inequivocabile, che in
materia di titoli di Stato il ministro del tesoro ha poteri estrema
mente ampi, anche per quanto concerne i soggetti da far parteci
pare al mercato primario, e cioè — vale la pena di ripetere il
concetto — in materia di scelta dei soggetti (o delle categorie di soggetti) ai quali vendere i titoli emessi e che, in punto di
fatto, di tale potere egli faccia concretamente esercizio, operan
do, tra l'altro, per quanto riguarda il collocamento delle varie
specie di titoli, una differenziazione tra gli operatori ammessi a
partecipare all'asta.
Se, rispetto al mercato primario dei titoli di Stato, va senz'al
tro riconosciuta in capo al ministro del tesoro una latissima di
screzionalità in ordine ai soggetti che possono parteciparvi, am
pliandone o restringendone il numero, in relazione alle specifiche finalità di politica economica che ogni emissione di titoli di Stato persegue, non può certamente essergli negata la facoltà di indivi
duare fette di mercato secondario dei titoli di Stato, da assogget tare a specifica disciplina per ragione e finalità di politica econo mica, attraverso la preventiva individuazione dei soggetti in esso
operanti. A questo punto, la domanda dei ricorrenti circa le ragioni della
loro esclusione dal nuovo sistema la cui introduzione è stata legit timata dal d.p.r. n. 556 ed è stata attuata dal d.m. 28 febbraio
1988, trova una duplice risposta:
a) la latissima discrezionalità, riconosciuta al ministro del teso
ro, in ordine alla definizione del mercato dei titoli di Stato, rende
legittima la restrizione della disciplina a quel segmento di merca
to secondario, di cui si tratta, che si svolge, per grosse partite,
spesso prima della quotazione in borsa dei titoli stessi, ai soli
grandi operatori finanziari.
b) la natura del mercato considerato dagli atti impugnati: come
si è più volte osservato, esso è un mercato che si svolge tra opera
tori in proprio, secondo una soluzione determinata da ragioni
economiche, rispetto al quale non è per definizione configurabile la partecipazione degli agenti di cambio.
Va inoltre osservato che le considerazioni sin qui esposte con
sentono di affermare che la disciplina dettata dal d.m. 8 febbraio
1988 non si pone in contrasto con le altre disposizioni o principi di legge richiamati dai ricorrenti nel ricorso n. 1810/88 e che,
pertanto, non si rendeva necessario ricorrere allo strumento legis
lativo per dare la corretta forma giuridica al contenuto della di
sciplina medesima.
II Foro Italiano — 1990.
Appare comunque opportuno soffermarsi sull'affermazione fatta
dai ricorrenti — peraltro, non senza contraddizioni sul punto —
circa l'invasione della sfera di potestà della Consob ad opera del
ministro del tesoro. La competenza di questa concerne il settore
della borsa (art. 3 d.l. n. 95 del 1974, convertito con 1. n. 216
del 1974, come sostituito da ultimo dall'art. 5 1. n. 281 del 1985; art. 7, 1° comma, d.p.r. n. 138 del 1975) e quelle forme di mer
cato ad accesso indiscriminato che come tali interessano diretta
mente il pubblico (art. 18 stesso d.l. n. 95 del 1974 come sostitui
to dall'art. 12 1. n. 77 del 1983) cioè la massa indistinta di rispar miatori (il c.d. «risparmio diffuso»), rispetto alle quali, proprio per tale ragione, si pone l'esigenza — che l'azione della Consob
tende a soddisfare — di un controllo sulla regolarità dell'anda
mento degli affari e di assicurare chiarezza e completezza di in
formazione sui soggetti che attivano il mercato e sui prodotti trat
tati. Il mercato disciplinato con gli atti impugnati è ristretto inve
ce ad alcune categorie di soggetti che si collegano tra di loro
in circuito telematico: non presentando le esigenze anzidette, il
controllo di tale mercato esula dalle finalità istituzionali della Con
sob e, pertanto, non rientra nell'ambito delle competenze della
stessa.
I ricorsi in epigrafe vanno respinti.
Rivista di giurisprudenza amministrativa
Regione — Veneto — Contestazione circa ia determinazione di
confini comunali incidenti sul territorio regionale — Compe
tenza — Questione non manifestamente infondata di costitu
zionalità (Cost., art. 5, 132; r.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u.
della legge comunale e provinciale, art. 267).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 267 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, nella parte in cui attribuisce al presidente della repubblica, anziché al parla
mento, il potere di decidere, con proprio decreto, modificazioni
della linea confinaria tra comuni che si risolvono in modificazio
ni dei confini provinciali e regionali, in riferimento agli art. 5 e 132 Cost. (1)
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; sezione I; or
dinanza 20 dicembre 1989; Pres. De Roberto, Est. Di Napoli; Comune Rocca Pietore c. Pres. cons, ministri ed altri.
(1) La presente ordinanza rappresenta previdibile sviluppo di Corte cost.
30 giugno 1988, n. 743, Foro it., 1988, I, 3184, con nota di richiami e osservazioni di E. Rossi, I giuristi alla conquista della Marmolada, com
mentata da Angiolini, Conflitto costituzionale di attribuzioni e controin
teressato: la corte (forse) fa il primo passo, in Regioni, 1989, 1171.
Con quella pronuncia, la corte aveva respinto la richiesta di annulla
mento, proposta dalla regione Veneto, di un decreto del presidente della
repubblica (29 maggio 1982) con il quale venivano definiti i confini tra
i comuni di Rocca Pietore e Canazei, e perciò tra le province di Belluno
e di Trento, e perciò ancora tra le regioni Veneto e Trentino-Alto Adige. La corte ebbe allora facile gioco nel negare l'intervento richiestole dalla
regione Veneto motivando sulla base dell'errata prospettazione del ricor
so, con il quale si chiedeva l'annullamento dell'atto in virtù di una sup
posta illegittimità costituzionale della disposizione legittimante. La sen
tenza riconobbe infatti che non di un conflitto si trattava, ma di una
questione di costituzionalità con riguardo alla quale, peraltro, la stessa
corte avrebbe potuto sollevare, come giudice a quo, la relativa questione: cosa che invece non fece, motivando su una presunta (e assai discutibile) «irrilevanza» della questione nel giudizio in corso.
Puntualmente, nella prima occasione in cui la vicenda è tornata davan
ti ad un giudice, la questione è stata risollevata, questa volta corretta
mente: e cioè come questione di costituzionalità di una disposizione con
tenuta in un atto con forza di legge per presunto contrasto con i principi costituzionali che richiederebbero, a giudizio dell'autorità rimettente, un
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PARTE TERZA
intervento legislativo e non un atto del potere esecutivo (quale è il d.p.r. in questione, secondo quanto stabilito anche da Corte cost. 31 dicembre
1986, n. 298, Foro it., 1987, I, 674). La corte ha ora la possibilità di risolvere definitivamente la questione,
riconoscendo se l'art. 267 r.d. 383/34, che attribuiva al re la decisione
in ordine alla contestazione di confini, va interpretato, a seguito dell'av
vento della Costituzione repubblicana, come legittimazione dell'interven to del presidente della repubblica ovvero come necessità di un coinvolgi mento del parlamento. Comunque essa decida, la corte dovrà rivedere
l'affermazione contenuta nella sentenza sopra richiamata, secondo cui il problema in oggetto viene a concernere «un ipotetico conflitto tra re
gioni», essendo invece evidente che un intervento dello Stato deve esservi, salvo poi stabilire se esso sia di competenza del potere legislativo o di
quello esecutivo. Sui problemi connessi alla definizione dei confini territoriali nell'ordi
namento interno, v. ora Pedrazza Gorlero, in Commentario della Co
stituzione a cura di Branca e proseguito da Pizzorusso, Bologna-Roma, 1990, sub art. 132, 133. [E. Rossi]
* * *
L'ordinanza è cosi motivata: 1 ricorsi, soggettivamente ed oggettiva mente connessi, vanno riuniti.
Prima di ogni altra censura va esaminata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 267 t.u. 3 marzo 1934 n. 383, da cui trae origine il provvedimento impugnato (d.p.r. 29 maggio 1982 che ha accolto il
ricorso per contestazione di confini proposto dal sindaco di Canazei),
legittimità posta in dubbio sia dalla difesa della regione Veneto sia da
quella del comune di Rocca Pietore.
Al riguardo è pertinente ricordare che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 743/88 (Foro it., 1988, I, 3184, che ha respinto il conflitto
di attribuzioni contro lo Stato promosso dalla regione Veneto in relazio
ne al medesimo d.p.r. 29 maggio 1982), dopo aver dato atto della perdu rante vigenza dell'art. 267 (quando la lite confinataria insorga fra comuni di regioni diverse), non ha tuttavia escluso la possibilità di un contrasto della norma con principi costituzionali (ritenendo però irrilevante, in quella sede, la questione prospettata all'udienza della regione Veneto, nei termi ni in cui essa era stata formulata).
La questione è indubbiamente rilevante nel giudizio in atto, giacché l'eventuale declaratoria di incostituzionalità dell'art. 267 renderebbe ille
gittimo in radice l'atto impugnato, che in base a tale norma è stato emesso. Per una corretta soluzione del problema, si può partire dalla situazione
legislativa esistente al momento dell'entrata in vigore della Costituzione. L'art. 74 dello statuto albertino imponeva la forma legislativa per l'i
stituzione di nuovi comuni e la modificazione delle circoscrizioni comu
nali; esisteva però una normativa eccezionale (art. 30 e 36 r.d. 3 marzo
1934 n. 383) che riconosceva al governo il potere di modificare quelle circoscrizioni e di istituire nuovi comuni con atto amministrativo, in pre senza di alcuni requisiti, sostanziali e procedurali, tassativi e inderogabili. Con questo potere era connessa, quasi naturale completamento delle at tribuzioni governative in materia, la competenza a risolvere le contesta zioni di confini ex art. 267. Si era voluto cosi che gli interessi pubblici coinvolti nella contestazione di confini tra comuni trovassero un primo assetto (primo riguardo a quello successivo determinato con sentenza) in una particolare decisione non giurisdizionale idonea a determinare au
toritativamente, non soltanto l'esatta ubicazione della linea di confine, ma anche entro certi limiti quella ubicazione — non esatta per ragioni di obiettiva incertezza — che valesse a superare mediante l'esercizio di discrezionalità amministrativa l'«impasse» derivante dall'assenza di prove risolutive.
L'avvento della Costituzione ha recato significativi mutamenti al siste ma dei rapporti fra Stato ed enti locali.
Si tratta di modificazioni conseguenti non solo all'inserimento tra Sta to e comune di un nuovo ente a rilevanza costituzionale, qual è appunto la regione, ma anche di modificazioni conseguenti al rilievo che gli enti locali sono venuti ad assumere nel tessuto costituzionale.
Al riguardo, va anzitutto considerato l'art. 5 Cost., che pone da un lato il principio del riconoscimento delle autonomie locali e dall'altro l'e nunciazione di due principi programmatici di estremo valore, l'uno inteso alla promozione delle autonomie locali e l'altro rivolto ad adeguare i
principi e metodi dell'azione statale al riconoscimento delle autonomie stesse.
Il constituente, poi, al fine di assicurare una garanzia adeguata all'au tonomia degli enti locali, di cui è componente essenziale l'integrità terri toriale degli enti medesimi, ha disposto (art. 132 e 133) che le modifica zioni delle circoscrizioni territoriali di regioni, province e comuni si attui no sempre mediante una legge (costituzionale, ordinaria o regionale, a seconda dei casi).
Questi principi hanno trovato compiuta applicazione con l'attuazione dell'ordinamento regionale.
Per effetto del d.p.r. 14 gennaio 1972 n. 1, sono state trasferite alle
regioni, competenti a legiferare in materia di circoscrizioni comunali ex
Il Foro Italiano — 1990.
art. 117 Cost., tutte le funzioni amministrative esercitate dagli organi cen trali e periferici dello Stato nella predetta materia ed in particolare (art.
1, lett. d) quelle relative alle determinazioni, rettifiche e contestazioni
di confini. Non vi è dubbio che un mutamento costituzionale di si ampie dimen
sioni abbia esplicato i suoi effetti sugli istituti e sulla normativa preesistente. E alla stregua dei principi introdotti dalla stessa Costituzione e succes
sivamente attuati con la realizzazione dell'ordinamento regionale va esa minato e valutato l'art. 267, la cui applicabilità è oggi limitata alle sole
ipotesi di contestazioni di confine insorte fra comuni di regioni diverse
e che consente di risolvere con un provvedimento amministrativo le con
troversie in questione.
Appaiono allora non manifestatamente infondati alcuni profili di ille
gittimità costituzionale della norma in esame. Al riguardo, il collegio osserva anzitutto che la lite confinaria fra co
muni di regioni diverse non è soltanto una questione che eccede topogra ficamente l'ambito regionale (e che quindi esula, come tante altre, dalla
competenza regionale per avere appunto una dimensione ultraregionale); rappresenta invece, un accadimento che influisce direttamente sulla (o anche, ma principalmente, sulla) consistenza del territorio di due regioni contermini (che assumono sul punto una posizione conflittuale).
Ciò considerato, residua il dubbio che il permanere in capo al governo della potestà di decidere in via amministrativa le controversie in questio ne (quando insorgono fra comuni di regioni diverse) si risolva in una
possibile menomazione della garanzia del diritto delle regioni all'integrità territoriale, diritto cui il costituente ha rivolto una particolare attenzione
nell'art. 132, come si desume dall'aver imposto la forma legislativa (oltre al referendum delle popolazioni interessate) per le variazioni del territorio
regionale. Ma la norma in parola finisce per incidere direttamente sullo stesso
principio dell'autonomia degli enti locali, il cui valore e riconoscimento si trova solamente riaffermato nell'art. 5 Cost.
Avvalora i precedentri rilievi la più generale considerazione che l'art.
267, cosi come è stato ritenuto tuttora vigente, consentendo il ricorso al provvedimento amministrativo quale mezzo per dirimere le controver sie relative alla materia dei confini, si pone in contrasto, non solo con
gli art. 5 e 132 Cost., ma anche con il principio ispiratore delle norme costituzionali che prevedono la riserva di legge a tutela dell'autonomia
regionale nelle sue più significative articolazioni, e quindi a maggior ra
gione escludendo — essendo l'integrità del territorio componente prima ria ed essenziale di quell'autonomia unitariamente considerata — un in tervento in via amministrativa dell'autorità statale che possa a qualsiasi titolo incidere sul territorio regionale, sia pure sotto forma di decisione di ricorsi per contestazione di confini.
Fatte queste premesse e venendo ai profili che direttamente attengono alla presente controversia, il collegio osserva che la decisione del ricorso
proposto dal comune di Canazei ha comportato modificazioni del confi ne di due regioni (Tentino-Alto Adige e Veneto).
Il provvedimento impugnato, pertanto, ha inciso sul confine fra due
regioni (di cui una a statuto speciale), cosi come esistente al momento dell'entrata in vigore della Costituzione.
In definitiva, sia che si tratti di una modificazione in senso tecnico dei confini, sia che si tratti di un accertamento della consistenza dei con fini stessi, in entrambi i casi si finisce pur sempre per intervenire sul territorio regionale.
Appare pertanto opportuno, in presenza di una questione di incostitu zionalità che il collegio reputa manifestamente infondata, rimettere la que stione, nei termini sopra indicati, all'esame della Corte costituzionale.
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