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sezione I civile; sentenza 6 novembre 1986, n. 6488; Pres. Bologna, Est. Sensale, P. M. Di Renzo(concl. diff.); Istituto autonomo per le case popolari di Trapani (Avv. Buongiorno Pincitore,Greco Grimaudo) c. Di Stefano (Avv. Cacopardo). Conferma App. Palermo 23 giugno 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 2999/3000-3003/3004Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181626 .
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2999 PARTE PRIMA 3000
Diritto. — 1. - Il Pretore di Roma dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., della norma contenu
ta nell'art. 489, ult. comma, c.p.p., in quanto, per il caso di condanna dell'imputato alle restituzioni ed al risarcimento del danno in favore della parte civile, non prevede la compensazione,
per giusti motivi, delle spese processuali. In tal modo, secondo il
giudice a quo, sarebbe posta una ingiustificata disparità di
trattamento, in relazione alla disciplina dettata con l'art. 92, 2°
comma, c.p.c., che consente la compensazione nel caso di con danna dell'autore dell'illecito al risarcimento del danno in sede civile.
2. - La questione non è fondata.
L'azione civile riparatoria inserita nel processo penale pur non
perdendo le sue caratteristiche sostanziali di azione civile data
per la tutela diretta di un interesse privato, viene tuttavia
assoggettata dal legislatore, nel codice di procedura penale, ad
una disciplina processuale differenziata rispetto a quella dell'ana
loga azione che sia esercitata in sede civile. Al riguardo, questa corte, chiamata all'esame di alcuni dei più
vistosi aspetti di differenziazione, non ne ha ravvisato l'illegittimi tà in riferimento all'art. 3 Cost., avendo argomentato dalla
peculiare finalità del processo penale, teso al soddisfacimento del
preminente interesse dell'ordinamento all'accertamento della re
sponsabilità penale, e dalla conseguenziale posizione subordinata ed accessoria che in esso assume l'azione civile riparatoria (cfr. le sentenze nn. 108 del 1970, Foro it., 1970, I, 2310; n. 206 del
1971, id., 1972, I, 287; e n. 39 del 1982, id., 1982, I, 918).
In particolare, la corte ha avuto modo di osservare, in riferi mento all'art. 3 Cost., che non sono illegittimi: a) la ridotta
specificità del contenuto della domanda di risarcimento proposta in sede penale (art. 94, 2° comma, e 468, 1° comma, c.p.p.), rispetto a quanto prescritto dall'art. 163 c.p.c. per la formulazione della domanda in sede civile (cfr. la sentenza n. 108 del 1970); b) l'obbligo di testimonianza gravante sulla parte civile nel
giudizio penale (art. 106 c.p.p.), rispetto all'incapacità sancita dall'art. 246 c.p.c. per le persone aventi interesse nella causa (cfr. le sentenze n. 190 del 1971, id., 1972, I, 10, e n. 2 del 1973, id., 1973, I, 614); c) il regime dell'esecutività della sentenza resa in sede penale recante condanna alle restituzioni e al risarcimento (art. 576 c.p.p.), differenziato rispetto a quello dell'analoga sen tenza resa in sede civile dettato dagli art. 282 e 373 c.p.c. (cfr. la sentenza n. 40 del 1974, id., 1974, I, 989).
Analoghe considerazioni valgono relativamente alla mancata previsione, nel caso di condanna dell'imputato, della compensa zione delle spese sostenute dalla parte civile (art. 489, ult. comma, c.p.p. rispetto all'art. 92, 2° comma, c.p.c.), essendo la ricordata diversità fra il processo civile e il processo penale per
Bonanni, id., Rep. 1984, voce cit., n. 8; 8 aprile 1983, Dattoli, ibid., n. 9).
■Non sono, però, mancate alcune decisioni che, limitatamente al giudizio di impugnazione, hanno ritenuto applicabile il disposto del l'art. 92 c.p.c. facendo leva sulla natura di questo giudizio e sul richiamo, contenuto nell'art. 214 c.p.p., del principio generale della soccombenza stabilito per i procedimenti civili dagli art. 91 e 92 c.p.c. (Cass. 19 marzo 1979, Gentile, id., Rep. 1980, voce oit., n. 4). V. anche Cass. 21 aprile 1983, Trincherà, id., Rep. 1984, voce cit., n. 24, la quale, pronunziandosi nel senso che, se non sussiste violazione del principio della soccombenza, esula dai compiti della Cassazione l'esame della pronuncia, riservata al potere discrezionale del giudice di merito anche per quanto riguarda l'applicazione o disapplicazione dell'istituto della compensazione, chiaramente ammette la possibilità della compen sazione delle spese anche nei confronti della parte civile.
Analogamente, in dottrina, si è pronunziato Fortuna, Il rimborso delle spese sostenute dalla parte civile nei giudizi di impugnazione, in Cass. pen., 1981, 862; Id., Azione penale e azione risarcitoria, Milano, 1980, 578.
La Corte costituzionale con la decisione in epigrafe, dopo avere richiamato la sua precedente giurisprudenza che non ha ravvisato l'illegittimità di « alcuni più vistosi aspetti di differenziazione » tra la disciplina dell'azione civile riparatoria inserita nel processo penale e quella dell'azione civile (sent. 26 giugno 1970, n. 108, Foro it., 1970, I, 2310; 30 novembre 1971, n. 190, id., 1972, I, 10, con nota di Cappelletti; 1° febbraio 1973, n. 2, id., 1973, I, 614; 27 febbraio 1974, n. 40, id., 1974, I, 989), ha dichiarato la infondatezza della questione, affermando che la stessa diversità tra processo penale e processo civile è sufficiente « di per sé ad escludere la sussistenza di una ingiustificata disparità di trattamento » e che la differente discipli na nel processo penale trova giustificazione nell'esigenza « di non frapporre remore alla costituzione del danneggiato anche in vista dell'apporto che la sua partecipazione può dare alla dialettica del processo penale e quindi all'accertamento della responsabilità penale ».
sé sufficiente ad escludere la sussistenza di una ingiustificata
disparità di trattamento, come denunciate dal giudice a quo. Del resto la differenziata disciplina dettata con la norma
impugnata, la quale rientra in un orientamento normativo favore
vole alla parte civile relativamente alle spese processuali (la
compensazione, ex art. 382, 2° comma, e 482, 1° comma, c.p.p., è
prevista a vantaggio della suddetta parte civile, nel caso di
proscioglimento dell'imputato per reato perseguibile a querela; nell'eventualità del proscioglimento dell'imputato per reato perse
guibile d'ufficio, la condanna della parte civile alle spese, ex art.
482, 2° comma, c.p.p., è solo facoltativa), è giustificata dall'esi
genza di non frapporre remore alla costituzione del danneggiato, anche in vista dell'apporto che la sua partecipazione può dare
alla dialettica del processo penale e quindi all'accertamento della
responsabilità penale. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 489, ult. comma,
c.p.p., nella parte in cui non consente la compensazione delle
spese processuali tra l'imputato e la parte civile, sollevata dal
Pretore di Roma, in riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza
in epigrafe.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 novem
bre 1986, n. 6488; Pres. Bologna, Est. Sensale, P. M. Di Ren zo (conci, diff.); Istituto autonomo per le case popolari di Tra
pani (Avv. Buongiorno Pinci tore, Greco Grimaudo) c. Di
Stefano (Avv. Cacopardo). Conferma App. Palermo 23 giu
gno 1984.
CORTE DI CASSAZIONE;
Espropriazione per pubblico interesse — Indennità — Giudizio
di opposizione alla stima — Competenza in unico grado della
corte d'appello — Dichiarazione di incostituzionalità dei criteri
indennitari — Irrilevanza — Disciplina applicabile — Fatti
specie (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazioni per causa di pubblica utilità, art. 32, 39; 1. 22 ottobre 1971 n. 865,
programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pub blica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità, ecc., art. 16, 19; 1. 29 luglio 1980 n. 385, norme provvisorie sulla
indennità di espropriazione di aree edificabili, ecc., art. 1, 2, 3).
La dichiarazione di incostituzionalità dei criteri previsti dalla l. 22 ottobre 1971 n. 865 e dalla successiva l. 29 luglio 1980 n. 385,
sopravvenuta nel corso del giudizio di opposizione alla stima di
indennità di esproprio di area edificatile, promosso, ai sensi dell'art. 19 l. n. 865 del 1971, avanti la corte d'appello, ne lascia
integra la competenza in unico grado a conoscere della instau rata controversia imponendole soltanto di applicare i criteri indennitari previsti dalla l. 2359 del 1865. ( 1)
■(il) 'Nello stesso senso, Cass. 8 luglio 1985, n. 4091 (parte motiva non riprodotta in), Foro it., 1985, I, 1 cM-6, con richiami sul punto e osservazioni di F. Pietrosanti, citata nella presente; adde, successiva mente, Cass. 17 luglio 1985, n. 4214, id., Rep. 1985, voce Espropria zione per p.i., n. 152, per la quale, poiché l'art. 19 1. n. 865 del 1971, che prevede la competenza in unico grado della corte d'appello sulle opposizioni avverso la stima dell'indennità espropriativa, devolve alla suddetta corte non un mero controllo tecnico sui criteri di determina zione dell'indennità, ma il pieno ed autonomo potere di provvedere alla sua quantificazione, nell'ambito delle espropriazioni disposte in applicazione della citata legge, tale competenza non resta esclusa dalla sopravvenuta declaratoria d'incostituzionalità dei criteri di liquidazione di quell'indennità previsti dal 5°, 6° e 7° comma dell'art. 16 della medesima legge (sent. n. 5/80 Corte cost.); e, precedentemente, sez. un. 4 novembre 1980, n. 5904, id., 1980, 1, 3004, con richiami e osservazioni di IM. Grossi, ricordata in motivazione, secondo cui « anche nei procedimenti espropriativi misti, la competenza del tribuna le può ipotizzarsi solo quando alla stima dei beni espropriati abbia provveduto il perito nominato dal tribunale ai sensi dell'art. 32 1. 25 giugno 1865 n. 2359; mentre, quando alla valutazione degli stessi provveda l'U.t.e. con i oriteri stabiliti dalla 1. 22 ottobre 1971 n. 865, la competenza a conoscere della domanda di opposizione alla stima dell'indennità è assegnata alla corte d'appello ai sensi dell'art. 19 stessa legge »; sez. I 2 aprile 1985, n. 2254, id., Rep. 1985, voce cit., n. 162, del pari citata, per la quale la 1. 29 luglio 1980 n. 385, che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dei criteri di determinazione dell'indennità di cui all'art. 16, 5°, 6° e 7° com ma, 1. 22 ottobre 1971 n. 865 (sent. 5/80 Corte cost.), ha previsto analoghi criteri in via provvisoria, facendo salvo il diritto a conguaglio in relazione alla emananda nuova normativa, non determina l'inammis sibilità dell'opposizione dell'espropriato avverso la stima in sede ammi
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 13 dicembre 1979 Giuseppe Di Stefano Di Leo conveniva dinanzi alla Corte
d'appello di Palermo l'I.a.c.p. della provincia di Trapani e il
comune di Castelvetrano, opponendosi alla stima effettuata ai
sensi dell'art. 15 1. 22 ottobre 1971 n. 865 sostituito dall'art. 14 1.
29 gennaio 1977 n. 10, relativa alla espropriazione di mq. 8.056
di terreno di sua proprietà, sita in contrada « Belvedere » di
Castelvetrano ed occorsi per la costruzione di ventidue alloggi
popolari. Resistevano l'I.a.c.p. ed il comune e quest'ultimo deduceva di
non avere svolto alcuna attività, nel procedimento di espropria
zione, nella determinazione dell'indennità, che aveva delegato all'I .a.c.p.
Nelle more del giudizio la Corte costituzionale, con sentenza n.
5/80 (Foro it., 1980, I, 273), dichiarava l'illegittimità costituziona
le dei criteri di stima indicati dai commi 5°, 6° e 7° dell'art. 16
1. 865/71; e con la successiva decisione n. 223/83 (id., 1983, I,
2057) dichiarava illegittimi anche gli art. 1 e 2 1. 29 luglio 1980
n. 385, con i quali erano stati riproposti, ma in via provvisoria e
salvo conguaglio, i criteri già colpiti dalla prima pronunzia.
Osservava, quindi, la corte palermitana che le suindicate deci
sioni non avevano travolto le norme sulla competenza in unico
grado della corte d'appello, alla quale restava devoluto l'esame
dell'opposizione alla stima. Riteneva poi il difetto di legittimazio ne passiva del comune di Castelvetrano e procedeva, nei confronti
dell'I.a.c.p., alla determinazione dell'indennità di espropriazione, facendo applicazione, in difetto delle norme dichiarate incostitu
zionali, degli art. 39 ss. della legge fondamentale n. 2359 del
1865, ritenuti ancora vigenti e idonei alla determinazione dell'in
dennità in armonia con l'art. 42 Cost.
La corte determinava tale indennità nella complessiva somma di
lire 190.000.000 e l'indennità di occupazione nella misura di lire
9.500.000, tenuto conto della ubicazione del terreno espropriato, delle risultanze del piano comprensoriale della regione, delle
infrastrutture esistenti e degli accertamenti e valutazioni del
consulente tecnico.
Contro tale sentenza ricorre per cassazione l'I.a.c.p. della pro vincia di Trapani in base ad un motivo, cui il Di Stefano Di Leo
resiste con controricorso a memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Con unico motivo, l'istituto
ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 3
e 24 Cost., 16 e 20 1. 22 ottobre 1971 n. 865, 39 ss. 1. 25 giugno
nistrativa dell'indennità medesima fino a quando non venga introdotta
quella nuova normativa, né altrimenti interferisce sul corso del relativo
giudizio, il quale, pertanto, ove ritualmente promosso, deve proseguire per la determinazione dell'indennità stessa (in base ai criteri provvisori della citata 1. n. 385 del 1980), ovvero (a seguito della sopravvenuta declaratoria di illegittimità di essi da parte della sentenza della Corte
costituzionale n. 223 del 1983) secondo i criteri generali della 1. 25
giugno 1865 n. 2359; e Cass., sez. I, 26 giugno 1984, n. 3719, id., Rep.
1985, voce cit., n. 153, per la quale in tema di espropriazione per pubblica utilità, l'individuazione del giudice competente a conoscere
dell'opposizione alla stima dell'indennità va compiuta con riferimento
alla normativa in base alla quale l'amministrazione ha disposto
l'espropriazione e stabilito l'indennità stessa con scelta (tra i diversi
procedimenti espropriativi) non sindacabile dal giudice ordinario, il
quale soltanto può e deve accertare l'applicabilità o non nel caso
concreto dei criteri seguiti dall'amministrazione per la determinazione
indennitaria; pertanto, la corte d'appello ha competenza, come giu dice unico, in ordine a tale opposizione, ai sensi dell'art. 19 1. n.
865 del 1971 solo se l'indennità è stata fissata a norma dell'art. 16
detta legge, e non pure se questa è stata liquidata con procedura di
legge diversa (nella specie, 1. 25 giugno 1865 n. 2359). Con specifico riguardo alla questione di costituzionalità, ritenuta
manifestamente infondata nella parte motiva della riportata sentenza, si
possono consultare due pronunzie della Corte costituzionale, ignorate dalla Cassazione, e cioè a) ord. till luglio 1984, n. 198, ibid., n. 151, che ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24
Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 1. n. 865 del
1971, che in caso di opposizione alla stima prevede il ricorso
all'a.g.o. direttamente davanti alla corte d'appello « privando cosi le
parti di un grado di giurisdizione »; b) sent. 29 marzo 1984, n. 78,
id., 1984, I, 1192, con richiami e nota di R. Moretti, per la quale è
infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, 4°
comma, 1. n. 865 del 1971, nella parte in cui è previsto che
l'opposizione contro la determinazione dell'indennità di occupazione è
proposta direttamente avanti la corte d'appello, in riferimento agli art.
3 e 24 Cost. (Per qualche riferimento, a proposito della incidenza delle pronunzie
della Corte costituzionale 20 gennaio 1980, n. 5 e 19 luglio 1983, n.
223 sui rapporti fra determinazione dell'indennità di esproprio e
cessione volontaria del bene espropriato, Cass. <1° ottobre 1986, n.
5820, id., 1986, I, 2409, con nota redazionale. [C. M. Barone]
1865 n. 2359, censurando la sentenza impugnata per avere
ritenuto applicabili, dopo la dichiarazione di illegittimità costitu
zionale dei criteri per la determinazione dell'indennità di espro
priazione previsti nelle 1. 865/71 e 10/77, i criteri stabiliti dalla 1.
n. 2359 del 1865 e per avere ritenuto conservata la competenza in
unico grado della corte d'appello a decidere sulle opposizioni alla
stima, pur dopo la richiamata declaratoria di incostituzionalità.
Sostiene, per contro, il ricorrente: a) che la legge fondamentale
sulle espropriazioni era stata implicitamente abrogata dalla 1. n.
865/71 e che la dichiarata incostituzionalità parziale di quest'ul tima legge non aveva ripristinato il valore normativo della
precedente, ma aveva prodotto un vero e proprio vuoto legislativo che sarebbe stato compito del parlamento colmare; b) che si
sarebbe dovuto far ricorso, in ogni caso, ad altri testi normativi
in materia di espropriazione, contemplanti vari e diversi criteri di
determinazione dell'indennità, come, ad esempio, la 1. 15 gennaio 1882 n. 2892 (sul risanamento della città di Napoli), che in
pratica fissava l'indennità nella metà del valore di mercato del
bene espropriato; c) che la opzione della corte d'appello per
l'applicazione della legge del 1865 legittimava un uguale tratta
mento per ipotesi obiettivamente differenziate, rendendo operante il
criterio del valore venale del bene nelle ipotesi di declaratoria
d'illegittimità dell'espropriazione e di condotta legittima dell'e
spropriante, in violazione dell'art. 3 Cost.; d) che la competenza in unico grado della corte d'appello aveva senso in quanto
prevista quale mero controllo di legittimità dell'operato deli'e
spropriante, allorché si trattava di riscontrare la legittimità di una
determinazione della indennità effettuata con criteri automatici, ancorati al valore agricolo medio risultante da apposite tabelle, ma non si giustifica più se alla corte d'appello si attribuiva il
compito di entrare nel merito della valutazione del bene; e) che
il mantenere ferma la competenza della corte d'appello dà luogo ad una disparità di trattamento tra situazioni rese analoghe
dall'applicazione in tutti i casi del medesimo criterio di determi
nazione della indennità desunto dalla legge del 1865. (Omissis)
3. - Deve premettersi che, nella sentenza impugnata, al suolo
espropriato è stata attribuita natura edificatoria e che tale punto della decisione non ha formato oggetto di censura da parte del
ricorrente. In conseguenza, ai fini della determinazione dell'inden
nità, non sono applicabili, i criteri dettati dall'art. 16, commi 5°, 6° e 7°, 1. 22 ottobre 1971 n. 865 (come modificati dall'art. 14 1.
28 gennaio 1977 n. 10) e mantenuti fermi, in via provvisoria, della 1. n. 385/80 e successive proroghe, in quanto dichiarati
illegittimi, limitatamente ai suoli edificatori, dalle sentenze n.
5/80 e n. 223/83 della Corte costituzionale (v. in arg. le sentenze
delle sez. un. 5401/84, id., 1985, I, 47, e 4372/85, id., Rep. 1985, voce Espropriazione per p.i., n. 164).
Ciò premesso, si osserva che la dichiarazione d'incostituzionalità
di tali norme non si traduce in una carenza del potere di
espropriazione nelle ipotesi in cui i criteri in esse indicati non
siano più applicabili, ma solo comporta (stante la potenziale
copertura da parte dell'ordinamento dell'intera area delle situazio
ni di fatto rilevanti per il diritto e l'inammissibilità di vuoti
normativi) che debba desumersi aliunde la disciplina di detto
potere, facendo ricorso, ai sensi, dell'art. 12 disp. prel. c.c., a
quelle disposizioni e a quei principi dettati proprio per il caso in
cui una norma espressa non si rinvenga nell'ordinamento (così, le
sez. un. con la sent. 5383/84, id., 1985, I, 48, e questa sezione
con la sent. 6462/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 101).
Nell'individuazione delle norme applicabili in tema di determi
nazione delle idennità in luogo di quelle dichiarate illegittime, le
sez. un., con le sentenze n. 4091 del 1985 (id., 1985, I, 1946 (e 4372 del 1985, cit., precedute e seguite da numerose conformi
decisioni di questa prima sezione, hanno ritenuto che il venir
meno delle norme contenute nelle 1. n. 865/71 e n. 10/77, colpite dalla dichiarazione d'incostituzionalità, impone che l'indennità di
espropriazione sia determinata, nelle ipotesi in cui i criteri in
quelle norme fissati avrebbero dovuto ricevere applicazione, non
già ricorrendo a taluno degli altri modelli legali previsti per casi
particolari di espropriazione (come sostiene il ricorrente quando infondatamente invoca l'adozione dei criteri dettati dalla legge
speciale per il risanamento della città di Napoli), ma facendo
applicazione dei principi stabiliti dalla legge generale 25 giugno
1865 n. 2359, che riprendono vigore a seguito del venir meno
delle disposizioni derogatrici contenute nelle norme dichiarate
incostituzionali.
4. - L'applicazione di detta legge, che è limitata ai criteri di
determinazione dell'indennità ma non incide sul procedimento, lascia integra la competenza in unico grado della corte d'appello
Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-194.
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3003 PARTE PRIMA 3004
a conoscere delle opposizioni alla stima nel quadro del modello
procedimentale disciplinato delle 1. n. 865/71 e 10/77. In proposito, le sezioni unite (v. la citata sent. n. 4091/85)
hanno precisato che l'opposizione alla stima, ivi inclusa quella
proposta a norma dell'art. 19 della legge del 1971 davanti alla
corte d'appello in unico grado, introduce un procedimento di
cognizione ordinaria, il quale non si esaurisce in un mero
controllo sulle determinazioni adottate in sede amministrativa, ma
comporta il potere-dovere del giudice adito di stabilire autonoma
mente il quantum dell'indennità dovuta, facendo applicazione delle
norme vigenti al momento della decisione, con la conseguenza che la declaratoria d'incostituzionalità dei criteri di cui alla legge del
1971 spiega effetto, anche quando sia sopravvenuta dopo la
proposizione della suddetta opposizione, ai soli fini della determi
nazione della indennità secondo i principi generali fissati dalla
legge del 1865, cioè sul piano sostanziale e non su quello
processuale, senza interferire sul corso del relativo giudizio (v.,
per quest'ultima precisazione, la sent. 2254/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 162).
Alla stregua di tali premesse, questa sezione ha, poi, espressa mente ribadito che l'art. 19 1. n. 865/71, che prevede la
competenza in unico grado della corte d'appello sulle opposizioni alla stima, devolve a tale giudice non un mero controllo tecnico sui criteri di determinazione dell'indennità, ma il pieno ed autonomo potere di provvedere alla sua quantificazione nell'ambi to delle espropriazioni disposte in applicazione della citata legge, con la conseguenza che tale competenza non resta esclusa dalla
sopravvenuta declaratoria d'incostituzionalità dei criteri di liquida zione di quell'indennità, posti dai commi 5°, 6° e 7° della legge medesima (in tal senso si erano già espresse le sez. un. con la sentenza 5904/80, id., 1980, I, 3004).
5. - Le esposte conclusioni, cui questa corte è pervenuta e la Corte d'appello di Palermo si è correttamente uniformata, non danno luogo ai sospetti d'incostituzionalità temuti dal ricorrente.
Quanto al primo, che deriverebbe dall'applicazione di un medesimo criterio (quello del valore venale del bene) ad ipotesi diverse (quella di espropriazione che sia dichiarata illegittima e l'altra di legittimità della condotta dell'espropriante), è sufficien te osservare che esso muove dalla inesatta premessa che il risarcimento dei danni dovuti nel caso di occupazione senza titolo
(in conseguenza della declaratoria di illegittimità della espropria zione) e l'indennità liquidata per una espropriazione legittimamen te pronunziata formino oggetto, in situazioni diverse, di una
identica disciplina. Risarcimento dei danni e indennità di espro priazione sono, invece, entità ontologicamente diverse e, in sintesi,
quantitativamente non coincidenti, determinate da presupposti di
versi che danno luogo ad una diversità di disciplina giuridica (anche quando comune sia il punto di partenza del valore venale del bene), con riguardo al momento al quale il valore dev'essere riferito e dal quale devono farsi decorrere gl'interessi; alla diversa funzione dei due istituti ed alla maggiore ampiezza del risarci
mento rispetto alla indennità, tale da coprire l'intero danno in
concreto verificatosi e dimostrabile anche in misura eccedente il
valore venale del bene; all'automatica rivalutazione monetaria del
risarcimento (debito di valore) ed alla non rivalutabilità automati
ca della indennità (debito di valuta); alla parallela diversa natura
dell'indennità di occupazione legittima e del risarcimento per
occupazione illegittima; si che non sussiste identità di disciplina
giuridica per ipotesi diverse né, sotto altro profilo, disparità di
trattamento tra situazioni che si pretendono identiche, quale
quella di chi abbia proposto opposizione alla stima e quella di
chi si sia acquietato all'indennità determinata in via amministrati
va, poiché in tal caso si ha diversità di situazioni (del resto
determinata dalla libera scelta di ciascuna parte), che giustifica la
dedotta diversità di risultati, nella concreta tutela del diritto, e
non di disciplina giuridica circa la tutelabilità astratta di esso.
Quanto al secondo sospetto d'incostituzionalità, derivante, ad
avviso del ricorrente, dal fatto che, malgrado la determinazione
della indennità secondo gli stessi criteri, nel caso di espropriazioni tuttora soggette alla legge del 1865 e di espropriazioni disciplinate dalla 1. n. 865/71, nell'un caso sarebbe assicurato il doppio grado di giudizio e nell'altro l'opposizione dovrebbe svolgersi in unico
grado (ciò, secondo il ricorrente, in contrasto con l'art. 3 Cost.), deve considerarsi che, come lo stesso ricorrente riconosce, la
garanzia del doppio grado non è fornita di copertura costituziona
le, si che, essendo in entrambe le ipotesi assicurata a tutti la
tutela giurisdizionale in una forma la cui diversa articolazione il
costituente non ha ritenuto implicare una rilevante difformità del
diritto di difesa, non sussiste diversità di trattamento che possa risultare in contrasto con l'art. 3 Cost., specialmente quando la
scelta operata dal legislatore risponda a criteri di razionalità e sia
giustificata dalla valutazione che esso abbia insindacabilmente
fatto, caso per caso, delle situazioni da disciplinare.
Pertanto, l'adozione dell'uno o dell'altro criterio di determina
zione dell'indennità non incide sul modello procedimentale che la
legge riserva ad un determinato settore delle espropriazioni per
pubblica utilità (senza che ciò dia luogo a sospetti d'incostituzio
nalità), quando la scelta di tale modello risponda, per talune
materie (quali quelle sottoposte alla 1. n. 865/71, anche nella
estensione operata dalla legge di conversione n. 247/74 con il
comma premesso all'art. 4 d.l. n. 115/74), ad esigenze di più
appropriata ed efficiente assicurazione degli scopi che, per quelle
materie, ritenute di maggiore rilievo sociale, la legge si propone.
6. - Alla stregua di quanto precede, anche in ordine alla
manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale
prospettate dal ricorrente, il ricorso dev'essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23
ottobre 1986, n. 6227; Pres. Brancaccio, Est. Virgilio, P. M.
Sgroi V. (conci, conf.); Pietroni (Avv. Prosperetti, Arico) c.
Min. grazia e giustizia. Conferma Cons. sup. magistratura, sez.
disciplinare, 10 maggio 1985.
Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro ma
gistrati — Termine di decadenza di due anni riferito alla
decisione non irrevocabile di merito anziché alla decisione
definitiva — Questione manifestamente infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 3; d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, dispo sizioni di attuazione e di coordinamento della 1. 24 marzo
1958 n. 195, art. 59; 1. 3 gennaio 1981 n. 1, modificazioni
alla 1. 24 marzo 1958 n. 195 e al d.p.r. 16 settembre 1958
n. 916, art. 12). Ordinamento giudiziario — Procedimenti disciplinari contro ma
gistrati — Corte di cassazione — Controllo sul provvedimento della sezione disciplinare — Limiti (Cod. proc. civ., art. 360;
1. 24 marzo 1958 n. 195, costituzione e funzionamento del
Consiglio superiore della magistratura, art. 17).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 59, 9" comma, d.p.r. 16 settembre 1958 n.
916, come modificato dall'art. 12 l. 3 gennaio 1981 n. 1, nella
parte in cui dispone che il procedimento disciplinare si estingue ove sia decorso un biennio dalla comunicazione all'incolpato dell'inizio dell'azione disciplinare, senza che sia intervenuta la
decisione non irrevocabile di merito della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e non anche la sen
tenza definitiva ed irrevocabile, in riferimento all'art. 3 Cost. (1) Il sindacato spettante alle sezioni unite civili della Corte di
cassazione nella materia disciplinare a norma dell'art. 17, 3°
comma, l. 24 marzo 1958 n. 195, non si differenzia da quello che in base all'art. 360 c.p.c. esse esercitano sulla generalità dei provvedimenti giudiziari e pertanto non può essere rivolto
a conseguire una nuova valutazione dei fatti, in ordine ai quali
l'apprezzamento della sezione disciplinare del Consiglio superio re della magistratura rimane incensurabile ove sia immune da
vizi logici e da errori giuridici. (2)
Svolgimento del processo. — Nel luglio del 1971 fu arrestato Natale Rimi, sotto accusa di associazione per delinquere, il quale nel marzo dello stesso anno era stato applicato alla regione Lazio
per interessamento di Italo Jalongo, unito da rapporti di amicizia
(1-2) La laboriosa procedura (che, come si desume dalla narrazione dei fatti contenuta nella sentenza che si riporta, aveva avuto inizio ben quindici anni fa) può essere ricostruita sulla base delle pronunce delle sezioni unite 15 novembre 1982, n. 6089, Foro it., 1983, I, 679; 2 aprile 1984, n. 2144, id., 1984, I, 1207, e ord. 30 gennaio 1985, n. 59, id., 1985, I, 693, che ne scandiscono le diverse fasi, nel corso delle quali tutte le garanzie giurisdizionali hanno potuto venir messe in opera.
Sulla prima massima cfr., in senso conforme, Cass. 2 aprile 1984, n. 2144, cit.
Sulla seconda massima, oltre a Cass. sez. un. 30 gennaio 1985, n. 557, id., 1985, I, 378, con nota di G. Corso, L'illecito disciplinare dei magistrati tra legge e contratto di lavoro, citata in motivazione, cfr. Cass., sez. un., 24 luglio 1986, n. 4754, id., 1986, I, 2413, con nota di richiami e osservazioni di A. Pizzorusso.
Il Foro Italiano — 1986.
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