Post on 27-Jan-2017
transcript
sezione I civile; sentenza 8 luglio 1996, n. 6205; Pres. Cantillo, Est. Vitrone, P.M. Palmieri(concl. conf.); Soc. Montedison ed altre (Avv. Giorgianni, Casella, Mariconda, Punzi, Ribolzi,Tarzia) c. Soc. Enichem (Avv. Gambino, Arcidiacono, Bonelli, Consolo, Ranieri). Regolamento dicompetenza avverso Trib. Milano 27 marzo 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2713/2714-2721/2722Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191578 .
Accessed: 28/06/2014 11:07
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 11:07:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il principio di irretroattività della legge comporta che una
nuova legge non possa applicarsi ai rapporti giuridici anteriori
alla sua entrata in vigore, né a quelli sorti anteriormente ed
ancora in vita. Non contrasta con il principio l'applicabilità del
principio alle situazioni esistenti, o sopravvenute in un momen
to posteriore all'entrata in vigore della nuova legge, pur se de
terminate da un fatto anteriore, quando esse debbono essere
considerate a prescindere dal fatto che li ha posti in essere in
modo che attraverso tale disciplina non resti modificata la di
sciplina giuridica del fatto generatore. Quando il fatto espro
priativo sia avvenuto in epoca in cui la disciplina normativa
dell'indennizzo coinvolgeva il valore di mercato del bene, la legge successiva che regoli diversamente il rapporto in base a diffe
renti criteri ed eventualmente restringa il diritto indennitario ad
una minore entità, finisce per modificare la disciplina giuridica del fatto generatore, né può fondatamente sostenersi che la si
tuazione concernente l'indennizzo debba considerarsi distinta dal
fatto generatore di essa.
La previsione, quindi, dell'applicazione della nuova discipli na regolante l'indennità di esproprio delle aree fabbricabili alle
indennità di tale natura non ancora definite per essere in corso
le relative controversie giudiziali, ancorché il fatto indennizza
bile sia anteriore ed esaurito, integra un'ipotesi di retroattività
della nuova legge. Retroattività legittima (sent. 188/95 della Corte
costituzionale, id., 1996, I, 464), ma caratterizzata dall'eccezio
nalità. La disciplina dell'art. 5 bis ha carattere generale nei suoi
precetti sostanziali; essa ha tuttavia carattere eccezionale nella
disciplina del suo 7° comma relativa all'applicabilità ai procedi menti in corso, anche se relativi a fatti generatori anteriori al
l'entrata in vigore della legge. Se ciò è vero, ne deriva che l'art. 5 bis, che dispone soltanto
per l'indennità di esproprio e sui criteri per la sua determinazio
ne, non può essere analogicamente applicata alle indennità di
occupazione legittima di un fondo, in particolare quando l'oc
cupazione sia fatto costitutivo del diritto all'indennizzo conclu
so in periodo anteriore all'entrata in vigore della nuova discipli na normativa.
D'altronde, anche sul piano logico, oltre che su quello della
sequenza storica degli eventi, può non realizzarsi coincidenza
concettuale tra indennità di esproprio ed indennità da occupa zione legittima, quando la seconda, pur funzionalmente colle
gata alla prima, abbia presupposti con essa non coincidenti,
posto che il terreno interessato all'esecuzione dell'opera pubbli ca possa essere interamente occupato, ma non espropriato, o
non interamente espropriato. Non varrebbe sostenere in contrario (tesi svolta in udienza
dalla difesa del comune di Cagliari) che il mancato aggancio delle due indennità (di esproprio e di occupazione) al medesimo
valore di base, finirebbe per avvantaggiare illogicamente il pro
prietario nella fase di occupazione rispetto a quella espropriati va. L'oservazione, che può avere una logica coerenza nel caso
di contemporanea applicazione della stessa disciplina normativa
alle due situazioni, non regge quando in due tempi diversi, a
due distinte situazioni siano applicabili due criteri non identici.
Basti ricordare che il criterio equitativo di indennizzo dell'occu
pazione, sulla base dell'interesse legale applicato ad un valore
capitale di base, corrisponde al concetto, come già rilevato, di
corrispondere al proprietario i frutti che egli avrebbe percepito se gli fosse stata corrisposta, al momento dell'occupazione, una
somma pari al valore del bene. Se ciò è vero, deve ritenersi
altrettanto conseguente che il valore del bene, secondo le leggi
vigenti al momento dell'occupazione, avrebbe dovuto comun
que essere determinato in base al valore venale, per cui è ben
compatibile con la successione di leggi nel tempo che un evento
anteriore sia determinato in base ad un criterio distinto rispetto
a quello applicabile ad un evento diverso posteriore (l'espro
priazione, il cui provvedimento nella specie non risulta essere
stato emesso). II motivo pertanto va rigettato. III. - Con il terzo mezzo di cassazione il comune ricorrente
deduce l'errata valutazione degli atti di causa, la carenza ed
inidoneità della motivazione, la violazione di legge con riferi mento all'art. 360, n. 3, c.p.c. ed all'art. 200, 1° comma, r.d.
1775/33. La doglianza coglie la sentenza di secondo grado nel punto
in cui, ritenendo la pronuncia di primo grado affetta da un
Il Foro Italiano — 1996.
errore materiale, ha elevato il valore globale del fondo e, conse
guentemente, l'indennizzo da occupazione. Poiché i giudici del merito si sono basati, nelle loro valuta
zioni, sulle emergenze del c.t.u., il Tribunale superiore delle ac
que pubbliche non ha rilevato che la c.t.u. non ha determinato
il valore unitario del bene, ma solo il valore globale. È stato
il giudice di primo grado che ha determinato il valore unitario
dividendo il valore globale per la superficie dell'area. Se quindi, il punto fisso dell 'iter logico seguito era il valore globale, l'erro
re di calcolo attineva alla divisione di detto valore per i metri
quadrati di superficie, per cui non pareva logicamente legittima
l'operazione inversa.
La doglianza è ammissibile nel punto in cui, evidenziando
un vizio logico nella ricostruzione matematica della base (il va
lore del fondo elevato dal giudice di secondo grado da lire
1.163.800.000 a lire 1.307.670.000), su cui calcolare l'indenniz
zo, non deduce a doglianza un rilievo su situazione di fatto, ma un vizio essenziale nella logica ricostruttiva delle componen ti poste a base della valutazione finale; vizio che non individua
una distinta linea logica cui la corte del merito si sarebbe atte
nuta e come tale da rispettare nei limiti della disciplina impu
gnativa dell'art. Ill Cost., ma la mancanza di una qualsiasi linea logica accettabile.
Ed invero, il Tribunale superiore delle acque rilevò esatta
mente un errore di mero calcolo in cui era incorso il tribunale
regionale, indicando in lire 1.163.800.000 il valore totale del
terreno pacificamente esteso mq 28.740 ed in lire 40.500 il valo
re dello stesso terreno al mq. I due dati non erano comparabili in quanto, se restava fermo il valore globale, quello unitario
avrebbe dovuto essere 45.500; se fosse rimasto fermo il valore
unitario, quello globale avrebbe dovuto elevarsi a lire
1.307.670.000. Il Tribunale superiore delle acque, senza ade
guata motivazione ritenne pacificamente che il valore unitario
dovesse precedere quello globale e determinarlo, senza valutare
che il procedimento logico seguito dal tribunale regionale era
stato esattamente inverso. Detto organo aveva assunto a valore
globale quello indicato nella c.t.u. (nella quale il valore unitario
di lire 40.500 non era per nulla indicato), e solo incidentalmente
aveva calcolato il valore unitario. L'errore di calcolo, quindi,
pur esistente, non entrava per nulla nella logica del computo del valore globale, la cui rettifica in secondo grado pertanto non corrispondeva ad una linea logica corretta e percepibile.
Conseguente è l'accoglimento del terzo motivo di ricorso. La
cassazione della sentenza del Tribunale superiore delle acque
pubbliche, pertanto, deve avvenire senza rinvio, rimanendo va
lide le determinazioni dell'indennità già fissata dal Tribunale
regionale per le acque pubbliche della Sardegna. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 luglio
1996, n. 6205; Pres. Cantillo, Est. Vitrone, P.M. Palmieri
(conci, conf.); Soc. Montedison ed altre (Avv. Giorgianni,
Casella, Mariconda, Punzi, Ribolzi, Tarzia) c. Soc. Eni
chem (Avv. Gambino, Arcidiacono, Bonelli, Consolo, Ra
nieri). Regolamento di competenza avverso Trib. Milano 27
marzo 1995.
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Identica con
troversia — Contemporanea pendenza avanti gli arbitri e il
tribunale — Incompetenza del tribunale — Condizioni.
La devoluzione al tribunale della cognizione della stessa contro
versia già incardinata avanti il costituito collegio arbitrale ri
tuale impone al giudice ordinario di dichiarare la propria in
competenza, in presenza della tempestiva proposizione della
relativa eccezione da parte dei convenuti. (1)
(1) Con l'affermazione riassunta in massima la corte si discosta dal
suo precedente orientamento, espresso dalle pronunzie richiamate in mo
This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 11:07:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2715 PARTE PRIMA 2716
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 30 luglio 1993 la Montedison s.p.a., la Ateca Finanziaria s.r.l., la Montecatini s.p.a. e la Clediafin s.r.l. esponevano:
— che con contratto denominato di vendita acquisto, sotto
scritto il 19 novembre 1990 dall'Eni e il 22 novembre successivo
dal gruppo Montedison, era stata convenuta la risoluzione della
convenzione del 15 dicembre 1988 istitutiva di Enimont e la
cessione dei pacchetti azionari di uno dei due soci all'altro, se
condo un meccanismo che aveva operato nel senso che le azioni
del gruppo Montedison erano state acquistate dall'Eni;
tivazione, ora definito esplicitamente «tralaticio», per il quale, nel caso
di contemporanea pendenza della medesima controversia avanti l'auto
rità giudiziaria e gli arbitri rituali, il giudice ordinario non poteva di
chiarare la litispendenza ma doveva o negare la propria competenza,
nell'ipotesi di ritenuta sussistenza di quella arbitrale, o, in caso contra
rio, dichiararsi competente e decidere la causa nel merito. Il ridetto
orientamento, collegato al principio secondo cui ogni giudice è giudice della propria competenza (principio che, contrariamente a quanto af
fermato dalla prima sezione civile, risulta ribadito anche nella motiva zione della citata Cass. 28 marzo 1991, n. 3361, Foro it., Rep. 1992, voce Arbitrato, n. 104, per esteso, con nota di Fadel, in Giur. it., 1992, I, 1, 552, dopo l'attribuzione alla clausola compromissoria del l'effetto processuale di sottrarre al giudice ordinario la cognizione di una o più controversie con la conseguente devoluzione di esse al giudice
privato) non è, invero, ad avviso della sentenza in rassegna, invocabile allorché la questione di competenza si delinei dopo la costituzione del
collegio arbitrale, perché in tal caso «il giudice dinanzi al quale sia
portata la medesima controversia deve limitarsi a prendere atto che le
parti hanno già dato concreta attuazione all'accordo derogatorio della
competenza dell'autorità giudiziaria, e astenersi da ogni ulteriore accer tamento in ordine all'esistenza e al valido conferimento della potestas iudicandi in favore degli arbitri, ai quali resta attribuita in via esclusiva la verifica dei propri poteri». E la soluzione attualmente propugnata dalla corte, nella quale riecheggiano, in particolare, i rilievi e le consi derazioni a suo tempo svolti da Colesanti, Cognizione sulla validità de! compromesso in arbitri, in Riv. dir. proc., 1958, 1, 244, a commen to di Cass. 27 luglio 1957, n. 3167, Foro it., 1957, I, 1618, con nota di richiami, se, per un verso, trova un significativo punto di riferimento nelle considerazioni recentemente formulate da Fazzalari [(Briguglio, Fazzalari, Marengo, La nuova disciplina dell'arbitrato, Giuffrè, Mi
lano, 1994, 144), ad illustrazione dell'art. 819 bis c.p.c. (introdotto dal l'art. 11 1. 5 gennaio 1994 n. 25), abolitore del principio dell'assorbi mento della competenza arbitrale in quella del giudice ordinario nel caso di connessione tra controversia avanti gli arbitri e giudizio dinanzi a quest'ultimo: in argomento, tra le altre, Cass. 25 gennaio 1995, n.
874, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 99; 22 ottobre 1991, n. 11197, id., 1992, I, 1623, con nota di richiami] per il quale «il giudice ordina rio può essere spogliato mediante tempestivo esercizio della exceptio compromissi» (la cui omissione determina la prosecuzione del processo statale fino alla pronuncia, ma non far venir meno il patto compromis sorio, in base al quale la parte può instaurare il procedimento arbitrale che prosegue anch'esso, parallelamente al giudizio ordinario, finché uno dei due non si concluda con una statuizione definitiva: Coli. arb. Lucca 30 novembre 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 105, per esteso, con nota di Marengo, in Riv. arbitrato, 1994, 343), per altro verso, non
appare del tutto in linea con altre pur recenti opinioni dottrinali. Secon do Ricci e Ruosi, Legge 5 gennaio 1994 n. 25, Cedam, Padova, 1995, 113-114, ad es., si pone ancora oggi nei medesimi termini di un tempo il problema, finora risolto negativamente, dell'invocabilità dell'art. 39
c.p.c. nei rapporti tra arbitrato e processo civile ordinario. Da un lato, dunque, — per i ricordati a. — nemmeno anteriormente alla riforma
gli arbitri hanno trovato un ostacolo ai loro poteri nella precedente proposizione della controversia avanti il giudice togato; dall'altro lato,
quest'ultimo non ha trovato ostacolo ai propri poteri nella preventiva proposizione della controversia avanti gli arbitri. Il principio — per Ricci e Ruosi — è stato sempre nel senso che sia l'arbitro sia il giudice togato deve risolvere autonomamente il problema, se la controversia sia o non sia investita dall'accordo compromissorio, per ricavare le op portune conseguenze circa i propri poteri. L'estraneità della controver sia all'oggetto dell'accordo compromissorio — per i ridetti a. — è dun
que l'unico motivo, per il quale l'arbitro può e deve rifiutare l'esame del merito; mentre l'appartenenza della controversia all'oggetto dell'ac cordo compromissorio è l'unico motivo, per il quale l'esame del merito
può essere rifiutato dall'autorità giudiziaria. Ancora più peculiare si
rivela, poi, la posizione di La China, L'arbitrato - Il sistema e l'espe rienza, Giuffrè, Milano, 1995, 44, per il quale, nel caso di contempora nea adizione della via arbitrale e di quella giudiziaria, «il concorso e conflitto di procedure non è nell'ordinamento interno italiano evitabile — salvo il molto problematico ricorso all'art. 700 c.p.c. per inibire all'arbitro di procedere finché la sua convenzione arbitrale è contestata avanti il giudice — e l'unica remora a crearne di proposito la coesisten
II Foro Italiano — 1996.
— che nel suddetto contratto era stato espressamente previsto che conservassero vigore, tra l'altro, le garanzie prestate dalle
parti in relazione agli apporti rispettivamente effettuati a suo
tempo in Enimont, e che le controversie derivanti dal contratto
sarebbero state deferite ad un collegio arbitrale che avrebbe pro ceduto ad arbitrato rituale di diritto;
— che tali garanzie riguardavano: le conseguenze della non
conformità alla normativa ecologico-ambientale di natura pena le e amministrativa di taluni impianti conferiti in Enimont; gli
obblighi di indennizzo a carico delle ricorrenti per danni a terzi; le obbligazioni risarcitorie per inadempimento all'obbligo di ve
ridicità, esattezza e completezza dei dati relativi alla conformità
degli impianti alla normativa ambientale; l'inesistenza di debiti
e passività ulteriori rispetto a quelle risultanti in sede di appor
to; infine, altri vari obblighi che sarebbero rimasti inadempiuti; — che alla fine del 1990 le parti avevano concordato la nomi
na dei rispettivi arbitri e la costituzione del collegio arbitrale
si era completata in data 12 marzo 1991, come da relativo
verbale; — che con lettera del 27 giugno 1991, sottoscritta sia dall'Eni
che dall'Enichem (già Enimont) — che però non era parte del
contratto di vendita acquisto contenente la clausola compromis soria — era stata effettuata, con richiamo alle garanzie prestate dalle società venditrici, tutta una serie di contestazioni, all'esito
delle quali erano state specificate le richieste di indennizzo avan
zate nei confronti delle danti causa; — che con lettera sottoscritta nei giorni 2, 3 e 11 giugno
1992 sia dal gruppo Eni che dal gruppo Montedison era stata
comunicata al collegio arbitrale costituito con verbale del 12
marzo 1991 in forza dell'art. 22 del contratto di vendita acqui sto la volontà concorde di sottoporre al suo giudizio ogni con
trovesia connessa o derivante dalle garanzie previste come da
convenzione Eni-Montedison all'atto e in conseguenza degli ap
porti in Enimont (attualmente Enichem), ed ogni altra relativa
all'interpretazione, esecuzione, validità ed efficacia delle garan zie stesse;
— che il giudizio arbitrale fra tutte le parti aveva avuto inizio
in data 7 luglio 1992, come risultava dal relativo verbale di udien
za, sui numerosi quesiti formulati da Eni ed Enichem, ed era
tuttora pendente. Tutto ciò premesso le società attrici convenivano in giudizio
dinanzi al Tribunale di Milano l'Eni s.p.a. e l'Enichem s.p.a.
per sentir dichiarare che la lettera in data 2-3-11 giugno 1992
non costituiva né un compromesso, né una clausola compro missoria idonea a sottoporre la controvesia al giudizio del colle
gio arbitrale; che in ogni caso le pretese avanzate da Eni ed
Enichem non erano per loro natura compromettibili; che, in
subordine, le domande erano improponibili per intervenuta ri
nuncia o decadenza o prescrizione; che, previa sospensione del
processo in attesa della definizione dei giudizi penali in corso
relativi alle problematiche ecologiche e di altre cause civili aven
ti natura pregidiziale, venissero respinte tutte le pretese credito
rie di Eni ed Enichem, con condanna dei convenuti a varie som
me per causali diverse.
Costituitesi in giudizio, le società convenute eccepivano preli minarmente l'incompetenza del giudice adito in dipendenza del
patto compromissorio stipulato fra le parti e della cognizione
za sta, per ora, nel timore di perdere o la causa o l'arbitrato, che do vrebbe distogliere la parte la cui posizione giuridica è più debole dall'at tivare l'una procedura mentre è già in corso o sta per avviarsi l'altra, allo scopo di intralciare quella che meno le conviene».
Resta solo da aggiungere, a questo punto che, la prima sezione civile, cedendo ancora una volta a fuorviami ed ultronee suggestioni didascali
che, ha richiamato l'art. 16 1. 10 dicembre 1981 n. 741, che ha ritenuto esclusivo di ogni possibilità di deroga alla competenza arbitrale se non in via preventiva (con apposita clausola inserita nel bando o invito di
gara, ovvero nel contratto di appalto stipulato a trattativa privata), mo
strando, così, di ignorare che la Corte costituzionale, con sentenza 9
maggio 1996, n. 152, Foro it., 1996, I, 1905, con osservazioni di C. M.
Barone, aveva dichiarato illegittima la norma de qua proprio perché, attraverso la formulazione ritenuta ancora vigente dalla riportata sen
tenza, aveva finito con rendere obbligatorio l'arbitrato «in spregio al
principio, più volte ribadito, secondo cui solo a fronte della concorde e specifica volontà delle parti (liberamente formatasi) sono consentite
deroghe alla regola della statualità della giurisdizione». [C. M. Barone]
This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 11:07:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
arbitrale in corso, voluta da tutte le parti; in subordine chiede
vano il rigetto delle domande proposte dalle attrici, nei cui con
fronti riproponeva tutte le istanze che avevano costituito ogget to dei quesiti sottoposti all'esame del collegio arbitrale.
Con sentenza del 9 febbraio-27 marzo 1995 il tribunale di
chiarava l'incompetenza del giudice ordinario per essere la con
troversia devoluta agli arbitri.
Osservava il tribunale — con riferimento alla portata dell'ac
cordo contenuto nella lettera del 2, 3, 11 giugno 1992, principa le oggetto di contestazione fra le parti — che la competenza
degli arbitri a giudicare in ordine all'esistenza e alla validità
del compromesso e della clausola compromissoria e, quindi, in
ordine alla sussistenza della potestas iudicandi loro conferita
dalle parti, non escludeva la concorrente cognizione del giudice ordinario sull'esistenza e la validità del patto arbitrale, quando
egli fosse investito della risoluzione della controversia sottopo sta alla cognizione arbitrale. Tale regola doveva ritenersi ope rante anche nel caso di pendenza contemporanea del giudizio ordinario e di quello arbitrale, la quale non poteva dar luogo ad alcuna situazione di litispendenza, presupponendo questa la
contemporanea pendenza dello stesso giudizio dinanzi a giudici diversi che fossero entrambi forniti di giurisdizione ordinaria.
Ciò premesso osservava che nell'accordo in contestazione non
poteva essere ravvisata una clausola compromissoria, poiché il
contratto cui essa avrebbe dovuto essere riferita non poteva es
sere né la vendita acquisto del 1990, cui la Enichem s.p.a. era
rimasta estranea, né la convenzione istitutiva di Enimont del
1988, la quale conteneva autonoma clausola compromissoria, e che, inoltre, era rimasta travolta dalla risoluzione della con
venzione operata dalle società contraenti nel 1990. Né poteva
poi ravvisarsi nella clausola compromissoria contenuta nell'art.
22 del contratto del 1990 un contratto a favore del terzo attua
tosi con l'accettazione di Enichem, poiché tale costruzione giu ridica risultava del tutto estranea alla reale volontà delle parti.
Neppure, infine, poteva essere considerata come clausola com
promissoria un accordo stipulato con riferimento ad un conten
zioso già attuale e dopo l'avvenuta costituzione del collegio ar
bitrale: l'accordo in questione doveva essere invece interpretato
quale compromesso, senza che a ciò potessero ostare l'eccepita indeterminatezza dell'oggetto e la non compromettibilità delle
controversie in atto fra le parti. A tal proposito la ricostruzione
dell'effettiva volontà negoziale — premessa la impossibilità di
ogni convalida di un compromesso nullo ad opera di scritture
successive che non fossero di tal portata da integrare, autono
mamente, un nuovo patto arbitrale — consentiva di ritenere
che il testo contenuto nella lettera di adesione del giugno del
1992 non era formulato in maniera da escludere la riferibilità
dell'accordo alle controversie in corso tra gli stessi sottoscritto
ri, le quali avevano avuto il loro momento di maggior rilievo
nella lettera di contestazioni inviata da Eni ed Enichem il 27
giugno 1991 ed erano continuate con successive comunicazioni
tra le parti relative ai procedimenti penali pendenti e al conten
zioso amministrativo in corso. A tali rilievi poteva poi aggiun
gersi l'invio della lettera-compromesso al collegio arbitrale e tutte
le ulteriori attività successivamente poste in essere, conclusesi
con l'intervento di ciascuna delle parti alla riunione del 7 luglio 1992 dinanzi al collegio arbitrale, preceduto da formale convo
cazione e deposito di regolari procure per la rappresentanza pro cessuale e la difesa tecnica.
Tale successione di fatti consentiva di ritenere che la scrittura
del 2, 3, 11 giugno 1992 non era intervenuta prima che insor
gessero rapporti contenziosi fra le parti ma aveva in realtà inci
so su rilevantissime controversie la cui consistenza e attualità
al giugno del 1992 era confermata dalla pronta successiva atti
vazione del procedimento arbitrale. E del resto, tenuto conto
dei canoni di ermeneutica contrattuali applicabili anche nell'in
terpretazione del compromesso, l'esame del comportamento com
plessivo delle parti anche posteriore alla sua conclusione e l'ap
plicazione del canone fondamentale che impone di interpretare la volontà dei contraenti secondo buona fede, indicavano chia
ramente che i sottoscrittori avevano ben presente al momento
della stipulazione del patto arbitrale l'oggetto delle controversie
in corso, relative alla operatività delle garanzie per gli apporti di Montedison in Enimont, e ciò consentiva di affermare la de
terminabilità dell'oggetto del compromesso. Per quanto attene
va poi alla asserita non compromettibilità della massima parte delle controversie deferite agli arbitri, la causa petendi dedotta
Il Foro Italiano — 1996.
in giudizio non era costituita dalla violazione delle norme am
bientali, ma solo dalle conseguenze giuridico-patrimoniali della
violazione delle garanzie contrattuali, rispetto alla quale la con
formità degli impianti alla normativa ambientale veniva in con
siderazione solo quale res facti.
E, quand'anche si fosse ritenuto che la questione relativa al
l'accertamento della conformità degli impianti alla normativa
ambientale integrasse gli estremi di una questione pregiudiziale non conoscibile dagli arbitri, l'effetto processuale che ne sareb
be conseguito sarebbe stato quello della mera sospensione del
procedimento arbitrale e non la devoluzione dell'intera contro
vesia al giudice ordinario, il quale nella medesima situazione, non avrebbe potuto comportarsi diversamente in presenza di
cause pregiudiziali esorbitanti dalla sua competenza. Contro la sentenza hanno proposto regolamento di compe
tenza affidato a tre motivi la Montedison s.p.a., la Ateca Fi
nanziaria s.r.l., la Montecatini s.p.a. e la Cladiafin s.r.l. Han
no depositato memoria l'Eni s.p.a. e l'Enichem s.p.a. Il pubbli co ministero ha depositato le sue conclusioni in data 2 dicembre
1995. Le società ricorrenti hanno replicato con memoria.
Motivi della decisione. — Va preliminarmente dichiarata l'ir
ricevibilità della seconda memoria depositata dalle ricorrenti, non essendo consentito il deposito di memorie di replica nel
procedimento regolato dall'art. 47 c.p.c. Con i tre motivi articolati in ricorso si denuncia, rispettiva
mente, la violazione degli art. 806 e 807 c.p.c. per essere stato
erroneamente ravvisato nell'accordo delle parti un compromes
so, benché l'esame del testo dello stesso non consentisse, di per sé solo, di pervenire alla determinabilità dell'oggetto del con
tratto (primo motivo); la violazione degli art. 9, 38, 817 e 829
c.p.c., per essere stata applicata la disciplina della competenza arbitrale in una fattispecie in cui era in questione la nullità o
addirittura l'inesistenza del compromesso, con esclusione di ogni
potestas iudicandi degli arbitri (secondo motivo); infine, la vio
lazione e la falsa applicazione degli art. 806, 819, 34, 295 c.p.c., 75 c.p.p. e 1966 c.c. per non aver la sentenza impugnata consi
derato che né il giudice civile né, meno che mai, l'arbitro, pos sono conoscere delle conseguenze civili dell'illecito penale o am
ministrativo se non quando essi siano incontroversi o siano già stati accertati in sede propria con pronuncia definitiva (terzo
motivo). Il ricorso non può trovare accoglimento e la sentenza impu
gnata dev'essere confermata, previa doverosa correzione e inte
grazione della sua motivazione in applicazione del disposto del
l'art. 384, 2° comma, c.p.c., la cui disciplina opera anche nel
giudizio di cassazione relativo ad istanza di regolamento neces
sario di competenza (per un lontano precedente: Cass. 21 feb
braio 1949, n. 312, Foro it., Rep. 1949, voce Produzione nazio
nale, n. 13). Premesso che non è dato dubitare dell'esperibilità di tale mezzo
di impugnazione avverso la sentenza che declini la competenza in favore di arbitri nel presupposto del carattere rituale dell'ar
bitrato, e indipendentemente da ogni controllo sulla correttezza
dell'individuazione della natura del compromesso (Cass. 31 lu
glio 1986, n. 4902, id., Rep. 1986, voce Competenza civile, n. 119), vanno tuttavia evidenziati gli aspetti peculiari che il rego lamento necessario di competenza viene ad assumere quando
l'incompetenza del giudice adito sia causata da un accordo de
rogatorio con il quale le parti abbiano deferito ad arbitri la
decisione della controversia.
La sentenza della Cassazione che statuisce sulla competenza non è infatti vincolante per gli arbitri, nei cui confronti non
è ipotizzabile alcuna prosecuzione del processo, poiché la sua
portata si esaurisce nell'accertamento, in via definitiva, dell'esi
stenza di una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria: ciò non comporta infatti alcuna preclusione per il collegio arbi
trale, costituendo o già costituito, in ordine alla verifica della
propria legittimazione a pronunziarsi sulla controversia ad essi
deferita dai compromittenti, né, d'altro lato, impedisce che il
lodo da essi emesso possa essere impugnato per nullità del com
promesso, e cioè per motivi che escludono il valido conferimen
to agli arbitri del potere di decidere la controversia insorta fra
le parti (art. 829, n. 1, c.p.c.). La diversa funzione alla quale assolve il regolamento necessa
rio di competenza allorquando la questione sottoposta all'esa
me della corte regolatrice consista non già nell'individuare in
via definitiva quale sia il giudice competente a conoscere della
This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 11:07:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2719 PARTE PRIMA 2720
controversia, ma ad accertare, invece, se la competenza appar
tenga al giudice adito ovvero non appartenga ad alcun giudice a causa dell'accordo derogatorio all'uopo stipulato fra le parti,
impone di investigare quali modifiche subisca la disciplina det
tata dal codice di rito nell'ipotesi in cui — come nella specie — la medesima controversia penda contemporaneamente dinanzi
al giudice e dinanzi agli arbitri. La sentenza impugnata ha risolto il problema prestando ade
sione all'orientamento tralaticio secondo cui la regola generale
per la quale gli arbitri sono tenuti a giudicare sulla propria «com
petenza», e cioè ad accertare l'esistenza, la validità e la esatta
portata del compromesso o della clausola compromissoria, non
vale ad escludere la concorrente cognizione del giudice ordina
rio sulla questione dell'esistenza e della validità del patto com
promissorio, quand'anche il giudizio arbitrale sia già stato in
staurato.
Il consolidato orientamento giurisprudenziale, cui si richiama
con dovizia di riferimenti la sentenza impugnata, si fonda es
senzialmente sulla considerazione che la litispendenza trova il
suo criterio regolatore nel princicpio di prevenzione, il quale
presuppone l'esistenza di due giudici dotati di pari competenza
istituzionale, e ciò esclude che possa darsi litispendenza tra un
giudizio pendente davanti all'autorità giudiziaria e un giudizio instaurato davanti ad arbitri: in tal caso il contrasto non può essere risolto in base alla priorità della proposizione della do
manda, ma dev'essere risolto, invece, sulla base dell'esistenza, della validità e dei limiti del compromesso o della clausola com
promissoria. Ciò perché, secondo la disciplina normativa all'e
poca vigente, la proposizione della domanda davanti al collegio arbitrale non poteva produrre gli stessi effetti della domanda
proposta davanti al giudice, tenuto conto del fatto che il proce dimento arbitrale acquistava carattere giurisdizionale solo col
decreto del pretore che dichiarava l'esecutività del lodo, trasfor
mandolo in sentenza arbitrale; da ciò conseguiva che, in attesa
che il procedimento arbitrale acquistasse retroattivamente, fin
dalla sua instaurazione, carattere giurisdizionale, non poteva ri
conoscersi alla proposizione della domanda davanti agli arbitri
gli stessi effetti di quella proposta davanti agli organi giurisdi
zionali, sicché il giudice adito non poteva limitarsi a dichiarare
la litispendenza, ma era tenuto a declinare la propria competen za se ravvisava quella del collegio arbitrale, ovvero, in caso con
trario, doveva riconoscere la propria competenza a decidere nel
merito la controversia (Cass. 9 maggio 1956, n. 1504, id., Rep.
1956, voce Diritti promiscui, n. 47; 17 aprile 1968, n. 1143,
id., Rep. 1968, voce Opere pubbliche, n. 200; 28 gennaio 1970, n. 177, id., Rep. 1970, voce Competenza civile, n. 256; 4 aprile
1979, n. 1943, id., Rep. 1979, voce cit., n. 149. Tra le sentenze
citate nella sentenza impugnata inconferente appare però il ri
chiamo a Cass. 28 marzo 1991, n. 3361, id., Rep. 1992, voce
Arbitrato, n. 104, trattandosi di decisione resa su una contro
versia nella quale il giudizio arbitrale non era stato ancora in
staurato, poiché una parte, dopo aver ricevuto la notificazione
della nomina dell'arbitro effettuata dalla controparte, aveva im
mediatamente proposto un'azione di mero accertamento della
nullità della clausola compromissoria, senza dedurre peraltro in giudizio alcuna controversia in ordine alle situazioni soggetti ve sostanziali in contestazione).
L'orientamento suddetto, non solo si è formato in tempi or
mai remoti, ben lontani dalla evoluzione della normativa in te
ma di arbitrato (la quale non rileva, tuttavia, agli effetti della
decisione del regolamento necessario di competenza in esame), ma neppure mostra di aver recepito le distinzioni prospettate dalla dottrina del tempo, formulate sia nel contesto delle opere
specialistiche, sia nelle note pubblicate nelle più correnti riviste
giuridiche. Non può infatti negarsi che il principio secondo cui ogni giu
dice è giudice della propria competenza non opera con i medesi
mi effetti se la questione di competenza sorga anteriomente alla
costituzione del collegio arbitrale ovvero dopo la sua costituzione.
Nel primo caso non può dubitarsi che il giudice adito, dinan
zi al quale sia stata eccepita la pregressa stipulazione di un ac
cordo derogatorio della competenza, sia tenuto a pronunciarsi sulla propria competenza, declinandola a favore degli arbitri, ovvero dichiarandola e pronunziando nel merito: se si verifica
tale ipotesi non può determinarsi alcun conflitto potenziale di
giudicati, poiché le parti non procederanno, ovviamente, alla
Il Foro Italiano — 1996.
costituzione del collegio arbitrale sin quando non sia divenuta
definitiva la pronuncia sulla competenza del giudice adito.
Nel caso, invece, in cui gli arbitri siano già stati investiti della
controversia non si pone più la questione dell'esistenza della
validità e della portata dell'accordo compromissorio, ma solo
quella della legittimazione degli arbitri a decidere tutte le que stioni sottoposte al loro giudizio e, preliminarmente, ad accer
tare l'esistenza di un valido accordo compromissorio che fondi
la loro potestas iudicandi.
Verificandosi tale ipotesi, il giudice dinanzi al quale sia por tata la medesima controversia deve limitarsi a prendere atto che
le parti hanno già dato concreta attuazione all'accordo deroga torio della competenza dell'autorità giudiziaria, e astenersi da
ogni ulteriore accertamento in ordine all'esistenza e al valido
conferimento della potestas iudicandi in favore degli arbitri, ai
quali resta attribuita in via esclusiva la verifica dei propri poteri. Ciò perché, se si ammette che sia il giudice, sia il collegio
arbitrale possano pervenire contestualmente ad affermare la pro
pria competenza, si determina la possibilità che le parti, nel
vigore della attuale disciplina, si trovino contemporaneamente vincolate all'osservanza di un lodo, eventualmente esecutivo e
definitivo, e da una sentenza passata in giudicato che hanno
deciso in maniera difforme la medesima controversia, mancan
do qualsiasi disciplina dei rapporti tra giudizio ordinario e pro cedimento arbitrale che possa apprestare rimedi preventivi. Non
vale infatti invocare il rimedio approntato dall'art. 829, n. 8,
c.p.c., che sanziona di nullità il lodo che sia contrario a un
precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza
passata in giudicato fra le parti, purché la relativa eccezione
sia stata dedotta nel giudizio arbitrale, poiché, come si è già
rilevato, il giudizio contenzioso ordinario segue di norma l'in
staurazione del procedimento arbitrale e ciò non consente di
ipotizzare la proponibilità dell'eccezione di giudicato dinanzi agli
arbitri, attesa la diversa durata dei due procedimenti; sicché si
avrà un giudicato formatosi in epoca successiva all'acquisto della
definitività da parte del lodo, senza che a ciò possa porsi rime
dio attraverso l'impugnazione per revocazione ai sensi dell'art.
395, n. 5, c.p.c., che è chiamata a dirimere un conflitto fra
giudicati e non quello tra una sentenza passata in giudicato e
un lodo non impugnato e non più impugnabile.
Né, del resto, l'esistenza dell'ipotizzato conflitto può essere
negata attribuendo prevalenza alla decisione dei giudici, avente
forza di giudicato, sul lodo definitivo, che resta pur sempre un atto di autonomia privata, ancorché dotato, in ipotesi, di
efficacia esecutiva, poiché ciò implicherebbe il riconoscimento
in favore di ciascuna delle parti dell'accordo compromissorio, di una sorta di ius poenitendi che le consentirebbe di sottrarsi
unilateralmente agli effetti dell'accordo derogatorio senza alcun
limite di tempo, in assenza di un meccanismo analogo a quello
previsto dall'art. 47 del capitolato generale di appalto per le
opere di competenza del ministero dei lavori pubblici (d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063), nel testo vigente prima della modifica
introdotta dall'art. 16 1. 10 dicembre 1981 n. 741, che ha esclu
so ogni possibilità di deroga alla competenza arbitrale se non
in via preventiva, con apposita clausola inserita nel bando o
invito di gara, ovvero nel contratto di appalto stipulato a trat
tativa privata.
E, poiché secondo la normativa attualmente vigente a seguito delle modifiche di cui alla 1. 5 gennaio 1994 n. 25, il lodo vinco
la le parti sin dalla sua emanazione, indipendentemente dalla
sua esecutività (mentre anteriormente l'attività degli arbitri ac
quistava rilevanza nel mondo del diritto solo dopo il decreto
di esecutività del pretore, restando, prima di tale momento, as
solutamente improduttiva di effetti giuridici), viene ad assume
re ancor maggiore validità l'orientamento dottrinale formatosi
prima che avesse inizio l'evoluzione normativa dell'istituto, e
deve perciò essere ribadito che la costituzione del collegio arbi
trale sottrae al giudice ordinario ogni potere di deliberare in
ordine all'esistenza, alla validità e alla portata dell'accordo de
rogatorio della sua competenza, restando tale accertamento af
fidato in via esclusiva agli arbitri, la cui pronuncia sarà suscetti
bile di impugnazione per nullità qualora dovesse essere eccepita la mancanza della loro potestas iudicandi per qualsiasi motivo
che comporti carenza dell'investitura da parte dei privati con
traenti.
This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 11:07:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In conclusione, la pronuncia declinatoria di competenza che
forma oggetto del regolamento necessario proposto dalle quat tro società ricorrenti si giustifica non già per la constatata sti
pulazione di un valido compromesso fra tutte le parti in causa, bensì per il solo fatto che deve ritenersi preclusa alle parti, che
abbiano provveduto all'instaurazione del procedimento arbitra
le, la proposizione della medesima domanda dinanzi al giudice ordinario affinché si pronunci nel merito dopo aver accertato
l'inesistenza o la nullità dell'accordo compromissorio posto a
fondamento dell'avvenuto deferimento ad arbitri della contro
versia tra esse insorta.
La ricostruzione dei rapporti fra giudizio ordinario e giudizio arbitrale che emerge dalle considerazioni che precedono com
porta perciò il rigetto dei primi due motivi di ricorso e l'assor
bimento dell'esame del terzo, avente natura subordinata.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 giugno
1996, n. 5768; Pres. Borruso, Est. Rovelli, P.M. Martone
(conci, conf.); Soc. Gastaldi International (Avv. Porretta,
Sorrentino) c. Soc. Alitalia; Soc. Alitalia (Avv. P. Guerra,
Balestra) c. Soc. Gastaldi International. Conferma App. Ge
nova 20 marzo 1992.
Trasporto marittimo e aereo, noleggio e locazione di nave e
di aeromobile — Consegna in difformità — Termine di deca
denza breve — Applicabilità (L. 19 maggio 1932 n. 841, ap
provazione della convenzione per l'unificazione di alcune re
gole sul trasporto aereo internazionale, stipulata a Varsavia
il 12 ottobre 1929, art. 26).
La decadenza breve prevista dall'art. 26 della convenzione di
Varsavia si applica ad ogni ipotesi di consegna non conforme al titolo di trasporto. (1)
Svolgimento del processo. — Con l'atto introduttivo, la Ga
staldi International s.r.l. conveniva davanti al Tribunale di Ge
nova l'Alitalia linee aeree s.p.a., esponendo che: — con lettera di vettura aerea del 25 febbraio 1984, Alitalia
aveva assunto il trasporto a Lusaka di sedici casse di materiale;
(1) La Suprema corte ripropone, con riferimento all'art. 26, n. 2, della convenzione di Varsavia, la «nozione lata ed estensiva» del termi
ne «avaria», così come era già avvenuto in Cass. 20 novembre 1990, n. 11202, Foro it., Rep. 1991, voce Trasporto marittimo e aereo, n.
98 (per esteso in Giust. civ., 1991, I, 929). Si è infatti considerato che
la previsione del termine breve sia atta a «produrre l'effetto di superare la presunzione che la merce sia giunta a destino e riconsegnata in buo no stato e conformemente al titolo di trasporto», con la conseguenza che «non solo la consegna in cattivo stato, ma anche in difformità ri
spetto al titolo di trasporto, rappresenta quella avaria che deve essere
fatta rilevare dal ricevitore mediante la tempestiva protesta, a pena di
decadenza dell'azione di responsabilità contro il vettore aereo». Questo
perché, appunto, il ricevitore è in grado di percepire ogni difformità
tra merce a lui consegnata e merce inventariata nel titolo di trasporto. Alla luce di tali considerazioni, è possibile apprezzare la ratio delle
decisioni che precludono al danneggiato la possibilità di proporre azio
ne per il risarcimento dei danni, nei casi di ricezione della merce senza
reclamo proposto nei termini stabiliti dalle condizioni generali del vet
tore aereo: v. Trib. Cagliari 9 gennaio 1991, Foro it., Rep. 1993, voce
cit., n. 87, e Dir. trasporti, 1993, 117, con nota di Piras.
Inoltre, vista la frequenza dei traffici odierni, il binomio «nozione
ampia di avaria - termine breve di decadenza» appare in linea con l'o
nere a carico del vettore per l'esonero da responsabilità in caso di per dita o danni alla merce: un termine lungo contribuirebbe a rendere ar
due l'individuazione della causa del danno e la dimostrazione della sua
eventuale non imputabilità al vettore stesso (v. Trib. Genova 30 marzo
1990, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 67, e Dir. maritt., 1991, 1073).
Il Foro Italiano — 1996.
— che, all'arrivo, una delle casse non era stata consegnata al ricevitore Star Commercial Ltd.;
— che il ricevitore aveva ceduto all'attrice i diritti derivanti
dal contratto di trasporto; — che il danno ammontava ad oltre lire 13.000.000. Chiede
va pertanto la condanna della convenuta al risarcimento del dan
no da determinarsi in corso di causa.
L'Alitalia, costituendosi eccepiva gradatamente, la carenza di
giurisdizione del giudice italiano; l'incompetenza territoriale del
l'adito tribunale; la carenza di legittimazione passiva della con
venuta; il difetto di legittimazione attiva della Gastaldi; la deca
denza di cui all'art. 454 c. nav. e la prescrizione di cui agli art. 955 e 438 c. nav.; in via subordinata, l'applicazione del
limite di responsabilità, ex art. 952 c. nav.
Il Tribunale di Genova, affermata la giurisdizione del giudice
italiano, disattesa l'eccezione di incompetenza territoriale, rico
nosciuta la legittimazione attiva della Gastaldi, accoglieva inve
ce l'eccezione di difetto di legittimazione passiva dell'Alitalia,
rigettando la domanda risarcitoria.
La Corte d'appello di Genova, adita su impugnazione della
Gastaldi rigettava l'appello sulla base di una differente motiva
zione, con sentenza depositata il 20 marzo 1992. Rilevava la
corte ligure essersi formato il giudicato interno tanto in ordine
alla giurisdizione che alla competenza, nonché sulla legittima zione attiva della Gastaldi.
Dissentiva, poi dal tribunale là dove questo aveva negato la
legittimazione passiva di Alitalia, non avendo (il tribunale) rite nuto assolto l'onere della prova della stipulazione di un con
tratto aereo in cui la compagnia di bandiera abbia assunto la
qualità di vettore ed essendo contestato in causa che la «Hill
e Delamoin» che ha rilasciato la lettera di vettura, sia local agent di Alitalia. Riteneva invece raggiunta la prova di tale riferibilità
alla rappresentata dell'attività negoziale esplicata dall'agente, in
quanto le indicazioni «Alitalia Cargo Sistem» e degli estremi
del volo AZ/QZ 1946, risultano tanto dalla lettera di vettura
originale (master air waybill), che da quella di «servizio» (Hou
se air waybill)', che l'intestazione del documento, pur in sé non
decisiva, assume rilevanza indiziaria nel senso dell'assunzione
della qualità di vettore del soggetto esercente l'attività di tra
sporto che ha predisposto il modello sul quale è emerso il tito
lo, fino a prova contraria, non data e neppure offerta da Alita
lia (dovendo altresì l'associazione delle sigle indicative di Alita
lia e Zambia airways intendersi come ricorrenza di un trasposto con pluralità di vettori, di cui solo il primo riveste verso il mit
tente la qualità di parte del contratto, responsabile dell'esatto
adempimento della prestazione vettoriale). Riteneva tuttavia fon
data l'eccezione di decadenza, prevista dall'art. 26 della con
venzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 modificata dall'art.
15 del protocollo dell'Aja del 29 settembre 1955, non risultando
che, della perdita di un collo sia stato dato dal destinatario pro testa entro il termine di giorni quattordici dal ritiro.
Precisava che «nessun reclamo risulta essere stato inviato dal
l'Alitalia in qualità di vettore entro il termine di decadenza di
quattordici giorni decorrente dal 6 marzo 1994»; e che «nessu
na rilevanza possano assumere in tal senso le comunicazioni
emesse dalla Commercial Star, e dalla Hill e Delamoin Climax
alla Zambia airways, della quale non è documentata la data
di arrivo, risulta spedita il 14 maggio 1984 (e non il 12 marzo
1984 come leggesi nella comparsa conclusionale dell'appellante) mentre la seconda, datata 12 marzo 1984, risulta pervenuta, come da timbro a inchiostro impresso sulla stessa, il 13 giugno
1984»; restando così «assorbito» il problema dell'opponibilità ad Alitalia dei reclami indirizzati a Zambia airways, né potendo ravvisarsi nella lettera indirizzata a Zambia airways dalla Hill
e Delamoin Climax di Lusaka, indicata come dstinataria nella
lettera di vettura, un riconoscimento del diritto, sia perché la
lettera non proviene da soggetto identificabile con la Hill e De
lamoin che si qualifica rappresentante di Alitalia, sia perché dal tenore di essa esula qualsiasi significato ammissivo in ordi
ne alla pretesa risarcitoria fatta valere nei confronti del primo vettore.
Avverso detta sentenza, la Gastaldi proponeva ricorso per cas
sazione, adducendo un unico articolato motivo. Resisteva Ali
talia notificando controricorso, con il quale veniva proposto ri
corso incidentale subordinato affidato a due motivi. Memoriae
utrimque.
This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 11:07:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions