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sezione lavoro; sentenza 13 maggio 1985, n. 2978; Pres. La Torre, Est. Pontrandolfi, P. M.Caristo (concl. conf.); Di Lorenzo (Avv. Macolino) c. Giardello e altri; Giardello (Avv. G. Leone)c. Di Lorenzo. Cassa Trib. Avellino 5 gennaio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2243/2244-2247/2248Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177985 .
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2243 PARTE PRIMA 2244
Secondo altro arresto il creditore deve dimostrare l'eventuale
danoo emergente derivante dal fatto di' essersi dovuto procurare la
somma non pagatagli a condizioni particolarmente svantaggiose o
mediante l'alienazione di beni1 reali (Oass. 30 luglio 1983, n. 5246,
id., Rep. 1983, voce cit., n. 210). Si è poi aggiunto che il giudice può, im mancanza di altre
specifiche prove, utilizzare, oltre che il notorio acquisito alita
comune esperienza, presunzioni fondate su condizioni' e qualità
personali del creditore e sulle modalità di impiego del denaro
coerenti — secondo i criteri della normalità e della possibilità —
a tali elementi per desumere dal complesso di questi dati
(integrando, ove occorra, i risultati dell'indagine con l'esercizio di
poteri equitativi) quali maggiori utilità, nei singoli casi', la somma
tempestivamente pagata avrebbe potuto procurare al creditore
medesimo (Cass. 8 aprile 1981, n. 1990, id., Rep. 1981, voce cit.
n. 174; 9 giugno 1981, n. 3722, ibid., n. 171). A questo indirizzo se ne contrappone un altro sostenuto da due
recenti sentenze per le quali il danno da inadempimento dell'ob
bligazione pecuniaria è per qualsiasi creditore non inferiore alla
misura dell'inflazione della moneta, che ne costituisce l'elementare
dato probatorio, salivo prova contraria e salvo Che esso assuma un
diverso e maggiore valore per il singolo creditore io relazione al
comprovato uso che della somma portata dall'obbligazione doveva
fare. Pertanto, salvo questa prova diversa o quella contrarila, tale
danno può essere determinato sulla base degli' indici ufficiali di
svalutazione monetaria in relazione al costo della vita (Cass. 7
gennaio 1983, n. 123, id., Rep. 1983, voce cit., n. 171; 27. gennaio
1984, n. 651, id., Rep. 1984, voce cit., n, 171). A quest'ultimo indirizzo ritiene il collegio di dovere aderire
sulla base delle seguenti ulteriori considerazioni in aggiunta a
quelle contenute nelle sentenze da ultimo richiamate.
Costituzione nozione di fatto rientrante nella comune esperienza non solo che in una situazione di inflazione caratterizzata dalla
perdita di valore della moneta, nel senso cioè della necessità di
una quantità via via maggiore di moneta per l'acquisto di una
stessa quantità di beni o d'i servizi, .il creditore di somme di
danaro che non veda soddisfatto il suo credito per fatto imputabile al debitore (inadempimento) subisce un d'anno che deve essere
risarcito da quest'ultimo, ma anche che tale danno è normalmente
pari al tasso di svalutazione monetaria determinato — per il
periodo compreso fra la .scadenza e l'adempimento — sulla base
degli indici ufficiali in relazione al costo della vita, tenendo
presente che — in difetto di prova diversa o contrarila — non
esiste alcun valido motivo per ritenere una incidenza della
svalutazione monetaria sul patrimonio del creditore in misura
diversa quella ufficialmente accertata.
Pertanto, deve ritenersi che in tema di inadempimento di
obbligazione pecuniaria adempia al proprio onere probatorio, ai
sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c., il creditore il quale deduca, come prova del maggior danno subito in conseguenza dell'inadem
pimento del proprio debitore, la svalutazione monetaria richieden
done la liquidazione nella misura determinata sulla base degli indici ufficiali di svalutazione in relazione al oosto della v'ita,
isempre salivo comunque il potere dello stesso creditore di fornire
la dimostrazione di avere subito in conseguenza dell'inadempimen to danni diversi e maggiori, nonché la prova contraria da parte del debitore che deduca e dimostri' l'insussistenza in concreto del danno da svalutazione dedotto o una sua incidenza in misura
inferiore a quella costituita dal tasso di inflazione.
In altre parole, l'onere di provare quali investimenti specifica mente programmati siano stati resi impossibili dall'inadempimento del debitore, o di dimostrare a quali condizioni particolarmente
svantaggiose il creditore si è potuto procurare la somma non entrata nel suo patrimonio .al momento della scadenza o quali maggiori utilità la somma tempestivamente pagata avrebbe potuto
procurare al creditore medesimo sulla base delle sue condizioni o
qualità personali o delle modalità di impiego del denaro coerente a tali elementi, sussiste ove si. richieda i'1 risarcimento dei danni in misura maggiore di quella coperta dal tasso ufficiale di svaluta
zione monetaria, ma non anche quando oi si limiti a chiedere la
liquidazione dei danni in tale misura, dal momento che la
svalutazione monetaria costituisce un fatto notorio non solo in
ordine alia sua esistenza ma anche in ordine al suo concreto
ammontare, mentre l'incidenza della stessa nel patrimonio del
creditore costituisce una nozione di fatto che rientra nella comune
esperienza, sicché, in difetto di prova diversa o contraria, è
sufficiente l'allegazione di tali fatti per l'accoglimento della do
manda ex art. 1224, 2° comma, c.c.
Ira accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza definitiva
della corte d'appello va sul punto cassata e la causa rinviata al
giudice di .rinvio il quale applicherà i principi in precedenza enunciati. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1985.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 13 maggio
1985, n. 2978; Pres. La Torre, Est. Pontrandolfi, P. M.
Caristo '(conci, coraf.); Di Lorenzo (Aw. Macolino) c. Giardel
lo e altri; Giardello (Avv. G. Leone) c. Di Lorenzo. Cassa
Trib. Avellino 5 gennaio 1982.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Giudizio di
rinvio — Riassunzione — Deposito del ricorso — Mancata
notifica per decesso della controparte — Interruzione del giu dizio di rinvio (Cod. proc. civ., art. 299, 392, 414).
Nel rito del lavoro il giudizio di rinvio è tempestivamente riassunto ove nel termine annuale di cui all'art. 392 c.p.c.
venga depositato in cancelleria il ricorso in riassunzione; con la
conseguenza che, ove la notifica del ricorso non si sia potuta
effettuare per decesso della controparte, del quale si sia avuto
notizia solo al momento della tentata notifica, il giudice deve
disporre i provvedimenti conseguenti all'interruzione del proces so. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 6
febbraio 1974, Alessandra Di' Lorenzo conveniva in giudizio davanti al Pretore di Napoli i coniugi Severino Giardiello e Luisa
Uccello, chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di Lire 6.941.500 per crediti derivanti da pregresso rappor to di lavoro subordinato intercorso dal 1° gennaio 1937 al 27
luglio 1973, in cui essa aveva lavorato come domestica a pieno servizio iin favore dei suddetti coniugi.
Sulla resistenza dei predetti coniugi convenuti, l'adito pretore oon sentenza 2-23 dicembre 1974, in parziale accoglimento della
domanda attrice, condannava il Giardiello e la Uccello, in solido
tra loro, al pagamento in favore della Di Lorenzo della somma
complessiva di lire 3.510.595 per le causali specificate in motiva
zione, con gli .interessi^ legali su detta somma a far data dalla
maturazione di ciascun diritto, nonché al pagamento della somma
di lire 801.855 per .risairaimento del danno da svalutazione
monetaria, e al pagamento delle spese processuali, liquidate in
complessive litre 350.000.
Su appello dei datori di lavoro, al quale resisteva la Di
Lorenzo, il Tribunale di Napoli con sentenza 4-30 giugno 1975, in
parziale accoglimento del gravame, riduceva la somma dovuta alla
Di Lorenzo a lire 523.841, oltre ai relativi interessi legali e
all'importo di lire 120.483 per svalutazione monetaria.
Avverso tale sentenza la Di Lorenzo proponeva ricorso per cassazione deducendo un unico motivo e al ricorso resistevano i
coniugi Severino Giardiello e Luisa Uccello con controricorso.
Con sentenza 23 maggio-11 settembre 1980, n. 5247, la Suprema corte accoglieva il ricorso per quanto di ragione, cassava la
sentenza impugnata e rinviava la causa al Tribunale di Avellino
per nuovo esame ed anche per provvedérsi sulle spese del
giudizio di legittimità. Con ricorso depositato il 7 settembre 1981, la Di Lorenzo
riassumeva il giudizio davanti al giudice di rinvio e il ricorso
stesso, unitamente al decreto di fissazione dell'udtenza di discus
sione, veniva notificato, a cura della Di Lorenzo, ai convenuti-ap
pellanti coniugi Severino Giairdielilo e Luisa Uccello in duplice modalità di esecuzione della notifica, dm data 15 settembre 1981:
urna copia per ciascuno di essi presso il loro procuratore in
(1) Con l'affermazione che nel rito del lavoro il giudizio di rinvio è
tempestivamente riassunto ove il ricorso in riassunzione venga deposita to nel termine annuale, di cui all'art. 392 c.p.c., la Cassazione estende al giudizio di rinvio il parallelo principio, consolidato in materia di
proposizione dell'appello e applicato anche in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, in base al quale l'impugnazione o l'opposizione è tempestivamente proposta ove il ricorso sia depositato nei termini di
legge. Sull'argomento v. Cass., sez. un., 27 giugno 1983, n. 4388, Foro
it., 1983, I, 2446; 19 ottobre 1983, n. 6128, ibid., 3024, entrambe con nota di richiami e osservazioni di A. Proto Pisani; e, da ultimo, Cass. 3 novembre 1984, n. 5577, id., 1985, i, 1110, con nota di richiami.
Sulla necessità del ricorso quale atto riassuntivo del giudizio di rinvio nel rito speciale di lavoro v. App. Milano 7 aprile 1978, id., Rep. 1978, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 380; App. Caltanissetta 6 giugno 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 158.
Sulla decorrenza del termine annuale v. Cass. 21 aprile 1983, n. 2738, id., 1983, I, 1599. Sulla necessità di notificare l'atto riassuntivo del giudizio presso la parte personalmente v. Cass. 18 gennaio 1983, n. 433, id., Rep. 1983, voce Rinvio civile, n. 8; 25 giugno 1983, n. 4379, ibid., n. 9; 11 luglio 1977, n. 3113, id., Rep. 1978, voce Procedimento civile, n. 230. Sulla necessità per il giudice di rinvio di disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della parte deceduta prima di ricevere la notificazione della citazione in riassunzione v. Cass. 19 febbraio 1980, n. 1216, id., 1980, I, 2457, con nota di richiami di G. Costantino.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
giudizio e domiciliatario aw. Giambattista Leone ini Roma; altra
copia per ciascuno di essi personalmente nella loro residenza e
domicilio .ili Napoli, via Mario De Ciccio, 6. Le copie del ricorso
in riassunzione e del decreto di fissazione di udienza utilizzate per la notifica personale ai convenuti-appellarati tornavano con la
relata dell'ufficiale giudiziario del seguente tenore: « Omessa notifica
perché risultano deceduti1 al sito indicato, giuste informazioni
assunte sul luogo ».
Con sentenza emessa all'udienza del 24 novembre 1981 e
depositata il 5 gennaio 1982, il Tribunale d'i Avellino, quale giudice di «invio in causa di lavoro, dichiarava inammissibile di giudizio di riassunzione introdotto da Alessandra Di Lorenzo con atto
depositato il 7 settembre 1981, per omessa rituale notifica dell'atto di riassunzione.
Premesso che, a norma del 1° comma dell'art. 392 c.p.c., la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti1 non oltre un anno dalla pubblicazio ne della sentenza della Corte di cassazione, e che, in base al
disposto di cui ail 2° comma dello stesso articolo, la riassunzione deve essere fatta con citazione da notificarsi personalmente alla
parte interessata a norma degli art. 137 ss. c.p.c., con la
conseguenza che qualora l'atto di citazione in riassunzione non
venga notificato personalmente si verifica la nullità della notifica
zione medesima, oltre die dell'eventuale giudizio che dovesse alla
stessa eventualmente seguire, tutto ciò premesso, di Tribunale di
Avellino rilevava che, nella specie, l'atto di citazione in riassun
zione era stato notificato ai convenuti (appellanti') presso lo studio
dell'avv. Giambattista Leone, domiciliatario, e non ai medesimi
personalmente in quanto, come si evinceva dalla relativa relata, entrambi erano deceduti.
Ne conseguiva, ad avviso del tribunale, che, a norma delle
disposizioni sopra richiamate, non poteva ritenersi ritualmente
introdotto il giudizio di rinvio, attesa la mancata notificazione
personale (nella specie: agli eredi dei defunti) dall'atto introdutti
vo dello stesso.
Inoltre, sempre ad avviso del tribunale, non poteva ordinarsi la
rinnovazione della notificazione dell'atto di riassunzione, dal mo
mento che, cosi operando, si sarebbe vanificata la prescrizione di
cui -al 1° comma dell'art. 392 cjp.c., posto che si sarebbe
consentito di procedere alla riassunzione del giudizio di rinvio
dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza
della 'Corte di cassazione (avvenuta nella specie il 17 settembre
1980; rectius: I'll settembre 1980).
Conseguentemente andava dichiarata t'inammissibiiLkà del giudi zio di riassunzione così come introdotto dalla Di Lorenzo.
Avverso la suddetta sentenza Alessandra Di Lorenzo ha propo sto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo. Degli intimati Antonio Giardiello, Vittorio Giardiello, Alberto Giardiel
lo, Guido Giardiello e Rita Giardiello, tutti quali eredi dei co
niugi Severino Giardiello e Luisa Uccello, si è costituito il solo
Ailtonio Giardiello con controricorso, proponendo anche ricorso
incidentale condizionato per un unico motivo, illustrato anche da
successiva memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unito motivo del ricorso
principale, denunciando violazione e falsa applicazfcme di norme
di diritto processuale, e, din particolare, degli art. 300, 303 e 298, in 'relazione all'art. 392 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia
prospettati dalle parti, la Di Lorenzo si duole che erroneamente il
Tribunale di Avellino abbia ritenuto violato èl"l° comma dell'art.
392 c.p.c., in quanto il ricorso in riassunzione era stato depositato 'il 7 settembre 1981, prima della scadenza del termine dell'anno
dalla pubblicazione della sentenza delia Corte di cassazione,
avvenuta I'll settembre 1980.
Fa rilevare la ricorrente che, nell'ambito del rito del lavoro, il
giudizio di rinvio si riassume con ricorso depositato (entro un
anno dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione), anziché con citazione notificata all'ai 'tra .parte (entro lo stesso
termine), in quanto il principio che, per la 1. 11 agosto 1973 n.
533, il processo del lavoro si inizia in tutti i gradi e le
fasi con ricorso, riguarda anche il giudizio di rinvio, e in tal
senso deve intendersi modificata, per d processi' di' lavoro, la
'disposizione dell'art. 392 c.p.c. Aggiunge la ricorrente di aver
conosciuto il decesso delle controparti solo a seguito della manca
ta notifica personale del ricorso in riassunzione e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di discussione, come da relata di
omessa notifica dell'ufficiale giudiziario (altea notifica presso il
procuratore docimiliatarito delle controparti è stata effettuata —
secondo la ricorrente — ad abundantiam e per mero tuziorismo, onde non assume alcun rilievo ai fini del presente giudizio). Per
la suddetta circostanza, soltanto a seguito della relata di mancata
Il Foro Italiano — 1985.
notifica (personale) dell'ufficiale giudiziario, e non prima, « nel
meccanismo processuale » si sarebbe introdotta « la dichiarazione
dell'evento morte, che, ai sensi dell'art. 300 c.p.c., produce l'interruzione del proceso in maniera automatica ». Quindi —
sempre secondo la ricorrente — malamente il Tribunale di Avellino
non iavrebbe dichiarato l'interruzione del processo, richiesta dalla
difesa di essa Di Lorenzo all'udienza di discussione del 24
novembre 1981 e avrebbe dichiarato inammissibile il giudizio di
riassunzione.
Con l'unico motivo del suo ricorso incidentale condizionato, Antonio Giardiiello sostiene che, anche nell'ipotesi in cui si voglia ritenere sufficiente, per l'introduzione del giudizio di rinvio, il
deposito dell'atto nei termini e non pure la notifica dell'atto stesso, in nessun caso il Tribunale di Avellino avrebbe potuto dichiarare
interrotto il processo, in quanto, comunque, questo era stato
irritualmente introdotto, contenendo il ricorso in riassunzione
depositato presso la cancelleria del giudice di rinvio l'in
dicazione errata delle parti convenute (decedute); né tale
riassunzione era stata, successivamente, in qualche modo sanata
(dopo la pretesa conoscenza dell'evento morte) nel termine di sei
mesi (ex art. 328 ss. c.p.c.), con l'indicazione, pur possibile, degli eredi ctìllettivamente e impersonalmente, .nell'ultimo domicilio del
defunto. In tale caso, occorrerebbe ila correzione della motivazione
della sentenza impugnata, che il Giardiello dichiara di voler
chiedere anche sotto forma di ricorso incidentale condizionato
all'eventuale accoglimento del ricorso principale, denunciando, al
riguardo, la violazione degli art. 414, 328 ss. c.p.c. in relazione
all'art. 360, min. 3 e 5, dello stesso codice, anche sotto il profilo di
omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo.
Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti ai sensi
dell'art. 335 c.p.c.
Il ricorso principale, nell'unico motivo prospettato, è fondato. È
inesatto quanto si assume nella sentenza impugnata, e, cioè, che il
termine stabilito dall'art. 392 c.p.c. per la riassunzione della cau
sa davanti al giudice di' rinvio sarebbe stato violato: infatti, si
rileva, dall'esame degli atti', che il ricorso in riassunzione è stato
depositato dalla Di Lorenzo nella cancelleria del Tribunale di Avel
lino, quale giudice di rinvio, in data 7 settembre 1981 e, quindi, pri
ma della scadenza del termine di' un anno dalla pubblicazione della
sentenza di questa Suprema corte, avenota I'll settembre 1980.
Il Tribunale di Avellino, dichiarando inammissibile il giudizio
di riassunzione in sede di rinvio, per omessa rituale notifica
dell'atto di riassunzione (in quanto non notificato nel suddetto
termine di un anno dalla Di Lorenzo alle controparti personal
mente), non ha tenuto conto del fatto che, nel rito del lavoro
disciplinato dalla l. 11 agosto 1973 n. 533, il ricorso depositato si
sostituisce alla citazione notificata tutte le volte che questa sia
prescritta dal rito ordinario, con la conseguenza che anche la
riassunzione per rinvio dalla Cassazione si effettua con 'ricorso, e
in tal senso deve ritenersi modificato, per le controversie indivi
duali di lavoro e per quelle di previdenza e assistenza obbligatorio,
il 2° comma dell'art. 392 c.p.c., il quale stabilisce, per la
riassunzione del giudizio di rinvio, la forma della citazione. Ne
consegue che, quando nel rito del lavoro il giudizio di rinvio sia
riassunto con ricorso depositato nel termine di un anno dalla
pubblicazione della sentenza della Cassazione, termine stabilito dal
1° comma dell'art. 392, esso si deve intendere validamente e
tempestivamente instaurato, mentre la successiva notificazione del
ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di
discussione davanti al giudice di rinvio riguarda l'ulteriore fase
della vocatio in ius della controparte e nulla ha a che fare con la
tempestività e l'ammissibilità del giudizio di rinvio.
Pertanto, erronea appare l'affermazione del tribunale circa l'im
possibilità di ordinare la rinnovazione della notificazione dell'atto
di riassunzione in quanto cosi si vanificherebbe la prescrizione del
termine perentorio di cui al 1° comma dell'art. 392, dato che tale
affermazione parte dall'erroneo presupposto che, nella specie, il
giudizio di rinvio dovesse ritenersi ritualmente introdotto solo con
la notificazione personale idell'atto introduttivo alle controparti e,
in particolare, agli eredi delle stesse, essendo gli intimati coniugi
Giiardiello-Uccello deceduti.
Né, del resto, la questione si poneva nel senso della rinnova
zione della notificazione dell'atto riassuntivo del giudizio, ma solo
nei termini dell'interruzione del giudizio di rinvio, regolarmente richiesta dal procuratore della ricorrente Di Lorenzo all'udienza di
discussione, prima che il tribunale, in sede di decisione, dichiaras
se inopinatamente, invece, l'inammissibilità del giudizio di riassun
zione.
Ed invero, avendo avuto la Di Lorenzo, per la prima volta,
legale conoscenza del decesso delle controparti in sede di tentata
notificazione personale del ricorso in riassunzione del decreto d'i
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2247 PARTE PRIMA 2248
fissazione dell'udienza di discussione (v. Telata negativa dell'ufficia le giudiziario, da cui risulta l'omessa notificazione per essere i
coniugi Giardiello-Uocello deceduti), e poiché le controparti! erano sicuramente iti vita quando avevano resistito con controricorso nei
pregresso giudizio di legittimità, il giudizio di rinvio doveva essere dichiarato .interrotto dal Tribunale di Avellino alla stregua del
principio secondo cui, ove una parte sia deceduta dopo l'inizio del giudizio di cassazione e prima che venga notificato l'atto che riassume la causa davanti al giudice di rinvio, valgono le norme sull'interruzione del processo (Cass. 19 febbraio 1980, n. 1216, Foro it., 1980, I, 2547).
In base a tale principio va disatteso anche l'assunto del resistente Antonio Giardiello secondo cui dovrebbe rimaner ferma ila dichiarata inammissibilità del giudizio di riassunzione in sede di rinvio in quanto, comunque, questo sarebbe stato irritualmente introdotto mei confronti di parti già decedute, assunto contenuto nel controricorso. Il contestuale ricorso incidentale, sia pure
condizionato, è inammissibile, e come itale va dichiarato: sia
perché proposto da una parte risultata completamente vittoriosa nel giudizio di rinvio, sia perché tale ricorso tende ad una
semplice correzione della motivazione della sentenza impugnata, alla quale, ove il dispositivo fosse conforme a diritto, la corte
dovrebbe procedere anche d'ufficio (art. 384, cpv., c.p.c.). Pertanto, il ricorso principale va accolto, mentre quello inciden
tale va dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata va, in
relazione ai ricorso accolto, cassata e la causa va (rinviata, anche
per provvedersi sulle spese e sugli onorari di questa fase del
giudizio, al Tribunale di Benevento, sezione lavoro, il quale si
conformerà alle considerazioni sopra svolte.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 29
aprile 1985, n. 2762; Pres. Mirabelli, Est. O. Fanelli, P. M.
Valente (conci, conf.); Iacuitto (Avv. Donzelli) c. Soc. Fezia
(Aw. Fedeli, Cap rio). Cassa Trib. Roma 23 giugno 1980.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento — Risarcimento dei danni
per il periodo intermedio — Disciplina (Cod. civ., art. 1223,
1453; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà
e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività
sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art.
18).
Il risarcimento del danno spettante al lavoratore per il periodo intercorrente fra il licenziamento, dichiarato illegittimo, e la
sentenza di annullamento si identifica — quanto al danno
•eccedente le cinque mensilità dovute per legge — nelle retribu
zioni non percepite, salvo che il dipendente provi di aver
subito un danno maggiore o che il datore provi /'aliunde
peroeptum ovvero il ricorrere di fatto colposo del creditore. (1)
(1) La sentenza si può leggere in Foro it., 1985, I, 1290, con nota di richiami; ne riproduciamo la massima per pubblicare la nota di M. D'Antona.
Licenziamento illegittimo e prova del danno: la stabilità « eco
nomica » del rapporto di lavoro secondo le sezioni unite.
1. - Le sezioni unite della Corte di cassazione sono state investite a
seguito di un contrasto di indirizzi, manifestatosi nella sezione lavoro, intorno all'onere di provare il quantum del danno per il licenziamento riconosciuto illegittimo. Ma non hanno esitato a metter a nudo e ad affrontare il delicato problema che vi era appena dissimulato: nel dissenso sulla prova del quantum si esprimeva obliquamente un persisten te, e ben più sostanzioso, dissenso sull'an, oltreché sulla natura (retributi va, risarcitoria) e sul regime, non solo probatorio, delle somme richieste dal lavoratore, al di sopra delle cinque mensilità dovute ex lege (sul frequente ricorso, da parte dei giudici del lavoro, alla « regola del giudizio », per evitare di motivare in punto di diritto opzioni interpre tative consapevolmente manipolatorie, cfr. B. Caruso, Tutela giurisdi zionale, onere della prova ed equità processuale. Una ricerca sul diritto del lavoro nel processo, in Riv. giur. lav., 1982, I, 3).
Le radici del problema sono profonde, almeno quanto ia contraddi zione insita nella lettera dell'art. 18 statuto dei lavoratori. Da un lato, la stabilità « reale » del rapporto di lavoro — garantita dall'art. 18 sta tuto dei lavoratori — implica che il licenziamento invalido (annullato o dichiarato nullo o inefficace) non interrompe il rapporto ma ne im
pedisce soltanto la «funzionalità di fatto». Dall'altro lato, la stessa
norma, anziché riconoscere il diritto a tutte le retribuzioni maturate nel periodo che intercorre tra il licenziamento e la sentenza, preve de un diritto al « risarcimento del danno » misurato in men
II Foro Italiano — 1985.
silità di retribuzione calcolate a norma dell'art. 2121 c.c., e co munque « non inferiore » a cinque mensilità. Per colmo di incoeren za, il diritto alle « retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto » è testualmente riconosciuto al lavoratore dopo la sentenza, fino alla effettiva reintegrazione.
2. - La contraddizione è croce e delizia degli interpreti fin dai primi commenti allo statuto dei lavoratori. E in effetti l'orizzonte delle possibili interpretazioni sembra aperto ad ipotesi diametralmente oppo ste.
Si può sostenere che debba prevalere il concetto-cardine della stabilità « reale » (la continuità del rapporto di lavoro solo di fatto interrotto dal licenziamento ingiusto) e argomentare che il lavoratore matura nel periodo considerato tutte le retribuzioni a titolo di adempimento (tardivo ma non impossibile, trattandosi di somme di denaro), ed ha inoltre la facoltà di dedurre e provare un danno ulteriore.
O all'opposto si può sostenere che il legislatore ha scientemente sostituito ai rigorosi effetti dell'invalidità negoziale del licenziamento un « più blando » regime risarcitorio, ammettendo con ciò implicita mente che — al di sopra delle cinque mensilità dovute ex lege — il risarcimento possa anche non comprendere tutte le retribuzioni matura te, restando peraltro aperta la via alla allegazione di un danno maggiore.
La prima soluzione può essere accreditata in base a concatenazioni argomentative diverse, ma sacrifica alla coerenza sistematica la lettera della norma, che parla di risarcimento del danno e non di retribuzioni.
La seconda soluzione ha pregi e difetti speculari a quelli della prima: è assecondata dalla formulazione testuale della norma ma fa a pugni con l'interpretazione del sistema di tutela nel suo complesso. Se è vero infatti che il licenziamento illegittimo non interrompe il rapporto di lavoro, e restano immutate le obbligazioni delle parti, non si comprende come e perché la retribuzione cambi natura e diventi risarcimento del danno.
3. - L'impasse è stata superata di slancio da una sentenza della Corte di cassazione del 1976 (Cass. 28 maggio 1976, n. 1927, Foro
it., Rep. 1976, voce Previdenza sociale, n. 195, e per esteso in Riv.
giur. lav., 1977, II, 86, con nota di M. D'Antona): il danno, affermò la corte, non può non contenere, in primo luogo, proprio le retribuzioni
perdute per l'ingiusto licenziamento. Solo che, nel caso, la corte sembrò gettare il cuore al di là
dell'ostacolo: come vi fosse arrivata, non sapeva spiegarlo chiaramente. La debolezza teorica della posizione della Corte di cassazione su di
uno snodo di tale rilevanza, apparve fin dall'inizio foriera di complica zioni (M. Dell'Olio, Licenziamento, reintegrazione, retribuzione, risar
cimento, in Mass. giur. lav., 1978, 504; D'Antona, La reintegrazione nel posto di lavoro, Padova, 1979, 137 ss.; Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1979; nonché la più recente rilettura critica di U. Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 120 ss.).
Sempre protestando fedeltà ai principi ed ai precedenti, la Cassazio ne cominciò a tradire le proprie incertezze sul terreno, in apparenza più defilato, dell'onere della prova del quantum del risarcimento.
Si manifestò un indirizzo « rigoroso » (nel danno sono contenute in primo luogo le retribuzioni, la prova del pregiudizio essendo in ipsa re, cioè nell'esistenza attuale di un rapporto di lavoro mai validamente interrotto: così Cass. 21 novembre 1977, n. 5079, Foro it., Rep. 1977, voce Lavoro '(rapporto), n. 1087 e in Riv. giur. lav., 1978, II, 847) ed uno « temperato » (l'art. 18 vede un temperamento al principio che la
prova del danno deve essere fornita dall'interessato, nella presunzione semplice che assiste il lavoratore, in relazione alla natura alimentare del credito: Cass. 28 giugno 1978, n. 3271, Foro it., Rep. 1978, voce
cit., n. 1371, e in Riv. giur. lav., 1978, II, 533) che si fece ben presto maggioritario [v. l'esauriente riepilogo dei diversi filoni giu risprudenziali nella nota redazionale alla sentenza in commento in Foro it., 1985, I, 1290, nonché nella nota di Del Punta a Cass. 14
giugno 1983, n. 4088 (Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 2167), in Giust. civ., 1983, I, 2941 ss., ove una attenta ed opportuna indagine, sulle motivazioni e sulle fattispecie, anziché soltanto sulle « massime » dei precedenti richiamati ].
Poi le incertezze iniziali cominciarono a provocare pentimenti, e si precisò un indirizzo «dissenziente». Dimostrata agevolmente la impos sibilità di ricavare temperamenti al principio dell'art. 2697 c.c. da una « presunzione semplice » di danno (se non altro perché « le presunzioni semplici sono quelle ritenute di volta in volta dal giudice di merito secondo il suo prudente apprezzamento ») apparve logico affermare che al di là del minimo garantito di cinque mensilità, il maggior danno subito nel periodo compreso tra il licenziamento e la sentenza, deve essere provato dal lavoratore, anche per quanto concerne la mancata percezione di altri redditi (Cass. 14 giugno 1983, n. 4088, cit.); dopodiché, presa la rincorsa, si è giunti ad addossare al lavoratore danneggiato anche la prova della diligente, quanto infruttuosa, ricerca di una diversa occupazione (Cass. 12 aprile 1983, n. 2586, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 2169).
4. - Le sezioni unite confermano l'indirizzo « rigoroso » apportando alcune significative precisazioni che conferiscono alla soluzione il massimo di coerenza possibile, considerata la qualità non eccelsa del materiale normativo sistemato.
Se la soluzione non è tale da risolvere tutti i problemi concreti dei giudici di merito e degli operatori (di fronte all'abnorme durata dei
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