Post on 31-Jan-2017
transcript
sezione lavoro; sentenza 16 maggio 2002, n. 7136; Pres. Trezza, Est. Amoroso, P.M. Cinque(concl. diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Merlo e altri (Avv.Ferrara, Di Gasparro). Conferma Trib. Santa Maria Capua Vetere 2 novembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2687/2688-2693/2694Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196840 .
Accessed: 25/06/2014 04:42
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 04:42:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2687 PARTE PRIMA 2688
Quindi al 2° comma vieta l'istituzione di giudici speciali e straordinari.
E noto, provenendo dalla più accreditata dottrina cui il colle
gio aderisce, che non si istituisce un giudice speciale solo con la
attribuzione ad organo pubblico di un procedimento speciale. È
noto anche, ed il collegio condivide anche questa impostazione, che si considera giudice quel soggetto pubblico che esercitando
quel tipico procedimento che è il processo giudiziario dà luogo ad una decisione su diritti suscettibile di assurgere alla definiti
vità del giudicato, al di fuori di qualunque altro controllo da
parte di altro e diverso organo o potere dello Stato.
Non è dunque decisiva la considerazione dell'oggetto del de
cidere, giacché anche alle pubbliche amministrazioni è dato di
provvedere su diritti in forme che la dottrina definisce giustizia li, e parimenti non è decisiva la considerazione dell'interesse
pubblico costituente il riferimento fondamentale del giudice,
perché in via di principio la pubblica amministrazione provvede
per l'appunto in considerazione di un interesse pubblico gene rale, la cui forza talvolta attenua la stessa protezione della posi zione soggettiva, che degrada ad interesse legittimo.
Quanto alla struttura particolare del procedimento seguito
dall'organo va osservato che a partire dalla 1. n. 241 del 1990
l'ordinamento giuridico ha impresso all'attività della pubblica amministrazione una svolta decisiva, attenuando progressiva mente la storica caratterizzazione autoritativa del procedimento che sfocia in un provvedimento, per favorire il più ampio grado di partecipazione del soggetto interessato alla formazione del
medesimo. Ciò talvolta a mezzo di un vero e proprio contrad
dittorio, analogo per forza di cose a quello giudiziario che ne
costituisce il modello, in coerenza con una lettura oramai domi
nante dell'art. 97 Cost, e dunque delle finalità di buon anda
mento e di imparzialità dell'amministrazione.
E noto infatti, come afferma la migliore dottrina, che tra le
funzioni del procedimento amministrativo vi è quella di far
emergere con chiarezza il punto di contrasto tra il privato e la
pubblica amministrazione, cosicché anche il controllo giudizia rio eventuale possa risultare perspicuo.
In tale ottica pertanto la diffusa tendenza alla introduzione nel
procedimento amministrativo di momenti di partecipazione ef
fettiva da parte degli interessati al suo esito che consentono alla
pubblica amministrazione di apprezzare tutti gli interessi in gio co, fa sì che l'uso di tali tecniche non significhi abbandono del
procedimento in favore del processo. Ma piuttosto che l'obbligo di imparzialità, il quale richiede nell'applicazione della legge la
consapevolezza di tutte le posizioni tutelate, ancorché spettanti al soggetto sottoposto all'autoritarietà del provvedimento da
emanare, viene realizzato anzitutto con l'articolazione del pro cedimento. In questo senso dire che la pubblica amministrazio
ne, ovvero una particolare pubblica amministrazione, è terza, vuol dire che essa ancorché provveda a soddisfare l'interesse
pubblico di cui è esponente, qualificando con gli effetti dell'atto
amministrativo posizioni di parti anche contrapposte e da essa considerate in contraddittorio, fa uso del principio di imparzia lità.
Risulta pertanto decisivo, in adesione alla dominante dottrina, ad escludere la natura giurisdizionale, o paragiurisdizionale, se
con tale termine si intende richiamare la predetta fonte giudizia ria del provvedimento, la sottoposizione della decisione dell'or
gano pubblico, comunque adottata, al vaglio di un giudice nei
termini della domanda introduttiva del giudizio di controllo.
Giacché essa fa desumere che il potere di attuare la legge a tali
organi affidato non è comunque definitivo.
2.d. - Quanto all'autorità in questione risulta altresì decisiva, e confermativa delle espresse conclusioni, la deduzione esegeti ca che si trae dall'art. 29, 7° comma, 1. n. 675 del 1996, laddove
si prevede che il tribunale adito in opposizione alla delibera del
garante provvede «anche in deroga al divieto di cui all'art. 4 1.
n. 2248 del 1865, ali. E». È infatti evidente che la deroga non
avrebbe senso, nella mens legis, se non sul presupposto della
natura amministrativa dell'organo e del suo procedimento, al
quale la legge, proprio in considerazione della fragilità dei di
ritti della persona, toglie la protezione dall'intrusione dell'a.g.o. nell'attività amministrativa, altrimenti spettante.
I.e. - Da tutto ciò deriva a parere del collegio che il ricorso al
giudice ordinario in opposizione al provvedimento del garante non può essere inteso che come primo rimedio giurisdizionale a
disposizione del soggetto che si pretende leso dall'atto del ga
II Foro Italiano — 2002.
rante. Il garante partecipa al giudizio di impugnativa di un suo
atto quale sia stato il procedimento che lo ha preceduto per far
valere davanti al giudice lo stesso interesse pubblico in funzione
del quale esso è predisposto, ed in tale attività resta legato al
l'obbligo di imparzialità proprio perché l'interesse pubblico suddetto non gli è estraneo.
Il motivo è fondato.
3. - Da tale fondamento discende che la sentenza impugnata, che ha pronunciato senza dar luogo al dovuto contraddittorio,
deve, accogliendosi il ricorso principale, essere cassata con rin
vio ad altro giudice del merito per l'esame, in contraddittorio
con l'autorità garante del trattamento dei dati, della questione
riguardante la sottoponibilità della perizia medica di cui è causa
al regime previsto dalla 1. n. 675 del 1996, che resta pertanto as
sorbita. Parimenti assorbito risulta il ricorso incidentale di As
sitalia che presuppone il rigetto del predetto motivo.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 mag
gio 2002, n. 7136; Pres. Trezza, Est. Amoroso, P.M. Cinque
(conci, diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Merlo e altri (Avv. Ferrara, Di Gasparro).
Conferma Trìb. Santa Maria Capua Vetere 2 novembre 1998.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 mar
zo 2001, n. 3894; Pres. Grieco, Est. Roselli, P.M. Frazzini
(conci, diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Pieretti (Avv. Di Gasparro, Guida). Conferma Trib. Santa Maria Capua Vetere 1° luglio 1997.
Cosa giudicata civile — Limiti oggettivi — Fattispecie in tema di trattamento di fine rapporto (Cod. civ., art. 2120,
2909).
L 'accertamento giudiziale, ottenuto nel corso del rapporto di
lavoro, dell 'inclusione di una o più voci nella base di calcolo
del trattamento di fine rapporto non preclude una successiva
domanda di condanna alla corresponsione del trattamento
definitivo, proposta dopo la cessazione del rapporto di lavoro
sul presupposto della computabilità anche di un'altra voce
retributiva. (1)
(1) Nello stesso senso, Cass. 12 giugno 2001, n. 7941, Foro it., Rep. 2001, voce Cosa giudicata civile, n. 57. In senso contrario, Cass. 2 set tembre 2000, n. 11520, ibid., n. 44, citata nella motivazione della prima sentenza in epigrafe.
Al di là delle differenti formulazioni e del diverso iter argomentati vo, le due sentenze, emanate nei confronti di uno stesso datore di lavo
ro, hanno una comune ratio decidendi, che ha suggerito l'estrapolazio ne di una sola massima valevole per entrambe. La sentenza meno re cente si lascia preferire per la ricostruzione del quadro giurispruden ziale, alla quale ci si può riferire.
Il lavoratore può agire nel corso del rapporto per chiedere un'antici
pazione del trattamento di fine rapporto (art. 2120, 6° comma ss., c.c.), per far accertare l'ammontare del trattamento già maturato o per far ac certare l'inclusione di una o più voci retributive nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto. Nelle fattispecie sottese alle pronunce in epigrafe si era verificata questa terza ipotesi.
La soluzione adottata è condivisibile: se si ammette l'azione di mero accertamento dell'esistenza e del modo di essere del diritto al tratta mento di fine rapporto quando ancora quest'ultimo è in corso (su que
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 04:42:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — 1. - Con ricorso al Pretore di
Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Piedimonte
Matese, del 28 settembre 1994, Setola Antonio conveniva in
giudizio il Consorzio trasporti pubblici di Napoli (C.T.P.), in persona del legale rappresentante pro tempore, esponendo: a) di aver lavorato alle dipendenze del C.T.P. con qualifica di agente movimento; b) che, all'atto della cessazione del rapporto di la
voro, avvenuta il 10 ottobre 1993, erroneamente il C.T.P. non
aveva computato nel trattamento di fine rapporto al 31 maggio 1982 il compenso per lo straordinario eventuale.
Chiedeva, quindi, la condanna del consorzio al pagamento della somma complessiva di lire 36.899.917 per la causale indi
cata, oltre svalutazione monetaria ed interessi, con vittoria di
spese. Il consorzio, costituendosi in giudizio, eccepiva preliminar
mente l'inammissibilità della domanda per violazione del prin cipio d'infrazionabilità della stessa in giudizi diversi, in quanto con precedente sentenza passata in giudicato, era stato ricono
sciuto il diritto del lavoratore a vedersi computato nell'indennità di anzianità utile ai fini della successiva liquidazione del t.f.r.
alcune indennità previste da un accordo aziendale del 21 maggio 1981. Chiedeva poi il rigetto della domanda perché infondata in
fatto e diritto.
Acquisita la documentazione richiesta, all'udienza del 6 no
vembre 1996 il pretore decideva la causa rigettando il ricorso e
compensando interamente tra le parti le spese di lite.
2. - Con ricorso depositato in data 29 maggio 1997, il soc
combente proponeva appello avverso detta decisione e, ripropo nendo le argomentazioni già svolte in primo grado, chiedeva la
riforma dell'impugnata sentenza e l'accoglimento della doman
da con vittoria di spese. Il C.T.P., ritualmente costituitosi, chiedeva a sua volta la con
ferma dell'impugnata decisione, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite.
In corso di causa, con memoria depositata in data 5 giugno 1998, Merlo Giuseppina, Setola Filomena, Setola Salvatore e
Setola Antonietta si sono costituiti in giudizio nella qualità di
eredi di Setola Antonio, nel frattempo defunto.
Il tribunale, con sentenza del 23 ottobre - 2 novembre 1998, in riforma della sentenza del pretore, disattendendo l'eccezione
di precedente giudicato, accoglieva la domanda degli eredi del
Setola e condannava l'azienda al pagamento nei confronti dei
ricorrenti della somma richiesta in ricorso.
In particolare, il tribunale riteneva che la domanda proposta dal ricorrente non poteva ritenersi coperta dal giudicato in
quanto la precedente sentenza richiamata dal pretore risultava
intervenuta nel corso del rapporto di lavoro, cioè prima della
maturazione del diritto al t.f.r. ed al solo fine di accertare l'utile
computo di alcune indennità nella determinazione del t.f.r., il
cui interesse sorgeva proprio a seguito della riforma dell'istituto
in riferimento all'accantonamento di legge.
Quindi, prima della cessazione del rapporto di lavoro, che se
gna il momento iniziale di decorrenza del diritto in parola, nes
suna preclusione processuale del tipo indicato dal pretore poteva ritualmente maturare.
3. - Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il consorzio
con un solo motivo di ricorso.
sto aspetto, colto nel quadro più ampio dell'interesse ad agire in mero
accertamento, v. E. Fabiani, Interesse ad agire, mero accertamento e limiti oggettivi del giudicato, in Riv. dir. proc., 1998, 545 ss.), si deve ammettere una successiva azione di condanna al momento della cessa zione del rapporto: altrimenti come sarebbe possibile fronteggiare un eventuale inadempimento del datore di lavoro successivo al primo pro cesso? La cessazione del rapporto di lavoro e la conseguente completa maturazione del diritto costituiscono fatti nuovi che legittimano la pro posizione di una nuova domanda diretta al definitivo accertamento (sui
rapporti tra giudicato e sopravvenienza di nuovi fatti rilevanti, cfr. Ca
poni, L'efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991). Coe rentemente la giurisprudenza ritiene che, se il diritto al trattamento di fine rapporto forma oggetto di un'azione proposta dopo la cessazione del rapporto di lavoro, il giudicato preclude una nuova domanda sullo stesso oggetto, ancorché fondata sull'inclusione di ulteriori voci retri butive: cfr. Cass., sez. un., 5 marzo 1993, n. 2708, Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1703. [R. Caponi]
Il Foro Italiano — 2002.
Resistono con controricorso gli intimati.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo ed unico motivo di ricorso il consorzio, riproponendo la tesi già svolta nei giudi zi di merito, ha lamentato che il tribunale avrebbe erroneamente dichiarato l'ammissibilità dell'originaria domanda, la quale era invece inammissibile per il precedente giudicato implicito for matosi tra le parti.
Infatti, con sentenza del Pretore di Napoli resa tra le stesse
parti, confermata in appello e divenuta definitiva, era stato già riconosciuto il diritto del lavoratore al computo di alcune inden nità nell'indennità di anzianità utile ai fini del t.f.r.: pertanto la formazione del giudicato su una domanda rivolta al consegui mento di una maggiore liquidazione dell'indennità di fine rap porto precludeva la possibilità di avanzare altra e successiva
domanda di ricalcolo della predetta indennità, ancorché fondata su ragioni diverse, trattandosi di elementi costitutivi del com
plessivo trattamento di fine rapporto. 2. - Il ricorso è infondato.
2.1. - In generale deve considerarsi che è vero che questa corte ha affermato — e qui ribadisce — il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile (Cass. 6 agosto 1997, n. 7275, Foro it., Rep. 1998, voce Cosa giudicata civile, n. 34; 2 settembre 2000, n. 11520, id., Rep. 2001, voce cit., n.
44; 19 gennaio 2001, n. 728, non massimata). Si è quindi rite nuto (Cass. 5 aprile 1991, n. 3591, id., Rep. 1991, voce cit., n.
24) che, in forza di tale principio, l'autorità del giudicato inve
ste non soltanto quanto espressamente dedotto, ma anche quanto sarebbe stato deducibile in relazione al medesimo oggetto; ciò
comporta in particolare — ha precisato questa corte nella citata
decisione — che la formazione del giudicato sulla domanda del
lavoratore, diretta a conseguire la liquidazione dell'indennità
premio di servizio con il computo dell'indennità integrativa
speciale, preclude la proponibilità di una successiva domanda
volta a conseguire una maggiore liquidazione della medesima
indennità premio di servizio per effetto dell'abrogazione ex lege n. 297 del 1982 del c.d. blocco della contingenza, nel caso in cui
tale questione avrebbe potuto essere fatta valere nel primo giu dizio per essere detta legge già in vigore all'epoca della propo sizione della relativa domanda.
Ma tale principio opera solo entro i limiti della controversia,
segnati dal petitum, dalla causa petendi e dal decisum (Cass. 11
giugno 1981, n. 3802, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n.
2064); pertanto si è ritenuto, ad es., che il giudicato di rigetto, formatosi sulla domanda tendente ad ottenere la declaratoria
d'inefficacia di un licenziamento, ai sensi dell'art. 7, 7° comma, 1. 20 maggio 1970 n. 300, non preclude la successiva impugna zione del medesimo, al fine di ottenerne l'annullamento per di
fetto di giusta causa, anche se il datore di lavoro abbia, nel pre cedente giudizio, eccepito la sussistenza di tale giustificazione, ma non ne abbia provocato il positivo accertamento a mezzo di
specifica domanda riconvenzionale.
Nella specie manca questa identità di res iudicanda, atteso
che nel primo giudizio è stata dal lavoratore esercitata (nel cor
so del rapporto) un'azione di mero accertamento (non già del
l'ammontare dell'indennità di anzianità maturata fino al pas
saggio al regime del t.f.r., bensì) della computabilità di un de
terminato emolumento che era quello in ordine al quale sussi steva la res dubia e si radicava l'interesse ad agire, e solo un'a
zione di mero accertamento era possibile, secondo quanto rico
nosciuto dalla giurisprudenza di questa (Cass. 24 giugno 1991, n. 7081, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1875), atteso che il credito
avente ad oggetto l'indennità di anzianità, poi confluita nel
t.f.r., è destinato a maturare solo alla cessazione del rapporto. Invece nel secondo giudizio (questo sì instaurato dopo la cessa
zione del rapporto) il lavoratore ha promosso un'azione di con
danna (al pagamento del t.f.r. comprensivo dell'indennità di an
zianità), non certo sovrapponibile a quella esercitata in prece denza stante l'evidente diversità di petitum. D'altra parte, se co
sì non fosse, si perverrebbe alla radicale, quanto paradossale,
conseguenza che il datore di lavoro, soccombente nel primo
giudizio in cui si era accertato con sentenza passata in giudicato che un determinato emolumento doveva essere calcolato nel
l'indennità di anzianità, avrebbe potuto liquidare tale indennità
(unitamente al t.f.r. successivamente maturato) escludendo ad
libitum qualsiasi emolumento diverso da quello oggetto del pre cedente accertamento coperto da giudicato.
Pertanto — non potendo condividersi il precedente specifico di questa corte (Cass. 2 settembre 2000, n. 11520; cfr. anche
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 04:42:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA 2692
Cass. 19 gennaio 2001, n. 728, cit.), che, nella stessa fattispecie relativa ad altro dipendente dello stesso consorzio, ha invece
ritenuto sussistere la preclusione del giudicato — deve affer
marsi il principio secondo cui, ove il lavoratore nel corso del
rapporto abbia chiesto ed ottenuto il mero accertamento con
sentenza passata in giudicato della computabilità di un determi
nato emolumento nel calcolo dell'indennità di anzianità, a lui
spettante fino alla data di applicabilità del regime del tratta
mento di fine rapporto, non è preclusa da tale giudicato la suc
cessiva azione del lavoratore medesimo che, dopo la cessazione
del rapporto, domandi la condanna del datore di lavoro al paga mento del trattamento di fine rapporto, comprensivo dell'inden
nità di anzianità maturata in precedenza, sul presupposto della
rivendicata computabilità di altro e diverso emolumento nella
medesima indennità di anzianità.
2.2. - Nella fattispecie in esame vi è appunto questa diversità
di petilum e causa petendi nei due giudizi succedutisi nel tempo
(quello conclusosi con sentenza del medesimo tribunale n. 256
del 1992, ormai definitiva, e quello di cui alla sentenza impu
gnata). Nel primo giudizio si chiedeva il mero accertamento
della computabilità di determinate indennità (quelle di cui ai
punti 3, 4 e 5 dell'accordo nazionale del 21 maggio 1981) nel
l'indennità di anzianità spettante alla data di entrata in vigore della 1. n. 297 del 1982 e poi confluita nel trattamento di fine
rapporto. Nel secondo giudizio si è chiesta la condanna al pa
gamento del t.f.r., corrisposto dal consorzio in misura inferiore
al dovuto per non aver computato nell'indennità di anzianità la
c.d. indennità di lavoro straordinario che invece andava com
putata. Solo in questo giudizio, in cui il lavoratore ha chiesto accer
tarsi l'esatto ammontare del t.f.r. (e quindi anche dell'indennità
di anzianità che in esso era confluita) e conseguentemente con
dannarsi il consorzio datore di lavoro al pagamento della diffe
renza tra tale importo dovuto e quanto effettivamente percepito, il lavoratore era onerato di indicare tutte le ragioni a fonda
mento della sua pretesa di vedersi liquidato il t.f.r. nell'importo rivendicato e quindi di allegare tutte le voci che eventualmente
concorrevano all'esatta liquidazione dello stesso. Talché solo in
questo caso il giudicato è destinato a formarsi sul quantum de
beatur a titolo di t.f.r., in modo da coprire ogni voce in ipotesi non conteggiata dal datore di lavoro, sia espressamente dedotta
dal lavoratore ricorrente, sia non dedotta (parlandosi in questa seconda evenienza di giudicato implicito).
Invece il thema decidendum del primo giudizio, avendo ad
oggetto un'azione di mero accertamento relativo ad un singolo e
distinto emolumento, era necessariamente limitato dalla doman
da. Il giudice non ha accertato l'ammontare dell'indennità di
anzianità maturata al momento del transito nel nuovo regime del
trattamento di fine rapporto (31 maggio 1982); bensì ha accer
tato che, quale che fosse il quantum debeatur a tale titolo, il la
voratore aveva diritto a vedersi computare nell'indennità di an
zianità anche alcune specifiche voci (quelle di cui ai punti 3, 4 e
5 dell'accordo nazionale del 21 maggio 1981, che, prevedendo invece la non computabilità a tale fine, aveva fatto insorgere tra
le parti la res dubia e quindi la lite).
Questa corte — come già notato — ha infatti ammesso una
tale azione di mero accertamento prima che, con la cessazione
del rapporto di lavoro, insorga il diritto del lavoratore alla per cezione del t.f.r. Infatti, Cass. 24 giugno 1991, n. 7081, cit., ha
affermato che l'azione di (mero) accertamento del lavoratore, intesa ad ottenere il superamento di un oggettivo stato d'incer
tezza circa la computabilità, o meno, di un determinato emolu
mento (come il compenso per lavoro straordinario continuativo) nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto ex art.
2120 c.c., nel testo sostituito dall'art. 1 1. n. 297 del 1982, è
ammissibile, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., anche nel corso del
rapporto di lavoro, tenuto conto, in particolare, che le quote di
retribuzione accantonate ai sensi di tale norma sono configura bili come oggetto di un diritto autonomo rispetto al trattamento
di fine rapporto, che — come l'indennità di anzianità di cui al
vecchio testo dell'art. 2120 c.c. — si perfeziona solo con la ces
sazione del rapporto. Ma questa possibilità di agire per il mero accertamento sud
detto non comporta che il lavoratore, il quale, nel passaggio dal
regime dell'indennità di anzianità a quello del trattamento di fi
ne rapporto, avesse ritenuto contestata o dubbia la computabilità nell'indennità di anzianità di un determinato elemento retributi
Ii Foro Italiano — 2002.
vo, fosse onerato di estendere la sua domanda ad ogni qualsivo
glia altra indennità; sicché l'accertamento in positivo della
computabilità dell'emolumento allegato non poteva mai com
portare anche l'implicito accertamento in negativo della non
computabilità di tutti gli altri emolumenti non espressamente dedotti.
3. - Il ricorso deve quindi essere respinto.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Capua,
Olindo Pieretti chiedeva accertarsi nei confronti del datore di
lavoro Consorzio dei trasporti pubblici di Napoli l'ammontare
del trattamento di fine rapporto ed emettersi la conseguente condanna al pagamento della differenza tra quanto effettiva
mente corrisposto a tale titolo e quanto dovuto. Precisamente
egli chiedeva che nella base di calcolo del trattamento fossero
incluse alcune voci di cui all'accordo n. 6 del 1981, ossia le in
dennità di presenza e di lire trentamila mensili (nn. 3, 4, 5 del
l'accordo) nonché quella di lavoro straordinario.
Costituitosi il convenuto, il pretore rigettava la domanda, ma
la decisione veniva riformata parzialmente con sentenza del 1°
luglio 1997 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il quale osservava che sulle indennità di cui ai nn. 3, 4, 5 dell'accordo
era cessata la materia del contendere giacché la pretesa del lavo
ratore era stata soddisfatta, mentre l'indennità per lavoro straor
dinario, prestato in modo continuativo, faceva parte della retri
buzione, onde doveva essere inclusa nella base di calcolo del
trattamento di fine rapporto. Quanto ad una precedente senten
za, emessa fra le stesse parti nel corso del rapporto di lavoro,
avente ad oggetto il mero accertamento della necessaria inclu
sione nella detta base di calcolo di alcune voci retributive diver
se da quella attualmente controversa, e passata in giudicato, essa
non poteva spiegare alcuna efficacia preclusiva nel processo
attuale, stante la diversità delle situazioni soggettive dedotte nei
due processi e la conseguente insussistenza della preclusione da
regiudicata nel secondo processo. Contro questa sentenza ricorre per cassazione il Consorzio
dei trasporti pubblici di Napoli. Resiste con controricoso il Pie
retti.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente
lamenta la violazione degli art. 2909, 2120 c.c. e 324 c.p.c., no
tando che con sentenza del Pretore di Capua 121/89, confermata
definitivamente dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con
sentenza 2323/90, l'attuale controricorrente aveva ottenuto l'ac
certamento della base di calcolo del trattamento che gli sarebbe
spettato alla cessazione del rapporto di lavoro. L'accertamento
era fondato sulle disposizioni di un accordo collettivo del 21
maggio 1981 ed aveva incluso nella detta base di calcolo alcune
indennità, ivi previste nei nn. 3, 4 e 5.
Il passaggio in giudicato di detta sentenza, nota ancora il ri
corrente in contrasto con la sentenza di merito qui impugnata, avrebbe dovuto fare stato nel presente processo, con conse
guente necessaria dichiarazione di inammissibilità della doman
da. Né questo effetto poteva essere impedito dal fatto che la
domanda attualmente proposta tendeva ad includere nella base
di calcolo, quale elemento della retribuzione, l'indennità per la
voro straordinario, non considerata nel precedente processo, stante che entrambe le controversie erano fondate sullo stesso
accordo collettivo del 1981.
Il motivo non è fondato.
Qualora il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c.
formi oggetto di un'azione giudiziaria di condanna proposta dal
lavoratore contro il datore di lavoro dopo la cessazione del rap
porto, è giurisprudenza costante di questa corte che la sentenza
passata in giudicato preclude una nuova domanda di riliquida zione dello stesso trattamento, ancorché fondata su ragioni non
dedotte — ma tuttavia deducibili — nel precedente processo, e
ciò in base al principio secondo cui la cosa giudicata copre non
solo il dedotto ma anche il deducibile (Cass. 23 novembre 1987, n. 8656, Foro it., Rep. 1987, voce Cosa giudicata civile, n. 16). E così, una volta determinata la base di calcolo del trattamento, vale a dire la retribuzione annua, con l'inclusione di una o più voci retributive (ad es., il compenso per lavoro straordinario), non può successivamente chiedersi la rideterminazione della
stessa base di calcolo con l'inclusione di un'altra voce e la con
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 04:42:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
seguente nuova condanna del datore a pagare la differenza di
ammontare del trattamento (Cass. 18 maggio 1988, n. 3451, id..
Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 2309; sez. un. 21 aprile
1989, n. 1892, id., Rep. 1989, voce Cosa giudicata civile, n. 12; 5 marzo 1993, n. 2708, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1703).
Diverse si presentano, per contro, le ipotesi quando il tratta
mento di fine rapporto formi oggetto di un'azione giudiziaria
proposta dal prestatore nel corso del rapporto di lavoro. Le ini
ziali incertezze della giurisprudenza circa la ravvisabilità del
l'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) sono state superate in senso
positivo ed in relazione ai seguenti, possibili contenuti della
domanda:
A) Il lavoratore può chiedere una sentenza di condanna del
datore di lavoro a corrispondere un'anticipazione del tratta
mento ai sensi del 6° comma ss. dell'art. 2120 cit. In tal caso
non può esser dubbio l'interesse all'azione (Cass. 19 dicembre
1989, n. 5723, id. Rep. 1990, voce cit., n. 1946). Quanto all'estensione oggettiva della regiudicata, essa pre
clude, nelle successive eventuali azioni di condanna o di mero
accertamento, aventi ad oggetto la parte di trattamento maturata
in seguito, la deduzione di causae petendi, e, per quanto qui in
teressa, di voci retributive da includere nella base di calcolo ve
nute in essere prima della sentenza passata in giudicato, ossia
deducibili nel relativo processo.
B) Il lavoratore può chiedere una sentenza di mero accerta
mento fondata sull'interesse a determinare, anno per anno, l'ammontare del trattamento già maturato ed a controllare
l'esattezza degli accantonamenti dovuti dal datore di lavoro,
quando quest'ultimo opponga contestazioni in proposito (Cass., sez. un., 15 dicembre 1990, n. 11945, id., 1991,1, 1498; 14 ago sto 1991, n. 8861, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1791; 11 novem
bre 1996, n. 9819, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1615). Qui og getto dell'accertamento non sono soli fatti, ciò che renderebbe
inammissibile l'azione di mero accertamento, bensì una situa
zione giuridica soggettiva di aspettativa, ossia un effetto preli minare della fattispecie che insieme ad altre situazioni costitui
rà, al momento della fine del rapporto, il diritto al trattamento.
Quanto all'estensione soggettiva della regiudicata, vale
quanto detto sopra, sub A.
C) È, infine, possibile che il lavoratore chieda, prescindendo dall'ammontare della base di calcolo del trattamento ovvero
dalla sua anticipazione, l'accertamento della necessità di inclu
dere una o più voci nella detta base di calcolo, quando il datore
contesti tale necessità. La contestazione fonda l'interesse ad
agire e la limitazione del petitum si riflette sulla limitata esten
sione della regiudicata, la quale non preclude una successiva
domanda, di corresponsione dell'anticipazione oppure del trat
tamento definitivo, che si riferisca ad altre voci retributive.
All'obiezione che detta limitazione del petitum, e dei confini
oggettivi del giudicato, può risolversi in una moltiplicazione di
controversie ed in un aggravio di spese e di attività giudiziaria
per il datore di lavoro, vale a dire in una violazione delle norme
(art. 1175 e 1375 c.c.) di buona fede e di correttezza, che im
pongono al creditore di non aggravare inutilmente la posizione del debitore, può rispondersi che il datore può evitare tali effetti
sfavorevoli chiedendo a sua volta un accertamento dell'intera
base di calcolo ossia dell'ammontare del trattamento già matu
rato (in tal senso ed in fattispecie analoga, v. Cass., sez. un., 10
aprile 2000, n. 108/SU, id.. Rep. 2000, voce Obbligazioni in ge
nere, n. 16). Nella fattispecie in esame si è verificata quest'ultima ipotesi
poiché, come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ri
corso per cassazione, il lavoratore aveva chiesto, in un prece dente processo definito con «giudicato», che nella base di cal
colo fossero inclusi anche i punti 3, 4, 5 dell'accordo nazionale
21 maggio 1981, mentre con successiva domanda per cui ora è
causa egli chiese anche l'inclusione dello «straordinario even
tuale». Il precedente giudicato, in altre parole, non riguardò l'intero trattamento già maturato ma solo l'inclusione di alcune
voci.
Esattamente il tribunale, ravvisando una diversità di oggetto delle due controversie, ha escluso la preclusione da «giudicato».
Poiché, come s'è detto, prima della negazione da parte del
debitore non sorge l'interesse del creditore (art. 100 c.p.c.) al
l'azione di mero accertamento del credito, non si potrebbe, sen
za contraddizione, imporre al creditore medesimo l'onere di
Il Foro Italiano — 2002.
esercitare, «quando non gli sia stato ancora opposto alcunché
dalla controparte», un 'actio nondiim nata al fine dì evitare la
preclusione da regiudicata; questa si formerebbe su questione non ancora deducibile e la contraddizione si risolverebbe in una
lesione del diritto di difesa in giudizio, garantito dall'art. 24, 2°
comma. Cost.
CORTE DJ CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 13
maggio 2002, n. 6808; Pres. Giustiniani, Est. Segreto, P.M.
Maccarone (conci, parz. diff.); Soc. coop. La Cattolica assi
curazioni (Avv. Cascino, Scofone) c. Soc. Sigma e altri; Soc.
Sigma e altro (Avv. Selvaggi, Muschietti) c. Soc. coop. La
Cattolica assicurazioni e altri. Cassa App. Venezia 16 novem
bre 1998.
Fideiussione e mandato di credito — Confideiussione —
Approbazione — Fideiussione al fideiussore —
Fattispecie
(Cod. civ., art. 1936, 1940).
Costituisce fideiussione a garanzia del diritto di regresso (o fi deiussione ai fideiussore), e non approbazione né confideius sione, l'obbligazione assunta dal fideiussore nei confronti di
altro fideiussore, per garantire a quest 'ultimo il rimborso di
quanto versato al creditore garantito in ragione della garan zia prestata. ( 1 )
(1) La sentenza in epigrafe si segnala per aver sottolineato le diffe
renze che connotano, da un lato, la fideiussione in senso stretto dalla
confideiussione e, dall'altro, la fideiussione del fideiussore (c.d. appro bazione o fideiussio fideiussionis) nei confronti della fideiussione alla
fideiussione (o fideiussione al fideiussore o, ancora, fideiussione di re
gresso). Il taglio didascalico della motivazione soccorre, peraltro, in
tutte le ipotesi in cui in un solo contratto plurilaterale sia rinvenibile la
fonte di più rapporti fideiussori di diversa natura, con conseguente, contestuale sorgere di obbligazioni a carico non solo del fideiussore
principale, del creditore e del debitore garantito, ma anche di terzi ulte
riori fideiussori. Nel caso di specie, la Suprema corte accerta, nel con
testo della decisione sull'eccezione di difetto di legittimazione passiva, la reale natura di due fideiussioni stipulate in occasione di un contratto
preliminare di compravendita. In particolare: una compagnia di assicu
razioni aveva prestato fideiussione in favore di un terzo per le obbliga zioni assunte nei suoi confronti da una società, in forza di un contratto
preliminare di compravendita. Con appendici allegate alla polizza fi
deiussoria, poi, altra società si costituiva a sua volta garante del primo debitore garantito, prestando ulteriore garanzia per te obbligazioni re
stitutorie maturate nei confronti della compagnia di assicurazioni, con
conseguente impegno a tenere indenne la compagnia stessa per te
somme versate in adempimento delle obbligazioni assunte con la poliz za fideiussoria.
La Suprema corte esclude innanzitutto, una possibile qualificazione della seconda garanzia in termini di confideiussione. Questa, infatti, ri
sulta caratterizzata da un collegamento necessario tra le obbligazioni assunte dai singoli fideiussori, che non solo devono riguardare lo stesso
debito e lo stesso debitore (v. Cass. 7 aprile 1998, n. 3575, Foro it.,
Rep. 1999, voce Fideiussione e mandato di credito, n. 26, con nota di
Picardi, Osservazioni sulla distinzione tra cofideiussione e pluralità di
fideiussioni autonome, in Banca, borsa, ecc., 1999, II, 536; 18 luglio 1997, n. 6635, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 42), ma devono, altresì,
esprimere un comune intento ed un comune interesse, pur nell'assenza
della contestualità nell'assunzione della garanzia stessa (Cass. 22 mag
gio 1990, n. 4594, id.. Rep. 1990, voce cit., n. 45). Non può, perciò, dirsi sussistente una confideiussione, bensì pluralità di fideiussioni, nel
caso in cui un garante ignori l'assunzione di altra fideiussione avente
medesimi requisiti, non rilevando in tal senso nemmeno la conoscenza
acquisitane successivamente (v. Cass. 18 marzo 1999, n. 2459, id.,
1999, 1, 2253; Trib. Milano 11 settembre 1997, id., Rep. 1999, voce
cit., n. 28). Il requisito del collegamento non è, invece, riscontrabile nella fide
iussio fideiussionis, che si connota per la diversità dell'oggetto dell'ob
bligazione. La fideiussione del fideiussore ha, infatti, come obiettivo
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 04:42:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions