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sezione VI; decisione 18 giugno 2002, n. 3332; Pres. Giovannini, Est. Chieppa; Soc. Cavarzereproduzioni industriali e altra (Avv. Sette, Lucchesi, Panunzio) c. Min. politiche agricole eforestali e altri. Giudizio per l'esecuzione di Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 1996, n. 652Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 5 (MAGGIO 2003), pp. 321/322-327/328Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198618 .
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321 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 322
Non vi è molta differenza tra una sentenza che disponga il ri
lascio di un determinato provvedimento e analoga decisione che
annulli un diniego riconoscendo in parte motiva la fondatezza
della pretesa sostanziale del privato, imponendo così all'ammi
nistrazione di conformarsi. Il rimedio alla mancata attuazione
sarebbe pur sempre, in entrambi i casi, il giudizio per l'esecu
zione del giudicato. L'adozione da parte dell'amministrazione di un determinato
atto amministrativo attiene più ai profili di adempimento e di
esecuzione che non a quelli risarcitori: in presenza di un illegit timo diniego e di accertata spettanza del provvedimento ammi
nistrativo richiesto, il rilascio dello stesso costituisce non una
misura risarcitoria, ma la doverosa esecuzione di un obbligo che
grava sull'amministrazione, salvi gli eventuali danni causati al
privato (esso viene infatti accordato a prescindere sia dall'esi
stenza di un danno patrimonialmente apprezzabile, che, soprat tutto, dall'indagine sull'elemento soggettivo dell'illecito).
Riportare anche tale fase nell'ambito della reintegrazione e
quindi della tutela risarcitoria significa estendere a tale fase an
che tutti i limiti di tale tutela, che sono più rigorosi rispetto ai
limiti previsti per l'esecuzione.
Infatti, mentre la reintegrazione in forma specifica richiede
una verifica in termini di onerosità ai sensi dell'art. 2058, 2°
comma, c.c., tale verifica non è richiesta in relazione alle forme
di esecuzione in forma specifica della prestazione originaria mente dovuta, per le quali può rilevare la sola sopravvenuta im
possibilità. Costituisce, pertanto, una diminuzione di tutela per il privato
la conseguenza cui giungono le tesi criticate, in quanto quello che prima costituiva il c.d. effetto conformativo per la pubblica amministrazione, assoggettato al solo limite della sopravvenuta
impossibilità, verrebbe invece ingiustificatamente condizionato
anche alla verifica di onerosità ai sensi dell'art. 2058, 2° com
ma, c.c.
Va inoltre considerato che l'effettività della tutela giurisdi zionale non dipende tanto dalla formale statuizione contenuta
nelle decisioni, ma piuttosto dal grado di eseguibilità delle deci
sioni stesse; tale tutela avviene nel nostro ordinamento nella in
cisiva forma del giudizio di ottemperanza, che consente finan
che la nomina di un commissario che provveda secondo le indi
cazioni del giudice in luogo dell'amministrazione.
Intesa in tal modo (definito «civilistico»), la reintegrazione in
forma specifica trova applicazione nel diritto amministrativo
soprattutto in caso di interessi di tipo oppositivo (es. riconsegna e ripristino del bene illegittimamente sottratto al privato; conse
gna di cosa uguale a quella illegittimamente distrutta; riparazio ne materiale dei danni cagionati in esecuzione di un provvedi mento illegittimo).
Peraltro, in una recente decisione, la quarta sezione del Con
siglio di Stato, nel rimarcare la funzione sussidiaria del risarci
mento rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annul
lamento dell'atto impugnato, ha precisato che lo scopo della
reintegrazione in forma specifica non è quello di sostituire la
tutela demolitoria (o conformativa) che si connette all'annulla
mento giurisdizionale, ma quello di integrare la tutela, colman
do eventuali lacune (Cons. Stato, sez. IV, n. 3169 del 14 giugno 2001, id., Rep. 2001, voce Espropriazione per p.i., nn. 317,
326). Sulla base della disciplina vigente non appare quindi ammis
sibile una domanda tesa nella sostanza ad ordinare all'ammini
strazione l'emanazione di provvedimenti amministrativi, anche
se di carattere vincolato (o ad accertare un obbligo in tal senso, come richiesto nel caso di specie, con domanda sostanzialmente
analoga a quella di condanna). Di conseguenza, la domanda proposta dall'appellante di de
claratoria del proprio diritto all'aggiudicazione della gara, deve
essere dichiarata inammissibile.
Il Foro Italiano — 2003.
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 18 giugno 2002, n. 3332; Pres. Giovannino Est. Chieppa; Soc. Cavarze
re produzioni industriali e altra (Avv. Sette, Lucchesi, Pa
nunzio) c. Min. politiche agricole e forestali e altri. Giudizio
per l'esecuzione di Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 1996, n.
652.
Giustizia amministrativa — Risarcimento dei danni — Do manda proposta per la prima volta con ricorso per esecu
zione del giudicato — Inammissibilità (D.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nuove disposizioni in materia di organizzazione e
di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giu risdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione am
ministrativa, emanate in attuazione dell'art. 11, 4° comma, 1.
15 marzo 1997 n. 59, art. 35; 1. 21 luglio 2000 n. 205, dispo sizioni in materia di giustizia amministrativa, art. 7).
Giustizia amministrativa — Risarcimento dei danni — Do
manda proposta per la prima volta con ricorso per esecu
zione del giudicato — Conversione del ricorso per ottem
peranza in ricorso ordinario — Condizioni (Cod. civ., art.
1424; cod. proc. civ., art. 156).
E inammissibile una domanda di risarcimento del danno che, sebbene conseguente ad una pronuncia di annullamento, ven
ga proposta per la prima volta nel giudizio di ottemperanza di una decisione del Consiglio di Stato. (1)
Il ricorso per risarcimento dei danni proposto irritualmente in
un giudizio di ottemperanza può convertirsi, in applicazione del principio di conservazione degli atti processuali, in un ri
corso ordinario solo se sussistano i presupposti di contenuto
e forma richiesti per un'ordinaria azione di cognizione. (2)
(1-2) Nella giurisprudenza amministrativa è costante l'orientamento secondo cui nel giudizio per l'ottemperanza non sono ammesse doman de nuove rispetto a quelle già proposte nell'anteriore giudizio di cogni zione e che fanno parte del decisum della sentenza da eseguire: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 settembre 2001, n. 4629, Cons. Stato, 2001, I, 1998; 15 aprile 1999, n. 626, Foro it., Rep. 1999, voce Giustizia ammi
nistrativa, n. 1132; Cons, giust. amm. sic. 3 giugno 1999, n. 214, ibid., n. 1150; Cons. Stato, sez. V, 1° aprile 1996. n. 328, id., Rep. 1996, vo ce cit., n. 876; sez. VI 31 maggio 1996, n. 765, ibid., n. 887; 7 marzo
1996, n. 363, ibid., n. 888; Tar Lazio, sez. Latina, 7 marzo 1995, n.
258, id., Rep. 1995, voce cit., n. 921; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1985, n. 249, id., Rep. 1985, voce cit., n. 670; Tar Umbria 13 marzo
1979, n. 74, id., 1981. Ili, 257. La domanda risarcitoria va proposta nel giudizio di primo grado
(Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2002, n. 227, Cons. Stato, 2002, I, 87) ed è inammissibile, se proposta per la prima volta in grado d'appello (Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2001, n. 5358, id., 2001, I, 2291), in considerazione del generale divieto di domande nuove in sede di gra vame (sul principio, Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2001. n. 906, Fo ro it., Rep. 2001, voce cit., n. 951; sez. V 31 gennaio 2001, n. 349, i
bid., n. 952; 2 marzo 1999, n. 222, id., 2001, III, 336, con nota di G.
Sigismondi). La possibilità di proporre, per la prima volta, la domanda risarcitoria
nel giudizio d'ottemperanza è stata oggetto di tre orientamenti diversi:
a) secondo un primo orientamento la domanda di risarcimento del danno non può essere proposta per la prima volta nel giudizio per ot
temperanza, perché deve essere oggetto del giudizio di cognizione: Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6078, in <www.giustizia amministrativa.it>; negli stessi termini, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15
maggio 2002, n. 2640, Cons. Stato, 2002, I, 1142, sez. IV 8 ottobre 2001, n. 5312, id., 2001, I, 2285; 1° febbraio 2001, n. 396, Foro it.,
Rep. 2001, voce Responsabilità civile, n. 324. La stessa conclusione è stata affermata nel caso in cui l'esecuzione riguardi un giudicato del
giudice ordinario nei confronti dell'amministrazione: Tar Lazio, sez. Latina. 11 giugno 2001, n. 616, Trib. amm. reg., 2001, I, 2223. Questo orientamento sottolinea la diversità di oggetto del giudizio di cognizio ne rispetto al giudizio di ottemperanza: nel giudizio di ottemperanza non sono ammesse domande diverse da quelle concernenti l'esecuzione della sentenza e una domanda a contenuto cognitorio (come quella ri
sarcitoria) non può essere introdotta per la prima volta in un giudizio
principalmente «esecutivo» come è quello per l'ottemperanza del giu dicato amministrativo. In alcune decisioni (come Cons. Stato, sez. IV, 1° febbraio 2001, n. 396, cit.) risulta precisato, però, che l'inammissi bilità della domanda risarcitoria presentata (per la prima volta) nel giu dizio di ottemperanza vale solo nel caso in cui essa concerna anche l'art del risarcimento; se invece essa concerne solo il quantum, perché sul Van si è già pronunciato positivamente il giudice nel processo di cogni zione, allora la domanda sarebbe ammissibile. Fra l'altro, già l'art. 35, 2° comma, d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 (v. ora art. 7 1. 21 luglio 2000 n.
205), consente al giudice amministrativo che accerti la sussistenza del
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PARTE TERZA 324
Diritto. — 1. - Le società ricorrenti poste in amministrazione
straordinaria nel dicembre del 1983 e facenti parte del Gruppo saccarifero Veneto (GSV), chiedono l'esecuzione della sentenza
sopraindicata, con cui il Consiglio di Stato ha annullato il d.m. 27 febbraio 1987, con cui, ai sensi dell'art. 25, par. II, 2° com
ma, del regolamento Cee del consiglio 934/86 del 24 marzo
Van debeatur di limitarsi a stabilire i criteri in base ai quali l'ammini strazione dovrà proporre il quantum del risarcimento (su questa previ sione. con rilievi critici, A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2002, 396; Id., L'esecuzione della sentenza, in Trattato di di ritto amministrativo a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo spe ciale, Milano, 2000, IV, 3546). Di conseguenza, il giudizio di ottempe ranza può avere per oggetto anche la concreta determinazione del
quantum del risarcimento; b) almeno parzialmente diverso è l'orientamento espresso da Cons.
Stato, sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239, Foro it., 2002, III, 1, con note di V. Molaschi, Responsabilità extracontrattuale, responsabilità precon trattuale e responsabilità da contatto: la disgregazione dei modelli di
responsabilità della pubblica amministrazione, e di E. Casetta-F.
Fracchia, Responsabilità da contatto: profili problematici. In base a
questo orientamento la domanda risarcitoria proposta in sede di ottem
peranza è sì irrituale, ma è soggetta a declaratoria di inammissibilità solo se il giudizio di ottemperanza si svolga in unico grado davanti al
Consiglio di Stato. Decisivo, in questa logica, non è il carattere «co
gnitorio» della domanda, ma è il rispetto del principio del doppio grado del giudizio. A tale orientamento si ispira anche la decisione sopra ri
portata; c) un terzo orientamento ritiene invece che dopo la 1. 205/00, il rap
porto tra ottemperanza e risarcimento si pone in termini di cumulo (e non di incompatibilità), e ciò in quanto il coordinamento di tali istituti assicura «una risposta satisfattiva a quella che si presenta come un'uni ca domanda di giustizia avanzata dalla parte che ha ragione» (Tar Campania, sez. I, 4 ottobre 2001, n. 4485, Trib. amm. reg., 2001, I, 646; nel senso dell'ammissibilità della domanda risarcitoria formulata
per la prima volta in sede di ottemperanza, cfr. altresì Tar Campania, sez. I, 5 luglio 2000, n. 2627, inedita). Il coordinamento di ottemperan za e risarcimento in un unico giudizio assicura l'effettività della tutela
rispetto ad un «unico episodio di vita» che determini la lesione di un'u nica posizione giuridica. Questo orientamento invoca come argomento anche il fatto che il giudizio d'esecuzione amministrativo, a differenza di quello civile, contiene sempre «un nucleo di cognizione (come inter
pretazione, completamento e precisazione del precetto contenuto nella sentenza di cognizione)» (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 17 gennaio 1997, n. 1, Foro it., 1997, III, 261); di conseguenza non può essere contrap posto il carattere «cognitorio» della domanda risarcitoria rispetto al te nore del giudizio d'ottemperanza.
Ferma restando la varietà di indirizzi circa le modalità di proposizio ne della domanda risarcitoria (e cioè se essa sia proponibile, per la pri ma volta, nel giudizio di ottemperanza, o se invece vada proposta ne cessariamente in un giudizio di cognizione), non sembra in discussione la possibilità di un'autonoma domanda risarcitoria, proponibile nelle forme del ricorso ordinario successivamente o contemporaneamente al
giudizio di ottemperanza. Infatti, il risarcimento è sussidiario rispetto alla riduzione in pristino conseguente alla pronuncia di annullamento ed è configurabile solo nel caso in cui tale riduzione in pristino sia ri sultata impossibile o non sia stata pienamente satisfattiva (circostanza che spesso è possibile verificare solo in esito al giudizio di ottemperan za): Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169, id.. Rep. 2001, voce
Espropriazione per p.i., nn. 317, 326. Inoltre non sempre il giudice della cognizione può prevedere se e in che misura l'ottemperanza delia sentenza possa ripristinare effettivamente la situazione soggettiva lesa. Pertanto si deve ammettere la possibilità di una domanda risarcitoria «successiva» alla domanda di annullamento, sia nel caso in cui nel giu dizio di annullamento non sia stata proposta alcuna domanda risarcito ria, sia nel caso in cui tale domanda, benché proposta, sia stata rigettata «allo stato degli atti»: in questo caso, infatti, l'inottemperanza della sentenza identifica un fatto nuovo — costitutivo o integrativo dell'ille cito civile — che giustifica una nuova proposizione della domanda ri sarcitoria.
Per quanto concerne, infine, la conversione del ricorso per l'ottempe ranza in ricorso ordinario, la decisione in epigrafe ripropone l'indirizzo accolto da Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2000, n. 4459, id., 2001, III, 276, con nota di A.D. Cortesi: in base al principio di conservazione
degli atti processuali (art. 156 c.p.c.; cfr. anche art. 1424 c.c.), la con versione è possibile (con l'effetto che il giudizio non può concludersi con una declaratoria di inammissibilità) se sussistano i presupposti di contenuto e di forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria. Per il caso non possa operare la conversione del ricorso, Cons. Stato, sez. V. 21 gennaio 1992, n. 74, id., Rep. 1992, voce Giustizia amministrativa, n. 1099, ha sostenuto che, in base al principio del ne bis in idem la do manda che sia stata dichiarata inammissibile nel giudizio di ottempe ranza non può essere riproposta in un nuovo giudizio. [S. Rodolfo Ma sera]
Il Foro Italiano — 2003.
1986, sono state variate le quote di produzione di zucchero
spettanti alle imprese nazionali.
Le società ricorrenti espongono di aver richiesto per la cam
pagna di produzione dello zucchero 1987-88 un aumento ri
spetto alla campagna precedente delle quote A e B, ma che con
il citato d.m. 27 febbraio 1987 l'amministrazione avrebbe im
motivatamente negato il suddetto aumento, confermando invece
le quote di produzione della campagna precedente ed aumentan
do invece le quote di altre imprese. Essendo stato il citato decreto annullato con la sentenza, di
cui oggi si domanda l'esecuzione, le ricorrenti chiedono che
venga ordinato all'amministrazione di ottemperare al giudicato, emanando sia pure «figurativamente» un nuovo decreto ministe
riale di rideterminazione delle quote spettanti per la campagna 1987-88.
In base a detto nuovo decreto dovrebbero poi essere compu tate:
a) le somme dovute alle ricorrenti da parte della cassa con
guaglio zucchero, consistenti nella differenza tra i contributi
netti dovuti in base al nuovo decreto e quelli effettivamente cor
risposti; b) il calcolo dei minori ricavi netti conseguiti nella campagna
1987-88 dalle società ricorrenti in conseguenza della minore
produzione di quota A e B, da vendere all'interno del mercato
europeo e della necessità di vendere le eccedenze di produzione al di fuori del mercato comune.
Le stesse ricorrenti precisano che l'adozione del nuovo de
creto non deve avere lo scopo di rimettere in discussione le
quote a suo tempo attribuite ad altre imprese, riconoscendo la
difficoltà di incidere retroattivamente su posizioni ormai conso
lidate, ma che il decreto si rende necessario per calcolare i sud
detti importi, che comunque sono stati quantificati in lire
1.376.424.300. 2. - Preliminare all'esame dell'istanza di esecuzione in que
stione appare l'individuazione dell'esatto contenuto della sen tenza da eseguire.
Con la decisione 652/96 (Foro it., Rep. 1996, voce Unione
europea, n. 1398) questa sezione, per quanto qui interessa, ha
annullato il d.m. 27 febbraio 1987 accogliendo le seguenti cen sure:
a) difetto di motivazione circa l'aumento delle quote di pro duzione concesso all'Isi e il diniego di aumento richiesto dalle
ricorrenti, tenuto anche conto che il potere esercitato dal mini stero è stato quello previsto dall'art. 25, par. II, 2° comma, del
regolamento Cee del consiglio 934/86 del 24 marzo 1986, che richiede per il superamento dell'ordinario margine di manovra il
riferimento a progetti riguardanti l'intero settore saccarifero in ambito nazionale o regionale, mentre sono irrilevanti i progetti specifici riguardanti le singole aziende produttrici, su cui era in
vece fondato il d.m. impugnato;
b) mancanza di proporzionalità nella ripartizione degli oneri necessari per realizzare il piano di settore, considerata l'irrile vanza a tal fine della mancanza di specifici piani aziendali di ri strutturazione per il gruppo GSV;
c) tardività dell'impugnato d.m., che, ai sensi dell'art. 7 del
regolamento Cee del consiglio 193/82 del 26 gennaio 1982, do veva far conoscere entro il 1° marzo le quote di produzione sulle quali gli operatori del settore possono contare per conclu dere in tempo utile i contratti di acquisto di barbabietole.
Ciò premesso, si tratta ora di verificare se la citata decisione rientri nella categoria delle c.d. sentenze autoapplicative, cioè immediatamente satisfattive senza che occorra alcun comporta mento attuativo da parte dell'amministrazione o nella diversa
categoria delle sentenze che per essere satisfattive necessitano del concorso di un'attività esecutiva da parte della pubblica amministrazione.
I vizi di cui ai precedenti punti a) e b) indurrebbero a ritenere che si tratti di una decisione del secondo tipo, in quanto gli stes si si incentrano sul difetto di motivazione e sull'assenza di pro porzionalità in ordine al mancato aumento delle quote spettanti alle ricorrenti.
L'annullamento del d.m. è stato però disposto anche per il
profilo della tardività con affermazione dell'impossibilità (e dell'illegittimità) di rideterminare le quote di produzione dopo la scadenza del termine annuale del 1° marzo, dovendo ogni operatore economico del settore conoscere con anticipo le quote al fine di effettuare le proprie scelte imprenditoriali.
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325 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 326
L'accoglimento del ricorso anche sotto tale aspetto comporta che dal giudicato non derivi alcun obbligo di rideterminare le
quote con nuovo d.m., considerato anche che il sistema delle
quote zucchero non consente di isolare la posizione di una sin
gola impresa intervenendo sulla quota di questa, ma comporta una necessaria rideterminazione di tutte le quote.
L'amministrazione non doveva, né avrebbe potuto nel 1996,
quindi rideterminare ex post le quote spettanti per la campagna 1987-88.
Il ricorso deve quindi essere respinto ove inteso ad imporre l'adozione di un nuovo decreto in esecuzione della predetta de
cisione.
3. - In realtà, deve però essere rilevato che le stesse società
ricorrenti riconoscono quanto meno la difficoltà di intervenire
ex post sulle quote già attribuite e su situazioni da tempo conso
lidate e, infatti, chiedono l'adozione di un c.d. decreto «figura tivo», avente il solo scopo di quantificare le somme dovute alle
ricorrenti stesse.
Nella sostanza, si tratterebbe non già dell'adozione di un
nuovo d.m. in esecuzione della decisione, ma della sola ipoteti ca rideterminazione delle quote per il calcolo degli importi do
vuti (una sorta di decreto emesso a fini istruttori e non con va
lenza giuridica autonoma). L'ammissibilità della richiesta non deve essere valutata in
astratto, ma con specifico riferimento al titolo in base a cui ven
gono richiesti gli importi, da quantificare solo a seguito del
l'adozione del d.m. «figurativo». Si ricorda che le imprese richiedono:
a) i maggiori importi dovuti dalla cassa conguaglio zucchero;
b) il ristoro per i minori ricavi per la minore produzione in quote A e B e per aver conseguentemente dovuto vendere al di
fuori del mercato comune.
Si osserva che si tratta in entrambi i casi di voci richieste a
titolo di danno, come peraltro riconosciuto dalle stesse ricorrenti
sia nel ricorso che nella memoria del 19 marzo 2002.
Si legge in quest'ultima che «l'esecuzione della sentenza ri
chiede soltanto — ed è questo ciò che le imprese ricorrenti han
no chiesto in sede di giudizio di ottemperanza —- che l'ammini
strazione corrisponda alle imprese quanto ad esse dovuto, risar
cendole del grave danno economico da esse subito a causa del
suo illegittimo comportamento». Si evidenzia che in risposta alla ordinanza istruttoria della se
zione l'amministrazione ha comunicato che in assenza del d.m.
27 febbraio 1987, annullato, le quote applicabili per la campa
gna 1987-88 deriverebbero dal d.m. 30 novembre 1981, che
comporterebbe nel complesso maggiori oneri economici per le
ricorrenti, pur ribadendo l'impossibilità di correggere retroatti
vamente il livello delle quote, dopo che queste hanno già «as
solto al loro compito istituzionale».
Anche a prescindere dalla verifica dell'esattezza del dato re
lativo agli effetti dell'applicazione del d.m. 30 novembre 1981, si osserva che le stesse ricorrenti hanno escluso che la loro ri
chiesta di esecuzione fosse quella di applicare il d.m. del 1981, ribadendo che l'amministrazione avrebbe all'epoca dovuto de
terminare in modo diverso le quote, tenendo conto delle richie
ste di aumento da parte delle ricorrenti.
In definitiva, ciò che le imprese chiedono con la presente istanza di esecuzione è il risarcimento del danno loro derivato a
causa dell'illegittima adozione del d.m. 27 febbraio 1987, poi annullato dal Consiglio di Stato.
4. - Deve quindi essere verificata l'ammissibilità di una do
manda di risarcimento del danno, che sebbene conseguente ad
una pronuncia di annullamento, venga proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del
Consiglio di Stato. La sezione ritiene che una tale domanda sia inammissibile.
Recentemente la sezione IV del Consiglio di Stato ha affer
mato l'inammissibilità dell'azione risarcitoria proposta in sede
di ottemperanza (Cons. Stato, sez. IV, n. 396 del 1° febbraio
2001, id., Rep. 2001, voce Responsabilità civile, n. 324; v. an
che n. 5312 dell'8 ottobre 2001). Con la citata decisione 396/01 è stato evidenziato che il giu
dice dell'ottemperanza, anche ai sensi dell'art. 35 d.leg. 80/98
recentemente introdotto nell'ordinamento italiano, è chiamato
ad un intervento primieramente esecutivo del contenuto del giu dicato formatosi nel corso del giudizio di cognizione; solo entro
limitati ambiti il giudizio di ottemperanza è idoneo ad aggiunge
II Foro Italiano — 2003.
re un ulteriore contenuto cognitivo (cioè sostanziale) al giudi cato già formatosi, peraltro limitato al quantum e non anche al
Yan del risarcimento.
Le divergenze introdotte dal legislatore rispetto al giudizio ri
sarcitorio civile consistono, dunque, nella possibilità che il giu dice, in sede di cognizione (una volta che abbia accertato la sus
sistenza dell'an debeatur), anziché liquidare precisamente il
quantum del risarcimento dovuto dall'amministrazione si limiti
a stabilire i criteri sulla cui base dovrà poi essere liquidato il
danno risarcibile. Tali divergenze, tuttavia, non possono giunge re fino al punto di comportare la traslazione in sede di ottempe ranza di tutto il giudizio risarcitorio, indifferentemente per Van
e per il quantum. Infatti, rileva ancora la sezione IV, non potendosi certo pre
termettere la verifica di sussumibilità della situazione concreta
nell'astratta fattispecie complessa di cui all'art. 2043 c.c., e se
non si voglia stravolgere immotivatamente il ruolo del giudizio esecutivo rispetto a quello cognitivo, deve necessariamente af
fermarsi la competenza funzionale del giudice della cognizione; non importa se ciò avvenga nell'ambito dello stesso giudizio annullatorio, ovvero in separata sede nel limite di prescrizione del diritto, ma comunque pur sempre nell'ambito di un giudizio ordinario articolato sul doppio grado ed a cognizione piena sul
1'an nonché, se possibile, sul quantum delle pretese risarcitorie
del danneggiato. Nel citato precedente della sezione IV, l'inammissibilità del
l'azione risarcitoria proposta in sede di ottemperanza viene fatta
derivare quindi non solo dal rispetto del doppio grado del giudi zio, ma anche dalla necessità di una cognizione piena almeno
sull'an della pretesa risarcitoria.
Sul punto si deve anche rilevare la presenza di un orienta
mento favorevole all'ammissibilità della proposizione davanti al
Tar della domanda risarcitoria cumulativamente con la domanda
alternativa di esecuzione del giudicato (Tar Campania, sez. I, 4
ottobre 2001, n. 4485). Il Tar fonda la tesi sulla necessità di una riconsiderazione del
rapporto tra ottemperanza e risarcimento del danno per equiva lente, non più in termini di incompatibilità, ma di coordina
mento.
Afferma il Tar che, pur essendo possibile che il combinato di
sposto dell'effetto caducatorio e di quello conformativo non
sortiscano un risultato finale di piena soddisfazione dell'interes
se sostanziale del ricorrente vincitore, deve essere data la logica
precedenza alla domanda di esecuzione in forma specifica ri
spetto a quella risarcitoria, con la conseguenza che solo il giudi ce dell'ottemperanza, con i suoi ampi poteri di cognizione estesi
anche nel merito, è in grado di sciogliere l'alternativa tra la via
dell'esecuzione in forma specifica — se ancora possibile
— e
quella risarcitoria per equivalente, nel caso in cui la prosecuzio ne dell'azione amministrativa abbia ormai impedito la prima strada.
Secondo tale orientamento l'esame della domanda risarcitoria
deve, quindi, ritenersi subordinato al previo esame della richie
sta di esecuzione, il cui accoglimento può in alcuni casi elidere
del tutto l'area del danno risarcibile (la funzione sussidiaria del
risarcimento rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con
l'annullamento dell'atto impugnato è stata peraltro rimarcata
anche da Cons. Stato, sez. IV, n. 3169 del 14 giugno 2001, ibid., voce Espropriazione per p.i., n. 326).
Questo collegio ritiene che le apprezzabili considerazioni, svolte nella citata decisione del Tar Campania, possano anche
condurre ad una rivalutazione della questione dell'ammissibilità
di un ricorso cumulativo contenente sia la richiesta di esecuzio
ne del giudicato sia la domanda risarcitoria a condizione che, in
applicazione del principio di conservazione e di conversione
degli atti processuali, sussistano i presupposti di contenuto e
forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria, quale quella risarcitoria (nel senso di verificare il rispetto per entrambe le
domande, nella forma e nella sostanza, delle disposizioni pro cessuali di riferimento).
Il rispetto del principio del doppio grado del giudizio costitui sce però un limite invalicabile nell'esame della prospettata que stione con la conseguenza che deve confermarsi l'inammissibi
lità di una domanda risarcitoria proposta per la prima volta in
sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del Consiglio di Stato e quindi in un unico grado di giudizio (v. anche Cons.
Stato, sez. V, n. 4239 del 6 agosto 2001, id., 2002, III, 1, che,
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PARTE TERZA
pur in assenza di un pronunciamento espresso sulla questione, sembra propendere per una preclusiva inammissibilità di una
domanda risarcitoria proposta in sede di giudizio di ottemperan za solo per domande proposte direttamente davanti al Consiglio di Stato).
Sulla base delle precedenti considerazioni, deve quindi essere
dichiarata l'inammissibilità della domanda, con cui le ricorrenti
chiedono il risarcimento dei danni derivati dal provvedimento annullato con la sentenza da eseguire, in quanto si tratta di do
manda risarcitoria a contenuto cognitorio introdotta per la prima volta davanti al Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottem
peranza. 5. - In conclusione, il ricorso deve essere in parte respinto e in
parte dichiarato inammissibile nei sensi di cui sopra.
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 30 aprile 2002, n. 2294; Pres. Frascione, Est. Lipari; Comuni di Tricase e di
Castro (Avv. Succhi Damiani) c. Soc. Anci (Avv. Masiani,
Lazzari, Circolone) e altri. Conferma Tar Puglia, sede Lec
ce, sez. Il, 30 aprile 2001, n. 2094.
Contratti e obbligazioni della pubblica amministrazione —
Attività di trasporto e smaltimento di rifiuti urbani —
Concessione di servizio pubblico (Direttiva 18 giugno 1992 n. 92/50/Cee del consiglio, che coordina le procedure di ag
giudicazione degli appalti pubblici di servizi, art. 1; d.leg. 17 marzo 1995 n. 157, attuazione della direttiva 92/50/Cee in
materia di appalti pubblici di servizi, art. 1, 3). Contratti e obbligazioni della pubblica amministrazione —
Concessioni di servizi pubblici — Obbligo di procedure selettive (Trattato Ce, art. 43, 49; direttiva 18 giugno 1992 n.
92/50/Cee del consiglio; direttiva 14 giugno 1993 n.
93/36/Cee del consiglio, che coordina le procedure di aggiu dicazione degli appalti pubblici di forniture).
Contratti e obbligazioni della pubblica amministrazione —
Concessioni di servizi pubblici — Clausole richiedenti ca
pacità eccedenti l'oggetto dell'appalto — Illegittimità
(Trattato Ce, art. 49).
L'affidamento dell'attività di trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani è riconducibile alla figura della concessione di un
servizio pubblico in quanto le prestazioni richieste al privato che svolge la relativa attività sono rivolte non già a vantaggio dell'amministrazione, ma riguardano, in modo generalizzato, le collettività locali rappresentate dai comuni. ( 1 )
La regola della concorsualità deve essere applicata anche in
caso di concessioni di pubblico servizio. (2)
(1-2, 8) In senso conforme alle decisioni in epigrafe, cfr. Cons. Sta to. sez. VI, 6 settembre 2000, n. 4688, Foro it.. Rep. 2000, voce Ani mali (protezione), n. 8, secondo cui la concessione di servizi pubblici locali, «a differenza dell'appalto di servizi, non necessita dell'osser vanza delle procedure di evidenza pubblica, salvo il rispetto, ancorché con gare esplorative o informali, del principio di concorsualità, in osse
quio ai principi di buona amministrazione e di imparzialità». D'altronde, il consolidato orientamento della giurisprudenza comu
nitaria ritiene applicabili alle concessioni le norme ed i principi fonda mentali del trattato (v., in tal senso, Corte giust. 7 dicembre 2000, causa
C-324/98, id., 2001, IV, 1, che ha statuito che gli enti aggiudicatari sti
pulanti concessioni di pubblico servizio sono tenuti a rispettare «i prin cipi fondamentali del trattato, in generale, e il principio di non discri minazione in base alla nazionalità, in particolare». Tale principio pone a carico dell'amministrazione un obbligo di trasparenza che «consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale afferente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l'apertura degli appalti di servizi alla concor renza, nonché il controllo sull'imparzialità delle procedure di aggiudi cazione». Nello stesso senso, cfr., inoltre, Corte giust. 18 novembre 1999, causa C-275/98, id., 2000, IV, 109, con nota di richiami, secondo cui l'art. 2, n. 2, della direttiva 93/36 deve essere interpretato nel senso di imporre ad un'amministrazione aggiudicatrice che concede diritti
speciali o esclusivi di esercitare un'attività di servizio pubblico ad un ente diverso dalle amministrazioni aggiudicatrici, di esigere dallo stes
II Foro Italiano — 2003.
Devono ritenersi contrarie al principio di proporzionalità le
determinazioni con cui l'amministrazione, in una procedura
per l'affidamento di un pubblico servizio, esige, per la sele
zione dei candidati, capacità tecniche e finanziarie eccessive
rispetto all'oggetto dell'appalto; pertanto, la clausola del
bando di gara che impone a ciascuna delle partecipanti al
raggruppamento di imprese di dimostrare lo stesso fatturato richiesto all'impresa singola appare irragionevole e contra
stante con il richiamato principio di proporzionalità. (3)
II
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 17 gennaio 2002, n. 253; Pres. Trotta, Est. Poli; Soc. Autostrada dei
parchi (Avv. Marzano) c. Min. infrastrutture e trasporti e
altro (Avv. dello Stato Polizzi), Provincia di Teramo e altri
(Avv. Sciumè, Manzi). Conferma Tar Lazio, sez. Ili, 9 luglio 2001, n. 6227.
Strade — Ente nazionale strade — Concessioni autostradali — Competenza (D.l. 10 febbraio 1977 n. 19, decadenza della
società autostrade romane ed abruzzesi (Sara) dalla conces
sione di costruzione ed esercizio delle autostrade Roma-Alba
Adriatica e Torano-Pescara e autorizzazione all'azienda na
zionale autonoma delle strade (Anas) a completare le opere, art. 1, 2; 1. 6 aprile 1977 n. 106, conversione in legge, con
so l'osservanza, nell'aggiudicazione degli appalti di forniture assegnati a terzi nell'ambito di tale attività, del principio di non discriminazione sulla base della nazionalità. I principi fondamentali applicabili in tema di concessioni sono poi specificati da Commissione Ce 29 aprile 2000, ibid., 389, con osservazioni di A. Barone-U. Bassi, La comunicazione
interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario: spunti rico
struttivi). Le conclusioni delle due decisioni in epigrafe si collocano all'interno
di un processo di liberalizzazione del settore dei pubblici servizi locali che ha avuto il suo culmine con l'emanazione dell'art. 35 1. 28 dicem bre 2001 n. 448 (finanziaria 2002) che ha modificato l'art. 113 d.leg. 267/00 e vi ha introdotto l'art. 113 bis.
In particolare, tale innovazione ha previsto che l'erogazione dei ser vizi aventi rilevanza industriale, e, quindi, natura imprenditoriale si
svolga in regime di concorrenza secondo le discipline di settore, con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica. Viene così meno il principio di tipicità dei modi di gestione dei servizi
pubblici locali, inteso come predeterminazione ad opera della legge delle differenti modalità di erogazione dei servizi, che fin qui aveva contraddistinto pure la riforma delle autonomie locali.
L'art. 35 1. 448/01 è stato però impugnato da alcune regioni (cfr. G.U., la s.s., 10 aprile 2002, n. 15) innanzi la Corte costituzionale per ché ritenuto invasivo della loro sfera di competenze normative sul pre supposto che la nuova formulazione dell'art. 117 Cost, non elenca i servizi pubblici locali tra le materie riservate in via esclusiva allo Stato ovvero tra quelle oggetto di potestà legislativa concorrente.
Sulla nuova disciplina dei servizi pubblici locali introdotta dall'art. 35 1. 448/01, v. G. Stumpo, L'appalto di servizi, la concessione di ser vizi e l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali a società miste; alcune riflessioni sul quadro comunitario di riferimento, impor tanti anche in relazione al disposto di cui all'art. 35 della finanziaria, in Riv. trim, appalti, 2001, 808 ss.; M. Dugato, I servizi pubblici degli enti locali, in Giornale dir. amm., 2002, 218 ss.; R. Damonte, La ge stione dei servizi dopo la finanziaria, in Urbanistica e appalti. 2002, 253 ss.
In attesa della scadenza del termine transitorio previsto dalla legge ai fini dell'operatività delle nuove norme, gli enti locali continuano a ri correre agli affidamenti diretti a società miste. In questa ipotesi la giu risprudenza non richiede il previo esperimento di una procedura con
corsuale, da esperire invece solo per la scelta del socio privato (v. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2002, n. 2297, 15 febbraio 2002, n. 917, 3 settembre 2001, n. 4586, Cons, giust. amm. sic. 23 luglio 2001, n. 410, e Tar Emilia-Romagna, sez. Parma, 2 maggio 2002, n. 240, Foro it., 2002, III, 553, con osservazioni di E. Scotti, Osservazioni a margine di società miste e servizi pubblici locali).
(3) Da ultimo, sul principio di proporzionalità nel diritto comunita rio, v. Corte giust. 18 gennaio 2001, causa C-361/98, Foro it., 2002, IV, 437, con nota di 1. Paola, secondo cui le restrizioni alla libera pre stazione dei servizi devono essere proporzionate all'obiettivo per il
quale sono state adottate con la conseguenza che la commissione è le
gittimata a valutare se le misure di ripartizione del traffico aereo defi nite dai decreti nazionali impongano restrizioni applicabili indistinta mente e se siano idonee ad assicurare la realizzazione dell'obiettivo che
perseguono, senza eccedere quanto necessario per conseguirlo.
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