Post on 31-Jan-2017
transcript
sezioni unite penali; sentenza 16 marzo 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Lattanzi, P.M.Aponte (concl. conf.); ric. P.m. in c. Magotti ed altro. Annulla App. Brescia 4 giugno 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 291/292-293/294Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190022 .
Accessed: 28/06/2014 13:12
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.142.30.77 on Sat, 28 Jun 2014 13:12:17 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
che alle cose oggetto di diritti reali di garanzia. Ciò, tuttavia, non senza aggiungere e far intendere dalla giurisprudenza più
avvertita, che l'estensione in tal modo operata, per ragioni con
nesse alla titolarità del potere di disponibilità effettiva del bene, si traduce in definitiva in un divieto per cosi dire temporaneo, e comunque non irrevocabile, di confisca, siccome valevole «si
no al soddisfacimento delle ragioni creditorie per le quali la
garanzia risulta costituita» (in termini cfr. Cass., sez. I, 8 luglio
1991, Banca commerciale italiana sopra già citata).
Orbene, perfezionando ed emendando — in rapporto alla con
creta fattispecie (cose assoggettate a pegno regolare) — que st'ultimo e più puntuale indirizzo in considerazione di quanto innanzi precisato a proposito della disponibilità non totalitaria
del bene da parte del creditore pignoratizio e della residuale
disponibilità del bene stesso da parte del debitore nonché in
considerazione della scindibilità concettuale delle facoltà spet tanti all'uno e all'altro soggetto, ritengono queste sezioni unite
che non sia precluso e che anzi sia consentito il sequestro fina
lizzato alla confisca delle cose costituite in pegno regolare limi
tatamente alle facoltà inerenti alla posizione del debitore garan
te, indagato o imputato: impregiudicate, anche qui, le facoltà
correlativamente spettanti sulle stesse cose al creditore pignora tizio estraneo all'illecito penale.
In questo quadro che si traduce anche in un correttivo dalla
linea interpretativa della citata pronunzia (Cass., sez. II, 15 mag
gio 1992, Banca pop. Milano), la quale sembra voler paralizza re e postergare fino alla fase della decisione sulla confisca la
tutela delle ragioni del creditore pignoratizio: cosi sacrificando
oltre il necessario gli interessi dei privati estranei al reato e non
considerando che l'oggetto del pegno normalmente è costituito
da beni (compresi i titoli di Stato) che abbisognano di gestione e di amministrazione (si pensi ai titoli in scadenza da rinnovare
in costanza di pegno, all'esercizio del voto nel pegno delle azio
ni di società, ecc.) spetta al giudice di merito, attingendo dai poteri conferitigli dall'art. 259, 1° comma, c.p.p., espressamen te richiamato dall'art. 81 att., cui si riferisce il successivo art.
104, adottare gli accorgimenti opportuni per assicurare, con equi librio degli opposti interessi, la corretta custodia e amministra
zione delle cose sequestrate: procedendo, se del caso, a designa re come custode lo stesso creditore pignoratizio, con le facoltà
che gli derivano dal diritto di garanzia, fino alla vendita e al
l'assegnazione della cosa o del credito dato in pegno, sotto il
controllo dell'autorità giudiziaria penale. 9. - Tutto ciò considerato sul piano esegetico, si deve in con
creto rilevare che il provvedimento impugnato, sia pure senza
che la relativa statuizione risulti formalizzata in dispositivo, è
stato adottato, come è detto nella motivazione, con la clausola:
«fermo restando il permanere in capo al creditore pignoratizio della causa legittima di prelazione».
Ne deriva, in virtù delle argomentazioni sopra svolte in mate
ria di applicabilità dei commi 1° e 2° dell'art. 321 c.p.p. alle cose costituite in pegno, il rigetto di entrambi i motivi di ricor
so: atteso, peraltro, che con i medesimi nulla si è opposto in
merito alla sussistenza delle ritenute esigenze cautelari.
Mette conto, infine, aggiungere con riferimento all'ultima ra
gione di difesa concernente l'eccepita decadenza del beneficio
del termine da parte della società beneficiaria del finanziamento
formante oggetto dell'obbligazione principale garantita (art. 1186
c.c.), che la deduzione è priva di rilevanza, per mancanza di
interesse, dal momento che il provvedimento impugnato, come
già detto, ha fatto salve le questioni intrinseche al rapporto di
prelazione intercorrente tra le relative parti.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 16
marzo 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Lattanzi, P.M. Aponte (conci, conf.); ric. P.m. in c. Magotti ed altro.
Annulla App. Brescia 4 giugno 1993.
Appello penale — Giudizio di comparazione tra circostanze —
Limiti (Cod. proc. pen., art. 597).
Nell'ipotesi in cui non siano state riconosciute nuove circostan
ze attenuanti, non può il giudice di appello, d'ufficio, modi ficare il giudizio di comparazione in senso favorevole all'im putato, ritenendo la prevalenza delle attenuanti in luogo del
l'equivalenza statuita in primo grado. (1)
Fatto e diritto. — Il procuratore generale presso la Corte d'ap
pello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione contro la
sentenza del 4 giugno 1993 con la quale la Corte d'appello di
Brescia, riformando la decisione di primo grado, ha dichiarato
estinto per prescrizione un reato di omicidio colposo del quale erano imputati Franco Magotti e Daniele Telimi.
A quanto risulta dalla sentenza impugnata il 1° agosto 1985
Bruno Rossi, operaio alle dipendenze della s.r.l. coop. Ceim, mentre stava smontando un ponteggio aveva toccato il cavo di
acciaio di sostegno della linea elettrica Enel ed era morto per
folgorazione. Di questo fatto il Tribunale di Mantova con sen
tenza del 30 giugno 1989 aveva ritenuto responsabili Daniele
Tellini e Franco Magotti, rispettivamente tecnico di cantiere e
capo cantiere; il tribunale aveva applicato le attenuanti di cui
agli art. 62, n. 6, e 62 bis c.p., giudicate equivalenti all'aggra vante della violazione di norme per la prevenzione degli infor
tuni sul lavoro, ed aveva condannato ciascuno degli imputati alla pena di otto mesi di reclusione.
Gli imputati avevano impugnato la sentenze sostenendo con
vari motivi che avrebbero dovuto essere assolti dall'imputazio ne di omicidio colposo e la corte d'appello, senza esaminare
i motivi degli appellanti, ha operato di ufficio, a norma del
(1) Con la sentenza in epigrafe le sezioni unite risolvono il contrasto di giurisprudenza — puntualmente ripercorso in motivazione — in or dine ai limiti dei poteri d'ufficio attribuiti al giudice di appello dall'art.
597, 5° comma, c.p.p. È noto che, in parziale deroga al (riaffermato) tradizionale principio
del tantum devolutum quantum appellatum, la direttiva n. 91 della leg ge delega ha vincolato il legislatore delegato alla «previsione che il giu dice d'appello possa concedere d'ufficio i benefici di legge e le circo stanze aggravanti»: ne è derivato un non trascurabile incremento dei
poteri decisori del giudice di secondo grado (cfr., sul punto, Sturla, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chia
vario, Torino, 1991, VI, sub art. 597, 172 ss.), nella ribadita ottica del favor rei (ci si è, in proposito, espressi in termini di «riforme in
meglio ultra petita»: Cordero, Codice di procedura penale commenta
to, 2a ed., Torino, 1992, sub art. 597, 708). La decisione su riportata non ha mancato di sottolineare come l'ulti
mo periodo dell'art. 597, 5° comma, assente nel progetto preliminare, è frutto di una modifica aggiuntiva introdotta in sede di progetto defi nitivo: la norma conferisce al giudice di appello il potere di rieffettuare
«altresì», «quando occorre», il giudizio di comparazione tra circostan ze. L'esegesi letterale e sistematica della norma — sottolineano le sezio ni unite, sulla scorta di quanto affermato dalla Relazione al progetto definitivo (Le leggi, 1988, 2721) — porta a concludere nel senso che il nuovo giudizio di bilanciamento si rende opportuno solo liddove il
giudice di secondo grado abbia proceduto alla concessione ex officio di circostanze attenuanti: la norma non conferisce, in altri termini, un
potere officioso indipendente rispetto a quello che concerne le circo stanze attenuanti e i benefici di legge (sul punto cfr., in dottrina, Span
gher, Il giudizio di comparazione fra circostanze e i poteri di ufficio del giudice di appello, in Cass, pen., 1992, 2386 ss.).
La giurisprudenza appare costante nel ritenere che la concessione ex
officio delle circostanze attenuanti e dei benefici di legge costituisca un potere (discrezionale) e non un obbligo del giudice di secondo gra do: in tal senso si è statuito che il mancato esercizio di tale potere non è censurabile in sede di legittimità né è configurabile, al riguardo, un obbligo di motivazione in assenza di una richiesta di parte formulata nei motivi di appello o nel corso del dibattimento di secondo grado (cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. 8 marzo 1993, Rodi, Foro it.,
Rep. 1993, voce Appello penale, n. 23; 3 novembre 1992, Lo Giudice, ibid., n. 24; 8 aprile 1992, Mortara, ibid., n. 25; 18 marzo 1992, Zito, id., Rep. 1992, voce cit., n. 21; 21 febbraio 1992, Schiavone, ibid., n. 22; 24 giugno 1991, Nannavecchia, ibid., n. 28; 7 febbraio 1991, Incognito, ibid., n. 28; 21 gennaio 1991, La Marca, ibid., n. 23).
This content downloaded from 193.142.30.77 on Sat, 28 Jun 2014 13:12:17 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
l'art. 597, 5° comma, c.p.p. (applicabile per l'art. 245 norme
trans, anche nei procedimenti che, come il presente, proseguo no con le norme anteriormente vigenti), un nuovo giudizio di
comparazione tra circostanze e, ritenute prevalenti le attenuan
ti, ha dichiarato il reato estinto per prescrizione. Con il ricorso per cassazione il procuratore generale ha de
nunciato l'erronea applicazione dell'art. 597, 5° comma, c.p.p. sostenendo che questa disposizione non dà al giudice di appello un potere incondizionato di effettuare di ufficio un nuovo giu dizio di comparazione, il quale, secondo il procuratore genera
le, è invece «strettamente collegato e subordinato all'esercizio
del potere di affermare la sussistenza di una o più circostanze
attenuanti non riconosciute dal primo giudice o in aggiunta a
quelle già riconosciute in primo grado, con la conseguenza di
dar vita alla situazione di concorso disciplinata dall'art. 69 c.p. 0 di modificarla».
La quarta sezione ha rilevato che sulla questione oggetto del
l'impugnazione esiste un contrasto nella giurisprudenza di que sta corte e pertanto ai sensi dell'art. 618 c.p.p. ha rimesso il
ricorso alle sezioni unite.
Come ha ricordato la quarta sezione con l'ordinanza di ri
messione, questa corte con la sentenza sez. IV 9 novembre 1990, Risa (Foro it., Rep. 1991, voce Appello penale, n. 25) ha affer
mato che il giudice di appello oltre che applicare attenuanti non
richieste con l'impugnazione, può, di ufficio, rivedere il giudi zio di comparazione già fatto dal primo giudice, anche nel caso
in cui la revisione non è resa necessaria dall'applicazione di nuove
attenuanti, ma questa affermazione è stata successivamente smen
tita da sez. feriale 29 agosto 1991, Ormando (id., Rep. 1992,
voce cit., n. 25), la quale ha ritenuto che «non può il giudice di appello, di ufficio, modificare il giudizio di comparazione in senso favorevole all'imputato, ritenendo la prevalenza delle
attenuanti in luogo della equivalenza affermata in primo grado, se nel contenpo non abbia riconosciuto ulteriori attenuanti non
richieste espressamente con i motivi di gravame».
Questo secondo indirizzo è stato poi confermato da sez. IV
13 gennaio 1992, Damonti (ibid., n. 24), sicché a ben vedere
ci si trova di fronte, più che ad un contrasto, ad un cambia
mento di giurisprudenza, giustificato da ulteriori approfondi menti. L'ultima sentenza in particolare ha riesaminato a fondo
la questione ed ha addotto a sostegno della decisione negativa una serie di argomenti'che non possono non essere ripresi con
convinzione da queste sezioni unite.
L'art. 597, 5° comma, dopo aver indicato le norme di favore
per l'imputato che in appello possono essere applicate di uffi
cio, tra le quali sono appunto quelle che prevedono circostanze
attenuanti, ha aggiunto che «può essere altresì' effettuato, quan do occorre, il giudizio di comparazione», significando con l'in
ciso «quando occorre» che al giudice di appello non è stato
attribuito un ulteriore potere di ufficio, ma è stato solo ricono
sciuto il compito, conseguenziale all'applicazione di nuove atte
nuanti, di fare, nuovamente o per la prima volta (se in prece denza erano state applicate solo circostanze aggravanti), il giu dizio di comparazione. Il punto e virgola che separa il periodo in questione dal precedente, l'avverbio «altresì», e le parole
«quando occorre», in luogo di quelle «anche di ufficio» usate
precedentemente, mostrano che il potere di effettuare il giudizio di comparazione non è posto sullo stesso piano del potere rico
nosciuto dal periodo precedente ma è subordinato a quello; nel
senso che «quando occorre» in seguito all'applicazione di uffi
cio di circostanze attenuanti può essere effettuato anche («altre
sì») il giudizio di comparazione. Che sia questo il significato delle parole dell'ultimo periodo
dell'art. 597, 5° comma, è stato implicitamente riconosciuto pure
dalla sentenza sez. IV 9 novembre 1990, Risa, cit., la quale
però ha ritenuto «ovvio» che il giudizio di comparazione, se
«può essere effettuato con riguardo a circostanze attenuanti ri
conosciute per la prima volta in appello, possa anche a maggior
ragione riguardare le circostanze già applicate in precedenza». È dunque con un argumentum a fortiori che questa sentenza
è giunta a superare il dato letterale, ma si tratta di un argomen to che nel caso in esame è stato male impiegato, mancandone
1 presupposti; infatti i poteri di ufficio riconosciuti dall'art. 597,
5° comma, costituiscono un'eccezione rispetto alla regola del
l'effetto parzialmente devolutivo posta dal 1° comma dello stes
II Foro Italiano — 1995.
so articolo (per il quale «l'appello attribuisce al giudice di se
condo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai
punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi») e mentre il giudizio di comparazione dipendente dall'applicazione di una
nuova circostanza attenuante può considerarsi una conseguenza
necessaria, che non comporta un'ulteriore eccezione, ben diver
so è il caso della riforma del giudizio di comparazione operato dal giudice di primo grado, senza che vi sia stata un'impugna zione sul punto o una modificazione delle circostanze conside
rate dalla sentenza impugnata. Il potere di riformare la senten
za di primo grado in un caso del genere non potrebbe ritenersi
logicamente implicato dal potere espressamente attribuito dal
l'art. 597, 5° comma, come se rispetto a questo fosse un minus, e darebbe quindi luogo ad un'ulteriore eccezione rispetto al prin
cipio dell'effetto parzialmente devolutivo.
È da aggiungere che l'approdo cui conduce l'interpretazione letterale trova una solida conferma nella direttiva n. 91 della
legge delega, nei lavori preparatori e nella Relazione al testo
definitivo del codice, dato che la direttiva n. 91 della legge dele
ga aveva circoscritto in modo preciso i poteri del giudice di
appello stabilendo che questi potesse «concedere d'ufficio i be
nefici di legge e le circostanze attenuanti» e non parlava del
giudizio di comparazione, come non ne parlava l'art. 589 del
Progetto preliminare. Solo nel Progetto definitivo è stata intro
dotta la previsione del giudizio di comparazione, con le parole che poi sono rimaste immutate nel codice, e la Relazione al
testo definitivo (Le leggi, 1988, 2721) spiegando la modificazio ne ha parlato di un «potere logicamente collegato con quello di applicare di ufficio circostanze attenuanti». Anche la Rela
zione quindi ha messo in evidenza il collegamento tra l'ultima
parte dell'art. 597, 5° comma, e la precedente ed ha fatto ciò
nella evidente consapevolezza che solo questo collegamento avreb
be potuto mettere la norma in questione al riparo da un sospet to di illegittimità costituzionale per la violazione della direttiva
n. 91 della legge delega. Deve quindi concludersi che il procuratore generale ricorrente
ha ragione nel sostenere che la sentenza impugnata ha applicato erroneamente l'art. 597, 5° comma, c.p.p. riformando la deci
sione di primo grado sul punto relativo al giudizio di compara zione. Né a sostegno della decisione impugnata potrebbe addur
si l'art. 152 c.p.p. del 1930, giustificando il nuovo giudizio di
comparazione per la sola ragione che esso è stato all'origine di una dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione;
infatti, queste sezioni unite hanno già avuto occasione di chiari
re che, specie in tema di circostanze, deve riconoscersi al giudi ce di appello il potere di esaminare questioni rilevanti per l'ap
plicazione di una causa di estinzione del reato non devolute con
i motivi di impugnazione e che però questo potere «viene meno
quando l'indagine relativa rimetta in discussione punti già espres samente esaminati e decisi dal giudice di primo grado e non
investiti dai motivi di impugnazione» (sez. un. 23 novembre 1988,
Valvo, id., 1989, II, 414), come è appunto avvenuto nel caso
in esame.
È pertanto escluso che il giudice di appello potesse superare i limiti della devoluzione effettuando un nuovo giudizio di com
parazione tra le circostanze e di conseguenza la sentenza impu
gnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della
Corte d'appello di Brescia per un nuovo giudizio.
This content downloaded from 193.142.30.77 on Sat, 28 Jun 2014 13:12:17 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions