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sezioni unite penali; sentenza 28 gennaio 1998; Pres. La Torre, Est. Sciuto, P.M. (concl. diff.);ric. Maiolo. Conferma Pret. Genova, ord. 6 gennaio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1998), pp. 461/462-465/466Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193157 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
di aiuto o di agevolazione di altri del proposito di togliersi la
vita, agevolazione che può realizzarsi in qualsiasi modo: ad esem
pio, fornendo i mezzi per il sucidio, offrendo istruzioni sull'uso
degli stessi, rimuovendo ostacoli o difficoltà che si frappongano alla realizzazione del proposito, ecc., o anche omettendo di in
tervenire, qualora si abbia l'obbligo di impedire la realizzazione
dell'evento.
L'ipotesi dell'agevolazione al suicidio prescinde totalmente dal
l'esistenza di qualsiasi intenzione, manifesta o latente, di susci
tare o rafforzare il proposito suicida altrui. Anzi presuppone che l'intenzione di autosopprimersi sia stata autonomamente e
liberamente presa dalla vita, altrimenti vengono in applicazine le altre ipotesi previste dal medesimo art. 580.
È sufficiente che l'agente abbia posto in essere, volontaria
mente e consapevolmente, un qualsiasi comportamento che ab
bia reso più agevole la realizzazione del suicidio perché si realiz
zi l'ipotesi criminosa di cui all'art. 580 c.p.
I termini della questione non cambiano quando, come nel
caso in esame, si sia trattato di un doppio suicidio con soprav
vivenza di uno dei soggetti. Si tratta di verificare quale ruolo abbia svolto nella vicenda
in esame il sopravvissuto e, avuto riguardo agli elementi fattua
li emersi, quale condotta eventualmente agevolatrice del suici
dio egli abbia posto in essere.
Decidendo come ha deciso ed assumendo che anche l'ipotesi
di agevolazione al suicidio assume rilievo penale solo quando,
in qualche modo, l'aiuto abbia connotazioni di istigazione, la
Corte di assise di Messina ha posto a base del suo giudizio asso
lutorio una motivazione che, escludendo che il Munaò abbia,
anche in minima parte, influito sulla determinazione del Conso
lo di suicidarsi, riguardava in pratica una ipotesi (quella dell'i
stigazione al suicidio) che nel caso in esame, stando alla rico
struzione operata, non poteva in alcun modo venire in rilievo.
In altri termini i giudici di merito hanno escluso che il Munaò
abbia agevolato il Consolo nel suo proposito di suicidarsi per
ché era da escludere che egli avesse messo in atto nei confronti
dell'amico una qualsiasi azione di istigazione al suicidio, laddo
ve, all'evidenza, si sarebbe dovuto prima verificare se l'imputa
to aveva o meno aiutato l'amico a suicidarsi e solo in un secon
do tempo, constatato l'esito negativo di tale indagine, assolvere
il medesimo anche dalla contestazione succedanea.
Non è chi non veda come, adottando l'iter argomentativo
e motivazionale sopra specificato, la corte di merito ha, da un
canto, palesemente violato la legge e, dall'altro, ha, di conse
guenza, omesso di motivare il proprio convincimento in ordine
all'assenza di qualsiasi attività di agevolazione nella condotta
del Munaò.
Alla stregua delle considerazioni che precedono e in parziale
accoglimento del ricorso, l'originaria imputazione di omicidio
del consenziente, ascritta all'imputato, va pertanto qualificata
come fattispecie di cui all'art. 580 c.p., sicché la sentenza impu
gnata, in conformità alle richieste del procuratore generale, va
annullata per nuovo esame in ordine alla sussistenza di tale ulti
mo reato, con conseguente rinvio, per il giudizio, alla Corte
di assise di appello di Messina ai sensi del 4° comma dell'art.
569 c.p.p.
Il Foro Italiano — 1998.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 28
gennaio 1998; Pres. La Torre, Est. Sciuto, P.M. (conci,
diff.); ric. Maiolo. Conferma Pret. Genova, ord. 6 gennaio 1997.
Esecuzione penale — Confisca — Revoca della sentenza di con
danna per «abolitio criminis» o incostituzionalità della nor
ma incriminatrice — Inefficacia della confisca — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 240, 708; cod. proc. pen., art.
673; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale, art. 30).
La revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della sentenza conse
guente all'abrogazione della norma incriminatrice o alla sua
declaratoria di incostituzionalità, non comporta anche il ve
nir meno degli effetti dell'eventuale confisca con essa dispo
sta, che comporta il trasferimento a titolo originario a favore del patrimonio dello Stato dei beni che ne costituiscono l'og
getto al momento del passaggio in giudicato della sentenza
(nella specie, la confisca era stata disposta con una sentenza
di condanna per il reato di cui all'art. 708 c.p., dichiarato
incostituzionale da Corte cost. 370/96). (1)
Con sentenza 26 ottobre 1995, emessa in sede pre dibattimentale ex art. 469 c.p.p., il Pretore di Genova dichiarò
non doversi procedere nei confronti di Carmelo Maiolo in ordi
ne al reato di cui all'art. 708 c.p. perché estinto per prescrizio ne. Con la stessa sentenza venne disposta la confisca della som
ma di denaro in sequestro.
Dopo il passaggio in giudicato della sentenza di prosciogli
mento, avvenuto il 17 dicembre 1995, il Maiolo, mediante istanza
del 20 dicembre successivo, chiese al giudice dell'esecuzione la
revoca della confisca e la restituzione della somma; tale richie
sta fu rigettata con ordinanza de plano in data 29 febbraio 1996;
l'impugnazione avverso tale provvedimento, proposta dal Maiolo
(1) Sulla questione oggetto della sentenza in epigrafe erano emersi, come risulta dalla motivazione, due contrastanti linee interpretative, che
hanno determinato l'intervento delle sezioni unite. Secondo un primo orientamento, condiviso dalla sentenza che si riporta, la revoca della
sentenza in sede esecutiva non fa venir meno la confisca, che, in quanto misura di sicurezza patrimoniale, non è equiparabile agli «effetti pena li» che cessano quando il fatto non costituisce più reato a seguito di
una legge posteriore che abroga la norma incriminatrice o di una pro nuncia della Corte costituzionale che la dichiara illegittima (cfr. art.
2, 2° comma, c.p. e 30, 4° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87): v. Cass.
25 giugno 1993, De Cristofaro, Foro it., Rep. 1994, voce Esecuzione
penale, n. 91; conforme, Cass. 16 ottobre 1997, Bertozzi, Ced Cass., rv. 209023, in una fattispecie analoga a quella oggetto della presente sentenza.
Contra, nel senso che la revoca necessariamente deve comportare l'e
liminazione di ogni statuizione pregiudizievole all'interessato, ivi com
presa quella della disposta misura di sicurezza, v. Cass. 10 febbraio
1995, Surleti, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 77, e, più recentemente, 29 settembre 1997, Gonzales Mattus, Ced Cass., rv. 208772, anch'essa in tema di confisca ordinata a seguito di condanna per possesso ingiu stificato di valori, contravvenzione prevista dall'art. 708 c.p., dichiara
to costituzionalmente illegittimo con sentenza 2 novembre 1996, n. 370,
id., 1997, I, 1695, con nota di Tramontano, L'«irragionevole indeter
minatezza» della norma penale non più al passo coi tempi: dichiarato
incostituzionale l'art. 708 c.p. La dottrina, anche quella specialistica, non ha affrontato il proble
ma; in generale, sulla confisca v. Manzini, Trattato di diritto penale
italiano, Torino, 1981, III, 384 s., il quale, tra l'altro, rileva che la
misura di sicurezza de qua «non è mai revocabile, tanto più che essa
ha carattere istantaneo e non permanente», e, più recentemente, Ales
sandri, Confisca nel diritto penale, voce del Digesto pen., Torino, 1989,
III, 39. Sull'art. 673 c.p.p., V. Catelani, Manuale dell'esecuzione penale, Mi
lano, 1993, 202; Corbi, L'esecuzione nel processo penale, Torino, 1992,
331; Di Ronza, Manuale di diritto dell'esecuzione penale, Padova, 1994,
599. Nel senso che il procedimento di esecuzione (art. 666 c.p.p.), salvo
che per l'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, esige per il suo ini
zio, a pena di nullità insanabile del provvedimento adottato a conclu
sione del relativo procedimento, l'impulso di parte, v., oltre a Cass.
12 novembre 1990, Contreras di Castelblanco, Foro it., Rep. 1991, vo
ce cit., n. 85, Cass. 25 settembre 1992, Berna, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 35.
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PARTE SECONDA
dinanzi alla Suprema corte, venne da questa qualificata — con
decisione della seconda sezione in data 3 ottobre 1996 — come
opposizione ai sensi dell'art. 667 c.p.p., con conseguente tra
smissione degli atti alla Pretura circondariale di Genova per l'ul
teriore corso.
Nelle more della successiva procedura camerale ex art. 666
ss. c.p.p. è intervenuta la sentenza 2 novembre 1996 della Con
sulta (n. 370, Foro it., 1997, I, 1695), dichiarativa della illegitti mità costituzionale dell'art. 708 c.p., per contrasto con gli art.
3 e 25 Cost.
A seguito di ciò il Maiolo, tramite il difensore, con atto del
3 novembre 1996, ha rinnovato (dinanzi allo stesso giudice ex
art. 665 c.p.p.) la richiesta di revoca della confisca e conseguen te restituzione della somma; come già in precedenza, anche in
quest'ultima occasione la richiesta non è stata formalmente estesa
alla revoca della sentenza di proscioglimento. Con ordinanza 6 gennaio 1997 il pretore, visti gli art. 676,
667 c.p.p., ha rigettato sia l'opposizione avverso l'ordinanza
de plano (istanza del 20 dicembre 1995), sia la nuova richiesta
(istanza del 3 novembre 1996), ritenendo non rientrante fra i
poteri del giudice dell'esecuzione disporre la revoca della confi
sca e la restituzione della somma.
Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso in Cassa
zione il Maiolo personalmente (con atto depositato il 14 gen naio 1997), censurando il mancato accoglimento della richiesta
di restituzione, al riguardo deducendo che tale restituzione do
veva ritenersi, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., conseguenziale alla
caducazione della norma incriminatrice per la dichiarata illegit timità costituzionale (negli stessi termini — vale aggiungere —
il difensore del Maiolo aveva in precedenza proposto opposizio ne all'ordinanza del giudice dell'esecuzione e tale mezzo era sta
to riqualificato dal pretore come ricorso e trasmesso alla corte
suprema, nell'albo della quale, peraltro, il difensore suddetto
non risulta iscritto). La sesta sezione penale di questa corte, alla quale era stato
assegnato il ricorso, lo ha rimesso alle sezioni unite, ravvisando
l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla ri
comprensibilità o meno della confisca tra gli «effetti penali» della sentenza destinati a venir meno, ai sensi del disposto degli art. 673 c.p.p., 30, ultimo comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e
2, 2° comma, c.p., in caso di declaratoria di incostituzionalità
di una norma in applicazione della quale sia stata pronunciata sentenza.
Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle se
zioni unite, fissando l'udienza del 28 gennaio 1998 per la tratta zione di esso in camera di consiglio.
Nella specie in esame — come già accennato — non è stata
formulata alcuna espressa richiesta di revoca della sentenza per effetto della abolizione del reato ex art. 708 c.p., essendosi in
concreto fatto richiamo — nelle varie istanze dell'interessato e del difensore — solo alla revoca della confisca e alla conse
guente restituzione della somma. Del pari, nel procedimento non è intervenuto alcun formale provvedimento di accoglimento o di rigetto sul suddetto specifico punto. Mancherebbe, pertanto, il presupposto per l'adozione di alcuno dei «provvedimenti con
seguenti» alla revoca della sentenza, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., posto che la giurisprudenza di questa Suprema corte (cfr. Cass., sez. I, 12 novembre 1990, P.m. in proc. Contreras, id., Rep. 1991, voce Esecuzione penale, n. 85), è nel senso di ritenere che il procedimento di esecuzione, per esplicito disposto norma tivo fart. 666, 1° comma, c.p.p.), esige per il suo inizio l'impul so di parte e non può esser promosso d'ufficio (con disciplina derogata per quanto riguarda l'applicazione dell'amnistia e del l'indulto dall'art. 672 c.p.p., che al 1° comma prevede l'ado zione di un provvedimento de plano, salva la possibilità per le parti di introdurre il giudizio camerale mediante opposizione).
Tuttavia, non può negarsi che il ripetuto riferimento del Maiolo all'art. 673 c.p.p. (e, in particolare, al 2° comma di questa di
sposizione) potrebbe in concreto essere interpretato come sinto mo dimostrativo della volontà del richiedente di ricomprendere nella sua istanza la revoca della sentenza (come mostra di rite nere l'ordinanza di rimessione ex art. 618 c.p.p.).
Ma, qualora ciò fosse, egualmente il ricorso non potrebbe trovare accoglimento, data la soluzione negativa che queste se zioni unite ritengono di dover dare al quesito che in questa sede si pone.
Il Foro Italiano — 1998.
La questione da esaminare riguarda il punto se, a seguito dell'abolizione del reato per effetto di dichiarazione di incosti
tuzionalità della norma incriminatrice, venga meno o sia co
munque revocabile la confisca già disposta con sentenza dive
nuta irrevocabile (nella specie: sentenza di non luogo a procede re per estinzione del reato).
Nel non vasto panorama di pronunce che hanno dato luogo al contrasto rilevato nell'ordinanza di rimessione, due sono gli orientamenti giurisprudenziali.
Il primo di essi è significativamente rappresentato dalla deci
sione della seconda sezione di questa corte (29 settembre 1997, n. 5034, Gonzales Mattus), che, proprio con specifico riferi
mento all'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale
dell'art. 708 c.p., ha affermato che la revoca ai sensi dell'art.
673 c.p.p. (nella specie formalmente intervenuta) della sentenza
di condanna per il reato previsto dal citato art. 708 c.p., doveva
necessariamente comportare anche il venir meno della misura
di sicurezza patrimoniale della confisca, a suo tempo già dispo sta sulle cose il cui possesso si assumeva ingiustificato.
Ciò, fondamentalmente, in base all'assunto secondo cui «l'a
brogazione della norma incriminatrice deve eliminare ogni sta
tuizione pregiudizievole all'interessato», ivi compresa, quindi, l'anzidetta misura di sicurezza (ricondotta dalla sentenza in esa
me, proprio per il suo rilevato carattere di statuizione pregiudi
zievole, alla categoria degli «effetti penali» della condanna cui
si riferisce l'art. 30, ultimo comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87). La decisione sopra menzionata richiama, quale precedente as
sunto come conforme, sia pure con riguardo a fattispecie diver
sa, la sentenza della terza sezione di questa Suprema corte (10 febbraio 1995, Surleti, id., Rep. 1995, voce cit., n. 77), la qua le, con riguardo a revoca di condanna inflitta per il reato di
cui all'art. 13 d.l. 5 maggio 1957 n. 271 (omessa denuncia di
deposito di oli minerali), successivamente depenalizzato, aveva
affermato che la suddetta revoca doveva altresì comportare, ai
sensi dell'art. 673 c.p.p., «l'eliminazione di ogni statuizione pre
giudizievole all'interessato, ivi compresa quella della disposta misura di sicurezza».
Il secondo orientamento, di segno opposto, è stato da ultimo
espresso da Cass., sez. II, 16 ottobre 1997, Bertozzi, la quale, relativamente ad identica fattispecie, ha escluso che dalla revo
ca della sentenza di condanna pronunciata per il reato di cui
all'art. 708 c.p., a seguito dell'intervenuta declaratoria di inco
stituzionalità di tale norma incriminatrice, potesse derivare an
che la revoca della confisca; ciò — si argomenta — non tanto
perché quest'ultima, in quanto misura di sicurezza, non sarebbe
annoverabile tra gli «effetti penali» della condanna, quanto per la decisiva ed assorbente ragione che, con il passaggio in giudi cato della sentenza che ha disposto la confisca, i beni confiscati
sono entrati a far parte, a titolo originario, del patrimonio del lo Stato, per cui si sarebbe in presenza di una situazione giuridi ca da considerare ormai esaurita, sulla quale perta. -o non si
riverbera conseguenza alcuna della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice. Quale precedente, la decisione in
esame si rifà a Cass., sez. Ili, 25 giugno 1993, De Cristofaro, id., Rep. 1994, voce cit., n. 91, sentenza che, in fattispecie con cernente la revoca di una condanna inflitta per altro reato poi depenalizzato (illecito valutario) aveva già escluso che detta re voca si estendesse anche alla confisca della somma di denaro
oggetto dell'illecito in questione, basando tale affermazione sul
la scontata distinzione fra misure di sicurezza ed effetti penali della condanna e sulla postulata irreversibilità del trasferimento dei beni confiscati al patrimonio dello Stato, una volta verifica tosi il passaggio in giudicato della sentenza con la quale la con
fisca era stata disposta. Altro precedente conforme richiamato dalla sentenza De Cristofaro è costituito da Cass., sez. Ili, 18
gennaio 1993, n. 112, Graziano, sostanzialmente anticipatrice della tesi dalla stessa accolta.
Vale segnalare che anche Cass., sez. Ili, 6 febbraio 1995, P.m. c. Kane Malik (id., Rep. 1995, voce Sanzioni amministra tive e depenalizzazione, n. 112), ha escluso che l'intervenuta
depenalizzazione del reato per il quale era stata pronunciata condanna (detenzione di apparecchi di accensione privi di con
trassegno fiscale) comportasse la revoca, oltre che di detta con
danna, anche della disposta confisca del corpo di reato; ciò, però, soltanto in forza della ritenuta applicabilità, nella fatti
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GIURISPRUDENZA PENALE
specie, dell'art. 41, 3° comma, 1. 689/81, che, con riguardo alle già intervenute pronunce giudiziarie concernenti gli illeciti
depenalizzati, prevede espressamente che «restano salve le pene accessorie e la confisca, nei casi in cui le stesse sono applicabili a norma dell'art. 20».
Queste sezioni unite ritengono aderente al vigente sistema nor
mativo il secondo orientamento giurisprudenziale. E tanto più
tale soluzione s'impone quando, come nella fattispecie in esa
me, la confisca non si fonda su un giudiziale accertamento di
responsabilità e «condanna», ma di non doversi procedere per
prescrizione, essendo stata la.misura disposta a norma dell'art.
240, 2° comma, n. 2 (ultimo inciso), c.p. Ai fini del decidere non rileva pertanto far riferimento al
l'art. 30, ultimo comma, 1. n. 87 del 1953 («quando in applica
zione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronuncia
ta sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione
e tutti gli effetti penali»); ciò per la considerazione del duplice
dato letterale che connota la disposizione in parola, avente ri
guardo solo a pronunce di «condanna» e ad «effetti penali» delle stesse.
A parte la già rilavata evidenza del primo dato, vale rammen
tare, quanto al secondo, che questa Suprema corte, in assenza
di precise indicazioni legislative, ha ripetutamente ritenuto che
gli effetti penali vanno individuati in quelle conseguenze giuri
diche di carattere afflittivo e pregiudizievole che automatica
mente conseguono alla (sola) condanna penale (cfr. Cass., sez.
I, 30 ottobre 1992, Usai, id., Rep. 1993, voce Pena, n. 30; 14
aprile 1993, Mondani, ibid., voce Esecuzione penale, n. 68).
I su estesi rilievi escludono chiaramente che possa venire in
considerazione, ai fini che qui interessano, il capoverso dell'art.
2 c.p., recante identica formula.
Pertanto, il problema della persistenza o meno della confisca,
nella specie, si può porre solo con riferimento all'art. 673 del
codice di rito penale, concernente la revoca della sentenza per
abolizione del reato e l'adozione dei «provvedimenti conseguen
ti», sia per il caso di pronuncia di condanna (1° comma), sia
per il caso di sentenza di proscioglimento o di non luogo a
procedere (2° comma).
Ma, a parte la difficoltà concettuale di ricondurre la revoca
della confisca nell'ambito dei «provvedimenti conseguenti», va
tenuto presente che la maggioranza degli autori e la giurispru
denza concordano nel ritenere che nel nostro sistema penale la
confisca è una vera e propria misura di sicurezza (sia pure con
particolari connotazioni), che — secondo la regola generale po
sta all'art. 236 c.p. — va annoverata fra le misure di sicurezza
patrimoniali, alle quali, in quanto tali — a norma del capover
so di tale articolo — si applicano le disposizioni degli art. 199,
200, prima parte, 201, prima parte, 205, prima parte, e n. 3
del capoverso, e, «salvo che si tratti di confisca», le disposizio
ni del primo e secondo capoverso dell'art. 200 e quelle dell'art.
210 (tutte disposizioni di carattere generale dettate per le misure
di sicurezza personali). Va preso atto, pertanto, che non trova applicazione nei ri
guardi della confisca il 1° comma del richiamato art. 200 c.p.,
a mente del quale «la estinzione del reato impedisce l'applica
zione della misura di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione».
È ancor più significativo osservare che l'ultimo comma del
l'art. 236 c.p. estende solo alla cauzione di buona condotta,
e non anche all'altra misura di sicurezza patrimoniale costituita
dalla confisca, l'applicazione dell'art. 207 c.p., recante disposi
zioni generali in punto di revoca delle misure di sicurezza perso
nali (per effetto del venir meno della pericolosità sociale).
II cennato quadro normativo offre elementi interpretativi che
valgono a confortare la tesi, che queste sezioni unite condivido
no, della non revocabilità ex art. 673 c.p.p. della confisca, a
fronte dell'altra tesi (non particolarmente argomentata), generi
camente rtiva dell'esigenza di far venir meno, per atto del
giudice dell esecuzione, ogni statuizione pregiudizievole all'inte
ressato, in ogni caso di abrogazione o di dichiarazione di illegit
timità costituzionale della norma incriminatrice.
Invero, la misura della confisca è collocata dalla legge nel
novero degli effetti definitivamente prodotti dalla sentenza irre
vocabile che l'ha disposta, effetti non attinenti al rapporto ese
cutivo ma conseguenti dalla s>: aizione giudiziale nel momento
stesso del passaggio in giudicat .ella stessa; essa, come discen
II Foro Italiano — 1998.
de dalle disposizioni richiamate, si connota come irrevocabile, in quanto ha carattere istantaneo e non permanente (uno actu
perficitur), come sottolineato da autorevole dottrina sulla base
della considerazione che la misura in questione rappresenta, in
sostanza, una sorta di espropriazione per pubblico interesse, iden
tificato quest'ultimo nella generale finalità di prevenzione pena le. In effetti, al provvedimento che la ordina consegue un tra
sferimento a titolo originario del bene sequestrato nel patrimo nio dello Stato (in particolare — salvo eccezioni — il denaro, i titoli al portatore, i titoli di Stato e i valori in bollo sono
subito devoluti in natura alla cassa delle ammende), di tal che
la cosa confiscata viene ad essere detenuta — dallo Stato o da
altro acquirente — in forza del diritto costituito con la sentenza
irrevocabile, la quale pone il suggello finale ad una situazione
giuridica che deve considerarsi ormai «esaurita», senza che il
successivo venir meno della norma incriminatrice possa comun
que valere ai fini di una sorta di retrocessione della cosa confi
scata, non essendo ciò consentito dall'ormai avvenuta acquisi zione legittima della res al patrimonio di altro soggetto, estra
neo al processo e nei confronti del quale, oltre tutto, non si
estendono i poteri del giudice dell'esecuzione penale. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con le conse
guenze di legge.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 14 ot
tobre 1997; Pres. Giammanco, Est. Onorato, P.M. Frangi
mi (conci, diff.); ric. Paolino. Annulla Pret. Castrovillari 17
dicembre 1996.
Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Au
torizzazione provvisoria — Efficacia (L. 10 maggio 1976 n.
319, norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, art.
15, 21).
Non è punibile ex art. 21 l. n. 319 del 1976 chi prosegua lo
scarico delle acque reflue in virtù di un 'autorizzazione prov
visoria rilasciata ai sensi dell'art. 15, anche se l'autorità com
petente non sia successivamente intervenuta con provvedimento
di revoca dell'autorizzazione stessa o di rilascio di quella de
finitiva. (1)
(1) In termini, v. Pret. Sondrio-Morbegno 17 gennaio 1996, Foro
it., 1997, II, 133: la 1. 10 maggio 1976 n. 319 non prevede espressamen te (e dunque non sanziona penalmente) che il titolare di uno scarico
produttivo esistente debba richiedere l'autorizzazione definitiva una volta
che abbia ottenuto, per effetto dell'art. 15, l'autorizzazione tacita, an
corché sia decorsa la data del 13 giugno 1986 prevista dall'art. 8, ulti
mo comma, quale termine finale per il raggiungimento degli obiettivi
dei singoli piani di risanamento regionali. Sulla questione, v. anche Corte giust. 28 febbraio 1991, causa 360/87,
e 13 dicembre 1990, causa 70/89, id., 1991, IV, 321, con nota di Amen
dola, Sono tutti fuorilegge gli scarichi produttivi italiani?
In tema di reati previsti dalla 1. n. 319, si segnalano le seguenti ulte
riori pronunce: — deve considerarsi insediamento produttivo un'azienda di macella
zione, ancorché ad essa sia connessa la vendita di carni, senza che rilevi
il fatto che, per ragioni di mercato, l'attività mattatoria sia svolta setti
manalmente, avendo essa, comunque, carattere di continuità e non di
occasionalità; nella condotta del titolare dell'insediamento che, avendo
presentato la domanda nelle forme prescritte, attivi il nuovo scarico
prima che l'autorizzazione gli sia stata concessa, è ravvisabile il reato
di cui all'art. 23 (Cass. 24 novembre 1997, P.g. in proc. Santella, Ced
Cass., rv. 209344); — ai fini della distinzione fra insediamento o complesso produttivo
ed insediamento civile deve aversi riguardo essenzialmente alla natura
dei reflui, nel senso della loro assimilabilità o meno a quelli normal
mente provenienti dagli insediamenti abitativi: questa valutazione deve
essere compiuta in concreto con riferimento all'attività realmente esple
tata; consegue che se per gli esercizi, nei quali viene esercitato profes sionalmente il lavaggio delle auto, è indispensabile ottenere l'autorizza
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