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Relatrice: Chiar. ma Prof. ssa PAOLINA MULÈ
Correlatrice: Chiar. ma Prof. ssa TERESA CONSOLI
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PROGRAMMAZIONE E
GESTIONE DELLE POLITICHE SOCIALI (LM-87)
TESI DI LAUREA
ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012
VALENTINA GIANNONE
MODELLI DI EDUCAZIONE INFANTILE
TRA PASSATO E PRESENTE
1
INDICE
INTRODUZIONE p.2
CAPITOLO I DALLE ORIGINI AD OGGI. L’EDUCAZIONE
ALL’INFANZIA p.9
1.1. Analisi storica sull’educazione
1.2. L’educazione del fanciullo nel pensiero di Rousseau e di Froebel
1.3. La scomparsa del “bambino adulto” dalle sorelle Agazzi a Montessori
1.4. L’attivismo idealistico di Giuseppe Lombardo Radice
CAPITOLO II IL PROBLEMA DELL’EDUCAZIONE INFANTILE
NELLA SCUOLA p.87
2.1. L’educazione infantile nell’attuale scuola dell’infanzia
2.2. L’evoluzione dei Programmi scolastici
2.3. I modelli di formazione della scuola attiva e progressiva
2.4. I processi di apprendimento e di insegnamento
CAPITOLO III PROSPETTIVE PEDAGOGICHE PER UN NUOVO
PROCESSO EDUCATIVO NELLA SCUOLA DEL XXI SECOLO
p.146
3.1. I servizi per l’infanzia: il ruolo dell’assistente sociale
3.2. Il “nido” e la nuova scuola dell’infanzia
3.3. Infanzia, gioco, educazione
3.4. La prospettiva ludiforme per la formazione dell’infanzia
CONCLUSIONI p.180
BIBLIOGRAFIA p.184
SITOGRAFIA p.192
2
INTRODUZIONE
Gli studi sui modelli di educazione infantile delineano il fulcro del dibattito
pedagogico contemporaneo, a cui ha preso parte la vasta letteratura pedagogica. Le
analisi condotte negli ultimi decenni dai pedagogisti italiani, proprio in ragione della
complessità dell’oggetto e della natura dell’argomento, hanno preso le mosse dal
problema fondamentale dell’identità della pedagogia, evidenziando il rapporto esistente
tra formazione ed educazione dell’infanzia. Per consentire un discorso che ci aiuti ad
individuare questi modelli tra passato e presente, la tesi è stata strutturata in tre capitoli.
Sicché, nel primo capitolo è stata fatta un’analisi storica sull’educazione,
partendo dal concetto di Bildung, mostrando, dal punto di vista pedagogico, come il
concetto di formazione si è evoluto, a partire dal mondo classico1.
Nella tradizione greca l’educazione era intesa, inizialmente, come formazione
del cittadino della polis, successivamente però, furono proprio i Greci a parlare per la
prima volta di Paideia, con cui la formazione diventò sinonimo di cultura. Un modello
educativo basato sulla scissione dell’istruzione finalizzata per un verso alla cura del
corpo e al suo rafforzamento e, per un altro, alla socializzazione dell’individuo nella
polis, ossia all’interiorizzazione di quei valori universali che costituivano l’ethos della
popolazione2. In seguito furono i Sofisti a spostare lo studio della formazione dalla
ricerca di un origine intellettuale, alla comprensione dell’uomo e delle sue facoltà, mutò
così il fine dell’educazione, intesa come formazione dell’uomo politico.
Nel secolo della rivoluzione scientifica, Comenio intuì la necessità di un nuovo
modello di educazione, affinché l’educando sin dall’inizio potesse avere le basi di tutto
il sapere. Ecco che allora è grazie all’opera di questo autore che l’insegnamento diventò
sinonimo di pansofia, intesa come sapienza universale, da realizzare tramite la
pampedia, ossia un’educazione universale3. Ma solo dalla seconda metà del ‘700 con
l’avvento del nuovo umanesimo, si inizierà a parlare di formazione, come costruzione
1 Cfr. P. Mulè, Formazione, scuola, emergenze educative, Anicia, Roma 2001; E. Becchi, Il bambino
sociale, Feltrinelli, Milano 1998, pp.17-23. 2 Cfr. ivi, pp.25-33.
3 Cfr. ivi, pp.36-39.
3
armonica di tutte le forze fisiche e spirituali dell’uomo, comprendenti la sua coscienza
umana, culturale e spirituale. È, infatti, con l’età umanistico-rinascimentale che si avvia
la riflessione sul ruolo e sulla posizione che l’uomo doveva avere nel mondo. Ne
conseguì da parte di numerosi intellettuali l’elaborazione di piani educativi, programmi
e metodi di studio più idonei alla formazione del nuovo modello antropologico che
andava delineandosi.
In definitiva, con l’Umanesimo il fine dell’educazione diventò la formazione di
un uomo completo, da cui trarre un arricchimento interiore. Trasla così la prospettiva
educativa, che dalla formazione del religioso o del cavaliere, passa alla formazione
dell’uomo e della donna, in quanto persone. Ne consegue un cambiamento anche della
metodologia, che non si basò più sulle penalità corporali, piuttosto sulla consapevolezza
dell’importanza del rapporto maestro-scolaro. Il progetto educativo più idoneo per la
nuova società industriale che si era consolidata fu realizzato da Owen, che nella sua
scuola di New Lanark previde un’educazione collettiva della comunità, non solo per
bambini ma anche per adulti4.
Dopo la Rivoluzione francese e la Rivoluzione industriale, nel secolo
successivo, il Romanticismo fu a sua volta una rivoluzione, del ruolo della cultura e
degli intellettuali che doveva essere ridefinito. Ebbe, infatti, come punto di riferimento
il problema della formazione dell’individuo, che diventa parte attiva della comunità.
Ciò portò al superamento sia dell’intellettualismo che dell’utilitarismo illuministici, in
quanto s’ipotizzò la creazione di un rapporto pedagogico, in cui il ruolo centrale
dovesse essere attribuito alle due grandi agenzie: famiglia e scuola.
La cultura pedagogica del Novecento fu caratterizzata, invece, da una pluralità
di sperimentazioni, l’affermarsi di nuovi studi quali: la psicoanalisi, la sociologia e la
psicologia diedero origine a nuovi metodi d’indagine, spazi e modalità educative, prima
del tutto inattesi. Il concetto di educazione fu influenzato dall’ avvicendarsi di una serie
di cambiamenti volti alla tutela, alla difesa e al supporto dei diritti dell’infanzia. Via via,
proprio per effetto della consapevolezza della complessità dei problemi educativi e
dell’affermarsi di nuove discipline, cambiò il modo d’intendere la pedagogia e sempre
4 Cfr. E. Becchi, Il bambino sociale, cit., pp.17-23.
4
più si cominciò a parlare di scienze dell’educazione come Dewey aveva precisato nelle
Fonti di una scienza dell’educazione del 19295.
In quest’ottica, s’inserì l’idea della formazione permanente, l’educazione doveva
essere un processo continuo, e fu a partire dalla fine del Settecento, grazie alle opere di
pedagogisti ed educatori quali Rousseau, Pestalozzi, e Fröebel, che si sviluppò una
nuova sensibilità verso l’infanzia. Le nuove teorie avevano per oggetto-soggetto di
studio il bambino e, dall’idea di bambino concepito come piccolo adulto, si passò
gradualmente ad una, invece, che lo valorizzò come persona che sin dalla nascita, ha un
proprio modo di essere, di sentire, di vedere e di pensare. Fröebel, servendosi di un
linguaggio botanico, definì il fanciullo come «un seme maturo caduto dalla pianta6», le
Agazzi, riprendendo un’analogia simile, parleranno di «germe vitale che aspira al suo
completo sviluppo»7.
Si potrebbe continuare esponendo le varie definizioni utilizzate in riferimento al
bambino, ma ciò che in questa tesi si è voluti sottolineare, servendosi dei riferimenti di
questi pedagogisti, è il passaggio da una concezione adultistica dell’infanzia, intesa solo
come un passaggio dovuto per il raggiungimento della maturità ad una, invece, che le
attribuisce un ruolo importante per la crescita.
Con l’opera di Maria Montessori, rappresentante del movimento delle Scuole
Nuove in Italia e ideatrice delle Case dei Bambini, si parlerà del bambino non più come
di «cucciolo d’uomo da allevare e da crescere». Il bambino diventa una persona con
specifici e intangibili diritti alla vita. Sempre di più l’infanzia viene vissuta come un
periodo di creazione8, uno step della vita durante la quale si avvia lo sviluppo. Durante
l’Illuminismo Locke aveva definito il bambino una tabula rasa9, oggi, gli studi psico-
pedagogici parlano, invece, di «infante-competente», di un bambino che sin dalla
nascita ha dei bisogni fisici, cognitivi e volitivi e che perciò deve essere educato
all’autonomia10
.
5 Cfr. E. Becchi, Storia dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp.8-15.
6 F. Fröebel, I giardini dell’infanzia, Tevisini, Milano 1888, p.22.
7 R. C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia, La Scuola, Brescia 1961, p.78.
8 Cfr. ibidem.
9 Cfr. ivi, pp.44-48.
10 Cfr. ivi, p.123.
5
Nel secondo capitolo si approfondisce, invece, la questione dell’educazione
infantile nella scuola. Attraverso un’analisi storico-teoretica dei programmi scolastici
che si sono susseguiti nel corso degli anni. La ricostruzione dei princìpi teorici
dell’educazione progressiva e dell’attivismo americano degli anni ’40 del Novecento
hanno identificato analogie e diversità degli aspetti teorici poco esplorati, che hanno
evidenziato alcune ambiguità sul concetto di Activity School e Progressive School negli
Stati Uniti e sul deweysmo in Europa ed in Italia11
.
Da questa ricostruzione, sono affiorate nuove prospettive culturali che hanno
attenzionato non solo la teoria della pedagogia e, quindi, i suoi metodi, ma anche, la sua
applicazione in ambienti educativi idonei. Nel dibattito pedagogico, uno sguardo alla
storia della pedagogia, ha portato alla luce la distinzione di due concetti del processo
educativo: educazione ed istruzione. L’educazione come costruzione della personalità,
attraverso il compimento di esperienze che ne favoriscono l’autosviluppo, il processo
educativo, che deve partire dall’identità infantile per arrivare poi progressivamente alla
organizzazione del sé e all’apertura verso gli altri. L’istruzione intesa, invece, come
trasmissione di nuovi concetti e volta all’acquisizione di nuove competenze e capacità,
che possano plasmare l’alunno12
.
Il senso dell’antinomia tra educazione e istruzione viene affidato alla pedagogia,
la quale deve tener conto sia del ruolo dell’educatore che di quello dell’insegnante.
Oggi sappiamo, però, che il ruolo della scuola non può più essere circoscritto alla mera
trasmissione dei contenuti, la questione è, dunque, capire se la scuola ha davvero solo il
compito d’istruire, anche in considerazione di quanto sosteneva Gentile, secondo il
quale la scuola è il luogo privilegiato in cui si manifesta il rapporto docente-discente,
nel momento della lezione. Il dilemma che viene anche presentato in una opera di
Riccardo Massa è, dunque: educare o istruire? La sfida dei pedagogisti diviene
l’individuazione di un modello educativo che sappia affrontare le esigenze formative
che emergono dalla complessità e poliedricità della società. L’analisi effettuata ha
sottolineato come il passaggio della pedagogia alle scienze dell’educazione, avviatosi
11
Cfr. ibidem. 12
Cfr. M. Baldacci, Personalizzazione o Individualizzazione?, Erikson, Gardolo 2006, pp.3-8.
6
con il modello empiristico, ha inteso la pedagogia come “sapere plurale” e non già
strutturato13
.
Questa nuova concezione attribuita alla pedagogia, che diventa scienza
dell’educazione, risalta il ruolo che viene attribuito non più solo alla scuola, ma anche
ad un nuovo soggetto: la famiglia. Ciò avvenne proprio, con i Programmi scolastici di
Washburne, finalizzati alla scoperta delle capacità, delle inclinazioni e degli interessi
degli allievi, che siano in grado di analizzare i bisogni dei fanciulli. Anche se nel 1968
venne istituita la scuola materna statale e nel 1969 vengono emanati gli Orientamenti
per la scuola materna, è solo a partire dalla legge 820/71, che si compirà il vero
cambiamento, in quanto si darà luogo alla scuola a tempo pieno14
.
Tuttavia, l’elemento riparatore del fallimento della pedagogia moderna, sono i
Programmi Falcucci del 1985, che volti all’unione dei contenuti dell’insegnamento e
degli obbiettivi formativi, favoriranno il rapporto tra educazione, istruzione e
formazione. Ne conseguirà, una maggiore consapevolezza dei diritti del bambino nella
scuola odierna. Diritti che oggi sono riconosciuti anche dalla Costituzione nel quadro
dei diritti della persona e che vengono, più volte, ribaditi anche negli atti degli
Organismi Internazionali. Nell’attuale scuola dell’infanzia l’attenzione è rivolta, infatti,
sia al bambino che all’ambiente che lo circonda e alle relazioni che questo gli consente
di instaurare. Ma perché l’educazione sia costruttiva è fondamentale la cooperazione tra
famiglia, scuola e altre realtà formative.
Dalla riflessione sui tali modelli, è sorta, dunque, la necessità di umanizzare la
scuola, ed allora ci si deve dirigere verso la personalizzazione degli insegnamenti. La
scuola deve, dunque, evitare l’omologazione culturale. Anzi è chiamata alla
programmazione di percorsi educativi, in cui, l’alunno deve essere il protagonista del
proprio processo di crescita. Anche se già Dewey, Montessori, Decroly, Claparède e
Freinet, e Kilpatrick e Parkhurst, avevano riflettuto sulla progettazione individualizzata,
cercando di creare quella che è stata definita da Montessori, la «scuola su misura»15
, in
Italia è solo nel 2003, con Bertagna, fautore della Riforma Moratti, che venne
13
Cfr. ivi, p.56. 14
Cfr. ibidem. 15
Cfr. F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, Bologna 1986, p.79.
7
puntualizzata la differenza tra individualizzazione e personalizzazione16
. Egli precisò,
infatti, che parlare di percorsi formativi individualizzati è inesatto, in quanto la
formazione pur essendo rivolta all’individuo, non deve essere riferita a lui in maniera
astratta, piuttosto l’attenzione deve essere rivolta alla persona. Venne ipotizzato,
dunque, non un ridimensionamento, ma piuttosto un rafforzamento della triade:
insegnamento-apprendimento-individualizzazione.. Nell’attuale società stiamo
assistendo ad una moltiplicazione dei compiti e delle responsabilità che
precedentemente erano affidate esclusivamente allo Stato, ma a cui, questo, da solo, non
è più in grado di far fronte. È in questo senso che anche in Italia da qualche anno, ci si
sta avviando verso l’autonomia scolastica, che verrà analizzata alla luce di un’analisi
storica.
Nel terzo capitolo si sviluppa, infine, il problema delle prospettive pedagogiche
per un nuovo processo educativo nella scuola del XXI secolo, in cui viene attenzionato
il ruolo dell’assistente sociale nell’attuale scuola dell’infanzia. A questa figura
professionale vengono affidate funzioni di aiuto e di controllo, le quali puntano non
solo all’attuazione di processi di cambiamento familiari al fine di responsabilizzare i
genitori, ma anche alla riduzione, del disagio, attraverso un sostegno costante che viene
offerto ai genitori17
.
Un aspetto, non secondario, emerso da questa riflessione, è stato volto alla
chiarificazione di due termini fondamentali inerenti il discorso dei modelli di
formazione: asilo nido e scuola dell’infanzia. Si è parlato di asilo nido come di un
organismo educativo destinato ai bambini che rientrano nella fascia d’età dai 3 mesi ai 3
anni. In realtà, il primo asilo d’infanzia pur essendo stato istituito nel 1828 da Ferrante
Aporti, essendo privato, non era accessibile a tutti. È solo con la legge 1044/7118
che si
comincerà ad intendere l’asilo nido come un servizio sociale di interesse pubblico, pur
rimanendo ancora meramente assistenzialistico. Solo recentemente si è parlato del nido
come istituzione di carattere assistenziale ed educativo, che in qualche modo cerca di
rispondere alle richieste della società odierna19
.
16
Cfr. ivi, pp.121-122. 17
Cfr. S. Bonaga, C. Bussolati, a cura di, Attualità e scuola, Malipiero Editore, Milano 1976, pp.10-17. 18
Cfr. F. Giuffrida, Ferrante Aporti e l’educazione infantile in Italia, Vallardi, Roma 1928, p,18. 19
Cfr. ivi, pp.45-48.
8
L’obiettivo finale resta comunque la crescita e la formazione del bambino, ma
perché ciò avvenga, dato che tra i due servizi vi sono delle differenze, sono previsti dei
sistemi progettuali idonei che le supportino a diversi livelli: didattico, formativo-
educativo, ma anche istituzionale. In riferimento ai modelli di educazione infantili è
stata rilevata, invece, un’interconnessione tra tre sostantivi fondamentali nel processo di
crescita del bambino: infanzia, gioco ed educazione.
Si è voluto evidenziare, in particolare, come è importante attribuire il giusto
significato al termine “gioco”. Solitamente crediamo che il gioco sia solo un momento
di svago, di divertimento, ma con l’aspetto educativo, conferitogli, tutto cambia. Il
gioco ha una funzione educativa che consente lo sviluppo del bambino: è giocando,
infatti, che il bambino impara a comprendere il mondo, a fare esperienza del rispetto
delle regole, a governare le proprie emozioni. Dal gioco, ne consegue, un’ampia e
coinvolgente esperienza, e non solo in quanto, attiva il soggetto globalmente, ma in
quanto consente al soggetto di imparare, naturalmente tramite la pratica.
In questo ultimo capitolo, un altro rilevante aspetto è stato la considerazione di
due termini utilizzati da Visalberghi: attività ludica e attività ludiforme. Mentre, la
prima, presume che ci sia un coinvolgimento affettivo, cognitivo e psico-fisico, ed è
una costante della vita del bambino, che proprio perché si rinnova, e non è fissa, è utile
alla sua crescita affettiva, cognitiva e relazionale, tuttavia, è fine a se stessa. Nell’attività
ludiforme viene applicata, invece, una didattica che stimola i bambini all’ interesse, alla
partecipazione, alla creatività, concedendogli anche la possibilità di risolvere i problemi
insieme agli altri20
.
Ovviamente la complessità degli argomenti trattati, ci induce a considerare
questi modelli educativi alla luce delle prospettive pedagogiche dominanti e dell’attuale
legislazione scolastica.
20
Cfr. C. Clausse, Avviamento alle scienze dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1970, pp.23-29.
9
CAPITOLO I
DALLE ORIGINI AD OGGI. L’EDUCAZIONE
ALL’INFANZIA
1.1. Analisi storica sull’educazione
La cultura dell’educazione è uno dei temi centrali dell’attuale dibattito
pedagogico, la riflessione sui modelli educativi pone in evidenza come l’educazione è
stata considerata oggetto di analisi ora filosofiche, ora scientifiche, fino all’adozione di
una metodologia pedagogica specifica. Parlare di educazione oggi è un’impresa
particolarmente difficile, in quanto bisogna cercare di coniugare una serie di posizioni,
di diritti e di doveri che appartengono allo sviluppo della persona, attraverso strumenti
complessi e che in alcuni casi, sono potenzialmente contraddittori gli uni con gli altri21
.
Per poter individuare la storia dell’educazione è innanzitutto necessario partire
da un sostantivo che rappresenta ciò di cui intendo parlare: la bildung. Da un punto di
vista etimologico, questo termine deriva dal verbo tedesco «bilden», che viene tradotto
con il verbo italiano “formazione”, e che ritrova la propria radice nel sostantivo «bild»:
immagine22
. Con ciò s’intende la formazione dell’uomo, una formazione completa, che
comprende sia la sua coscienza umana e culturale che spirituale; una formazione che
consiste sia nel “prendere forma”, che nel delineare un modello in cui sono presenti
valori legati alla sua multidimensionalità23
. Il termine “Bildung” assume il suo
21
Cfr. F. Cambi, Fondamenti teorici del processo formativo. Contributi per un’interpretazione, Liguori,
Napoli 1997, pp.19-24. 22
Cfr. M. Gennari, Storia della Bildung, La Scuola, Brescia 1995, pp.45-49. 23
Cfr. P. Mulè, Formazione, democrazia, nuova cittadinanza. Problemi e prospettive pedagogiche.
Periferia , Cosenza 2010, pp. 13-15.
10
significato attuale solo a partire dalla seconda metà del ‘700 nel contesto di un nuovo
umanesimo, vale a dire del progetto di una formazione armonica di tutte le forze fisiche
e spirituali dell’uomo24
. Nella tradizione filosofica greca al tempo dei Sofisti, di
Socrate, Platone e Aristotele, l’educazione era diretta alla formazione del cittadino della
polis, e ciò determinava sicuramente una stretta interconnessione tra la definizione di
uomo e quella di cittadino. Nel mondo greco, infatti, l’uomo era portatore di una
cultura che si manifestava nella sua libertà individuale, che poteva sviluppare solo
all’interno della polis. Questo profilo dell’educazione, evidenziato dai greci, costituisce
il fulcro di tutto il percorso, da Platone a Dewey, potremmo quindi affermare che è la
cultura umana che permette all’uomo di gestire ed organizzare ciò che apprende
dall’ambiente sociale e naturale in cui vive, ma questa cultura gli deve essere trasmessa,
e ciò richiede specifiche forme quali: l’istruzione e l’educazione25
.
Dopo aver precisato che l’educazione è volta alla formazione globale della
personalità dell’individuo, mentre l’istruzione è indirizzata alla trasmissione di nozioni
e comportamenti, bisogna comprendere due aspetti fondamentali dell’educazione:
- che cosa l’educazione deve valorizzare, rispettare ed esprimere;
- quale rapporto deve esservi tra l’educazione culturale (come trasmissione di
valori acquisiti dalla società) e l’educazione personale per la realizzazione di
sé26
.
Per avere un’idea ben chiara dei suddetti aspetti bisogna ripercorrere parte della
storia della pedagogia. Innanzitutto è necessario riconoscere che il mondo greco, in
campo pedagogico, ha prodotto una grande rivoluzione rispetto alle precedenti civiltà.
Basti pensare che, al contrario, di quanto era avvenuto in Egitto e Mesopotamia,
all’educazione dell’aristocrazia guerriera fu sovrapposta e sostituita l’educazione del
cittadino. Furono i Greci ad individuare nel rapporto con la cultura l’elemento
indispensabile per l’autoformazione dell’individuo, cominciando a parlare per la prima
24
Cfr. P. Mulè, Formazione, scuola, emergenze educative, Anicia, Roma 2001, pp. 84-86. 25
Cfr. ibidem. 26
Cfr. J. Bowen, Storia dell’educazione occidentale, Mondadori, Milano 1979, pp. 17-32.
11
volta di Paideia, che rappresentava la stretta relazione fra educazione, filosofia e vita
associata27
.
La Paideia concepiva la formazione dell’uomo in quanto uomo, cioè, era
l’espressione della trasmissione di modelli, consuetudini e valori di una determinata
classe sociale28
. In questo senso, la figura non del semplice insegnante, ma
dell’educatore, si delineò per la prima volta proprio in Grecia29
. Il cambiamento
avvenne quando vi fu la necessità di preparare i giovani ad affrontare la nuova vita di
cittadini all’interno della polis. Un grande contributo venne dato anche dai Sofisti,
secondo i quali il fine dell’educazione doveva essere la formazione dell’uomo politico.
L’indagine filosofica si spostava così, dalla ricerca di un principio intellettuale, alla
conoscenza dell’uomo e delle sue facoltà, secondo la prospettiva per cui “l’uomo è
misura di tutte le cose”30
. I cardini dell’educazione erano fondamentalmente due: la
dialettica, intesa come l’abilità di prevalere sul proprio interlocutore, e la retorica intesa
invece come l’arte del “persuadere”. Ma nella formazione sofistica erano comprese
anche tutte le discipline che faranno parte, secoli dopo, delle Arti del Trivio e del
Quadrivio: grammatica, dialettica, retorica, geometria, musica e astronomia31
.
Grazie ai Sofisti si assistette ad una “democratizzazione” del sapere e della politica,
essi furono anche i primi ad elaborare un’idea di educazione “umanistica” nel senso che
l’educazione era rivolta all’uomo in quanto tale. In tal senso, se in un primo tempo lo
scopo dell’educazione sofistica era di carattere politico, in un secondo momento apparì
fine a se stessa32
. Socrate aveva in comune con i Sofisti l’interesse per l’uomo e la
persuasione che la società e lo Stato non erano opere divine, l’unica autorità che egli
riconosceva era la ragione dell’uomo33
.
Egli parlava di virtù, non intesa come “sapere”, ma come connessione con la
dimensione etica. Dunque, l’effettiva moralità dell’uomo, secondo Socrate, si trovava
27
Cfr. ivi, p.22. 28
Cfr. G. Brianese, Il Protagora di Platone e il problema filosofico dell’educazione nel mondo greco,
Paravia, Torino 1993, pp.15-21. 29
Cfr. ivi, p.56. 30
Cfr. ivi, p.62. 31
Cfr. Biografia degli Italiani illustri nelle scienze: lettere ed arti del secolo XVIII, vol. 2, Paravia,
Torino 1990, pp.4-7. 32
Cfr. ivi, p.78. 33
Cfr. A.E. Taylor, Socrate, La Nuova Italia, Firenze 1952, p.66.
12
nella sua razionalità, al suo interno e non nella vita sociale. Ma se l’educazione era
educazione alla virtù ed essa era ricerca filosofica, l’educazione doveva essere,
anzitutto, educazione alla filosofia. È da qui che nascerà la teorizzazione pedagogica
come riflessione della filosofia34
. Parimenti, l’insegnamento non consisteva nella
trasmissione del sapere, ma nello stimolo che veniva offerto al discepolo, affinché egli,
autonomamente dal fondo della propria coscienza, ricercasse in sé la verità.
Protagora affermava: «Il mio insegnamento consiste nella facoltà di prendere
decisioni riguardo alle questioni private, come per esempio si possa amministrare nel
modo migliore la propria casa, e a quelle pubbliche, come essere cioè il più idoneo a
parlare e a gestire gli affari della città »35
. Dunque, il maestro non era colui che sapeva e
trasmetteva il sapere, ma colui che aiutava a saper fare, e più esattamente a saper fare
nel contesto della comunità privata (la casa, l’oikos) e pubblica (la polis). Il maestro
doveva liberare il discepolo dall’errore che gli impediva di scorgere la verità che era in
lui; grazie ai suoi insegnamenti, conduceva l’allievo alla scoperta autonoma della
conoscenza36
.
Per educare non occorrevano perciò più i lunghi discorsi dei Sofisti ai quali l’allievo
assisteva passivamente, ricevendo il sapere dal di fuori, ma discorsi brevi, fatti di tante
domande, mirate a far scoprire al discepolo la verità che egli aveva già dentro di sé37
.
Socrate rifiutava di essere un educatore, il suo interesse, infatti, non mirava a
consolidare e a formare le personalità altrui, ma piuttosto a porre in esse l’inquietudine,
il dubbio, il senso del non sapere. Ecco che allora proprio con Socrate prese avvio lo
sviluppo del valore individuale della persona. Successivamente, Platone riprese la
concezione socratica del legame tra etica ed educazione, dando luogo ad un’analisi
critica delle modalità dell’apprendimento e della gerarchia delle discipline. Egli fu il
fondatore dell’Accademia, la prima scuola filosofica, in cui il concetto di nuova
educazione, da lui delineato, teneva conto della dimensione etico-politica della virtù38
.
34
Cfr. ivi, pp. 67-78. 35
Cfr. S. Zeppi, Protagora e la filosofia del suo tempo, La Nuova Italia, Firenze 1961, p.76. 36
Cfr. ibidem. 37
Cfr. F. Cambi, Storia della pedagogia, Laterza, Bari 1995, pp.11-14. 38
Cfr. ivi, pp.14-18.
13
Ma questa nuova educazione doveva collegarsi ad uno Stato ideale, che era diviso in
tre classi (produttori, custodi-guerrieri, e custodi perfetti-reggitori) che si rifacevano alle
tre tendenze dell’animo umano39
. Il compito dell’educazione era di consentire agli
appartenenti ad ogni classe la realizzazione della propria virtù. Per raggiungere tale
obiettivo occorreva però un tipo di educazione fortemente statalizzato, in cui al vertice
dello Stato dovevano essere collocati coloro che sapevano raggiungere con la riflessione
il Vero e il Bene40
.
Per formare i filosofi e anche gli appartenenti ad altre classi occorreva, inoltre, un
preciso curriculo di discipline, la cui successione poteva essere delineata in parte
attraverso i vari gradi di conoscenza descritti nel mito della caverna41
. Per Platone il
cammino conoscitivo era un cammino di graduale distacco dalle cose sensibili verso
forme puramente razionali: le idee. Altra caratteristica del curriculo educativo, da lui
proposta, era la presenza del gioco come caratteristica dell’educazione prescolare (dai
tre ai sei anni), durante questa fase il gioco aveva lo scopo di divertire, mentre durante
l’età scolare assolveva ad uno scopo educativo.
Conoscere era, per Platone, ricordare, e quindi il compito dell’educazione consisteva
nel risvegliare quanto l’anima già conosceva. Il metodo formativo, soprattutto per i
filosofi, doveva essere essenzialmente dialogico, basato su un profondo rapporto
affettivo fra maestro e discepolo e sulla convinzione che la lettura produceva solo falsa
sapienza. Anche Aristotele affrontò il problema dell’educazione nella dimensione della
polis, tuttavia il rapporto tra questa ed il cittadino era basato più su di un esame delle
reali condizioni della società, che non sull’ideale platonico42
. La persona era unica nella
sua integralità psicofisica e l’educazione doveva sviluppare qualcosa che in essa era già
presente. Il compito dell’educazione, consisteva dunque, nell’indirizzare l’ individuo
39
Cfr. J. Stenzel, Platone educatore, Feltrinelli, Milano 1979, p. 94. 40
Cfr. ibidem. 41
Cfr. Platone, Repubblica, trad. it. di F. Gabrieli, Rizzoli, Milano 1991, pp.1163-1667. Nel VII libro
Platone narra il famoso mito della caverna , in cui esemplifica la gerarchia degli insegnamenti che
dovranno essere forniti nel curriculo formativo. « Gli uomini senza educazione sono come prigionieri
incatenati in una caverna, costretti a fissare la parete di fondo in cui scorrono le ombre prodotte da oggetti
trasportati fra loro e un fuoco acceso nei pressi dell’imbocco. Essi credono che quelle ombre siano la
realtà: questa non è che immaginazione. Ma uno dei prigionieri potrebbe essere liberato e avviato
all’uscita della caverna, vedendo gli oggetti che danno origine alle ombre. Conquisterebbe così solo la
credenza, che non è ancora conoscenza vera. Una volta fuori dalla caverna, potrebbe guardare le cose del
mondo, prima attraverso i loro riflessi nell’acqua, poi direttamente fino a giungere alla vista del Sole». 42
Cfr. G. Gentile, Il concetto scientifico della pedagogia, Franco Angeli, Milano 2004, p.67.
14
sia verso i beni concernenti la volontà, che verso quelli riguardanti la ragione, ma
soprattutto doveva essere un’educazione liberale, incentrata cioè, sulle dimensioni del
bene e del bello che competevano solo agli uomini liberi; allo Stato spettava, invece,
l’organizzazione di un’educazione che permettesse all’individuo di realizzarsi come
buon cittadino43
.
A questo riguardo, Aristotele indicava anche un curriculo di studi dove la famiglia
era direttamente impegnata dalla responsabilità educativa dei propri figli, dalla nascita
ai sette anni, mentre, in seguito, (7-14 anni circa) ero lo Stato ad occuparsene, attraverso
l’insegnamento di lettere, ginnastica, musica e disegno, ed in fine in un terzo momento
successivo (14-21 anni) il giovane approfondiva nel Liceo quanto aveva imparato nella
fase precedente44
. È nel periodo dell’età ellenistica che l’insegnamento privato, pur non
scomparendo del tutto, lasciò il posto ad una formazione di tipo collettivo. Il modello
dominante dell’educazione era quello retorico e l’educazione era intesa come
“formazione generale”45
.
La pedagogia cristiana, come riflessione sull’educazione, nacque attraverso lo
sviluppo di una filosofia cristiana, cioè in un sistema di principi organizzati che
filtravano il messaggio evangelico e biblico con lo strumento delle filosofie greche.
Inizialmente, questa cultura cristiana era diretta solo all’interno della comunità dei
credenti, solo successivamente si diffuse nella società, ed è grazie a questo percorso che
è avvenuto il superamento dell’intellettualismo. Ecco che occorreva essere puri e
credere per poter conoscere. L’educazione era prima di tutto educazione alla charitas,
all’amore per il prossimo come testimonianza dell’amore di Dio; fu Agostino l’uomo a
cui si deve il merito di aver unito la filosofia antica con le tradizioni bibliche dei primi
cristiani46
.
Egli nel De Magistro, la sua opera più importante, immagina un dialogo con il
proprio figlio sulla funzione e la possibilità di insegnamento del maestro umano, in
riferimento al problema della comunicazione linguistica. Secondo Agostino, il maestro
non poteva insegnare se non per mezzo delle parole, per cui, l’insegnamento era
43
Cfr. ibidem. 44
Cfr. ivi, p. 72. 45
Cfr. M.P. Nilsson, La scuola nell’età ellenistica, La Nuova Italia, Firenze 1973, p.128. 46
Cfr. ivi, pp.44-49.
15
possibile solo se l’allievo sapeva già quello che gli comunicava il maestro, perché
avrebbe potuto capirlo, se invece non lo sapeva, sarebbero state solo parole prive di
significato. Ma l’educazione era anche “autoeducazione”, nel senso che l’individuo
trovava la verità al proprio interno, in quanto la verità non era creata dall’individuo,
quanto piuttosto era donata dal Maestro interiore, Dio47
. L’ottica del problema
educativo era dunque questa. Agostino affermava infatti, che «L’educazione doveva
essere un processo di tipo dialettico attraverso cui l’uomo penetrava nella propria
coscienza e vi faceva luce, perché è in se stesso che avrebbe trovato la verità»48
.
In un’altra grande opera di Agostino, Le confessioni, viene invece evidenziata la
critica all’educazione tradizionale, la lettura pedagogica di quest’opera può avvenire su
due livelli: in primo luogo, come narrazione di una conversione con Dio, e ciò mostra le
caratteristiche proprie dell’autoeducazione spirituale, ed in secondo luogo, individua dei
punti di riflessione sull’educazione49
. Dobbiamo anche sottolineare che nella parte più
autobiografica dell’opera, Agostino ci ha lasciato un ritratto della sua esperienza
scolastica, un esempio di incapacità pedagogica, dove ricordava come gli educatori
fossero stati incapaci di comprendere le esigenze del bambino (usavano infatti la
correzione violenta e rifiutavano il gioco come princìpio educativo), ma alla base di ciò
vi era anche “inutilità contenutistica”, nel senso che era un’educazione fondata su un
curriculo di elementi a valori, ormai privi di senso50
.
Secondo Agostino, perché un’educazione potesse essere garantita e l’insegnamento
fosse efficace, si doveva trovare il modo di condurre tutti gli uomini ad aprire il loro
animo alla luce. Pertanto, chi restava sempre in un universo fatto di parole e di segni;
non sarebbe mai arrivato alla loro verità. Ecco che allora il metodo dialettico doveva
essere sostituito e la mente dell’uomo doveva essere preparata all’accettazione di un’
esperienza diretta della verità, che non poteva avvenire né attraverso i segni, né poteva
essere indotta dall’esterno con il dialogo; era un’esperienza che doveva essere vissuta
interamente nella propria interiorità51
.
47
Cfr. L.R. Patanè, Il pensiero pedagogico di S. Agostino, Patron, Bologna 1967, pp.177-180. 48
Cfr. A. Agostino, De Magistro, a cura di D. Gentili, Città Nuova, Roma 1976, p.96. 49
Cfr. ibidem. 50
Cfr. A. Agostino, Le confessioni, a cura di C. Carena, Mondadori, Milano 1986, pp.66-69. 51
Cfr. H. I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Studium, Roma 1950, pp. 95-105.
16
Nell’età umanistico-rinascimentale la riflessione sul ruolo e sulla posizione che
l’uomo doveva avere nel mondo, stimolò numerosi intellettuali ad elaborare piani
educativi, programmi e metodi di studio più idonei alla formazione del nuovo modello
antropologico che andava delineandosi. L’Umanesimo fu un periodo importante nella
storia dell’educazione, in quanto fu il movimento pedagogico che mirò alla formazione
di un uomo nuovo, completo, le cui virtualità dovevano essere sviluppate
armonicamente52
. L’uomo nuovo era colui per il quale la conoscenza delle opere e degli
autori classici non doveva essere un “puro ornamento”, ma anche e soprattutto un
arricchimento interiore, un miglioramento etico.
La sua cultura doveva essere ricca e varia ma non doveva essere fine a se tessa
(nel senso che il suo fine doveva essere quello di aspirare alla perfezione, che poteva
realizzarsi solo nell’azione sociale). Il sapere valeva, dunque, in quanto era sociale e il
suo fine era proprio la formazione del cittadino53
. L’educazione doveva cultura doveva
essere ricca e varia ma non doveva essere fine a se tessa in cui al vertice stava la
filosofia come «doctrina che ministra i costumi e il vivere degli uomini virtuosi»54
.
Si evince allora che, mentre la pedagogia medievale era fondata sull’educazione
religiosa, sulla rinuncia e sui valori della spiritualità, la pedagogia di questo periodo
esaltava, invece, l’educazione della persona, dei suoi valori, per lo sviluppo della sua
autonomia. Cambia dunque la prospettiva dell’educazione, giacché non mira più alla
formazione del religioso o del cavaliere, ma ciò che acquista importanza è la
formazione dell’uomo e della donna. In questo tipo di educazione si dà rilievo alla
disciplina, non più basata solo sulle punizioni corporali , ma sulla comprensione
maestro-scolaro e sulla considerazione della personalità dell’allievo, per adeguare ad
essa il metodo di lavoro55
.
Tra la molteplicità degli indirizzi educativi e la varietà delle proposte , i tratti
comuni erano sostanzialmente tre:
l’importanza assegnata agli studia humanitatis: in cui lo studio delle lettere
riportava ai valori eterni, mentre gli studi di carattere tecnico si richiamavano a 52
Cfr. ivi, pp.107-109. 53
Cfr. ivi, pp.113-114. 54
Cfr. E. Garin , Educazione umanistica in Italia, Laterza, Bari 1966, p. 107. 55
Cfr. ibidem.
17
valori transitori, e in cui il contatto con il mondo classico era più intenso e
approfondito, grazie anche ad una più ampia disponibilità di testi;
la rivalutazione della fisicità: intesa come insieme armonico di bellezza, qualità
morale e vigoria del corpo e dello spirito;
l’importanza attribuita alle qualità o virtù di chi deteneva il potere o era
destinato a possederlo: il coraggio, la valenza, la competenza, l’intelligenza,
erano tutte virtù che si mettevano a confronto con la “fortuna” e cercavano di
volgerla a favore del soggetto56
.
Un ruolo importante nella storia della pedagogia, è stato attribuito anche ai Gesuiti.
Tra i più noti, ricordiamo Ignazio di Loyola, che propose quello che venne definito
come “misticismo attivo”, in quanto richiedeva un impegno concreto nella lotta contro il
Male57
. I Gesuiti collaboreranno attivamente nella lotta contro l’eresia attraverso una
vastissima attività missionaria e un profondo impegno pedagogico e scolastico. Per
Ignazio, lo scopo dell’educazione era di aiutare le anime ad indirizzarsi al loro destino
ultraterreno, i mezzi principali con cui raggiungere questo fine erano la cultura e il
modo di esporla.
La pedagogia gesuitica poteva essere pensata come una “pedagogia di guerra” 58
, in
cui la cultura era lo strumento adatto a favorire l’obbedienza alla Fede. Come educatori
della classe dirigente, i Gesuiti non si preoccupavano di un’istruzione di base
istituirono, infatti, appositi collegi in cui programmavano una precisa formazione volta
ai giovani religiosi e, successivamente, anche ai laici appartenenti, prevalentemente, a
classi sociali agiate, che dovevano essere le “guide” della società, nonché le classi
dirigenti di molti Paesi europei, oltre a pensatori, quali Cartesio e Voltaire.
L’accademia si distingueva dalle altre scuole dell’epoca proprio perché forniva un
curriculum superiore59
.
Il corso umanistico era suddiviso in corsi inferiori e corsi superiori, ed era formato,
da cinque classi: tre di grammatica, una di Humanitas e la quinta di Retorica. Lo scopo
56
Cfr. ivi, pp.125-134. 57
Cfr. L. Volpicelli, Il pensiero pedagogico della Controriforma, Sansoni, Firenze 1960, p.77. 58
Cfr. ivi, p. 156. 59
Cfr. G.P. Brizzi, La Ratio studiorum. Modelli culturali e pratiche educative dei gesuiti in Italia tra
Cinque e Seicento, a cura di Bulzoni, Anicia, Roma 1981, pp. 57-80.
18
di questo corso inferiore era la formazione all’eloquenza, e la cultura umanistica,
incentrata sullo studio grammaticale del latino e su una certa padronanza e conoscenza
dei precettori retorici. Affine era l’obiettivo del corso filosofico, esso, della durata di tre
anni, aveva una funzione propedeutica alla teologia, e qui, l’insegnante di filosofia
doveva attenersi al rispetto di rigide e precise regole60
.
Quest’ultimo doveva infatti doveva basare i contenuti sulla concezione aristotelico-
tomistica, doveva avere cura di citare le opinioni contrastanti con cautela e, comunque,
non poteva concedervi troppo spazio. Il corso teologico, di quattro anni, che era
indirizzato, infine, alla formazione dei religiosi, coloro che sarebbero poi diventati i
futuri insegnanti dei collegi. La divisione del tempo e del lavoro in queste scuole
prevedeva una oppressione dei tempi e degli spazi: preselezioni, ripetizioni e compiti,
orari, voti, attività didattiche e di studio, sistematicamente e rigorosamente
programmate e verificate, consentivano un controllo continuo degli apprendimenti.
Risultavano così particolarmente visibili quelle caratteristiche che hanno fatto della
scuola gesuitica, per certi versi, uno dei prototipi della tecnicizzazione
dell’insegnamento presente nella scuola contemporanea61
.
Dal punto di vista direttivo, vi era inoltre un’accurata divisione del lavoro: il
Provinciale provvedeva ai collegi di una data provincia, il Rettore era il responsabile di
un singolo collegio, e il Prefetto aveva il compito di attuare concretamente il controllo e
la programmazione62
. Coerente con la formazione gesuitica della classe dirigente, la
scuola era incentrata al possesso personale delle nozioni e sull’emulazione, pertanto,
anche se la memorizzazione e la ripetizione costituivano aspetti centrali della didattica, i
Gesuiti favorivano anche varie attività di confronto fra gli studenti, in cui la capacità
personale e l’iniziativa diventavano fondamentali.
Il trionfo e più in generale la positività dei risultati, venivano premiati con oggetti
materiali (distintivi, medaglie, ecc.), le sconfitte venivano invece punite con i castighi,
che prevedevano una lesività crescente: dal pensum (compito) come lavoro
supplementare, ai voti negativi, alle “pubbliche reprimende”63
(rimproveri pubblici),
60
Cfr. ivi, pp.37-38. 61
Cfr. ivi, pp.11-16. 62
Cfr. J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2002, pp.11-16. 63
Cfr. ivi, p.91.
19
all’espulsione, fino ai castighi corporali con le battiture64
. Un discorso a parte meritava
la didattica della lingua, incentrata sullo studio del latino e su un forte legame con la
formazione intellettuale. Nei collegi venivano, infatti, incoraggiate la memorizzazione
dei brani, e addirittura l’imposizione di esercizi di versione e composizione, venivano
inoltre richiesti riassunti o anche rifacimenti di libri e brani al fine di stimolare
l’autonomia espressiva; l’alternanza tra scritti ed orali invece, serviva a garantire la
padronanza delle diverse competenze65
.
Il potere politico e la ricchezza della Compagnia di Gesù, uniti all’altissima qualità
culturale della loro formazione, durato per circa due secoli, iniziò a capovolgersi, verso
la metà del Settecento, quando la maggioranza dei sovrani li vide come ostacoli al
proprio assolutismo monarchico. L’abolizione della Compagnia nel 1773 segnò anche la
chiusura delle scuole, ma la restaurazione successiva all’età napoleonica riporterà in
auge i Gesuiti, così che la loro tradizione scolastica, è potuta giungere fino a noi66
. Il
Seicento fu certamente un secolo denso di contraddizioni, caratterizzato da conflitti
culturali, ideologici e politici. In campo scolastico emersero nuove esigenze e vecchi
problemi, si sottolineava la mancanza di un sistema di scuole professionali, i ginnasi
erano assolutamente inadeguati alla formazione tecnico-scientifica, inoltre continuava a
sussistere il pregiudizio medievale verso le arti “meccaniche” e le conoscenze
“moderne” come le scienze, la geografia e la storia67
.
Solo le accademie nobiliari e principesche erano in grado di formare in maniera
completa ed orientata alle necessità della vita adulta, ma questi erano accessibili solo,
com’era ovvio, per una ristretta élite. Anche le condizioni dell’istruzione primaria erano
gravanti, infatti, le scuole popolari annesse alle chiese insegnavano solo i rudimenti
della lettura e della scrittura. A questa povertà materiale corrispondeva poi, anche la
mancanza di organizzazione e metodo, che venivano totalmente affidati all’arbitrio del
maestro, che però non era preparato dal punto di vista pedagogico, e per di più
utilizzava testi inadatti. Di fronte a queste esigenze, il problema pedagogico doveva
64
Cfr. ibidem. 65
Cfr. ivi, pp.33-35. 66
Cfr. L. Colaiacovo, M. De Santis, a cura di A.Rosati, Sull’educazione. Analisi epistemologica e
istruzione scolastica, Anicia, Roma 2007, pp. 95-101. 67
Cfr. ibidem.
20
essere affrontato, ma soprattutto dovevano essere individuate delle riforme concrete del
sistema dell’istruzione68
.
La figura centrale di quello che venne definito come il “secolo pedagogico” è senza
dubbio Comenio, egli avendo ben chiare le finalità religiose e morali a cui l’educazione
doveva tendere, fu in grado di affrontare il problema della riforma degli studi. Grazie a
lui il pensiero pedagogico raggiunse l’integrazione, davvero umanistica, tra mezzi e fini,
egli aveva avvertito l’esigenza di elaborare un piano organico delle istituzioni
scolastiche e della didattica. La ratio studiorum era individuata nella diffusione
universale del sapere, definita pansofia, una trasformazione dell’umanità in grado di
assicurare una società fondata sulla pace, sulla bontà, sul timor di Dio e sulla
fratellanza. Alla base di questa convinzione vi era certamente la certezza dell’inizio di
una nuova epoca69
.
La scuola di Comenio, in realtà era ancora essenzialmente elitaria, incentrata sullo
studio del latino, e frequentata da chi voleva diventare medico o aspirava a ricoprire
incarichi speciali nella Chiesa e nello Stato. Ma nel progetto comeniano l’educazione
doveva essere “cosa di tutti”, secondo l’autore: «insegnare era avvezzare tutti a vivere,
senza che nessuno dimenticasse mai più la dignità e l’eccellenza umana»70
.
Dunque l’educazione non doveva essere un privilegio riservato a poche élites, ma
era un diritto di tutti, regnanti e sudditi, benestanti e indigenti, abitanti delle città e delle
campagne, uomini e donne, persone dotate e meno dotate, in quanto tutti erano
comunque creature di Dio. Ma questo compito doveva essere affidato a persone “scelte
apposta”, notevoli per intelletto pratico e complessità morale71
. Comenio per rendere la
scuola adatta al suo compito, propose un’arte dell’insegnamento definita come “arte
delle arti” 72
, valida per insegnare “tutto” e “a tutti” nel modo più breve e piacevole
possibile, offrendo fondamenti di formazione scientifica, nonché retti sentimenti morali
68
Cfr. J. Milton, Trattato sull’educazione, a cura di Trisciuzzi, La Nuova Italia, Firenze 1975, pp.52-58. 69
Cfr. ivi, p. 62. 70
Cfr. C. Scarcella, Traduzione, (introduzione e cura di Amos Comenio), La via della luce, Editore Del
Cerro, Pisa 1992, p. 67. 71
Cfr. ibidem. 72
Cfr. G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, Le lettere, Roma 2000, p.68.
21
e religiosi. L’insegnamento doveva tendere alla pansofia73
,come sapienza universale,
che doveva realizzare una formazione intellettuale completa dell’uomo, non doveva,
quindi, essere limitata al rapporto fra la realtà (le cose), i pensieri e i linguaggi (i
discorsi), ma doveva estendersi anche all’universo della comprensione delle azioni74
.
Ciò che contava per Comenio era dunque che gli uomini venissero formati a
pensare con retta ragione, in modo da sfuggire a equivoci ed imprecisioni. Occorreva,
dunque, una pampedia, un’educazione universale, a tal fine erano necessari: l’unità
dell’insegnamento (quella che oggi definiamo con interdisciplinarietà), la connessione
tra le varie materie, in modo che una integrasse l’altra, e la gradualità75
.
Presupposto di ogni finalità educativa era una concezione dell’uomo e del suo
destino, l’opera dell’insegnante doveva dunque tendere, per dirlo con le parole di
Comenio: «a realizzare tutta la sublimità insita nell’essere umano, per consentire
l’eterna beatitudine dell’unione dell’uomo con Dio»76
.
Questo compito fu poi chiarito nel riconoscimento delle tre finalità per le quali,
secondo l’autore, Dio colloca l’uomo sulla terra:
affinché sia creatura razionale, dunque, capace di imparare a conoscere tutte le
cose e le loro ragioni (istruzione);
per il dominio di se stesso e delle altre creature (virtù);
per rappresentare la perfezione del suo creatore, riconoscendo in Dio la fonte di
tutte le cose ed il loro fine (religione)77
.
Queste tre proprietà avrebbero conferito l’eccellenza all’uomo ed erano lo scopo
dell’educazione, mentre tutte le altre finalità (bellezza, longevità, e potenza) erano solo
accessorie o, addirittura, inutili. Le scuole servivano, in quanto la virtù e la religione,
dovevano essere acquisite imparando, operando e pregando, poiché la natura forniva
73
Cfr. R. Resta, Comenio e la scuola della democrazia, a cura di G. e C. Resta, Marzorati, Bari 1946, pp.
67-86. 74
Cfr. ivi, pp.50-51. 75
Cfr. ibidem. 76
Cfr. ivi, p. 87. 77
Cfr. ivi, pp.123-127.
22
solo i semi del sapere, dell’onestà e della religiosità, ma non il sapere78
. Secondo
l’autore l’educazione doveva essere collettiva e non individuale, in quanto era molto più
utile istruire i giovani tutti insieme, perché il frutto e il piacere del lavoro erano
maggiori quando gli allievi avrebbero potuto aver esempio ed incitamento gli uni dagli
altri. Queste scuole erano aperte a tutti, anche alle donne, anche loro dovevano ricevere
l’educazione, in quanto anch’esse creature di Dio, dotate di una mente sveglia e capace
di sapienza79
.
La scuola era suddivisa in quattro gradi corrispondenti alle prime quattro fasi
dello sviluppo: infanzia, puerizia, adolescenza e giovinezza. All’infanzia corrispondeva
la scuola materna, alla puerizia l’istituto letterario (cioè la scuola di lingua nazionale),
all’adolescenza la scuola di latino o ginnasio, ed in fine, alla giovinezza l’accademia80
.
Nel secolo della rivoluzione scientifica, Comenio aveva intuito la necessità di
fondare l’educazione su un metodo efficace, in maniera tale che il giovane fin
dall’inizio potesse avere le basi di tutto il sapere, in maniera tale che non incontrasse
mai, qualcosa che non conosceva e su cui non avrebbe potuto dunque esprimere un
giudizio. Il metodo era giustificato dal raggiungimento di tre obiettivi: l’universalità
(tutto a tutti), la spontaneità (seguire il corso della natura) e la semplicità (partire dai
sensi)81
. Nella prospettiva di un sapere unitario, efficace, ed in grado di formare la
persona nella società, il curriculum degli studi doveva essere qualificato da sei
caratteristiche:
«Semplicità: nel senso che l’educazione doveva essere conseguita tenendo conto
dei tempi naturali e dello sviluppo mentale dell’educando; Comenio diceva
«natura non facit saltus», cioè la natura non procede per salti; pertanto
occorreva avanzare con gradualità, passo dopo passo. Gli argomenti proposti
dovevano essere presentati in modo semplice e piacevole per tutti82
. Non era
necessario appesantire l’alunno con un numero smisurato di nozioni da
78
Cfr. ivi, pp. 67-71. 79
Cfr. ivi, p.79. 80
Cfr. E. Becchi, Storia dell’infanzia. Dall’antichità al seicento, Laterza, Bari 1996, pp. 57-59. 81
Cfr. ivi, p.105. 82
Cfr. ivi, pp.45-49.
23
studiare, bisognava però saper incoraggiare il loro interesse e la loro
partecipazione;
Utilità: intesa come la proposizione di diversi contenuti, tali da far avvertire agli
allievi l’utilità;
Ciclicità: Nei vari gradi, per quanto differenti tra loro, non erano insegnate cose
diverse, bensì le stesse cose ma in modo diverso, in base all’età e al grado della
precedente preparazione. Seguendo questo principio, durante i vari momenti
della vita scolastica non si insegnano in successione discipline diverse, ma
sempre le stesse, variando il numero dei particolari e il grado di difficoltà;
Consequenzialità: Intesa come passaggio da un contenuto all’altro
dell’apprendimento che doveva essere coerentemente concatenato e sempre
rilevante per colui che imparava;
Continuità educativa: Occorreva procedere dal semplice al complesso, dal
generico allo specifico, dal noto all’ignoto, dal concreto all’astratto, perché si
potessero mantenere, da un livello all’altro della formazione, i principi e i
metodi che la caratterizzavano. Era inoltre fondamentale il rispetto della storia
educativa dell’alunno;
Realismo: Poiché la acquisizione di nuove nozioni deriva dai sensi, occorreva
stimolare tutti i sensi, e ciò sarebbe stato possibile solo mostrando agli alunni
gli oggetti di cui si parlava, per far sì che avessero una conoscenza diretta delle
cose; laddove ciò non era possibile (ad esempio nel caso in cui si parlava di
piante tropicali o animali) si doveva ricorrere alle immagini»83
.
83
Cfr. ivi, pp.107-115.
24
La Rivoluzione Francese, dal 1789 al periodo napoleonico, ebbe indubbiamente
una forte incidenza sull’evoluzione dei modelli educativi e delle istituzioni scolastiche
che divennero sempre più idonee e rispondenti alle esigenze del nuovo contesto
sociale84
. Dal punto di vista pedagogico, fu però necessario un intervento assolutamente
riformatore: nei “Cahiers de doléances”85
, i documenti pubblici in cui venivano raccolte
le proteste delle province, e che poi vennero presentate all’Assemblea degli Stati
Generali del 1789, emergeva un quadro deprimente della situazione del paese:
l’analfabetismo raggiungeva il 75% della popolazione, le scuole elementari non solo
avevano maestri impreparati, ma erano anche pochissime, i pochi collegi e università
che esistevano erano ancora fortemente legati all’autorità religiosa e continuavano a
privilegiare una formazione umanistica ormai superata86
. A questo, il Terzo Stato
controbatteva l’urgenza di una riforma che revisionasse sia l’organizzazione delle
scuole (osservando in particolar modo le condizioni materiali), che l’educazione
popolare (in riferimento all’eliminazione degli innumerevoli difetti propri
dell’istruzione superiore, in vista di una formazione più corrispondente alle necessità
sociali)87
. L’ agitazione rivoluzionaria trascinò con sé numerose proposte e contrasti
circa il ruolo dell’educazione nella nuova società. Il progetto più completo e organico di
riforma dell’educazione fu presentato all’Assemblea legislativa nel 1792 da J. A. Caritat
(marchese di Condorcet). Egli era prettamente illuminista, e sostenitore di un’istruzione
che rendesse liberi dai pregiudizi e quindi dalla miseria88
. Secondo Condorcet il fine
principale dell’ educazione nazionale doveva essere quello di offrire a tutti, senza
distinzioni, i mezzi per provvedere ai propri bisogni ed esercitare i propri diritti, così da
partecipare al benessere comunitario per il raggiungimento di una vera uguaglianza
degli individui. Infatti nel riconoscimento del dovere dello Stato di dare a tutti, donne
comprese, la possibilità di ricevere un insegnamento completo, veniva individuato il
superamento delle disparità economiche e di sesso, in quanto storiche e non naturali, per
84
Cfr. ivi, pp. 55-59. 85
www. archiviodigitale.unimc.it (a cura di G. Ruocco). 86
Cfr. ivi, pp.45-49. 87
Cfr. ibidem. 88
Cfr. J.A. Condorcet, Sull’istruzione pubblica, Canova, Treviso 1976, p.45.
25
di più il grado d’istruzione raggiungibile da ciascuno doveva essere determinato dalle
capacità individuali, ne venivano previsti cinque:
a) una scuola primaria di quattro anni che era una scuola elementare non tanto
riservata ai bambini, quanto piuttosto una scuola popolare che, fosse in ogni villaggio
(di almeno quattrocento abitanti), il cui scopo era quello di fornire le regole
indispensabili per il vivere sociale e la soddisfazione dei diritti attraverso lo studio della
scrittura, della lettura, della ginnastica e del calcolo89
;
b) le scuole secondarie che invece avevano carattere tecnico-professionale,
erano riservate alla borghesia cittadina ma potevano accedervi anche i contadini che
andavano in città per imparare i mestieri; in essa veniva impartito un insegnamento per
la maggior parte scientifico (con materie quali: matematica, chimica, storia naturale
ecc.) e per l’utilità sociale90
;
c) gli istituti che corrispondevano alla scuola media superiore, erano presenti in
ciascun dipartimento, e fornivano un’istruzione completa per coloro che volevano
ricoprire cariche pubbliche. In considerazione al principio dell’utilità sociale, le
discipline scientifiche prevalevano rispetto a quelle umanistiche91
;
d) i licei, corrispondenti alle nostre università, potevano essere nove in tutto il
territorio nazionale, qui, si riprendevano le discipline insegnate negli istituti ma con un
grado di approfondimento superiore, adatto a tutti gli studiosi di professione che
formavano l’ultimo livello del sistema educativo: la Società nazionale delle scienze e
delle arti92
.
Il sistema scolastico progettato da Condorcet implicava dunque una sostanziale
autonomia della scuola rispetto allo Stato, grazie anche al fatto che la formazione degli
insegnanti era realizzata in apposite scuole. Egli riteneva infatti che «Nessun potere
pubblico dovesse avere l’autorità di impedire la scoperta e lo sviluppo di nuove verità o
89
Cfr. ivi, pp.45-55. 90
Cfr. ivi, pp.123-126. 91
Cfr. ivi, pp.98-103. 92
Cfr. ivi, pp. 56-78.
26
l’insegnamento di dottrine contrarie o diverse dalla sua politica»93
. La scuola secondo
questa logica, doveva limitarsi all’istruzione, ad un insegnamento rigidamente motivato
dalla realtà dei fatti, doveva dunque evitare di trasmettere pareri politici o religiosi che
spettavano invece, alle famiglie e alle chiese. Nel quadro del riconoscimento della
duplice funzione (civile e politica) dell’educazione pubblica che doveva essere gestita
dallo Stato, vennero presentati numerosi progetti94
.
A questo proposito nella Convenzione erano presenti due ideali: il primo che
mirava alla riforma dell’istruzione intesa come miglioramento della qualità con
l’istituzione di scuole normali volte alla formazione tecnico-professionale dei maestri, e
l’altro volto all’individuazione di una maggior presenza dello Stato nell’educazione.
La rivoluzione industriale che, intanto si era avviata in Inghilterra, aveva diffuso
in tutto il mondo occidentale, profonde e rapide trasformazioni sia nell’assetto sociale
che più in generale nei modi di vita. Non stupiva dunque che, nel nuovo panorama
sociale, il problema pedagogico si imponesse in modo particolarmente urgente. Infatti
se le campagne erano ancora presenti iniziative d’istruzione popolare promosse dai
proprietari terrieri e dalle parrocchie (addirittura nacquero in questo periodo i primi
librai ambulanti che in casi di necessità facevano anche una sorta di scuola volante), nei
quartieri dove vivevano gli operai, e nei dintorni delle fabbriche, le condizioni erano
estremamente diverse95
.
Le famiglie, che avevano subito il trasferimento dal loro ambiente, infatti, non
potevano più offrire ai loro figli, il rapporto educativo assicurato dalla vita di comunità
in campagna in quanto nelle città, padri e madri, erano costretti a lunghi orari di lavoro
(fino a 14-16 ore al giorno), e dunque non potevano provvedere all’educazione dei loro
figli. Questo determinò non solo un regresso educativo generale a causa
dell’impoverimento dei processi di socializzazione positiva, ma anche un arresto
dell’istruzione elementare, anche determinato dal fatto che nelle borgate e nei quartieri
popolari dei centri industriali non vi erano scuole. Progressivamente però ci si accorse
che per poter lavorare nelle fabbriche era necessario almeno un minimo d’istruzione,
93
www. archiviodigitale.unimc.it (a cura di Ruocco). 94
Cfr. E. Liguori, Educazione e scuola durante l’illuminismo e il Romanticismo, in A.A. V.V., Questioni
di storia della pedagogia, La Scuola, Brescia 1963, p.45. 95
Cfr. ivi, p. 56.
27
perché le macchine non potevano essere maneggiate da persone totalmente ignoranti ed
ineducate. Inoltre, anche la necessità di un miglioramento continuo dei macchinari e
delle tecniche produttive richiedeva da parte della manodopera non solo una certa
preparazione che doveva essere quantomeno sufficiente ad usare le macchine e ad
inserirsi nei processi produttivi in uso, ma anche la capacità di adattarsi ad essi senza
perdita di tempo. Questa esigenza purtroppo non fu subito compresa dalla classe
dirigente, ma maturò con il tempo96
.
Il progetto educativo più idoneo per la nuova società industriale fu elaborato da
Owen. Nella sua opera Una nuova visione della società del 1813, nella quale sosteneva
che ciò che avrebbe permesso il riscatto umano dalle miserie terrene, materiali e morali
era l’educazione collettiva, e che, in quanto formazione del carattere, essa era un
prodotto dell’ambiente (contrariamente a quanto invece sostenuto dai contemporanei del
romanticismo che avevano sostenevano da sempre l’autoeducazione). L’uomo era
schiavo di due grandi mali sociali: la miseria e l’ignoranza, e solo liberandosi da questi,
avrebbe potuto conseguire il benessere universale. Ma per poter essere un deterrente per
i mali dell’umanità, l’istruzione avrebbe dovuto essere estesa a tutti, altrimenti non
sarebbe stata efficace97
.
Owen a proposito dei ragazzi poveri che erano costretti a lavorare 12-14 ore al
giorno, sosteneva che questi ragazzi «passavano dall’infanzia alla gioventù, attraverso
l’iniziazione graduale (che comprendeva spesso anche le adolescenti) alle seducenti
consolazioni delle osterie e dell’alcool, cui erano spinti dal duro lavoro quotidiano, dalla
mancanza di abitudini migliori e dal loro intelletto non formato98
».
Chiaramente tutto ciò creava generazioni fragili dal punto di vista sia fisico che
mentale. Perciò Owen rivolse al governo britannico l’invito ad organizzare un piano per
l’educazione che avrebbe prodotto “mutamenti straordinariamente positivi99
”. Dato che
il suo progetto di formazione ed istruzione era rivolto a tutte le età e le condizioni
sociali, avrebbe portato ad una vera uguaglianza. Owen non fu solo un teorico, ma
anche un uomo d’azione, può essere considerato un precursore dell’educazione
96
Cfr. ivi, p. 112-114. 97
Cfr. ibidem. 98
Cfr. R. Owen, Una nuova concezione della società , Laterza, Bari 1813, cit., p. 72. 99
Cfr. ivi, p.74.
28
permanente, nel suo stabilimento di New Lanark affrontò questi mali con interventi
concreti legati all’educazione collettiva della comunità, che modificavano rapporti
formativi, non solo per bambini ma anche per adulti100
. Il “Nuovo Istituto Scolastico”
per i ragazzi, comprendeva sia un asilo nido per bambini dai diciotto mesi in su, che un
asilo infantile per quelli dai due ai cinque anni ed anche una scuola primaria per i
ragazzi fino ai dodici anni, aperta però anche ai più grandi, con corsi serali101
.
L’insegnamento riguardava l’apprendimento di discipline quali: la lettura, storia
naturale, geografia, chimica, astronomia, storia antica e moderna ed infine con la
scrittura e l’uso degli altri segni convenzionali. Naturalmente tutte le punizioni corporali
e ogni altro intervento violento, erano eluse, mentre veniva attribuita grande valenza alla
musica e alla danza. Nella scuola di Owen, a causa della mancanza di docenti, si
ricorreva al mutuo insegnamento, (un metodo che in realtà era già stato utilizzato in altri
momenti storici e in altre parti del mondo, ma Lancaster lo perfezionò) che prevedeva
la suddivisione degli alunni in gruppi insegnati dai “monitori”102
, dei ragazzi appena un
po’ più grandi che, avendo mostrando più diligenza, venivano istruiti separatamente dal
maestro, e che poi trasmettevano questo insegnamento ai compagni più piccoli.
La giornata scolastica era organizzata in maniera minuziosa: ai monitori spettava
il compito di assicurarsi che gli allievi svolgessero sempre le attività stabilite secondo
tabelle didattiche (che spesso erano articolate minuto per minuto), a cui ci si doveva
adeguare con rigidità103
. È ovvio che in queste condizioni l’apprendimento era
mnemonico, anche perché per lo più, consisteva nella ripetizione di cantilene e nel dare
risposte schematiche a domande che lo erano altrettanto. Ad ogni modo, il metodo
Lancaster fu apprezzato per lo stratagemma didattico ed economico che individuò: per
risparmiare le spese economiche di carta, cancelleria, lavagne e libri, ogni alunno aveva
sul proprio banco uno scatolone basso pieno di sabbia, in cui tracciava lettere e
numeri104
.
100
Cfr. J. Locke, Pensieri sull’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1999, pp.23-28. 101
Cfr. ibidem. 102
Cfr. ibidem. 103
Cfr. ivi, pp.79-84. 104
Cfr. Becchi E., Storia dell’infanzia. Dal settecento a oggi, Laterza, Bari 1996, pp.47-52.
29
Lancaster aveva organizzato i suoi scolari in otto gruppi per la lingua e in dodici
per l’aritmetica. Gli allievi potevano seguire separatamente i due corsi, perché si
svolgevano con orari e monitori differenti, ma alla fine bisogna comunque evidenziare
che la rigidità del sistema monitoriale finì per compromettere la positività dei risultati.
Di fronte ai due grandi e sconvolgenti eventi che chiusero il Settecento, la
Rivoluzione francese e la Rivoluzione industriale, nel secolo successivo, il
Romanticismo fu a sua volta una rivoluzione, questa volta però, dei cuori e delle
menti105
. I nuovi cardini della cultura romantica erano infatti: il sentimento, la ricerca
dell’infinito, un nuovo senso della storia, ma anche della poesia, della religione e
dell’individuo. Si trattava, dunque, di attuare una trasformazione radicale della vita
degli uomini, del loro modo di vivere, di sentire e di rapportarsi intersoggettivo106
. Il
ruolo della cultura e degli intellettuali doveva essere necessariamente ridefinito in
relazione al problema della formazione dell’individuo, che ora era parte attiva di un
popolo che era chiamato a partecipare alla costruzione etica della nuova comunità. Tutti,
individui e istituzioni, furono impegnati, ognuno aveva una missione educativa dai
risvolti e dai contenuti del tutto nuovi. Furono così superati l’intellettualismo e
l’utilitarismo illuministici, in quanto ogni uomo poteva essere partecipe della cultura,
come manifestazione di ciò che l’uomo realizzava nella storia107
. Il raggiungimento di
questo ideale educativo doveva passare attraverso l’individuazione di un nuovo rapporto
pedagogico, in cui prioritariamente doveva essere attribuita grandissima importanza al
ruolo della famiglia e della scuola, che doveva essere adeguato ai nuovi contesti
educativi.
Dal punto di vista pedagogico il Romanticismo si focalizzò intorno ad alcune
idee-chiave, tra cui principalmente “l’idea di cultura intesa, non tanto come insieme di
conoscenze, quanto come realizzazione piena delle potenzialità dello spirito umano
attraverso un percorso educativo che ne rispetti la naturalità108
” . Essa era una
“Bildung”, cioè una formazione prevalentemente spirituale, una strutturazione profonda
105
Cfr. J. W. Goethe, A. Rho e E. Castellani, Wilhelm Meister. Gli anni dell'apprendistato, Adelphi,
Milano 2006, pp.28-34. 106
Cfr. ivi, p.134. 107
Cfr. R. Guardini, L’età della vita, Vita e pensiero, Milano 1992, pp.46-49. 108
Cfr. ivi, p.89.
30
della personalità, che si era avvalsa delle arti e del sapere umanistico e che ora,
intendeva favorire la crescita interiore dell’allievo al bene e al bello, senza comunque
modificarne l’originaria natura.
Data la stretta relazione stabilita tra Bildung e cultura, il problema
dell’educazione, impegnava molti degli intellettuali del tempo, due dei più importanti
autori della Germania romantica che intervennero nel cambiamento del processo
pedagogico, furono: Goethe e Schiller. Goethe nel romanzo pedagogico di formazione
Wilhelm Meister109
, rappresentazione della sua concezione educativa che fu per oltre un
trentennio uno dei principali modelli della produzione letteraria tedesca, affermava che
l’uomo era in grado di conoscere se stesso perché conosceva il mondo, e proprio nel
Bildungsroman chiarisce le implicazioni pedagogiche di questa concezione. La
composizione di quest’opera occupò un perdio di più di trent’anni, nel corso dei quali si
verificarono eventi decisi per la storia e la cultura europea. Questo passaggio è
importante perché quest’opera ha coinvolto vari modi sociali ed etici, è stato una sorta
di tentativo di rappresentazione astratta di ciò che sul piano politico non poteva essere
realizzato110
.
Il Meister comprendeva tre parti che corrispondevano alle tre fasi dell’ideale
educativo secondo la concezione goethiana: nella prima veniva rappresentato il tipico
ideale romantico111
, nella seconda (dopo aver ripreso e modificato la narrazione lasciata
interrotta, e dopo aver superato la semplice vocazione teatrale come percorso
educativo), invece riconosceva un modello, coerente con lo spirito neoumanistico, di
formazione enciclopedico112
, riconoscendo che la Bildung consisteva in
un’autoeducazione attraverso le esperienze, in cui l’errore ha un’indispensabile valore
educativo, pertanto come Emilio, egli si avviava con i suoi compagni all’esplorazione
della vita sociale, e alle peregrinazioni necessarie per il completamento della sua
formazione. Ma è solo nella terza parte che egli arriverà ad una visione pienamente
109
Cfr. J. W. Goethe, I dolori del giovane Werther, Mondadori, Milano 2010 , p.17. 110
Cfr. ibidem. 111
Cfr. ivi, p.45. La vicenda narra come Wilhelm, giovane borghese con una carriera ormai avviata,
abbandonò la casa paterna per dedicarsi alla vita di attore, con la speranza di poter essere educato e
finalmente essere libero di poter esprimere la propria personalità. Il luogo in cui era possibile educare se
stessi, attraverso la rappresentazione di vari personaggi sulla scena, era il teatro. 112
Cfr. ivi, p.46. Goethe riprende, attraverso il ritratto di una nobile signora, l’ideale di formazione
morale, si rende conto dell’impossibilità del suo ideale teatrale e dell’errore del suo individualismo.
31
matura ed equilibrata di educazione, il modello formativo doveva essere fondato sulla
partecipazione attiva alla società, attraverso la specializzazione, occorreva cioè,
imparare una professione che poteva essere utile agli altri. Ma questa specializzazione
però non poteva essere precoce, in quanto doveva pervenire attraverso un processo
culturale generale che consentisse all’individuo di scoprire la propria disposizione nel
mondo e la propria funzione particolare. Secondo Goethe infatti, la nuova società non
aveva più bisogno di “anime belle” ma di uomini operosi e profondamente coinvolti
nella vita comunitaria113
. Schiller, invece, sosteneva che nell’uomo coesistono due
dimensioni: una legata al mondo sensibile, e l’altra più razionale, orientata verso
l’universale e il necessario. La società però tendeva spesso a separare queste due
dimensioni, privilegiando ora l’una ora l’altra e degradando l’umanità. L’educazione
doveva quindi essere “un’armoniosa concordanza dei diversi aspetti della natura” 114
.
Ma questo compito non poteva essere adempiuto né dalla filosofia, né dallo Stato, in
quanto entrambi dipendevano dal sviluppo della società che dovevano creare. L’unica
che poteva assolvere a questa missione educatrice era l’arte, in quanto sintesi di materia
e forma, pensiero e sensibilità, solo questa avrebbe potuto consentire l’armonia,
necessaria per la formazione dell’uomo, nella sua completezza di istinto e ragione.
Schiller sosteneva infatti che la natura umana possedeva due istinti, il primo legato ai
sensi, il secondo alla ragione, e l’arte permetteva lo sviluppo di un terzo istinto, l’istinto
estetico, che li conciliava entrambi115
.
Per usare le parole di Schiller, “l’arte era la Bildung dell’anima bella116
”, nel
senso che solo attraverso questa si poteva sperare di essere liberi, la meta politica a cui
gli uomini dovevano ambire, ma essa si risolveva nella bellezza, in quanto alla libertà si
113
Cfr. ivi, p.48. Per realizzare l’educazione del proprio figlio Felice, Wilhelm lo conduce in
un’immaginaria località dove tutte le attività erano indirizzate alla formazione dei giovani. In questa
contrada i fanciulli si dedicavano in maniera integrale all’attività a cui dovevano diventare esperti, ma
godevano anche di un’educazione generale, senza la quale la specializzazione non sarebbe stata proficua.
Nella provincia pedagogica il rispetto era il più alto ideale educativo, e gli educatori scrutavano
attentamente gli educandi allo scopo di coglierne le inclinazioni: a questo era concessa la più assoluta
libertà nella scelta delle fogge e dei colori degli abiti, ma era anche previsto lo svolgimento a rotazione di
tutte le attività. Nel frattempo i giovani avrebbero imparato le lingue parlandole, e venivano educati
mediante le arti. Ma da questo ideale di educazione estetica veniva escluso il teatro. 114
Cfr. F. Schiller, L’educazione estetica dell'uomo, Bompiani, Milano 1999, p. 23. 115
Cfr. ivi, pp.111-117. 116
Cfr. ivi, p.56.
32
perveniva solo tramite la bellezza117
. Nella riflessione di Schiller l’uomo esprimeva se
stesso solo nel gioco perché gli consentiva di riappropriarsi della sua naturalità
originale, il gioco era libera espressività e creatività, ma bellezza e gioco tendevano ad
identificarsi, per cui l’istinto estetico tendeva a rendersi equivalente all’istinto di
giocare.
La cultura pedagogica del Novecento fu caratterizzata, invece, da una pluralità
di presenze e sperimentazioni, talora molto differenziate, per effetto della loro matrice
filosofica, scientifica, sociale e politica. L’emergere e l’affermarsi della psicoanalisi,
della sociologia e della psicologia diede origine a nuovi metodi d’indagine, nuove
conoscenze, ma anche e soprattutto a spazi e modalità educative nuovi, prima del tutto
impensati118
. Il concetto di educazione fu profondamente condizionato da numerosi
problemi quali quelli dell’alfabetizzazione, dei portatori di handicap, delle donne, degli
anziani, strettamente legati alla possibilità di emancipazione economica, sociale,
culturale ed educativa. Via via, proprio per effetto della consapevolezza della
complessità di problemi educativi e dell’affermarsi di nuove discipline, cambiò il modo
d’intendere la pedagogia e sempre più si cominciò a parlare di scienze
dell’educazione119
. Contemporaneamente, si affermavano la didattica e le tecnologie
educative, in corrispondenza di un modo nuovo d’intendere l’insegnamento,
l’apprendimento, l’utilizzazione delle macchine.
In quest’ottica s’inserì l’idea della formazione permanente, la società industriale infatti,
non poteva fare a meno di cittadini “colti”, l’educazione doveva essere un processo
continuo, che doveva durare tutta la vita. In questo contesto, il problema
dell’educazione non riguardava più la ricerca della virtù e della felicità, anzi, iniziò a
svilupparsi sempre più l’idea di Rousseau, secondo cui era necessario conoscere le fasi
dell’evoluzione del bambino per adattare ad esse i metodi.
Restava invece immutato il legame tra la formazione dell’uomo e quella del
cittadino, ripresa dalla società greca. Anzi, nelle società moderne costruite politicamente
sui princìpi democratici, assumeva un significato più ampio, perché si riteneva che la
scuola potesse essere utile per il perseguimento dell’eguaglianza, che era la condizione
117
Cfr. ibidem. 118
Cfr. R. Fornaca, Storia della pedagogia, La Nuova Italia, Firenze 1993 (2a ristampa), p.211.
119 Cfr. ibidem.
33
di base della democrazia120
. È sintomatico che il confronto tra le impostazioni
filosofiche e scientifiche, avvenuto nel passaggio tra Ottocento e Novecento, sia coevo
alla nascita dei movimenti delle scuole nuove e delle scuole attive121
. Le prime
trovarono ampia espressione nel 1912, collocate nelle campagne, grazie alla
disponibilità di ampi spazi architettonici e fisici si contraddistinguevano proprio per i
rapporti tra insegnanti e allievi, in queste venivano vissuti dei momenti di vita comune,
erano praticate educazione fisica e sportiva, tra gli insegnamenti campeggiavano
l’apprendimento della lingue moderne, della storia, della geografia, delle scienze, ed
inoltre venivano svolte attività espressive che spaziavano dai viaggi, alla messa appunto
dei giornali, all’acquisizione di capacità critiche, il tutto in un clima di libertà,
tolleranza, dialogo, ma anche di impegno morale e civile. Questi particolari resero le
scuole nuove dei veri e propri laboratori di pedagogia122
.
Per quanto riguarda, invece, le scuole attive, storicamente il loro fondatore è
considerato Dewey. Egli partendo dal presupposto che il centro dell’educazione era
l’alunno, propose una scuola in cui doveva essere curato lo sviluppo delle attitudini
individuali e sociali in un “libero gioco” di rapporti tra alunni e insegnanti. Era una
scuola che accoglieva dapprima i bambini dai sei a nove anni e, in seguito, dai quattro ai
quattordici. Dewey puntava su una concezione comunitaria e democratica
dell’educazione e della scuola, dava infatti spazio agli aspetti sia psicologici che
sociologici, dove risultava essenziale la coniugazione dell’esperienza con
l’intelligenza123
.
Dewey chiarì che la scuola poteva educare ad una capacità di pensiero razionale e
allo stesso tempo creativa, solo partendo da alcune condizioni già presenti nella
situazione educativa:
la curiosità
la suggestione
l’ordine
120
Cfr. ivi, p.212. 121
Cfr. ivi, pp.99-111. 122
Cfr. ibidem. 123
Cfr. L. Borghi, John Dewey e il pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti, La Nuova
Italia, Firenze 1951, pp.2-15.
34
Dewey sosteneva che nell’uomo «l’educazione intelligente mirava a suscitare attitudini
alla comprensione e alla critica, nonché al potenziamento delle sue capacità in vista di
un’attività costruttiva e non abitudinaria, in funzione del conseguimento della pienezza
della sua individualità»124
. È significativo inoltre che nel Il mio credo pedagogico abbia
affermato che « la scuola è prima di tutto un’istituzione sociale», e che «l’educazione
deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie» .
Quest’opera ha costituito il manifesto della scuola attiva, in essa è stato possibile
cogliere il passaggio dal vecchio al nuovo pragmatismo, un passaggio che non fu solo
filosofico, ma soprattutto pedagogico, proprio per la emotività dimostrata per le
questioni educative e scolastiche125
.
Il problema che Dewey si pose, in campo educativo, riguardava la funzione
dell’educazione nella società a lui contemporanea, egli, da un lato, accettava la
rivoluzione industriale, le nuove tecnologie, e quella che lui stesso definì come “la
giungla americana”, ma dall’altro si chiedeva che cosa avrebbe potuto fare per
indirizzare quelle forze verso un’educazione che mirasse allo sviluppo del processo di
apprendimento. Certo che l’educazione avesse due aspetti: quello della trasmissione ai
nuovi individui delle forme di vita e degli ideali della società in cui nascevano, e quello
di sviluppare in modo pieno ed integro la loro personalità, in maniera tale da poterli
rendere atti al pensiero e indipendenti nelle azioni, cosicché potessero essere capaci di
trasformare e incrementare la realtà sociale che li circondava, Dewey evidenziava il
duplice carattere dell’educazione: sociale ed individuale126
.
Due aspetti legati inscindibilmente, in quanto l’educazione come scienza
guardava a al problema della formazione dalla personalità, come scienza sociale
assicurava, invece, la continuità e lo sviluppo della vita sociale127
. Centrale inoltre nella
sua pedagogia era il rapporto tra individuo e società, il cui fine era di «assicurare lo
sviluppo pieno dei suoi componenti, di promuovere la formazione di personalità integre
ed autonome, felici e libere»128
, la società difatti non era mai una realtà trascendente
124
Cfr. ivi, pp.145. 125
Cfr. J. S. Bruner e L. A. Armando, Il processo educativo. Dopo Dewey (I problemi dell’educazione),
Brossura, Milano 1999, pp.76-79. 126
Cfr. ivi, pp.78-80. 127
Cfr. ivi, pp.14-21. 128
Cfr. ivi, p.88.
35
dagli individui che la componevano. La scuola doveva cioè promuovere una società
libera e aperta, il raggrupparsi spontaneo degli alunni intorno alle attività condivise,
dove renderla luogo di discussione e scambio di esperienze.
Ma la società era anche comunità, fondata su valori di solidarietà e
partecipazione. Ciò risulta particolarmente evidente nel mondo alla scuola veniva
attribuito il compito di favorire, specie con la sua componente docente, la democrazia
nella vita comune in tutti i suoi aspetti, guidando le giovani generazioni all’esperienza
attraverso la preparazione di una mente aperta e di una coscienza partecipativa. Alla
finalità individuale e sociale dell’educazione, egli, collegava il suo anti-istituzionalismo
ostile ad ogni monismo e ad ogni irrigidimento gerarchico e autoritario. L’errore che
Dewey rimproverava in alcune pagine famose di Democrazia e Educazione agli
idealisti tedeschi era quello di aver scambiato la società con lo Stato, e di aver
sottomesso l’educazione ai fini degli interessi nazionali129
. Egli mirava ad
un’educazione che integrasse il principio dello sviluppo individuale e della formazione
dell’individuo ad uno spirito di cooperazione130
, questa tra gli alunni si sviluppava nella
misura in cui il sapere avrebbe assunto il suo carattere costruttivo, e l’intelligenza
avrebbe mirato ad impadronirsi del mondo circostante, in maniera tale da poterlo
migliorare.
L’educazione democratica da lui teorizzata, infatti, attraverso la riorganizzazione
e l’accrescimento dell’esperienza che veniva comunicata e condivisa a tutti, poteva
stimolare gli individui alle relazioni e al controllo sociale, dando loro gli strumenti per
padroneggiare, interpretare e modificare la realtà e porli nelle condizioni di adattarsi
attivamente ai mutamenti sociali e tecnologici, senza che rimanessero disorientati o
passivamente inerti. L’educazione doveva porsi come strumento e fondamento della vita
e della comunità della società democratica mediante la diffusione su vasta scala dello
spirito scientifico e dei suoi valori intrinseci.
L’impegno per una scuola progressiva diviene così una questione civile, politica
e culturale, dove non è affatto indifferente che i metodi educativi seguano o ignorino i
criteri dell’intelligenza, dell’indagine, del dubbio, dell’apertura mentale, dell’ipotesi,
129
Cfr. P. Mulè, I principi teorici dell’educazione progressiva e dell’Attivismo, Rubbettino 2008, pp. 24-
29. 130
Cfr. J. Dewey, Democrazia e educazione, Sansoni, Firenze 2004, pp.45-56.
36
della tolleranza, della convalida sperimentale. Accanto alla pratica della collaborazione
al posto dell’emulazione (che troppo spesso, secondo l’autore, formava e rafforzava
l’individuo in maniera tale che quando avrebbe lasciato la scuola, avrebbe potuto
sfruttare le sue doti speciali e la sua maggiore capacità a superare i suoi compagni,
senza rispetto per il benessere dell’altro) si collocava il criterio attivo e costruttivo
dell’apprendere dell’insegnante131
.
Nel pensiero educativo deweyano l’autonomia e l’autodeterminazione degli
studenti non potevano più essere promosse in un’atmosfera in cui queste qualità
costitutive di una prassi democratica non venivano riconosciute, apprezzate e promosse
dai docenti. Questo secondo Dewey, era l’elemento distintivo della scuola democratica,
infatti, se una democrazia era possibile soltanto quando le comunicazioni tra le persone
componenti il gruppo sociale veniva aumentata al massimo con il potenziamento delle
loro attitudini individuali, e delle loro capacità di comprensione e di trasformazione, alla
scuola spettava il compito della formazione e del potenziamento delle capacità
intellettuali ed affettive dei giovani. Erano una scuola e un’educazione che non
ostacolavano questo processo di formazione impedendo la libera iniziativa di alunni e
maestri, come invece avveniva in un sistema fondato sull’imposizione agli alunni dal di
fuori e dall’alto delle regole e delle materie pertinenti allo sviluppo132
.
La scuola si configurava così come il laboratorio della democrazia, ma perché
una scuola potesse dirsi democratica occorreva che in essa non soltanto si fosse
promossa la libera iniziativa degli alunni e la liberazione delle loro attività intellettuali,
ma anche la partecipazione degli insegnanti alla determinazione delle direttive della
scuola stessa, in modo che essi fossero stati capaci di stabilire con i loro alunni un
rapporto di libertà di spontaneità133
.
A tal fine oltre a creare nella comunità scolastica un clima di democratica
cooperazione, Dewey proponeva la centralità dell’attività del fanciullo che, guidato
dall’insegnante, apprendeva, attraverso “il fare”, un programma opportunatamente
predisposto tenendo presenti gli interessi, i bisogni e componenti dello sviluppo fisico e
131
Cfr. ivi, pp.33-45. 132
Cfr. ivi, pp.167-172. 133
Cfr. ivi, pp.78-96.
37
psicologico dell’alunno134
. Poiché, tra teoria e pratica vi era una transizione continua, il
sapere non era fisso e definito, ma era piuttosto un sistema elastico che si accresceva e
modificava progressivamente grazie all’esperienza, sulla quale, a sua volta, si doveva
intervenire, modificandola135
. Nell’educazione detta “progressiva” dove
l’apprendimento assumeva la forma della partecipazione diretta al compimento di
esperienze, e dove i bambini imparavano facendo, organizzando gite, disegnando,
dipingendo, costruendo e risolvendo i problemi che gli venivano proposti, la
collaborazione era spontanea.
Un altro principio basilare del pensiero pedagogico di Dewey era quello del
lavoro produttivo concepito come «stimolo e guida principale degli alunni ad un’attività
auto-educativa»136
l’attività manuale, infatti, rendeva autonomi da qualsiasi
considerazione di carattere economico, era considerata come necessaria alla promozione
di un normale sviluppo fisiologico e psicologico del fanciullo. Il contatto che il bambino
aveva con il materiale offerto dalla natura e da genitori e maestri, gli permetteva di
acquistare il controllo delle sue energie, di sviluppare i suoi centri motori sensoriali, di
stabilire un rapporto di unione sintetica con l’ambiente e di instaurare legami di
solidarietà col mondo delle cose137
.
Quindi potremmo affermare che alla questione del rapporto tra scuola società,
che poi fu il fondamentale problema pedagogico affrontato dalla scuola attiva, Dewey
diede tre risposte nel corso della sua lunga carriera di pensatore e pedagogista. In una
prima fase il condizionamento della scuola dalla società fu messo in rilievo
predominante ed si domandava in che modo le trasformazioni avvenute nella società si
atteggiassero nelle scuole mediante l’introduzione dei metodi dell’educazione attiva. In
una seconda fase espresse l’esigenza che le forze educative liberate nelle scuole nuove
si alleassero agli elementi progressivi della società, per aiutarli nell’opera di
trasformazione del mondo contemporaneo.
Nell’ultimo e più tormentato periodo del suo pensiero, infine, suggerì la
possibilità di uno sganciamento totale della scuola dalla situazione storica contingente,
134
Cfr. ivi, pp.45-46. 135
Cfr. J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1999, pp.74-88. 136
Cfr. ivi, p.46-48. 137
Cfr. ivi, pp.200-225.
38
per l’attuazione di un compito di formazione dell’educando «alla pienezza della sua
umanità anche di fronte alle spinte di forze sociali antagoniste rivolte
all’automatizzazione e all’alienazione totale dell’uomo da se stesso»138
. In questo
contesto il lavoro di Dewey assumeva dunque un ruolo importante, in quanto, come
abbiamo visto al centro della sua riflessione c’era il concetto di esperienza in cui
uomo, natura e società erano strettamente legati139
. Nel quadro di questa visione
generale egli faceva dell’adattamento all’ambiente il criterio fondamentale per l’analisi
della realtà umana. In questa prospettiva anche il pensiero venne considerato in termini
pragmatistici: rivolto all’agire, emergeva nel momento in cui l’azione immediata, non
conseguendo il suo effetto per l’insorgenza di un ostacolo o di una situazione
problematica, poneva l’esigenza di una riflessione che, attraverso una spiegazione
concettuale, individuasse un sistema sperimentale al fine di scoprire la soluzione più
idonea e efficace140
.
L’educazione era dunque ricostruzione e riorganizzazione continua
dell’esperienza in cui la società, nel suo sforzo volto al miglioramento delle condizioni
di vita collettiva, cercava di sollecitare nei giovani la ricerca di soluzioni potenzialmente
migliori ai problemi comuni141
. Dunque il processo educativo per Dewey era
rappresentato dalla sintesi tra la partecipazione dell’individuo e quello della società,
esso perciò deve suscitare capacità di comprensione e critica alla condizione esistente in
modo da indurre il singolo a lavorare per il miglioramento di sé e della società.
Naturalmente tutto questo era possibile a condizione che si operasse e si vivesse
all’interno di un ambiente di carattere democratico, senza gerarchie e senza distinzioni
tra dominanti e dominati, tra lavoro manuale e intellettuale.
Un grande contributo alla storia dell’educazione ci è fornito anche da Pestalozzi.
La sua personalità controversa determinò vari intendimenti della nozione di educazione,
anche se tenne sempre ben fermo il presupposto della staticità dell’ordine sociale e della
gerarchia delle classi, per lui il popolo doveva essere aiutato a distaccarsi dalla
138
Cfr. ivi, cit. p.245. 139
Cfr. ivi, p. 213. 139
Cfr. J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1994. 140
Cfr. ibidem. 141
Cfr. J. Dewey, Democracy and Education, (trad. E.E. Agnoletti e P. Paduano), La Nuova Italia,
Perugia 1990 (9a ristampa), pp.123-126.
39
condizione di sfruttamento e di degenerazione, ma nonostante ciò, non avrebbe mai
potuto divenire possidente142
. L’azione educativa di Pestalozzi era contraddistinta da
alcuni elementi fondamentali: sentimento, amore, fede, mente, cuore, intelligenza e
forza, questi dovevano essere intesi come forme categoriali e non come obiettivi. Punto
di riferimento era l’educazione materna e familiare, un modello educativo molto attento
ai cambiamenti e ai comportamenti dei ragazzi, lui proferiva che «ogni buona
educazione esige che l’occhio materno legga, con sicurezza, giorno per giorno, ora per
ora, ogni mutamento nello stato d’animo del figlio, nel suo occhio, nella sua bocca e
sulla sua fronte»143
.
Un’attenzione che mostra da parte di Pestalozzi un’estrema sensibilità allo
sviluppo fisico e intellettuale. Inoltre individuando nell’ideale di un uomo energico,
attivo, vigoroso, la condizione necessaria per l’educazione, questa doveva essere
naturale, cioè fondata sulla consapevolezza delle leggi della natura dell’animo umano e
sull’offerta di condizioni idonee al suo sviluppo. L’ideale era quello di educare i futuri
lavoratori ad utilizzare bene il denaro, e ad economizzare per prevenire i momenti di
miseria, ed evitare i mali della vita oziosa.
Lo stesso apprendimento dell’aritmetica, particolarmente sviluppato nel
processo educativo pestalozziano, rispetto alla precedente tradizione didattica, era
giustificato dalla necessità di prendere confidenza con il valore del denaro nelle diverse
operazioni rientranti nell’esperienza contadina. L’educazione poteva essere compiuta
solo con il riconoscimento delle sfere di vita interiore ed esteriore in cui l’individuo era
inserito. La sfera interiore era rappresentata da Dio: l’educazione nasceva e doveva
tendere ad essa, in quanto formazione armonica e correzione integrale della personalità
nelle tre dimensioni del cuore, della mente e della mano144
. Ma il vero adempimento era
possibile solo nelle sfere esteriori che riguardavano i rapporti famigliari, di lavoro, dei
ceti, dello Stato e della Nazione.
142
Cfr. A. Banfi, Pestalozzi, La Nuova Italia, Firenze 1961, pp.43-44. 143
J. H. Pestalozzi, Idee, esperienze e mezzi per promuovere un'educazione conforme alla natura umana
(1806), cit. pp. 152-153. 144
Cfr. V. Burza, Formazione e persona. Il problema della democrazia, Anicia, Roma 2003, pp.45-49.
40
Scopo ultimo dell’istruzione non era dunque “un’istruzione perfetta” ma la
“preparazione alla vita” 145
e l’orientamento alla riflessione, alla ponderatezza, era
dunque necessario insegnargli a “pensare”, tramite lo sviluppo dell’intelligenza, del
sentimento, delle capacità creative e artistiche146
. Egli insisteva sul fatto che il fanciullo
dovesse diventare un “utile cittadino”147
. Ma il problema educativo, si doveva porre con
un senso di realismo e di concretezza pratica, in rapporto alle condizioni sociali ed
economiche, egli auspicava infatti, ad una sorta di patto sociale in cui la classe
dominante s’impegnasse a riconoscere i diritti essenziali del popolo, che a sua volta
avrebbe dovuto sdebitarsi accettando il proprio stato148
.
La soluzione di ogni problema sociale stava infatti nell’elevazione (per mezzo
dell’educazione) di ogni individuo, ciascuno nell’ambito delle sue particolari
condizioni, a personalità moralmente attiva. Dunque Pestalozzi, diversamente da
Rousseau, evidenziava che l’educazione non poteva essere staccata dall’ambiente di vita
e di lavoro. La società auspicata da Pestalozzi doveva essere orientata allo sviluppo dei
rapporti morali tra gli uomini, fondati in primo luogo sulla fede e sull’amore individuali,
nonché sull’iniziativa educativa dei singoli e delle istituzioni.
Lo svolgimento della visione socio-pedagogica di Pestalozzi si trova
fondamentalmente nel romanzo in quattro libri Leonardo e Gertrude pubblicato tra il
1780 e il 1787 e più volte rielaborato. Il concetto animatore era il medesimo che lo
aveva guidato alla fondazione dell’istituto di Neuhof «offrire alla classe più
abbandonata e degenerata nella miseria e nell’sconforto, il potere di acquistare
coscienza e di sviluppare la propria umanità all’interno stesso della propria vita e del
proprio lavoro, affinché attivamente partecipasse all’organismo sociale»149
. Gli
avvenimenti, semplici scene della vita del contado, si svolgono nel villaggio di Bonnal,
la trama è la seguente: «la cecità e l’incuria del vecchio castellano hanno permesso che
il villaggio sia dominato con la minaccia, le lusinghe e gli intrighi, dal corrotto e avaro
podestà Hummel che opprimeva la popolazione aiutato da un gruppo di ricchi
145
Cfr. ibidem. 146
Cfr. ibidem. 147
Cfr. ivi, p.34. 148
Cfr. J. H. Pestalozzi, Il metodo(1801), UTET, Torino 1970, pp.33-38. 149
J. H. Pestalozzi, Idee, esperienze e mezzi per promuovere un'educazione conforme alla natura umana
(1806), cit. pp, 123-124.
41
agricoltori. Tra le vittime c’era anche il muratore Leonardo, sua moglie Gertrude va a
denunciare la situazione ad Arner, il quale conferì a Leonardo il compito di costruire la
nuova chiesa. Con l’aiuto del pastore protestante Ernst, l’impresa venne a terminata,
Hummel, che aveva tramato per sabotarla, viene smascherato e sostituito, e il feudatario
decise di dare il campo comunale ai poveri. La pace e l’armonia tornarono così a
regnare nel villaggio»150
.
Nel terzo libro, Arner ed Ernst convincono il cotoniere Meyer che il
miglioramento del villaggio è possibile solo educando il popolo a migliorare la loro vita
materiale, ad adoperarsi di più nel lavoro manifatturiero. Ricevutone il consenso, Arner
chiama Gluephi, un ex- ufficiale in congedo, a realizzare nel villaggio la riforma
dell’educazione. Quest’ultimo, si propone di coordinare lavoro ed istruzione,
accogliendo il suggerimento di Gertrude di organizzare la scuola a tempo pieno, di
basarla sulla tessitura mentre i bambini avrebbero potuto imparare sia a contare durante
il lavoro al telaio che, mediante sussidi inventati da Gluephi, i rudimenti della lettura e
della scrittura. L’ordine era richiesto dentro e fuori la scuola, mentre quello sociale
veniva instaurato attraverso l’intervento coordinato di Arner ed Ernst che prendevano
iniziative di carità e consigliavano una forma di autogoverno e decentramento
popolare151
. Nel quarto libro l’autore ci vuole dimostrare che il nuovo ordine di Bonnal
può essere esteso a tutto il paese: Arner informa il Principe del suo piano e lo induce ad
estenderlo prima ai paesi vicini e poi a tutto lo Stato152
. Questo è, in breve, il seguito
degli avvenimenti che Pestalozzi ci presenta in una serie di scene a cui dà vivezza una
profonda comprensione dell’anima e della vita del contado. In questi libri Pestalozzi
non nasconde quella che lui stesso definisce la “nera miseria” del contado, una miseria
che induce i bambini a rubare per fame, che desola le capanne, in cui ogni lavoro
ristagna, una miseria anche morale, fatta d’insensibilità, di cieca superstizione, di
servilismo, di paura153
. Ma il quadro stesso di questa miseria vuole sollevare la certezza
150
Cfr. J. H. Pestalozzi, Leonardo e Geltrude. Libro per il popolo, vol.2, La Nuova Italia, Firenze 1999,
cit. pp. 77-78. 151
Cfr. J. H. Pestalozzi, Leonardo e Geltrude . Libro per il popolo, vol.3, La Nuova Italia, Firenze 1999,
pp.12-56. 152
Cfr. J. H. Pestalozzi, Leonardo e Geltrude. Libro per il popolo, vol.4, La Nuova Italia, Firenze 1968,
pp.65-89. 153
Cfr. ivi, pp. 63-64.
42
nella bontà della natura umana, che in ogni circostanza può svolgersi e riempire di
benedizione la vita, se si è fecondi nell’amore e nella fede. Nel romanzo, infatti, la
miseria della casa di Hubelrudi, è rischiarata dalla purezza morale e dalla fede della
vecchia madre morente. Ma la figura dominante a questo proposito è Gertrude: a lei è
affidato il senso profondo dell’opera.
Essa non è perciò meno viva e meno sincera, perché non esce mai dal cerchio
stretto della sua vita e del suo affetto. Nei giorni della sventura lei soffriva in silenzio,
perché amava e lavorava, solo ciò le ha poi permesso di trovare la forza per affrontare la
maschera dell’indifferenza e la vergogna del rimorso, è in se stessa troverà il coraggio
di difendere la sua famiglia. L’opera stessa di Arner e del parroco, che pur decisive,
sembrano essere riaccese dall’energia morale di questa povera donna e dalla difesa che
ella fa dei suoi cari. I fondamenti dell’opera certamente sono la nobiltà dell’anima
umana, e l’opera dell’educazione per restituirla ad integrità; l’importanza e il valore
fondamentale della famiglia, la concezione patriarcalista della società politica nei
rapporti tra superiori ed inferiori, nonché la funzione etica della religione154
.
Dunque sembrerebbe che questa prima parte del romanzo fosse destinata al
popolo in quanto intendeva mostrare che gli uomini sono buoni e che per far emergere
le loro qualità positive hanno bisogno di condizioni idonee155
. La seconda parte è invece
destinata alle classi colte e intende dimostrare che il nuovo ordine non può essere frutto
solo di una rifondazione morale, ma necessita dell’intervento illuminato e delle
iniziative degli intellettuali e delle classi superiori. Infatti, qui viene analizzato
l’intreccio dell’ignoranza, della colpa, dell’egoismo e del sospetto, che, costituendo
quasi una seconda natura, soffoca ogni spontaneità di bene, e fa delle relazioni sociali
stesse un principio di corruzione156
.
Ma nel tempo stesso in tale miseria la colpa del singolo viene, per così dire,
assolta. Hummel che sembrava il più malvagio, ora che non ha più i suoi complici, è il
primo che si pente e vuole espiare le proprie colpe. Così non nella della punizione, ma
nella correzione umana e pietosa, nello ristabilimento della giustizia e nell’alleviamento
della miseria, i Pestalozzi individua i mezzi per la redenzione del Paese. Egualmente
154
Cfr. J. H. Pestalozzi, L'ABC dell'intuizione (1801), La Nuova Italia, Firenze 1965, pp.11-13. 155
Cfr. ivi, p.66. 156
Cfr. ibidem.
43
dominante è qui il concetto che la nobiltà della natura umana non può essere ristabilita
se non per opera dell’amore, ma un amore vivo e operante, in cui s’illuminano tutti i
compiti e le relazioni della vita e il momento di costrizione (sia nella famiglia, come
nell’ordine civile) acquista valore di elevazione morale157
.
Nel romanzo Gertrude, il parroco ed Arner sono i rappresentanti di questo
spirito, la famiglia è qui veramente disegnata come il centro d’ogni certezza ed
elevazione spirituale: se tutto attorno sembra dominare l’egoismo e la perdita, il essa
vive la fiamma dell’amore, alla cui forza nulla può resistere158
.
Per ciò la famiglia è anche l’istituto educativo per eccellenza, l’unico che a
questo punto sembra poter avere efficacia per Pestalozzi. L’ideale del principe paterno è
invece realizzato in Arner, dove, più che una natura energica e volitiva, è rappresentato
da un nobile spirito ricco di sentimento e di fede nella bontà. Infine il valore della
religione nelle concrete sue forme tradizionali, viventi tra il popolo, è fortemente
accentuato. La purezza e la bontà di Gertrude s’alimentano da una fede semplice e viva,
ed è questa stessa fede che risuona nelle ultime parole della madre. Quindi, Leonardo e
Gertrude era stato concepito in realtà come libro per il popolo, ma, di mano in mano
che l’analisi della vita sociale veniva approfondendosi, il piano del romanzo si
allargava159
.
Nella terza e quarta parte infine, l’elemento narrativo s’impoverisce e si riduce
di colore. La vivace descrizione dei tipi, con tanta simpatia, con umorismo ricco di
fiducia, dà luogo ad un’analisi più schematica e astratta in cui risaltano piuttosto i vizi e
io difetti160
. Di fronte all’esigenza normativa, i piani di ricostruzione e di riforma,
nonché la polemica contro il passato, hanno il sopravvento. Così Pestalozzi abbandona,
la vecchia generazione di Bonnal al suo destino, come diceva l’autore stesso «Se la luce
d’umanità che dalla casa di Gertrude e dal castello di Arner si era diffusa sul paese, non
doveva spegnersi, ma era alle nuove generazioni, che per mezzo dell’educazione,
doveva essere trasmessa»161
.
157
Cfr. ivi, pp.318-319. 158
Cfr. ibidem. 159
Cfr. ibidem. 160
Cfr. ivi, p.75. 161
Cfr. ibidem.
44
Dunque, la scuola nasce anzitutto per offrire un’educazione di base ed una valida
formazione professionale ai figli del popolo, ma dovrà essere modellata sull’esempio
della casa e dell’attività educativa familiare. Perciò la terza parte dell’opera viene
definita quella educativa, in cui tra i personaggi che già conoscevamo, compare Gluphi,
il maestro che Pestalozzi stesso avrebbe voluto essere. Ciò che artisticamente forma il
pregio di questo scritto è proprio l’idillio della fanciullezza educata alla letizia, al lavoro
e al bene. Ma se lo sfondo di tale spettacolo ci è dato dalla tenerezza materna di
Gertrude, sul retroscena sta l’energica volontà di Gluphi: egli ha il compito di preparare
alla vita reale, ma di questa non conosce le insidie ed i pericoli, perciò egli, nel lavoro e
nella disciplina vuol dare ai fanciulli la difesa contro il male e l’errore, per cui essi
potessero in ogni circostanza salvare la propria umanità162
.
Ma l’opera dell’educazione poteva svilupparsi solo se integrata in un sistema di
leggi e di costumi, è appunto, il problema della funzione etico-educativa dell’organismo
politico che l’autore ci presenta nella quarta parte dell’opera, in cui le prepotenze della
donna, lo smarrimento di Arner, offeso nella sua fede, oppresso dalla malinconia
dell’isolamento, nonché la grave malattia che lo mette in pericolo di vita e minaccia di
rovinare tutta l’opera compiuta, costituiscono un intreccio ingenuo, il cui compito è solo
di svegliare l’attesa nella soluzione a lieto fine, che rapidamente si svolge con l’arrivo
del ministro, la salute riconquistata del castellano e il trionfo di Gluphi, a cui la
coscienza della corruzione profonda del paese e le difficoltà dell’opera non attenuano la
fede163
.
Poiché la vita della scuola è legata a quella della famiglia e della società,
l’educazione non può non iscriversi nella dimensione sociale e politica per la quale è
indispensabile l’apertura alla partecipazione come requisito essenziale per la società
giusta. Dopo il fallimento di Neuhof, Pestalozzi si dedicò principalmente alla riflessione
sulla natura umana e sui fondamenti dell’educazione. Nelle Indagini troviamo così la
teoria delle tre facoltà che diventeranno in seguito i tre ambiti in cui il metodo si potrà
dispiegare, secondo cui vi sono nell’uomo tre forze: il cuore che rappresenta la facoltà
morale; l’intelletto quella conoscitiva; e l’arte che corrisponde all’attività tecnico
162
Cfr. ivi, pp.123-125. 163
Cfr. ivi, p.105.
45
pratica. L’educazione della persona deve allora essere integrale e non può trascurare
nessuna di esse, così come non può escludere l’analisi delle modalità con cui il bambino
fa esperienza del mondo. La ricerca sull’arte pedagogica condusse Pestalozzi a delineare
il suo metodo elementare fondato prevalentemente sull’intuizione, secondo l’autore, il
maestro non doveva insegnare ma piuttosto doveva suscita le “scintille divine” già
presenti nella natura umana164
.
Essa doveva essere protetta (e questo è il compito specifico dell’educatore)
dalle influenze negative che ne ostacolavano il corretto sviluppo verso la socialità e la
moralità. Pestalozzi usa a questo proposito la nota immagine del giardiniere che impiega
tutte la cure perché la pianta possa crescere rigogliosa e forte165
. Ma come il giardiniere
deve comprendere la natura delle piante e i metodi di crescita di ciascuna, similmente il
maestro doveva conoscere le capacità interiori dell’allievo (cosiddetti elementi primi,
dai cui la denominazione di metodo elementare, dato al sistema didattico) e le leggi,
attraverso le quali queste capacità si sviluppavano. Ciò era possibile solo attraverso un’
intuizione, ossia la capacità di vedere oltre gli aspetti sensibili, dentro le cose, ma in
particolare di cogliere il mondo interiore del fanciullo che muoveva dai cinque sensi,
per giungere poi anteriormente a rappresentazioni chiare e definite.
Con Rousseau, anche Pestalozzi insistette sul fatto che “la vita educa”166
, nel
senso che l’esperienza guidata energicamente e affettuosamente dall’educatore era il
solo processo valido per la formazione delle nuove generazioni. Per ciò il metodo
doveva essere semplice, infatti egli sosteneva che, l’educatore-giardiniere doveva solo
lasciarsi portare dallo sviluppo del metodo stesso, e diventarne strumento167
. Il metodo
elementare si poneva di conseguenza, come trasversale rispetto alle tre aree educative
sopra citate, ma questo ordine doveva essere rispettato in quanto l’educazione morale
era il fine ultimo e doveva avere priorità assoluta, perché il bambino prima di tutto ama.
Di qui l’importanza e l’insostituibilità della figura materna, che doveva provvedere ad
aumentare l’educazione del cuore alla fede in Dio e all’amore per gli uomini.
164
Cfr. ivi, p.98. 165
Cfr. ibidem. 166
Cfr. ivi, p.123. 167
Cfr. ivi, pp.111-116.
46
L’educatore doveva, quindi, sollecitare il bambino a riconoscere i fattori
fondamentali della sua esplorazione della realtà, secondo quello che verrà chiamato
metodo intuitivo o oggettivo. Gli elementi fondamentali dell’intuizione erano
individuati nel numero, nella forma e nel nome: di conseguenza il procedimento
didattico doveva inquadrare ogni intuizione prima di tutto nelle relazioni numeriche e
formali, per passare successivamente alla lingua e agli apprendimenti geometrico-
matematici168
. In questo modo, l’insegnamento sarebbe stato organizzato a partire dalle
discipline che si collegavano alle tre modalità dell’intuizione: aritmetica e calcolo
derivano dal numero; geometria, disegno e scrittura dalla forma, mentre la lingua,
connessa al nome, sarebbe stata imparata a partire dall’intuizione acustica del canto.
I maestri dovevano, infine, individuare una serie di esercizi fondati sul passaggio
graduale dall’elemento semplice, al tutto (ad esempio per la lingua si sarebbe passati dal
suono alla sillaba, da questa alla parola ed infine alla frase; invece per il disegno dalla
linea alle figure geometriche ecc)169
. L’educazione della mano invece doveva essere
inserita nel curriculum per il suo valore formativo (e non per esigenze pratiche come era
avvenuto a Neuhof), in quanto il fare era una necessità istintiva della natura infantile.
Anche in questo caso si partiva da elementi di base (il battere, il gettare, il trascinare, il
piegare, lo spingere, ecc.) per passare poi alle forme complesse dell’arte adulta. In ogni
caso il lavoro manuale era inteso come una vera e propria “ginnastica intellettuale” 170
,
che comprende il lavoro di pialla e di tornio, il giardinaggio, la tipografia, ecc.
Infine nell’ultima sua opera Canto del cigno, egli criticò rigidamente il
didatticismo presente nella sua precedente opera, in particolare rifiutò ogni
schematizzazione metodica e intuì la necessità di coniugare l’intervento educativo con
le disposizioni naturali del fanciullo e le sue condizioni ambientali, senza però
trascurare l’origine della sua pedagogia: l’armonizzazione tra cuore, mente e mano,
nella prospettiva di un’educazione integrale171
. Ma la novità più importante presente
nello scritto è costituita dall’importanza che ora Pestalozzi riconobbe alla lingua, mutò
infatti, il rapporto con le relazioni formali e numeriche, questa come viva
168
Cfr. ivi, pp.34-38. 169
Cfr. ibidem. 170
Cfr. ivi, pp.145-149. 171
Cfr. J. H. Pestalozzi, Canto del cigno, La Nuova Italia, Firenze 1996, (1825), pp. 45-61.
47
estrinsecazione personale, doveva fondarsi sul terreno realistico dell’esperienza e della
vita172
. Per questo la relativa didattica doveva evitare ogni impostazione mnemonico-
grammaticale, per essere centrata sulla ricchezza del lessico e l’uso del discorso173
.
172
Cfr. ivi, pp.78-82. 173
Cfr. ibidem.
48
1.2. L’educazione del fanciullo nel pensiero di Rousseau e di Froebel
Con Jean-Jacques Rousseau si apre la problematica di un’educazione
“puerocentrica”, basata sulle conoscenze dell’età evolutiva e sul rispetto pedagogico di
essa, egli era divenuto famoso negli ambienti dell’illuminismo francese, ma
successivamente si distaccò dal loro pensiero, infatti, mentre i “lumi” celebravano la
ragione, ed esigevano per i membri della loro società un’educazione comunitaria, egli
celebra invece, il sentimento e l’educazione naturale. Alla base della concezione
pedagogica di Rousseau si ritrova la forte opposizione tra natura e cultura, per cui nello
stato di natura l’uomo vive in una condizione di uguaglianza e libertà, nella società e
con la cultura si trova invece, oppresso da imposizioni e disuguaglianze. Rousseau alla
natura attribuisce differenti significati, ma certo è che quando parla dell’ “homme
naturel” non intende il selvaggio, bensì l’uomo che non si lasci trascinare dalle passioni
e dalle opinioni degli altri, che vede e sente con i propri occhi e con la propria anima,
che non si fa governare da nessuna autorità, fuorché da quella della propria ragione174
.
Ma anche nel pensiero di Rousseau si cela l’individualismo e l’antistoricismo,
tipico di tutti i grandi pensatori del XVIII secolo. L’uomo naturale di Rousseau è,
infatti, un uomo astratto, fuori dal luogo, del tempo, della famiglia. Sulla base di queste
premesse l’autore sollecita il ritorno alla natura come affermazione di quel principio
della spontaneità e dell’originalità dello spirito, che sarà poi, il principio che darà il via
a tutta la filosofia moderna175
. La natura consiste, dunque, nell’ «insieme delle facoltà
umane e razionali dello stato originario dell’uomo, che vengono alterate nella società
contemporanea, da civiltà e cultura»176
. Per ricondurre l’uomo al bene originario non è
necessario né è pensabile di riportarlo alla condizione di selvaggio, sia perché la società
non può essere abolita, sia perché non c’è la sicurezza che tutto il bene si trovi nello
stato di natura e tutto il male nello stato sociale. Rousseau non critica, infatti, la natura
in sé, per lui la natura umana è in sé buona, ma deve ampliarsi, attraverso l’educazione,
174
Cfr. J.J. Rousseau, Emilio, Educatori antichi e moderni, La Nuova Italia, Firenze 1966 (23a ristampa),
p.21. 175
Cfr. ivi, pp.48-54. 176
Cfr. ivi, cit. p.77.
49
e l’instaurazione di rapporti con gli uomini e con la società177
. Tuttavia l’educazione
deve essere naturale, perché solo chi obbedisce alla natura si dirige verso il bene.
Pertanto occorre ponderazione, in quanto questo processo di evoluzione
potrebbe degenerare e rendere l’uomo schiavo. Per rendere la società quanto più simile
possibile allo stato di natura, occorre partire dalla riflessione sull’educazione del
fanciullo. Educare secondo natura significa, dunque, rispettare la natura dell’uomo e le
varie fasi dello sviluppo psicologico dell’allievo, tenendo conto delle sue richieste, dei
suoi bisogni, dei suoi interessi e delle sue inclinazioni, serbando comunque, la sua
libertà ed individualità. L’infanzia, pur se era stata studiata a lungo, rimaneva ancora un
argomento sconosciuto, l’errore secondo Rousseau era stato quello di cercare l’uomo
nel fanciullo, senza mai prestare attenzione a ciò che egli era prima di essere uomo.
Secondo l’autore invece, il fanciullo non è un piccolo adulto, ma un essere che già ha in
sé la propria perfezione178
.
L’unica educazione adeguata non può che essere quella naturale, perché forma
l’uomo, cosicché sarà poi in grado di svolgere positivamente il suo contributo alla
crescita della società. Solo così, infatti, l’uomo è in grado di inserirsi in qualunque
posizione sociale, anche in quelle più prestigiose179
. Rousseau era consapevole che in
un’epoca di grandi trasformazioni sociali come quella in cui lui viveva, era necessaria
un’educazione al cambiamento, e secondo l’autore ginevrino essa si poteva realizzare,
promuovendo la formazione di uomo integrale che, proprio per questo, sarebbe stato in
grado di far fronte a tutti i mutamenti che la sorte avrebbe voluto riservargli180
.
Questo ci fa capire come Rousseau ha trattato dei temi che sono tuttora di grande
attualità nella pedagogia contemporanea. Uno dei princìpi che domina la pedagogia di
Rousseau è, dunque, quella che è stata definita come educazione naturale, che dura
venticinque anni e comincia dalla nascita181
.
L’autore critica una serie di errori pratici presenti a suo avviso nell’educazione
tradizionale, quali ad esempio l’uso delle fasce che limitano la libertà dei movimento, le
177
Cfr. ivi, pp. 45-47. 178
Cfr. ivi, pp. 56-62. 179
J.J. Rousseau, Emilio, cit. p.66: «Emilio è nobile: la carriera nell’alto clero, nelle magistrature o
nell’esercito sono gli sbocchi naturali per i giovani della sua classe». 180
Cfr. ivi, pp.66-69. 181
Cfr. ibidem.
50
cure e le precauzioni eccessive, le lusinghe e le minacce, il ricorso a balie182
. Rousseau
ipotizza, invece, un’educazione in cui il primo allevamento e l’alimentazione sono di
responsabilità esclusiva della madre, ma ben presto il bambino deve essere affidato alle
cure di un precettore, poiché una prolungata educazione materna tende ad alimentare nel
bambino la debolezza183
. Egli riconosce la difficoltà di trovare un precettore disposto a
dedicare la sua vita all’alunno e a non farlo per brama di denaro, tant’è che secondo lui
l’unico vero precettore non può che essere il padre. Il ruolo della madre passa in
secondo piano: una posizione secondaria, perché se l’educazione naturale deve partire
dal nucleo umano naturale, nella famiglia, il vero educatore è il padre. Ne consegue che
alla madre competono principalmente solo le cure fisiche del neonato. Bisogna però
considerare che il precettore non è un istruttore, bensì un educatore, poiché il compito
educativo fondamentale è quello morale.
L’educazione viene delineata da Rousseau come un “processo globale”184
, in cui
ogni singolo elemento deve essere connesso alla formazione della personalità. In questo
contesto, si deve anche inquadrare il concetto di educazione negativa, avvalorato da
Rousseau, secondo cui la vera maestra del fanciullo è l’esperienza del mondo: compito
dell’educatore è di dare al fanciullo la possibilità di compiere esperienze adeguate alle
sue capacità e facoltà, nel rispetto della vera natura delle cose185
. Infatti, se l’uomo
impara dalle cose, acquisisce la conoscenza della realtà esterna ed allo stesso tempo
delle proprie capacità subendo non la volontà di un altro, ma solo i suoi limiti. «Egli è
tanto libero quanto la natura, sua e del mondo, glielo permette»186
. Questo principio
apre il discorso sulla gradualità del rapporto pedagogico, che viene sottolineato anche
nel lungo romanzo-saggio dedicato all’educazione, l’Emilio, una delle opere
fondamentali della pedagogia filosofica moderna. Un racconto dove diversi personaggi
animano una vicenda più o meno coerente, in cui è coinvolto il narratore, che è, talora
chiaramente Rousseau187
. Una narrazione, dunque, con una forte inclinazione
autobiografica, dove chi narra racconta di sé rivolgendosi ad un destinatario e, talora
182
Cfr. ivi, p.66. 183
Cfr. ivi, pp.54-58. 184
Cfr. ivi, p. 102. 185
Cfr. ibidem. 186
J.J. Rousseau, Emilio, cit., p.84. 187
Cfr. ivi, pp.58-61.
51
identificato in modo preciso o con un nome fittizio, qualche volta anonimo e in
generale188
. A questo lettore viene indirizzato il racconto, allo scopo non solo e non
tanto di comunicare un nuovo modello educativo, quanto anche di esercitarlo, grazie
appunto alla narrazione, nella difficile arte del formare189
.
L’idea che d’età in età, lo sviluppo del fanciullo passa per stadi successivi, è
chiarissimamente affermata da Rousseau. Ne fanno fede le divisioni della sua opera,
poiché ogni parte corrisponde ad una determinata età. Questo è, infatti, il compito
dell’educazione, le cui molteplici cure, sono affidate, ad un solo personaggio: il
precettore. Nel Libro I dell’opera Rousseau tratteggia il profilo dell’allievo e della
condizione educativa ideale, con cui descrivere il proprio modello educativo. Rousseau
distingue tra “la prima e la seconda infanzia”: questo primo periodo formativo del
bambino, che va fino all’apprendimento del linguaggio, in cui la ragione ancora non è
pienamente sviluppata, per cui non può neanche essere pienamente utilizzata, deve
essere caratterizzata da un’educazione negativa190
.
Questo termine non è utilizzato in senso peggiorativo rispetto a un’educazione
tradizionale, ma come definizione di un metodo pedagogico che sia volto a progettare
interventi formativi specifici e rispettare lo sviluppo del bambino, evitando interventi
contrari ad esso191
.
Con ciò non si vuole intendere che il formatore in questi primi anni debba
limitarsi a non far nulla e a lasciare che il bambino completi da sé la propria educazione.
Al contrario, Rousseau sostiene che, egli dovrà impegnarsi molto per impedire che
possa essere influenzato negativamente e per predisporre al contrario occasioni
favorevoli per un sano sviluppo. Egli insiste molto sull’importanza nel percorso
educativo dei bambini, delle sensazioni provate, della manipolazione degli oggetti, e del
movimento. Ritiene, invece, che si debba escludere in questa fase ogni forma di
educazione morale, in quanto senza il supporto della ragione il bambino non potrebbe
188
Cfr. J.J. Rousseau, Emilio e Sofia o I solitari, a cura di E. Becchi, La Nuova Italia, Firenze 1992, pp.1-
2. 189
Cfr. ivi, p.19. 190
Cfr. ivi, p.23. 191
Cfr. ivi, pp. 145-149.
52
capire ciò che sta dietro a divieti ed imposizioni e li considererebbe solo come mere
imposizioni, allontanandosi così dallo stato naturale di libertà.
Per questo motivo l’educazione religiosa e quella politica vengono rimandate
moltissimo nella vita di “Emilio”, pur costituendo un momento assolutamente
essenziale della formazione dell’uomo e del cittadino, ma Rousseau sostiene che se al
giovane queste realtà fossero proposte prima, non le capirebbe e sarebbe passivo di
fronte ad esse, e questo non lo renderebbe certo libero192
.
Anche il metodo utilizzato dagli insegnanti deve essere coerente con
l’evoluzione naturale del soggetto, senza forzature, tutto deve essere strutturato sulla
base dell’evoluzione psicologica dei fanciulli. È nella seconda infanzia invece, che va
fino ai sei o sette anni, che comincia la vita dell’individuo, il momento in cui acquista
conoscenza di sé. « Egli diventa veramente se stesso, e quindi capace di sentirsi felice o
infelice. Bisogna dunque cominciare a considerarlo come un essere morale»193
. In
Questa fase poiché il bambino dispone del linguaggio parlato, si deve evitare pianti e
grida a cui era abituato, bisogna infatti, preparalo alle esperienze dolorose. Tutto quello
che può apprendere da sé, non gli deve essere insegnato, altrimenti si corre il rischio di
dargli, spesso per tutta la vita, un comportamento artificioso e accademico.
L’educazione deve essere soprattutto negativa, nel senso che se, da un lato,
bisogna badare a che il fanciullo si distacchi da ciò che non si addice più alla sua età,
eliminando le cure di cui non ha più bisogno, dall’altro, è necessario anche fare
attenzione alle attività che gli vengono presentate. Queste infatti, devono essere consone
alla sua età.
Rousseau teorizza, infatti, un ritardo dello sviluppo dei sentimenti e delle
passioni. Questo è lo stadio del pensiero chiamato oggi “sincretico”, collegato ad una
modalità di pensiero egocentrico, che è tipica del bambino in questa età194
. Il terzo libro
dell’opera è invece dedicato alla terza età, che comincia verso i 12 anni, momento in cui
si produce una situazione del tutto nuova. Fino a quel momento, l’esistenza del bambino
era stata dominata dai suoi bisogni vitali, per la cui soddisfazione era stata necessaria la
presenza della madre, mentre, durante la seconda questi bisogni potevano essere
192
Cfr. ivi, p. 75 193
J.J. Rousseau, Emilio, Armando, Roma 1970, cit., p.16. 194
Cfr. ivi, pp.17-22.
53
soddisfatti con le sue sole forze, nella terza età, invece, si introduce il concetto della
libertà anche come conquista. Il bambino comincia a rendersi conto del divario che
esiste tra i suoi bisogni e le capacità che ha per soddisfarli. Qui, il precettore, deve
essere prudente in modo da non anticipare mai lo sviluppo del bambino o dei bambini
che gli sono stati affidati, e anzi, deve basare i suoi insegnamenti sulle necessità e gli
interessi dei suoi piccoli allievi. Egli, ricorda Rousseau, deve impiegare correttamente il
pensiero critico, in modo che i bambini percepiscano di essere loro a comandare, anche
se poi in realtà, il vero controllo resta agli insegnanti, che vigilano su di loro. Una
crescita, ne consegue, educativa che deve avvenire nel rispetto del percorso naturale di
crescita dei bambini195
. È questa organizzazione che porta alla sospensione della
didattica tradizionale, i cui programmi sono troppo rigidi e lontani dalle esperienze reali
degli alunni, che quindi non ne trarranno mai un valido beneficio. In questo periodo
definito da Rousseau come “preadolescenza” 196
, in cui il bambino si avvicina
all’adolescenza, scompare la forte distinzione che aveva caratterizzato l’infanzia, tra i
bisogni e il potere di soddisfarli, ciò è sicuramente dovuto all’aumento progressivo delle
forze del fanciullo. Di conseguenza anche l’impostazione della pedagogia deve
cambiare, deve passare, da un’educazione negativa ad una positiva.
Ciò che porta alla crescita in questa età (crescita che non è più solo fisica ma
anzitutto è spirituale) è la curiosità su cui deve fondarsi il metodo pedagogico del bravo
insegnante. Infatti quest’ultimo, deve saper introdurre le basi di un sapere formale, ma
non trasmettendo al giovane una serie di idee prestabilite, quanto piuttosto
conducendolo alla scoperta di idee che gli pervengono dalla sua innata curiosità. Dal
punto di vista dello sviluppo intellettivo, il bambino passa dunque, dalle sensazioni
dell’infanzia al mondo delle idee dell’adolescenza, e questo implica sul piano morale,
un passaggio educativo fondamentale: il bambino passa infatti, da una comportamento
regolato dalla necessità, ad un atteggiamento orientato all’utilità, verso cui l’insegnante
deve accompagnarlo197
.
Questo passaggio può essere breve e facile, tuttavia è necessario che il giovane
non sia coinvolto in relazioni sociali, in quanto rischierebbero di confonderlo. Il
195
Cfr. A. Catalfamo, Immagini dell’infanzia e scelte istituzionali, Pellegrini L., Cosenza 2006, pp.66-67. 196
Cfr. ivi, pp. 97-120. 197
Cfr. ibidem.
54
bambino si affaccia, infine, alla quarta età: l’adolescenza, in cui i rapporti di società
sono stati continuamente aggiornati e sono stati sollecitati solo agli interessi che si
pensa siano più consoni per il fanciullo198
. Rousseau è persuaso del fatto che un
elemento di debolezza si possa trovare nel fatto che spesso, si ha un’immagine del
fanciullo, come se fosse estraneo alla società o che comunque possa esserne isolato
senza inconvenienti, per poi ricondurlo, solo dopo che la sua personalità è stata formata,
dall’educatore. Secondo l’autore ginevrino, non c’è niente di più sbagliato, anzi, questa
è l’età in cui si completa la formazione dell’uomo, il momento in cui deve avvenire la
riproduzione, ma anche qui, anzi qui più che mai, bisogna badare a che il corso delle
cose non sia precipitato199
.
Rousseau, afferma inoltre, che le passioni sorgono in maniera spontanea
nell’animo dei giovani, ma mette in guardia i precettori dai pericoli a cui sono soggetti.
Gli consiglia, infatti, di non offrire ai giovani occasioni che li portino all’eccitazione
delle passioni, quanto di mirare piuttosto, a contenerle, cosicché sia più facile per il
giovane rispettare e seguire l’evoluzione naturale di ciò che lui stesso sente.
Questa crescita naturale nasce dal sentimento di amore, che inizialmente si pone
come amore di sé stesso (che deve però essere indirizzato, altrimenti rischia di diventare
amor proprio, e dunque, base della vanità e dell’orgoglio), e causa della curiosità dei
giovani; da cui si sviluppa poi, l’amore per chi gli sta vicino200
. A questo sentimento di
amore è vicino quello della pietà, per svilupparlo Rousseau raccomanda di mettere
l’adolescente a confronto con situazioni di sofferenza e dolore, solo grazie a queste
esperienze riuscirà ad amare maggiormente chi gli sta vicino, e svilupperà anche il
rispetto per i suoi simili. Pertanto è nell’adolescenza che inizia la vera e propria
educazione, che qui non sarà più guidata, dalle sensazioni o dalla curiosità, ma dalle
passioni, che avviano il giovane alla società201
. Altri aspetti caratterizzanti di questa
fase, conseguenti allo sviluppo delle passioni, sono: la comparsa delle idee astratte, il
confronto con le problematiche morali, lo sviluppo dell’immaginazione, e tutto ciò che
198
Cfr. R. Guardini, Le età della vita. Loro significato educativo e morale, Vita e Pensiero, Milano 2011,
p.56. 199
Cfr. ivi, pp.26-27. 200
Cfr. ivi, pp.45-46. 201
Cfr. Rousseau J.J., L’Emilio, Editori Riuniti, Roma 1994, pp.66-68.
55
gli permette di acquisire gradualmente i valori, il concetto di giustizia, di pace, e di
Dio202
.
Tappa dopo tappa, sempre secondo l’età, Rousseau ha avuto il grande merito di
mostrare che l’oggetto e i metodi dell’avviamento all’educazione devono essere
modificati. Ma tuttavia vi sono comunque dei princìpi che devono mantenersi. Uno di
quelli sui quali Rousseau più volte ritorna, è che il presente non deve essere sacrificato
al futuro203
. L’incertezza del futuro è data come uno sprono per poter godere
pienamente del presente (carpe diem), e qui il tempo è considerato nel suo passare
immutabile204
. Pertanto, durante tutta la sua esistenza l’uomo deve, essere felice, la
felicità è, infatti, un dono della natura. Ciò rimarca come la pedagogia di Rousseau si
oppone a quella dei passati educatori, per i quali, invece, l’istruzione doveva essere data
con il dolore e lo sforzo.
Per poter agire sul fanciullo, per educarlo, bisogna conoscere la sua natura, in
quanto lo scopo dell’educazione è proprio quello di prepararlo a vivere nella società,
qualunque probabilità abbia questa di corromperlo205
, perché la vita sociale è, secondo
l’autore, una necessità per la natura umana. In questa prospettiva, poiché l’esperienza, è
la “vera maestra” è necessaria una interconnessione tra questa, e le capacità effettive del
bambino. L’autore, enuncia così, un principio di fondamentale importanza per
l’attivismo moderno: la natura del fanciullo206
. Il bambino deve imparare dalle azioni
che compie sulle cose e dalla reazione che ne riceve, ecco che allora l’educazione deve
avvenire attraverso l’instaurazione di un rapporto sia con gli uomini che con la natura.
Anche per questo motivo Rousseau dedica tanta attenzione al lavoro manuale ed alla
vita a contatto con la natura, egli ritiene infatti, che il bene più prezioso dell’uomo non è
la ragione, ma piuttosto i bisogni e le passioni. Il problema riscontrato da Rousseau
202
Cfr. ibidem. 203
Cfr. ivi, p.34. 204
J.J. Rousseau, Emilio, cit. p.28: «Nell’incertezza della vita umana, evitiamo soprattutto la falsa
prudenza di sacrificare il presente all’avvenire, il che spesso equivale a sacrificare il presente all’avvenire.
Rendiamo l’uomo felice a tutte le età, per timore che dopo tante premure muoia prima di esserlo stato.
Ora, se c’è un momento adatto a godere della gioia della vita, è certamente la fine dell’adolescenza,
quando le facoltà del corpo e dell’anima hanno acquisito il maggior vigore e l’uomo, a metà della sua
corsa, vede più lontani da sé i due termini che gliene fanno sentire la brevità.» 205
Cfr. ivi, pp.35-45. 206
Cfr. ivi, pp.67.
56
nella società, è che spesso, i bisogni tendono a corrompere le passioni, allontanando
così l’uomo dalla sua natura originaria207
.
Un’altra novità introdotta dall’autore ginevrino è l’educazione femminile, ma
nonostante ciò, le sue idee sono ancora troppo ispirate ad una concezione maschilista.
Secondo Rousseau, infatti, per sua natura la donna deve essere sottomessa all’uomo,
perché è troppo debole e passiva, ma siccome è anche furba, utilizza le armi della
seduzione per legarlo a sé. Il suo fine è il matrimonio e la procreazione, quindi
l’educazione femminile doveva essere indirizzata a questi due scopi208
.
Nell’Emilio possono essere colti alcuni aspetti che ci aiutano a comprendere
come venivano educati nel XVIII secolo i fanciulli, almeno quelli dell’aristocrazia e
dell’alta borghesia209
. Notiamo, prima di tutto, l’assenza dell’educazione familiare.
Appena nato il bambino veniva affidato, infatti, alla nutrice, dopo al precettore
o ad un’istitutrice, ed in fine, ai domestici di grado superiore, a cui i genitori porgevano
tutte le loro responsabilità per la formazione dei loro “piccoli marchesi210
”, affinché
possedessero tutte le qualità e i difetti indispensabili per farsi osservare nei salotti. Ma
siccome non tutti avevano la possibilità economica di pagare un precettore, in alcune
famiglie i figli venivano mandati in collegio, e le figlie in un educando. Questo tipo di
educazione certamente faceva si che i fanciulli conoscessero ben poco dei loro genitori,
e viceversa. Una volta uscito dall’internato, il ragazzo avrebbe fatto il suo ingresso in
società e la ragazza, invece, si sarebbe potuta “maritare” 211
. In breve, il fanciullo, come
si evince da quanto detto, era assolutamente assente dalla vita di famiglia, se si può
ancora usare tale espressione.
La scoperta più grande compiuta da Rousseau, è sicuramente quella del
fanciullo, per noi oggi è scontato parlarne, ma la società del tempo, almeno le classi
alte, lo ignoravano. La letteratura classica era povera di fanciulli, la visione del bambino
era semplicemente quella di un “piccolo adulto”. Invece, dopo l’Emilio, grandi opere
letterarie se ne occuperanno, questo perché la letteratura non è che il riflesso della
207
Cfr. ivi, p.15. 208
Cfr. ibidem. 209
Cfr. ibidem. 210
Cfr. ivi, p.56. 211
Cfr. ivi, p.57.
57
società212
. La famiglia borghese aveva ritrovato il ragazzo, e Rousseau ha contribuito a
far prendere coscienza di ciò, egli, ha veramente la gloria di aver proclamato per primo i
diritti dell’infanzia. Sua è la scoperta di un fanciullo radicalmente differente dall’adulto,
che obbedisce ad altre leggi. Rousseau ha detto formalmente che il suo libro non è un
trattato pratico d’educazione213
, dunque possiamo considerarlo come una sorta di
“pittura” dell’uomo ideale, che Rousseau proietta nel futuro, ma che sarà realizzabile
solo se gli uomini ascolteranno il suo messaggio214
.
L’ Emilio è chiuso a tutti i pregiudizi, questo significa che respingeva tutto il
sistema di valori, su cui si fondava la giustificazione della società aristocratica. Emilio,
gettato nella vita215
, si fida solo della sua ragione, è cioè, l’individuo perfetto. Rousseau
pretese di fare di lui un uomo che fosse in grado di sfuggire ad ogni classe sociale, che
però era esclusivamente un uomo astratto, svuotato di ogni realtà in quanto non aveva
particolarità216
. Questa è l’utopia. Non si sfugge alla realtà. È vero che comunque nei
primi tre libri, Emilio, non è un essere vivente, ma un prodotto di laboratorio, e questo
perché ricordiamoci che ci riferiamo all’epoca in cui i filosofi, tentavano di trasportare i
metodi delle scienze morali, usando l’esperienza immaginaria. I primi tre libri non sono
altro che un’esperienza di tal genere, per cui, Rousseau tenta di educare il proprio
fanciullo diversamente dal metodo tradizionale, per comprendere gli effetti che ciò
avrebbe generato.
Ma tutto si spiega con lo sforzo che Rousseau fa, egli vuole superare totalmente,
il sistema dell’educazione del suo tempo. Egli sente la necessità di formare l’uomo
nuovo, quello della società futura. Mentre in Gran Bretagna, in Francia e in Italia,
almeno inizialmente, il movimento di educazione infantile cercava di conciliare
esigenze sociali, umanitarie e religiose, senza però attingere ad una concezione
pedagogica e filosofica forte217
. In Germania, invece, sotto la spinta del romanticismo e
dell’idealismo, assume caratteristiche decisamente filosofiche, per merito di Friedrich
Wilhelm August Froebel, secondo il quale, lo scopo dell’educazione è aiutare l’uomo a
212
Cfr. ibidem. 213
Cfr. ivi, pp.88-95. 214
Cfr. ibidem. 215
Cfr. ibidem. 216
Cfr. F. Froebel , I giardini dell’infanzia, Tevisini, Milano 1888, p.69. 217
Cfr. ivi, p.43.
58
scoprire la propria destinazione particolare218
. Di questo autore è indicativo il titolo
dell’opera principale Educazione dell’uomo219
, in cui l’uomo è concepito come «una
gemma dell’albero della vita che si chiama umanità»220
. L’educazione è, secondo questo
autore, una sollecitazione dell’uomo alla consapevolezza di sé, del suo pensiero, di
come comprende se stesso221
, e appunto per questo l’educazione, l’istruzione e
l’insegnamento, non devono essere fissati, ma piuttosto, sin dall’inizio, devono “lasciar
fare”. Fröebel proferiva: «L’azione del divino è necessariamente buona, quando non
sia turbata, deve essere buona, non può essere altro che buona»222
.
Insomma, la posizione di Fröebel è certamente più filosofica, egli infatti, fonda
la sua riflessione sull’idea che il rapporto con la natura non deve essere influenzato da
logiche socio-economiche, ma piuttosto estetiche o, meglio, mistico-sentimentali. Egli
vuole individuare le leggi che regolano la natura, la disposizione della sua struttura
interna223
.
Secondo Fröebel, come le piante, anche i bambini hanno bisogno di aria pura,
molta luce, ambienti puliti, e non devono essere legati e fasciati, piuttosto seguiti con
attenzione, amorevolezza e libertà, in modo che possono crescere forti, sani, equilibrati
e coscienti dei propri compiti. Fröebel specifica che «L’educazione deve dirigere e
guidare l’uomo alla piena chiarezza di se stesso, all’armonia con la natura e all’unione
con Dio; per questo è suo compito di elevare l’uomo alla conoscenza di Dio e della
natura e alla vita pura e santa che ne deriva»224
. Il concetto basilare della sua filosofia,
come della sua pedagogia, è che se tutto proviene dall’unità e ad essa tende, lo scopo di
tutto ma soprattutto della formazione, deve essere l’aspirazione al raggiungimento di
tale unità225
.
Possiamo evidenziare come dal punto di vista pedagogico, Fröebel si adegua del
tutto alle idee romantiche dell’epoca, infatti, anche lui percepisce lo sviluppo come un
218
Cfr. ivi, p.44. 219
Cfr. F. Fröebel , L’educazione dell’uomo e altri scritti (a cura di G. Flores d’Arcais), Cedam, Padova
1937, p.154. 220
Cfr. ibidem. 221
Cfr. ibidem. 222
F. Fröebel, L’educazione dell’uomo e altri scritti, cit. p.73. 223
Cfr. ibidem. 224
F. Fröebel, I giardini dell’infanzia, cit. p. 7. 225
Cfr. ibidem.
59
processo lineare e continuo, in quanto esso è determinato da una sequenziale
realizzazione dell’energia divina che in ogni uomo è innata226
.
Anche Fröebel, come Rousseau, distingue varie fasi della vita. L’infanzia, definita come
la prima educazione, corrisponde per Fröebel alla prima fase educativa del bambino e
inizia subito dopo i primi mesi di vita, quando il bambino inizia a riprodurre in maniera
spontanea l’interno nell’esterno227
. In questa fase viene attribuito un grande valore al
linguaggio, in quanto, consente al bambino di spiegare e rappresentare in azioni, ciò che
sente dentro, grazie al suo impulso creativo. In questa fase dell’educazione, però, il
precettore non è coinvolto, solo successivamente egli dovrà intervenire e guidare,
seppur delicatamente, il bambino verso la diligenza e la chiarezza228
.
La spontaneità del bambino deve, però, essere salvaguardata ad ogni costo, ed è
in questo contesto che Fröebel insiste sul gioco come strumento educativo. Il gioco,
infatti, rappresenta il grado più alto dello sviluppo infantile e umano in questo periodo,
poiché permette la manifestazione del mondo interiore. Fröebel dimostra di cogliere
l’importanza non solo del gioco, dell’attività ludica, ma soprattutto del periodo infantile
rispetto all’intera esistenza229
. Come diceva Fröebel: «Tutta la vita futura dell’uomo,
fino al momento in cui egli la perderà, ha le sue radici in questo periodo, da esso
dipende se la vita stessa sarà serena o torbida, quieta o tumultuosa, serena o
tempestosa, attiva o inattiva, ricca o povera di azioni, se considererà le cose con oscuro
stupore o con chiaroveggenza, se sarà creativo o distruttivo, se apporterà concordia o
discordi, guerra o pace»230
.
L’attività ludica deve essere, ovviamente, inserita in un contesto nel quale hanno
molta importanza l’attività psicomotoria, l’alimentazione, il modo di vestire, il
movimento, le passeggiate, le gite, le fiabe, la conversazione, i racconti, la scelta degli
oggetti, nonché le attività espressive, a cominciare dal disegno, dalla pittura, dalla
plastica, dal canto, dai lavori con carta, cartone, legno congiuntamente
all’apprendimento della lettura, della scrittura, dell’aritmetica e della geometria231
. È
226
Cfr. ivi, p. 232. 227
Cfr. ibidem. 228
Cfr. ivi, p.56, 229
Cfr. ivi, pp.13-18. 230
F. Frabboni, Minerva P., a cura di, Manuale di Pedagogia generale, Laterza, Bari 1999cit. p.181. 231
Cfr. ibidem.
60
con il gioco il bambino sperimenta il concetto di unità, tanto caro a Froebel,
permettendogli nel gioco di finzione, di addentrarsi nelle cose, facendole sue, e
viceversa, alle cose, di penetrare in lui. Il gioco è importante non solo perché permette
al bambino di scoprire il disegno, e gli facilita l’evoluzione linguistica, ma anche perché
pone sostanzialmente le basi per la comprensione di concetti logico-matematici232
.
Il disegno è, dunque, importante già in questa prima fase educativa, in quanto
grazie alla grafica fornisce al bambino la possibilità, in un qualche modo, di
rappresentare ciò che ha, e che sente dentro di lui233
. Non bisogna poi dimenticare che
Fröebel include in questa prima fase educativa anche una forte attenzione
all’educazione motoria, al ritmo, al mondo della musica e della danza, e non tralascia
neanche l’importanza dei piccoli compiti domestici, questi, infatti, possono essere
affidati al bambino quali fonte di apprendimenti utili. La seconda fase dell’educazione,
ricordata come “seconda infanzia”, che va dai tre ai sei anni, segue invece un percorso
opposto, se in un primo momento si era cercato di far esternare al bambino la spontanea
esposizione della sua interiorità, ora viene invece guidato alla curiosità e all’interesse; si
passa dunque dall’espressione all’apprendimento, e diventano fondamentali l’istruzione
formale e la scuola234
.
Quest’ultima è il luogo in cui l’uomo può imparare a conoscere gli oggetti fuori
di sé, la loro natura e le leggi che li governano235
. La distinzione che Fröebel presenta
tra prima infanzia, fanciullezza e l’uomo come scolaro, ha una duplice finalità, infatti,
da un alto mira a cogliere le differenze, e dall’altro, la continuità della crescita educativa
e dello sviluppo. Fröebel parla di una crescita che si sviluppa all’interno della famiglia,
dei giardini dell’infanzia, del gioco, della scuola, del linguaggio, delle esperienze,
dell’insegnamento religioso236
. In modo particolare egli sostiene che è nei giardini
d’infanzia, l’impostazione architettonica, i giardini, le aule individuali e di gruppo, il
canto, il disegno, i colori, le scatole per le costruzioni, i racconti di storie, le fiabe, le
favole, le passeggiate, i viaggi che, assumono particolare rilevanza insieme a tutto il
232
Cfr. ibidem. 233
Cfr. ivi, p.165. 234
Cfr. ivi, pp.56-59. 235
Cfr. ivi, p.59. 236
Cfr. ivi, p.34.
61
materiale didattico che per gran parte è già stabilito. Sono famosi i «doni» froebeliani:
la palla, la sfera, il cubo, con i loro significati simbolici: stabilità, movimento, e
divisibilità237
, ma altro materiale è costituito da scatole con il cubo suddiviso in cubi e
mattoni, con le figure geometriche, con steccoline, bastoncini per l’apprendimento del
calcolo. Particolarmente interessanti sono le attività quali: tessitura, piegatura, intreccio,
ritaglio, lavori agricoli, allevamento di animali, ginnastica238
. Fröebel ebbe
l’importantissima intuizione dell’impiego di materiale che era già predisposto perché
potesse essere promosso lo sviluppo, in particolare, dell’attività sensoriale, percettiva,
logica, linguistica e creativa239
. La cura personale e di gruppo delle piante, del giardino,
delle aiuole, era finalizzata ad unire i momenti educativi personali, di gruppo e collettivi
con quelli del gioco, del lavoro, dell’attività artistica, per la consolidazione di un
rapporto con la natura. Infatti, l’ambiente, gli oggetti, le piante, le persone e i fenomeni
sono importanti ai fini della conoscenza e delle attività espressive, però, per Fröebel,
occorreva anche andare al di là dei fenomeni, delle apparenze, per poter cogliere le
essenze, le categorie, i paradigmi, i significati più profondi; ancora una volta, essi si
colgono nella sfera religiosa, artistica, scientifica. Solo in questo modo è possibile
acquisire capacità di riflessione, di coordinamento e abilità nelle operazioni, stabilire
collegamenti, lavorare su ipotesi e su simboli240
.
Il limite dell’impostazione froebeliana sta però nell’aver accentuato o almeno
rapportato i significati e i simboli a una matrice di tipo astratto o, per molti aspetti,
filosofico. Ciò ha portato alla separazione tra il materiale didattico e lo spirito del suo
metodo, ridimensionando così di molto, il metodo fino ad accentuarne gli aspetti
meccanicistici241
.
L’impostazione metafisica di Fröebel si percepisce nelle indicazioni per
l’insegnamento religioso e per quello scientifico. Per il primo si richiede ai fanciulli di
giungere all’intuizione di Dio, facendo buon uso degli strumenti dati dalla fede, per
l’apprendimento scientifico, invece, egli parte dal presupposto che la natura è
237
Cfr. ivi, pp.123-126. 238
Cfr. ivi, pp.103-109. 239
Cfr. ibidem. 240
Cfr. ibidem. 241
Cfr. ivi, p.38.
62
espressione e rivelazione di Dio242
. Questa è la prima consapevolezza che, anche dal
punto di vista formativo, deve essere raggiunta per poter poi capire le leggi scientifiche
che sono alla base del mondo. È a questo punto che, secondo Fröebel, deve intervenire
il mediatore didattico, di modo che possono facilitare il cammino dei fanciulli
all’apprendimento, in particolare, l’apprendimento scientifico e religioso devono essere
intuitivi, e devono dare al fanciullo la possibilità di capire la realtà in maniera spontanea
e non meramente oggettiva, ecco perché presenta ai bambini dei “doni” 243
, per rendere
tutto più “naturale”244
.
Pe quanto concerne, invece, l’insegnamento della scrittura, della lettura e
dell’arte, Fröebel abbandona temporaneamente le sue preoccupazioni metafisiche.
Definisce, infatti, la lingua come strumento di espressione e manifestazione della
soggettività degli individui. Questa connessione tra linguaggio, personalità ed
espressività porta Fröebel alla riflessione sui dialetti che vengono definiti come
“manifestazione dell’individualità dei popoli”, l’espressione e il linguaggio sono infatti
manifestazioni spontanee del bambino: e dunque spontaneamente il bambino avvertirà
il bisogno della scrittura, che sarà prima ideografica (basata cioè sul disegno), e poi
basata su codici convenzionali, ma questa farà sorgere nel bambino il bisogno di
esprimere ciò che ha scritto, che a sua volta lo condurrà dunque alla lettura.
Un altro concetto che occorre sottolineare è che il giardino d’infanzia, Fröebel lo
ha pensato come una scuola in senso proprio e non come una semplice istituzione
prescolastica, diversa dunque dai modelli che si stavano diffondendo in Europa. Il
giardino d’infanzia è infatti distinto in due ambienti principali: uno esterno e uno
interno245
. In quello esterno vi sono delle piccole aree (“proprietà private)”246
per la
coltivazione delle piante insieme ad uno spazio per il lavoro comune, che riflette la
logica froebeliana di connessione tra individuo e società, responsabilità individuale e
collettiva.
242
Cfr. ivi, pp. 99-121. 243
Cfr. ibidem. 244
Cfr. ivi, p.133. 245
Cfr. ivi, pp.78-79. 246
Cfr. ibidem.
63
Il possesso non è quindi inteso in senso teorico, ma è espressione di un bisogno
psicologico del bambino affinché possa individuare sia la sua identità ma deve anche
responsabilizzarsi247
. La scuola interna, invece, è più ordinata, è qui infatti, che si
inseriscono i “doni” di cui si parlava sopra; essi sono convalidati da Fröebel, sia come
forme di vita architettonica, che come forme armoniose, e quindi come sostegno
didattico per un’educazione all’arte e all’estetica248
.
247
Cfr. ivi, pp.123-124. 248
Cfr. ivi, p.125.
64
1.3. La scomparsa del “bambino adulto” dalle sorelle Agazzi a
Montessori
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si espanserono in Italia, due
esperienze educative fondamentali per la storia della pedagogia infantile: la Scuola
materna delle sorelle Agazzi e la Casa dei bambini di Maria Montessori. Il passaggio
dal modello froebeliano a quello scientifico montessoriano, è contraddistinto
dall’esperienza delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi. Con loro veniva inserito uno
spirito nuovo, quello materno, di qui la denominazione di Scuola materna, legato alla
realtà vissuta dai bambini nella vita quotidiana. In Italia data l’unificazione e
un’economia ancora per la maggior parte agricola, l’attivismo fu caratterizzato,
contraddistinguendosi dagli altri paesi europei, all’istruzione primaria, infantile e
all’educazione popolare249
.
Le sorelle Agazzi, tenendo conto della loro formazione cattolica e del ruolo
materno, centrale, nella cultura pedagogica italiana, propongono la trasformazione
dell’asilo infantile, affinché sia ancor di più «a misura di bambino»250
, frequentata da
«bambini, non scolari»251
. In un ambiente adatto, che ne stimolasse la creatività
attraverso il dialogo “vivo e fecondo” con l’adulto, doveva essere dunque ricreata
l’atmosfera familiare. Al centro dell’attenzione di questa scuola proposta dalle sorelle
Agazzi, c’è il bambino e la sua attività, circondati da ambienti e materiali semplici e
quotidiani, utili per una formazione pratica, collettiva e religiosa del fanciullo. Alla
maestra giardiniera teorizzata da Froebel, Rosa e Carolina, sostituiscono l’educatrice, la
nuova figura di riferimento del bambino, alla quale viene richiesto, spirito d’iniziativa e
di organizzazione, nonché concretezza e sensibilità tali da coordinare in maniera
opportuna il lavoro con la quotidianità vissuta dai bambini, ma deve ovviamente
possedere, anche tratti comportamentali “materni” 252
, in maniera tale da preservare la
continuità del rapporto familiare. Secondo loro, l’attività dell’educatrice deve avere una
249
R.C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia , cit. p.18. 250
Ivi, p. 22. 251
Cfr. ibidem. 252
Cfr. ivi, p.56.
65
profonda adesione spirituale253
, non soltanto, deve possedere una preparazione
psicologica quale premessa indispensabile dell’attività didattica, ma più di tutto conta la
capacità dell’educatrice di tradurre ciò che conosce e ciò che sa fare in opera educativa.
Tutto questo richiede però sensibilità, amore e dedizione spirituale. Per le Agazzi
la scuola deve avere le caratteristiche fisiche dell’ambiente più consono al bambino, e
considerando che il suo ambiente abituale è la casa, la scuola deve essere simile ad essa,
e le occupazioni devono essere riproposte a misura della dimensione domestica cui il
bambino è abituato. Mentre nella scuola tradizionale l’esperienza di vita del bambino
viene considerata come un ostacolo per l’attività educativa, e per questo cerca di
liberarlo da qualsiasi impronta di essa per assicurare l’efficacia del proprio intervento, le
Agazzi, si soffermano, invece, sulla quotidianità vissuta dai bambini254
.
La scuola era progettata, dunque, come una casa, che per molti versi mantiene
l’impostazione del kindergarten froebeliano; essa è infatti dotata di un’aula e del
giardino dove vi sono animali e piante, ma proprio come una piccola casa ha anche un
ripostiglio per i vari indumenti dei piccoli quali grembiulini, giacchette, giubbottini,
zainetti ed un atrio riservato a quello che viene definito come il “museo delle umili
cose”255
che viene organizzato «svuotando le tasche»256
dei bambini e diviene una
collezione cui attingere per i giochi, qui sono esposte le «cianfrusaglie senza
brevetto»257
, che poi sarebbero state il futuro materiale educativo.
In questa prospettiva, il museo didattico nasce da un’intuizione delle sorelle
Agazzi, connessa alla capacità dell’educatrice, a che riesca ad immedesimarsi nel
bambino, riuscendo a vedere le cose con i suoi occhi piuttosto che, secondo la logica
comune delle regole imposte. Loro pensano che l’impiego didattico di materiali non
253
R.C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia, cit. p.10: «Bisogna dunque porsi il problema: sono
io nata per educare?. So di alcune figliuole che, messe sull’avviso del pericolo di una tarda delusione, si
contentano di rispondere che i bambini le piacciono, volendo con questa affermazione distinguersi da
quelle altre che rifuggono dalla convivenza colle piccole creature e rinunciano perfino al pudore di velare
questo loro stato di minorità spirituale.» p.13 «Il docente che si adopera con passione a sminuzzare il pane
della scienza, non può sempre sapere se gli sta davanti una futura educatrice o semplicemente una
diligente raccoglitrice di teorie.» 254
Cfr. ivi, pp.101-102. 255
Cfr. ivi, p.57. 256
Cfr. ibidem. 257
Cfr. ibidem.
66
deve per forza partire da cose progettate dall’adulto, ma anche da quegli oggetti
“casuali”258
.
Distintamente dal metodo froebeliano i materiali didattici non devono essere
prestabiliti e neppure colmati di significati simbolici259
.Ogni piccolo oggetto che il
bambino ha la tendenza a raccogliere per poi giocarvi, quali: spaghi, rocchetti, pezzi di
stoffa, palline, diventa un oggetto ludico. Gli oggetti di corredo e di uso continuo sono,
invece, custoditi con attenzione e sono contrassegnati da immagini di oggetti che
serviranno per indirizzare il bambino, in maniera graduale, all’utilizzo dei simboli. Il
bambino delle sorelle Agazzi è stato definito come il «bambino del fare»260
, egli infatti
deve imparare a fare da sé in tutti gli aspetti della vita, sia riguardanti il gioco che la vita
pratica.
L’educatrice deve ridurre, infatti, le lezioni al minimo per poter lasciare maggior
spazio possibile all’attività individuale libera, l’unico criterio che doveva essere
rispettato era ordine: il tutto sotto la sorveglianza a distanza dell’educatrice, che deve
anche incentivare i bambini alla cooperazione e all’insegnamento, favorendo
l’intuizione, considerata come il metodo il più atto per l’apprendimento, tant’è che gli
ambienti e le situazioni che sono state da questa create, portavano in modo indiretto,
alla spontaneità del bambino. Ma ciò non significa che tutto è lasciato al caso,
l’educatrice deve avere ben presente «nel cuore e nella mente»261
dove vuole arrivare.
L’insegnamento agazziano percepisce, dunque, la differenza fra le capacità prassiche e
cognitive e la formazione emotiva e morale che la scuola materna deve offrire ai
bambini. Anche nella didattica ci si rifà alla vita che il bambino vive in famiglia anche
seguendo il comportamento e le azioni degli adulti. Ecco che allora un altro elemento
caratterizzante della scuola agazziana è che non viene fatto un distinguo tra gioco e
lavoro, tutte le azioni della quotidianità sono sfruttate come elementi educativi di grande
valore, in quanto è qui che i bambini possono imparare, scoprendo da sé, le regole della
vita e i principi del vivere civile e del rispetto reciproco.
258
Cfr. R. C. Agazzi, Note di critica didattica, La Scuola, Brescia, 1967, pp.11-12. 259
Cfr. ivi, pp.128-129. 260
Cfr. ibidem. 261
Cfr. F. Altea, Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi. Un valore educativo intatto nel tempo, Armando,
Roma 2011, p.26.
67
Tra queste attività pratiche un posto speciale spetta al giardinaggio, infatti, per
Rosa e Carolina, solo con il lavoro in opportune aiuole e con attrezzi adatti, il fanciullo
ha modo di coordinare il suo lavoro a quello della natura, e ciò gli permette di imparare
non solo la diversità e le caratteristiche delle stagioni e dei fenomeni atmosferici, ma
anche di instaurare un rapporto positivo con l’ambiente262
. Il giardinaggio, è come una
sorta di “pre-lavoro”, un’attività che, a differenza del gioco, aveva uno scopo ben
definito: consentire la realizzazione di numerose esperienze di vita pratica. Di notevole
importanza è che il bambino, realizzando qualcosa per gioco, coniughi la produzione e
la ricerca estetica, quindi oltre al fare, conoscere e cooperare, deve essere sviluppata la
dimensione estetica poiché, il compimento del principio dell’ordine nella “scuola-casa”,
sviluppa un senso di armonia e di bellezza, indispensabili in tutti i momenti e le
situazioni della vita quotidiana263
.
Il momento di massima espressione si ha quando il bambino costruisce e produce,
con l’utilizzo di materiali poveri e non strutturati, quali sabbia, sassi, argilla, che,
diversamente dai “doni” froebeliani, facilitano in ambienti adeguati, la sua inventività e
creatività264
. Queste si potevano manifestare anche nel disegno che è una libera
rappresentazione di fatti naturali, sociali o psicologici che possono essere realizzati con
una molteplicità di materiali che comprendono, oltre a pastelli e matite, anche carta, fili,
semi, listelle; e nella recitazione intesa come drammatizzazione di momenti o vicende
della vita infantile che veniva eseguita con naturalezza espressiva, seguendo l’esempio
dell’educatrice, non è importante la qualità della scena proposta, quanto piuttosto la
naturalezza dell’espressione, perché grazie alla recitazione il bambino acquisisce fiducia
in se e migliora il proprio equilibrio sia morale che materiale265
. Strettamente collegata
all’educazione estetica è l’educazione sensoriale, anche in questo caso mentre Fröebel
iniziava con le forme geometriche, le Agazzi preferiscono cominciare dalle cose
quotidiane e dalle loro forme, poiché i bambini sono attratti soprattutto dai colori,
attraverso la presentazione iniziale di oggetti che si distinguono solo dai colori, i
bambini scoprono le loro sfumature e le loro affinità, per passare in un secondo
262
Cfr. ibidem. 263
Cfr. ivi, pp.123-124. 264
Cfr. ivi, p.57. 265
Cfr. ivi, pp.130-131.
68
momento ad lavori di ritaglio e costruzione. In questo modo i bambini scoprono che gli
stessi colori possono riferirsi a diversi oggetti266
. Dal confronto tra gli oggetti, infatti, si
poteva rilevare che le forme potevano avere proporzioni, somiglianze e uguaglianze,
ecco che allora l’educazione sensoriale condotta secondo questi criteri, favoriva anche
l’educazione intellettuale, in quanto spronava sia la loro curiosità che l’esplorazione.
L’educazione sensoriale delle sorelle Agazzi, è stata il fondamento di quella che oggi
definiamo come “educazione all’immagine”267
, dal momento che richiedeva una certa
strutturazione dei materiali che andava oltre al classico metodo delle “cianfrusaglie”268
.
Ma l’educazione sensoriale è anche condizione essenziale per intraprendere
l’educazione linguistica, i bambini infatti, prendendo spunto dalle osservazioni e dagli
esercizi sui colori, i materiali e le forme imparavano ad esprimere i loro pensieri,
costruendo delle frasi da cui si evinceva l’individuazione della differenza tra i
sostantivi, e ciò avrebbe permesso loro anche l’acquisizione dell’uso degli aggettivi
nonché il riconoscimento del genere e del numero269
.
Ma l’educazione linguistica comprendeva anche degli esercizi verbali collettivi, si
iniziava dai nomi dei “contrassegni” 270
, per finire poi con delle parole progressivamente
più lunghe e foneticamente più difficili, secondo il criterio della complessità crescente.
L’uso dei contrassegni non nasce solo dalla necessità di dare ai bambini uno strumento
di ordine semplice e meno impersonale, ma è piuttosto un elemento aggiuntivo per una
didattica legata alle cose e all’esperienza quotidiana271
.
Sicuramente, il momento più qualificante, era costituito dal dialogo con
l’educatrice, che essendo modello d’emulazione dei bambini, doveva parlare in maniera
adeguata e ponendo grande attenzione all’enunciazione di nuovi esercizi, che comunque
dovevano essere sempre caratterizzati da una gradazione di difficoltà. Questo è il
metodo che dalle sorelle Agazzi fu definito come imparare “la grammatica senza la
266
Cfr. ivi, p.48. 267
Cfr. ibidem. 268
Cfr. ivi, pp.42-49. 269
Cfr. ivi, p.33. 270
Cfr. ivi, p.90. 271
Cfr. ibidem.
69
grammatica” 272
in quanto permetteva al bambino l’acquisizione di nuove competenze
solo grazie alla conversazione con la maestra.
Anche il canto faceva parte di questo percorso pedagogico, serviva infatti, a
cadenzare i vari momenti della giornata e ad condurre le attività pratiche, in quanto
richiedeva disciplina di esecuzione, esortava alla compostezza, e richiedeva intonazione.
Non bisogna poi dimenticare che la scuola agazziana era inondata da un’ intensa e
intima religiosità, tant’è che le istituzioni infantili cattoliche che gestivano gli asili
infantili la presero come esempio sia sul piano religioso che su quello metodologico.
Alcuni elementi del metodo agazziano restarono delle semplici intuizioni, altri
presentavano invece una certa contradditorietà rispetto all’impostazione principale, ma
ciò fu determinato dal fatto che questo metodo non fu sviluppato da pedagogisti, ma da
educatrici che semplicemente hanno cercato di fare della loro esperienza un metodo di
educazione. L’elemento più problematico è stato l’opposizione fra la celebrazione della
spontaneità e la centralità del ruolo dell’educatrice, che spesso programma giochi,
attività ed esercizi273
.
D’altronde però, alle sorelle Agazzi deve essere attribuito il merito di aver saputo
organizzare una scuola che ha dato la possibilità al bambino di muoversi con maggiore
libertà, perché in un’atmosfera serena e affettiva. Sebbene ci siano state queste
interessanti esperienze, il percorso della pedagogia novecentesca era comunque
indirizzato alla questione dello sviluppo della mente del bambino e alla conoscenza dei
vari problemi didattici, per la cui soluzione ci si indirizzava alla filosofia e alla
psicologia della mente274
.
Il grande passaggio dalla scuola materna alla scuola dell’infanzia è però avvenuto,
ad opera di Maria Montessori, grazie a lei per la prima volta, si parlò di metodo
scientifico. Le sue ricerche e le sue iniziative furono caratteristiche proprio per il loro
importanza teorica e per la ricchezza degli orizzonti che hanno aperto. La singolarità del
suo metodo deriva da una forte impronta scientifica, che garantì una valida efficacia275
.
272
Cfr. ivi, p.85. 273
Cfr. ivi, p.146-157. 274
Cfr. ibidem. 275
Cfr. M. Casotti, Il metodo Montessori e il metodo Agazzi, La Scuola, Brescia 1950, p.13.
70
Maria Montessori giunse, infatti, riferendosi sia al pensiero degli studiosi francesi,
Itard e Séguin, sia ai studi di medicina, ai problemi educativi e scolastici. Ella, essendo
assistente alla clinica psichiatrica dell’Università di Roma, indirizzò i suoi primi
interessi all’educazione e al recupero di quelli che, lei stessa definì, “bambini
disadattati”276
. Nel suo libro Il segreto dell’infanzia, testimonia come spesso il bambino
per gli adulti non era altro che un impiccio, tant’è che risultavano incapaci di
assicurargli le condizioni ambientali, ma soprattutto interpersonali, necessarie al suo
sviluppo277
. Tale condizione, come chiarisce bene la Montessori, non era
necessariamente legata alla povertà, anche il bambino benestante infatti, soffriva spesso
di quella solitudine e disattenzione dei genitori vissuta dai coetanei in condizioni
socioeconomiche disagiate278
.
Maria Montessori era fortemente convinta che prima di impostare qualsiasi
intervento educativo era doveroso, conoscere a fondo la psicologia del bambino,
esplorare i suoi meccanismi mentali ed il loro funzionamento e, solo in seguito, si
poteva avere la pretesa che il bambino rispettasse e facesse proprie le regole che gli
erano state imposte279
.
Un altro punto focale di questa impostazione era lo sgombero da tutti gli errori e le
false credenze sulla natura del bambino e la sua educazione, nonché dall’incapacità
degli adulti di comprendere il mondo infantile e di assicurare ad esso condizioni adatte
di sviluppo280
.
Maria Montessori ritiene, infatti, che devono essere rispettati nella scuola dell’infanzia,
tre principi: 1. un ambiente adatto; 2. l’uso di materiale scientificamente provato e 3.
una nuova professionalità dell’educatore281
.
276
Cfr. ivi, pp.37-44. 277
Cfr. M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, Garzanti, Milano 1951, pp.33-35. 278
M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p.11: «Cos’è l’infanzia? Un disturbo costante per l’adulto
preoccupato e stanco da occupazioni sempre più assorbenti. Non c’è posto per l’infanzia nelle più ristrette
case della città moderna, dove si accumulano le famiglie. Non c’è posto per essa nelle vie, perché i veicoli
si moltiplicano e i marciapiedi sono affollati da gente che ha fretta. Gli adulti non hanno tempo per
occuparsene perché i loro obblighi urgenti li opprimono. Padre e madre sono entrambi costretti a lavorare
e quando manca la miseria opprime e stronca i bambini come gli adulti. Anche nelle migliori condizioni,
il bambino resta confinato nella sua stanza, affidato ad estranei salariati […]. Deve starsene buono, in
silenzio, perché nulla gli appartiene». 279
Cfr. ivi, pp.111-112. 280
Cfr. ivi, p.36. 281
Cfr. ivi, p.123.
71
Solo un metodo basato su tali principi pone le basi per la realizzazione di una
civiltà capace di «preparare due ambienti sociali, due mondi distinti: il mondo
dell’adulto e quello del bambino»282
.
Maria Montessori delle sorelle Agazzi approva il princìpio della «scuola come
ambiente dell’apprendimento»283
, infatti quando nel 1905 venne incaricata di
organizzare asili infantili di nuovo tipo, e quando nel 1907 aprì la prima Casa dei
bambini, si ispirò proprio a questo, dove gli spazi interni ed esterni, materiali, arredo e
suppellettili sono tutti a misura di bambino284
. Le classi sono poche, le aule poco ampie
e ben organizzate per essere utilizzate come ambiente di lavoro destinate ai bambini, ma
v’è anche uno spazio comune in cui ritrovarsi, il giardino, nonché luoghi di lettura,
ricreazione e refezione285
. Tutto è sotto la responsabilità dei bambini, sono loro infatti
che badano all’ordine, alla pulizia e al mantenimento in ottime condizioni dell’aula.
La notorietà, anche internazionale, di questo progetto fece nascere un vero e
proprio movimento montessoriano e i suoi istituti aumentarono tanto che, nel 1924
viene fondata l’Opera Nazionale Montessori e la Scuola Magistrale Montessori, in cui
venivano formati, mediante appositi corsi, gli insegnanti e si provvedeva alla diffusione
delle idee e del metodo della fondatrice286
. La formazione della Montessori era di
impronta nettamente positivistica, inizialmente infatti, sul piano culturale respirò le idee
del positivismo, ma poi se ne distaccò, in quanto secondo lei l’intervento educativo,
doveva essere trasformato e potenziato attraverso l’utilizzo di criteri e mezzi ottenuti
grazie alla sperimentazione condotta con, e sui, bambini in condizioni di vita reale. I
bambini avevano diritto ad essere studiati, nel senso che bisognava comprendere
veramente quali erano i meccanismi di apprendimento e socializzazione che li
contraddistinguevano, per cui i processi di sviluppo della loro personalità dovevano
essere esplorati fin dalla nascita287
. Seguendo tale linea la Montessori, fu orientata, dal
punto di vista didattico, da due medici francesi, J-M. Itard e E. Séguin, che avevano
studiato la pedagogia speciale. All’epoca si pensava che i diversamente abili fossero
282
Cfr. ibidem. 283
M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p.78. 284
Cfr. ivi, p.67. 285
Cfr. M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Garzanti, Milano 2000, p.23-24. 286
Cfr. M. Montessori, Educazione e pace, Opera Nazionale Montessori, Roma, 2004, p. 47. 287
Cfr. ibidem.
72
degli “idioti” e per questo non potevano crescere sul piano mentale, non si potevano
neanche operare dei cambiamenti attraverso la formazione degli strumenti educativi che
potevano essere messi in campo288
. Questi due medici, invece, si erano occupati di
“fanciulli selvaggi”, allevati da animali, e poi trovati da esseri umani in zone isolate.
Itard aveva provocato grande clamore quando aveva provato a rieducare il
“selvaggio”289
, un dodicenne che aveva trovato nelle foreste dell’Aveyron, che istruì e a
cui insegnò a comportarsi civilmente. Secondo Maria Montessori, studiando i casi dei
bambini selvaggi e ritardati ci si poteva rendere conto, dell’enormità di deformazioni ed
errori che erano da sempre stati a sostegno dell’educazione infantile. Purtroppo però il
pregiudizio che l’infanzia dovesse essere studiata, partendo dal punto di vista
dell’adulto ostacolava l’approfondimento scientifico di questo argomento. Maria
Montessori riconosce invece, “l’energia latente di ogni individuo”290
che si sviluppa in
modo autonomo, e secondo l’autrice, gli interventi didattici possono stimolarla ma non
crearla, ecco che allora, la vera educazione è autoeducazione: l’istituzione scolastica, il
metodo, la pedagogia e l’insegnante, non sono altro che mezzi ausiliari per la
realizzazione di un io interiore: devono aiutare il bambino a servirsi delle sue risorse per
potersi esprimere e sviluppare291
. Sulla scia di Itard e Séguin ella ritenne che,
l’educazione deve fornire solo dei contesti di esperienza che permettano al bambino di
“mettere in ordine” gli stimoli che riceve dall’esterno, per poi, auto-dirigersi in una
crescita libera.
Questo obiettivo può essere raggiunto con l’uso di materiale scientificamente
studiato per la crescita sia sensoriale che cognitiva del bambino, in maniera tale da
renderlo capace di apprendere con ordine, ma soprattutto riducendo l’intervento
dell’insegnante292
. Maria Montessori diversamente dalle cianfrusaglie di cui si erano
servite le sorelle Agazzi, ha favorito piuttosto, l’uso di materiali appositamente preparati
per esercitare, grazie allo sviluppo dei sensi, delle competenze specifiche, il tutto
fondato su due principi: gradualità e progressività. Gli oggetti di cui parla l’autrice
288
Cfr. ibidem. 289
Cfr. ivi, p.49. 290
Cfr. ibidem. 291
Cfr. ivi, pp.56-58. 292
Cfr. M. Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1971, pp.123-126.
73
variano progressivamente in relazione ad una sola caratteristica: colore, altezza, forma,
peso, ruvidezza, incastro293
.
Seguendo questo metodo e presentando gradualmente al bambino ora lettere
alfabetiche di vari materiali, ora oggetti che variano in relazione alle loro caratteristiche
sonore, ora numeri di varia forma e di diverso colore, il bambino, a partire dall’età di
cinque anni, è già in grado di apprendere le tecniche della lettura e della scrittura,
successivamente può essere messo in condizione di conoscere le regole del calcolo294
.
Quella che dalla Montessori venne definita come la «quadriga trionfante» della scuola
dell’infanzia, comprendeva dunque, disegno, lettura, scrittura e calcolo295
.
Grazie all’utilizzo dei materiali strutturati, viene risolto pure il problema della
disciplina: il bambino che disturba doveva essere allontanato, e doveva poter osservare
da quella posizione di isolamento il lavoro dei compagni. In tal modo avrebbe
incominciato ad apprezzare l’ordine e a desiderare di parteciparvi. Il fine generale
dell’educazione, la regola centrale del metodo stavano nella difesa della libertà del
bambino, nello sviluppo delle sue esperienze, evitando che l’adulto imponesse i suoi
interessi e i propri modi di apprendere e di ragionare296
.
Partendo dal presupposto che gli adulti ignorano che “le energie infantili sono
come un torrente in piena” 297
, e che i capricci di cui si lamentano sono provocati da
eccessivi ammonimenti, e dimenticando che tutto l’ambiente di vita è predisposto a
misura di adulto, la Montessori sostiene che tutto questo poi, ricade sull’infanzia, con
una ripercussione indelebile. Diventa, pertanto, necessario intraprendere una svolta
radicale creando un altro mondo, quello del bambino, un ambiente che lo aiuti nel
processo di una “crescita libera e armonica298
”. Questo ambiente idoneo, venne
chiamato dalla stessa autrice Casa dei bambini299
, sostenendo che: « È riservata
esclusivamente ai piccini del casamento che non hanno ancora l’età della scuola, le
madri lavoratrici possono lasciare tranquille i figliuoli, con loro immenso beneficio,
293
Cfr. ivi, p.156. 294
Cfr. ivi, p.45. 295
Cfr. ibidem. 296
Cfr. ivi, p.143. 297
Cfr. ibidem. 298
Cfr. ivi, pp.78-83. 299
Cfr. M. Montessori, La formazione dell’uomo, Garzanti Libri, Milano, 1995, p. 78.
74
con risparmio di forza, con grande sollievo di libertà. Tuttavia le madri hanno l’obbligo
di mandare i loro bambini puliti e di coadiuvare all’opera educativa della direttrice,
come dice il regolamento appeso nelle mura dello stabile. Due obblighi: la cura fisica e
morale dei propri figli. Se il bambino dimostrerà con le parole, col contegno, che in
casa viene guastata l’opera educativa della scuola, esso graverà senza remissione sulle
braccia dei genitori ignavi e incapaci del proprio miglioramento. Bisogna cioè sapersi
meritare ilo beneficio d’avere in casa il grande vantaggio di una scuola per i figliuoli
più piccoli. E basta la “buona volontà” perché, in quanto al saper fare, il regolamento
lo dice, le madri dovranno andare almeno una volta la settimana a conferire con la
direttrice, dando notizie del proprio bambino e là potranno raccogliere i consigli che la
direttrice darà a loro vantaggio. Consigli illuminati sulla salute e sull’educazione del
piccino, poiché nella “Casa dei bambini” è preposto, insieme a una maestra, anche un
medico. […] Essa non è un ricovero passivo dei fanciulli: ma una vera scuola di
educazione, i cui metodi sono ispirati ai razionali principi della pedagogia scientifica.
[…] Ma su ciò non è possibile addentrarci: basti dire che già esiste, annessa alla
Scuola, una sala pei bagni caldi e freddi per i bambini; e, dove è possibile, una distesa
di terreno ove i fanciulli potranno coltivare il campicello sperimentale»300
.
In questo discorso presente nel testo La scoperta del bambino, Maria Montessori
presenta i benefici pedagogici e sociali della sua istituzione. In questa citazione, si
coglie lo spirito d’impegno scientifico e sociale che caratterizzava l’iniziativa, ma ancor
di più, il fatto che questa Casa dei bambini, non vuole separare il bambino dalla
famiglia, ma piuttosto, tramite il bambino, vuole educare la famiglia in maniera tale che
possa essere un ambiente altrettanto adatto, coinvolgendola dunque, in maniera diretta
con frequenti incontri con la direttrice e il medico della scuola301
.
Possiamo, dunque, rilevare come Maria Montessori condivise l’idea agazziana di
una scuola come ambiente a misura dei piccoli, in cui avevano la possibilità di lavorare
in condizioni fisiche dignitose, di pulizia e decoro, e con una disciplina data più dal
lavoro stesso che da obblighi esterni.
300
M. Montessori, La scoperta del bambino, cit. p.367. 301
Cfr. ivi, pp.375-777.
75
Tuttavia la scuola agazziana si muoveva ancora, al meno in parte, sulla scia
dell’ottica gentiliana e idealistica che considerava, in chiave adultistica, quella infantile
come “scuola di grado preparatorio” 302
, mentre Maria Montessori si muoveva nella
direzione opposta, in quanto pretendeva che la Casa dei bambini avesse piena
autonomia, sia istituzionale che pedagogica, ma soprattutto non doveva essere un
servizio, piuttosto doveva avere una vera funzione sociale.
In essa gli spazi sono stati considerati in riferimento alle esigenze formative dei
bambini: non ha più il vecchio arredamento scolastico ed è situata nel tessuto urbano (in
modo tale da evitare sia l’isolamento sia la convivenza con i grandi agglomerati). Le
classi anche se poche e ospitate in locali non troppo ampi, sono dotate di suppellettili
proporzionati alle dimensioni fisiche dei bambini, lo stesso vale anche per gli spazi
esterni, in cui è indispensabile la presenza del giardino. L’aula è una “sala di lavoro”303
,
arredata con attenzione per poterci vivere in modo piacevole, in questa i materiali sono
tutti a portata di mano dei bambini e facilmente utilizzabili da loro per permettergli di
muoversi e agire in maniera loro più consona, senza il continuo intervento degli adulti.
Ecco che allora le sedie, i tavoli, gli scaffali, gli armadi, sono tutti piccoli,
proprio a misura di bambino. Ma soprattutto, viene tolto il banco perché, secondo
l’autrice, tiene prigioniero l’alunno costringendolo a compire compiti e lavori imposti;
inoltre anche la pulizia dei locali è affidata ai bambini, e ciò li educa all’ordine e al
decoro304
.
Tutto ciò nella prospettiva che la vita nella scuola potesse essere apprezzata dai
fanciulli come continuità della propria “casa” 305
, avvertita come propria in quanto
rispondente ai loro bisogni.
Come sostenuto da Maria Montessori, « si mette la scuola in casa; non solo, ma
si mette in casa come proprietà collettiva»306
, in cui il ruolo dell’insegnante non è più
quello di guida o di organizzatrice delle attività dei piccoli in maniera tale da indirizzarli
a scopi prestabiliti. Essa è direttrice delle attività sia individuali che sociali dei bambini:
302
Cfr. ibidem. 303
Cfr. ivi, p.79. 304
Cfr. ivi, pp. 156-159. 305
Cfr. M. Montessori, La mente del bambino. Mente assorbente, La Feltrinelli, Milano 1995, pp.44-49. 306
Cfr. ivi, cit. p.83.
76
quindi più che impartire ordini o comandi, diventa consigliera, aiuta, stimola, i suoi
bambini; ma soprattutto rimuove gli usuali premi e castighi307
. Una grande
responsabilità, in questo nuovo ambiente, costruito a misura di bambino, grava sul
materiale didattico, detto anche di “sviluppo”, in quanto agisce sull’attività sensoriale
stimolando lo sviluppo dell’intelligenza poiché è adatto ai processi dell’evoluzione
infantile308
.
Sulla scia di questa prospettiva Montessori giunge ad una conclusione: l’insieme
degli oggetti e dei materiali selezionati per stimolare la sensibilità infantile formano
l’ambiente. L’esperienza libera, non guidata, sia nel caso di un ambiente naturale, sia
nel caso dell’asilo froebeliano, in cui, seguendo il cosiddetto “metodo oggettivo”,
l’educatrice si limitava a proporre al bambino gli oggetti (senza preoccuparsi di dargli la
giusta sistemazione), consentiva un accumulo di immagini ma senza progressione, né
efficacia didattica, con il rischio di risultare fuorvianti. Anche se da sempre si era
pensato che l’immagine e la logica permettevano al bambino lo sviluppo dei sensi, che
lo avrebbe portato poi, all’individuazione di nuovi contenuti309
.
La moderna visione scientifica della pedagogia si indirizzava verso una nuova
scoperta, l’educazione sensoriale: attraverso le giuste stimolazioni e gli opportuni
esercizi, infatti, il bambino avrebbe potuto raggiungere una corretta educazione;
occorreva pertanto offrire gli stimoli, in modo tale da consentire un ordine
progressivo310
. In questo modo, l’utilizzo dei materiali e gli esercizi sensoriali non
poteva limitare, ma piuttosto avrebbero liberato nel bambino, le sue capacità più
profonde e creative; in maniera tale da consentirgli di esprimersi e regolarsi secondo i
propri ritmi (che così non sono più decisi dalla maestra) e le proprie capacità311
. Lo
sviluppo di nozioni e abilità fondamentali in campo grafico, alfabetico e aritmetico, è
interamente spontaneo, in quanto scaturisce da una corretta educazione sensoriale312
.
La maestra montessoriana insegna, dunque, poco perché quando constata che un
bambino è in grado di dirigere da solo la propria attività, si limita ad osservarlo. Maria
307
Cfr. ivi, pp.55-56. 308
Cfr. M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Garzanti, Milano 2000, p.67. 309
Cfr. ivi, pp.57-63. 310
Cfr. ibidem. 311
Cfr. ivi, p.122. 312
Cfr. ibidem.
77
Montessori ha, quindi, attribuito alle proprie insegnanti il titolo di “ direttrice” ma non
inteso come chi ha alle proprie dipendenze qualcuno da controllare, piuttosto come chi
funge da “guida” delle attività svolte dal bambino in maniera spontanea313
.
Montessori fortemente convinta che la struttura psichica del bambino è diversa
da quella dell’adulto, parla, specie nelle ultime opere, di una «mente assorbente» in
quanto «la mente del bambino prende le cose dall’ambiente e le incarna in se
stessa»314
. Così il bambino “crea se stesso”, il proprio mondo interiore, crea una propria
“carne mentale” e le proprie reazioni con il mondo in maniera inconscia, senza saperlo
(mentre invece l’adulto non riesce ad imparare se non in maniera conscia, cioè
razionale). La “mente assorbente” così delineata da Montessori, assimila e sistema le
immagini “mettendole al servizio del ragionamento”, poiché è proprio per quest’ultimo
che il bambino assorbe le immagini315
. «Indubbiamente il periodo infantile è un periodo
di creazione; nulla esiste all’inizio, ed ecco che circa un anno dopo la nascita il
bambino conosce ogni cosa. Il bambino non nasce con un po’ d’intelligenza, un po’ di
memoria, un po’ di volontà, pronte a crescere e a svilupparsi nel periodo successivo.
Non si tratta di sviluppo, ma di creazione, la quale parte da zero. Il meraviglioso passo
compiuto dal bambino è quello che lo conduce dal nulla a qualche cosa, ed è difficile
per la nostra mente afferrare questa meraviglia. […] Il bambino crea la propria “carne
mentale” usando le cose che sono nel suo ambiente. Abbiamo chiamato il suo tipo di
mente “mente assorbente”. È difficile per noi concepire la facoltà della mente infantile,
ma senza dubbio la sua è una mente privilegiata»316
.
Da questa citazione, tratta dalla sua opera La mente del bambino, possiamo
sicuramente intuire la forte convinzione della Montessori, secondo cui il bambino è
dotato di una forte sensibilità, così intensa da essere in grado di impadronirsi del mondo
che lo circonda attraverso l’esperienza e la vita stessa. È proprio della mente infantile
“assorbire” le caratteristiche del mondo che lo circonda, farle sue e crescere per mezzo
di esse in modo spontaneo e naturale, senza compiere particolari sforzi cognitivi317
.
313
Cfr. ibidem. 314
M. Montessori, La mente del bambino. Mente assorbente, cit. p. 67. 315
Cfr. ivi, pp.123-124. 316
Cfr. ivi, cit. pp. 22-24. 317
Cfr. ibidem.
78
Le osservazioni psicologiche montessoriane appaiono oggi approssimative, ma
di certo la portata innovatrice della pedagogia montessoriana ha comportato sia
considerazioni positive che negative. Di solito ad essa viene rimproverata una certa
rigidità circa l’educazione dei sensi e l’uso dei materiali, la scarsa importanza attribuita
al disegno e alla creatività318
. È stato talvolta sottolineato da alcuni studiosi, un certo
isolamento del bambino montessoriano dal contesto sociale, un’enfasi eccessiva rispetto
alle dimensioni dell’ordine e del silenzio, nonché una certa precocizzazione degli aspetti
istruttivi319
. Ma bisogna riconoscere che comunque, ancora oggi, in moltissimi Pesi del
mondo, e si dimostra un’efficace approccio all’educazione infantile, perché c’è sempre
più la necessità di costruire un mondo nuovo a partire dal rispetto delle bambine e dei
bambini320
.
Le novità metodologiche di Maria Montessori possono essere attribuite ad una
sua visione “aperta del mondo”, ella infatti fin dal 1913 intraprese un viaggio alla volta
dell’America, dove ebbe una molteplicità di rapporti internazionali, anche se lei non
parlava l’inglese (ma lo capiva), con “spirito coraggioso” comunicava, faceva lezione
ed era ascoltata e ricercata. È in America, intorno agli anni ’40 che conobbe, il
movimento dell’educazione progressiva, in quegli anni, si stava sviluppando, infatti, il
dibattito tra scuola attiva, scuola tradizionale, e scuola progressiva; e lei, si fece
portavoce della scuola progressiva. Possiamo parlare di Maria Montessori come di un
“personaggio internazionale”, un’italiana che in tempi piuttosto brevi, ebbe successo in
America, in particolare a San Francisco, a questo proposito ricordiamo l’esperienza
dell’aula con le pareti di vetro, che la gente osservava meravigliata, in cui vi erano dei
bambini che ascoltavano silenziosamente le sue parole. Caratteristico di Maria
Montessori è proprio questa sua “espansione culturale”321
. Ella non rimase fissa nel
tempo in cui viveva, non si soffermava allo studio della storia, ma si proiettava al
futuro, tant’è che sosteneva: «siamo rinchiusi in un orizzonte senza orizzonte, in un
318
Cfr. ivi, p.109. 319
Cfr. ivi, pp. 38-45. 320
Cfr. ibidem. 321
Cfr., ivi, p.67.
79
orizzonte chiuso»322
. L’autrice mediante le esperienze più d’avanguardia della cultura in
cui viveva, credeva nello sviluppo della società.
Certamente la Scuola a cui si ispirava, era basata sugli studi positivistici, ma
successivamente, passò all’antropologia pedagogica, con la quale mirava ad un’azione
attiva e dinamica. Passò via via alla rivalutazione di una scienza non, dai contenuti
predefiniti, ma come spirito scientifico, e qui certamente si riferiva a John Dewey,
s’imbatte nei movimenti culturali che via via andavano sviluppandosi: la psicoanalisi,
la psicologia inglese, fino ad arrivare al movimento progressista323
. Sollecitata dal
professore presso il quale era assistente volontaria di psichiatria, cominciò ad occuparsi
dei bambini che erano nel manicomio, questi non erano “pazzi”, semplicemente, erano
ritardati e per questo erano stati abbandonati a se stessi. Così Maria Montessori
cominciò con Montesano, tenendo sempre presente gli studi di Itard e Séguin, creò le
basi della Casa dei Bambini. Quest’autrice vive in un’epoca in cui si sviluppano vari
movimenti, realismo, idealismo, positivismo, che la sottovalutano poiché non è una vera
accademica. Ella pur avendo, infatti, esperienze di insegnamento universitario, avrebbe
potuto preferire tra l’Università, e invece, opta per l’azione educativa. Dunque,
l’esperienza americana chiaramente modificò la sua prospettiva, grazie anche alla
psicologia sperimentale, alla pedagogia che si riferiva all’educazione progressiva con
Dewey, e i suoi allievi. Grazie a tutto questo modificò l’approccio, perché ricordiamoci,
che lei partì come positivista. Quindi queste trasformazioni, in definitiva, sono
avvenute, grazie a questo filtro dell’esperienza americana, da lei vissuta.
322
M. Montessori, Educazione e pace, cit., p.44. 323
Cfr. ivi, pp.55-57.
80
1.4.L’attivismo idealistico di Giuseppe Lombardo Radice
La storia della nascita della didattica viva è da attribuire a Giuseppe Lombardo
Radice, egli partì da una visione idealistica, approdò alla prospettiva deweyniana, grazie
ad Angelo Patri, che viveva in America, per poi sviluppare il movimento della “scuola
militante”. Tuttavia, pur essendo, la sua pedagogia fortemente influenzata dal
neoidealismo gentiliano, rimarca il concetto di un autosviluppo spontaneo del discente
fondato sulla centralità dell’alunno, ma che tuttavia insiste anche sulla necessità di
assicurare più concretezza e certezza, attraverso la sperimentazione, nel metodo
pedagogico324
.
Il merito principale che viene attribuito a questo grande pedagogista è il rinnovo
dell’educazione, attuato con la riforma della scuola elementare italiana (che prevedeva
tra l’altro la reintegrazione dell’insegnamento della religione), che ebbe il merito di
apportare delle innovazioni sia sul piano didattico che pedagogico. I “famosi”
Programmi del 1923325
, per la Scuola Primaria, che costituiscono uno dei capisaldi della
riforma Gentile, furono da lui elaborati. Alla base di questa organizzazione c’era una
concezione aristocratica della cultura e dell’educazione: una scuola superiore riservata a
pochi, considerati i migliori, vista come strumento di selezione della futura classe
324
Cfr. G. Lombardo Radice, Orientamenti pedagogici, Paravia, Torino 1931, p.10. 325
Cfr. M. Civra, I programmi della scuola elementare dall’unità d’Italia al 2000, M. Valerio, Torino
2002, cit. pp. 145-147: «Nel 1923 Gentile attuò la riforma scolastica, elaborata con Giuseppe Lombardo
Radice. Dal punto di vista strutturale Gentile organizzò la scuola secondo un criterio gerarchico e
centralistico. Una scuola di tipo aristocratico, pensata e dedicata “ai migliori” e non a tutti, e rigidamente
suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale
per il popolo e la classe lavoratrice. Le scienze naturali e la matematica furono quindi messe in secondo
piano, mentre le discipline tecniche ad esse correlate avevano la loro importanza solo a livello
professionale. L’obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci
anni. L’allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra quattro possibilità:
il ginnasio, quinquennale, che dava l’accesso al liceo (in seguito denominato liceo classico), al liceo
scientifico o al liceo femminile; l’istituto tecnico, articolato in un corso inferiore, triennale, seguito da
corso superiore, quadriennale; il corso inferiore dava accesso anche al liceo scientifico; l’istituto
magistrale, articolato in un corso inferiore, quadriennale, e in un corso superiore, triennale, destinato alla
preparazione dei maestri di scuola elementare; il corso inferiore dava accesso anche al liceo femminile; e
la scuola complementare di avviamento professionale, triennale, al termine della quale non era possibile
iscriversi ad alcun'altra scuola. Così solo i diplomati del liceo classico avrebbero potuto frequentare tutte
le facoltà universitarie, mentre ai diplomati del liceo scientifico sarebbe stato possibile accedere alle sole
facoltà tecnico-scientifiche. Agli altri diplomati era invece impedita l’iscrizione all’università. Alla base
di questa impostazione c’era una concezione aristocratica della cultura e dell'educazione: una scuola
superiore riservata a pochi, considerati i migliori, vista come strumento di selezione della futura classe
dirigente».
81
dirigente, da cui però ben presto Lombardo Radice si distaccò. Egli infatti, partendo dai
prìncipi della pedagogia filosofica e della “scuola attiva”, trasformò l’insegnamento,
contribuendo alla diffusione dell’istruzione popolare e alla lotta contro
l’analfabetismo326
. I suoi principi possono così essere sintetizzati: 1.1 L’universalità
dell’educazione oltre i limiti della famiglia e della scuola; 1.2. La didattica come
esperienza attiva sia del maestro che del discepolo; 1.3. La critica pedagogica, come
equivalente all’atto educativo327
.
Il pedagogista catanese, è fortemente convinto che la cultura pedagogica italiana
fosse troppo indirizzata al positivismo e che la scuola fosse troppo formale e ormai in
declino, teorizzò, una scuola di popolo, del popolo e per il popolo. Infatti, mentre il
positivismo parlava di allevamento e selezione, espressioni che si addicevano più alle
specie animali che ai bambini, costringendo in qualche modo anche la scuola a
muoversi in maniera autonoma staccandosi completamente dalle varie polemiche che si
susseguivano, Lombardo Radice vi oppose invece, una concezione idealistica328
. Il suo
è un discorso impiantato su due tesi in contrasto tra loro: da un lato la convinzione che il
soggetto è assolutamente unico, per cui ciò non permetteva la molteplicità individuale;
dall’altro invece, sosteneva la libertà degli individui, e li metteva in guardia dalle
differenziazioni, ma questo sicuramente in contrasto con la prima in quanto negava
l’unicità del soggetto329
.
La sua concezione filosofica è molto complessa ma il punto è che egli non nega la
dualità maestro-scolaro, piuttosto la coglie e la comprende nella sua distinzione, ma ciò
presuppone un’unità superiore330
. L’educazione allora, è sempre autoeducazione, in
quanto è unità, fusione delle due personalità, del maestro e dello scolaro: fortemente
convinto però, che l’educazione è condizionata da molti fattori esterni, sottolinea la
necessità di immettere l’atto educativo in una ambiente concreto, dove vi sono abitudini
326
Cfr. R. Mazzetti, Giuseppe Lombardo Radice tra l’idealismo pedagogico e Maria Montessori,
Giuseppe Malipiero, Bologna 1958, pp.12-13. 327
Cfr. ivi, pp.56-59. 328
Cfr. ivi, pp.34-38. 329
Cfr. ibidem. 330
G. Lombardo Radice, Lezioni di pedagogia generale. L’ideale educativo e la scuola nazionale,
Sandron, Firenze 1961, cit. p.280: « in realtà nessuna parola altrui, consiglio o incitamento noi seguiamo:
nessuna parola altrui, immagine o concetto noi ammiriamo o accettiamo se non in quanto ci parla con noi
esprime cosa che noi ritroviamo nel nostro spirito».
82
già consolidate, cosicché tra i due attori possa avvenire uno scambio, proprio come
aveva affermato Socrate e riaffermato Rousseau: educare da «ex-ducere»331
, nel senso
che l’alunno doveva poter essere messo nella condizione di “trarre fuori” quanto aveva
dentro. Sulla scia dei princìpi dell’attivismo, l’alunno non è mai un passivo recettore, è
semmai parte attiva del processo di apprendimento332
.
Questa compenetrazione di azione tra maestro e scolaro, emerge con chiarezza
nella definizione del concetto di autorità dataci dal Lombardo Radice, il quale considera
che anche l’adulto rispetta delle regole e obbedisce a valori e princìpi che ha fatto propri
con lo studio e i rapporti sociali, non agisce a piacere. Il bambino tendendo
all’emulazione dell’adulto, scopre che il proprio limite è la sua infantilità ed essendo
scontento di sé, cerca di superarla, l’importante è che però il bambino percepisca tutto
ciò333
. Ne deriva allora che le punizioni, l’accumulo di minacce e i divieti, secondo il
suo metodo educativo non sono utili a garantire l’ordine di questo pedagogista, e la
disciplina nella scuola. Anzi, più precisamente, egli ritiene che, potrebbero essere
utilizzati sia gli uni che gli altri, ma piuttosto quel che conta è che devono essere
interiori, in maniera tale che l’alunno li assuma come simboli e li acquisisca334
. Questa è
l’idea di Lombardo Radice: l’alunno diviene «discepolo di tutti, maestro di sé»335
.
Ma affinché possa realizzarsi questa funzione, è necessario che l’istruzione
scolastica non ripeta le oppressioni e le difficoltà che il bambino vive nella
quotidianamente in famiglia, piuttosto deve essere una scuola serena; da quì la
definizione che fu data a Giuseppe Lombardo Radice, di Maestro della Scuola
Serena336
. Per scuola serena egli non intende il contrario di scuola severa, ma
semplicemente una scuola non noiosa, il maestro che sovraccarica con la sua lezione
che ha già preparato a casa basandosi solo sul programma ministeriale, e che parla
sempre nello stesso modo e che soprattutto non vuole essere messo in discussione,
rende la scuola detestabile, opprimente e uggiosa, tutto l’opposto della scuola serena337
.
331
Cfr. ivi, p.45. 332
Cfr. ibidem. 333
Cfr. ivi, p.56. 334
Cfr. ibidem. 335
Cfr. ivi, pp. 123-127. 336
Cfr. P. Mulè, Il docente in Italia tra pedagogia scuola e società, Anicia, Roma 2005, pp.28-30. 337
Ibidem.
83
È chiaro che il maestro deve certamente aver preparato la lezione, deve aggiornarsi, ma
quello che intende Lombardo Radice è che il maestro deve andare a scuola per
comprendere delle anime, deve portare la vita nella scuola, unendola poi con quella che
vi portano i fanciulli carichi di esperienze338
.
Il maestro deve essere capace di lasciare fuori dalla classe tutto ciò che lo
riguarda: gioie, dolori, problemi economici, e quant’altro339
. Egli cercava di comprovare
la sua tesi sostenendo che «la migliore preparazione professionale del maestro è una
cultura non professionale»340
. Il maestro allora non deve esser solo uomo, ma anche un
artista, un creatore, un “ravvivatore di anime”, e visto che un ostacolo alla formazione
dell’anima potrebbe anche essere il maestro, è compito dell’educatore instaurare con
ogni singolo suo alunno un rapporto di affiatamento, così da poter rappresentare un
modello da emulare in cui l’alunno può leggere la propria anima.341
La lezione non
deve, dunque, essere eliminata, il maestro deve fare lezione, ma non in maniera rigida e
severa, bensì con il cuore.
Si delinea così nel pensiero del pedagogista catanese una figura di maestro che
non sia un mero ripetitore meccanico della lezione, ma colui che oltre a conoscere la
propria disciplina sia in grado di rendere quanto più possibile gli alunni partecipi, in
maniera tale che la lezione diventi dialogo, e i ragazzi possono discutere. Una Scuola
Serena dunque, in cui vi deve essere l’affiatamento tra i docenti, che è essenziale per
creare un’atmosfera familiare e che può assicurare al bambino spazi in cui muoversi
liberamente, ma soprattutto per garantire unità della didattica.
Da questo punto di vista ci accorgiamo che già molto prima dei Decreti Delegati
del ‘73-‘74342
, Lombardo Radice aveva intuito la necessità della progettazione didattica
338
Ibidem. 339
Cfr. ivi, pp.69-70. 340
Cfr. Lombardo Radice G., Lezioni di Didattica e ricordi di esperienza magistrale, S.A. Edizioni Remo
Sandron, Firenze 1946, cit. p.70. 341
Cfr. ibidem. 342
Si tratta di Decreti legislativi, emanati dal governo, su precisa delega del parlamento, con la quale, il
governo viene delegato ad emanare disposizioni aventi valore di legge. La legge Delega n.477 del 1973
prevede l’istituzione degli organi collegiali della scuola, con l’intento di realizzare una più attiva
partecipazione di tutte le componenti (docenti, studenti, genitori, personale ausiliario) nell’attività
educativa e nella gestione della vita scolastica. I Decreti Delegati emanati successivamente per dare
attuazione pratica e regolamentazione ai principi della legge delega n.477, riguardanti la scuola sono
cinque: il Decreto Delegato n.416-417-418-419-420, tutti emanati nel 1974. Il Decreto n.416, tratta:
Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica.
84
collegiale, per poter ottenere un esito positivo dell’apprendimento343
. Non vi sono
documenti che testimoniano dei curriculi scolastici o dell’organizzazione dei tempi e
degli spazi educativi, la cosa che conta, per l’autore, è l’unità dell’apparato
organizzativo. Egli sostiene che l’unità tra gli uomini, favorita dal processo educativo,
spiega alcuni princìpi organizzativi: quello della continuità e quello della unità-
molteplicità degli itinerari formativi. La struttura scolastica, infatti, deve favorire la
continuità attraverso l’unità del servizio formativo, ma continuità indica così,
un’organizzazione unitaria, ma non unica; nel senso che le scuole devono essere diverse
in maniera tale da poter rispondere alla diverse richieste formative della società344
.
Con questo pedagogista è impossibile parlare di metodo, anzi come diceva
Gentile «il metodo è il maestro»345
, ed egli fece sua questa tesi, per cui in sostanza il
metodo non è altro che un modo di vita del maestro. Giuseppe Lombardo Radice,
partendo dalla riflessione che la didattica fosse priva di un proprio spazio autonomo, e
per questo è sempre critica e alla ricerca di soluzioni da attuare nell’educazione,
pertanto sostiene che il metodo è la via da seguire, lo studio dell’ordine con cui gli
argomenti possono essere organizzati, la condizione di adeguamento del maestro a
quelle che sono le reali condizioni culturali dell’alunno346
.
Il compito del maestro è, dunque, quello di cercare di rinnovare in ogni allievo il
rapporto educativo, così lui lavora per tutti indifferentemente, e non per “ i migliori”,
anzi, anticipatore dell’attuale didattica, sostiene che il maestro, deve partire dai più
deboli e dai peggiori. Lombardo Radice ha applicato la sua concezione dell’educazione
principalmente nella scuola elementare, che deve fondarsi sul rispetto dell’infanzia,
tenendo conto delle caratteristiche psicologiche. Il bambino visto dal suo punto di vista
è fantasia, intuizione, sentimento e creatività, ed è compito della scuola tutelare queste
sue caratteristiche. Ecco che particolare cura doveva essere attribuita all’educazione
Il Decreto n.417: Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola
materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato. Il Decreto n.418: Corresponsione di un
compenso per lavoro straordinario al personale ispettivo e direttivo della scuola materna, elementare,
secondaria ed artistica. Il Decreto n.419: Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale
e professionale ed istruzione dei relativi istituti. Il Decreto n.420: Norme sullo stato giuridico del
personale non insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche. 343
Cfr. ibidem. 344
Cfr. ivi, pp.45-56. 345
Cfr. ivi, pp.167-168. 346
Cfr. G. Lombardo Radice, Educazione e diseducazione, La Voce, Firenze 1923, pp.45-46.
85
linguistica, che non poteva ignorare il dialetto, anzi era necessario muoversi da esso, in
quanto è la prima lingua viva che permette al bambino la scoperta delle tradizioni
popolari. Anche il disegno spontaneo è fondamentale, egli difende fortemente la valenza
degli “scarabocchi”, che possono far intuire al maestro l’interiorità dell’allievo. La
stessa religione deve essere poesia religiosa: canto, preghiera, ammirazione della vita di
Gesù, poesia dei racconti cristiani347
.
La pedagogia del Lombardo Radice contiene una novità importante: la critica
didattica348
. Contrario a quanti parlavano di un metodo valido per tutti, il Lombardo
Radice non negava la validità della metodologia. «L’abuso non è l’uso. I metodi si
debbono coltivare, ma senza l’intenzione di livellare le teste dei fanciulli, senza
dimenticare le differenze individuali»349
. È qui si colloca l’interessante teoria della
critica didattica, nella quale il pedagogista catanese si sofferma su una didattica viva,
nel senso di mettere in discussione in maniera critica l’opera educativa stessa, e un
modello diverso di maestro350
. Solo dopo aver visitato molte scuole elementari, si
informava, sempre con molto scrupolo, degli esperimenti educativi dell’Italia e
dell’estero; esponeva esperienze, fatti, cose; si procurava quaderni di bambini, diari di
maestri, discuteva relazioni, proposte, piani351
. Andava a visitare scuole nell’Agro
romano, in Umbria, in Lombardia, in Svizzera; raccoglieva materiali didattici, e poi
progettava, con gusto e con un senso vivo della vita educativa352
, il nuovo metodo. E
così egli poté inserirsi, spesso in maniera autorevole, nei dibattiti del momento
contribuendo tanto a far decretare, gli esperimenti rurali delle sorelle Agazzi a
Monpiano, positivamente.
Sicché « L’asilo di Monpiano, scrisse Lombardo Radice, unisce l’esercizio
(breve, ma frequente e sistematico) dell’analisi del parlare, all’esercizio del parlare
vivente, cioè all’uso della parole, come adeguazione di espressione a esperienza
vissuta; unisce l’esercizio di nomenclatura a quello della formazione espressiva; unisce
l’esercizio di discernimento dell’errore (grammatica senza grammatica ovvero
347
Cfr. ivi, pp.12-13. 348
Cfr. ibidem. 349
Cfr. ivi, pp.2-3. 350
Cfr. ivi, p.45. 351
Cfr. ivi, pp.34-36. 352
Cfr. ivi, pp.123-131.
86
grammatica infantile) alla spontanea accensione dell’attività espressiva nel minuto
conversare di bambini fra di loro e di maestra con i bambini»353
.
Queste parole tratte dalla sua opera più importante Lezioni di didattica e ricordi
di esperienza magistrale sono state il punto di avvio per la preparazione pedagogica
degli insegnanti, ma soprattutto per il rinnovo della coscienza culturale354
. Si occupò
anche della Montessori, di cui condannava l’eccessiva dose di tecnicismo anche
verbale, a suo parere dovuto al fatto che ella proveniva dalla medicina e dal positivismo
scientifico, tuttavia riconosceva che sicuramente il metodo montessoriano era stato
liberatore del bambino, grazie ad alcuni accorgimenti: l’eliminazione del banco e
dell’opprimente intromissione dell’insegnante, mirando piuttosto a rendere il bambino,
capace, sano e forte355
.
Qui sicuramente si riscontrano i pensieri di molti prestigiosi autori quali
Pestalozzi, Aporti, Agazzi, Montessori e Dewey, secondo la percezione che la scuola
preparando alla vita gli allievi, è vita stessa. In questo senso Lombardo Radice analizza
pienamente il problema didattico, della relazione apprendimento-insegnamento,
chiarendo i singoli problemi che potrebbero pervenire. Oggi, del Lombardo Radice, ci
sono rimasti alcuni concetti chiave da lui rivolti al maestro perché sia coscienzioso nel
suo compito, quali: la sfiducia nei metodi prefabbricati; l’interesse aperto per tutte le
esperienze; nonché il senso concreto di ogni forma di istituzione educativa356
. Insomma
il modello di scuola da lui presentato è quello di una scuola che nasce per l’alunno e non
per il maestro.
Ma si deve rilevare anche la limitata applicabilità dei metodi di questo
pedagogista catanese nella scuola della città, leggendo le pagine delle sue opere, ci si
addentra in orizzonti di paesi rurali e agresti. Non si trova la scuola di città, specie
quella delle grandi città dell’alta Italia, dove vi sono le grandi fabbriche industriali,
basate sul commercio357
. Non si capisce come si possano condurre i bambini nei campi,
come ci si possa dedicare all’organizzazione del giardinetto scolastico, del pollaio, in
353
Cfr. ibidem. 354
Cfr. ivi, pp.78-80. 355
Cfr. ibidem. 356
Cfr. ivi pp.73-74. 357
Cfr. ivi, pp.45-56.
87
scuole cittadine, laddove ogni giorno tantissimi alunni si ritrovano nel medesimo
edificio. La sua è una scuola tipicamente rurale, adatta al meridione, una scuola-asilo.
Ecco spiegate le sue simpatie per metodi quali quelli delle Agazzi, metodi
fondamentalmente di campagna, e l’antipatia per un metodo, come il montessoriano,
che si adattava in maniera più specifica ai grandi centri metropolitani358
. Il bambino che
vive in una zona rurale e che cammina nella stradina di campagna, in cui non vi sono nè
scritte, nè giornali, nè vetrine di librerie; per cui può anche non saper leggere per molto
tempo. Ma il bambino che vive in città, dove è letteralmente “assalito” da immagini e
scritti di ogni tipo, sicuramente svilupperà molto prima, un interesse per la lettura359
.
In buona sostanza, la scuola teorizzata da questo pedagogista catanese è un
scuola in cui non tanto si spiega e si ripete, ma in cui tutti i soggetti coinvolti devono
partecipare ad una continua esplorazione della natura e dell’anima; come in un
laboratorio, nel quale bisogna partecipare al lavoro comune, che comunque non è lo
stesso per ciascuno, ma adeguato alle capacità di ciascuno360
.
358
Cfr. ivi, pp.45-48. 359
Cfr. ibidem. 360
Cfr. ibidem.
88
Capitolo II
IL PROBLEMA DELL’EDUCAZIONE INFANTILE
NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
2.1. L’educazione infantile nell’attuale scuola dell’infanzia
Nel seminario Scuola e Democrazia oggi che ha analizzato il terzo numero della
rivista «Scuola Democratica. Learning for Democracy», si è riflettuto su una domanda,
presente nella rivista, così posta: “La scuola deve perseguire soltanto finalità di
trasmissione delle conoscenze e d’istruzione, oppure anche finalità di educazione? 361
”
Ecco che è proprio da questo quesito che prende avvio il tema dell’educazione infantile
nell’attuale scuola dell’infanzia362
.
Per potere rispondere in maniera opportuna a questo quesito che ancora oggi
rimane una questione aperta, ma che tuttavia, nel dibattito pedagogico, ha radici storiche
abbastanza lontane, dobbiamo inevitabilmente ripercorre parte della storia della
pedagogia. Questa ci ha permesso, infatti, di mettere in evidenza, la differenziazione di
due concetti tanto fondamentali, quanto imprescindibili, nel processo educativo:
educazione ed istruzione363
.
Affrontando, nell’ambito pedagogico, il problema dell’educazione vengono
evidenziati i diversi soggetti a cui spetta il compito di educare e d’istruire, che nello
specifico sono: la famiglia e la scuola. La questione dell’educazione è antichissima,
sappiamo, infatti, che il bambino, deve essere educato, in quanto, se è vero che, sin dalla
361
Cfr. Scuola Democratica. Learning for Democracy, nuova edizione n°3, 2011, p.2 362
Cfr. R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Laterza, Roma-Bari 1997, pp.28-32. 363
Cfr. ibidem.
89
nascita, fruisce di varie informazioni: sociali, psicologiche e culturali, è vero anche che,
nel corso degli anni, affinché maturi, queste informazioni devono essere sviluppate, in
maniera tale da consentirgli di adattarsi all’ambiente in cui vive364
. L’educazione è,
perciò, la costruzione della personalità, che si compie, attraverso la connessione tra i
vari aspetti costitutivi della persona. Sulla base di quanto detto, possiamo tratteggiare
tre considerazioni: 1.1. L’educazione è un’azione che mira allo sviluppo degli aspetti di
cui l’uomo è già costituito. 2.1. È volta all’attualizzazione delle potenzialità innate
dell’individuo, al fine di adeguarsi, ai modelli sia sociali che culturali dell’ambiente
sociale in cui il soggetto vive. 3.1. È un processo che avvia l’uomo al compimento della
sua personalità365
.
Sinteticamente possiamo affermare che «l’educazione, è la formazione della
personalità considerata in maniera complessiva, che cerca di creare un’armonia tra i
vari aspetti costitutivi della persona che cresce in un determinato ambito culturale»366
.
Educare, dunque, significa indirizzare l’uomo ad esperienze che ne favoriscono
l’autosviluppo della personalità, al fine di definirla e differenziarla in rapporto alle
diverse situazioni socio-culturali e all’influenza dell’ambiente esterno. Ecco che
l’educazione è, dunque, quel processo logico di formazione che si avvia, attraverso
varie esperienze sociali, al raggiungimento di un risultato finale. Tutto ciò, però,
presuppone trasformazioni, innovazioni, che modificano il comportamento
dell’educando, egli deve sviluppare, infatti, le sue qualità, le sua attitudini, i suoi modi
di agire367
.
Il processo educativo, quindi, parte dall’identità infantile per arrivare poi
gradualmente alla strutturazione del sé, e all’apertura verso gli altri. Tale processo parte
dal presupposto che tutti gli aspetti della personalità che deve essere formata siano, non
isolati fra loro, ma piuttosto integrativi e connessi ai rapporti sociali. Attenendosi a
quanto sopra detto, secondo la visione tradizionale, la prerogativa della famiglia era
l’educazione, in quanto l’educazione consisteva nel trasmettere valori, mentre invece
364
Cfr. ivi, pp.22-26. 365
Cfr. M.Vegetti, La città educa gli uomini, in E. Becchi, Storia dell’educazione, La Nuova Italia,
Firenze 1987, P.45. 366
Cfr. ivi, p.89. 367
Cfr. ivi, p.29.
90
alla scuola spettava l’istruzione. Quest’ultima era intesa come un modello teorico
secondo cui la formazione del bambino avveniva con l’acquisizione e l’elaborazione di
stimoli o informazioni provenienti dall’esterno. L’istruzione era, dunque, la
trasmissione di nuovi concetti, a cui conseguiva l’acquisizione di nuove competenze e
capacità, tali da plasmare l’alunno368
. A seconda del punto di vista preso in
considerazione, potremmo affermare che l’istruzione si dipana nella logica dei modelli
comportamentista, empirista e positivista; l’educazione è orientata, invece, più dal
modello idealista, razionalista e personalista369
. Allora, il senso dell’antinomia tra
educare e istruire cambia totalmente a seconda che ci si riferisce ora al versante
epistemologico ora a quello teorico370
.
Spetta alla pedagogia l’individuazione di un’esperienza professionale
trasversale, rispetto, sia al ruolo dell’educatore che a quello dell’insegnante. Purtroppo,
siamo reduci di una cultura che ha disgiunto i processi didattici da quelli psicosociali e
che, si erige, su una concezione ancora troppo tradizionale, basata su metodologie
educative ed istruttive, troppo differenziate371
. Oggi sappiamo, però, che il ruolo della
scuola non può più essere ridotto alla trasmissione dei contenuti, essa ha, infatti, il
compito di sostenere e aiutare la famiglia, a che i discenti raggiungano anche traguardi
di competenza. La questione è, dunque, capire se la scuola ha davvero solo il compito
d’istruire, anche in considerazione di quanto illustrava la teoria gentiliana, secondo cui
la scuola è il luogo privilegiato per giustificare la teoria filosofica, che si manifestava
concretamente nel rapporto docente-discente, nel momento della lezione. L’atto
comunicativo-educativo diventava, dunque, l’elemento centrale in cui si esplicitava
questo rapporto372
. Un dibattito che poi noi oggi rinveniamo alla luce di un motto
gentiliano: “chi sa, sa anche insegnare”, che rispecchia un po’ anche la critica della
didattica373
. Per cinquant’anni abbiamo avuto un modello di scuola (che ancora oggi per
certi versi, riscontriamo nelle scuole secondarie), in cui vi erano dei docenti legati ad un
368
Cfr. G.Zavalloni, La pedagogia della lumaca. Per una scuola lenta e solidale, EMI, Bologna 2008,
pp.32-36. 369
Cfr. ivi, pp.90-92. 370
Cfr. ivi, pp.133. 371
Cfr. ivi, pp.102-105. 372
G. Gentile, La pedagogia filosofica di Giovanni Gentile, Franco Angeli, Milano 1999, p.56. 373
Cfr. ivi, pp.16-17.
91
certo tipo di formazione e che ritenevano che insegnare una disciplina significasse farla
apprendere agli studenti, attraverso la lezione frontale, la trasmissione dei contenuti374
.
Da allora vi sono stati tanti cambiamenti, innanzitutto è cambiato il ruolo del
docente; è cambiato il modo d’intendere la maestra e il professore, ecc. Ma quello che è
molto importante è che nel secondo dopoguerra in Italia abbiamo avuto un modello
pedagogico che ha subito l’influenza del paradigma delle scienze dell’educazione, tanto
da concepire la pedagogia come scienza dell’educazione, e ciò ha trasformato in
qualche misura (almeno nel dibattito scientifico) anche la struttura della scuola375
.
Agli albori la pedagogia si riferiva, infatti, all’azione dell’insegnante e
dell’educatore non aveva, perciò, una dimensione autonoma, era anzi considerata, un
sotto settore della filosofia, come l’etica o come la politica. Sussistevano, dunque, due
oggetti di studio della pedagogia: da un parte, le capacità pratiche per la trasmissione
della cultura, e dall’altra, le considerazioni filosofiche inerenti la morale.
Ma nel panorama pedagogico odierno il termine “formazione” ha sostituito
quello tradizionale di “educazione"”, e ciò ha prodotto, sicuramente, un variazione
concettuale, tant’è che dal concetto di e-ducere, inteso come «acquisizione di forma»
attraverso azioni intenzionali, di direzione di un soggetto nei confronti di un altro, si è
passati ad un’estensione del soggetto, che ora, agisce autonomamente376
. Da questa
trasformazione lessicale è, inevitabilmente, derivata una nuova definizione scientifica
della pedagogia, rilevata dalla sostituzione di ciò che precedentemente era intesa
(l’educazione) come conformazione sociale o processo interiore, che ora, viene
sostituita dalla nozione di processo formativo, in cui acquistano un ruolo considerevole
sia le potenzialità proprie di ogni individuo che la sua intenzionalità377
.
L’esperienza pedagogica che ci è stata testimoniata dalle opere e
dall’insegnamento di Riccardo Massa, rende attiva la relazione tra la prassi formativa e
la richiesta teorica, dimostrando che esistono nuovi metodi per esplorare il campo
374
Cfr. ivi, pp.78-79. 375
Cfr. ibidem. 376
Cfr. F. Cambi, Fondamenti teorici del processo formativo. Contributi per un’interpretazione, Liguori,
Napoli 1997, pp.6-9.
377
Cfr. ivi, p.45.
92
educativo e nuove trasformazioni del mondo della formazione378
. Il sistema educativo
del XX secolo viene da lui definito come: «un palazzo che si regge su quattro pilastri,
essi rappresentano insieme i fini e le funzioni che rendono possibile ai giovani un
apprendimento umanamente significativo, precisato in questo modo: imparare a
conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere»379
. È
necessario quindi pensare a creare un sistema educativo di istruzione e formazione
rigenerato e ricreato, non semplicemente aggiornato380
.
La scuola è diventata l’oggetto di due aree d’influenza decisamente distinte. Da
un lato le questioni didattiche, dall’altro le problematiche educative e psicologiche. Il
dilemma che viene proposto dall’autore diviene: educare o istruire? Apparrebbe che
oggi educare è esibizione dei valori e istruire trasmettere tecniche. Ma così anche l’idea
di istruzione, oltre a quella di formazione, viene del tutto inficiata. A proposito di ciò, è
possibile individuare una distinzione tra coloro che sono dalla parte dell’istruzione in
quanto credono che l’uomo sia un animale educabile all’infinito; e coloro che ritengono,
invece, che l’uomo sia sottoposto a delle leggi di sviluppo da cui l’apprendimento è
limitato da quella dell’educazione. Se quest’ultima è il nutrire, riguarda processi
naturali381
.
All’interno della scuola sembra che ogni modello di formazione sia scomparso,
per di più la formazione viene intesa come modellamento della propria individualità
secondo un certo stile, che però, ad oggi sembra essere, l’imitazione degli stereotipi più
comuni delle trasmissioni televisive382
. Il paradosso è che le attuali chance educative
proposte sia dall’evoluzione tecnologica, sia da un contesto di pluralità che permette di
uscire dai modelli univoci e totalizzanti, insieme ai bisogni che ne conseguono, ha
generato il regresso dell’istruzione scolastica.
378
Cfr. R. Massa, Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Unicopli,
Milano 1988, pp.3-5. 379
Cfr. L. Corradini, Educazione alla convivenza civile. Educare, istruire, formare nella scuola italiana,
Armando, Roma 2003, cit. p.2-3. 380
Cfr. ivi, p.10. 381
Cfr. ivi, pp. 44-48. 382
Cfr. ivi, p.7.
93
Il problema è, infatti, che mancano le iniziative capaci di proporre nuovi progetti
e percorsi volti alla formazione personale383
. Una scuola che educa sarebbe una
istituzione che accetta le disuguaglianze tra gli allievi come un dato di natura. Ecco
perché i teorici dell’istruzione sostengono che la scuola, per essere democratica, deve
istruire. Non deve imprimere valori e agire sulle condotte morali, ma solo stimolare
l’acquisizione di nuove conoscenze e capacità. Non è più tollerabile un dibattito che
vuole distinguere i sostenitori dell’educazione e quelli dell’istruzione. Il problema è
male impostato. Occorre chiedersi, piuttosto, quali siano le categorie e gli schemi
concettuali attraverso l’esperienza scolastica può essere compresa, dopodiché si discute
su quel dilemma sopra accennato, che da Massa viene definito «fasullo ma rilevante e
significativo»384
.
È, dunque, alla pedagogia che viene affidato il compito dell’individuazione di
una competenza professionale trasversale rispetto tanto al ruolo di educatore quanto a
quello di insegnante e di formatore. La formazione viene intesa come «attività
intenzionale e organizzata d’insegnamento e apprendimento o come evento
involontario, come processo diffuso e spontaneo, come fenomeno sociale o esperienza
individuale»385
. Ecco che allora non è il concetto di formazione che ci consente di
pensare l’educazione, ma piuttosto è la determinazione di quest’ultima come organismo
della concretezza e della proceduralità in atto in qualsiasi ambito di esperienza e in ogni
fase della vita che ci permettere di avvicinarci all’idea di formazione da un punto di
vista pedagogico. L’educazione, dunque, come «dispositivo pratico-discorsivo di
soggettivazione e assoggettamento»386
.
Il paradosso della scuola resta, comunque, quello di istruire la propria
separatezza dalla vita sociale mirando all’interazione con essa, che ci dia la possibilità
di creare un contesto specializzato in cui riprodurre qualche cosa di naturale e di
importante. La scuola è uno spazio protetto di transazione e di transizione, di falsità e di
ipocrisia, di conciliazione e di avviamento, ma anche di contatto diretto con la realtà.
Nel ripensare la forma-scuola può essere utile richiamare quanto menzionato, a
383
R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, cit. p8. 384
Cfr. ivi, p.29. 385
Cfr. ivi, p.115 386 R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, cit. p.115.
94
proposito della impossibilità e della necessità, da Luhmann, di utilizzare i codici
simbolici che costituiscono i media comunicativi della vita sociale: il codice dell’amore,
della verità, del denaro, e del potere. In realtà nessuno di questi può essere usato dentro
la scuola.
L’autore sostiene che «a scuola non sono praticabili la sessualità, l’esperienza
diretta delle conoscenze, il soddisfacimento dei bisogni, la forza fisica. A scuola non si
può amare, né far circolare denaro, pronunciare la verità o esercitare il potere »387
.
Per la riflessione pedagogica, oggi, si pone, quindi, la difficoltà di organizzare
un modello strutturale che sia in grado di far fronte alle nuove esigenze formative che
emergono dall’attuale complessità e poliedricità della società. Questo passaggio della
pedagogia alle scienze dell’educazione, prodotto con l’accettazione al modello
empiristico, ha modificato la pedagogia in un “sapere plurale”, articolato in più
discipline, dunque, pluridisciplinare e transdisciplinare ma, soprattutto, non
preorganizzato, che ha determinato sia variazioni metodologiche che
epistemologiche388
.
Il processo di formazione può essere inteso come una sorta di paradigma
integrato, interessato alle variabili che mutano i processi di sviluppo degli individui, sia
nella prospettiva cognitiva che affettiva e relazionale, nascente dalla connessione tra
scienze biologiche, filosofiche ed umane. Nel corso degli anni, la pedagogia si è
sviluppata, fino al punto da individuare come necessaria, l’analisi dell’interazione tra
«contenuti curricolari e processi cognitivi del soggetto», ossia tra le conoscenze
culturali e scientifiche che l’alunno deve acquisire; nonché l’individuazione di una
metodologia individuale e differenziata per ogni alunno. In questa prospettiva sono
state diverse le interpretazioni, a partire dai primi anni del ‘900 ad oggi, proprio
nell’ambito dei modelli pedagogici della scuola che si sono intersecati389
.
Ma quello che qui, voglio evidenziare, è che questa nuova concezione attribuita
alla pedagogia, che diventa scienza dell’educazione, mette in evidenza in nuovo
soggetto: famiglia. Ciò avvenne proprio, con i Programmi scolastici di Washburne.
387
Cfr. pp.121-123. 388
Cfr. L. Borghi, Prospettive dell’educazione elementare in Europa, La Nuova Italia, Firenze 1980,
pp.97-99. 389
Cfr. ibidem.
95
Egli, formato ai princìpi della scuola attiva, pianificò nuovi Programmi, i primi in Italia
dopo l’esperienza fascista, per la scuola materna ed elementare390
. Differentemente dai
precedenti corsi di studio, questi Programmi, erano finalizzati alla scoperta delle
capacità, delle inclinazioni e degli interessi degli allievi, a che potessero essere
avvalorati i loro bisogni di salute affettiva, fisica e mentale391
.
Questi prevedevano l’insegnamento della lettura, della scrittura e del far di
conto, per tutti gli alunni senza distinzioni, il merito di aver eliminato le
differenziazioni tra scuole di campagna e di città, maschili e femminili, viene attribuito,
infatti, proprio a Washburne. Secondo l’autore, essendo impossibile individuare
progetti educativi che tenessero conto di tutte le esigenze, nel Winnetka, egli elaborò
vari tipi di progetti con differenti finalità formative392
. L’esperienza avviata da
Washburne fu tra i progetti più interessanti della progressive education. Le scuole
progressive erano già nate, nel 1815, grazie all’idea del colonnello Parker. Nei
Programmi troviamo impronte positive dell’intervento deweyano, in quanto, oltre al
collegamento tra scuola e ambiente, l’idea centrale è la partecipazione della famiglia,
venne istituito, infatti, il Consiglio insegnanti-genitori e il Consiglio di direzione, come
simboli del concetto di scuola come comunità democratica393
.
Le scuole progressive erano nate, proprio, grazie alla collaborazione delle
famiglie che, partecipando a questi Consigli, collaboravano con i docenti. Questo nuovo
modello di scuola, però provocò, la chiusura di molte scuole tradizionali militanti, così a
390
Cfr. ivi, pp.56-59. 391
Cfr. ivi, pp.156-157. 392
L. Borghi, Prospettive dell’educazione elementare in Europa, cit. p.125: «Il curricolo fu suddiviso in
due sezioni: i Progetti ad hoc e il Programma di sviluppo. I primi programmavano le attività finalizzate
all’apprendimento di conoscenze essenziali, il secondo, invece, attività di cooperazione per la
promozione di attitudini, che connettevano gli interessi personali alla cooperazione sociale, quali: le
attività di comune interesse, i clubs, i gruppi di hobbies e le attività creative di gruppo. Le attività dei
primi tre tipi, pur essendo svolte in gruppo, avevano l’obiettivo di coltivare le attitudini individuali di
ciascun alunno, mentre le attività creative erano più orientate a sviluppare la coscienza sociale. I gruppi
di interesse comune prevedevano arte, danza creativa, danza folcloristica, esperimenti di chimica, cucina,
elettricità, lavoro manuale, fotografia, teatro dei burattini. Nella proposta di Washburne i Progetti ad hoc
e il Programma di sviluppo si distinguono nel fatto che i primi, sono più dettagliati. Le attività previste
nei secondi sono soggette, invece, alla scelta degli alunni, ma comunque sempre nel rispetto dell’orario
scolastico, a queste possono aderire tutti gli alunni, in quanto son considerate parte integrante del
curricolo. I saperi primari sono matematica e lingua materna (parlata, scritta, lettura). Lo studio di queste
materie avveniva con un metodo individualizzato. Le attività di studi sociali e scienze naturali erano più
libere, si basavano, infatti, su visite ai musei e alle biblioteche, dibattiti in classe, visione di
documentari,[…]». 393
Cfr. ivi, pp.111-113.
96
Chicago del sud, per ripristinare la situazione, queste scuole furono chiuse. Le famiglie,
in seguito ad una serie di rivoluzioni, si spostarono, però a nord di Chicago, e qui,
fondarono nuove scuole progressive, da cui partì la loro diffusione, che qualche anno
dopo, iniziò ad avviarsi anche in Italia394
. Questi propositi resteranno, tuttavia, inattuati
fino al 1974, anno in cui verranno emanati i Decreti Delegati, i documenti ufficiali, in
cui viene sancita l’obbligatorietà di una rappresentanza dei genitori, ed è così, che la
famiglia fece il suo ingresso nella scuola. La scuola da sola non può, infatti, ottemperare
all’educazione, deve necessariamente instaurare un solido rapporto con la famiglia395
.
Quando ci si occupa di emergenza educativa o comunque di problematiche
educative, bisogna riflettere su come anche altri approcci (l’antropologia, il diritto, ecc.)
possono diventare fondamentali soprattutto perché, se applicati alla scuola, diventano
discipline che acquisiscono dimensioni pedagogiche396
. Oggi c’è bisogno di questo, e
sono pienamente d’accordo con la Mulè quando sostiene che «al centro dell’attenzione
dovrebbe esserci lo studente, l’allievo, la persona»397
. Perché prima ancora di agire sul
piano educativo si dovrebbe investigare e andare ad individuare come “docente
investigator” sulle lacune, i bisogni, i talenti degli studenti e poi magari realizzare dei
percorsi formativi personalizzati, e allora inevitabilmente per individuare i bisogni, i
talenti, e anche per comprendere i processi di apprendimento, oltre che i processi
d’insegnamento del docente, bisogna riflettere su cosa succede nella mente, come
avviene questo processo di apprendimento.
Purtroppo tutto questo oggi nelle scuole manca, è un concetto che non si è
ancora diffuso nelle scuole. L’apertura intrapresa nel XX secolo è stata determinata da
una concentrazione, oggi, degli studi su una cultura magistrocentrica piuttosto che
puerocentrica, ne consegue che non dovremmo più lavorare come accadeva con Gentile
e Lombardo Radice398
.
L’odierna considerazione per l’infanzia e la scuola si fonda su una maggiore
consapevolezza dei diritti del bambino, che oggi sono riconosciuti anche dalla
394
Cfr. ibidem. 395
Cfr. ivi, p.19. 396
Cfr. ivi, pp.57-65. 397
Cfr. ivi, pp.34-35. 398
Cfr. ivi, p.39.
97
Costituzione nel quadro dei diritti della persona e che vengono, più volte, ribaditi anche
negli atti degli Organismi Internazionali, e si legano alle trasformazioni sociali e
culturali sempre più frequenti, in atto nel nostro tempo399
. Ma il rapporto tra educazione
istruzione e formazione si avvia, non solo, nell’ambito delle scuole dell’obbligo, quanto
anche nell’ambito della scuola dell’infanzia, tanto più, che già, come abbiamo visto con
Montessori, da tempo non si parla di scuola materna, piuttosto di scuola dell’infanzia400
.
L’infanzia ha ormai, un ruolo privilegiato, i bambini devo raggiungere anche
nell’ambito della scuola dell’infanzia, obiettivi educativi401
e formativi402
. Se questi
obiettivi, nel corso dei tre anni di scuola dell’infanzia, non vengono raggiunti, non
saranno in grado di affrontare l’esperienza della scuola elementare. La legge 444/68403
399
Cfr. ivi, pp.78-79. 400
Cfr. ibidem. 401
Tra gli obiettivi educativi rientrano: il rispetto delle regole della classe, il rispetto dell’ambiente di sé e
degli altri, l’ascolto, l’intervento opportuno, il rispetto dell’insegnante e dei compagni. 402
Tra gli obiettivi formativi rientrano: comprendere la necessità di rispettare le regole e le norme sociali
fondamentali, conoscere sé stessi e rafforzare la propria identità, interagire in maniera costruttiva con
adulti e coetanei, vivere e sperimentare forme diverse di espressione e comunicazione anche in contesti di
gioco libero e guidato, interagire in maniera costruttiva con bambini di altre culture e nazionalità
rispettandone e valorizzandone le diversità, rafforzare atteggiamenti di sicurezza stima di sé e fiducia
nelle proprie capacità, confrontare, riflettere, ragionare, vivere relazioni significative ed esperienze
condivise con le famiglie e il territorio, prendere consapevolezza del proprio corpo, usare il corpo per
conoscere, comunicare, esprimersi, saper ascoltare comprendere messaggi; utilizzare la lingua come
strumento di comunicazione e come strumento di pensiero, assumere atteggiamenti di rispetto cura e
apprezzamento nei confronti dell’ambiente, iniziare a dare significato e ordine alle conoscenze acquisite:
esplorare, osservare, mettere in relazione, raccontare, rappresentare, progettare, discutere su esperienze
reali e fantastiche, collaborare e cooperare perseguendo un obiettivo comune, affrontare serenamente le
divergenze evitando che sfocino in conflittualità, orientamento nello spazio e nel tempo. 403
Legge 18 marzo 1968, n. 444. Ordinamento della scuola materna statale. (Art.1-2-3-22)
Art. 1 - Caratteri e finalità della scuola materna statale. La scuola materna statale, che accoglie i
bambini nell'età prescolastica da tre a sei anni, è disciplinata dalle norme delle presente legge. Detta
scuola si propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione
alla frequenza della scuola dell’obbligo, integrando l’opera della famiglia. L’iscrizione è facoltativa; la
frequenza gratuita. Art. 2 - Orientamenti dell’attività educativa. Gli orientamenti dell’attività educativa
nelle scuole materne statali sono emanati, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
Ministro per la Pubblica Istruzione, sentita la terza sezione del Consiglio Superiore della Pubblica
Istruzione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge. È garantita ad ogni insegnante piena
libertà didattica nell’ambito degli orientamenti educativi previsti dal precedente comma. Art. 3 -
Programma annuale di sviluppo. Con decreto del Ministro per la Pubblica Istruzione, di concerto con il
Ministro per il Tesoro, è determinato, distintamente per ciascuna provincia, il piano annuale delle nuove
istituzioni di sezioni di scuole materne statali, su motivate proposte formulate dai Provveditori agli Studi,
sentiti i consigli scolastici provinciali e considerate le richieste dei Comuni. Le sezioni di scuole materne
statali sono istituite con decreto del Provveditore agli Studi. Ai fini della precedenza nell'istituzione delle
scuole, sarà tenuto conto delle sedi ove si accertino maggiori condizioni obiettive di bisogno, con
particolare riferimento alle zone depresse o di accelerata urbanizzazione. Per i bambini dai tre ai sei anni
98
ha consentito, una maggiore consapevolezza delle funzioni della scuola materna, che
rappresenta il primo grado del sistema scolastico. Successivi provvedimenti legislativi
relativi all’organico degli insegnanti, all’orario delle lezioni, all’integrazione degli
alunni portatori di handicap e all’impostazione educativo-didattica, hanno rimarcato la
sua importanza sociale e pedagogica. A testimonianza di ciò si veda la costante
espansione dei tassi di frequenza ed iscrizione, dell’intensificazione di sperimentazioni
e progetti innovativi svolti dal personale della scuola, alla quale varie istituzioni ed
associazioni professionali, nonché Enti ed organizzazioni sindacali, hanno
continuamente destinato la loro attenzione e il loro sostegno. Una scuola, dunque, di
alta qualità, che cerca di diffondersi senza disuguaglianze, sul territorio nazionale.
Il problema è che purtroppo sono diffuse varie immagini dell’infanzia che, se da
un lato colgono alcuni aspetti della realtà, dall’altro c’è il rischio che semmai venissero
accettati unilateralmente distorcerebbero l’identificazione della vera condizione
infantile. Inoltre la rivelazione della centralità dell’infanzia è spesso contrastata dal
ricorrere di situazioni che ne rendono faticoso il pieno rispetto. L’affermazione della
dignità del bambino è ostacolata dal suo coinvolgimento incontrollato nelle logiche del
consumismo del benessere materiale a tutti i costi, di affermazione ed espansione
dell’Io404
.
Persistono, inoltre, disomogeneità che riguardano il livello sia economico, che
sociale e culturale. Inoltre emergono, in maniera esponenziale, nuove forme di povertà,
dovute soprattutto alla carenza di servizi e di spazi urbani in cui i bambini possano
affetti da disturbi dell’intelligenza o del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato
istituisce sezioni speciali presso scuole materne statali e, per i casi più gravi, scuole materne speciali. Ad
ogni sezione non possono essere iscritti più di dodici bambini. Per il reperimento dei casi da ammettere
alle sezioni speciali e alle scuole materne speciali, e per l'assistenza sanitaria specifica, il servizio medico
scolastico si avvale di gruppi di esperti. Art. 22 - Trasformazione dei giardini d'infanzia e delle scuole
materne annesse alle scuole magistrali in scuole materne statali. I giardini d’infanzia, istituiti con regio
decreto 6 maggio 1923, n. 1054, sono trasformati in scuole materne statali, a norma della presente legge.
Sono parimenti trasformate in scuole materne statali, a norma della presente legge, le scuole materne
annesse alle scuole magistrali statali. Il personale insegnante di ruolo nei suddetti giardini d’infanzia e
nelle scuole materne annesse alle suddette scuole magistrali è iscritto nel ruolo delle insegnanti della
scuola materna statale, conservando la sede attuale. […] Le insegnanti non di ruolo incaricate nei giardini
d'infanzia di cui al primo comma, con otto anni di servizio continuativo, ovvero in possesso dei requisiti
di cui agli articoli 11 e 16 della legge 28 luglio 1961, n. 831, sono assunte nei ruoli delle insegnanti della
scuola materna statale, previo esame-colloquio, con coefficiente iniziale di carriera. 404
Cfr. ivi, pp.127-131.
99
avere la possibilità di giocare ed essere creativi. La simultaneità di scenari così
intensamente differenziati ed ostacolanti obbliga la scuola a svolgere un ruolo di attiva
presenza, in collaborazione ed in armonia con la famiglia405
.
La personalità infantile deve essere al centro dell’attenzione dell’adulto, al
bambino devono essere garantite situazioni in cui può spontaneamente esplorare,
scoprire, instaurare nuove relazioni, , conseguire nuove conoscenze e competenze,
comunicare con persone nuove e quindi adattarsi anche a nuove situazioni, ma
soprattutto, deve potersi gestire autonomamente, in modo tale da assegnare un senso a
ciascun esperienza vissuta; tutto questo in un clima di affettività positiva e gioiosità
ludica406
. Il nuovo progetto di scuola dell’infanzia suggerisce di rendere la scuola un
importante luogo di animazione, apprendimento e socializzazione, in cui anche la
famiglia ha un ruolo importante.
La forma di vera e propria istituzione educativa, la scuola dell’infanzia, l’ha
assunta solamente in epoche relativamente recenti, precedentemente le era attribuita,
infatti, la mera funzione assistenziale. Era intesa come un sostegno per le famiglie (in
maniera diretta per le madri lavoratrici) e la custodia dei bambini in un ambiente che
dovesse essere quanto più possibile adatto alla loro crescita407
.
Al modello solitamente prevalente della scuola materna riconosciuta come luogo
di vita, vanno succedendosi, via via, delle nuove caratteristiche di scuola, ma viene
soprattutto focalizzata l’attenzione alla visione unitaria del bambino, dell’ambiente che
lo circonda e delle relazioni, cui segue la tendenza a realizzare nuovi progetti, nei quali
l’educazione è anche partecipazione delle famiglie e della comunità408
. C’è però da
considerare che l’educazione può essere raggiunta in maniera soddisfacente solo se vi è
una cooperazione costruttiva tra la famiglia, la scuola e le altre realtà formative, che
devono instaurare un rapporto di continuità e d’integrazione409
.
La famiglia in quanto rappresenta il luogo primario nel quale il bambino,
conosce, dispone e distinguere le esperienze quotidiane attribuendogli valore e
405
Cfr. ivi pp. 123-125. 406
Cfr. ivi, pp.134-136. 407
Cfr. ibidem. 408
Cfr. ivi, p.45. 409
Cfr. ivi, pp.105-107.
100
significato, ottiene, in maniera graduale, le regole che gli serviranno, poi, per
l’interpretazione della realtà.
Ma anche la scuola, come la famiglia, è il luogo in cui il bambino ha la
possibilità di vivere situazioni ed esperienze in maniera non ancora formalizzata, ma
che per lui comunque rivestono grande importanza410
. Ecco perché la scuola
dell’infanzia ha un ruolo vitale nella processo di sviluppo del bambino, essa è come un
filtro, da un alto riceve ed interpreta la complessità dell’esperienza dei bambini,
tenendone poi conto nella sua progettualità educativa, dall’altro però arricchisce e
valorizza le esperienze extrascolastiche, al fine di sostenere la nascita e lo sviluppo delle
capacità critiche, nonché di autonomia del comportamento e di difesa dai
condizionamenti411
. Devono essere evitate le situazioni di ambiguità e prepotenza, ma è
importante che la scuola grazie alla cooperazione e alla partecipazione attiva, attraverso
colloqui individuali, assemblee, riunioni, consigli di circolo e gruppi di lavoro, crei un
clima di dialogo, di confronto e di aiuto reciproco, coinvolgendo i genitori nella
progettazione educativa412
. La famiglia deve, quindi, responsabilmente collaborare, ecco
che allora si parla di collaborazione, partecipazione.
Oggi non esiste più la distinzione tra educazione ed istruzione, nel corso degli
anni è stato avviato un processo che ha portato all’individuazione di un nuovo concetto:
formazione. Sembrerebbe quasi, che il quadro costituzionale, non abbia, però, inciso
adeguatamente in questo processo e che la convinzione della inscindibilità del binomio
istruzione-educazione, sia scorsa indenne attraverso la Costituzione, per poi riprodursi
nell’ambito della cultura, attraverso i primi trent’anni di esperienza di scuola
costituzionale. All’interno dell’attuale concetto di formazione, nella Bildung rientra sia
il processo d’istruzione che di educazione. Ecco che allora si parla di corresponsabilità.
Il Patto di corresponsabilità si redige nella scuola elementare, media e nella scuola
secondaria, purtroppo non, nella scuola dell’infanzia, non essendo un grado di scuola
obbligatorio, ma ciò è gravissimo, in quanto i processi educativi ed istruttivi non si
avviano nella scuola elementare, bensì nella scuola dell’infanzia. Ecco perché
410
Cfr. C. Montedoro, La personalizzazione dei percorsi di apprendimento e di insegnamento, Franco
Angeli, Milano 2001, pp.34-39. 411
Cfr. ivi , p.133. 412
Cfr. ivi, pp.15-29.
101
cerchiamo di rimarcare continuamente l’importanza della collaborazione tra scuola e
famiglia.
Il Patto di Corresponsabilità Educativa, pur se iniziato grazie all’opera del
Ministro Gelmini, in realtà, era già stato avviato dal Ministro Moratti, nel 2003. Esso, è
il primo strumento elaborato dalla scuola dove si ravvisa anche il suo compito
educativo, oltre che istruttivo-formativo. L’art. 30 della nostra Costituzione afferma: « È
dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli»413
, l’art. 34 recita:
«La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è
obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di
raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con
borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite
per concorso»414
, mentre l’art. 15 infine affermando la libertà di pensiero, apre ad un
ordine di problemi molto diversi. Tuttavia non è possibile sovrapporre educazione e
istruzione. Perché se la Costituzione afferma che c’è un diritto-dovere all’istruzione, e
un diritto-dovere all’educazione, vuol dire che c’è una consapevolezza della diversità di
queste due cose. Poi c’è tutta una declinazione attorno a questo, che segue vicende di
particolare importanza. Ad esempio c’è una disposizione del codice civile che dice che i
genitori sono responsabili per i danni provocati dai minori che abbiano commesso fatti
illeciti o comunque lesivi di diritti altrui, a meno che non dimostrino di aver fatto tutto
ciò che era in loro potere per prevenire questi danni. Ma tutto ciò che è in potere dei
genitori per prevenire il danno, è l’educazione non è l’istruzione, o meglio l’istruzione
fa parte di tutto ciò che è necessario per prevenire il danno nell’ambito di un processo
educativo. A regolamentare il ruolo dell’autonomia della scuola è il D.P.R. 21
novembre 2007, n. 235 Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del
Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto delle
413
Carta Costituzionale, art. 30: « È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano
assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la
ricerca della paternità». 414
Carta Costituzionale art.34: «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto
anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle
famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».
102
studentesse e degli studenti della scuola secondaria415
, introduce una disposizione, il
nuovo art. 5 bis del D.P.R. 249, intitolato Patto educativo di corresponsabilità e
giornata della scuola416
che stabilisce «Contestualmente all’iscrizione alla singola
istituzione scolastica, è richiesta la sottoscrizione da parte dei genitori e degli studenti
di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata
e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e
famiglie»417
. La funzione specifica del Patto, in questa prospettiva, dovrebbe essere
quella di un negozio volto a definire ambiti di collaborazione nell’esercizio di funzioni
(quella genitoriale e quella pedagogica) caratterizzate da prossimità di ambiti e da
potenziali sovrapposizioni di competenze418
.
L’ampliamento della compito dall’attività di formazione come “collaborazione”
al processo educativo, individua formalmente degli ambiti di competenza esclusiva o
della famiglia o della scuola, e di ambiti di competenza condivisa, delimitando così i
campi di responsabilità. Si deve ritenere tuttavia, che non è un processo semplice, in
quanto esistono serie difficoltà nel tracciare questi limiti e nell’individuazione delle
rispettive competenze e degli ambiti di possibile collaborazione, nell’esercizio
comunque di una funzione che tende sempre più a rivolgersi allo sviluppo della
personalità e dei processi di socializzazione419
. La determinazione dell’oggetto, in ogni
Patto, deve tenere conto delle “risorse” e delle “competenze” utilizzabili presso ciascuna
istituzione scolastica autonoma e non può fare un riferimento generico alla
“collaborazione educativa”, pena l’invalidità dello stesso patto.
Oggetto del patto, sicuramente, non è l’esercizio della funzione formativa o
d’istruzione, quanto piuttosto la funzione educativa, per la parte che l’istituzione
scolastica autonoma ritiene di poter assumere, tenendo sempre conto del fatto che ad
ogni modo, tale funzione non può essere esclusa e non può neppure sostituirsi a quella
educativa che spetta invece ai genitori. I contenuti di questo Patto non possono essere
415
Cfr. G. Vecchio, Autonomia privata, ordinamento scolastico, sussidiarietà e diritti di cittadinanza : il
patto educativo di corresponsabilità, in S. Aleo, G. Barone, Quaderni del Dipartimento di Studi politici,
n.4, Giuffrè Editore, Milano, 2009 cit. p. 6. 416
Cfr. ibidem. 417
Cfr. ibidem. 418
G. Vecchio, Autonomia privata, ordinamento scolastico, sussidiarietà e diritti di cittadinanza : il patto
educativo di corresponsabilità, cit. pp. 34-35. 419
Cfr. ivi, pp.176-182.
103
definiti secondo misure astratte, ma devono essere adattati alle circostanze e in maniera
responsabile alla varietà dell’utenza420
. Le finalità perseguite dalla scuola dell’infanzia
si fondano sul fatto che il bambino è un soggetto attivo, che per questo deve essere
impegnato in un processo che gli consenta una continua interazione con i pari, gli adulti,
l’ambiente e la cultura. In questo quadro, la scuola materna deve permettere ai bambini
ed alle bambine di raggiungere traguardi di sviluppo in ordine alla identità, alla
autonomia ed alla competenza. I tre punti fondamentali sono i seguenti:
Maturazione dell’identità: ciò che la scuola dell’infanzia vuole ottenere è il
rafforzamento dell’identità personale del bambino sia dal punto di vista
corporeo, che intellettuale e psicodinamico. Ma ciò implica sia l’avvio ad una
vita relazionale aperta, sia il progressivo perfezionamento delle possibilità
cognitive. Tale prospettiva formati fa sorgere nel bambino atteggiamenti di
fiducia nelle proprie capacità, di curiosità, , di stima di sé; ma anche la richiesta
di abitudini di vita equilibrate e positive, nonché il controllo dei propri stati
affettivi, dei propri sentimenti e delle proprie emozioni421
. Analogamente, la
scuola dell’infanzia ha i tratti tipici di un luogo idoneo ad orientare i bambini a
distinguere ed orientare l’identità personale evidenziando le differenze fra i
sessi, ma al contempo cogliendo la propria identità culturale ed i valori specifici
della propria comunità, non in forma esclusiva ed etnocentrica, ma in vista della
comprensione di comunità e culture diverse dalla propria422
.
Conquista dell’autonomia: intesa come conquista del sé, richiede che il
bambino si sappia orientare e sia in grado di compiere scelte autonome, sia in
contesti relazionali che diversi. Ciò significa che il bambino deve rendersi
disponibile all’interazione positiva con il diverso da sé e con il nuovo, scoprendo
e facendo propri i valori condivisibili, quali: la libertà, la giustizia, il rispetto di
sé ma anche degli altri e dell’ambiente, l’impegno, la solidarietà, e l’agire per il
bene comune. In questa fase è importante dunque che il bambino sviluppi la
420
Cfr. ivi, pp. 39-48. 421
Cfr. ibidem. 422
Cfr. R. C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia, La Scuola, Brescia, 1961, pp. 56-60.
104
libertà di pensiero, che gli consentirà poi, di capire il senso delle sue azioni nello
spazio e nel tempo423
.
Sviluppo della competenza: inteso come consolidamento nel bambino delle
varie abilità: motorie, percettive, sensoriali, linguistiche e intellettive. Inoltre
mediante l’utilizzo di vari strumenti linguistici e di capacità rappresentative, il
bambino viene stimolato alla formazione ed spiegazione di messaggi, testi e
situazioni. La scuola dell’infanzia valorizza dunque, l’intelligenza creativa,
l’immaginazione e l’intuizione, sia per lo aumento del senso estetico che del
pensiero scientifico424
.
Pertanto, l’identità culturale del bambino a cui la scuola dell’infanzia deve
tendere come dato indispensabile dei suoi progetti, tiene conto di una molteplicità di
influenze. Le modalità dello sviluppo personale, inoltre, potrebbero presentare delle
dinamiche evolutive che non coincidono con i passaggi formali delle diverse istituzioni
educative. Ciò presuppone che la scuola possegga, dunque, la capacità di tener conto
delle esperienze che il bambino percorre nella sua vita, conciliandole culturalmente e
collocandole in una prospettiva di sviluppo educativo425
. Esperienze preziose, ci sono
fornite dall’accoglienza che viene data già prima della frequenza ai piccoli, è importante
che l’insegnante e la scuola nell’insieme abbiano la capacità di accogliere tutti i bambini
con criteri personalizzati, facendosi carico delle emozioni, loro e della loro famiglia, in
quel momento delicato quale può essere il primo distacco; ma anche dell’ambiente in
cui il bambino viene inserito, in cui deve poter costruire nuove relazioni con i compagni
e con altri adulti426
.
Occorre, pertanto, immaginare un sistema di rapporti interagenti tra la scuola
materna e le altre istituzioni ad essa vicine, cosicché il contesto educativo e di
apprendimento possa essere collegato con le esperienze e le conoscenze del bambino. È
423
Cfr. ibidem. 424
Cfr. ivi, p.61. 425
Cfr. ibidem. 426
Cfr. ibidem.
105
quindi doveroso prestare attenzione alla compattezza degli stili educativi e dar luogo, in
base a specifici criteri operativi, a raccordi che permettano alla scuola di servirsi, sulla
base di un preciso progetto pedagogico, delle risorse, culturali, didattiche e umane,
presenti nella famiglia e nel territorio, nonché di quelle messe a disposizione dagli enti
locali, dalle associazioni e dalla comunità427
.
Appare poi utile, da un punto di vista pedagogico, fissare modalità di
organizzazione e di attuazione delle attività didattiche, realizzare scambi di dati e di
esperienze fra i livelli immediatamente prossimi di scuola. L’esito positivo di questa
metodologia può essere raggiunto attraverso: programmazioni educative e didattiche, il
confronto e la verifica istituzionalmente organizzati fra i vari mediatori professionali e
fra questi e i genitori, nonché l’organizzazione dei servizi ed il rapporto organico fra le
scuole e le istituzioni del territorio428
. Una particolare considerazione postula la
continuità con la scuola elementare, diretta alla comunicazione di informazioni utili sui
bambini e sui percorsi didattici compiuti, alla relazione fra i propri sistemi metodologici
e didattici ed all’eventuale programmazione di attività comuni429
. Uno strumento
importante per la realizzazione di tali prospettive è la programmazione coordinata di
obiettivi, itinerari e strumenti di osservazione e verifica, seguita da momenti di
condivisione e di formazione per gli insegnanti dei due gradi di scuola430
. Tutto questo
viene espresso anche nella riforma del TITOLO V della Costituzione.
427
Cfr. ivi, pp.78-83. 428
Cfr. ivi, pp.39-45. 429
Cfr. ivi pp.56-58. 430
Cfr. ibidem.
106
2.2. L’evoluzione dei programmi scolastici
Nella Costituzione della Repubblica Italiana viene stabilito che l’istruzione è
pubblica, gratuita e obbligatoria, per almeno 8 anni. Viene sancita la libertà delle scuole
di istituire “senza oneri per lo stato”431
un’espressione simbolica, questa, che avrà una
spiegazione problematica nei decenni successivi. Eppure, rimaneva l’apparato del
sistema scolastico precedente, che prevedeva una durata di cinque anni per la scuola
elementare, a cui, dovevano seguire tre anni che prevedevano la divisione in “scuola
media” (che consentiva il proseguo degli studi) e la “scuola di avviamento
professionale” (che data la mancanza del latino, non avrebbe permesso la prosecuzione
degli studi).
Il 6 agosto 1948 il presidente del Consiglio De Gasperi e il ministro Gonella
fondarono il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, al quale vennero attribuite
competenze in merito, sia alla scuola primaria, che a quella universitaria432
.
Dal 1946 al 1951, il ministro Gonella sostenne con forza uno studio che, finì poi,
per diventare un progetto di riforma destinato però al fallimento; anche a causa dei
contrasti inerenti la scuola di perfezionamento dell’obbligo. In seguito il governo avviò
la “scuola post-elementare”, che nonostante tutto, conservava il sistema duale, in quanto
un solo canale non avrebbe permesso ulteriori sbocchi.
Intorno alla seconda metà degli anni cinquanta del Novecento maturò, invece, la
consapevolezza che il processo di sviluppo economico recentemente avviatosi,
richiedeva una maggiore quantità di forza lavoro qualificata, così le proposte di legge
del 1959 si diressero in questa direzione. Donini e Luporini, anticipatori dell’istituzione
di una scuola media unica e obbligatoria dai sei fino ai quattordici anni, orientarono la
riforma della scuola media, che venne, poi, ratificata con la legge n.1859 del 1962.
Questa, infatti, prevedeva oltre che l’abolizione della scuola di avviamento al lavoro,
anche la creazione di una scuola media “uniformata” che consentisse l’accesso a tutte le
scuole superiori. Nello stesso periodo, aumentavano le classi miste, che comprendevano
sia ragazzi che ragazze, ciò determinò la sostituzione progressiva delle vecchie classi,
431
Cfr. Costituzione, articoli 33-34. 432
M. Civra, I programmi della scuola elementare dall’unità d’Italia al 2000, cit. p.4-5.
107
che erano state da sempre composte, esclusivamente, da elementi del medesimo
sesso433
.
Permaneva, comunque, un’ambiguità sulla questione dello studio della lingua
latina, che diventava materia facoltativa, nel terzo ed ultimo anno, ma necessaria per
l’accesso al liceo. Per quanto riguarda, invece, l’iscrizione agli istituti tecnici e
professionali non era richiesto lo studio di nessuna materia. Questa ambiguità verrà
superata solo a distanza di quindici anni, quando l’obbligatorietà dello studio di tale
lingua per l’accesso al liceo fu abolito.
Nel 1968 venne istituita la scuola materna statale e nel 1969 vengono emanati
gli Orientamenti per la scuola materna434
, grazie anche ai movimenti studenteschi,
vennero approvate delle norme che liberalizzavano l’accesso agli studi universitari,
visto che come accennato, fino ad allora, si poteva accedere a tutte le facoltà, solo con
il diploma del liceo classico. In seguito, cambiò anche l’esame di maturità, che ora era
composto da due prove scritte: una di italiano, che era per tutti gli indirizzi, ed una
specifica a seconda del tipo di istituto. La prova orale concerneva, invece, due materie
scelte, di cui una a piacere dello studente e l’altra selezionata dai docenti fra quattro
indicate anticipatamente dal ministero della pubblica istruzione, e comunque, il gruppo
delle materie era diverso a seconda del tipo di istituto scolastico435
.
La Commissione d’esami era composta da docenti esterni all’istituto, eccezione
fatta per uno che doveva provenire dal gruppo degli insegnanti della classe. La struttura
di questo esame doveva essere provvisoria, tuttavia rimarrà stabile per più di vent’anni.
Il problema della scuola dualista viene superato intorno agli anni ‘70, nonostante
ciò, si registravano alti tassi di evasione scolastica, a cui si aggiungeva il cosiddetto
“fenomeno della selezione esplicita”, attraverso le “bocciature”, che si estendeva in
maniera drammatica436
. La gravità del nuovo metodo di “selezione classista” adoperato
dall’antica mentalità elitaria dei docenti, venne evidenziata da Don Lorenzo Milani in
Lettera ad una professoressa437
. Il vero tentativo di riforma della scuola secondaria
433
Cfr. ivi, pp.11-13. 434
Cfr. G. Cerini, Cinque punti forti degli Orientamenti ’91, in G. Zumino, I nuovi Orientamenti oltre il
Duemila, Valore Scuola, Roma 1999, pp.45-46. 435
Cfr. ivi, p.45. 436
Cfr. ivi, p.67. 437
Cfr. Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa , LEF, Firenze 1967, p.23.
108
superiore, si interruppe, agli inizi degli anni Settanta, ma la novità importante è
rappresentata dai “decreti delegati”, che, approvati nel 1974, introdussero nella realtà
scolastica una rappresentanza non solo dei genitori e del personale ATA, ma anche degli
studenti, anche se solo nella scuola superiore438
.
Il cambiamento maggiore, però, investe la scuola elementare, a partire dalla
legge 820/71, momento in cui, nasce la scuola a tempo pieno come risposta ai bisogni
sociali dell’utenza439
. Alla legge 517/77 va, invece, il merito di aver introdotto il
principio dell’integrazione mediante l’assegnazione di insegnanti di sostegno alle classi
che accolgono alunni portatori di handicap. Si apre così, la possibilità di attivare
interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni e si stabiliscono
nuove norme sulla valutazione e vengono aboliti gli esami di riparazione per la scuola
media440
.
Nel 1979 vengono riformati i Programmi della scuola media, che porteranno
alla scomparsa del latino come disciplina autonoma, anche se in seguito non mancano
periodi di peggioramento dei livelli di bocciature selettive. In questi anni, il problema è
soprattutto la cosiddetta “dispersione scolastica”, ovvero, il fallito compimento di livelli
adeguati di apprendimento, sebbene vi fossero poche bocciature. Più volte nel corso
degli anni Ottanta si delinea l’elevamento dell’obbligo scolastico, senza mai però
arrivare ad una riforma Non mancavano tuttavia, diverse novità didattiche, come ad
esempio, i Programmi Brocca, che seppur indirizzati ai Licei vennero attuati, in parte,
anche negli Istituti Tecnici441
.
Manifeste furono, invece, le trasformazioni prodotte dalla scuola elementare con
i Programmi Falcucci del 1985442
. Infatti, mentre i programmi tradizionali prevedevano
un elenco di contenuti da studiare, questi programmi, erano più che altro, un curricolo,
438
Cfr. Decreto Presidente Repubblica 31 maggio 1974, n. 416 (in SO alla GU 13 settembre 1974, n. 239),
articoli 1-2-3-4-5 e 42-43-44. 439
Cfr. Legge 24 settembre 1971, n. 820 (in GU 14 ottobre 1971, n. 261). Norme sull’ordinamento della
scuola elementare e sulla immissione in ruolo degli insegnanti della scuola elementare e della scuola
materna statale, Articolo 1. 440
Legge 4 agosto 1977, n. 517 (in GU 18 agosto 1977, n. 224). Norme sulla valutazione degli alunni e
sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell'ordinamento scolastico,
articoli 1-2-3-4-5 e 6. 441
Cfr. ivi, pp.67-68. 442
Cfr. ivi, p.19.
109
ossia un elenco di obbiettivi di carattere educativo e formativo443
. Furono, infatti, visti
come l’elemento riparatore del fallimento della pedagogia moderna, in quanto, volti a
unire i contenuti dell’insegnamento e gli obbiettivi formativi.
Poi c’è da considerare anche la legge del 1990, che portò all’introduzione della pluralità
dei docenti per la medesima classe444
.
Questi programmi delle scuole elementari del 1985 e gli indirizzi delle scuole materne
dati dagli Orientamenti del 1991, contraddistinguono un periodo contrassegnato da
riforme, prima fra tutte, l’abolizione degli esami di riparazione, che era già stata
realizzata all’epoca del primo governo Berlusconi, su iniziativa del Ministro Francesco
D’Onofrio nel 1995445
.
Tale riforma, aveva indicato importanti obbiettivi, tra i quali:
l’innalzamento dell’obbligo scolastico;
la riforma dell’esame di maturità;
l’autonomia scolastica;
il riordino dei cicli446
.
Il rapporto tra scuola e famiglia, non tematizzato dalla proposta Berlinguer, deve
costituire un punto di attenzione. Sono le famiglie ad avere a che fare con un processo
generativo proiettato nel tempo. Sono necessarie, oltre alla riforma degli organi
collegiali, pratiche ricorrenti di dialogo, di confronto e di elaborazione dei conflitti. Non
si tratta soltanto di coinvolgere le famiglie in determinate iniziative, piuttosto di
considerare il rapporto con esse come aspetto essenziale della funzione docente447
.
Anche per questo è necessario che ogni docente possa disporre di un proprio
luogo professionale. La proposta del ministro Berlinguer sul riordino dei cicli scolastici
si è imposta nel dibattito sulla scuola per la sua capacità di sollecitare la riflessione e il
confronto a partire da una visione organica e coerente. Lo schema di riordino è noto:
443
Cfr. ivi, pp.69-73. 444
Cfr. ibidem. 445
Cfr. ivi, pp.34-44. 446
Cfr. ibidem. 447
Cfr. ivi, p.134.
110
rendere obbligatorio l’ultimo anno della scuola materna come periodo preparatorio al
ciclo primario, portare quest’ultimo da cinque a sei anni, sostituire la scuola media e il
biennio delle superiori con una scuola triennale di orientamento. Ma ciò che rileva è che
la formazione non deve più avere come nucleo fondamentale la trasmissione di
conoscenze statiche e astratte, rese arretrate dallo sviluppo tecnologico, ma associare al
momento cognitivo quello applicativo stimolando l’intelligenza critica e le capacità
d’indagine448
.
La prospettiva fondamentale è quella di superare la contrapposizione tra cultura
e professione. Il sistema scolastico deve prevedere la sua scansione piramidale per
assumere una struttura modulare. Ad una concezione fondata sugli ordini e i gradi
d’istruzione è sostituita una impostazione per obiettivi, che devono essere, comunque,
costantemente verificati; rispetto ai quali comporre l’organizzazione didattica. I
Programmi Ministeriali non devono definire contenuti appiattiti ma piuttosto livelli
differenziati di raggiungimento degli obiettivi449
.
La proposta Berlinguer può essere intesa, dunque, come un atto di provocazione
politica e culturale. La sua tangibilità risulta nell’attestazione della necessità di
comprensione e cambiamento. Per perseguire un simile intento, bisogna, come sostiene
Massa, umanizzare la scuola. La scuola deve educare, cioè aprire al mondo. Non
soddisfare bisogni ma rendere capaci di autonomia e di desiderio. Non infantilizzare, ma
aiutare a crescere450
.
Una scuola in cui non s’insegna, non si valuta e non si mettono in conto i meriti
individuali, in cui non si tiene la disciplina e si pretende che tutti siano uguali451
.
Berlinguer delineò, così, i princìpi ispiratori della sua azione, fra questi, in primis,
la esigenza di oltrepassare la distinzione, propria del sistema di formazione italiano, tra
sapere e professionalità e, quindi, fra formazione culturale e formazione professionale.
Egli puntò molto sul concetto della nuova professionalità452
, intesa come capacità di
controllo e direzione dei processi in cui ciascuno è inserito453
. Inoltre fu un pensiero
448
Cfr. ivi, p.146-147. 449
Cfr. ibidem. 450
Cfr. ivi, pp. 168-169. 451
Cfr. ivi, pp.175-177. 452
Cfr. ibidem. 453
Cfr. ivi, p.78.
111
prodotto della cultura sindacale degli anni Settanta. Inoltre, il percorso scolastico non
seguiva più la logica degli ordini e gradi di istruzione, ma quella degli obiettivi posti
alla base dell’apprendimento, che permettevano una reale continuità dei cicli
d’istruzione.
I modelli possibili venivano così ridotti a due: o due cicli di istruzione che
comprendevano, un ciclo di base, fino ai 13 o 14 anni, ed un ciclo secondario fino a 18
anni; o un ciclo unico, graduale dai 6 ai 16 o 17 anni. L’idea era di rivoluzionare il
percorso scolastico che, precedentemente, era suddiviso in tre cicli, che essendo
fortemente separati fra loro risultavano troppo selettivi454
. Così, il 3 giugno 1997 il
governo presentò la Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione, che
stravolse il sistema scolastico italiano, prevedendo due cicli scolastici455
: il ciclo
primario, durava tre anni, era suddiviso in tre bienni, e mirava alla “formazione
dell’uomo e del cittadino nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali,
sociali e culturali” 456
.
Esso sostanzialmente, incoraggiando la scoperta dei linguaggi e dei saperi,
indispensabili, per il progresso sia delle capacità critiche che di un atteggiamento
effettivo nei confronti dell’apprendimento, contribuiva alla formazione della personalità
degli alunni. In maniera più specifica, i primi due bienni erano dedicati allo sviluppo
delle conoscenze, delle abilità di base e della dimensione relazionale. Il terzo biennio,
invece, era una sorta di consolidamento e approfondimento delle conoscenze acquisite
precedentemente, a cui si aggiungevano, poi, tecniche per l’acquisizione di capacità di
studio autonome, oltre che di riflessione e di selezione, tenendo sempre conto dell’età
degli alunni. Tutto, avveniva gradualmente attraverso il passaggio dalle grandi aree
tematiche alle discipline457
.
454
Cfr. ivi, p.123. 455
Progetto di legge (Verdi-Ulivo) Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione, articoli
1-2-3-4 e5. 456
Cfr. ivi, pp.23-24. 457
Cfr. ivi, Art. 6 (ciclo primario) l. Il ciclo primario è suddiviso in tre bienni. 2. Il ciclo primario,
attraverso il coerente sviluppo del proprio percorso, che si raccorda, da un lato, alla scuola dell'infanzia e
dall'altro al ciclo secondario, concorre alla formazione dell'uomo e del cittadino nel rispetto e nella
valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali. Esso favorisce la formazione della
personalità degli alunni promuovendone l’alfabetizzazione per l’acquisizione dei linguaggi e dei saperi
indispensabili, per lo sviluppo delle capacità critiche e di un atteggiamento positivo nei confronti
dell'apprendimento, per il riconoscimento e la condivisione dei valori fondanti la convivenza civile e
112
Anche il ciclo secondario durava sei anni ed era suddiviso per grandi aree:
artistica, musicale, tecnica, scientifica, umanistica, e tecnologica.
Qui, però, si tendeva al rafforzamento e alla ricostruzione delle capacità e delle
competenze acquisite nel ciclo primario, in maniera tale da arricchire la formazione
civile, culturale ed umana degli studenti; grazie a ciò avrebbero potuto assumersi, in
seguito, delle responsabilità. Ma, allo stesso tempo, in questo modo gli venivano offerte
le conoscenze e le capacità adattate all’istruzione superiore universitaria (e non
semplicemente universitaria, che riguardava, invece, l’inserimento lavorativo).
Nel corso del primo anno venivano studiati prevalentemente gli insegnamenti
fondamentali, durante il secondo ed il terzo anno venivano approfonditi gli
insegnamenti comuni per indirizzarsi poi, all’area degli insegnamenti disciplinari
caratteristici dell’indirizzo prescelto; ed infine nel triennio finale ci si dedicava agli
insegnamenti specifici a ciascun indirizzo458
.
democratica. 3. Obiettivo dei primi due bienni è lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base e
della dimensione relazionale. 4. Obiettivo del terzo biennio è il consolidamento, l’approfondimento e lo
sviluppo delle conoscenze acquisite e la crescita di autonome capacità di studio, di elaborazione e di
scelta coerenti con l’età degli alunni, mediante il graduale passaggio dalle grandi aree tematiche alle
discipline. 5. Nel corso dell’intero ciclo primario e al termine di ciascun biennio, al fine di promuovere
efficaci azioni di compensazione e potenziamento, sono introdotti momenti di valutazione; la valutazione
finale assume il valore di esame di Stato. 458
Art. 7 (ciclo secondario) 1. Il ciclo secondario, che ha la durata di sei anni, si articola nelle grandi aree
umanistica, scientifica, tecnica, tecnologica, artistica e musicale ed ha la funzione di consolidare e
riorganizzare le capacità e le competenze acquisite nel ciclo primario, di arricchire la formazione
culturale, umana e civile degli studenti, sostenendoli nella progressiva assunzione di responsabilità, e di
offrire loro conoscenze e capacità adeguate all’accesso all’istruzione superiore universitaria e non
universitaria ovvero all'inserimento lavorativo. Ciascuna area è ripartita in indirizzi. 2. Il ciclo secondario
costituisce un unico e coerente percorso. 3. L’anno iniziale, comune per tutte le grandi aree di cui al
comma 1, si caratterizza per la prevalenza degli insegnamenti fondamentali e per la varietà di proposte
selettive e coordinate di approfondimento di temi specifici, attraverso le quali ciascuno possa cominciare
ad elaborare scelte che corrispondano ad una piena valorizzazione personale fondata sulla pari dignità
delle possibili opzioni culturali e di vita. 4. Il secondo e il terzo anno, che si articolano in autonomi
moduli, si caratterizzano per l’approfondimento degli insegnamenti comuni e per la progressiva
estensione dell'area degli insegnamenti disciplinari specifici dell'indirizzo prescelto, al fine di consentire
l’acquisizione di capacità progettuali personali, il rafforzamento della motivazione allo studio ed alla
formazione e la verifica delle scelte e delle vocazioni culturali. Essi costituiscono momento conclusivo,
dell’obbligo scolastico e garantiscono agli studenti conoscenze, abilità, e orientamento adeguato per le
successive scelte scolastiche e di vita. Si conclude con un esame, valido ai fini della prosecuzione degli
studi nell’indirizzo prescelto. 5. Nel triennio finale l’offerta formativa è caratterizzata dalla prosecuzione,
dall’ampliamento e dall’approfondimento, anche per temi specifici, degli insegnamenti, con particolare
riguardo a quelli di indirizzo e all'area progettuale, al fine di assicurare agli studi la necessaria terminalità
culturale e professionale. Nel corso dell’ultimo anno gli istituti secondari, anche di intesa con le
università, con altre agenzie formative, col mondo della ricerca e delle professioni, attivano percorsi di
approfondimento mirati a fornire agli studenti gli elementi conoscitivi necessari per l’elaborazione delle
ulteriori scelte. 6. Al termine del ciclo secondario gli studenti sostengono un esame di Stato, che assume
113
Nel frattempo Forza Italia ed Alleanza Nazionale avanzarono le loro proposte di riforma
della scuola. Forza Italia suggerì una rimodulazione della scansione, dopo la scuola
d’infanzia, in tre livelli scolastici, così suddivisi: il primo grado, dai 6 ai 10 anni, il
secondo, dai 10 ai 14 ed il terzo, dai 14 ai 18. Per di più, consigliava l’eliminazione del
valore legale del titolo di studio, la parità scolastica, la riforma della professione
dell’insegnante, la formazione professionale a partire dai 12 anni, nonché l’elevazione
dell’obbligo scolastico sino ai 16 anni. Alleanza Nazionale, invece, prevedeva una
suddivisione in: Scuola Materna, Scuola di Base e Scuola Secondaria (che
sostanzialmente era il biennio che preparava gli studenti agli studi del triennio); il Liceo
unico che comprendeva solo cinque indirizzi e l’Istituto Tecnico con molti indirizzi; ma
anche una maggiore autonomia per la scuola, la riforma dell’esame di maturità, la
creazione dell’Ordine Nazionale dei Docenti (così come vi era quello dei medici, degli
avvocati, ecc.), e anche qui, si auspicava, la parità scolastica459
.
Con la Legge 10 dicembre 1997, n. 425 viene, altresì riformato, l’esame di
maturità, che comprendeva tre prove scritte e un colloquio, la prima sulla lingua
italiana, la seconda, una delle materie inerenti l’indirizzo di studio e la terza,
multidisciplinare, che sarebbe stata svolta con dei quiz a risposta multipla. Il colloquio
si impostava, invece, su argomenti multidisciplinari. Cambiava anche il punteggio di
valutazione, che infatti, passava dai sessantesimi ai centesimi e venne introdotto il
credito formativo. I commissari dovevano essere interni alla scuola, ma il Presidente
la denominazione dell’area e dell’indirizzo. Art. 8 (disposizioni relative al ciclo secondario) 1.II ciclo
secondario si realizza negli attuali istituti di istruzione secondaria di secondo grado che assumono la
denominazione di “istituti secondari”. 2. Nel secondo e nel terzo anno è garantita la possibilità di passare
da un modulo all'altro anche di indirizzo diverso mediante l’attivazione di apposite iniziative didattiche
deliberate dal consiglio di classe e finalizzate all’acquisizione di una preparazione adeguata al nuovo
indirizzo. Analoghe iniziative sono attivate in favore degli studenti che, dopo la licenza dell’obbligo,
passino ad aree ed indirizzi non coerenti con le scelti iniziali. 3. La frequenza dei primi tre anni del ciclo
secondario, sulla base di intese tra gli istituti e gli enti locali, può svolgersi, in relazione alla
conformazione del territorio, in sedi decentrate facilmente raggiungibili dagli studenti. 4. Una parte dei
moduli del terzo anno, fermo restando lo svolgimento negli istituti secondari delle materie fondamentali
comuni, può essere realizzata, sulla base di specifica programmazione degli istituti, mediante attività o
iniziative formative da realizzare anche presso altri istituti, enti o agenzie sulla base di una disciplina da
definirsi mediante un accordo quadro tra il Ministero della pubblica istruzione, il Ministro del lavoro, la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
5. Negli ultimi anni, ferme restando le materie fondamentali e le materie di indirizzo, esercitazioni
pratiche, esperienze lavorative formative e stage possono essere realizzati anche con brevi periodi di
inserimento nelle realtà culturali, produttive, professionali e dei servizi. 459
Cfr. ibidem.
114
della Commissione doveva essere esterno460
. La riforma fu avviata a partire dall’anno
scolastico 1998/1999. In seguito, nel duemila, l’allora Ministro dell’Istruzione, Letizia
Moratti, presentò una progetto di riforma che avrebbe modificato radicalmente il
sistema scolastico. Ma, nel 2006, il nuovo governo bloccò l’esecuzione dei
provvedimenti spettanti il secondo ciclo di studi della Legge 53/2003461
e nell’estate
2006 il ministro Fioroni propose una modifica dell’esame di Stato, che prevedeva il
divieto di ammissione agli studenti che, nel corso del triennio, non avevano saldato i
debiti formativi, inoltre richiedeva il ritorno alle commissioni miste. Con la finanziaria
del 2007, ancora, l’obbligo scolastico fu previsto fino ai 16 anni, mentre,
precedentemente, si era parlato solo di “diritto all’istruzione fino a 16 anni”.
Contemporaneamente molte associazioni raccolsero le firme per la Legge di
Iniziativa popolare, cercando di ottenere sia l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16
anni, che la fondazione del “biennio unitario” della scuola secondario superiore nonché
una diminuzione del numero di indirizzi, secondo la logica del “pochi ma buoni”. Per la
prima volta nella storia della Repubblica, nell’agosto del 2006, venne avanzata in
Parlamento una Legge di iniziativa popolare, che agiva organicamente sulle scuole,
460
Legge 10 dicembre 1997, n. 425, “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi
di studio di istruzione secondaria superiore”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 12 dicembre
1997, articoli 1-2-3-4-5. 461
Cfr. Legge 28 marzo 2003 n. 53, la Riforma Moratti, presenta le caratteristiche di vera e propria
innovazione per la scuola del Paese. La nuova articolazione è così suddivisa: a) scuola dell’infanzia (l’ex
scuola materna); b) primo ciclo, che comprende la scuola primaria (l’ex elementare) di 5 anni e la scuola
secondaria di primo grado (l’ex media inferiore) di 3 anni; c) secondo ciclo (l’ex scuola superiore), che
comprende il sistema dei licei e il sistema dell’istruzione e della formazione professionale. Il
diritto/dovere all’istruzione e alla formazione viene innalzato ad almeno 12 anni (Decreto Legislativo
76/2004). Terminato il primo ciclo si poteva scegliere se: proseguire gli studi scegliendo uno degli 8 tipi
di licei; o frequentare corsi di formazione professionale. Dopo il primo anno di questi percorsi, avendo lo
studente compiuto 15 anni (termine obbligo scolastico), avrebbe potuto scegliere di lasciare la scuola e
avviarsi all’apprendistato, con formazione comunque obbligatoria fino ai 18 anni ed esperienza lavorativa
riconosciuta nel caso decidesse di ritornare a scuola. L’accesso all’Università era garantito a chi
frequentava il liceo (che dura 5 anni), ma anche a chi effettuava corsi di formazione professionale di
durata almeno quadriennale, dopo un ulteriore anno integrativo con un esame finale. I licei previsti con il
Decreto Legislativo 226/2005 erano 8: artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico,
scientifico, delle scienze umane e tecnologico. Il liceo artistico avrà 3 indirizzi: arti figurative,
architettura, design e ambiente e, infine, audiovisivo, multimedia e scenografia. Il liceo economico ne
avrà 2: economico aziendale ed economico istituzionale. Il liceo tecnologico ne avrà 8: meccanico–
meccatronico, elettrico-elettronico; informatico, grafico e comunicazione; chimico e materiali; tecnologie
tessili, dell’abbigliamento e della moda; produzioni biologiche e biotecnologie alimentari; costruzioni,
ambiente e territorio; logistica e trasporti. Veniva assicurata ed assistita la possibilità di scelta dei giovani
anche nel cambiamento di indirizzo all’interno del sistema dei licei, nonché nel passaggio dal sistema dei
licei a quello della formazione professionale e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche.
115
dalla materna alla media superiore462
. Nell’autunno del medesimo anno e nuovamente
per la prima volta, questa legge di iniziativa popolare è elemento di confronto nella
Commissione competente. L’allora Ministro Fioroni, reintrodusse anche i “rimandi
estivi” al posto dei debiti formativi. Infine, in tempi più recenti, nell’ottobre del 2008 il
Parlamento convertì in legge il decreto proposto dal Ministro Gelmini che mutò il
metodo di valutazione degli studenti nella scuola primaria. Infatti, fu introdotto il voto
con corrispondenza, e nella scuola secondaria di primo grado, il voto assoluto. Venne
reintrodotto, anche, il maestro unico nella scuola elementare che, per un verso, facilitò
l’unità interiore degli alunni, sicché la nostra società era e lo è tutt’oggi, caratterizzata
dalla presenza di molte informazioni e stimoli, che per un altro però, determinano una
specializzazione disciplinare dei docenti463
.
462
Cfr. Legge 27 dicembre 2002, n. 289 - Legge Finanziaria 2003 (in SO n. 240 alla GU 31 dicembre
2002, n. 305), Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge
Finanziaria 2003. Articolo 91 (Asili nido nei luoghi di lavoro) 1. Al fine di assicurare un'adeguata
assistenza familiare alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti con prole, è istituito dall’anno 2003 il Fondo
di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo
nido e micro-nidi, di cui all’articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. 2. Ai fini dell’ammissione
al finanziamento, i datori di lavoro presentano apposita domanda al Ministero del lavoro e delle politiche
sociali contenente le seguenti indicazioni: a) stima dei tempi di realizzazione delle opere ammesse al
finanziamento;
b) entità del finanziamento richiesto, in valore assoluto e in percentuale del costo di progettazione
dell’opera; c) stima del costo di esecuzione dell’opera. 3. Il prospetto contenente le informazioni di cui al
comma 2 e le relative modalità di trasmissione sono definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali da emanare entro il 31 marzo 2003. In caso di ingiustificati ritardi o gravi irregolarità
nell’impiego del contributo, il finanziamento è revocato con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali. 4. I criteri per la concessione dei finanziamenti sono determinati con decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e
con il Ministro per le pari opportunità, entro il 31 marzo 2003, tenendo conto in ogni caso dei seguenti
principi: a) il tasso di interesse da applicare alle somme rimborsate è determinato in misura non inferiore
allo 0,50 per cento annuo; b) i finanziamenti devono essere rimborsati al cinquanta per cento mediante un
piano di ammortamento di durata non superiore a sette anni, articolato in rate semestrali posticipate
corrisposte a decorrere dal terzo anno successivo a quello di effettiva erogazione delle risorse; c) equa
distribuzione territoriale dei finanziamenti. 5. Per l’anno 2003, nell’ambito delle risorse stanziate sul
Fondo nazionale per le politiche sociali a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di cui
all’articolo 46, comma 2, e nel limite massimo di 10 milioni di euro, sono preordinate le risorse da
destinare per la costituzione del Fondo di rotazione di cui al comma 1. Per gli anni successivi, con decreto
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
è determinata la quota da attribuire al predetto Fondo di rotazione nell'ambito del menzionato Fondo
nazionale per le politiche sociali. 6. Il comma 6 dell’articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, si
interpreta nel senso che la deduzione relativa alle spese di partecipazione alla gestione dei nidi e dei
micro-nidi nei luoghi di lavoro, prevista per i genitori e i datori di lavoro, si applica con riferimento ai
nidi e ai micro-nidi gestiti sia dai comuni sia dai datori di lavoro. Dalle disposizioni di cui al periodo
precedente non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. 463
Cfr. ibidem.
116
Una simile ristrutturazione comporta, infatti, la valorizzazione del personale
della scuola. Risultano centrali nuove funzioni di tutoraggio, di aiuto e sostegno, di
organizzazione e programmazione, che valorizzano le professionalità esistenti. La
formazione iniziale deve venire attraverso nuovi corsi di laurea e scuole di
specializzazione. Il reclutamento fondato su classi di concorso può essere sostituito da
forme di accertamento su ampie aree disciplinari e su capacità didattiche464
.
464
Cfr. ivi, pp. 160-163.
117
2.3. I modelli di formazione della scuola attiva e progressiva
Nel percorso educativo odierno la formazione ha conquistato, in maniera
costantemente crescente, un ruolo cruciale e determinante. Adesso più che mai, infatti,
si percepisce il bisogno di un rinnovamento delle idee che stanno alla base sia
dell’azione pedagogica odierna, che della scuola e dell’educazione. Quando si discute
dei modelli di formazione sappiamo che sono in grado si manifestarci la relazione tra
teorie culturali e sistemi scolastici. Il periodo che va dagli anni Venti, dalla riforma
scolastica gentiliana del 1923, fino alla recente scuola dell’autonomia degli anni
Novanta, è stato caratterizzato da un susseguirsi di tali modelli. La loro compresenza ha
condizionato, inoltre, in maniera diretta, non solo il sistema formativo e curriculare ma
anche quello logistico della scuola italiana465
.
La riflessione sui tali modelli dominanti nel Novecento ha messo in risalto come
la categoria della formazione sia stata pensata come oggetto da doversi esaminare
attraverso una metodica interpretativa di tipo ora filosofico, ora scientifico, fino a
metodologie di contestualizzazione466
. Ma, discutendo dei modelli di formazione
bisogna muovere da considerazioni che prendano le distanze sia da visioni
universalizzanti che da indagini scientifiche troppo centrate al didatticismo467
.
L’attivismo pedagogico primo promotore dei modelli di formazione, è una corrente
di pensiero nata alla fine del XIX secolo, che tra i suoi esponenti più noti, annovera
personalità come Dewey e Montessori468
. Questi, sostenitori di una pedagogia attiva,
che percepisce il bambino non come ricevente passivo delle azioni degli adulti, piuttosto
come protagonista attivo dello sviluppo educativo469
; ritengono che i contesti educativi
e scolastici possono essere variati a misura del fanciullo. Ciò gli consentirebbe di vivere
la propria crescita attivamente, ma affinché ciò possa realizzarsi, sono necessari degli
accorgimenti, quali:
465
Cfr. P. Mulè, I principi teorici dell’educazione progressiva e dell’Attivismo, Rubettino, Cosenza 2008,
pp. 10-14. 466
Cfr. ibidem. 467
Cfr. ibidem. 468
Cfr. ivi, pp.32-33. 469
Cfr. ibidem.
118
la predisposizione di un ambiente consono al bambino, in cui può agire in
maniera diretta;
l’idea che l’azione del fanciullo non intralcia l’adulto ma che anzi essa è,
all’opposto, una sorta di attività di ricerca e di comprensione, deve essere l’idea
di base da cui muoversi;
tutte le attività compiute dal bambino devono essere vagliate scrupolosamente
ed in maniera attenta;
il gioco deve essere permesso in quanto rivelazione della realtà, il bambino
infatti, al pari di un piccolo scienziato, deve essere lasciato libero sia di
teorizzare ipotesi che di constatarle470
;
Questo sguardo orientato alla realtà è spiegato come una sorta di opportunità
evolutiva che viene riconosciuta all’infante. «La mano è l’organo dell’intelligenza»471
sosterrà Maria Montessori. Grazie a questa corrente di pensiero, ma grazie soprattutto ai
suoi esponenti, cambia il modo di relazionarsi con i fanciulli. Che non sono più i
bambini azzittiti e immobilizzati dall’insegnante del “vecchio stampo”. È In questo
periodo, infatti, che si acquista la consapevolezza che permettere al bambino di agire
liberamente, gli consente di crescere, migliorare e maturare472
. Il fanciullo deve,
dunque, essere lasciato libero di spostarsi, muoversi nell’ambiente, deve poter
assaggiare, toccare e modificare le cose, per come desidera. Anche la ricerca
psicologica, fondamento dell’attivismo pedagogico, aveva individuato la visione
corrente. Essa, considerava infatti che, essendo l’infanzia il periodo che modella e
plasma l’uomo, ed essendo perciò un periodo delicato, viverlo in modo traumatico,
potrebbe rendere la vita dell’adulto un po’ più problematica, a causa del verificarsi di
gravi impedimenti. Da qui, l’attenzione a che l’infanzia deve essere vissuta in maniera
470
Cfr. J. Dewey, Esperienza e natura (II edizione), Ugo Mursia Editore, Milano 1995, p.12. 471
J. Dewey, Esperienza e natura, cit. p.78. 472
Cfr. ivi, pp.167-168.
119
naturale, senza sottomissioni che provengono dall’adulto, ma solo secondo le regole e le
misure del protagonista del processo di crescita: il bambino473
.
Muove proprio da questo pensiero attivo dell’educazione la nuova concezione di
scuola: costruita sugli interessi degli alunni e non sui programmi da studiare o
sull’ascolto inattivo di ciò che gli insegnanti vogliono comunicare, piuttosto, occorre
scoprire un metodo che possa attrarli. Più esattamente, si può parlare di una scuola
differente, non più costruita sulla psicologia del maestro, bensì del fanciullo474
.
Possiamo individuare alcuni capisaldi della scuola attiva, che possono essere così
sintetizzati:
compito dell’insegnante non è più la trasmissione delle conoscenze, piuttosto
quello di orientare il bambino verso un processo che lo porterà
all’identificazione di se stesso,
deve essere rispettata la dimensione infantile del bambino, egli infatti, non deve
essere costretto a diventare, a tutti i costi ed il prima possibile un adulto;
la scuola deve essere soggetto della vita, proprio perché serve per la vita;
l’apprendimento deve essere indirizzato dall’esperienza pratica;
uno degli obiettivi più importanti è la diffusione di nuovi concetti;
l’insegnamento non può e non deve essere uguale per tutti: l’educatore, deve
personalizzarlo, tenendo conto degli interessi e dei bisogni dei discenti475
.
La concezione della pedagogia non direttiva, di cui il maggior rappresentante è stato
Alexander Neill, ritiene, invece, che l’educatore non debba orientare la crescita del
bambino. Tale concezione pedagogica ritiene che sono le forze interiori a sostenere lo
sviluppo del bambino, e ciò lo condurrà allo sviluppo, che non può che essere visto
473
Cfr. J. Dewey, Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull'educazione, La Nuova Italia, Firenze
1994, p.78. 474
Cfr. ivi, pp.99-115. 475
Cfr. ivi, pp.122-125.
120
positivamente476
. Anzi, la pedagogia non direttiva sostiene che, se l’adulto con la
propria autorità, influenza la crescita del bambino, costringendolo a rispettare divieti e
punizioni, ciò inevitabilmente, produrrà in lui paure e sensi di colpa, che
conseguentemente incideranno sul suo sviluppo. Da qui, la necessità di consentire al
bambino di scegliere liberamente il proprio processo educativo, che lo condurrà
all’autoregolazione477
. Possiamo individuare tre caratteristiche principali, qualificanti
della scuola non direttiva:
tra insegnanti e bambini vi è una relazione egualitaria;
tutte le regole della vita collettiva vengono decise negli incontri comuni, ciò
permette, dunque, ai bambini di autogestirsi;
le attività che vengono svolte non sono obbligatorie, piuttosto facoltative478
.
Anche se da quando, pedagogisti come Montessori e Neill collaudavano i loro
modelli di scuola, è passato molto tempo, ancora oggi, i dubbi e le sfide, da loro
sollevati, che hanno indirizzato le loro esperienze pedagogiche, sono molto attuali. Da
allora, diversi sono stati i contributi che hanno concorso al mutamento della prospettiva
educativa, e varie sono state anche le esperienze educative e scolastiche per la
promozione di vari cambiamenti479
. La scuola, secondo i pensieri espressi dall’attivismo
pedagogico, è dunque, attiva480
. Il bambino non appena verrà ostacolato da una
difficoltà, tenterà in tutti i modi di contrastare gli effetti derivanti dai suoi
comportamenti, e lo farà mettendo in atto le sue tattiche, formulando ipotesi che
verificano o falsano le sue teorie. Dunque, per didattica attiva, intendiamo l’insieme
476
Cfr. ivi, pp.77-79. 477
Cfr. ibidem. 478
Cfr. ivi, p.56. 479
Cfr. ivi, p.145. 480
Cfr. J. S. Bruner e L. A. Armando, Il processo educativo. Dopo Dewey (I problemi dell’educazione),
Brossura, Milano, 1999, pp.78-85.
121
delle metodologie di insegnamento che permettono al destinatario di essere un soggetto
attivo, e non passivo, del proprio processo di apprendimento.
In particolare, ci si riferisce, ad un’ampia selezione di metodologie didattiche
che provano ad oltrepassare le tradizionali regole che si basano sull’ascolto, come
avviene nelle lezioni frontali, o qualora si affianca il discente nell’addestramento481
.
Indubbiamente la lezione, nelle sue varie accezioni, è la tecnica più consueta delle
scuole, ma ciò, non indica che è il metodo più opportuno ed efficace per tutte le
discipline. Anzi, è vero esattamente il contrario, cioè, è indispensabile che ciascuna
disciplina avvii criteri differenti. Ciò consente l’identificazione di processi di
apprendimento diversi: quello per accoglimento, per invenzione, per azione, per
scoperta. Questi non solo garantiscono maggiore libertà, ma salvaguardano anche
l’offerta formativa, che così tracciata, può essere personalizzata. Infatti, secondo questa
metodologia, l’alunno che non studia con un metodo, può sempre adoperarne un altro.
Inoltre presupponendo che prima o poi, alla lunga, ogni metodo stanca (soprattutto in
considerazione del fatto che parliamo di infanti), bisogna riflettere su qualcosa che
faciliti e consolidi l’interesse degli allievi. Alcuni tra i più annoverati sistemi supportati
della didattica attiva sono:
Il laboratorio che ancor prima di essere “ambiente”482
, è uno “spazio
mentale attrezzato”483
, una specie di forma mentis, una maniera per influire
sulla realtà, che dà al bambino la possibilità di comprenderla e poi cambiarla.
Questo va inteso, come ogni spazio fisico, predisposto ed attrezzato per la
realizzazione dell’attività formativa. Questo laboratorio, necessario anche
nella scuola secondaria, avrà però, un ambiente a parte, costruito e corredato
appositamente per gli studi specialistici. Nel laboratorio, come negli altri
metodi “coinvolgenti” il fanciullo non subisce passivamente, è attivo484
. Con
481
Cfr. ibidem. 482
Cfr. F. Tessaro, Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, Armando, Roma 2002, pp.
155-157. 483
Cfr. ibidem. 484
F. Tessaro, Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, cit. pp. 158-159: Tra le diverse
tipologie presenti nelle scuole, sono noti i laboratori linguistici, i laboratori informatici e quelli
multimediali. Ovviamente ogni disciplina può essere insegnata secondo metodologie laboratoriali e
122
il lavoro in laboratorio, infatti, può verificare il suo apprendimento, in
quanto crea e lavora secondo la propria voltontà. A questo punto, però,
bisogna fare una precisazione: l’essere attivo del soggetto può essere
duplicemente inteso, sia come attività riproduttiva (nel caso in cui l’allievo
copia ciò che gli viene richiesto o ripete ciò che ha studiato), sia come
attività. L’alunno che idea, pensa a nuove strategie, o crea qualcosa di
nuovo, è attivo. Nel laboratorio le due attività procedono insieme, ma lo
scopo educativo, è quello di realizzare il grande passaggio che da bambini li
trasformerà in adulti485
;
La ricerca sperimentale, parte, invece, dal presupposto che l’apprendimento
può essere intrapreso solo con la ricerca. Dunque, il bambino deve capire
qual è il problema, e successivamente sulla base dell’analisi svolta, deve
essere in grado di selezionare le ipotesi486
.
Metodo euristico-partecipativo, prevede una partecipazione attiva
dell’alunno, nella risoluzione di problemi487
.
Il mastery-learning è una struttura che prevede una programmazione
dell’intervento didattico molto attenta alle differenze e ai tempi di
apprendimento degli allievi. Qui, il compito dell’insegnante è
l’individuazione delle abilità sia concettuali che pratiche a cui i suoi allievi,
devono giungere al termine dell’intervento didattico488
.
l’ambiente in cui si svolge l’azione formativa è fondamentale: provare una scena teatrale in classe o su un
palcoscenico è completamente diverso dal punto di vista dei processi formativi implicati; una reazione
chimica può essere descritta in aula dal docente, può essere simulata con un software in laboratorio di
informatica, può essere “realizzata” in un laboratorio di chimica: sono tre ambienti didattici che attivano e
producono tre diversi tipi di apprendimento. In questo modo ogni disciplina potrebbe essere dotata di un
proprio laboratorio: nelle istituzioni scolastiche di altri Paesi in cui si spostano gli studenti da un’aula
all’altra (e non gli insegnanti, come avviene da noi), la didattica più facilmente “si lascia organizzare”
secondo metodologie laboratoriali. 485
Cfr. ivi, pp. 234. 486
Cfr. ivi, pp.158-159. 487
Cfr. ivi, pp.160-161. 488
Cfr. ivi, pp. 162-163.
123
Da queste tecniche una cosa è chiara: nella scuola attiva è indispensabile la
partecipazione sentita e consapevole dello studente489
. Ma, poiché questo avvenga,
devono comunque essere utilizzate le giuste tecniche, quali:
i lavori e gli esercizi di gruppo, grazie ai quali più allievi possono
combinare le loro sperimentazioni e le loro idee, per arrivare alla
realizzazione dell’obbiettivo finale;
il gioco psico-pedagogico, che essendo privo di finalità utilitaristiche, svela
la curiosità e la grinta del bambino;
il lavoro programmato che coinvolge, in maniera attiva, più alunni;
Nella logica della scuola attiva, il gioco ha un’importanza centrale. I promotori
di questa scuola sostengono che, grazie all’esercizio ludico, il bambino avverte di essere
psicologicamente libero, e ciò gli consente non solo di comunicare in maniera naturale,
ma anche, di tirar fuori tutto ciò che ha internamente490
. Allo stesso tempo, inoltre, dà
all’educatore, l’opportunità di commisurare l’insegnamento al suo modo di fare. Il gioco
è, dunque, tra le attività adottate dalla scuola attiva, uno dei metodi più efficaci che
contribuisce all’educazione. Bisogna considerare, inoltre, che sotto il profilo
pedagogico, è indispensabile sia per lo sviluppo della creatività che per l’avvio ai valori.
Infatti, è, nel gioco che il bambino fa’, esprime e crea qualcosa di assolutamente
personale, qualcosa di nuovo, che gli permette di far comprendere all’educatore il suo
animo e la sua personalità491
.
Ma la scuola oggi deve anche essere progressiva. Lo scopo delle attività che vi
si svolgono deve essere il progressivo sviluppo dei bambini. Nella scuola, infatti, luogo
di vita del bambino, deve essere avviato alla vita sociale (anche se in maniera graduale).
L’insegnante deve fare tesoro dell’esperienza che il bambino ha già appreso, in famiglia
489
Cfr. M. Delbert Lobb., Aspetti pratici del team teaching, trad. di S.Serpentini. Giunti & Lisciani
(Educazione nuova), Brossura 1984, pp.10-16. 490
Cfr. ivi, pp.22-25. 491
Cfr. S. Capranico, Role Playing. Manuale a uso di formatori e insegnanti, Raffaello Cortina ed.,
Milano 1997, pp. 1-2
124
e nell’ambiente sociale in cui vive, e congiungerlo alle esperienze di apprendimento492
.
L’apprendimento nella scuola dell’infanzia, dunque, è come « un processo di
progressiva, attiva e creativa rielaborazione della realtà nell’incontro con i linguaggi
della cultura»493
.
Possiamo evidenziare come le differenze tra scuola attiva e scuola progressiva siano
svariate, ma quel che è certo è, che, la scuola attiva è un movimento molto più vasto. I
cambiamenti da essa introdotti sono molti. Anzitutto, Dewey, esaminava il pensiero e
gli attribuiva con una funzione attiva piuttosto che contemplativa, in quanto capace di
mutare e riorganizzare la realtà. La scuola attiva, pertanto, non doveva essere un luogo
di “trasferimento del sapere”, bensì, un luogo di laboriosità dove vivere esperienze che
coinvolgono attivamente i discenti494
.
La nozione “scuola nuova” è stata adottata per distinguere i recenti orientamenti
pedagogici dalle scuole nuove, ma già Dewey, aveva preferito usare per la sua scuola il
termine scuola progressiva. Quest’ultima si differenzia da quella attiva, in quanto, oltre
appunto, al coinvolgimento attivo dei bambini nelle attività, individua anche, un
progresso sociale. L’educazione è come un processo aperto, caratterizzato da continuità
e dinamicità, in cui non vi è alcun punto d’arrivo già predefinito. Infatti, partendo
dall’assunto che, l’esperienza scolastica vissuta dai bambini, è come una ricerca, deve
essere innovata, e ciò avviene grazie allo sperimentalismo didattico, che individua
nell’educatore, la figura di collegamento tra gli principi e le finalità a cui mirare495
. In
questa scuola, è importante la partecipazione di una guida, per gli alunni, all’educatore,
infatti, è affidato il controllo della verifica didattica496
.
L’unico rischio che si corre in questo tipo di scuola è il didatticismo. Sicché può
avvenire, infatti, che alcune tecniche siano replicate, sarà dunque doveroso, così come
voleva anche Dewey, che anche l’educatore sia sempre controllato. Egli deve, si, dare
spazio e tener conto degli input degli allievi, ma deve anche ricordare di essere il leader.
492
Cfr. P. Sorzio, Dewey e l’educazione progressiva, Carocci, Roma 1999, pp. 43- 49. 493
P. Sorzio, Dewey e l’educazione progressiva, cit. p.78. 494
Cfr. ibidem. 495
Cfr. ivi, pp.123-133. 496
Cfr. ibidem.
125
2.4. I processi di apprendimento e di insegnamento
Il passaggio dalla pedagogia dell’attualismo a quella dell’attivismo ha
determinato lo spostamento dell’attenzione dai processi d’insegnamento a quelli di
apprendimento, fissando così una nuova visione della cultura, non più magistrocentrica
quanto puerocentrica. Sotto questo profilo già J.J. Rousseau aveva preannunciato con
L’Emilio una particolare attenzione al fanciullo e ai suoi bisogni.
Nel corso degli anni si sono avvicendate diverse sperimentazioni, tutte
finalizzate alla descrizione dei processi di apprendimento dell’uomo, e per questo,
bisogna precisare che l’evoluzione della nozione di apprendimento elaborata dalla
psicologia educativa, non è stata semplice, anzi,è stata la conseguenza di diverse
tappe497
. Si è passati, infatti, dalla concezione secondo cui l’apprendimento è il risultato
del rafforzamento dello stimolo, effetto degli esperimenti di Skinner, procedendo poi,
con la concezione dell’apprendimento come acquisizione di conoscenza, nata negli anni
Sessanta, Settanta, fino, all’individuazione dell’apprendimento come attuazione della
conoscenza, durante la rivoluzione costruttivista, nata dalle idee di Piaget ed, in seguito,
orientata verso moderni orientamenti, da ricercatori quali Vygotskij e Bruner.
Tuttavia, dobbiamo fare una constatazione, in quanto, l’apprendimento
scolastico sembra sempre più divergere dal naturale corso dei processi di comprensione
degli studenti; processi che immancabilmente sono influenzati, sia dall’ambiente
culturale, che sociale, in cui essi vivono. Mai come adesso, quindi, è necessario fare
ordine e saldare delle concezioni che, in qualche modo, “vincolano” le modalità di
apprendimento. Occorre prestare attenzione sia alla realtà della scuola e della società
che ai consigli, troppo spesso inascoltati, degli studiosi dell’apprendimento.
Ripercorrendo brevemente le varie teorie dell’apprendimento, possiamo
individuare quali sono i modelli oggi più utilizzati. Intorno agli anni ’20 e fino agli anni
’60 del Novecento, l’idea centrale era che la persona agisse in seguito agli stimoli
derivanti dall’ambiente, grazie all’influenza reciproca tra il soggetto e l’ambiente,
497
Cfr. L. Cisotto, Psicopedagogia e didattica. Processi di insegnamento e di apprendimento, Carocci,
Roma 2005, p. 37.
126
l’apprendimento avveniva, dunque, per associazioni498
. Le basi di questa teoria si
scoprono negli studi di Pavlovl che, nel primo decennio del Novecento, studiò gli
atteggiamenti degli animali e li individuò come probabili modelli di comportamento
umano. Secondo questa prospettiva, il ruolo della persona era, sostanzialmente, passivo,
in quanto, il soggetto apprendeva, guidato da meccanismi che non poteva, però,
controllare volontariamente499
. Altri studi invece, rilevarono come anche la ripetizione
delle medesime azioni ha, un ruolo preciso, nel consolidamento dei comportamenti
appresi. Qui, l’apprendimento, era invece concepito, la conseguenza di associazioni
stimolo-risposta, una sorta di processo di apprendimento che provocava una modifica
dei comportamenti.
Esso è influenzato dall’insegnamento, in quanto, era individuato come attività
pianificata sia di contenuti che di stimoli che dovevano essere trasmessi, e traguardi da
conseguire. Allo stesso tempo, il Ministero della Pubblica Istruzione, esigeva che la
pratica della programmazione didattica, fosse realizzata sull’insieme degli obiettivi
formativi dei maestri, così, le circolari, divennero lo strumento di lavoro della scuola500
.
La concretizzazione dei cicli dell’apprendimento, predisposti secondo una
crescita lineare, richiedevano una certa preparazione degli insegnanti o comunque, la
conoscenza dei modelli e degli strumenti che prima non erano noti agli stessi insegnanti,
di modo che avrebbero risposto adeguatamente al nuovo tipo di lavoro che veniva
richiesto501
.
Tuttavia, nonostante questo dibattito pedagogico fosse già presente in America
dagli anni Cinquanta del ‘900, in Italia, tale passaggio è stato concretizzato solo negli
anni Ottanta, quando si sviluppò l’interesse per il modello del cognitivismo
pedagogico502
. Dopo l’affermazione del paradigma delle scienze dell’educazione, il
cognitivismo entrò, infatti, nel contesto scolastico italiano.
La credenza diffusa da questa corrente di pensiero identificava l’apprendimento
non come un modello pedagogico, ma piuttosto come un modello di psicologia
498
Cfr. ivi, pp.38-43. 499
Cfr. ibidem. 500
Cfr. ivi, pp.123-124. 501
Cfr. ibidem. 502 Cfr. ivi, p.41.
127
dell’apprendimento, fortemente collegato alla didattica. Ecco che allora, il compito della
psicologia educativa diventò quello di colmare il distacco tra la ricerca psicologica e i
processi d’istruzione503
. Muovendo da questa prospettiva, la scuola diventò il luogo
essenziale, in cui viene offerta al bambino la possibilità di vivere concretamente la
realtà quotidiana504
. Sicché il processo di riflessione delle informazioni era
fondamentale a che i metodi necessari per la loro elaborazione potessero essere descritti
e proprio per questo l’insegnamento dei criteri, era essenziale. Per la soluzione dei
problemi, invece, erano obbligatorie le procedure operative. Il soggetto diventava
capace sottoponendosi, con lo scopo di migliorarsi, ad una profonda riflessione505
.
La coscienza delle proprie competenze e del particolare modo di acquisirle, era
collocata, invece, su un piano separato: quello metacognitivo. L’insegnante, infatti,
poteva agevolare tale percorso tramite varie tecniche, tra le quali: la conversazione, che
doveva però avere una finalità educativa, l’esplicitazione e la condivisione dei metodi di
apprendimento506
. A tal proposito, il docente operava all’interno di un contesto
scolastico, in cui era richiesta la sinergia tra docenti e discipline, che risultava
essenziale. Alla logica del programma disciplinare, che era impostata
sull’individualismo produttivo del docente, si sostituisce la logica della
programmazione507
. L’insegnamento, pur se nozionistico, ammetteva comunque azioni
cognitive dirette all’organizzazione dei dati raccolti, in unità sfruttabili e indicative.
L’insegnante doveva constatare, non tanto cosa lo studente avesse capito, bensì “se”
aveva capito, cioè se ciò che aveva appreso, era stato da lui elaborato e memorizzato508
.
Anche Piaget, è entrato nel merito delle questioni dei processi di apprendimento,
è, infatti, proprio grazie a questo epistemologo che gli studi psicologici si spostano
verso quelli cognitivi. Egli ha inteso, infatti, l’apprendimento come connubio tra i
processi di assimilazione e di accomodamento. Il primo inteso come « acquisizione dei
503 Cfr. ivi, p.42. 504 Cfr. ibidem. 505 Cfr. ivi, pp.129. 506 Cfr. ivi, pp.89-91. 507 Cfr. ivi, p.43. 508
Cfr. ibidem.
128
dati e dei segnali provenienti dal mondo esterno alle strutture innate del soggetto»509
, il
secondo come «modifica ed adattamento di quelle stesse strutture e con l’arricchimento
degli schemi preesistenti»510
. Da ciò si evince chiaramente come il suo l’interesse
primario era l’individuazione della modalità attraverso cui si potesse raggiungere la
conoscenza. Egli, era convinto che, la differenza tra l’uomo e gli altri esseri viventi,
risultava dalla capacità di riflessione simbolica ed astratta, propria degli essere umani,
che ad esempio agli animali manca. Secondo l’autore i bambini quando nascono
possiedono già delle strutture cognitive, stimate come “riflessi”, che man mano si
mutano, grazie al processo di conoscenza-adattamento all’ambiente. Sulla base di
questo pensiero, Piaget sostiene che, i discenti non devono essere considerati come dei
“vasi vuoti” 511
da colmare di esperienze, semmai come edificatori attivi di
conoscenze512
. Piaget ritiene, infatti, che lo sviluppo della conoscenza, è un continuo
processo creativo di ininterrotta realizzazione che si amplia grazie all’interazione con
l’ambiente. Lo sviluppo cognitivo è, dunque, agevolato dalle attività svolte o dalle
situazioni che ne richiedono l’adeguamento all’ambiente513
.
Per quanto riguarda, invece, le tecniche e gli strumenti utilizzati ai fini
dell’apprendimento, nonché le attività che vengono proposte ai discenti, queste, devono
necessariamente avviarsi allo sviluppo di iniziative mentali, ad un livello che sia però
adeguato al loro livello di sviluppo cognitivo. Quindi bisogna evitare lo svolgimento di
incarichi che vanno al di là delle loro capacità cognitive514
.
Diversamente da Piaget, per Bruner il contesto culturale ha importanza, in
quanto agisce sulla crescita del bambino sin dai primi mesi di vita, aiutandolo nella
costruzione di modelli di realtà che plasmano le sue percezioni. Questo pedagogista in
contrapposizione alle teorie precedenti, evidenzia il percorso del processo di
apprendimento, sottolineando l’importanza della partecipazione attiva dell’individuo
che apprende, a che vengano elaborati i dati dell’esperienza515
.
509
P. Mulè, Formazione, scuola, emergenze educative, cit., p. 45. 510
Cfr. cit. ibidem. 511
J. Piaget, Psicologia e sviluppo mentale del bambino, Mondadori, Milano 1967, cit., p.96 512
Cfr. ivi, pp.134. 513
Cfr. ibidem. 514
Cfr. ivi, pp.124-127. 515
Cfr. ibidem.
129
Recentemente abbiamo assistito alla nascita di nuovo campo di studi
interdisciplinari, nato dalla confluenza tra le varie correnti di pensiero, che comprende
la psicologia, la pedagogia e le neuroscienze516
. Secondo questi studi, lo sviluppo
cognitivo di ogni individuo è condizionato dal contesto culturale e dalle interazioni
sociali che vive quotidianamente. Inoltre, i processi di apprendimento e di realizzazione
della conoscenza sono collocati in specifici luoghi e contesti come la scuola, la famiglia,
i luoghi di lavoro, ecc. Ma c’è anche da rilevare, il passaggio della pedagogia alle
scienze dell’educazione, che, secondo molto autori, è avvenuto grazie all’approvazione
del modello empiristico. Questo ha portato delle importanti trasformazioni, tra cui la
pedagogia che, ora, è vista come un sapere pluridisciplinare e transdisciplinare, e ciò
certamente ha prodotto delle modifiche, dal punto di vista epistemologico, ma
soprattutto, metodologico517
. L’opportunità di parlare della pedagogia come scienza e di
un approccio “olistico”, ha portato a nuove riformulazioni, per un verso nella visione di
una scienza pratica, per un altro, in una teoria della formazione518
.
Nella pedagogia possiamo, infatti, ritrovare sia l’aspetto della cultura
pedagogica, intesa come un sapere generale, supportato da rilevazioni empiriche, che
però, ispirandosi a determinati principi e valori è indipendente dai modi con cui si
opera, e dai contesti. Sia, l’aspetto della competenza pedagogica, cioè del sapere
soggettivo che annovera la capacità di decisione e di scelta. Per ciò che concerne
l’apprendimento, invece, evidenziamo come lo studio pedagogico, ha ricavato dagli
studi di psicologia le esperienze più importanti519
. Si è arrivati così alla consapevolezza
dell’indispensabilità dello studio che tiene conto dell’influenza reciproca che c’è tra,
contenuti curricolari, e processi cognitivi del soggetto520
.
Dunque, le nozioni scientifiche e culturali di cui l’allievo deve impadronirsi, e i
modi con cui il soggetto crea le proprie acquisizioni, deve tener conto anche della
complessità degli stili cognitivi. Secondo Gauthier, ad oggi è possibile osservare tre
tipologie di princìpi di pianificazione curricolare, finalizzate all’apprendimento:
516
Cfr. ibidem. 517
Cfr., ivi, pp.34-38. 518
Cfr. M. Pellerey, Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, LAS, Roma
1999, p.16. 519
Cfr. ibidem. 520
Cfr. ivi, p.79.
130
1. quella tradizionale, che mette al centro i contenuti delineati come saperi;
2. quella che mette al centro lo studente, secondo la logica della prospettiva
costruttivista, in cui è primario il processo metodologico di
conseguimento di nuovi contenuti;
3. quella che da prioritaria importanza agli obiettivi di acquisizione delle
competenze e che, solitamente, è connessa ad istanze esterne al mondo
scolastico521
.
Comunque, queste forme di valutazione, secondo l’autore, sono motivate dalle attuali
aspettative dei processi di insegnamento e di apprendimento. Alcune teorie
dell’apprendimento, quali, quella della conoscenza autentica e del costruttivismo
sociale, hanno più volte comprovato, che gli allievi recepiscono e capiscono più
facilmente, quando hanno a che fare con situazioni reali, piuttosto che, in situazioni
disposte ed organizzate522
.
Ma i principi della libertà, dell’emancipazione e i metodi di scelta e di
riconoscimento sono elementi costitutivi del problema della formazione dell’uomo,
legata inoltre, a situazioni storiche e sociali523
.
Un altro elemento da considerare, in termini di apprendimento ed insegnamento,
è che, tutti i bambini, anche coloro che hanno difficoltà di adattamento e
apprendimento, hanno il diritto ad essere accolti dalla scuola. Ogni bambino deve vivere
la propria esperienza educativa, in maniera tale che possa essere riconosciuto e si senta,
membro attivo della propria comunità scolastica524
. Anzi, l’eventuale presenza di
bambini in difficoltà nelle classi, è una ragione in più per fra nascere nuovi rapporti e
interazioni, questi infatti, sono un’occasione di maturazione per tutti. Grazie alla
diversità, i bambini imparano a riflettere e a vivere le differenze come una dimensione
esistenziale e non come una requisito discriminante.
521
Cfr. M.Gauthier, I nuovi processi di apprendimento, (trad. it. a cura di G. Landolini), Sansoni, Firenze
2010, pp.123. 522
Cfr. ibidem. 523
P. Mulè, Formazione, democrazia, nuova cittadinanza, Periferia , Cosenza 2010, cit. p.36. 524
Cfr. ivi, pp.101.
131
Quando parliamo del passaggio dai processi d’insegnamento a quelli di
apprendimento significa attenzionare, ulteriormente, il problema della didattica, che
come abbiamo visto, nasce proprio con il cognitivismo; il quale dà per scontato che i
docenti sappiano poi gestire, sotto questo profilo, la classe. Ma perché ciò sia possibile
bisogna formare i docenti, e sappiamo che il docente che si configura, alla luce di
questo modello, è un docente tecnico-trasmettitore dei contenuti. Deve, cioè, essere in
grado di programmare, di progettare, un percorso formativo525
.
Da qui, prende avvio la riflessione pedagogica e didattica su una delle questioni
cruciali degli attuali processi di cambiamento della scuola: la personalizzazione dei
percorsi formativi. La scuola italiana attraversa una stagione di cambiamento dei propri
connotati formativi. Il rapido susseguirsi della Riforma Berlinguer-De Mauro526
del
525
Cfr. ibidem. 526
Legge 10 febbraio 2000, n. 30 (in GU 23 febbraio 2000, n. 44, Legge Quadro in materia di Riordino
dei Cicli dell'Istruzione. Art. 1 Sistema educativo di istruzione e di formazione. 1. Il sistema educativo di
istruzione e di formazione è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel
rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno, nel quadro della
cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo. La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di
sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le
scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle
specifiche realtà territoriali. 2. Il sistema educativo di istruzione si articola nella scuola dell'infanzia, nel
ciclo primario, che assume la denominazione di scuola di base, e nel ciclo secondario, che assume la
denominazione di scuola secondaria. Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità
previste dalla legge 24 giugno 1997 n. 196 e dalla legge 17 maggio 1999 n.144. 3. L'obbligo scolastico
inizia al sesto anno e termina al quindicesimo anno di età.
4. L’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età si realizza
secondo le disposizioni di cui all'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
5. Nel sistema educativo di istruzione e di formazione si realizza l'integrazione delle persone in situazione
di handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.
6. Le province autonome di Trento e di Bolzano e la regione Valle d'Aosta nel rispetto delle norme
statutarie, disciplinano l'attuazione dell'elevamento dell'obbligo scolastico anche mediante percorsi
integrati di istruzione e formazione, ferma restando la responsabilità delle istituzioni scolastiche. Art. 2
Scuola dell’infanzia 1. La scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre alla educazione e allo
sviluppo affettivo, cognitivo e sociale dei bambini e delle bambine di età compresa tra i tre e i sei anni,
promuovendone le potenzialità di autonomia, creatività, apprendimento e operando per assicurare una
effettiva eguaglianza delle opportunità educative nel rispetto dell'orientamento educativo dei genitori,
concorre alla formazione integrale dei bambini e delle bambine. 2. La Repubblica assicura la
generalizzazione dell'offerta formativa di cui al comma 1 e garantisce a tutti i bambini e le bambine, in
età compresa tra i tre e i sei anni, la possibilità di frequentare la scuola dell'infanzia.
3. La scuola dell'infanzia nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica realizza i necessari
collegamenti da un lato con il complesso dei servizi all'infanzia, dall'altro con la scuola di base. Art. 3
Scuola di base 1. La scuola di base ha la durata di sette anni ed è caratterizzata da un percorso educativo
unitario e articolato in rapporto alle esigenze di sviluppo degli alunni; si raccorda da un lato alla scuola
dell'infanzia e dall'altro alla scuola secondaria. 2. La scuola di base, attraverso un progressivo sviluppo
132
2000, e la Riforma Moratti527
del 2002, hanno prodotto non solo una rideterminazione
formale degli ordinamenti e dei curricoli, ma anche un approfondimento del significato
del curricolo mediante il graduale passaggio dagli ambiti disciplinari alle singole discipline, persegue le
seguenti finalità: a) acquisizione e sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base; b) apprendimento di
nuovi mezzi espressivi; c) potenziamento delle capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel
tempo; d) educazione ai princìpi fondamentali della convivenza civile;
e) consolidamento dei saperi di base, anche in relazione alla evoluzione sociale, culturale e scientifica
della realtà contemporanea; f) sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta individuali atte a
consentire scelte fondate sulla pari dignità delle opzioni culturali successive.
3. Le articolazioni interne dalla scuola di base sono definite a norma del regolamento emanato con
decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n.275. 4. La scuola di base si conclude con un
esame di Stato dal quale deve emergere anche una indicazione orientativa non vincolante per la
successiva scelta dell'area e dell’indirizzo. […] 527
DISEGNO DI LEGGE n° 1306-B. Delega al Governo per la definizione delle norme generali
sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. Testo approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica nel Marzo 2003. […]Art. 2. (Sistema
educativo di istruzione e di formazione). I decreti di cui all’articolo 1 definiscono il sistema educativo di
istruzione e di formazione, con l’osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a)è promosso
l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati
livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e
specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel
mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea; b)sono promossi il
conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai princìpi della Costituzione, e lo
sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla
civiltà europea; c) è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o,
comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l’attuazione di tale
diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale, secondo
livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell’articolo 117, secondo comma,
lettera m), della Costituzione e mediante regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, e garantendo, attraverso adeguati interventi, l’integrazione delle persone in
situazione di handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104. La fruizione dell’offerta di istruzione
e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato; nei termini anzidetti di diritto
all’istruzione e formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato l’obbligo scolastico di cui
all’articolo 34 della Costituzione, nonché l’obbligo formativo introdotto dall’articolo 68 della legge 17
maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni. […] d) il sistema educativo di istruzione e di
formazione si articola nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la
scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema
dell’istruzione e della formazione professionale; e) la scuola dell’infanzia, di durata triennale, concorre
all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle
bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento,
e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria
responsabilità educativa dei genitori, essa contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei
bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con il
complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria. È assicurata la generalizzazione dell’offerta
formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia; alla scuola dell’infanzia possono essere
iscritti secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione le bambine e i bambini che compiono i
3 anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento, anche in rapporto all’introduzione di
nuove professionalità e modalità organizzative; il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola
primaria, della durata di cinque anni, e dalla scuola secondaria di primo grado della durata di tre anni.
Ferma restando la specificità di ciascuna di esse, la scuola primaria è articolata in un primo anno, teso al
raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali; la scuola secondaria di
primo grado si articola in un biennio e in un terzo anno che completa prioritariamente il percorso
disciplinare ed assicura l’orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo; nel primo ciclo è assicurato
133
delle proprie funzioni formative. La richiesta alla scuola di occuparsi dell’istruzione non
è di certo una novità, d’altronde è sempre stato il suo compito specifico. Ma dobbiamo
certamente riconoscere che è inedita la sfida che le viene proposta nell’odierna società.
Oggi la scuola deve soddisfare contemporaneamente tre istanze formative: la qualità
dell’istruzione, l’uguaglianza delle opportunità e la valorizzazione delle differenze
personali528
. L’attuale società conoscitiva esige che la scuola non sia solo un’agenzia di
socializzazione, piuttosto deve avviarsi verso un’alfabetizzazione culturale, in maniera
tale da poter consentire ai bambini, futuri uomini e donne di domani, di essere gli
artefici della loro esistenza529
.
Ma una scuola democratica deve garantire, anche, l’apprendimento delle
competenze fondamentali, tali da assicurare pari dignità, non solo etico-sociale ma
anche politica. Pertanto alla scuola viene chiesta la realizzazione di un’uguaglianza non
puramente formale, identificativa della liberalizzazione dell’accesso per tutti, piuttosto
sostanziale530
. Oggi vi è, anche, una terza istanza che deve essere soddisfatta: la
promozione dei differenti tipi di potenzialità individuali, per la realizzazione e la
valorizzazione di diversi tipi di talento. La scuola deve cioè promuovere dei differenti
tipi di potenzialità individuali, evitando l’omologazione culturale. Essa è, dunque,
chiamata alla programmazione di percorsi educativi, in cui, l’alunno deve essere il
protagonista del proprio processo di crescita, sia sul piano sociale, relazionale, che
cognitivo. L’insegnante deve essere capace di rispondere alle esigenze dei percorsi di
apprendimento e di crescita degli allievi, garantendogli il rispetto delle differenze
individuali in rapporto alle capacità, agli interessi, alle inclinazioni e alle esperienze di
vita531
.
Pertanto, la scuola adopera due modelli per affrontare la “sfida” dell’istruzione.
Il primo definito come modello delle competenze di base si basa sulla connessione tra
altresì il raccordo con la scuola dell’infanzia[…]; l) i piani di studio personalizzati, nel rispetto
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base
nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata
alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali. […] 528
Cfr. M. Baldacci, Personalizzazione o Individualizzazione?, cit., p.10 529
Cfr. ibidem. 530
Ivi, p. 11:« Questo significa non tanto che tutti devono raggiungere i medesimi livelli di conoscenza e
abilità, quanto che certi livelli di conoscenza e di abilità, pienamente adeguati, dovrebbero essere
raggiunti da tutti». 531
Cfr. ivi, pp.56-58.
134
qualità dell’istruzione e l’uguaglianza formativa. L’idea di fondo è che l’istruzione
scolastica debba essere volta all’apprendimento di contenuti e delle abilità disciplinari,
inerenti i vari campi del sapere. Poiché i saperi scolastici provengono da conoscenze
codificate e consolidate, assimilare i contenuti, vuol dire apprenderne i concetti
fondamentali e i procedimenti essenziali comprendendone la logica e imparando ad
usarli532
. Ma deve anche dare modo ai bambini di cominciare ad acquisire la
consapevolezza delle proprie preferenze e delle proprie potenzialità533
.
L’altra idea che caratterizza questo primo modello è il diritto all’istruzione,
cosicché venga assicurato a tutti, o comunque a gran parte dei bambini in età scolastica,
l’acquisizione di queste competenze. Ecco che è in questi termini che si parla di
uguaglianza delle opportunità formative. Con questa espressione non si vuole intendere
che nella scuola a ciascuno devono essere concesse pari occasioni di apprendimento o
uguaglianza di trattamento formativo, perché ciò, tenderebbe a riprodurre
disuguaglianze tra gli alunni. Uguaglianza formativa, deve essere intesa, come «parità
degli esiti rispetto alle competenze fondamentali del curricolo»534
, che può essere
raggiunta attraverso un’adeguata didattica. Questo modello è rappresentato
dall’individualizzazione.
Il secondo modello è, invece, fondato sul legame tra la qualità dell’istruzione e
la promozione dei talenti personali, ed è definito come modello dei talenti personali535
.
Qui, le abilità perseguite non sono riferite alla struttura dei saperi, bensì all’architettura
della mente, si crede cioè, che ogni soggetto ha le proprie specifiche propensioni
intellettuali e, pertanto, ogni alunno è in grado di sviluppare le proprie attitudini. Il
talento è concepito, dunque, come una sorta di potenziale innato. Baldacci a questo
proposito, ha definito la funzione della scuola: «organizzare le condizioni che rendono
532
Ivi,. pp.12-13:« Con il temine competenza intendiamo la capacità d’uso delle conoscenze
disciplinari.[…] Queste competenze di base sono relative, in primo luogo agli strumenti culturali
fondamentali, a partire dalla lettura. All’interno di ogni sapere si può però identificare un nucleo
essenziale di conoscenze e di abilità[…] In altri termini, l’idea è che la scuola si debba occupare
soprattutto di ciò che deve essere saputo da tutti e la sua principale preoccupazione deve consistere nel
fatto che ognuno sappia effettivamente ciò che tutti devono sapere. In modo sommario e per mero
esempio, si possono indicare preoccupazioni del tipo: che ognuno sappia leggere e comprendere
adeguatamente ciò che legge; che ognuno sappia scrivere e articolare chiaramente il proprio pensiero
[…]». 533
Cfr. ivi, pp.89. 534
Ivi, p.17. 535
Cfr. ivi, pp,22-26.
135
atto ciò che esiste già in potenza»536
. Sicché si ritiene che le tendenze naturali del
soggetto non devono essere ostacolate, poiché gli alunni dotati di talento lo
manifesteranno quando riterranno più opportuno. Il momento cruciale è individuato
nell’orientamento degli alunni verso gli indirizzi di studio coerenti con le loro
inclinazioni, ecco che si parla, dunque, di personalizzazione, concetto che fa parte,
sicuramente, dei sistemi pedagogici e didattici predisposti per rendere più idonei i
processi educativi537
.
Alla base di tale principio sta l’intento di creare percorsi diversificati, tali da
poter coadiuvare la limitazione degli insuccessi in maniera tale da favorire, invece, le
eccellenze. La visione della personalizzazione, in realtà, non è una novità, è piuttosto
una reinterpretazione alla luce delle recenti esigenze. Fu una sorta di presupposto ciclico
della cultura pedagogica del Novecento, che ebbe inizio con il fronte laico.538
Attenzionare i problemi della formazione sul piano così strettamente personale, è ovvio
che non fu una novità, già c’erano stati altri studiosi, o medici, o anche altri personalità
provenienti da altri studi, che comunque avevano riflettuto su questi temi. Montessori,
Decroly, Claparède e Freinet (con la fondazione della nouvelle ecole) e soprattutto
Kilpatrick e Parkhurst, hanno riflettuto, tutti, sulla progettazione individualizzata539
.
In particolare, una rilevanza storica viene attribuita ai tre piani di
sperimentazione americani:1.1. Il Metodo dei progetti, di cui il promotore fu Kilpatrick,
sostenitore della necessità d’integrazione tra la scuola e i due bisogni: socialità e
individualizzazione, ciò poteva essere raggiunto mediante la realizzazione di un piano di
lavoro per ciascun allievo540
. Questo gli avrebbe permesso di lavorare a progetti diversi
dalle tradizionali suddivisioni in materie d’insegnamento, che venivano da sempre
proposti in maniera egualitaria all’intera classe. 1.2. Il Piano Dalton fortemente voluto
dalla Parkhurst, prevedeva la stipulazione di un contratto con gli insegnanti delle varie
materie d’insegnamento, che implicava venti unità lavorative l’anno, sulla base di
controlli sia individuali che collettivi. Questo piano avrebbe prodotto la
536
Cfr. ivi, p.59. 537
Cfr. ivi, pp.66-68. 538
Cfr. ibidem. 539
Cfr. ivi, pp.69-73. 540
Cfr. ibidem.
136
responsabilizzazione dell’alunno che sarebbe stato, così, l’unico responsabile del
proprio sapere. L’eventuale rischio di uno smisurato individualismo poteva essere
eventualmente corretto con la programmazione di attività di gruppo. 1.3. Il Piano di
Winnetka, realizzato grazie all’opera di Washburne prevedeva infine, la scelta nel
curriculo, di materie più che altro inerenti le scienze sociali, che dovevano essere
esposte in unità di lavoro tra loro collegate. Famosi erano i quaderni di lavoro e di
autocontrollo da lui proposti, questi, dovevano essere redatti dagli alunni stessi, e solo
dopo sarebbero stati sottoposti al controllo dell’insegnante. Ugualmente, come per
Parkhurst, furono immaginate attività di socializzazione per attenuare l’individualismo,
ma con una differenza: non erano integrative del curriculo, piuttosto già prevesti nel
programma541
.
Queste tre esperienze produssero una grande ricchezza innovativa, tanto da
diventare il punto d’avvio della teoria pragmatista. Tale modello educativo, soprattutto
nelle opere di Washburne, era noto con il nome di Educazione progressiva. Da qui,
anche se in realtà per l’attuazione bisognerà aspettare il secondo dopoguerra, fu resa
nota anche in Italia.
Questi iniziatori, mettendo in atto, seppur in forme sperimentali, interpretazioni
operative che avanzano motivi d’interesse ancora oggi come, ad esempio, la
strutturazione aperta delle classi, l’auto-istruzione, l’articolazione delle classi in gruppi
di livello; hanno cercato di creare quella che è stata definita da Montessori, con un
termine che ancora oggi è attuale, la «scuola su misura»542
ossia, una scuola organizzata
in relazione alle caratteristiche degli allievi.
In Italia è solo nel 2003, con Bertagna alla Presidenza del Gruppo Ristretto di
Lavoro, sostenitore della Riforma Moratti, che venne puntualizzata la differenza tra
individualizzazione e personalizzazione543
. Egli precisò, infatti, che parlare di percorsi
formativi individualizzati è inesatto, in quanto la formazione è vero che è rivolta
all’individuo, ma non ci si deve riferire a lui in maniera astratta, piuttosto dobbiamo
pensare che parliamo di persona. Ne consegue che è più esatta la discussione sui
percorsi formativi personalizzati. L’espressione personalizzazione in realtà, era già
541
Cfr. ibidem. 542
Cfr. ivi, p.78. 543
Cfr. ivi, pp.123-124.
137
stata utilizzata nell’ambito delle scienze dell’educazione contemporanee piuttosto
recentemente, se ne parlava già negli anni ’70. Da allora la pedagogia post attivistica e
gli studi di psicologia cognitiva, ci hanno fatto osservare come non bisogna considerare
l’apprendimento e l’insegnamento solo riponendo grande fiducia nei cosiddetti
“bisogni” e “interessi” degli alunni544
. Infatti, sappiamo che, i momenti ed i ritmi di
apprendimento non sono cadenzati, anzi sono strettamente interconnessi all’ambiente,
alla gestione delle dinamiche emotive ed affettive, ma anche alle attività didattiche.
Dunque venne ipotizzato non un ridimensionamento, ma piuttosto un rafforzamento
della triade: insegnamento-apprendimento-individualizzazione545
.
L’obiettivo è, dunque, realizzare una scuola «di tutti e di ciascuno546
» per la
formazione di alunni che, un giorno, grazie ad una metodologia d’insegnamento e
apprendimento adeguata, sarebbero entrati a far parte di una società democratica547
.
Ebbero un successo maggiore, invece, e non solo nella scuola italiana ma in tutto
il mondo occidentale, le teorie della programmazione curricolare e le cosiddette
strategie del rinforzo, finalizzate all’apprendimento548
. Queste teorie curricolari
diventarono usuali dalla fine degli anni Settanta, agli inizi degli anni Ottanta. I loro
caratteri fondamentali possono essere individuati nei seguenti punti:
- esplicitazione dei meccanismi di auto-controllo a che le procedure
adottate conducano ad un esito positivo;
- ottimizzazione degli obiettivi d’apprendimento;
- individuazione di unità didattiche poste in sequenza, in maniera
tale che gli obiettivi acquistino un senso, in considerazione degli
scopi finali del processo d’istruzione;
- concretizzazione di procedure valutative graduali549
.
544
Cfr. ibidem. 545
Cfr. V. Garcia Hoz, Educazione personalizzata, Le Monnier, Firenze 1981, pp.12-17. 546
Cfr. ivi, p.34. 547
Cfr. ibidem. 548
Cfr. ivi, pp.12-16. 549
Cfr. ivi, pp.89-95.
138
Lo sviluppo di queste teorie, ha però soffermato l’attenzione, alla dimensione
cognitiva del soggetto, visto, come colui che apprende e che compie un’attività
verificabile. Anche se, in realtà, le tendenze più radicali hanno attribuito maggiore
importanza all’apprendimento che, a sua volta, produce apprendimento, e che, in quanto
tale, non sempre è valutabile.
Una delle novità in materia di apprendimento ed insegnamento, riconducibili
all’approccio curricolare, riguarda il trasferimento del punto centrale della didattica550
.
Si è passati, infatti, dai processi di insegnamento a quelli di apprendimento, grazie
all’acquisizione di modelli didattici, che pongono un’attenzione maggiore ai tempi e alle
modalità di conoscenza dell’alunno, che hanno portato, poi, al principio di
personalizzazione551
.
Secondo queste teorie quanto più la scuola si riorganizza, basandosi sulla rigida
esecuzione di ciò che è stato previsto nei documenti di programmazione, i quali
organizzano soprattutto, la tempistica e le pratiche cognitive, tanto più alta può essere la
qualità delle prestazioni che può offrire. L’utilizzo di questo modello formativo
estremamente rigido, si pensava avesse ridotto la marginalizzazione scolastica e gli
insuccessi scolastici552
. Ma in realtà, questa modalità d’intervento, correlata a quelle che
vennero definite come strategie del rinforzo, hanno prodotto un sviluppo della scuola,
delle opportunità di apprendimento, di nuove tecniche di esercitazione, ma non hanno
diminuito i suddetti fenomeni553
. Tali “strategie del rinforzo”, partendo dal presupposto
che per poter assicurare l’equità bisogna garantire a tutti le stesse prestazioni, hanno
scommesso, più che altro sulla quantità degli interventi piuttosto che sulla
diversificazione dei bisogni554
.
Valutando le teorie, che in questi ultimi anni, hanno rappresentato dei validi
punti di riflessione, finalizzati alla personalizzazione degli interventi scolastici, ci
rendiamo subito conto, che queste hanno trasmesso un’idea di scuola diversa, più
familiarizzata, di quanto non fosse la scuola degli anni ‘60-’70 del Novecento. Nelle
550
Cfr. V. Garcia Hoz , Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Palumbo, Palermo 1997,
pp.45-49. 551
Cfr. ibidem. 552
Cfr. ivi, pp.56-63. 553
Cfr. ibidem. 554
Cfr. ivi, p.77.
139
odierne scuole, il docente, deve possedere, non solo cultura e sapere scientifico, ma
soprattutto, capacità di organizzazione e progettazione555
. Non va, inoltre, trascurato,
successivamente, il fatto che la scuola ha dovuto rispondere ai cambiamenti sociali
determinatesi nel corso degli anni, (pensiamo ad esempio al fatto che al giorno d’oggi è
normale che entrambi i genitori lavorano) che inevitabilmente hanno sollecitato
l’attuazione di nuovi interventi educativi, determinando così, la necessità di nuove
metodologie di insegnamento556
.
Il tema della “personalizzazione” è strettamente connesso anche ai profondi
mutamenti che nell’ultimo decennio hanno interessato i sistemi formativi, non solo
italiani557
. Dalla Gran Bretagna ai Paesi Bassi, dalla Spagna alla Germania, è tutto un
avvicendarsi di scissioni e considerazioni, rivolte al accrescimento dell’efficacia del
sistemi d’istruzione. Efficacia, intesa, sia come incremento delle esperienze e della
qualità delle relazioni interpersonali, che come incremento del senso di appartenenza
alla propria società558
. Oggi, stiamo assistendo ad un rapporto tra Stato, società e
cittadino, che si sta consolidando, più che mai, in tutte le società. Ciò ha prodotto una
moltiplicazione dei compiti e delle responsabilità che precedentemente erano affidate
allo Stato. Questa, è il percorso, che anche l’Italia da qualche anno, segue, con
l’autonomia delle scuole.
La recente riforma scolastica, prevede infatti che, le scuole sono libere di auto-
organizzarsi secondo le forme di apprendimento e d’istruzione, che ritengono più
opportune, così lo Stato, non può più intervenire con i suoi “programmi” e, a ciò ne
consegue che, non può più attuare la sua “logica pedagogica”559
, riservandosi soltanto il
compito di monitorare il sistema. La scuola, tuttavia, attraverso periodiche rilevazioni
inerenti la qualità delle prestazioni scolastiche garantite, monitora l’andamento dei
percorsi di apprendimento ed insegnamento già avviati560
.
È però fondamentale, che le strategie di apprendimento ed istruzione siano varie e
differenti, cosicché i percorsi formativi siano molteplici e soprattutto individualizzabili,
555
Cfr. ivi, pp.99-105. 556
Cfr. M. Altet, Le pedagogie dell’apprendimento, Armando, Roma 2000, pp. 67-78. 557
Cfr. ibidem. 558
Cfr. ivi, pp.34-44. 559
Cfr. ivi, pp. 123-127. 560
Cfr. ivi, p.44.
140
sia dal punto di vista istituzionale che della didattica. Solo questo permette di garantire
una risposta adeguata alle nuove richieste, finalizzate al potenziamento delle
opportunità di formazione che la società civile espone. In realtà si vuole evitare, anche,
che tutte le responsabilità educative siano affidate solo alla scuola561
.
Ciò nonostante, alcuni studiosi sostengono che, uno degli elementi fondamentali,
per garantire l’equità formativa è che bisogna individuare dei percorsi formativi
extrascolastici uguali a quelli scolastici. Nel senso che i giovani, devono poter avere
l’opportunità di scegliere tra una pluralità di percorsi, che si conseguono non solo
all’interno del sistema scolastico, ma anche in sedi extrascolastiche. Questa è la
strategia personalizzante che è in grado di adeguarsi alle aspettative e alle capacità di
ognuno562
.
Naturalmente questa idea deve essere sostenuta da iniziative sociali, necessarie,
per evitare che le esperienze extrascolastiche, siano soltanto per i soggetti che dal punto
di vista economico e cognitivo sono più svantaggiati563
. Si tratta, allora, di favorire
sistemi che consentano, quando è indispensabile, a coloro che preferiscono un canale
non scolastico, di accedervi, piuttosto che, accettare la logica della scuola uguale per
tutti564
.
Questa ipotesi, però, implica l’identificazione di forme attuali di organizzazione
didattica, non solo, ma anche di diffusione dei processi del “sapere” e del “saper fare”,
così da programmare piani di studio connessi alle capacità, ai ritmi e ai tempi di
sviluppo degli allievi.
La riforma, ha specificato il passaggio dagli «obiettivi generali del processo
educativo»565
agli «obiettivi specifici di apprendimento»566
denominati O.S.A., che sono
561
Cfr. A. Catalfamo, La ricerca didattica. Aspetti e problemi, Pellegrini, Cosenza 2000, pp.44-48. 562
Cfr. A. Pajno, L’autonomia delle scuole, La Scuola, Brescia 1997, pp. 45-49. 563
Cfr. ibidem. 564
Cfr. ibidem. 565
DPR 275/99 Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275
(in SO 152/L della GU 10 agosto 1999, n. 186). Regolamento recante norme in materia di autonomia
delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59: Art. 8(Definizione dei
curricoli) 1. Il Ministro della pubblica istruzione, previo parere delle competenti commissioni
parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’articolo 205 del decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per i diversi tipi
e indirizzi di studio: a) gli obiettivi generali del processo formativo; b) gli obiettivi specifici di
apprendimento relativi alle competenze degli alunni; c) le discipline e le attività costituenti la quota
nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale; d) l’orario obbligatorio annuale complessivo dei
141
stati individuati dalle Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati567
agli
“obiettivi formativi” proporzionati ai singoli alunni che usufruiscono del servizio
educativo. Questo è il sistema attraverso cui si completa il processo personalizzante.
Gli obiettivi formativi sono sostanzialmente gli obiettivi generali del processo
formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento che sono collocati nella scuola, o in
una sezione, o in un gruppo di alunni, tenendo in considerazione le singole capacità
personali di ogni allievo, ed in seguito, mediante l’azione conciliatrice dei docenti, sono
in grado di maturare competenze personali. La finalità che l’intervento scolastico
intende perseguire, anziché essere la differenziazione, diviene così l’uniformità. Il
cosiddetto P.O.N., Piano dell’Offerta Formativa, è il documento in cui viene redatto il
progetto educativo di una scuola, che contiene le attività e ciò l’istituzione può offrire
alle famiglie e agli alunni568
. Questo, infatti, in quanto risultato di un progetto attribuito
ad una particolare situazione, si colloca come il primo passo verso la personalizzazione.
Per raggiungere, però, gli obiettivi generali del Piano e per dare risposta ai
bisogni educativi e di apprendimento, diventa necessaria la programmazione sia
curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle
istituzioni scolastiche; e) i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e
attività della quota nazionale del curricolo; f) gli standard relativi alla qualità del servizio; g) gli indirizzi
generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi; h) i criteri
generali per l’organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione permanente degli adulti,
anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza
unificata Stato-Regioni-città ed autonomie locali. 2. Le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano
dell’offerta formativa il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare, a norma del
comma 1, la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le
attività da esse liberamente scelte. Nella determinazione del curricolo le istituzioni scolastiche precisano
le scelte di flessibilità previste dal comma 1, lettera e). 3. Nell’integrazione tra la quota nazionale del
curricolo e quella riservata alle scuole è garantito il carattere unitario del sistema di istruzione ed è
valorizzato il pluralismo culturale e territoriale, nel rispetto delle diverse finalità della scuola dell’obbligo
e della scuola secondaria superiore. 4. La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze
formative degli alunni concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di continuità e di
orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli enti locali, dai contesti sociali,
culturali ed economici del territorio. Agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di
opzione. 5. Il curricolo della singola istituzione scolastica, definito anche attraverso una integrazione tra
sistemi formativi sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali negli ambiti previsti dagli articoli
138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, può essere personalizzato in relazione ad azioni,
progetti o accordi internazionali. 6. L’adozione di nuove scelte curricolari o la variazione di scelte già
effettuate deve tenere conto delle attese degli studenti e delle famiglie in rapporto alla conclusione del
corso di studi prescelto. 566
Cfr. ibidem. 567
Le Indicazioni esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le Scuole Primarie del Sistema
Nazionale di Istruzione e sono tenute per garantire il diritto personale, sociale e civile
all’istruzione e alla formazione di qualità. Per ulteriori approfondimenti consultare l’allegato B. 568
Cfr. L. Milani, Competenza pedagogica e progettualità educativa, La Scuola, Brescia 2000, pp.23-25.
142
dell’attività oraria che didattica, di modo che siano coerenti con il piano d’intervento
educativo, nel rispetto del numero di ore e giorni di lezione, nonché del contratto di
lavoro dei docenti569
. La flessibilità è, perciò, la prima apertura alla personalizzazione
dei Piani di studio. Il principio della personalizzazione presuppone, come abbiamo
visto, una “differenziazione didattica” intesa come modi di insegnamento-
apprendimento, che si svolgano secondo forme diverse quali: attività di gruppo,
laboratori, forme di autoistruzione nonché attività di apprendimento con l’utilizzo delle
più moderne tecnologie570
.
Ma, nella classi, spesso, sono presenti anche bambini le cui problematicità
possono derivare da condizionamenti socio-culturali. In questi casi, la loro integrazione
deve essere facilitata con ogni mezzo, cosicché possa essere data una risposta anche ai
loro bisogni relazionali e cognitivi, sicuramente differenti. Tutti gli insegnanti della
scuola, e non soltanto gli insegnanti di sostegno, devono contribuire all’attuazione di
questi progetti educativi, tenendo anche conto del ruolo che viene assegnato al
personale non insegnante.
Il testo programmatico nazionale571
individua gli obiettivi della scuola materna,
richiamando le norme e le dimensioni dello sviluppo infantile, evidenziando le
569
Cfr. ivi, pp.33-35. 570
Cfr. O. Scandella, Tutorship e apprendimento. Nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia,
La Nuova Italia, Firenze 1995, pp.12-15. 571
Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di
concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno
2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133: Art. 4.
Strumenti innovativi di investimento 1. Per lo sviluppo di programmi di investimento destinati alla
realizzazione di iniziative produttive con elevato contenuto di innovazione, anche consentendo il
coinvolgimento degli apporti dei soggetti pubblici e privati operanti nel territorio di riferimento, e alla
valorizzazione delle risorse finanziarie destinate allo scopo, anche derivanti da cofinanziamenti europei
ed internazionali, possono essere costituiti appositi fondi di investimento con la partecipazione di
investitori pubblici e privati, articolati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi
locali. Con decreto Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, sono disciplinate le modalità di costituzione e funzionamento dei fondi, di apporto agli stessi e le
ulteriori disposizioni di attuazione. 1-bis. Per le finalità di cui al comma 1, con decreto di natura non
regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze la gestione separata della Cassa depositi e
prestiti S.p.A. può essere autorizzata, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, ad istituire un
apposito fondo, attraverso cui partecipare, sulla base di un adeguato sistema di verifica della sostenibilità
economico-finanziaria delle iniziative, nonché' di garanzie prestate dagli stessi soggetti beneficiari diversi
dalla pubblica amministrazione, tale da escludere la garanzia dello Stato sulle iniziative medesime, anche
in via sussidiaria, e di intese da stipularsi con le amministrazioni locali, regionali e centrali per
l’implementazione dei programmi settoriali di rispettiva competenza, a fondi per lo sviluppo, compresi
quelli di cui all’articolo 44 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’11 luglio 2006, sui
fondi strutturali, e quelli in cui può intervenire il Fondo europeo per gli investimenti. 2. Dalle disposizioni
143
conoscenze adeguate all’età e al contesto culturale, propone inoltre, i criteri
metodologici e didattici dell’attività educativa. Devono essere indicati i diversi ambiti
del fare e dell’agire del bambino, ossia tutti i settori ai quali l’allievo attribuisce un
significato, accresce il suo apprendimento, conquista tecniche linguistiche per il
perseguimento di traguardi formativi. Egli vive, dunque, un’esperienza che si inserisce
entro confini definiti, ma di cui lui deve essere il protagonista572
.
La disposizione dell’attività si costruisce su una incessante duttilità ed
inventività didattica, che tiene conto della mutevolezza dei ritmi, dei tempi e degli stili
di apprendimento di ciascun allievo, oltre che delle sue motivazioni e dei suoi interessi.
In particolare per i bambini in condizioni di handicap, a cui non deve mai essere
preclusa nessuna conoscenza, anzi, è necessario decretare particolari finalità, percorsi
metodologici ed indicatori di verifica, che ne valorizzino le loro capacità.573
Sulla base
di quanto fin qui detto, constatiamo che l’apprendimento e l’insegnamento odierno,
devono avere come obiettivi sia la promozione dell’autonomia e della capacità di
identificare e manifestare sentimenti, emozioni e passioni, sia la regolazione
dell’aggressività, ma anche il consolidamento dell’interesse, della disponibilità alla
cooperazione, della fiducia, dello spirito di familiarità ed il supporto nella conquista
della propria identità.
È utile, a questo proposito, ricordare il bisogno di non persuadere, né consolidare
stereotipi574
. Al fine di concedere al bambino i primi rudimenti per l’apprendimento
della strutturazione della società, gli deve essere data la possibilità di esplorare
l’ambiente. La conoscenza dell’ambiente culturale e delle sue tradizioni, infatti, gli
permette di accrescere il rapporto con il passato, che avviene attraverso la
ristrutturazione di avvenimenti a lui riferibili575
. Un’importante esperienza educativa in
del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, sono
escluse garanzie a carico delle Amministrazioni Pubbliche sulle operazioni attivabili ai sensi del comma
1. 572
Cfr. ivi, pp.123-124. 573
Cfr. E. Felisatti, Progettualità, ricerca e sperimentazione nella scuola autonoma, Pensa Multimedia,
Lecce 2001, p.60. 574
Cfr. ibidem. 575
Cfr. ivi, pp.56-57.
144
tale senso è rappresentata dalla partecipazione a eventi significativi della vita sociale e
della comunità. valutazioni576
.
L’itinerario educativo deve essere compiuto come una sorta di tirocinio non
forzato, che porta alla scoperta dell’altro e all’adeguamento alla sua presenza, dei suoi
modi di essere, delle sue necessità, per arrivare infine al conseguimento di una vera
capacità di cooperazione basata su condivise577
. In questo modo, il bambino potrà
potenziare le sue prime scelte e, allo stesso tempo, rinforzare la propria autostima, che
lo condurrà ad una progressiva autonomia.
In realtà c’è un altro aspetto fondamentale che deve essere attenzionato. Oggi la
scuola non deve personalizzare i suddetti percorsi formativi solo alla luce di obiettivi
formativi ed educativi da fare raggiungere agli studenti. Necessita anche la
progettazione di traguardi di competenza da raggiungere. Al termine della scuola
dell’infanzia e della scuola primaria gli insegnanti procedono, infatti, all’individuazione dei
traguardi per lo sviluppo delle competenze, attinenti i vari insegnamenti578
.
Essi indicando i percorsi culturali e didattici da verso cui muoversi, sono un riferimento
indispensabile per gli insegnanti, in quanto li sostengono nell’indirizzare l’azione
educativa alla finalità più importante: lo sviluppo globale del bambino. È stato più volte
riscontrato che nella scuola del primo ciclo tali traguardi rappresentano i parametri per
la valutazione delle competenze che devono essere raggiunte. Inoltre dalla loro
scansione temporale, emerge la loro disposizione, a garanzia dell’totalità del sistema
statale e della qualità del servizio, che viene garantito per ciascun discente579
.
Tuttavia, è vero che le scuole sono libere di organizzarsi e di stabilire l’itinerario
che ritengono più consono a che possano concedere ai bambini un eccellente
raggiungimento dei risultati, ma ne consegue che, ne diventano uniche responsabili.
Ogni campo di esperienza concede al bambino specifici vantaggi di apprendimento, ma
contribuisce contemporaneamente all’individuazione dei compiti di sviluppo che
576
Cfr. ibidem.
577 Cfr. ibidem.
578 Cfr. ivi, p.66.
579 Cfr. ivi, p.67.
145
vengono considerati unitariamente per tutti i bambini, e che riguardano lo sviluppo della
loro identità, indipendenza e delle loro abilità580
.
In ultima analisi, al termine della scuola dell’infanzia, è razionale aspettarsi che
tali traguardi di competenza siano stati raggiunti. Ecco che allora ogni discente deve
aver maturato e raggiunto esperienze che ne organizzano il suo sviluppo individuale581
.
580
Cfr. ivi, pp.48-50. 581
Cfr. ivi, pp.58-60.
146
Capitolo III
PROSPETTIVE PEDAGOGICHE PER UN NUOVO
PROCESSO EDUCATIVO NELLA SCUOLA DEL XXI
SECOLO
3.1. I servizi per l’infanzia: il ruolo dell’assistente sociale
La riforma del titolo V della Costituzione ha indirizzato lo Stato italiano verso
una modifica dell’assetto istituzionale. L’articolo 117 della Costituzione, decreta
l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali,
che devono essere assicurati su tutto il territorio nazionale (art. 117, comma 2, lett.
m)582
.
In questo senso, si parla dei livelli essenziali delle prestazioni come strumento
di realizzazione della Politica Nazionale per i Servizi alla Prima Infanzia da lungo
tempo attesi, ma per niente concretizzati. Le politiche per l’infanzia ricoprono, nelle
582
Carta Costituzionale, Art.117: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e
rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione
giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la
Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed
esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario;
sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse
finanziarie (1); f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento
europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h)
ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile
e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m)
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; o) previdenza sociale; p)
legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e
determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; s) tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali. […]».
147
società contemporanee un ruolo fondamentale ed assai delicato, ma ravvisare i motivi
che hanno suscitato l’interesse dell’Unione Europea, bisogna pensare che, le politiche
per l’infanzia ed i servizi socio-educativi ad esse collegati, rappresentano il punto
d’incrocio di più questioni. Possiamo avviare il discorso partendo da una breve
considerazione sull’attuale cambiamento dei sistemi di welfare europei.
In tutta Europa i sistemi di welfare non sono stati in grado di rispondere agli
emergenti bisogni, sempre più articolati ed individualizzati583
. La fragilità sociale nei
Paesi Europei è stata affrontata differentemente a seconda del carattere del sistema di
welfare, di cui vengono individuate due tipologie: familistico o defamilizzante. I sistemi
familistici che oltre l’Italia, caratterizzano anche Germania e Gran Bretagna, non
attribuiscono particolare attenzione alle politiche sociali a favore della famiglia, in
quanto la responsabilità del benessere dei suoi membri viene incaricata al nucleo
familiare. I regimi defamilizzanti tendono, invece, ad impregnarsi nei confronti delle
famiglie attraverso l’identificazione di misure, sia economiche (come ad esempio le
agevolazioni fiscali o gli assegni familiari), che assistenziali, destinate soprattutto ad
anziani e minori, che in qualche misura sono visti come soggetti bisognosi e deboli584
.
Queste trasformazioni sono conseguenti all’incapacità delle famiglie di operare
come agenzie di beni e servizi. Inoltre, l’odierno mutamento delle strutture familiari e la
rivoluzione demografica sono state depositarie delle nuove sfide dei regimi di welfare,
in quanto la diminuzione della natalità, a cui è conseguito l’aumento della vita media, ha
determinato l’invecchiamento esponenziale della popolazione. Non solo, ma è anche
gradualmente diminuito il numero dei membri della famiglia, si parla ,infatti, di
famiglia minima585
.
Sempre più coppie, difatti, o non hanno figli o al massimo preferiscono averne
uno. Ciò, ha determinato una quasi totale assenza di misure di sostegno alle
responsabilità genitoriali. In questo quadro di crescente differenziazione della famiglia,
oggi sono, infatti, sempre più ridotte le funzioni di sostegno sociale che
precedentemente erano ottemperate dalle famiglie stesse. Nel modello societario, così
583
Cfr. M. Paci, Il welfare dei cittadini. Un contributo al dibattito, Il Mulino, Bologna 2005, pp.123-126. 584
Cfr. N. Sharmahd, Ricerca educativa e servizi per l’infanzia , Edizioni Junior, Parma 2011,pp.54-59. 585
Cfr. E. Catarsi, Coordinamento pedagogico e servizi per l’infanzia, Edizioni Junior, Parma 2010, pp.
12-18.
148
delineato, l’attenzione degli studiosi è, sempre più, rivolta all’analisi di dinamiche dei
servizi per la cura delle persone, in quanto, sono convinti che il welfare debba avviarsi
verso l’erogazione di servizi piuttosto che, di «trasferimenti di denaro ed assicurazioni
sociali»586
. Così, le politiche per l’infanzia ed il ruolo educativo dei servizi diviene
decisivo sia rispetto alla tendenza demografica, all’accrescimento del tasso di
occupazione delle donne, all’aumento delle disuguaglianze e della povertà, che,
all’opportunità offerta agli individui di autorealizzarsi. In Italia le iniziative a favore dei
minori, sono pochissime, tanto che non possono neanche essere riconosciute come
policy587
.
Le politiche per l’infanzia, infatti, dal punto di vista concettuale, non
corrispondono né alle misure assistenziali per l’infanzia, né alle politiche per la
famiglia. Il governo italiano ha previsto quasi esclusivamente azioni economiche quali
trasferimenti monetari e sgravi fiscali che per di più, sono mal ripartiti588
. Il problema è
che non è stato individuato un parametro definito di sostegno economico diretto alle
famiglie con i figli piccoli, cosa che invece, comincia ad avvenire in Gran Bretagna. La
Gran Bretagna, infatti, nel1997 ha predisposto una strategia nazionale per i servizi
all’infanzia (NCS)589
, grazie a cui garantisce a tutti i bambini di quattro anni
un’istruzione prescolare part-time.
In Italia, invece, i governi che si sono susseguiti dalla Riforma del Titolo V ad
oggi, non sono stati in grado d’introdurre completamente i livelli essenziali. Dal 1977,
che è stato l’ultimo anno delle risorse statali, occorrerà attendere la finanziaria del 2002
a che lo Stato s’impegni nell’ambito dei servizi all’infanzia590
. Solo grazie a questa
586
M. Mattesini, I servizi dell’infanzia. Costi, forme di gestione, innovazione, percorsi di crescita,
Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2008, pp.200-208. 587
Cfr. ibidem. 588
Cfr. ivi, pp.222-223. 589
La National Child Care Strategy ,varata in Gran Bretagna nel 1997, prevede la triplicazione del
numero di asili nido. Fra le misure più importanti introdotte vi è il diritto a un posto gratuito, ma a tempo
parziale, per tutti i bimbi dai 2 ai 4 anni 590
Legge 28 dicembre 2001, n. 448. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2002), GU n.301 del 29-12-2001. Art.70: Art.70. Disposizioni in materia di
asili nido 1.È istituito un Fondo per gli asili nido nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali. 2.Gli asili nido, quali strutture dirette a garantire la formazione e la
socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre anni ed a sostenere le
famiglie ed i genitori, rientrano tra le competenze fondamentali dello Stato, delle regioni e degli enti
locali. 3.Entro il 30 settembre di ogni anno il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze, provvede con proprio decreto a ripartire tra le regioni
149
legge del 2007591
viene progettato un piano di intervento per lo sviluppo dei servizi
socio-educativi, per la creazione di servizi per bambini da 0 a 3 anni. Dunque, volendo
identificare ciò che, al momento, compone il sistema integrato dei servizi educativi per
la prima infanzia, sono:
nido d’infanzia (a tempo pieno o parziale) e micro-nido: sono dei servizi
pubblici e come tale aperti a tutte le bambine e i bambini d’età compresa tra i tre
mesi e i tre anni. Il nido e il micro-nido sono aperti solo la mattina, per almeno
sei ore al giorno, e per cinque giorni la settimana, è previsto inoltre, un servizio
di mensa cosicché i bambini vi pranzino592
;
centro per bambini e genitori: è finalizzato all’accoglienza di bambini dai 0 ai 3
anni unitamente ai loro genitori. Qui, vengono offerte varie opportunità di svago
in luoghi preposti a ciò593
;
spazio gioco per bambini (età compresa da 18 a 36 mesi): è un servizio che
accoglie i bambini durante tutto l’arco della giornata, sia, quindi, di mattina che
di pomeriggio. I bambini possono soggiornarvi solo per cinque ore, non è,
infatti, previsto il servizio né di mensa, né di riposo vespertino594
;
le risorse del Fondo, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281. 4.Le regioni, nei limiti delle proprie risorse ordinarie di bilancio e di quelle aggiuntive
di cui al comma 3, provvedono a ripartire le risorse finanziarie tra i comuni, singoli o associati, che ne
fanno richiesta per la costruzione e la gestione degli asili nido nonché' di micro-nidi nei luoghi di lavoro.
5.Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici nazionali, allo scopo di favorire la conciliazione tra
esigenze professionali e familiari dei genitori lavoratori, possono, nei limiti degli ordinari stanziamenti di
bilancio, istituire nell'ambito dei propri uffici i micro-nidi di cui al comma 4, quali strutture destinate
alla cura e all’accoglienza dei figli dei dipendenti, aventi una particolare flessibilità organizzativa
adeguata alle esigenze dei lavoratori stessi, i cui standard minimi organizzativi sono definiti in sede di
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1991, n. 281. 6.Le spese di
partecipazione alla gestione dei micro-nidi […]. 591
Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2007), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006 -
Supplemento ordinario n. 244. Art. 1, 2, 3, 4, 10-bis. 592
Cfr. ivi, pp.45-49. 593
Cfr. ibidem. 594
Cfr. ibidem.
150
servizi e interventi educativi in contesto domiciliare: sono dei servizi educativi
forniti da personale qualificato, adibiti all’interno di abitazioni in grado di
accogliere gruppi di bambini che però non devono ancora aver compiuto i 3
anni595
.
I suddetti servizi sono finalizzati alla tutela dei diritti dei bambini, alla riduzione dei
livelli di povertà che colpiscono soprattutto i bambini e, a rispondere alle richieste del
territorio. Ma, una volta raggiunte queste finalità, è opportuno porsi una domanda:
questi servizi possono realmente risolvere i problemi di conciliazione tra famiglia e
lavoro? Ma soprattutto bisogna chiedersi se è giusto che un bambino piccolo trascorra
più ore al nido che in famiglia, solo perché i genitori lavorano entrambi.
Le odierne leggi garantiscono una serie di diritti ai genitori quali: lavori part-
time, congedi di maternità, contratti atipici nel caso di donne in gravidanza, congedi
parentali, ma occorre che vengano garantiti anche e soprattutto i diritti dei bambini. I
servizi per l’infanzia in Italia sono fondamentalmente di due livelli: i nidi con le varie
prestazioni per i bambini di età compresa tra 0 e 3anni, e anche la scuola per l’infanzia
per i bambini dai 3 ai 5anni596
.
La scuola per l’infanzia, benché non faccia parte del sistema scolastico
obbligatorio, è frequentatissima. Lo sviluppo, anche a seguito della legge n.285 del
1997597
, di vari servizi per la prima infanzia potrebbe concorrere ad un quadro più
595
Cfr. ivi, pp.50-51. 596
Cfr. ivi, p.99. 597
Legge 28 agosto 1997, n. 285, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia
e l’adolescenza. Art. 3. (Finalità dei progetti) 1. Sono ammessi al finanziamento del Fondo di cui
all'articolo 1 i progetti che perseguono le seguenti finalità: a) realizzazione di servizi di preparazione e di
sostegno alla relazione genito re-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché di misure
alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali, tenuto conto altresì della condizione
dei minori stranieri; b) innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia; c)
realizzazione di servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, anche nei periodi di sospensione delle
attività didattiche; […]. Art. 4. (Servizi di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà
e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali) 1. Le
finalità dei progetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a) , possono essere perseguite, in particolare,
attraverso: a) l’erogazione di un minimo vitale a favore di minori in stato di bisogno inseriti in famiglie o
affidati ad uno solo dei genitori, anche se separati; b) l’attività di informazione e di sostegno alle scelte di
maternità e paternità, facilitando l'accesso ai servizi di assistenza alla famiglia ed alla maternità di cui alla
legge 29 luglio 1975, n. 405, e successive modificazioni; c) le azioni di sostegno al minore ed ai
componenti della famiglia al fine di realizzare un'efficace azione di prevenzione delle situazioni di crisi e
di rischio psico-sociale anche mediante il potenziamento di servizi di rete per interventi domiciliari,
151
favorevole di contesti sia educativi che di socializzazione. Per consentire che i servizi
per l’infanzia abbiano una loro continuità è necessario il coordinamento dei vari
operatori sociali che vi operano. Una di queste figure professionali impegnata in
quest’area, è proprio, l’Assistente Sociale598
.
L’ambito in cui opera dell’Assistente Sociale, in riferimento ai servizi per
l’infanzia, è l’Area Minori del Servizio Sociale. Le funzioni dell’assistente sociale, sono
due: la funzioni di aiuto, assistenza e sostegno nella genitorialità alle famiglie ed ai
minori, e funzioni varie relative non solo alla tutela e alla protezione, ma anche alla
vigilanza dei minori che vivono in nuclei familiari in cui i genitori non riescono a far
fronte al loro ruolo.
diurni, educativi territoriali, di sostegno alla frequenza scolastica e per quelli di pronto intervento; d) gli
affidamenti familiari sia diurni che residenziali; e) l’accoglienza temporanea di minori, anche
sieropositivi, e portatori di handicap fisico, psichico e sensoriale, in piccole comunità educativo-
riabilitative;[…]. 2. La realizzazione delle finalità di cui al presente articolo avviene mediante progetti
personalizzati integrati con le azioni previste nei piani socio-sanitari regionali. Art. 5. (Innovazione e
sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia) 1. Le finalità dei progetti di cui
all'articolo 3, comma 1, lettera b), possono essere perseguite, in particolare, attraverso: a) servizi con
caratteristiche educative, ludiche, culturali e di aggregazione sociale per bambini da zero a tre anni, che
prevedano la presenza di genitori, familiari o adulti che quotidianamente si occupano della loro cura,
organizzati secondo criteri di flessibilità; b) servizi con caratteristiche educative e ludiche per l'assistenza
a bambini da diciotto mesi a tre anni per un tempo giornaliero non superiore alle cinque ore, privi di
servizi di mensa e di riposo pomeridiano. 2. I servizi di cui al comma 1 non sono sostitutivi degli asili
nido previsti dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1044, e possono essere anche autorganizzati dalle famiglie,
dalle associazioni e dai gruppi. Art.6.(Servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero) 1.Le finalità dei
progetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), possono essere perseguite, in particolare, attraverso il
sostegno e lo sviluppo di servizi volti a promuovere e a valorizzare la partecipazione dei minori a livello
propositivo, decisionale e gestionale in esperienze aggregative, nonché occasioni di riflessione su temi
rilevanti per la convivenza civile e lo sviluppo delle capacità di socializzazione e di inserimento nella
scuola, nella vita aggregativa e familiare. 2. I servizi di cui al comma 1 sono realizzati attraverso
operatori educativi […]. Art.7. (Azioni positive per la promozione dei diritti dell'infanzia e
dell'adolescenza) 1. Le finalità dei progetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), possono essere
perseguite, in particolare, attraverso: a) interventi che facilitano l'uso del tempo e degli spazi urbani e
naturali, rimuovono ostacoli nella mobilità, ampliano la fruizione di beni e servizi ambientali, culturali,
sociali e sportivi; b) misure orientate alla promozione della conoscenza dei diritti dell'infanzia e
dell'adolescenza presso tutta la cittadinanza ed in particolare nei confronti degli addetti a servizi di
pubblica utilità; c) misure volte a promuovere la partecipazione dei bambini e degli adolescenti alla vita
della comunità locale, anche amministrativa. Art. 8. (Servizio di informazione, promozione, consulenza,
monitoraggio e supporto tecnico) 1. Il Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio
dei ministri attiva un servizio di informazione, di promozione, di consulenza, di monitoraggio e di
supporto tecnico per la realizzazione delle finalità della presente legge. A tali fini il Dipartimento si
avvale del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia. 2. Il servizio svolge le seguenti
funzioni: a) provvede alla creazione di una banca dati dei progetti realizzati a favore dell'infanzia e
dell'adolescenza; b)favorisce la diffusione delle conoscenze e la qualità degli interventi; […]. 598
Cfr. A. Marra, Metodologia delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2007, pp.55-59.
152
È perciò ovvio, che in questi casi si deve immediatamente provvedere al fine di
ridurre eventuali fattori di rischio evolutivo del minore, pur in mancanza della richiesta
diretta della famiglia599
. Queste competenze affidate all’Assistente Sociale e che in
gran parte coincidono con le funzioni del servizio sociale, sono dette «di aiuto e di
controllo»600
, e non si dipanano separatamente, ma anzi, devono riferirsi allo stesso
indirizzo.
Entrambe mirano, infatti, sia all’attuazione di processi di cambiamento familiari,
al fine di responsabilizzare i genitori, e ridurre, per quanto possibile, le ragioni del
disagio, sia di sostegno al padre e alla madre al fine di responsabilizzarli allo
svolgimento dei loro ruoli genitoriali, così che, possa essere assicurato al minore, il
diritto di crescere tranquillamente nella propria famiglia601
. Muovendo da queste due
funzioni, vengono poi identificate varie aree di intervento più specifiche, nelle quali
viene affidato un ruolo all’Assistente Sociale:
- Azioni assistenziali e di sostegno alla genitorialità per famiglie e minori: sono
tutti gli interventi assistenziali, educativi, di aiuto e di sostegno, che vengono
domandati direttamente dalle famiglie. Il loro obiettivo è di assicurare al minore
la continuità della crescita nella famiglia d’origine. Esempi di questi interventi
sono: sostegno economico alle famiglie con minori, consulenza psicosociale di
supporto alla genitorialità, consulenza per l’avviamento all’uso delle risorse,
interventi di collocazione di minori in centri attivati sul territorio, assistenza per
l’accesso ai servizi, azioni sia socio-educative che individuali e di gruppo602
;
- Interventi di vigilanza e protezione dei minori: se un minore vive in una
condizione di rischio evolutivo o di sofferenza, e ciò viene segnalato al Servizio
Sociale, è dovere degli operatori psicosociali verificare la segnalazione e in caso
di esito positivo, devono redigere un progetto d’intervento a tutela del minore603
;
599
Legge 184/83, Disposizioni in materia di adozione e di affidabilità, art.9 e art.23. 600
Cfr. A. Bartolomei, A.L. Passera, L’assistente sociale, Cierre, Roma, 2011 601
Cfr. ivi, pp.66-67. 602
Cfr. ibidem. 603
Cfr. ibidem.
153
- Inserimento in comunità educative residenziali: qualora il Tribunale dei Minori
emana un provvedimento di collocamento extra-familiare, che è solitamente in
comunità, viene eseguito dal Servizio Sociale. Questo avviene nei casi non
essendo possibile l’affido familiare, e il minore vive una situazione familiare da
cui potrebbe scaturire un pregiudizio per la crescita del minore. L’inserimento
in questa comunità residenziale è curato dall’Assistente Sociale604
;
- Affido familiare di minori: qui il ruolo dell’Assistente sociale è duplice in
quanto per un verso accompagna sia la famiglia affidataria, che il minore nella
sua famiglia d’origine, durante tutto il percorso dell’affido. Questo, prevede
diversi interventi: di identificazione e conseguentemente reperimento delle
famiglie affidatarie, che devono essere formate all’accoglienza di un minore,
(istruttoria per l’affido); realizzazione del progetto, caratterizzato dall’ingresso
del bambino ad nella famiglia affidataria, a questo punto l’assistente sociale
deve affiancare e sostenere sia la famiglia d'origine e la famiglia affidataria; che
il bambino in affido605
;
- Interventi connessi all’adozione: l’Assistente Sociale svolge ha un proprio ruolo
anche in riferimento agli interventi previsti per legge606
per tutte le coppie che
vogliono adottare un bambino e che presentano la domanda di adozione presso il
Tribunale dei Minorenni. Il processo che culmina con l’adozione, è piuttosto
604
Cfr. ivi, pp.60-67. 605
Cfr. ibidem. 606
Legge149/2001, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori. TITOLO II,
AFFIDAMENTO DEL MINORE Art.2. 1. All’articolo 2 della legge n. 184 sono premesse le seguenti
parole: «Titolo I-bis. Dell’affidamento del minore». 2. L’articolo 2 della legge 184 è sostituito dal
seguente: «Art. 2.- 1.Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli
interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente
con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione,
l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno». 2. Ove non sia possibile l'affidamento nei
termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in
mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più
vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a
sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare. 3. In caso di necessità e
urgenza l’affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all’articolo 1,
commi 2 e 3. 4. Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante
affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo
familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia. 5.
Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,
definiscono gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di
tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi.
154
lungo e prevede diversi momenti, compito del servizio sciale è d’informare
entrambe le famiglie sulla normativa e sui primi aspetti di questa esperienza, le
coppie grazie a dei corsi svolti dall’assistente sociale e dalla psicologa, che
solitamente si svolgono presso i consultori familiari, sono finalizzati alla
preparazione delle coppie, l’Assistente Sociale si occupa anche dell’indagine
socio-psicologica che termina con una valutazione psicosociale sull’idoneità o
non idoneità della coppia candidata all’adozione; ma l’assistente sociale ha
anche il compito di vigilare e sostenere, attraverso incontri prestabiliti, durante
tutto il primo anno di ingresso del bambino nella nuova famiglia, sia il minore
che le famiglie (affidante e affidataria)607
;
- Interventi relativi ai minori denunciati ai sensi del DPR 448/88608
Si tratta di minori che hanno commesso reati di vario genere e che per questo
sono stati segnalati dalla magistratura minorile.
Il Servizio Sociale interviene qualora Procura minorile gli richiede l’indagine
psicosociale finalizzata all’individualizzazione di percorsi educativi diversi da
quelli penali. Sono le indagini fatte dall’assistente sociale e dalla psicologa, che
hanno monitorato l’ambiente socio-familiare in cui risiede il minore, la sua
personalità e il suo rapporto con l’ambito sociale in cui vive. L’obiettivo è la
costruzione di un progetto di aiuto in cui minore e famiglia sono coinvolti
attivamente. Questa valutazione psicosociale consente al giudice di ottenere
informazioni di cui in sede dibattimentale terrà conto609
.
- Interventi connessi alla separazione: Nei confronti della problematica inerente
la separazione coniugale l’Assistente Sociale opera su richiesta del Tribunale
ordinario o del tribunale per i minorenni, soprattutto in riferimento ai casi di
separazione conflittuale di genitori, che non riescono a trovare un accordo
sull’affidamento. Gli operatori, con cui collabora l’Assistente sociale, sono
preposti allo svolgimento dell’indagine psicosociale sui genitori, sul loro
607
Cfr. ibidem. 608
Decreto del Presidente della Repubblica 22.09.1988, n° 448, Approvazione delle disposizioni sul
processo penale a carico di imputati minorenni. Art.6. Servizi minorili. 1. In ogni stato e grado del
procedimento l’autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Si
avvale altresì dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali. 609
Cfr. ivi, pp.68-70.
155
rapporto. A conclusione dell’indagine gli operatori inoltrano la relazione al
giudice.610
.
Gli assistenti sociali dell’area socio-pedagogica del Distretto Sociale, grazie ai
periodici incontri con il minore e la famiglia, che mirano alla raccolta di dati,
individuano l’ambito di vita del minore, ossia, la sua situazione familiare, la rete sociale
di cui dispone o può disporre, la sua salute psico-fisica, e in seguito, anche i problemi da
affrontare. In un secondo momento, dopo aver esaminato la situazione, compete
all’assistente sociale la proposizione di nuove soluzioni611
.
L’intervento di questa figura professionale può essere richiesto dal minore
stesso, o dalla famiglia, ma anche dai cittadini e da altri servizi pubblici o privati, o
ancora dal Tribunale. Nel caso di particolari situazioni problematiche, il distretto su
commissione o in partecipazione con altre istituzioni, può anche servirsi di
provvedimenti speciali. Ella, collabora, infatti, direttamente sia con l’Autorità
Giudiziaria che con il Tribunale per i Minorenni e la Procura presso il Tribunale per i
Minorenni per i quali fa studi socio-ambientali612
.
610
Cfr. ibidem. 611
Cfr. ivi, pp.129-133. 612
Cfr. ivi, p.130.
156
3.2. Il “nido” e la nuova scuola dell’infanzia
Nel secolo scorso lo Stato italiano era quasi del tutto indifferente alla condizione
del minore, che veniva visto dalla società, come un “piccolo adulto”. Per cui lo Stato
non si interessava della creazione di istituti per bambini, in quanto, erano gli enti
religiosi e privati che, a partire dall’800, si occuparono dell’infanzia613
. I primi asili
nascono conseguentemente alla situazione culturale ed economica avviatasi in Italia nel
corso degli anni Sessanta. È il periodo in cui le donne cominciarono ad inserirsi nel
mondo del lavoro, e ciò determinò altresì, un’espansione della richiesta di servizi sociali
rivolti ai minori. Non solo, le donne, cominciarono ad identificare la qualità sociale
della loro condizione di madri e per questo reclamavano l’avviamento di servizi che
tutelassero i loro figli, soprattutto nel caso di madri lavoratrici. Solo in epoche recenti
possiamo affermare che, la scuola dell’infanzia, superata la primitiva impronta
idealistica, oggi sta acquisendo sempre più una nuova identità pedagogica, alla base
anche, di una rinnovata immagine sociale. A ciò ha indubbiamente contribuito
l’emanazione degli Orientamenti del 1991614
, che tuttavia, nonostante le proposte
innovative, non verranno attuati, si dovrà aspettare una legge di riforma degli
Ordinamenti che vada oltre la legge del ’68, istitutiva della scuola materna615
.
Negli anni Novanta del XX secolo, studi innovativi dimostravano che l’ambiente
familiare e sociale aveva un ruolo determinate per la crescita del fanciullo. Così, il
bambino per poter crescere e svilupparsi in maniera sana ed equilibrata, secondo gli
studi svolti, doveva vivere in condizioni familiari e luoghi idonei; il bambino aveva,
dunque, bisogno di strutture adatte. La nascita in Italia dell’asilo nido è alquanto
613Cfr. L. Corradini, Educazione alla convivenza civile. Educare, istruire, formare nella scuola italiana,
Armando, Roma 2003, p.11. 614
Decreto Ministeriale 3 giugno 1991, Orientamenti dell'attività educativa nelle scuole materne statali. 615
L.18 marzo 1968, n. 444, Ordinamento della scuola materna statale, (GU n.103 del 22-4-1968 ). Art.
1.Caratteri e finalità della scuola materna statale. La scuola materna statale, che accoglie i bambini
nell’età prescolastica da tre a sei anni, è disciplinata dalle norme della presente legge. Detta scuola si
propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione
alla frequenza della scuola dell’obbligo, integrando l’opera della famiglia. L’iscrizione è facoltativa;
la frequenza gratuita.
157
contemporanea, il riferimento è alla legge 1044/1971616
, che però si occupava solo dei
nidi comunali, e per di più ne assegnava l’intera gestione alle Regioni. I servizi previsti
per i bambini che rientravano nella fascia d’età compresa tra 0-3 anni, fornivano un
ambiente e degli spazi gioco inclini ad un corretto sviluppo.
Erano stati sviluppati dei servizi educativi, progettati e programmati
deliberatamente come luoghi atti a che potesse essere assicurato un intervento
confacente ai casi di carenze personali, le cui cause potevano scaturire o dall’ambiente
socio-educativo, o da quello familiare. Grazie all’avvio di questi servizi le mamme
potevano continuare il loro lavoro, nonostante la loro esperienza materna. In tempi
ancora più recenti, sono state poi, promulgate due importantissime leggi promotrici
delle trasformazioni avviatesi, e che hanno dato l’avvio alla nascita di moderne
richieste: la legge quadro 328/2000617
per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali, e la legge 8 marzo 2000 n. 53 riguardante Disposizioni per il
sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione, e
616
L. 6 dicembre 1971, n. 1044 (GU n.316 del 15-12-1971), Piano quinquennale per l’istituzione di asili-
nido comunali con il concorso dello Stato. Art. 1. L’assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a
tre anni, nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico.
Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare
una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare lo accesso della donna al lavoro nel quadro di
un completo sistema di sicurezza sociale. Al fine di realizzare, nel quinquennio 1972-76, la costruzione e
la gestione di almeno 3.800 asili-nido, lo Stato assegna alle regioni fondi speciali per la concessione di
contributi in denaro ai comuni. I contributi sono di due tipi. […]. Art. 2. Ai fini di cui alla presente
legge è istituito uno speciale fondo per gli asili nido, iscritto in apposito capitolo dello stato di previsione
della spesa del Ministero della sanità. Il fondo viene ripartito dal Ministro per la sanità tra le regioni entro
il mese di febbraio di ogni anno, sulla base dei criteri previsti dall'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n.
281, relativa ai provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario. Le somme non
impegnate in un esercizio possono esserlo negli anni successivi. Art. 3. Il Ministero della sanità verifica lo
stato di attuazione dei piani annuali degli asili nido. Art. 4. Per la costruzione e la gestione di asili nido i
comuni o consorzi di comuni possono richiedere l’erogazione dei contributi di cui alla presente legge
inoltrando domanda alla regione entro il 30 aprile di ogni anno, secondo le norme stabilite dalla regione
stessa. Art. 5. Le regioni sulla base delle richieste avanzate dai comuni e dai consorzi di comuni
elaborano il piano annuale degli asili-nido fissando le priorità di intervento e le norme e i tempi di
attuazione. Il piano regionale è trasmesso al Ministero della sanità entro il 31 ottobre di ogni anno. Art. 6.
La regione, con proprie norme legislative, fissa i criteri generali per la costruzione, la gestione e il
controllo degli asili nido, tenendo presente che essi devono: 1) essere realizzati in modo da rispondere, sia
per localizzazione sia per modalità di funzionamento, alle esigenze delle famiglie; 2) essere gestiti con la
partecipazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali organizzate nel territorio; 3)
essere dotati di personale qualificato sufficiente ed idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psico-
pedagogica del bambino; 4) possedere requisiti tecnici, edilizi ed organizzativi tali da garantire
l’armonico sviluppo del bambino. Art. 7. La vigilanza igienica e sanitaria è affidata alle unità sanitarie
locali ed in via transitoria, fino all'istituzione di queste ultime, all’ufficiale sanitario del comune dove ha
sede l’asilo nido. 617
Legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi
e servizi sociali (G.U. n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186).
158
per il coordinamento dei tempi delle città618
. Quello che qui diventa importante
sottolineare è, come i mutamenti che nel corso degli anni hanno caratterizzato la società,
hanno determinato il passaggio dall’asilo nido alla scuola dell’infanzia, identificandoli
come due momenti formativi differenti.
A questo punto bisognerà chiarire cosa s’intende per asilo nido e cosa per scuola
dell’infanzia. Parliamo dell’ asilo nido nei termini di una organismo educativo che
anticipa l’ingresso alla scuola materna (oggi preferiamo indicarlo come scuola
dell’infanzia), destinato ai bambini che rientrano nella fascia d’età dai 3 mesi ai 3 anni.
Volendo fare una breve digressione, ci rendiamo subito conto che, s’iniziò a
parlare di asili nido (e scuole per l’infanzia) nel XVIII secolo. La prima sperimentazione
è stata attribuita a colui che può essere definito il “padre delle riforme sociali”, Robert
Owen; il quale istituì la scuola per l’infanzia, in Scozia, a New Lanark619
. In Germania
Froebel aveva fondato, invece, la scuola di giochi ed attività nota come
Kindergarten620
.
In Italia, il primo asilo d’infanzia viene istituito a Cremona nel 1828 da Ferrante
Aporti ma prevedeva una retta mensile, era cioè a pagamento, mentre nel 1830 fu creata
la prima Scuola d’infanzia, gratuita, sovvenzionata dal governo. Vent’anni dopo, a
Milano, fu costituito il primo ricovero per lattanti, grazie alla caparbietà di ad alcune
famiglie abbienti della zona che lo finanziarono621
. Ma è solo nei primi anni del ‘900
che si scorge una discreta iniziativa pubblica, infatti, solo nel 1925, su iniziativa del
governo fascista venne fondata l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia622
, che puntava
618
Legge 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto
alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, (Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13
marzo 2000). Art.2 1. (Finalità).1. La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura,
di formazione e di relazione, mediante: a) l’istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno
ai genitori di soggetti portatori di handicap; b) l’istituzione del congedo per la formazione continua e
l’estensione dei congedi per la formazione; c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e
la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale. 619
Cfr. ivi, pp.91-94. 620
Cfr. ivi, p.39. 621
Cfr. ivi, pp.55-59. 622
L’ONMI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia, è stato un ente assistenziale italiano fondato nel
1925, un ente parastatale specificatamente finalizzato all'assistenza sociale della maternità e dell'infanzia.
Nel novembre del 1925, poco prima della sua fondazione, un disegno di legge stabilisce che l'Onmi debba
regolare questioni attinenti all’infanzia, quali: «la protezione e l’assistenza della maternità, la protezione
dell’allattamento materno, la repressione degli abusi della patria potestà, la protezione sociale del
fanciullo nella vita, la protezione degli abusi e dei delitti contro l’infanzia, l’educazione dei fanciulli
159
alla tutela della famiglia e all’incremento del tasso di natalità. Tuttavia, il periodo in
questione era retto dal regime fascista, che di fatti, conformemente ai suoi ideali,
tendeva ad escludere le donne dal mondo del lavoro, perché esse dovevano dedicarsi
unicamente alla maternità, così da incrementare la popolazione. Nonostante ciò, l’Opera
promuoveva comunque, la divulgazione di apprendimenti scientifici riguardo alla
pedagogia, ma la grande novità era l’istituzione all’interno delle fabbriche degli asili
nido, per le madri lavoratrici, in maniera tale da supportarle nella loro condizione di
disagio e bisogno.
Ma è solo con la legge 1044/71623
che si comincerà ad intendere l’asilo nido,
secondo la terminologia di oggi, essa lo individua, infatti, come un servizio sociale di
interesse pubblico, pur rimanendo ancora meramente assistenzialistico. Solo
recentemente si parla del nido come istituzione di carattere assistenziale ed educativo,
che in qualche modo cerca di rispondere alle richieste della società odierna. Sappiamo
bene che le madri lavoratrici, pur avendo il diritto al concedo per maternità, durante il
primo anno di vita del bambino, in realtà, spesso, non riescono a gestirsi, ed ecco che
allora diventa utile il nido che lo aiuta venendogli incontro. Il nido accoglie, infatti,
bambini che hanno un’età compresa tra i tre mesi ai tre anni624
.
Gli obiettivi dell’asilo nido sono principalmente tre: 1.1. educativo, in quanto gli
operatori redigono un Progetto Educativo inerente le attività che verranno svolte, tutte,
mirate al soddisfacimento dei bisogni dei bambini. Il tutto, tenendo conto dei loro
tempi di crescita. Possiamo sostenere che è, dunque, un aiuto educativo che viene
offerto ai genitori, durante la crescita dei loro piccoli; 1.2. sociale, in quanto offre ai
bambini la possibilità di inserirsi in nuovi contesti e di relazionarsi con altri bambini
all’interno di grandi spazi idonei alla socializzazione e al gioco; 1.3. culturale, in quanto
fondamentalmente forma i bambini alla condivisione delle diversità, e ne favorisce la
cultura dei loro diritti625
.
anormali […]». Per quanto riguarda la donna, l’attenzione avrebbe dovuto concentrarsi su: «le funzioni
della maternità: la gravidanza, il parto, l’allattamento, e l’infanzia la quale non si limita al tempo
dell’allattamento e al secondo anno di vita, come si crede, ma si estende agli anni successivi all’età
prescolastica e scolastica sino alla pubertà […]». 623
Cfr. ibidem. 624
Cfr. ivi, pp.55-58. 625
L. Milani, Competenza pedagogica e progettualità educativa, cit., p.77.
160
Gli asili generalmente sono edificati in strutture, ove possibile, mono piano, con
dimensioni tali da accogliere non più di sessanta bambini, e sono realizzati su ampie
zone autonome in cui vi sia un’ampia area verde. Ogni spazio nella struttura ha una
specifica funzione prevista nel progetto educativo. Il vano d’ingresso ha una duplice
funzione: di accoglienza (anche per i genitori) e di filtro, a che il distacco sia il più
“soft” possibile. All’interno del nido i bambini sono raggruppati in sezioni, per
consentirgli una maggiore socializzazione; gli spazi generali di servizio, sono invece,
per gli operatori ed i genitori; ed infine le aree esterne, costituiscono i luoghi di ritrovo e
svago tra tutti i bambini delle varie sezioni626
.
Le sezioni sono l’animo del nido e solitamente comprendono: nell’area
principale lo spazio per il gioco e le attività, e in un’altra, lo spazio per lo svolgimento
di attività tranquille e il riposo. Nella misura in cui ciò sia possibile, è opportuno che
ogni sezione sia adiacente alle aree esterne, a cui accedere per mezzo di grandi
vetrate627
.
La scuola dell’infanzia che, abitualmente, viene riconosciuta come scuola
materna, è indirizza, invece, ai bambini di 3-6 anni, in cui chiaramente il progetto
educativo sarà adattato alle loro esigenze. Questa può essere statale, ma anche
organizzata da diversi soggetti quali: associazioni locali, organizzazioni religiose o
privati. La scuola dell’infanzia pubblica, pur conservando la discrezionalità
dell’iscrizione, è sita all’interno degli istituti comprensivi628
.
Partendo dalla storia della scuola dell’infanzia possiamo scoprire che ruolo le
viene attribuito oggi. La scuola dell’infanzia si rifà agli enti assistenzialistici che un
tempo erano promossi dagli Ordini religiosi, dai Comuni o dai privati. Nel Regio
Decreto n.1054 del 6 maggio 1923629
all’art. 57, viene fatto un accenno ai giardini
626
Cfr. ivi, p.22. 627
Cfr. ibidem. 628
Cfr. ivi, pp.82-85. 629
Regio Decreto 6 maggio 1923, n. 1054 (in G.U. 2 giugno 1923, n. 129), Ordinamento della istruzione
media e dei convitti nazionali. TITOLO I Dell'istruzione media. Capo I - Delle scuole in genere e dello
stato dei presidi e dei professori. Art. 1.-Gli istituti medi di istruzione sono di primo e di secondo grado.
Sono di primo grado: la scuola complementare, il ginnasio, il corso inferiore dell’istituto tecnico, il corso
inferiore dell'istituto magistrale; sono di secondo grado: il liceo, il corso superiore dell’istituto tecnico, il
corso superiore dell'istituto magistrale, il liceo scientifico, il liceo femminile. Art. 2.-Nessuna nuova
scuola media, eccettuata la scuola complementare, può essere istituita se non per legge, salvo il caso di
trasformazioni o di regificazioni e salvo, per quanto riguardagli istituti magistrali, il disposto di cui all'art.
161
d’infanzia e alle case dei bambini, concepite contigue agli istituti magistrali. Tuttavia
però la gestione non era mai del tutto affidata allo Stato. Solo in seguito con la legge
444/68630
la scuola materna avrà un’organizzazione statale, ed, inoltre, con la diffusione
degli Orientamenti per scuola materna, avvenuta esattamente un anno dopo, verrà
uniformata a livello nazionale631
. Ma sarà solo nel 1991, con la pubblicazione dei Nuovi
Orientamenti, che avverrà il passaggio dalla Scuola dell'infanzia alla scuola materna.
Tale scuola è della durata di tre anni, non è un percorso obbligatorio, ma
rilevante. Questa momento di scuola è contraddistinto, infatti, da momenti di gioco e
condivisione con gli altri alunni, i bambini vivono, infatti, esperienze tangibili e
apprendono le varie sfaccettature della vita, che li prepareranno all’inserimento nella
scuola primaria632
. Ordinariamente, la scuola dell’infanzia è suddivisa in tre sezioni
corrispondenti a definite fasce d’età: i piccoli frequentano il primo anno, i mezzani il
secondo, ed infine, i grandi il terzo. Tuttavia può essere proposto un modello diverso,
ad esempio di sezioni miste, che accolgono, cioè, bambini di 3, 4 e 5 anni633
.
58 del presente decreto, per i licei scientifici il disposto dell’art. 64, e per i licei femminili il disposto
dell’art. 69. […]. Capo V- Dell’Istruzione magistrale. Art.53.- L’istruzione magistrale ha per fine di
preparare gli insegnanti delle scuole elementari. È impartita negli istituti magistrali. L’istituto
magistrale è di sette anni: i primi quattro costituiscono il corso inferiore, gli altri tre quello superiore. Art.
54.-Nel corso inferiore si insegnano: lingua italiana, lingua latina, dal secondo anno storia e geografia;
matematica; una lingua straniera; disegno; elementi di musica e canto corale; studio di uno strumento
musicale. Art. 55.-Nel corso superiore si insegnano: lingua e lettere italiane; lingua e lettere latine e
storia; filosofia e pedagogia; matematica e fisica; scienze naturali, geografia ed igiene; disegno; elementi
di musica e canto corale; studio di uno strumento musicale. Art. 56.-Ogni istituto magistrale ha per i primi
quattro anni due corsi completi di classi; per gli altri tre un solo corso. In non più di quaranta istituti può
istituirsi un terzo corso completo nei primi quattro anni, un secondo corso completo negli altri tre. Nelle
sedi in cui esista un liceo femminile è consentita la formazione di un quarto corso completo nelle prime
quattro classi dell'istituto magistrale e di un terzo corso completo per gli altri tre anni. È vietata
l’istituzione di classi aggiunte oltre i corsi completi. Art. 57.-Ad ogni istituto magistrale è ammesso un
giardino di infanzia o una casa dei bambini. 630
L.18 marzo 1968, n. 444(GU n.103 del 22-4-1968), Ordinamento della scuola materna statale. Art.
1.(Caratteri e finalità della scuola materna statale) La scuola materna statale, che accoglie i bambini
nell’età prescolastica da tre a sei anni, è disciplinata dalle norme della presente legge. Detta scuola si
propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione
alla frequenza della scuola dell'obbligo, integrando l’opera della famiglia. L’iscrizione è facoltativa;
la frequenza gratuita. Art. 2. (Orientamenti dell’attività educativa) Gli orientamenti dell’attività educativa
nelle scuole materne statali sono emanati, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
Ministro per la pubblica istruzione, sentita la terza sezione del Consiglio superiore della pubblica
istruzione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge. È garantita ad ogni insegnante piena
libertà didattica nell’ambito degli orientamenti educativi previsti dal precedente comma. […]. 631
Cfr. R. Conversano, Efficacia dell’uso delle tecnologie nel processo di insegnamento apprendimento,
Didamatica, Rimini 2005, pp.48-53. 632
Cfr. ivi, pp.129-133. 633
Cfr. ibidem.
162
Le attività proposte in questa scuola sono finalizzate al raggiungimento di una
serie di obiettivi a cui pervenire nel corso dei tre anni. Saranno le Indicazioni Nazionali
per la scuola dell’infanzia634
che nel 2007, definiranno tali obiettivi, tra cui vi sono:
l’acquisizione della consapevolezza del sé e dell’altro, il senso morale, la quotidianità
del vivere insieme, la scoperta della propria identità e del proprio corpo, i linguaggi, la
creatività, l’espressione attraverso la gestualità, l’arte, la musica, la comprensione del
mondo in riferimento allo spazio, al tempo e alla natura, nonché la comunicazione
attraverso l’uso della lingua, dei discorsi e delle parole635
. Da sempre le due tipologie di
scuola sono state intese, come percorsi educativi separati. Molte variabili ne connotano
la diversità: una non è obbligatoria, l’altra si, una destinata a bambini di fasce d’età
inferiori, l’altra superiori, una utilizza una didattica, l’altra un’altra.
Tutto questo però è cambiato, oggi infatti, si parla di continuità educativa nido-
scuola dell’infanzia. L’obiettivo finale resta comunque la crescita e la formazione del
bambino, ma perché ciò avvenga, dato che tra i due servizi vi sono delle differenze,
sono previsti dei sistemi progettuali idonei che le supportino a diversi livelli: formativo-
educativo, didattico, produttivo ma anche istituzionale. I responsabili dei due servizi,
educatori del nido ed insegnanti della scuola dell’infanzia, devono agire con intesa e
collaborazione, tra loro deve esservi, infatti, sia confronto che condivisione636
.
Un altro aspetto fondamentale riguarda la partecipazione al processo educativo
delle famiglie, che devono essere coinvolte il più possibile, sia alle attività, che alle
nuove esperienze proposte ai bambini.
Al fine di comprendere meglio il significato di continuità educativa si rendono
necessarie alcune precisazioni. Quando si discute di educazione, il termine continuità
viene utilizzato assiduamente. Ma per riflettere sulla continuità educativa e quindi la
634
Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per gli Ordinamenti del Sistema Nazionale di
Istruzione e per l’Autonomia Scolastica, Circolare Ministeriale 22 aprile 2008, n. 45. Nel corrente anno
scolastico 2007-2008 è stata avviata la prima attuazione delle Indicazioni per il curricolo per la scuola
dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, allegate al DM 31-7-2007. Tali Indicazioni sono state
oggetto di una prima graduale attuazione nei primi mesi del corrente anno scolastico, secondo le
istruzioni fornite dalla Direttiva n. 68 del 3-8-2007, mentre con la nota ministeriale del 31-1-2008 è stata
avviata una fase di confronto che dovrebbe condurre le scuole, nella seconda metà del corrente anno
scolastico, a sintonizzare i Piani dell’offerta formativa del prossimo anno scolastico con dette Indicazioni.
[…] 635
Cfr. ivi, pp.78-82. 636
Cfr. M.Polito, Attivare le risorse del gruppo classe, Erickson, Trento 2000, pp. 58-61.
163
diversità dei servizi zero-sei anni necessita una piccola regressione, che parte da una
domanda sulla quale bisognerebbe riflettere: “Per quale motivo è fondamentale per la
crescita del bambino che i servizi siano in continuità tra loro?”637
e ancora, “Perché è
necessario che l’infante non s’imbatta nella difformità tra il nido e la scuola
dell’infanzia?”638
Una possibile risposta sembra possibile nell’individuazione
dell’ambito pedagogico. L’ambiente in cui il bambino deve crescere è importantissimo,
ed ecco allora perché deve esserci “continuità” tra i differenti luoghi in cui il bambino
trascorre la maggior parte del suo tempo. Se la diversità tra i contesti non è eccessiva,
ma anzi, possono essere relazionati tra loro, il bambino percepisce questo passaggio
dall’una all’altra come positivo639
.
È infatti, attraverso tecniche graduali di familiarizzazione all’inizio di quello che
viene definito come un percorso di vicendevole conoscenza che va dalle visite dei bimbi
dell’ultimo anno del nido alla scuola dell’infanzia referenti, ad incontri mirati
all’individuazione degli interessi dei bambini del nido, cioè, cosa realmente li
incuriosisce, ad esempio, quali sono i giochi, come si gioca, chi e quante sono le
maestre, come e dove si va a fare pipì, e la condivisione di momenti di routine, come il
pranzo e le varie attività che vengono svolte all’interno, ma anche e soprattutto lo
scambio di indicazioni fra educatori ed insegnanti. Ebbene, tutte le suddette azioni
cercano di creare proprio la continuità di cui tanto si parla, il cui fine è rendere al
bambino, l’ingresso nella futura scuola, quanto più familiare possibile640
.
In realtà in Italia si era già cominciato a parlare di continuità educativa agli inizi
degli anni Ottanta. In quegli anni si ricordano, infatti, delle esperienze che scaturirono
dalla determinazione di alcune delle insegnanti del nido e della scuola dell’infanzia,
coscienti e interessate alle problematiche dei bambini, che volevano offrire loro la
possibilità di un percorso comune, volto a facilitare tale passaggio sia ai bambini che
alle rispettive famiglie. La continuità educativa è parte dei progetti pedagogici di
637
Cfr. ivi, p.47. 638
Cfr. ibidem. 639
Cfr. ivi, p.170. 640
Cfr. ivi, pp.67-72.
164
ambedue i servizi, ed è anzi, la parte più importante del programma; nonostante ciò,
ciascuna istituzione mantiene la propria identità pedagogica641
.
Oggi possiamo constatare il raggiungimento della continuità educativa, anche se
ancora tanto deve essere fatto, ma questi timidi risultati sono stati raggiunti, grazie
all’impegno di alcune insegnanti che si sono impegnate nell’attuazione di progetti in
itinere. Tali progetti, anche se diversi di struttura in struttura, sono accomunati dal fatto
che oltre alle esperienze pratiche, prevedono degli incontri di condivisione e riflessione
comune sulle pratiche e sugli orientamenti pedagogici, che diventano l’elemento di
confronto.
Risulta importante la valorizzazione dei primi tre anni di vita del bambino, in
quanto fondamentali per la costruzione della sua personalità: il “fare” del bambino, la
disposizione degli spazi e l’instaurazione di una relazione idonea con le famiglie642
.Gli
strumenti pedagogici utilizzati sono comuni a tutti i nidi e a tutte le scuole dell’infanzia
impegnate nello stesso progetto, con particolare attenzione alle attività da condividere,
che vengono intercalate nella programmazione a seconda delle caratteristiche
pedagogiche dei due istituti. Ma tale continuità non deve essere intesa come mera
trasmissione di informazioni, essa rappresenta un reale progetto educativo finalizzato
alla crescita del bambino643
.
I bambini che terminano il nido sono implicati, insieme alle loro famiglie, nel
progetto di continuità educativa che è stato creato dagli educatori e dagli insegnanti dei
due corsi educativi644
. Il progetto del passaggio evolutivo, attraverso il vissuto di
esperienze comuni e l’organizzazione di momenti di ritrovo e scoperta, hanno una
finalità ben precisa: incoraggiare un clima di accoglienza e interesse verso il nuovo
ambiente in cui andranno645
una volta terminato il primo ciclo educativo. Solo il
coordinamento stabile fra le due strutture consente la condivisione delle esperienze
641
Cfr. ibidem. 642
Cfr. ivi, pp.124-126. 643
Cfr. ivi, p.56. 644
Cfr. N.Postman, La scomparsa dell’infanzia. Ecologia dell’età educativa , Armando, Roma 1991,
pp.45-49. 645
Cfr. ivi, pp.77-81.
165
compiute, ed offre a tutti i bambini che seguono questo percorso educativo (e alle loro
famiglie), le medesime opportunità educative646
.
Il progetto pedagogico sia della scuola dell’infanzia che del nido tendono a
garantire tale continuità educativa al fine di concedere ai bambini e alle loro famiglie
una continuazione del percorso educativo già fatto. Questo secondo educatori ed
insegnanti è ciò che permetterà un modifica progressiva in cui la base delle nuove
esperienze devono essere le scoperte fatte647
. È importante però sottolineare che, quando
si parla continuità educativa, questa deve caratterizzare anche il percorso curricolare, in
cui l’orientamento pedagogico è comune648
.
Il problema è che però, tra gli educatori dei nidi e gli insegnanti della scuola
dell’infanzia, viene avvertita una certa discontinuità, in quanto hanno una prospettiva
diversa di guardare il bambino, diverse metodologie d’apprendimento e differenti
rapporti educativi. È, quindi, un problema di cultura, di difformità, attinenti le idee del
bambino che definiscono i due ambiti.
Sono fondamentalmente queste le diversità che emergono tra il nido e la scuola
dell’infanzia: da una parte ci si rivolge al bambino affettivo e dall’altra al bambino
socio-cognitivo; nel primo istituto viene sostenuta l’interazione individuale ed esclusiva
con l’adulto, nella seconda si punta all’autonomia socio-affettiva dall’adulto e alla
socializzazione. Da una parte vi è l’idea che la conoscenza è una scoperta che deriva
dall’esplorazione del mondo da parte del bambino in cui l’adulto non deve intervenire
per non danneggiarne la naturalezza, dall’altra quella di un’acquisizione di nuove
esperienze che, pur essendo individuali e spontanee, necessitano dell’intervento
dell’adulto per poter essere attuate649
.
Gli educatori del nido solitamente identificano tale discontinuità culturale,
quando discutono infatti, della scuola dell’infanzia ne parlano come di una scuola
troppo poco attenta alla profondità del bambino e troppo orientata, invece,
all’istruzione, al rispetto delle regole, e a direzionare tutte le esperienze che potrebbero
646
Cfr. ibidem. 647
Cfr. ivi, pp.91-99. 648
Cfr. ivi, p.150. 649
Cfr. ibidem.
166
essere naturali, prefissandole. Certamente si deve anche tener conto che,
numericamente, la scuola dell’infanzia è molto più frequentata del nido650
.
Le insegnanti della scuola dell’infanzia, invece, pur avvertendo tale
discontinuità, individuano il nido come « il luogo degli angoli morbidi e intimi, dei
piccoli numeri, dei pianti da consolare maternamente, delle pappe da dare e delle
cacche da pulire »651
. Il bambino piccolo è, dunque, secondo loro incapace di essere
autonomo, di controllare le proprie emozioni. La genericità di queste intuizioni viene
attribuita alla poca consapevolezza che queste insegnanti hanno del nido, di quale sia la
sua organizzazione, la cultura pedagogica, ma soprattutto quali sono le attività o le
pratiche che vengono svolte al suo interno652
.
Tante volte, infatti, la contiguità che le insegnanti della scuola dell’infanzia
hanno con il nido si circoscrive alle visite che sono state fatte, ma solo perché previste
dai progetti sulla continuità educativa. Ecco che allora tale discontinuità è
principalmente culturale. E’ una discontinuità tra concetti che però, interessa l’uomo,
per cui, gli educatori e gli insegnanti, si dovrebbero impegnare ad ampliare i loro
progetti. Il nido, per esempio, potrebbe ideare dei progetti finalizzati alla scoperta delle
relazioni con il mondo esterno. Dal canto suo la scuola dell’infanzia, potrebbe, invece,
anticipare un progetto che miri a proiettare i bambini all’esterno, nel sociale653
.
Bisogna capire che la differenza tra bambino affettivo e bambino cognitivo e
sociale non esiste, il bambino è sempre e solo uno: è intimorito ma allo stesso tempo
interessato dalla scoperta di un mondo nuovo, ha bisogno di essere regolato da norme,
ma anche di essere lasciato libero di fare le proprie esperienze, anche se talvolta ha
bisogno di essere guidato, a che siano davvero percorsi appaganti654
. Ecco che allora,
scoperta la motivazione della discontinuità, può essere predisposto un piano
d’intervento: la continuità educativa deve essere realizzata avviando momenti di
comparazione e trasmissione tra le discontinuità culturali655
.
650
Cfr. ivi, pp.12-15. 651
Cfr. ivi, pp.37-38. 652
Cfr. ibidem. 653
Cfr. ivi, p. 131. 654
Cfr. ibidem. 655
Cfr. ivi, pp.77-80.
167
Ne consegue l’attribuzione di una particolare importanza che viene attribuita al
confronto tra insegnanti ed educatori su temi fondamentali quali: il progetto educativo
con i suoi sistemi di accertamento; la relazione educativa, la coscienza che orienta i
relativi metodi d’interpretazione del progetto, i valori, e le scelte che circoscrivono
l’identità educativa656
.
Insomma, non è sicuramente un percorso facile, anzi, è anche possibile che
venga richiesta la presenza di figure esterne, affinché la conflittualità non prevarichi. Se
gli educatori e gli insegnanti giungono, pur se in parte, ad approvare un’unica idea di
bambino, di rapporto educativo e quindi di obiettivi a cui mirare, e anche di modalità
con cui perseguirli; allora la continuità inizia a realizzarsi657
. Al bambino verrà così data
la possibilità di esprimersi, di crescere, di approfondire o restituire significato al mondo
con cui entra in relazione658
.
Avviandoci verso una conclusione individuiamo in maniera puntuale come
potrebbe essere espletato un progetto di continuità educativa659
: le educatrici del nido e
le insegnanti della scuola dell’infanzia possono proporre durante l’anno scolastico degli
incontri tra i coloro a cui è stata affidata la responsabilità dei servizi, i genitori e il
personale educativo, ma soprattutto attività che coinvolgono i bambini dell’ultimo anno
dell’asilo nido ed alcuni bambini che già sono iscritti e frequentano la scuola
dell’infanzia660
.
L’obiettivo di questa collaborazione è rendere questo passaggio familiare meno
traumatico possibile. Tale progetto è la rappresentazione di una maggiore possibilità di
dialogo e di scambio tra le due istituzioni educative, nella certi che la condivisione di
significati e di finalità incoraggi ed ampli la qualità del servizio che viene offerto alle
famiglie661
. Il progetto può essere cadenzato in tre livelli, uno istituzionale, uno
educativo e l’altro operativo662
. Il primo si realizza mediante incontri tra i responsabili
dei due servizi finalizzati alla rettifica, e all’ufficializzazione della collaborazione. Il
656
Cfr. ivi, p.65. 657
Cfr. ivi, p.69. 658
Cfr. ivi, pp.111-113. 659
Cfr. ivi, p.15. 660
Cfr. I. Bolognesi, A. Di Rienzo, S. Lorenzini , A. Pileri, a cura di Di cultura in culture. Esperienze e
percorsi interculturali nei nidi d’infanzia, Franco Angeli, 3a ristampa, Milano 2012, pp.135-137.
661 Cfr. ivi, p.144.
662 Cfr. ivi, p.138.
168
secondo, quello educativo, si esplica con gli incontri tra educatori ed insegnanti, sia
prima che dopo la fase operativa, in maniera tale da organizzare i tempi, i luoghi, le
attività, gli obiettivi, ma soprattutto il numero dei bambini663
.
Successivamente, sarà programmato un incontro conclusivo, in cui le educatrici
dell’asilo nido potranno individuare la composizione dei gruppi per le sezioni della
scuola dell’infanzia. Nel caso sussistano delle problematiche saranno le educatrici, in
sintonia con le famiglie, a contattare le insegnanti delle classi interessate. Per quel che
riguarda, invece, l’ultimo livello, quello operativo, è il momento più significativo dal
punto i vista esperienziale. È, infatti, a questo livello che i bambini del nido e quelli
della scuola dell’infanzia si incontrano, tenendo però ben presente quanto
precedentemente prefissato in merito al calendario e alle attività concordate664
.
Le attività possono essere realizzate per esempio due volte al nido e più volte
nella scuola dell’infanzia, ma è fondamentale che ciascun bambino porti con se uno
zainetto contenente disegni, istantanee, testi di canzoni, oggettini creati con le proprie
manine, e tutto ciò che potrebbe ricordargli l’esperienza vissuta665
. Questo zainetto deve
essere riempito non in un unico incontro, bensì durante gli incontri che sono stati
programmati, che possono essere sei, sette, otto. In questo modo quando il bambino,
terminate le vacanza estive, andrà nella nuova scuola, le insegnanti potranno usufruire
del contenuto dello zainetto per creare momenti di attività in classe666
.
Solitamente le attività programmate consistono in: mimi, recita di filastrocche,
canzoni, ma anche lettura e narrazione di fiabe, giochi di movimento vari. Come
attività di manipolazione vengono privilegiati i lavoretti prodotti dai bambini con
l’utilizzo di vari materiali quali: sale, plastilina, farina e sabbia. Per le attività espressive
si fa riferimento alla creazione di forme, solitamente su dei pannelli o delle stoffe
bianche, in cui i bambini fanno le loro impronte, o utilizzano i pennelli per colorare667
.
Vengono organizzate anche della attività spontanee, in appositi angoli strutturati,
ad esempio nella casetta del giardino, o dove vi sono gli scivoli, i tappeti, tutte zone in
663
Cfr. ibidem. 664
Cfr. S.Capranico, Role Playing. Manuale a uso di formatori e insegnanti, Raffaello Cortina ed.,
Milano 1997, P.78. 665
Cfr. ivi, p.139. 666
Cfr. ivi, pp.33-38. 667
Cfr. ibidem.
169
cui il bambino è lasciato libero di giocare e socializzare, sempre sotto il controllo
dell’educatrice. Normalmente i primi due incontri si effettuano al nido (nel secondo i
bambini avranno anche la possibilità di pranzare) e i restanti incontri nella scuola
dell’infanzia, qui, il pranzo è previsto, invece, nell’ultimo incontro668
.
Ogni incontro è organizzato in fasi che si intervallano, prima di tutto vi è
l’accoglienza e quindi i saluti a cui segue un canto e un gioco d’inizio. Dopo di che
vengono svolte le due attività programmate per quell’incontro, in seguito sarà fatto il
canto e poi viene dato spazio al gioco conclusivo, al termine del quale i bambini
verranno congedati669
. Naturalmente le persone coinvolte in tale progetto sono: i
bambini e gli adulti. I bambini sono divisi in due gruppi, uno di 10-12 bambini, e l’altro
di 8-10, di cui vi sono i bambini grandi del nido, e qualche bambino del primo anno
della scuola dell’infanzia. È importante che i due gruppi, pur essendo in ambienti
differenti, siano contemporaneamente attivi. Ogni gruppo deve essere seguito da almeno
due educatori del nido ed un insegnante670
. Gli adulti, come già accennato sono: sia i
responsabili dei due servizi, che i quattro educatori e le due insegnanti, nonché le
famiglie dei bambini coinvolti, ciascuno dei quali ha un preciso ruolo. Di ogni incontro,
il gruppo di lavoro, sarà responsabile della redazione del programma che verrà
attuato671
.
668
Cfr. ibidem. 669
Cfr. ivi, p 29. 670
Cfr. ivi, pp.198-200. 671
Cfr. ivi, p.222.
170
3.3. Infanzia, gioco, educazione
In riferimento ai modelli di educazione infantili rileviamo un’interconnessione
tra tre sostantivi fondamentali nel processo di crescita del bambino: infanzia, gioco ed
educazione. Sin dall’antichità l’infanzia veniva identificata come l’età in cui il neonato,
in quanto tale non proferisce parola, ma abbiamo visto, come già Rousseau nel II libro
de L’Emilio nella suddetta età vi comprende anche la puerizia672
. Ecco che allora la
prima e la seconda infanzia, così come le ha interpretate l’autore ginevrino, coincidono,
pressappoco con l’età prescolastica673
. L’istituzione sociale in cui l’infanzia nasce, si
forma, esiste, e si sviluppa è dapprima la famiglia, alla quale per prima viene affidato il
compito di educare.
Pestalozzi, s’interessò molto di educazione familiare, egli riteneva che il
compito di educare i figli dovesse essere assegnato alla madre, la quale doveva anche
avviarli all’apprendimento. Molti studiosi hanno fortemente criticato gli studi
pestalozziani, proprio perché avendo conferito tale ruolo alla madre, ella, avrebbe
utilizzato la casa come una scuola, e da madre sarebbe diventata maestra. Ma la madre
non era libera nell’insegnamento del figlio, piuttosto doveva seguire un determinato
metodo, che per l’autore, era quello dell’A.B.C. Pestalozzi convinto della sua pedagogia
non individuava la funzione educativa e produttiva che ha per la personalità del
bambino, il libero gioco, di cui l’infanzia si alimenta674
.
Solo con la pedagogia froebeliana si parlerà di educazione prescolastica,
indirizzata ad un’istituzione educativa propria dell’infanzia675
. Anche se sarà Comenio a
parlare di Schola materni gremii non è con lui che nascono la pedagogia e gli istituti per
l’infanzia. Questi sorgono, invece, grazie alle pressioni di istanze sociali e assistenziali,
collegate sia alle condizioni di vita degli operai che alla rivoluzione industriale676
. Sono
istituti che nascono proprio per dare assistenza alle famiglie povere, assistenza che,
viene esplicata prendendosi cura dei loro figli. I pedagogisti degli Istituti per l’infanzia,
indicano in Oberlin, l’istitutore di tali ambienti, egli istituì, infatti, nel 1770 una Salle
672
Cfr. J.J. Rousseau, L’Emilio, ivi, p.55. 673
Cfr. ivi, pp.110-113. 674
Cfr. N. Papparella, Pedagogia dell’infanzia, Armando, Roma 2005, pp.24-29. 675
Cfr. ivi, p.77. 676
Cfr. ibidem.
171
d’asile, in cui le insegnanti erano delle agresti, che, erano state istruite da questo
parroco, dal quale impararono la Storia sacra che a loro volta insegnavano ai bambini ed
in seguito li avrebbero indirizzati allo svolgimento di piccoli lavori manuali677
.
Anche l’opera di Owen è intimamente associata alla rivoluzione industriale, ma
anche la sua visione degli istituti per l’infanzia era assistenziale e non finalizzata
all’apprendimento. Tale assistenza era, infatti, fortemente indirizzata all’infanzia, o
meglio, ai figli degli operai, in quanto, i genitori che lavoravano pesantemente ogni
giorno nelle fabbriche non potevano assolvere al loro compito educativo. Anche se con
Owen non si può parlare di una vera e propria pedagogia, è a lui che viene attribuito il
merito di averla avviata al bisogno sociale, individuando quella che venne definita come
pedagogia dell’infanzia. Egli avvertì la connessione tra l’educazione e le trasformazioni
sociali, anche se sicuramente, l’allontanamento dal carattere unicamente filantropico
delle primissime proposte educative infantili che limitavano i loro compiti
all’accoglienza e alla protezione dei bambini bisognosi e abbandonati, è stato
lentissimo. Tuttavia, man mano l’asilo cominciò ad essere organizzato in maniera più
razionale, si era compreso, che i bambini non potevano stare fermi e tranquilli senza
avere la possibilità di svagarsi678
.
Possiamo dedurne, dunque, che la pedagogia dell’infanzia deve erigersi su due
principi fondamentali: a) il senso della vita vissuto dall’infante e b) la relazione
psicologica dell’infanzia, tra valori, bisogni sostanziali e poteri679
. A questo punto,
bisogna ammettere che la struttura dell’Io viene definita attraverso il gioco, ma ciò era
già stato affermato da Fröebel, egli scriveva, infatti: «nell’infanzia il più alto grado di
sviluppo del genere umano è rappresentato dal gioco, che è libera manifestazione del
mondo interiore e rappresenta il quadro e il modello della vita umana futura»680
.
Fröebel aveva già individuato un gioco diverso da quello dell’adulto, in grado di
organizzare, addirittura, la struttura dell’Io681
.
677
Cfr. D.W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando, Roma 1974, pp.69-73. 678
Cfr. ivi, pp.55-56. 679
Cfr. ivi, pp.99-104. 680
F. Froebel, I giardini dell’infanzia, cit., p.86. 681
Cfr. ibidem.
172
Generalmente, crediamo che il gioco sia solo un momento di svago, di
divertimento adatto soprattutto alla fase adolescenziale della vita. Svariati contributi
pedagogici, invece, attribuiscono al gioco uno spazio e un momento privilegiato nel
percorso educativo. Il gioco è stato da sempre visto come un’attività poco stimata, sia
dal punto di vista del significato che del valore ad esso attribuito. Un tempo l’analogia
era gioco-divertimento, il gioco era il tempo della ricreazione, il momento di svago che
veniva accordato prima di indirizzarsi a cose più serie o un break dopo ore di lezione o
di studio. Quindi, il gioco era composto dall’attività in se stessa e non da ciò che
avrebbe potuto produrre682
. Pensando al gioco gli veniva conferita la funzione di
compenso, di vincita o premio, di consolidamento di comportamenti positivi, ma ciò,
ne negava sicuramente sia l’effettivo valore che il vero significato.
Così l’aspetto educativo, in definitiva, veniva completamente abbandonato683
.
Grazie all’opera di Bettelheim il gioco ha acquisito una certa importanza sia in
riferimento ai percorsi educativi che di socializzazione, anche se tuttavia ciò è stato
riconosciuto solo nella teoria, ma non è mai stato praticato, tanto ancora deve essere
fatto684
.
In realtà, al gioco inteso in tutte le sue forme: individuali, teatrali, figurative,
produttive, tecnologiche, viene attribuito un valore educativo decisivo nel percorso di
sviluppo che va dall’infanzia all’età adulta. Spesso affermiamo che il gioco ha sia
qualità educative e terapeutiche, che didattiche, pedagogiche ed equilibratrici. Negli
ultimi anni queste qualità sono state avvalorati da vari studi sulla cultura pedagogica. Il
gioco è stato oggetto di studio di sociologi, filosofi, antropologi, psicologi, ma
particolarmente di pedagogisti, che hanno individuato la complessità delle sue
caratteristiche e dei suoi molteplici aspetti, e solo grazie a queste nuove prospettive,
oggi, siamo in grado di no intendere più l’attività ludica, come accadeva fino a qualche
decennio fa, affine ai momenti di riposo e svago, piuttosto come una risorsa empirica ,
carica di poliedricità nelle sue varie manifestazioni685
.
682
Cfr. ivi, p.57. 683
Cfr. ibidem. 684
Cfr. B. Bettheleim, Gioco e educazione, in A. Bondioli, Il buffone e il re, Scandicci, La Nuova Italia,
Firenze 1989, pp.31-33. 685
Cfr. ibidem.
173
Il gioco consente, infatti, al bambino lo sviluppo delle tre facoltà fondamentali e
attive: quella del fare, dell’ascoltare e del pensare, che nell’insieme generano il suo
sviluppo. Il gioco, dunque, così come il primo nutrimento del bambino tende ad
accrescere, preservare e rafforzare la vita del corpo. È giocando che il bambino impara a
comprendere il mondo, a fare esperienza del rispetto delle regole, a governare le
proprie emozioni, ad attribuire un valore alle regole. Impara a stare con altri bambini,
socializza, si scopre autonomo, sperimenta, anche sbagliando, cose nuove a lui prima
sconosciute. Il gioco può essere considerato come lo scenario, all’interno del quale il
fanciullo ha la possibilità di consolidare la propria l’identità686
.
Ne deduciamo, quindi, che l’esperienza ludica è molto di più di un “comune
passatempo”, è spontanea, ben insediata ed è il mezzo che permette al bambino di
rapportarsi con l’ambiente, alla scoperta di se stesso. Non a caso il gioco prediletto dai
bambini è la palla, il bambino la vede come qualcosa di completo, in essa, percepire
l’unità di se stesso, ed è proprio in questo giocattolo che egli si riscopre. Ma la palla,
oltre ad essere, come abbiamo detto, «un tutto completo in sé, è una immagine
dell’unità dell’universo»687
, può raffigurare anche altre cose, come ad esempio una mela
o altri oggetti che hanno una conformazione sferica, che permette un ampliamento
mentale del piccolo688
.
Il gioco rappresentata, proprio per la naturalezza da cui è contraddistinto, un
campo d’indagine privilegiato. Dato che ogni bambino quando gioca è libero di
esprimersi, si possono individuare non soltanto molteplici e differenti stili, ma anche le
caratteristiche relative ad ogni soggetto. In sostanza, il gioco è un “alleato” per l’adulto,
sia che si tratti del genitore sia che si tratti dell’insegnante, in quanto esso accresce la
conoscenza del fanciullo, e ciò permette di indirizzare la condotta educativo-didattica
dell’adulto in maniera più efficace689
.
Ciò che si vuole rimarcare e che merita un approfondimento è, come unicamente
tramite l’attività ludica è pensabile che l’infanzia possa soddisfare i bisogni
fondamentali del bambino. L’attività ludica ha la possibilità di dare risposta e
686
Cfr. M. Callari-Galli, Voglia di giocare, Franco Angeli, Milano 1982, pp.26-32. 687
F. Fröebel, I giardini dell’infanzia, cit., p. 89. 688
Cfr. ibidem. 689
Cfr. ivi, pp.76-77.
174
soddisfazione ai reali bisogni dell’infanzia con specifica attenzione a quelli che oggi
appaiono in maggior misura scoraggiati. Offrire al fanciullo la condizione di soddisfare
i bisogni che tendono a rimanere insoddisfatti, equivale ad una riqualificazione della
dimensione ludica che si oppone ai modelli educativi etici, sociali e culturali proposti,
che purtroppo oggi, sono sempre più tradizionalisti690
. Frabboni sostiene, infatti, che il
gioco è come una sorta di rimedio ai nuovi bisogni dell’infanzia e di conseguenza
anche agli aspetti alienanti della società consumistica, in cui viviamo691
.
La forma di estrinsecazione della propria interiorità favorita dal bambino, è il
gioco, grazie al quale egli si confronta con se stesso, esamina l’ambiente che lo
circonda, può esprimere la propria creatività, elabora i segnali e le informazioni che gli
giungono da esso. Ecco perché non bisogna intendere il gioco come qualcosa di banale
e spontaneo, nel senso che in realtà il bambino compie consapevolmente quei giochi
perché capisce che gli permetteranno dapprima d’inserirsi nella realtà, e in un secondo
momento, di modificarla692
.
Da ciò desumiamo che il gioco è una parte fondamentale della vita dei bambini,
infatti, a quei bambini ai quali non viene permesso di esprimersi attraverso attività
ludiche organizzate o anche libere, nell’età adulta avranno una maggiore possibilità di
essere oppressi da tale insoddisfazione e ciò sarà causa della volubilità del loro Io693
.
L’insegnamento nasce dal bambino stesso, il più grave è che la scuola predilige
la conformità del metodo, cioè il fatto che vengono proposti degli schemi astratti e
stereotipati dei sistemi di apprendimento694
. Il metodo deve essere, dunque, casuale,
non organizzato, non pianificato, e lo strumento utilizzato deve sempre essere il gioco.
Bisogna sempre tener presente che stiamo parlando di bambini piccolissimi, per
cui nessuna didattica deve allontanare il bambino dal gioco, perché è il gioco lo farà
diventare “soggetto”695
.
690
Cfr. ibidem. 691
Cfr. Varani A., Formazione e nuove tecnologie: qualificare le multimedialità, OPPI Informazioni,
Firenze 2000, pp.55-59. 692
Cfr. ivi, p.88. 693
Cfr. A. Bobbio, Pedagogia dell’infanzia e cultura dell’educazione, Carocci, Roma 2011, pp.44-48. 694
Cfr. ivi, p.15. 695
Cfr. ivi, p.34.
175
Anche la famiglia e i genitori devono avere una particolare attenzione ai giochi
dei loro fanciulli, in quanto rappresentazione della loro vita interiore. Difatti, talvolta è
proprio grazie al gioco, che spesso i genitori, possono scoprire aspetti del proprio figlio,
che magari gli erano del tutto celati. I giochi dei bambini devono essere osservati
seriamente e gli si deve . Al gioco possono essere attribuite due dimensioni: una
solitaria, che dispone di spazi chiusi, è un po’ monotona, in quanto solitamente il
bambino gioca con un giocattolo che riproduce qualche aspetto della realtà; l’altra,
collettiva, caratterizzata dai giochi all’aperto, impostati secondo norme ben definite e
talvolta spontanee696
.
Pensando ai bambini che giocano ci rendiamo conto di quanto sia fondamentale,
nel corso del primo anno di vita, giocare gli permette di conoscere lo spazio e le
persone che lo circondano. Successivamente cambierà gioco e imiterà qualcosa o
qualcuno, come se si allenasse a diventare adulto. È come se il mondo intero fosse
racchiuso in una stanza, in cui tutto può succedere con la loro fantasia, e allora ecco che
una scatola può tramutarsi in automobile, il mantello fa diventare il piccolo un super
eroe, e così via. Quindi non occorrono giocattoli costosi, sono utili anche piccoli oggetti
semplici che danno origine alla creatività del bambino697
.
Il gioco tra adulto e bambino deve essere, dunque, vissuto come esperienza di
relazione, un’occasione formativa “speciale” che si consegue grazie alla reciprocità e
alla condivisione. Ne consegue una declinazione dell’asimmetria propria delle agenzie
formative, tra l’educatore e il fanciullo.
696
Cfr. ivi, pp.90-95. 697
Cfr. ibidem.
176
3.4. La prospettiva ludiforme di Visalberghi per la formazione
dell’infanzia
Negli odierni contesti di insegnamento-apprendimento, sempre più complessi,
soprattutto a causa della presenza di diverse etnie, diventa necessaria l’individuazione di
una didattica differenziata ma allo stesso tempo integrata698
. La prospettiva ludiforme
per la formazione dell’infanzia, diventa un osservatorio di una pedagogia “sui generis”
che si compie mediante la connessione del gioco con l’apprendimento. Dal gioco, ne
consegue, un’ampia e coinvolgente esperienza, e non solo in quanto, attiva il soggetto
globalmente, ma in quanto consente al soggetto di imparare, naturalmente tramite la
pratica, in questo modo, egli arricchisce le proprie esperienze ed abilità699
. C’è poi un
altro elemento, rilevante per la nostra prospettiva: nel gioco il bambino s’impegna e si
diverte contemporaneamente, unendoli in una relazione armonica700
.
Una volta rilevata, seppur brevemente, la natura del gioco come estrinsecazione
globale del bambino, possiamo percepire che le potenzialità che l’esperienza ludica
prevede per l’apprendimento. Per interpretare le su citate potenzialità a che divengano
risorse per l’insegnamento-apprendimento, e per evitare di ritenere che il gioco a scuola
è solo un momento di svago, è indispensabile cominciare con la distinzione tra: gioco
libero, che è quello appunto non controllato, libero, che viene eseguito negli ambienti
extra-scolastici; e gioco didattico che viene consigliato, invece, dall’insegnante
nell’ambito dell’apprendimento701
.
Ci possiamo riferire a due termini che sono stati immessi nell’ambito di questa
distinzione, dal pedagogista Aldo Visalberghi, e sono: attività ludica che corrisponde al
primo tipo di gioco, e l’attività ludiforme che è correlata al secondo tipo. Secondo la
pedagogia visalberghiana, l’attività ludica è caratterizzata da 4 specificità: a) è
vincolante, in quanto sostanzialmente presume che ci sia oltre ad un coinvolgimento
affettivo e psico-fisico, anche cognitivo; b) è continuativa: nel senso che conduce
costantemente la vita del bambino e anche quando questo diventerà un adulto,
698
Cfr. G. Staccioli, Il gioco e il giocare, Carocci, Roma1998, pp.18-23. 699
Cfr. ivi, p.27. 700
Cfr. ivi, pp.68-69. 701
Cfr. ivi, pp.105-107.
177
proseguirà il suo ruolo; c) è progressiva: cioè si rinnova, non è fissa, è anzi un elemento
utile alla crescita affettiva, cognitiva e relazionale, nonché per aumentare le conoscenze
e le competenze; d) non è funzionale: nel senso che non prevede altre funzioni, ma è
fine a se stessa702
. Nell’attività ludiforme pur essendo presenti, invece, le prime tre
suddette caratteristiche, la finalità del gioco non coincide con lo scopo dell’attività. Nel
gioco didattico viene consapevolmente creata, infatti, un fine che si trova al di là del
gioco stesso. Ecco che allora queste attività, sono «costruite appositamente per dare
una forma divertente e gradevole a determinati apprendimenti»703
.
Le attività obbligatorie e di abitudinarie, privano troppo l’ appagamento, il
bambino deve approfondire la conoscenza del mondo, non perché gli è stato imposto o
per trarne vantaggi, ma solo per sentirsi soddisfatto. Della stessa opinione è,
sostanzialmente, Mario Polito, secondo il quale «il gioco possiede delle enormi
potenzialità educative che facilitano sia l’apprendimento sia la socializzazione»704
.
Occorre, dunque, che ogni bambino sia coinvolto nelle attività, possa esprimersi
attraverso la creatività e il suo vissuto personale, sviluppando così la sua capacità
ludica.
Il gioco, infatti, fa nascere un senso di coinvolgimento, interesse, sostiene le
capacità sociali, ripristina emozioni, sentimenti, idee, amplia la manifestazione di sé,
esorta all’apprendimento705
. Se la scuola al fine di formare i bambini, orientata le
proprie metodologie, trascurando le altre dimensioni formative (individuale, intima,
affettiva, ecc.), esclusivamente sul piano cognitivo, non potrà mai essere attivata la
dimensione ludica dell’apprendimento. La prospettiva ludiforme intesa come il gioco
organizzato e coordinato dal docente deve avere certamente degli obiettivi didattici ed
educativi, ma non esclusivamente ricreativi. Il compito del mediatore, in tale visione,
viene assegnato al docente, che supporta l’alunno nella diffusione dei concetti. Ma, il
bambino è libero, e attraverso il gioco, può far propri nuovi concetti, ma allo stesso
702
Cfr. A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell'educazione, Mondadori, Milano 1990, pp.82-89 703
A tal proposito l’autore sostiene che: «solo le attività auto-motivate, perché impegnative, continuative
e anche in qualche misura progressive, cioè le attività ludiche o almeno ludiformi, sono capaci di
strutturare in modo insieme innovativo e flessibile i comportamenti umani» (Ivi, p.95). 704
Cfr. M. Polito, Attivare le risorse del gruppo classe, Erickson, Trento 2000, p.71. 705
Cfr. ivi, pp.66-69.
178
tempo è coinvolto sia cognitivamente e socialmente, che dal punto di vista creativo e
affettivo706
.
La prospettiva ludiforme attua, dunque, un contesto innovativo contrassegnato
da una didattica che stimola nei bambini interesse, apprezzamento, partecipazione,
creatività, ambizione, desiderio di scoprire cose nuove, ma al contempo gli dà anche la
possibilità di risolvere i problemi insieme agli altri. La prospettiva ludiforme attua,
dunque, un contesto innovativo contrassegnato da una didattica che stimola nei bambini
interesse, apprezzamento, partecipazione, creatività, ambizione, desiderio di scoprire
cose nuove, ma al contempo gli dà anche la possibilità di risolvere i problemi insieme
agli altri. Ecco che si parla anche d’interazione sociale, il bambino riesce attraverso il
gioco a socializzare e conoscere con altri bambini, suoi pari707
.
Ma è importante capire che nella prospettiva ludiforme, i giochi, le attività
ludiformi siano esse di coppia o da sviluppare in piccoli gruppi, c’è una condizione che
deve essere rispettata, al fine di raggiungere l’obiettivo comune, ed è l’interdipendenza.
È cioè necessario che ogni bambino si relazioni con gli altri, deve essere formata come
una specie di “collana” per cui ogni piccolo dipende dall’altro, questo ne attiverà il
senso di responsabilità. Volendo individuare l’obiettivi principale della prospettiva
ludiforme per la formazione dell’infanzia, possiamo affermare che è quello
d’incoraggiare i bambini ad un apprendimento indicativo, ciò che imparano giocando,
deve rimanere nella loro memoria a lungo termine708
.
Allora l’insegnante, secondo tale prospettiva, non deve solo conoscere le
discipline che i devono essere insegnate ai bambini, ma deve essere in grado di
organizzare gli ambienti d’apprendimento, rendendoli ricchi di stimoli. Egli deve avere ,
infatti, alcune capacità, quali:
deve innanzitutto incoraggiare l’attività didattica, valorizzando la cooperazione,
sfide e la giusta competitività, tale da non originare tensione nei bambini;
deve saper creare un ambiente d’insegnamento-apprendimento quanto più sereno
e quiete possibile, in cui però vengano utilizzati quotidianamente i giochi
didattici, un ambiente in cui il vero protagonista del processo è il bambino; 706
Cfr. ibidem. 707
Cfr. ivi, pp.79-83. 708
Cfr. ibidem.
179
deve saper sviluppare la dimensione metacognitiva del processo
d’insegnamento-apprendimento, insistendo in maniera sia esplicita che implicita,
alla promozione della partecipazione attiva di ciascun bambino709
.
Per giungere agli obiettivi, è importante che ogni attività sia presentata in forma
ludica, in maniera tale da diminuire le eventuali riluttanze, perché ricordiamoci sempre
che stiamo parlando di bambini. Ciò permetterà al bambino di studiare e apprendere
serenamente e nello stesso tempo di essere coinvolto nel processo cognitivo, così da
spingerlo al desiderio di superarsi, avviandosi verso una nuova sfida710
. L’attività
ludiforme, pur essendo faticosa, ha il privilegio di essere contemporaneamente
complessa e soddisfacente, appagante711
. Se l’insegnante riesce, dunque, a far capire ai
bambini che il gioco didattico non è un momento di svago, ma è un modo di acquisire
piacevolmente nuovi concetti ed esperienze, capacità sia personali che sociali; allora
tale prospettiva può essere presentata e gradita anche dai bambini più perplessi712
.
709
Cfr. ivi, pp.123-131. 710
Cfr. ibidem. 711
Cfr. ivi, pp.32-38. 712
Cfr. ivi, pp.59-64.
180
CONCLUSIONI
Nel lavoro qui presentato, si è cercato, di chiarire e definire il ruolo dei modelli
di educazione, l’analisi condotta a partire dal periodo gentiliano fino ai nostri giorni,
tenendo conto degli orientamenti più significativi e delle norme più importanti, quali la
riforma del ’23, le problematiche centrali dell’autonomia scolastica fino alla riforma
Moratti, ci ha permesso di comprendere l’effettivo passaggio che ha prodotto le
trasformazioni che hanno definito l’odierno sistema scolastico italiano713
. Oggi
parliamo dei modelli di educazione perché è un argomento troppo spesso trascurato.
L’infanzia è una fase scolare del fanciullo a cui viene attribuita scarsa importanza, anzi,
è addirittura pensata come secondaria, in quanto non obbligatoria.
Gli studi che si sono susseguiti nei secoli ci consentono di asserire che l’infanzia
è un’età particolarmente preziosa714
. Essa, rappresenta la primavera della vita, a questo
proposito ricordiamo la celebre citazione di Guardini che affermava: «l’adulto si nutre
di ciò che da bambino ha vissuto ed è diventato»715
. È proprio in questo periodo così
fecondo che nella mente del bambino, che Montessori definiva «mente assorbente»716
,
si realizzano tutte le condizioni cognitive ed affettive che produrranno nelle fasi
successive della vita, la sua crescita. Questi studi hanno dimostrato, dunque, che sin
dalla tenera età si può avviare un percorso di sviluppo di attività socio-relazionali,
affettive e cognitive.
Di fatti, tra gli obiettivi principali che in questa fase si vogliono far raggiungere
ai bambini si annoverano proprio l’autonomia personale, la capacità di orientarsi nel
tempo e nello spazio, nonché tutte le varie abilità funzionali allo sviluppo dell’
educandus, ma che devono essere organizzate dagli esperti che si avvalgono di appositi
metodi scientifici, affinchè l’esito sia positivo.
L’assunto di fondo di questa tesi è, invece, che l’età infantile, ha bisogno di
essere attenzionata e curata sia da parte degli esperti, dei genitori, degli adulti, che di
tutte le agenzie formali ed informali. Proferendo di esperti, non ci riferiamo certo solo
713
Cfr. P. Mulè, Il docente in Italia tra pedagogia scuola e società, Anicia, Roma 2005, p.213. 714
Cfr. R. Guardini, Persona e personalità, Morcelliana, Brossura 2006, p.27. 715
R. Guardini, Persona e personalità, cit., p.44. 716
Cfr. ivi, pp. 37-40.
181
agli insegnanti di scuola elementare e agli educatori, ma per certi versi, anche ai
genitori. Ecco che allora proprio perché è una fase abbastanza delicata della vita di
crescita di ciascuno di noi, proprio perché c’è questa formazione che è fondamentale
relazionata alla crescita bioantropologica dell’essere umano, si ritiene che l’educazione
infantile, debba essere maggiormente approfondita. La questione di fondo è capire nel
tempo e poi sul piano storico che valenza ha avuto l’infanzia.
Da questa disamine emerge che soltanto nell’età contemporanea grazie anche al
pedagogista che ha rivoluzionato il ruolo dell’infanzia, J.J. Rousseau, la visione del
fanciullo è cambiata. Egli ha dimostrato, infatti, che il bambino non può e non deve
essere considerato come un piccolo adulto, quanto piuttosto un bambino, con i suoi
bisogni e le sue potenzialità. L’infanzia oggi, grazie alle rilevanti scoperte psico-
pedagociche e cognitive, ma anche agli interessanti obiettivi raggiunti sul piano
giuridico, dovrebbe essere considerata una sorta di “patrimonio prezioso” da custodire e
tutelare. Ma purtroppo non è così.
Nell’odierna società si tende ad idealizzare la figura del bambino, l’immagine
che ci viene presentata è spesso quella di fanciulli sereni e gioiosi. In realtà anche nella
nostra società occidentale e capitalistica, moderna e all’avanguardia, l’infanzia, è una
fase della vita che non viene riconosciuta. Il bambino, viene ancora visto come un
piccolo adulto; basta pensare ai giochi che gli vengono proposti, giochi che in realtà
sono pensati per gli adulti. Già Postman, agli inizi degli anni Ottanta del Novecento,
aveva posto l’attenzione alla scomparsa dell’infanzia nella nostra società che, essendo
troppo progredita, tecnologica ed evoluta, è stata realizzata a misura di adulto e non di
bambino; il quale è così costretto a crescere in fretta717
.
Postman nelle sue opere ci presenta un’immagine di bambini “super-
preoccupati” che sono costantemente immessi nella «spirale della funzionalità che
domina la società»718
. Da ciò ne consegue che, se il bambino vuole crescere in tale
società, deve apprendere prima possibile e più cose possibili, è costretto a fare più
esperienze che può perché, perché “prima cresce e meglio sarà per lui”. Il risultato di
tutto questo però è ovvio: la vita di questi bambini è stressante. Se ci fermiamo a
717
Cfr. Postman N., La scomparsa dell’infanzia. Ecologia dell’età educativa, Armando, Roma 1991,
pp.55-58. 718
Cfr. ivi, p.60.
182
riflettere su come viene scandita, nella nostra società, la giornata tipo dei bambini che
stanno vivendo la loro fase infantile, ci rendiamo conto del rischio che la nostra società
sta correndo719
.
E’ preoccupante immaginare come sin dall’inizio della giornata quando vengono
accompagnati all’asilo i bambini non hanno la possibilità di conversare con chi li
accompagna, in quanto sono isolati nel sedile posteriore della macchina, avvolti dalle
cinture di sicurezza, con in mano la loro PSP. Le mamme prese, spesso, dalla caoticità
del traffico, e preoccupate di arrivare in orario a lavoro, non possono “perdere” neanche
un minuto all’ascolto dei loro bambini, altrimenti rischiano di saltare tutti i programmi
della giornata che hanno pensato per i loro figli. Proprio per questo il nido diventa il
luogo in cui “scaricare” i piccoli, in attesa che la loro giornata lavorativa termini. Il
bambino dell’odierna società non ha neanche il tempo di giocare un po’, anche perché il
gioco viene valutato come qualcosa di superfluo, inutile, roba da bambini.
Così alla fine di una di queste stressanti giornate l’intero nucleo familiare sceglie
di guardare la tv per rilassarsi un po’, piuttosto che iniziare un dialogo, ma non ci si
accorge che così facendo non c’è più condivisione. Possiamo affermare, dunque, che
l’infanzia, ancora oggi è lontana dall’essere veramente intesa. Nella parte centrale di
questa tesi, è stata rimarcata la necessità di orientare il bambino all’educazione perché
possa autenticamente realizzarsi come persona. Un’educazione che deve essere condotta
con cura, in maniera tale da muovere il bambino all’armonia delle forme e
all’autonomia dell’essere perché, come scrive la Montessori, il bambino «diventa uomo
e si fa uomo per mezzo delle sue mani, per mezzo della sua esperienza: prima
attraverso il giuoco e poi attraverso il lavoro»720
. Un’educazione che sappia pertanto
espandere la sua creatività e sviluppare i suoi talenti. Un’educazione “attiva” che gli
consenta di vivere le esperienze anche perché, come ci insegna la fondatrice delle Case
dei bambini, «le mani sono lo strumento dell’intelligenza umana»721
. Un’educazione
che attenzioni le leggi di sviluppo della sua crescita.
Perché ciò sia possibile, è indispensabile la presenza di un adulto che lo avii passo dopo
passo ad un percorso di crescita sano ed equilibrato. In questa tesi sviluppando
719
Cfr. ivi, p.62. 720
M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, cit., p.79. 721
M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, cit., p.111.
183
dapprima il percorso storico relativamente a questa questione si è voluto, poi,
approfondire ulteriormente sul perché oggi si deve dare importanza a questa fase di
crescita. Proprio per questo nell’ultima parte di questo lavoro si è cercato di riflettere sul
ruolo culturale ed istituzionale dell’insegnante, nel tentativo di inserire una nuova figura
di docente, progettista della formazione, che deve conquistare attraverso la formazione
iniziale e in servizio le varie capacità necessarie alla conoscenza e alla dominanza della
complessità “del pensare e progettare l’educazione oggi”722
.
L’insegnante nella nostra epoca diventa, dunque, un investigator, in quanto deve capire
quali sono i bisogni, le potenzialità e i talenti di questi piccoli bambini, ma allo stesso
tempo, deve tener conto delle plurime necessità educative, dell’imprevedibilità degli
eventi, della poliedricità della formazione. Solo così sarà capace di pensare ad
interventi formativi più adeguati723
.
Con questo lavoro si è cercato, dunque, di definire alla luce del concetto di
pedagogia, un nuovo profilo formativo del docente nell’ambito della scuola
dell’autonomia. Quello che è stato da sempre un incognita dell’educazione e che oggi è
il dubbio principale della riflessione delle scienze umane e cioè la realizzazione del
“capitale umano” come incomparabile fattore di crescita del bambino, deve essere
inevitabilmente favorito da questa nuova immagine del docente progettista della
formazione.
722
Cfr. ivi, p.214. 723
Cfr. ibidem.
184
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