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 · accusato di vilipendio al Capo dello Stato e che rischia il carcere per un reato di opinione....

Date post: 18-Feb-2019
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Piazza dell'Aracoeli, 12 - 00186 Roma - tel *30 06 6784168 Bollettino del 20 ottobre 2014 A cura di Manlio Lo Presti ESERGO Nessuno dei mortali trascorre mai Senza affanno la vita. Ciascuno paga alla vita il suo prezzo. ESCHILO in : La sapienza dei filosofi, Il Melangolo, 2014, pag. 39 www.lalanternadelpopolo.it °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° CHI SIAMO La Lidu è la più antica antica Organizzazione laica che difende i diritti dell’Uomo. Si è aperta la campagna tesseramenti 2014. Sosteniamola affinché non si spenga una delle poche voci indipendenti esistenti in Italia
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Piazza dell'Aracoeli, 12 - 00186 Roma - tel *30 06 6784168

Bollettino del 20 ottobre 2014 A cura di Manlio Lo Presti

ESERGO Nessuno dei mortali trascorre mai

Senza affanno la vita.

Ciascuno paga alla vita il suo prezzo.

ESCHILO in : La sapienza dei filosofi, Il Melangolo, 2014, pag. 39

www.lalanternadelpopolo.it

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CHI SIAMO La Lidu è la più antica antica Organizzazione laica che difende i diritti dell’Uomo. Si è aperta la campagna tesseramenti 2014. Sosteniamola affinché non si spenga una delle poche voci indipendenti esistenti in Italia

_____________________________________________________ L.I.D.U. Lega Italiana dei Diritti dell’uomo

TESSERAMENTO 2014 Socio Giovane quota minima € 10,00= (fino a 30 anni) Socio Ordinario quota minima € 50,00= Socio Sostenitore versamento minimo € 200,00= Socio Benemerito versamento minimo € 500,00= data ultima di versamento per il rinnovo 30 GIUGNO NOTA Poiché la L.I.D.U. è un'Associazione Onlus e la quota associativa è stata fissata ad euro 50,00- ogni versamento maggiore della quota suddetta, verrà considerata come versamento liberale e potrà essere dedotta, nei termini di legge, dalla dichiarazione dei redditi. La condizione necessaria è che il versamento debba essere effettuato direttamente alla L.I.D.U. nazionale, in qualsiasi forma, salvo che in contanti. L'attestato del versamento dovrà essere richiesta alla Tesoreria nazionale. si può effettuare il pagamento della quota dovuta a mezzo: contanti; assegno; bollettino di c/c/postale n° 64387004 bonifico bancario IBAN IT 90 W 05216 03222 000000014436 bonifico postale IBAN IT 34 N 07601 03200 000064387004 Intestati a: F.I.D.H. Fédération International des Droits de l’Homme - Lega Italiana onlus ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

5 x 1000 Come previsto dalla legge è possibile destinare il 5 x 1000 del reddito delle persone fisiche a fini sociali. La nostra Associazione è ONLUS e può beneficiare di tale norma. Per effettuare la scelta per la destinazione, occorre apporre la propria firma e indicare il Codice Fiscale

97019060587 nell'apposito riquadro previsto nei modelli dell'annuale denuncia dei redditi.

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COMUNICAZIONI LIDU

CASO MARO’ E CASO STORACE AL TRIBUNALE DREYFUS Il Tribunale Dreyfus, l’Associazione presieduta da Arturo

Diaconale che difende i cittadini dagli effetti devastanti della “giustizia ingiusta”, riprende le udienze dei controprocessi sul caso dei marò e sul caso Storace LUNEDI’ 13 OTTOBRE ALLE ORE 15.30 nella sala del

Tempio di Adriano della Camera Commercio di Roma in Piazza di Pietra. La prima udienza, che tornerà ad aprirsi con l’insediamento dell’Alta Corte del Tribunale presieduta dal Prof. Federico Tedeschini, sarà

dedicata alla vicenda dei due fucilieri di marina da due anni e mezzo sottoposti a regime detentivo in India e la cui sorte appare sempre più incerta ed oscura anche a causa dei comportamenti contraddittori tenuti dai diversi governi italiani. L’Alta Corte ascolterà i testimoni che verranno interrogati dall’Avvocato Valter Biscotti oltre che dai componenti del Collegio. Sono stati invitati a testimoniare l’ex Ministro degli Esteri

del Governo Monti Giulio Terzi di Sant’Agata, l’On.Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, il Generale Dino Tricarico ex Capo di Stato Maggiore dell’Aereonautica, il Generale Fernando Termentini e Marco Perduca

rappresentante all’ONU del Partito Radicale. Esaurito il caso dei marò l’Alta Corte affronterà il caso Storace, l’ex Governatore del Lazio che è stato

accusato di vilipendio al Capo dello Stato e che rischia il carcere per un reato di opinione. L’Alta Corte ascolterà le testimonianze del Senatore Maurizio Gasparri Forza Italia, del Senatore Enrico Buemi Gruppo per le Autonomie, di Piero Sansonetti direttore del quotidiano “Il Garantista”, oltre alla

deposizione di Francesco Storace Segretario Nazionale de La Destra.

UNA SCELTA SBAGLIATA Che le cosiddette esigenze di bilancio impongano dei tagli alle spese è uno slogan ricorrente oramai da molti anni in Italia. Che ci siano sprechi vistosi tollerati, evasione di tasse diffusa solo citata e poco combattuta, ed altri dettagli sui quali si potrebbe ragionevolmente intervenire per il famoso bilancio, è pure noto ma, si sa, le scelte sono opinabili e frutto di compromessi politici vari per cui ciascuno si spera sarà chiamato a rispondere di quanto fatto o non fatto. Tra i settori nei quali si continua comunque a ridurre le spese è, da tempo, quello dell’istruzione e della ricerca, con conseguenze negative che già cominciano ad essere visibili pure ai non esperti, e si parla qui anche di conseguenze economiche (“economico”, parola magica che sembra possa giustificare tutto!). Dalla lettura di recenti provvedimenti si desume che tra le voci di spesa ridotte c’è quella destinata ai corsi di italiano all’estero ed agli istituti di cultura italiani che operano nei vari Paesi. Probabilmente ad una parte dell’opinione pubblica è sfuggito il peso, ovvero la ricaduta sociale ed economica di lungo periodo di tali attività, sebbene vari intellettuali abbiano manifestato aperto dissenso verso tali scelte. A queste voci di dissenso è doveroso aggiungere la nostra, partendo sinteticamente dalla conclusione: è una scelta sbagliata. E’ una scelta sbagliata perché una delle poche cose che l’Italia può ancora vantare, intendendo delle poche positive tra le molte purtroppo negative, è il suo peso culturale in senso lato: arti figurative, musica, letteratura, architettura, paesaggio, archeologia, ecc. ecc. sono da grande potenza culturale. Sono, per dirla con un grigio termine economicistico corrente, delle “risorse” di grande livello, superiori a quelle di molti altri Paesi. L’Italia vantava anche un discreto export di prodotti tipici collegati alla cultura, agricoli, alimentari, artigianali, ecc. Tutte queste risorse richiedono di essere “valorizzate” ed uno dei modi per farlo è normalmente anche quello di espandere la lingua del Paese quale veicolo storico e strumentale. Volutamente si trascurano qui le altre possibili motivazioni più culturali e generali, che pure esistono e che la LIDU ha già in altra sede espresso. Lo hanno fatto e lo stanno facendo molti Paesi, tra i più espansivi negli ultimi anni è la Germania che spinge allo studio del tedesco nelle scuole degli

altri Paesi, europei e non. Ma anche il Giappone sta avviando una politica di sostegno e promozione allo studio della propria lingua all’estero –in particolare in Asia, ma non solo- per attirare studenti, internazionalizzare il Paese, espandere la presenza culturale (e commerciale). A fronte di ciò, quanti in Italia hanno l’incarico di indirizzare l’economia e lo sviluppo del Paese non trovano di meglio che ridurre spese già abbastanza esigue per la promozione di lingua e cultura all’estero. Nell’usualeprassi di tagliare anziché di rendere efficiente e ridurre eventuali sprechi. Delle due l’una: o negli altri Paesi, incluso i citati Germania e Giappone (di Francia, Regno Unito e Cina già è ben noto), non hanno capito nulla e sprecano soldi per pura velleità, o sono altri che non hanno capito nulla.

Prof. Antonio Virgili Presidente Commissione Cultura

News dall’Osservatorio sullo Spazio europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia -

www.slsg.unisa.it

Diritto di soggiorno del coniuge di un cittadino dell’Unione e separazione

di Gaetano D’Avino

Breve nota a Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 10 luglio 2014, causa C-244/13, Ewaen Fred Ogieriakhi c. Minister for Justice and Equality (pubblicata sul sito web dell’Osservatorio sullo Spazio europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia, istituito presso l’Università degli Studi di Salerno, e reperibile all’indirizzo: www.slsg.unisa.it)

Nella sentenza in commento, la Corte è stata interrogata, in via pregiudiziale, in merito

all’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva n. 38 del 2004, relativa al diritto dei

cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli

Stati membri, nonché dell’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612 del 1968; la questione,

sorta nell’ambito di un’azione di risarcimento per violazione del diritto dell’Unione, ha consentito

alla Corte di pronunciarsi altresì in merito alla determinazione degli effetti della presentazione, da

parte del giudice nazionale, di una domanda di pronuncia pregiudiziale, nella valutazione

concernente la sussistenza di una violazione manifesta del diritto dell’Unione da parte dello Stato

membro interessato.

Come è noto, l’art. 16 della direttiva n. 38 del 2004 attribuisce al cittadino dell’Unione, che abbia

soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni in uno Stato membro ospitante, il

diritto di soggiorno permanente in detto Stato; lo stesso diritto – ciò che maggiormente rileva al fine

dell’esame della sentenza in commento – può essere inoltre vantato dai familiari del cittadino

dell’Unione, non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, che abbiano soggiornato legalmente in

via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante.

Nel caso in esame si è posta la questione specifica se la separazione dei coniugi durante il prefato

periodo quinquennale impedisca di considerare soddisfatto il requisito sopra descritto, in

considerazione non soltanto della mancanza di una coabitazione bensì – soprattutto – di un’effettiva

comunanza di vita coniugale. Al riguardo, la Corte di giustizia ha chiarito che l’art. 16, par. 2, della

direttiva de qua debba essere interpretato nel senso che il diritto di soggiorno permanente ivi

previsto non possa essere negato al cittadino di un Paese terzo il quale, nel corso di un periodo

continuativo di cinque anni antecedente alla data di recepimento della suddetta direttiva, abbia

soggiornato in uno Stato membro, in qualità di coniuge di un cittadino dell’Unione lavoratore nel

medesimo Stato membro, sebbene, nel corso del suddetto periodo, i coniugi abbiano deciso di

separarsi, abbiano iniziato a convivere con altri partner e l’alloggio occupato dal congiunto non sia

stato più messo a sua disposizione. Decisiva, ai fini della soluzione cui è giunta la Corte,

l’argomentazione – già sostenuta da parte dei Giudici di Lussemburgo nella sentenza Diatta del

1985 – per la quale il vincolo coniugale non possa considerarsi sciolto fintantoché la competente

autorità nazionale non vi abbia posto effettivamente fine, di talché è irrilevante, ai fini sopra

descritti, che i coniugi vivano separati, neppure qualora essi abbiano intenzione di divorziare in

seguito; ne discende, in sostanza, che, ai fini di cui sopra, il coniuge di un cittadino dell’Unione non

debba necessariamente convivere in permanenza con il congiunto per poter vantare il diritto

derivato di soggiorno.

Tale interpretazione, secondo la Corte, risponde anche all’esigenza di non interpretare

restrittivamente le disposizioni della direttiva n. 38 del 2004 e di non privarle della loro efficacia

pratica; tanto anche in virtù della considerazione per la quale, qualora la norma in questione fosse

oggetto di un’interpretazione letterale, il cittadino del Paese terzo risulterebbe vulnerabile rispetto

alle determinazioni unilateralmente adottate dal coniuge, il che si porrebbe tra l’altro in contrasto

con la ratio della direttiva in esame, uno dei cui obiettivi – come fatto palese dalla lettera del

quindicesimo considerando – è proprio quello di offrire una tutela giuridica ai familiari del cittadino

dell’Unione che soggiornino nello Stato membro ospitante, al fine di consentire loro, in taluni casi e

nel rispetto di determinate condizioni, di conservare il diritto di soggiorno esclusivamente su base

personale.

Non osta a tale interpretazione, secondo i Giudici di Lussemburgo, nemmeno il disposto dell’art.

10, par. 3, del regolamento n. 1612 del 1968, che pure è venuto in rilievo nella sentenza de qua e

che subordina il diritto di “stabilimento” dei familiari di un lavoratore alla condizione che

quest’ultimo disponga, per sé e per la propria famiglia, di un alloggio che possa essere considerato

“normale” per i lavoratori nazionali nella stessa regione in cui egli è occupato. Dopo aver premesso

che tale disposizione debba essere interpretata alla luce della finalità perseguita da tale regolamento,

qual è quella di «facilitare la libera circolazione dei lavoratori», la Corte ha fatto valere al riguardo

la propria giurisprudenza secondo cui la norma da ultima richiamata non esige che il familiare di cui

trattasi vi abiti in permanenza ma unicamente che l’alloggio di cui il lavoratore dispone possa

considerarsi adeguato (rectius: normale) per ospitare la sua famiglia; ne discende che «l’obbligo

dell’unicità dell’alloggio familiare permanente non può quindi ammettersi implicitamente»

discendente dal disposto del prefato art. 10, par. 3.

Come accennato in premessa, nel giudizio pregiudiziale di cui si discute era stata posta

all’attenzione della Corte un’ulteriore questione concernente i criteri di giudizio di responsabilità

extracontrattuale degli Stati membri; il giudice del rinvio chiedeva infatti espressamente se la

circostanza che, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto

dell’Unione, un giudice nazionale avesse ritenuto necessario porre una questione pregiudiziale,

vertente sul diritto dell’Unione in esame nel procedimento principale, dovesse considerarsi quale

elemento decisivo al fine di determinare la sussistenza o meno, in concreto, di una violazione

manifesta del diritto unionistico da parte dello Stato interessato.

Al fine di fornire risposta a tale interrogativo, la Corte ha ribadito la sussistenza della «più ampia

facoltà», in capo ai giudici nazionali, di inoltrare quesiti pregiudiziali ai sensi dell’art. 267 TFUE;

tale facoltà, secondo la Corte, «sarebbe senza dubbio limitata» se il suo esercizio dovesse essere

considerato decisivo per l’accertamento di una fattispecie di violazione manifesta del diritto

dell’Unione, al fine di determinare, eventualmente, la responsabilità dello Stato membro interessato.

Tanto, secondo i Giudici di Lussemburgo, rimetterebbe in discussione le finalità e le caratteristiche

del procedimento pregiudiziale oltre che, addirittura, «l’intero sistema», nella piena consapevolezza

che il meccanismo di cui all’art. 267 e lo spirito di collaborazione con i giudici nazionali che per

tale si è inteso incentivare siano di importanza vitale per il funzionamento dell’ordinamento

giuridico dell’Unione.

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Commenti pubblicati sul sito web dell’Osservatorio sullo Spazio europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia, istituito presso l’Università degli Studi di Salerno, e reperibile all’indirizzo: www.slsg.unisa.it

Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 17 luglio 2014 (YS c. Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel c. M e S, cause riunite C-141/12 e C-372/12) Nella sentenza de qua, la Corte ha chiarito che il portato della direttiva n. 46 del 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, risulti applicabile anche alla situazione del richiedente un titolo di soggiorno e ricomprenda i dati che compaiono nel documento amministrativo ove viene esposta, da parte del funzionario competente, la motivazione da questi addotta a sostegno della bozza di decisione che il medesimo funzionario è incaricato di redigere nell’ambito del procedimento precedente all’adozione della decisione sulla domanda di soggiorno. Se tanto è valido per i dati personali e, per così dire, “storici” propri del soggetto, la stessa conclusione non vale, secondo la Corte, per l’analisi giuridica compiuta dal suddetto funzionario: tanto asseconderebbe, infatti, in realtà, non già l’obiettivo della direttiva de qua, consistente nell’assicurare la tutela del diritto alla vita privata del richiedente con riferimento al trattamento dei dati che lo riguardino, ma garantirebbe al contrario un diritto di accesso ai documenti amministrativi che tuttavia non forma oggetto della norma in questione. Ad ogni buon conto, nell’interpretazione resa dai Giudici di Lussemburgo, affinché il diritto sopra descritto sia soddisfatto, è sufficiente che al richiedente sia consegnata un’esposizione dei propri dati che sia completa e resa in forma intelligibile, ossia in maniera tale da permettere al soggetto interessato di prendere conoscenza dei dati medesimi, di verificarne l’esattezza e di poter controllare che gli stessi siano trattati in modo conforme alle norme della direttiva, così da consentire, se del caso, l’esercizio dei diritti conferiti dalla direttiva medesima. Né il richiedente un titolo di soggiorno può trarre dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta un diritto di accesso al fascicolo nazionale relativo alla sua domanda, in quanto la norma da ultima richiamata non si rivolge agli Stati membri bensì unicamente alle Istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione. Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 10 luglio 2014

(Naime Dogan c. Bundesrepublik Deutschland, causa C-138/13)

Prodromico rispetto alla sentenza in commento, il rinvio pregiudiziale disposto, da parte del Verwaltungsgericht Berlin, in merito all’interpretazione dell’art. 41, par. 1, del Protocollo addizionale del 1970 allegato all’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia nonché dell’art. 7, par. 2, primo comma, della direttiva n. 86 del 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare. Col rinvio, il giudice a quo tendeva innanzitutto a determinare se la norma del citato Protocollo – ed, in particolare, la clausola di standstill ivi prevista – potesse ostare ad una misura di diritto interno, introdotta nell’ordinamento tedesco dopo l’entrata in vigore del citato Protocollo, che imponga ai coniugi di cittadini turchi residenti in detto Stato membro, che intendano fare ingresso nel territorio di tale Stato per ricongiungimento familiare, di provare previamente l’acquisizione di conoscenze linguistiche elementari della lingua ufficiale del medesimo Stato membro quale pre-condizione per il riconoscimento del diritto in questione. La Corte, sulla premessa che il ricongiungimento familiare costituisca uno strumento indispensabile per permettere la vita in famiglia dei lavoratori turchi inseriti nel mercato del lavoro di uno degli Stati membri e contribuisca pertanto a migliorare tanto la qualità del soggiorno quanto un’effettiva integrazione, ha ritenuto che la normativa nazionale de qua dovesse essere considerata alla stregua di una «nuov[a] restrizion[e]», come tale in linea di principio vietata dal citato art. 41 a meno che non giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e proporzionata rispetto a quanto necessario per il conseguimento del medesimo. Nella fattispecie, la Corte ha censurato la

normativa nazionale in questione in quanto, anche supponendo che le ragioni esposte dal governo tedesco (ossia l’obiettivo di contrastare i matrimoni forzati e quello di favorire l’integrazione) potessero teoricamente costituire motivi imperativi di interesse generale, nondimeno una disposizione come quella controversa sarebbe andata al di là di quanto necessario per ottenere l’obiettivo perseguito, dal momento che la mancata prova dell’acquisizione di sufficienti conoscenze linguistiche avrebbe comportato automaticamente il rigetto della domanda di ricongiungimento familiare, senza tenere conto delle circostanze proprie di ciascun caso di specie.

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RASSEGNA STAMPA http://www.bsnews.it/

A sostegno dei diritti umani, a Brescia la mostra "Dharma" del fotografo Nicola Anselmini

In occasione di “Supernova” il festival dell'Innovazione e della Creatività che avrà luogo a Brescia il 3 e 4 ottobre 2014, il fotografo Nicola Anselmini inaugurerà la sua personale mostra fotografica dal titolo DHARMA a sostegno dei diritti umani. L'inaugurazione avverrà in Piazza Loggia venerdì 3 ottobre alle ore 15.00 alla presenza di Silvano Agosti, provocatorio regista, filosofo e scrittore. Sabato 4 ottobre dalle ore 15:00 alle 22:00 la mostra si sposterà in Piazza Bruno Boni.

Durante le due giornate, le piazze interessate saranno ricoperte da volti di persone che si sono prestate al progetto. La prospettiva con cui l'autore le ha immortalate è dall'alto verso il basso: i volti, potenzialmente calpestabili, divengono così metafora del mancato rispetto dei diritti umani nel mondo. Dharma si propone come caleidoscopio di sagome di persone di ogni età, etnia e classe sociale, che danno origine a una costellazione multiforme di volti rivolti verso il passante, con espressioni di spontaneo stupore o ilarità, di gioia e di mille altre emozioni. La mostra, inoltre, è in continuo divenire: i visitatori, infatti, potranno donare la propria immagine prestandosi per realizzare una foto dall'alto scattata sul posto dal fotografo, offrendo il loro personale contributo. L'idea è quella di espandere in modo virale l'installazione, arricchendola via via, sia dal punto di vista volumetrico, sia dal coinvolgimento emotivo apportato da ogni protagonista.

“Non una semplice mostra, ma una vera e propria provocazione, che invita il visitatore a riflettere sul tema del rispetto e dei diritti umani, guardando la realtà da un punto di vista insolito e spiazzante - spiega Nicola Anselmini -. I volti ritratti nella loro quotidianità e posati a terra sembrano essere un invito esplicito ad essere calpestati, creando così il paradosso e inducendo il visitatore ad una maggiore sensibilità sul tema del rispetto per le persone”.Social partner della mostra sarà l'associazione bresciana I Bambini Dharma: oltre che per la concomitanza del nome, Anselmini ha voluto affiancare alla sua iniziativa una onlus locale impegnata ogni giorno nella tutela dei diritti umani. I Bambini Dharma, infatti, si occupa di accogliere e accudire i neonati abbandonati all'Ospedale Civile e alla Fondazione Poliambulanza: bimbi di cui nessuno parla, che i genitori, come previsto dalla Legge italiana, decidono di non riconoscere una volta averli dati alla luce. Queste creature permangono in ospedale fino a quando non viene loro trovata una famiglia affidataria o, se questo non avviene, un istituto. E' in questo periodo (spesso si tratta di mesi), che l'associazione I Bambini Dharma presta servizio: i suoi volontari si trasformano in amorevoli "zii e

zie", assistendo a turno questi piccoli angeli per supplire, per quanto possibile, la funzione genitoriale sia dal punto di vista materiale che affettivo. Per saperne di più, i membri dell'associazione saranno presenti durante la mostra e chi volesse potrà fare una donazione libera a favore della onlus.

“Donare tempo e cuore ci regala felicità; non sottrae, ma aggiunge", racconta Giovanna Castelli Presidente dell' Associazione I Bambini Dharma. La mostra sarà introdotta da un'iniziativa di riflessione e provocazione: ospite e promotore d'eccezione sarà Silvano Agosti, noto scrittore e regista bresciano, che da tre anni ha inoltrato ufficiale domanda all'Unesco e alle Nazioni Unite chiedendo che l'Essere Umano venga proclamato Patrimonio dell'umanità, la cui filosofia e i cui temi letterari trovano unaprofonda attinenza con il messaggio di Dharma.

L'1 ottobre, dalle 17.00 presso le ex Cantine Folonari di Brescia in via Folonari, angolo via Togni, Agosti terrà un seminario dal titolo “Dall'impotenza alla creatività”. A seguire, alle ore 21.00, è prevista la proiezione del suo film “Uova di Garofano” interamente girato a Brescia e vincitore del festival di Mosca. L'ingresso al seminario è su prenotazione e prevede un contributo di 25 euro (comprensivo di due libri dell'autore). Il biglietto d'ingresso alla proiezione, invece, potrà essere acquistato al momento al costo di 5 euro. Per informazioni e prenotazioni 338 4784435 Nicola Anselmini

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Come avanzano i diritti della rete in Europa e in Italia INTERNET BILL OF RIGHTS

Siamo a un passo dall'avere una "Carta dei diritti di internet", su iniziativa di una commissione parlamentare e con la guida di Stefano Rodotà. E' un processo che in Europa avanza inarrestabile e darà frutti nel corso del 2015 di Juan Carlos de Martin, politecnico di Torino

Per anni sono stati soprattutto alcuni esponenti dell'Università e della società civile, come Stefano Rodotà, e alcuni leader della Rete, come Tim Berners-Lee, a chiedere una Magna Carta che tutelasse i diritti degli utenti di Internet.

Sembrava chiaro, infatti, che senza una tutela positiva avrebbe prevalso, come sempre in questi casi, il diritto del più forte.

Dopo anni di relativo scetticismo sia della politica, sia di non pochi internauti convinti che la Rete avesse bisogno solo di laissez faire, in questi ultimi mesi hanno finalmente iniziato a muoversi con forza le istituzioni.

Nell'aprile 2014 il Consiglio d'Europa pubblica una guida dei diritti umani per gli utenti di Internet. Due mesi prima, il Bundestag tedesco aveva istituito - su consiglio di una commissione di studio che aveva completato i suoi lavori a fine 2013 - la commissione parlamentare permanente sulla "Digital Society" (un passo che molti vorrebbero veder accadere anche in Italia). Sempre a fine 2013 la presidenza della House of Commons britannica aveva istituito una commissione sulla democrazia digitale, mentre nell'estate 2014 il Parlamento francese ha istituito una "Commission de réflexion et de propositions ad hoc sur le droit et les libertés à l’âge du numérique".

Sia la commissione britannica, sia quella francese prevedono di presentare i loro risultati a inizio 2015. Intanto, appena pochi giorni fa, Labour Digital, un influente gruppo di esperti vicino al partito laburista britannico, ha pubblicato "Number One in Digital", con ampi riferimenti a democrazia e diritti nell'età digitale.

E in Italia? Per iniziativa della Presidente della Camera Boldrini a luglio 2014 l'Italia si dota anche lei di una commissione di studio per una carta dei diritti Internet. Si tratta di una commissione composta per metà da parlamentari (uno per ogni gruppo) e per metà di esperti che, nonostante tempi strettissimi, prevede di presentare una prima bozza di Carta Internet in tempo per la riunione dei parlamenti europei che avrà luogo a Roma il 13-14 ottobre 2014. SI tratterà, appunto, di una prima proposta, da discutere ampiamente con esperti e con tutti i cittadini interessati alla materia. Con l'obiettivo di arrivare in tempi brevi a un documento definitivo da consegnare al Parlamento e al Governo affinché contribuiscano - in Italia, in Europa e nel mondo - a tutelare Internet come grande piattaforma non solo di sviluppo economico, ma anche e soprattutto di esercizio di diritti umani fondamentali.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.redattoresociale.it/ Tutela europea dei diritti umani: corso di specializzazione dell'Unione Forense

L’Unione Forense per la tutela dei diritti umani, organizza annualmente il corso di specializzazione sulla tutela europea dei diritti umani, utile strumento di approfondimento ed aggiornamento per operatori giuridici e studiosi della materia.

Il corso di specializzazione, giunto alla sua XV edizione, si articola in una serie di quattro incontri, della durata di tre ore ciascuno, che si terranno nel mese di novembre presso il Parlamentino del Cnel, il venerdì a partire dal 7 fino al 28 .

Durante il corso i partecipanti potranno accedere alla documentazione relativa a ciascuna lezione attraverso il sito dell'Unione Forense. Scheda di iscrizione e programma.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.leccesette.it/

"Sola andata": al Canzoniere Grecanico Salentino il premio "Arte e diritti umani" di Amnesty martedì 30 settembre 2014

Lo storico gruppo salentino premiato da Amnesty international per la clip "Sola andata", dedicato al fenomeno dell'immigrazione, con testi di Erri De Luca. Al Canzoniere Grecanico Salentino va il premio "Arte e diritti umani 2014" di Amnesty International Italia. Lo storico gruppo, che il prossimo anno festeggerà i 40 anni di attività, ha meritato il premio grazie al suo lavoro "Sola andata", commovente video clip dedicato ai migranti realizzato a Spiaggiabella, su testi dello scrittore Erri De Luca. ll premio, istituito nel 2008, viene assegnato da Amnesty International Italia a un testimonial dell'associazione che con la sua arte ha contribuito a sensibilizzare e a mobilitare l'opinione pubblica sulle campagne in favore dei diritti umani. Negli anni scorsi, il premio è stato conferito ad Alessandro Gassmann (regista anche del video "Sola andata"), Modena City Ramblers, Giobbe Covatta, Paolo Fresu, Ivano Fossati e Antonio Pappano.

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Tunisia:diritti umani ancora negati,appello Amnesty per voto

A candidati programma in 10 punti contro consuetudini repressive

(ANSAmed) - TUNISI, 30 SET - Amnesty International sta inviando in questi giorni a tutti i candidati alle elezioni politiche e presidenziali, previste in Tunisia rispettivamente per il 26 ottobre ed il 23 novembre prossimi, un programma in 10 punti sui diritti umani, con la richiesta di aderirvi in corso di campagna elettorale e di attuarlo una volta eletti. Questo per impegnare i candidati a far rispettare i diritti umani mettendo fine alla consuetudine ancora in atto di pratiche repressive e non tradire le speranze dei tunisini. Per quanto infatti ci si possa felicitare per l'adozione della nuova Costituzione, sottolinea Amnesty, molti attentati ai diritti umani all'origine dei sollevamenti popolari del 2011 sono ancora oggi di attualità, e la differenza tra quanto scritto sulla carta e ciò che accade nella realtà è ancora tangibile. Tra i 10 punti del programma di Amnesty International: la fine della discriminazione e della violenza contro le donne; la tutela del diritto alla libertà di espressione; la trasparenza dell'operato delle forze dell'ordine; l'abolizione della pena di morte; la fine dell'impunità per le violazioni dei diritti umani; la lotta alla tortura; l'indipendenza del potere giudiziario; il diritto alla libertà di manifestazione; la protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo e, per finire, la tutela dei diritti economici sociali e culturali.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° https://www.agi.it/ Amnesty Italia: preoccupati per Taser, in Usa 864 morti 16:26 30 SET 2014

(AGI) - Roma - "Sulla questione-taser c'e' un sentimento di preoccupazione. Le esperienze vissute tra Usa e Canada non ci lasciano tranquilli". Riccardo Noury, portavoce Amnesty International per l'Italia, commenta cosi' all'AGI l'approvazione dell'emendamento di Forza Italia sulla pistola elettrica, che potrebbe presto entrare nell'equipaggiamento delle forze di polizia italiane. "Dal 2001, data di acquisizione dal taser nel Nordamerica, i morti 'taserizzati' sono stati 864, e il 90% di questi era disarmato. Studi medici a nostra disposizione dimostrano come persone che soffrono di disturbi cardiaci, o in particolari stati di alterazione emotiva e sotto sforzo, possono perdere la vita o riportare gravissime conseguenze se colpiti da questa arma. C'e' un rischio di un uso eccessivo e gratuito, ma c'e' anche la possibilita' di non sapere chi si sta colpendo". "Altro fattore di preoccupazione - dichiara Noury - e' la facilita' con cui il Taser puo' rilasciare scariche multiple, che possono danneggiare anche irreversibilmente il cuore o il sistema respiratorio. C'e' piu' di un dubbio, dunque sul fatto che queste armi siano effettivamente 'non letali', specie se adoperate con poco scrupolo". Sul come affrontare l'eventuale adozione del taser, Noury traccia una strada cauta ma non priva di preoccupazioni: "Prima di mettere a disposizione delle forze di polizia questo tipo di arma andrebbe effettuato uno studio sui rischi di violazioni dei diritti umani a seguito del suo impiego e andrebbe garantita una formazione specifica e approfondita per gli operatori che ne venissero dotati. Ma anche se venissero soddisfatte queste due richieste, il rischio di violazioni dei diritti umani non verrebbe affatto azzerato. Si parla di arma sicura ed efficace, ma c'e' un lato B che genera ansia e inquietudine". "Entreremo in contatto con le istituzioni - conclude Noury - per sollecitare una precisa valutazione dei rischi e per accertarci che i diritti umani non vengano dimenticati". .

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ncr-iran.org/ Attivista irachena per i diritti delle donne giustiziata dall'ISIS

Un'avvocatessa irachena attivista per i diritti delle donne, è stata uccisa dall'ISIS, ha detto il capo dell'Ufficio Diritti Umani delle Nazioni Unite giovedì.

Questa uccisione segue l'esecuzione di molte donne irachene nelle zone sotto il controllo di questo gruppo, documentate dagli osservatori delle Nazioni Unite.

A Luglio sono stati uccisi due candidati che contestavano le elezioni generali irachene nella provincia di Nineveh. Una terza candidata è stata rapita da uomini armati nella parte est di Mosul e non se ne sa nulla da allora.

“L'ultima vittima, Salih Ali al-Nuaimy, è stata prelevata dall'ISIS nella sua casa la scorsa settimana e torturata per diversi giorni prima di essere giustiziata lunedì in pubblico da un plotone di esecuzione formato da uomini a volto coperto”, ha detto Zeid Ra'ad al-Hussein, commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in un comunicato.

La Nuaimy aveva pubblicato dei commenti sulla sua pagina Facebook condannando il “barbaro” attentato e la distruzione delle moschee e dei santuari a Mosul, città settentrionale irachena, da parte dell'ISIS o ISIL.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.smartweek.it/ La Cina e la Tortura: Storia di un Mercato dell’Orrore

di Federico Ciapparoniscritto il 01 ottobre 2014

“Loro [i poliziotti] mi colpivano col manganello elettrico sul volto. E’ quella tortura che la

polizia chiama “del popcorn”, perché il viso ti si apre e sembra come il popcorn. Fa una puzza

terribile, di pelle buciata”.

Sembra un racconto di altri tempi, di un’altra realtà, di un altro mondo. Invece, è la recente

testimonianza di Yu Zhenjie, un sopravvissuto alle torture messe in atto dalla polizia locale

nello Hellongjiang, una delle più grandi province cinesi.

Era il 10 dicembre 1984, quando a New York l’Assemblea Generale dell’ONU approvò la

United Nations Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading

Treatment or Punishment, una serie di obblighi che vincolavano gli Stati aderenti a

condannare e contrastare la pratica di punizioni corporali o trattamenti crudeli, disumani o

degradanti finalizzati all’estorsione di informazioni o confessioni.

Oggi, a trent’anni di distanza, la tortura torna ad essere una problematica internazionale più

attuale che mai.

Secondo un recente rapporto stilato da Amnesty International, in collaborazione con Omega

Reasearch Foundation, dei 155 Paesi che nel 1984 ratificarono la Convenzione, almeno 79,

oggi, continuano a utilizzare questo genere di pratiche.

“E’ diventato una routine- afferma Salil Shetty, segretario di Amnesty- la lotta al terrorismo ha

normalizzato la tortura, facendola sembrare persino fondamentale per la sicurezza nazionale”.

Ma non è tutto.

A suonare il campanello d’allarme, come rivelano le 43 pagine del report, è stato l’improvviso

boom del mercato della produzione e della vendita di strumenti utilizzati per

somministrare dolore alle persone. Un business in forte crescita (si parla di un incremento del

364% negli ultimi dieci anni) che si intrinseca inevitabilmente con le continue accuse di

violazioni dei diritti umani in Asia e Africa.

Sì, perché se la Cina è il primo Paese al mondo nella produzione e nell’esportazione di questo

riprovevole genere di articoli, il commercio vero e proprio avviene al di fuori dei confini

nazionali del Paese del Dragone.

Cambogia, Thailandia, Nepal, Egitto, Senegal, Madagascar e Ghana sono tra i principali clienti.

Come testimonia il bilancio della Cina Xinxing Import/Export, una delle 130 aziende del settore

presente sul territorio cinese, il commercio con l’estero è il fulcro dell’indomabile giro di

denaro messo in moto da questo genere di affari: sono circa 100 i milioni di dollari

provenienti dalle casse dai Paesi africani, nella compravendita di armi utilizzate per infliggere

dolore ad altri esseri umani.

Il catalogo è molto ampio: la scelta dell’acquirente può variare dai manganelli elettrici ai

bastoni acuminati, passando per gas lacrimogeni e pallottole di plastica. Patrick Wilcken,

uno dei ricercatori di Amnesty che ha contribuito alla stesura del rapporto, imputa la colpa dello

sviluppo di un business simile alle autorità cinesi, incapaci di contrastare l’esportazione e il

commercio di questi oggetti e di impedire che apparecchiature normalmente in dotazione alle

Forze dell’Ordine possano finire nelle mani di chi viola sistematicamente i diritti umani.

Quale sarà il futuro di questo particolare tipo di mercato nessuno può dirlo, ma una cosa è certa:

come riportato da Amnesty International e da Omega Research Foundation, questo genere di

business è stato reso possibile solo ed unicamente grazie agli inefficaci e talvolta inesistenti

controlli sull’esportazione da parte delle autorità cinesi. Un mercato caratterizzato da una

scarsa trasparenza e da nessuna valutazione degli acquirenti in relazione al prodotto di vendita,

che ha portato ad anni di violenze ingiustificabili.

La necessità di una riforma radicale dei regolamenti dell’export cinese sembra ormai necessaria,

per fare il primo passo fondamentale verso “la fine del trasferimento di attrezzature utilizzate

per violare i diritti umani” a Paesi non curanti delle leggi internazionali.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.unionesarda.it/

Gaza: Netanyahu a Ban, Consiglio diritti umani difende Hamas Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha accusato il Consiglio dei diritti umani dell'Onu di "difendere" Hamas e di essere contro Israele. "Il Consiglio - ha detto il premier in un incontro con il Segretario generale dell'Onu Ban Ki moon, secondo una nota del suo ufficio - non ha indagato su Hamas che ha usato strutture delle Nazioni Unite per colpire Israele; lo stato ebraico lotterà contro questo". Netanyahu nel pomeriggio incontrerà il presidente Usa Barack Obama.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://it.radiovaticana.va/ Brasile: la voce degli indios al Consiglio dei diritti umani La Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) tramite il Consiglio Indigeno Missionario (Cimi) ha sostenuto la partecipazione di Eliseu Lopes, leadership degli indios Guarani-Kaiowá brasiliani nella lotta per il riconoscimento del loro diritto alle terre, alla 27.ma sessione del Consiglio dei Diritti Umani, a Ginevra.

"Non possiamo più elencare tutte le denunce e rivendicazioni che abbiamo fatto in Brasile, ancora senza una risposta. Perciò, l'appello dei Guarani-Kaiowá adesso è rivolto innanzitutto alla comunità internazionale", ha dichiarato Eliseu Lopes alla Radio Vaticana da Milano, l'ultima tappa del suo viaggio in Europa.

Flávio Machado, coordinatore del Cimi nello Stato di Mato Grosso do Sul, al confine brasiliano con il Paraguay - dove le statistiche riportano un suicidio ogni sette giorni e un omicidio ogni dodici giorni tra il popolo Guarani-Kaiowá - ribadisce l'importanza della presenza di Eliseu in Europa come portavoce del suo popolo: "L'iniziativa di fare questa denuncia internazionale vuole richiamare l'attenzione dei tribunali internazionali perché il governo brasiliano risponda alle negligenze che hanno come conseguenza la morte di persone tra i popoli indigeni".

Il coordinatore del Cimi ha parlato anche del ruolo della Chiesa nella difesa dei diritti degli indios. "La Chiesa cattolica brasiliana - ha detto - ha molto da offrire nella prospettiva morale a questi popoli ed anche al governo. E lo sta facendo. La Chiesa difende i diritti dei popoli indigeni, soprattutto il loro diritto alla vita ed avere una terra".

Anche l'Ong inglese "Survival International", che da 45 anni difende le popolazione autoctone mondiali, mette in evidenza la situazione degli indios brasiliani. Sarah Shenker, responsabile dell'Ong per la campagna in difesa dei Guarani-Kaiowá, ridabisce l'importanza della cooperazione con il Cimi: "È essenziale - spiega - che ci sia una comunicazione e uno scambio d'informazioni tra

Survival e Cimi, per promuovere il dibattito sulle campagne e sulle strategie da attuare per sostenere il popolo Guarani-Kaiowá". (R.B)

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.contattonews.it/

Amnistia e indulto 2014, Rita Bernardini: “Impedire che la peste italiana della negazione di diritti umani si diffonda anche in Europa” Autore: Francesca Donnarumma de Luca - 1 ott 2014

AMNISTIA E INDULTO 2014 MOTIVI DEL RIGETTO DEI RICORSI DEI DETENUTI – La Segretaria dei Radicali Italiani, Rita Bernardini, ieri sera a Radio Carcere, trasmissione condotta da Riccardo Arena su Radio Radicale, pronunciatasi più volte a favore dei provvedimenti di amnistia e indulto, ha parlato del rigetto dei ricorsi pronunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 3 della Convenzione. La Corte, nel respingere 19 ricorsi provenienti dall’Italia, avrebbe dichiarato di “non avere prove per ritenere che il rimedio preventivo e quello compensativo introdotti dal governo con i decreti legge 146/2013 e 92/2014, non funzionino”. La Corte di Strasburgo ha deciso di mettere anche un freno ai 4.000 ricorsi ricevuti in questi anni dai detenuti italiani.

INTERVENTO DI RITA BERNARDINI SUI RICORSI AI GIUDICI ITALIANI – “Come abbiamo già documentato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con il nostro dossier del 22 maggio (non consegnato per tempo ai delegati dalla burocrazia europea) – ha dichiarato Rita Bernardini – proveremo che i rimedi previsti dal Governo italiano non solo sono umilianti per chi ha subito trattamenti equiparabili alla tortura, ma nemmeno funzionano per come è organizzata oggi la Magistratura di sorveglianza, inadeguata persino a rispondere alle istanze di ordinaria amministrazione avanzate dalla popolazione detenuta. Toccherà ancora una volta a noi e alle associazioni del mondo penitenziario armarsi di non violenza e di molta precisione e pazienza per impedire che la “peste italiana” della negazione di diritti umani fondamentali si diffonda anche in Europa. Lo faremo con i detenuti e le loro famiglie”.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.unimondo.org/ Diritti in cammino. Le persone con disabilità in ospedale Giovedì, 02 Ottobre 2014

Immagine: Spescontraspem.it

Esistono reparti ideati per accogliere i bambini e reparti dedicati alle persone con malattie psichiche. La maggior parte delle strutture sanitarie italiane non prevede però ancora percorsi di cura personalizzati per un'altra categoria di pazienti con esigenze speciali, le persone con disabilità motoria, sensoriale o intellettiva. Non solo barriere architettoniche ma una serie di accorgimenti e soluzioni, talvolta anche semplicemente di carattere organizzativo, che potrebbero permettere di superare le discriminazioni e gli ostacoli, tanto fisici quanto culturali, che spesso le persone con disabiità devono affrontare in ospedale.

A questo grande tema è dedicata la “Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale”, creata dalla cooperativa sociale Spes contra spem, presentata il 20 settembre in Regione Lombardia e il 25 in Regione Lazio.14 articoli che declinano i principi fondamentali della “Carta europea dei diritti del malato” in relazione alle persone con disabilità: per esempio, accesso a cure e ai processi diagnostici, libera scelta delle cure, informazione, diritto a evitare le sofferenze inutili, diritto a elevati standard di qualità e, ancora, l'importante riconoscimento del ruolo dei caregiver a fianco del paziente in ospedale, soprattutto nel caso di difficoltà nell’area cognitiva ed espressiva. Non si tratta di diritti “ad hoc” ma di bisogni più complessi, illustrati con una serie di esempi e casi tratti da esperienze reali. Ad animare questo documento, già adottato dal Policlinico Gemelli-Università Cattolica di Roma, è infatti l'esperienza concreta. In primis quella dolorosa di Tiziana, una ragazza disabile mancata nel dicembre del 2014 in un ospedale romano, dopo un mese di degenza costellata da una serie di piccole e grandi incomprensioni e mancanze, esasperate dalla sua impossibilità di comunicare e da norme ospedaliere che non prendevano in considerazione le esigenze “speciali” di questo caso. “Il progetto ha un respiro più alto di una semplice denuncia di malasanità – spiega Luigi Berliri, presidente della cooperativa Spes contra spem – . Garantire la dignità delle cure mediche anche alle persone con disabilità è una responsabilità irrecusabile di tutti: il trattamento riservato alle persone con disabilità è la cartina di tornasole del livello di civiltà di una società”. Gli fa eco uno dei promotori della “Carta”, il dottor Nicola Panocchia, dirigente medico del Policlinico Gemelli di Roma: “Le buone pratiche che vengono esercitate in relazione alle persone con disabilità – intellettive, motorie e sensoriali - hanno una ricaduta positiva su tutti i pazienti. In ospedale, infatti, tutti i pazienti hanno esigenze specifiche e limitazioni contingenti legate alla malattia, in un certo senso hanno tutti una forma temporanea di disabilità. Appare quindi strano che la grande

maggioranza dei nostri ospedali non abbia percorsi specifici di presa in carico e gestione a loro dedicati, così come per altre tipologie di pazienti con esigenze particolari”.

Il diritto alla Salute e a cure appropriate per le persone con disabilità si scontra purtroppo ancora oggi con competenze, strumentazioni e adattamenti organizzativi dei centri ospedalieri in molte realtà italiane ancora inadeguati. In altri Paesi si hanno già prime analisi e indagini su questo tema, come in Inghilterra dove l'associazione MenCape ha dato vita insieme al Department of Health a un report “Death by Indifference” che denuncia errori e mancanze nella cura di persone con disabilità intellettive. In Italia, al di là di episodi e casi specifici, rilanciati dalla stampa, ancora non esiste un quadro chiaro della situazione nei centri ospedalieri. È stata avviata però una prima indagine conoscitiva sui percorsi ospedalieri delle persone con disabilità, condotta dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane all'interno del progetto “Ariel fa crescere i diritti”, un percorso di promozione dei diritti delle persone con disabilità, ideato da Fondazione Ariel in collaborazione e con il supporto di Fondazione UMANAMENTE e Spes contra spem. I risultati preliminari della ricerca verranno illustrati il 3 ottobre nel corso ECM “L'ospedale discrimina? L'accoglienza delle persone con disabilità in ospedale”, presso l'ospedale Humanitas (e in diretta streaming per tutti gli interessati).

Nella giornata di studio verrà presentata l'esperienza di eccellenza del progetto DAMA, il servizio di accoglienza specialistica dell’Ospedale San Paolo di Milano, che dal 2000 a oggi ha preso in carica oltre 5.000 persone con grave disabilità intellettiva e neuromotoria. che dal 2001. Una attenzione particolare verrà dedicata, inoltre, al tema dei bambini con disabilità. Se la permanenza in ospedale è difficile per tutti, per i bambini lo è ancora di più, soprattutto se affetti da disabilità neuromotorie, patologie che necessitano di un’assistenza continua e frequenti medicalizzazioni. “Nel caso della della Paralisi cerebrale infantile si parla addirittura di Hospital Birthday Syndrome, per via dei frequenti interventi chirurgici e ricoveri a cui i bambini devono essere sottoposti per migliorare la deambulazione e correggere le forme di spasticità - spiega il prof. Nicola Portinaro, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia Pediatrica dell’Istituto Clinico Humanitas e direttore scientifico di Fondazione Ariel, dal 2003 al fianco delle famiglie con bambini con Paralisi Cerebrale infantile e altre disabilità neuromotorie. “Si tratta di operazioni complesse che necessitano di una convalescenza lunga e dolorosa. I problemi nell’area cognitiva ed espressiva legata alla disabilità acuiscono poi ulteriormente la difficoltà e la sensazione di smarrimento in questi piccoli pazienti che rischiano di isolarsi ulteriormente e chiudersi in se stessi. È quindi fondamentale modulare un percorso di accoglienza e trattamento specifico per loro”, commenta il prof. Portinaro che tratterà di questi temi nel corso del 3 ottobre mentre il prof. Giuseppe Zampino, responsabile UO Malattie rare e difetti congeniti del Policlinico universitario Gemelli, illustrerà le competenze e il ruolo

che riveste il pediatra di base. Un primo momento di riflessione e formazione per medici, infermieri e operatori.Una prima proposta strutturata per un reale cambiamento.

Il corso (accreditato ECM) è destinato a professionisti, medici, infermieri, terapisti della neuropsicomotricità dell'età evolutiva, educatori sanitari, psicologi ospedalieri. È però aperta a tutti la diretta streaming on line. Informazioni e iscrizioni sul sito di Fondazione Ariel, oppure sulla presentazione dell'evento su Eventbrite.

Francesca Naboni

Fondazione Fontana

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.culturaromena.it/ Le catacombe della Romania: le colpe di un regime. Intervista "Per i diritti umani" pubblicato il: 01 ottobre 2014

"...Non si potrà avere un globo pulito se gli uomini sporchi restano impuniti. E' un ideale che agli scettici potrà sembrare utopico, ma è su ideali come questo che la civiltà umana ha finora progredito (per quello che poteva). Morte le ideologie che hanno funestato il Novecento, la realizzazione di una giustizia più giusta distribuita agli abitanti di questa Terra è un sogno al quale vale la pena dedicare il nostro stato di veglia".

Le catacombe della Romania: le colpe di un regime

Abbiamo intervistato, per voi, la dott.ssa Violeta P. Popescu, scrittrice e curatrice del saggio intitolato Le catacombe della Romania. Testimonianze dalle carceri comuniste 1945-1964 un testo storico, importante, utile per ricordare e far emergere un Passato che molti molto lasciare nell'oblio. Un regime duro che ha represso, con la violenza, la libertà e la vita di chi ha lottato per i valori democratici. Ringraziamo molto Violeta P. Popescu per queste sue parole.

Come si è sviluppato il progetto di questo libro: come avete raccolto le testimonianze, quanto tempo avete impiegato per realizzarlo?

Il libro “Le catacombe della Romania. Testimonianze dalle carceri comuniste (1945-1964)” che recentemente è uscito presso la casa editrice Rediviva, collana Memorie, è un lavoro documentario di squadra. Sul portale CulturaRomena.it le mie collaboratrici hanno lavorato con tanta dedizione a questo volume: Lorena Curiman, Claudia Bolboceanu, Mirela Tingire hanno iniziato a pubblicare un paio d'anni fa alcuni articoli che trattavano della storia recente del nostro Paese, in particolare del regime comunista e della durissima repressione, notando un grande interesse da parte del pubblico lettore; quindi abbiamo pensato di riunire e dar voce al passato e di riportare le testimonianze di alcuni personaggi per far conoscere una realtà storica della Romania.

Quanto è importante la Memoria per la Romania di oggi e per l'Europa?

Il libro intende proprio essere un “recupero della memoria” recente della storia romena. Il regime comunista instaurato in Romania dopo la seconda guerra mondiale ha tentato di cancellare la memoria

storica del popolo romeno puntando nella sua strategia di creare “un uomo nuovo”, una persona senza radici, senza memoria e parzialmente direi che ci sia riuscito. Il regime ha significato un cambiamento forzato e un tragico isolamento dalla grande famiglia europea. Fino alla caduta del regime, nell'89, il Paese era percepito nell' Occidente come “il paese del dittatore Ceausescu”. Si è studiato ad esempio poco il ruolo della resistenza e dei movimenti anticomunisti attivi in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Oltre ai fatti ben noti dell’89, l’opinione pubblica dell’Europa occidentale è a conoscenza solo dei maggiori episodi di ribellione popolare contro i regimi oppressivi, come la Rivolta ungherese del 1956 o la Primavera di Praga del 1968, mentre a mio avviso restano ancora in gran parte sconosciuti fenomeni come la repressione comunista e la resistenza anticomunista in Romania. Quindi la memoria...va recuperata nel senso di conoscere e di avere un'immagine di quello che è accaduto. L’identità di molte delle persone che hanno trovato la morte nelle carceri comuniste è destinata a restare sconosciuta senza lo sforzo di un lavoro documentario e un percorso che porta all' attenzione questa realtà.

La Romania ha visto nascere il regime comunista con tutte le sue conseguenze: il nostro saggio intende far conoscere il periodo delle carceri trasformate negli anni'50 del partito in veri centri di sterminio, in veri gulag. Abbiamo notato una carenza bibliografica in Italia su questa tematica tranne alcuni lavori, tra cui nomino il volume “I musica per i lupi” di Dario Fertlio che parla del fenomeno della rieducazione del carcere Pitesti. I fatti storici raccontati nel nostro breve saggio, attraverso le testimonianze dei nostri dieci personaggi (di cui nessuno è più vivente) - non rappresentano una realtà storica che io, le mie compagne del libro, la mia generazione ha studiato durante la scuola perchè, fino al momento della Rivoluzione dell'89 e la caduta del regime, era vietato fare commemorazione, ricordare le vittime, organizzare delle conferenze. Dopo la caduta del regime siamo entrati in contatto con alcuni sopravvissuti ed e stato come un risveglio scoprire migliaia e migliaia di vittime, una realtà ben nascosta del regime.

Si possono paragonare le carceri e i campi di lavoro forzato ai lager nazisti?

Si tratta in tutti e due casi di regimi totalitari in cui sono avvenuti gravi violazioni dei diritti umani: esecuzioni individuali e collettive, morti in campi di concentramento, fame, deportazioni, torture e altre forme di terrore fisico di massa, persecuzioni su base religosa o etnica, violazioni della libertà di coscienza, della libertà di stampa e l'elenco può continuare. A quasi 25 anni di distanza, fare una stima del numero di persone decedute durante il regime in Romania risulta molto difficile a causa della scarsa affidabilità delle fonti di informazione di allora soggette a pesanti controlli.

Secondo i dati forniti dall’Istituto di Investigazione dei Crimini del Comunismo in Romania, un ente che si è impegnato a far conoscere questa realtà storica, durante il regime comunista in Romania esistevano 44 carceri e 72 campi di lavoro forzato in cui sono passati oltre tre milioni di romeni, 800.000 dei quali sono morti. Migliaia di romeni provenienti dal mondo dei contadini ricchi, fedeli ortodossi, greco-cattolici, romano-cattolici, intellettuali, operai, oppure attivisti di partiti storici, sono stati arrestati, rinchiusi nelle carceri, prelevati dalle loro case e uccisi sulle strade, ai bordi dei fossi, nei boschi o sono scomparsi senza lasciare traccia. I nomi e il numero di tutti questi martiri non si sapranno mai.

Oggi alcune carceri sono state trasformate in memoriali dei luoghi della sofferenza. Ad esempio: il carcere Aiud dove oggi esiste un monumento innalzato nella memoria delel vittime. La direzione politica del Paese ha deciso di trasformare nel 1947 la prigione di Aiud in un grande centro di sterminio, per l’élite religiosa e intellettuale dove I detenuti sono stati sottoposti a torture e a un trattamento disumano; oppure il carcere Sighet dove nell'anno 1950 più di cento persone che avevano superato l'età di di 60 anni (ex-ministri, accademici, economisti, militari, storici, giornalisti, politici), sono stati incarcerati, condannati a pene pesanti, altri neppure giudicati. Vorrei nominare anche il carcere Piteşti, luogo dove è stato condotto il più orrendo esperimento concentrazionario del dopoguerra. Gli oppositori del regime comunista (principalmente studenti universitari, liberali, conservatori, religiosi e cristiani di tutte le confessioni) vengono richiusi a Piteşti con l’obiettivo di rieducarli, di farne degli “uomini nuovi”. Per due anni, dal dicembre 1949 al gennaio 1952, il carcere di Piteşti si trasforma in un vero inferno in cui viene sperimentata una tecnica sconosciuta nell’ambito carcerario, la “rieducazione” dei detenuti

politici. I “rieducati” erano obbligati ad autodenunciarsi, a negare se stessi, a denunciare la propria famiglia, gli amici e le fidanzate.

Può anticipare alcune testimonianze riportate nel testo? Per quali valori hanno lottato le persone che hanno perso la vita durante il regime comunista?

Nel buio delle carceri diffuse su tutto il territorio della Romania, un'intera generazione è stata sottoposta a torture e alle sofferenze disumane per aver continuato a credere in una società democratica. Il legame con il passato, con i valori democratici, con i valori morali, l’amore per la patria, la testimonianza della fede venivano considerati “colpe maggiori”. Tutto quello che significava i valori tradizionali che avevano accompagnato i romeni per intere generazioni, erano considerati un vero pericolo per il nuovo regime; con pretesti a volte assurdi, si procedeva ad arresti di massa, mentre i detenuti venivano sottoposti a torture di tipo fisico e psicologico a volte fino alla morte. Molti prigionieri hanno sacrificato la vita in nome dei loro ideali democratici, delle loro convinzioni e della fede come veri martiri. Si tratta di persone incarcerate non solo perché si opponevano al regime e non accettavano il nuovo potere, ma anche perché erano cristiani pronti a testimoniare la fede, un aspetto che agli occhi dei comunisti appariva la “colpa” maggiore da punire cercando anche falsi capi d’accusa. Il titolo del libro: Le catacombe della Romania - è un modo metaforico per definire le carceri, le celle, in cui hanno sofferto migliaia di detenuti. L'ultimo supporto rimasto nelle carceri era, come testimonia un'intera letteratura memorialistica, il supporto spirituale: la preghiera e la fede in Gesù Cristo. Il regime comunista nutriva un grande odio verso la fede – considerava “i mistici” (i credenti) le persone più pericolose. Abbiamo ricordato nel libro alcune figure che hanno scontato da dieci a vent'anni di carcere oppure sono morti: padre Gheorghe Calciu Dumitreasa (1925-2006) che ha scontato più di 20 di carcere, il poeta Radu Gyr (1905-1975) condannato a morte per una poesia, il grande filosofo Mircea Vulcanescu (1904-1952) morto ad Aiud; il poeta Vasile Voiculescu (1884-1963) una delle figure più importante della poesia romena del periodo interbelico; il principe e sacerdote cattolico Vladmir Ghika (1873-1954) incarcerato a Jilava (beatificato l'anno scorso dalla Chiesa Cattolica), si spense a 80 anni a causa del trattamento inumano cui era stato sottoposto e tanti altri nomi vittime del regime.

Quali sono le aspettative della Romania contemporanea?

Penso s

ia ancora lunga la strada per arrivare ad un traguardo. La Romania nascosta per cinquant’anni dietro il muro del comunismo, ha attraversato momenti decisivi, incompresi e poco studiati. Un tempo considerata il “granaio d’Europa”, per la sua ricchezza agraria, la Romania è passata ad essere uno dei Paesi più provati dal blocco comunista. Dopo l'89 sono stati fatti passi importanti: l'ingresso nella NATO, l'ingresso nell'UE, ma ci sono ancora tanti altri passi da compiere in vari settori.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.piacenzasera.it/ Concittadini, il progetto piacentino premiato dalla Regione Significativo riconoscimento per “Concittadini”: il progetto rivolto agli studenti, promosso e coordinato sul nostro territorio dalla Provincia di Piacenza in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, è stato infatti indicato come uno dei più meritevoli fra i 91 presentati in tutta l'Emilia Romagna e premiato con la somma di 1500 euro.

“Un riconoscimento dalla Regione del quale sono particolarmente soddisfatto – commenta l’assessore provinciale alle Politiche giovanili Massimiliano Dosi – a testimonianza dell'ottimo lavoro svolto in questi mesi. E' stata un'esperienza davvero positiva e una grande opportunità di crescita culturale e civica; per questo, insieme ai ragazzi e ai docenti che hanno partecipato, vorrei ringraziare tutto il personale della Provincia coinvolto per l'ottimo lavoro svolto a servizio dei giovani: utilizzeremo il premio a favore della prossima edizione”. L'iniziativa, nata con l'obiettivo di sensibilizzare le giovani generazioni sui temi della cittadinanza attiva, del rispetto reciproco e della solidarietà, per l'edizione 2014 ha coinvolto nel piacentino i tre Consigli comunali dei ragazzi di Carpaneto, Gragnano e Piacenza, il Comune di Carpaneto, le scuole Isii "Marconi", "Casali" con la sezione associata del "Romagnosi", "Gioia", "Colombini", "Raineri Marcora", gli istituti comprensivi di Cadeo-Pontenure, Cortemaggiore, Rivergaro e Fiorenzuola, le medie di San Nicolò, Calendasco e Gragnano e il terzo circolo didattico di Piacenza: in totale 2mila studenti (26mila in tutta la regione) e circa 300 adulti fra insegnanti e genitori. Memoria, legalità e diritti. Questi i temi dell'ultima edizione sui quali si sono confrontati gli studenti con la realizzazione di progetti ed elaborati grazie anche a tre giornate di formazione in Provincia: ospiti Francesco Maria Feltri, insegnante di scuola superiore e collaboratore scientifico del Museo Monumento del Deportato Politico e Razziale, intervenuto sul tema della Memoria, Daniele Borghi - responsabile Regionale Associazione Libera nomi e numeri contro le Mafie - e il capitano Luca Ferrari - Comandante della Compagnia della Guardia di Finanza di Piacenza – che hanno parlato del fenomeno delle mafie in Emilia-Romagna e della legalità economica e finanziaria, insieme ad Alberto Emiletti - Ufficio “Educazione ai Diritti Umani della Sezione Italiana di Amnesty Intemational e Paolo Lazzarini - Referente all'Educazione ai Diritti Umani dell'Emilia Romagna - intervenuti sul tema dei Diritti umani e dei Diritti delle donne. L'iniziativa ha inoltre previsto la visita all'Assemblea legislativa di Bologna e alla Fondazione Fossoli (Museo del Deportato Politico e Razziale e Ex Campo) insieme all'incontro con Rita Borsellino al quale hanno preso parte circa 1000 studenti. I progetti realizzati sono stati poi presentati lo scorso 20 maggio al Castello di San Pietro in Cerro nell'evento che ha chiuso il percorso per il 2014. Il prossimo appuntamento per Concittadini è in programma lunedì 6 ottobre in Provincia, quando, in collaborazione con l'associazione “Libera”, l'assessore Dosi consegnerà a dirigenti scolastici, docenti e studenti degli istituti che hanno preso parte al progetto alcuni libri sui temi della legalità e delle mafie per la realizzazione di uno scaffale “Mafie e legalità” nelle biblioteche delle scuole della nostra provincia.

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Tav, accolto il ricorso al Tribunale dei Popoli: violati i diritti dei valsusini? di Fabio Balocco | 2ottobre 2014

In un mio precedente post annunciai l’esposto da parte del Contro osservatorio Valsusa al Tribunale Permanente dei Popoli (Tpp) relativamente alla questione Tav. Ora il Tpp si è espresso con nota del 20 settembre scorso affermando testualmente che:

La questione posta dal ricorso Tav è di grande interesse generale, posto che essa riguarda numerosi altri casi di opere pubbliche di grande importanza, europee ed extra europee. Non per nulla essa è stata fatta oggetto di una Convenzione internazionale ed è trattata in varie sentenze della Corte europea dei diritti umani che toccano temi ambientali. In ordine alla questione della idoneità e adeguatezza delle consultazioni, si pongono problemi importanti di carattere generale che, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani e della Corte interamericana di San José, prospettano temi di grande complessità e importanza, probabilmente non definibili con regole generali e astratte, ma piuttosto legati alle peculiarità di ciascun caso.

In particolare merita l’attenzione del Tpp l’indagine – nella concreta esperienza vissuta

dalle popolazioni interessate ‒ sulla natura e finalità delle procedure di consultazione e

quella del rapporto/limiti di prevalenza dell’interesse generale rispetto a quello locale. Si tratta di questioni che si prestano a discussione e approfondimento mettendo a confronto vari casi che le mettono in evidenza, in vista dell’assunzione di posizioni di principio.

Questo ricorso ‒ esaminato insieme e in raffronto ad altre simili vicende ‒ potrebbe valere

come veicolo o occasione di approfondimento di temi destinati a investire prepotentemente il dibattito giuridico e politico. [...]

La vicenda Tav costituisce per il Tpp – insieme e in raffronto ad altre similari vicende europee ed extra europee – l’occasione di approfondimento e di dibattito, non per gli aspetti più strettamente tecnici (affidabilità o meno di dati economici e/o di rischio per la salute), quanto per ciò che riguarda le finalità e l’effettività delle procedure di consultazione delle popolazioni coinvolte e l’incidenza sul processo democratico. Sempre più

chiaramente si evidenziano anche nei Paesi cosiddetti “centrali”, situazioni ‒ più volte

rilevate nei Paesi del Sud anche in sessioni del Tpp per quanto riguarda il rapporto tra sovranità, partecipazione delle popolazioni interessate, livello delle decisioni politico-economiche – che mettono in discussione e in pericolo l’effettività e il senso delle consultazioni e la pari dignità di tutte le varie componenti delle popolazioni interessate.

In conseguenza di queste premesse, il Tribunale avvierà un’istruttoria per valutare se effettivamente per realizzare l’opera non sono stati violati i diritti delle popolazioni locali, istruttoria che presumibilmente terminerà nei primi mesi del 2015. Il procedimento aperto è il primo, nei 35 anni di storia del Tpp, che affronta problemi di violazione di diritti fondamentali connessi alla realizzazione di un grande opera in Europa: segno che esistono i presupposti per ipotizzare che la Val di Susa rappresenti un laboratorio di ricerca avanzata di una nuova politica coloniale diversa nelle forme rispetto a quelle tradizionali ma non per questo meno devastante.

Quando in un mio post precedente parlai dell’esposto al Tpp ci fu chi commentando disse che il Tribunale non contava nulla. Certo il Tpp non può fermare un’opera ma il suo giudizio non può passare inosservato presso la comunità internazionale. Esso è erede del Tribunale Russell ed è composto da eminenti personalità della cultura internazionale, fra cui anche premi Nobel.

Ciò detto, ritorno su quanto ho ripetuto da questo mio piccolo spazio. Quante volte le opere sono di pubblica utilità solo di nome e quante volte in nome di un presunto interesse pubblico vengono calpestati i diritti di chi abita il territorio? Pensiamo ai grandi impianti idroelettrici in Cina, nel sud-est asiatico, e nel Sudamerica. Pensiamo alle persone deportate, oltre che ai territori distrutti ed ai microclimi alterati. Quale consultazione democratica avviene in questi casi? E questo è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare.

Ma penso anche alla frase dello scout contenuta nell’intervista al Corsera del 13 luglio scorso: “Nel piano SbloccaItalia c’è un progetto molto serio sullo sblocco minerario… Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni fra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini.…”. Comitatini. Ecco, la popolazione locale che si esprime contro una grande opera è definita con disprezzo “comitatino”. Questo la dice lunga su quanto dia peso il nostro leader alla consultazione dei cittadini ed all’opposizione di chi vive sul territorio. E lui che si autodefinisce “democratico”. E magari anche ci crede.

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Ucraina. Da inizio cessate il fuoco uccise 331 persone

8 ottobre 2014 13.10

Violazioni diritti umani sia da ribelli sia da uomini Kiev (ASCA) – Ginevra, 8 ott 2014 – Dal 5 settembre scorso, quando e’ entrato in vigore il coprifuoco, al 6 ottobre 331 persone sono state uccise in Est Ucraina. Lo afferma l’Onu in un rapporto dedicato alla situazione dei diritti umani in Ucraina.

Da quando il cessate il fuoco e’ entrato in vigore, tra il 6 settembre e il 6 ottobre, ci sono stati 331 decessi registrati si legge in un comunicato che accompagna l’aggiornamento del rapporto dell’Alto commissariato per i dirtti dell’Uomi delle Nazioni Unite. Il rapporto, che nasce dal lavoro di una squadra di 35 osservatori dell’Onu in Ucraina dal 18 agosto al 16 settembre, ha rilevato un numero crescente di combattenti stranieri, compresi presunti cittadini russi, arrivati a rafforzare tra il 24 agosto e il 5 settembre i ranghi dei gruppi armati della repubblica autoproclamata di Donetsk e della repubblica de Lugansk. Nel periodo sotto esame il diritto umanitario internazionale ha continuato a essere violato dai gruppi armati e da alcune divisioni sotto il controllo dell’esercito ucraino si legge nel rapporto, che cita scontri, combattimenti e tiri d’artiglieria quotidiani. Gruppi armati continuano a terrorizzate la popolazione nelle zone che controllano, con uccisioni, rapimenti torture e maltrattamenti sottolinea l’Onu, che segnala anche distruzioni di case ed espropri.

(segue) Bea

Questa è una notizia dell’agenzia Asca.

Pyongyang ammette l’esistenza di campi di lavoro

8 ottobre 2014 12.15 Un disertore nordcoreano a Seoul, in Corea del Sud, durante una conferenza stampa per

chiedere il rispetto dei diritti umani in Corea del Nord. (Ahn Young-joon, Ap/Lapresse) La Corea del Nord ha ammesso ufficialmente e per la prima volta davanti alla comunità

internazionale l’esistenza dei campi di lavoro. Choe Myong Nam, ministro degli esteri nordcoreano responsabile dei diritti umani e delle relazioni con le Nazioni Unite, ha parlato brevemente con i giornalisti nella sede dell’Onu a New York e ha assicurato che nel paese non ci sono “campi di prigionia”, ma solo “campi di rieducazione tramite il lavoro”, dove i criminali comuni “migliorano la loro mentalità e riflettono sui loro errori”.

Il ministro ha così respinto le accuse, contenute in un rapporto dell’Onu pubblicato a febbraio, di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, compresi crimini contro l’umanità, commesse nelle strutture detentive in Corea del Nord. Il documento, basato sulla testimonianza di nordcoreani fuggiti all’estero, denuncia l’esistenza di quattro grandi campi di prigionia, dove viene rinchiuso e torturato, spesso per il resto della vita, chiunque sia sospettato di reati politici. Secondo il governo sudcoreano, i detenuti dei campi di prigionia in Corea del Nord sono tra gli 80mila e i 120mila.

Durante l’incontro con i giornalisti, i diplomatici di Pyongyang hanno anche riferito di una visita di alcuni alti funzionari nordcoreani nella sede dell’Unione europea a Bruxelles, durante la quale si sarebbero mostrati interessati ad avviare un dialogo sui diritti umani. La Corea del Nord, hanno detto, non si oppone al dialogo, a meno che non sia usato come “strumento di interferenza” negli affari interni del paese.

Nessun accenno, invece, è stato fatto allo stato di salute del leader nordcoreano Kim Jong-un, che non compare in pubblico dal 3 settembre scorso. La sua mancata partecipazione ad alcuni eventi ufficiali ha alimentato indiscrezioni sui suoi problemi di salute e insinuazioni su complotti per allontanarlo dal potere.

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http://www.balcanicaucaso.org/

Sos: dispacci dall'Azerbaijan Arzu Geybullayeva 8 ottobre 2014

La diplomazia del caviale sembra continuare ad avere grande successo. Continuano i messaggi di allarme che arrivano dall'Azerbaijan in merito al rispetto dei diritti umani nel paese. E che cadono costantemente nel vuoto

In una scena della serie televisiva “The newsroom” di Aaron Sorkin, l'anchorman Will Mc Avoy (Jeff Daniels) si lascia andare in una dissertazione sul perché l'America non sia più il più grande paese del mondo. Il toccante monologo finisce con questa frase: “Il primo passo per risolvere un problema è capire che esiste”. Ma come si comportano i leader politici del mondo rispetto a questo? Alcuni scelgono di dedicarsi ai “problemi”; mentre altri optano per eludere questo concetto di responsabilità.

Ali Hasanov è un caso lampante. In carica come capo del Dipartimento dell'amministrazione presidenziale per le questioni politiche e sociali, Hasanov ritiene che in Azerbaijan non vi siano problemi e che quindi non vi sia necessità di discuterne. “Attualmente in Azerbaijan c'è libertà assoluta, tanto è vero che sono presenti centinaia di organizzazioni non governative; organi di stampa operano nel paese in accordo con la legge; la gente può esprimere liberamente la sua opinione e lo stato supporta lo sviluppo dei media e delle istituzioni della società civile” ha affermato Hasanov.

Il noioso elenco di tutto quanto l'Azerbaijan (non) garantisce era rivolto al pubblico internazionale ed in particolare al Presidente Obama. Mentre si rivolgeva al pubblico, il mese scorso, durante il Clinton Global Initiative Forum, il presidente Obama ha infatti fatto i nomi di alcuni paesi. Cina, Venezuela e Russia sono stati inseriti nella lista dei regimi repressivi che sopprimono il dissenso. Ma non erano i soli, poco dopo è stato nominato anche l'Azerbaijan. La recente escalation di repressione contro le organizzazioni non governative (quelle di affiliazione indipendente) ha quindi preoccupato Obama, preoccupazioni però prive di fondamento stando all'ultima dichiarazione di Hasanov.

“Questi appelli, dichiarazioni e documenti, assemblati sulla base di informazioni ricevute da tre o quattro persone senza prendere in considerazione l'opinione pubblica in Azerbaijan, le Ong e le centinaia di mezzi di comunicazione, sono infondati, di parte e soggettivi”, ha ribadito al presidente il capo del dipartimento.

Perché tanta ira?

C'è un detto popolare che dice: “Il pesce marcisce dalla testa”. Probabilmente, nel caso della leadership azera e di Hasanov, il peso di questo proverbio risuona nella maggior parte delle loro recenti azioni politiche, senza menzionare il grave peggioramento durante l'estate del rispetto dei diritti umani nel paese.

Dal nostro ultimo aggiornamento pubblicato su queste pagine sull'Azerbaijan, è accaduto che il giornalista di Nakhchivan e difensore dei diritti umani Ilgar Nasibov è stato trovato incosciente nel suo ufficio dopo aver subito un duro pestaggio. Un altro giornalista, punto di riferimento del giornale Azadliq, Seymur Hazi, è stato arrestato con l'accusa di “teppismo aggravato”.

Inoltre due attivisti politici sono stati messi in custodia cautelare: Murad Adilov, membro dell'opposizione con il Partito del Fronte Popolare, e Khagani Mammad, membro del Partito Musavat. Adilov rischia 12 anni se sarà ritenuto colpevole di possesso di sostanze stupefacenti. Mammad invece è stato arrestato con l'accusa di aver aggredito due donne, che in realtà sarebbero state loro ad averlo attaccato, coinvolte in un complotto nei suoi confronti. È accusato di teppismo ed è attualmente detenuto da due mesi in custodia cautelare.

Sono state approvate poi nuove leggi, che impediscono alle Ong di portare avanti le loro attività, tagliandole fuori dagli aiuti esteri e congelando i loro conti bancari. Malgrado ciò, per Hasanov, questo sarebbe parte di un processo legale e trasparente del paese. “Ovviamente le attività delle organizzazioni in sospetta violazione legislativa sono state indagate e saranno prese le misure necessarie per confermare i fatti. Non mi piace che alcune organizzazioni, che non rispettano i requisiti legali degli organi statali e che spendono milioni di sovvenzioni provenienti dall'estero, attraverso traffici loschi, agiscano poi come araldi della democrazia!”. Ma nessuno sembra commentare il fatto che le Ong governative siano rimaste intoccate e al sicuro sotto le calde ali del governo.

Allo stesso tempo, uno dei più importanti avvocati azeri per i diritti umani Leyla Yunus ha dovuto affrontare crescenti intimidazioni e abusi da parte delle compagne di cella e dalle guardie della prigione, dove si ritrova rinchiusa dal 30 luglio. Yunus è stata arrestata e messa in custodia cautelare il giorno dopo aver pubblicato una lettera aperta al presidente della repubblica Ilham Aliyev per chiedere l'immediato rilascio di blogger e attivisti innocenti. Le critiche

verso le politiche adottate e contro la leadership azera presenti nella lettera sono costate la libertà a Yunus e a suo marito, lo stimato storico Arif Yunus. Ovviamente l'attuale condanna non fa riferimento alla lettera preferendo invece accusare la famiglia Yunus per crimini economici e tradimento, come accade per molti altri dissidenti.

In una recente lettera che Yunus è riuscita a rendere nota attraverso i suoi avvocati, descrive nei dettagli un recente pestaggio che ha dovuto subire dalla guardia carceraria. “Mi ha portata fuori dalla cella mentre mi contorceva le mani. Poi mi ha sbattuta a terra in un'altra cella vuota e ha cominciato a tirarmi i capelli e a colpirmi sui fianchi.”, ha scritto poco dopo il fatto. Forse, il signor Hasanov potrebbe trovare una perfetta spiegazione anche per questo incidente - dev'essere successo perché la signora Yunus si rifiuta di rispettare il regolamento carcerario.

Lontano dallo sguardo

Abbiamo tutti in mente le tre famose scimmiette sagge. Spesso, l'assenza di una reale azione da parte degli attori occidentali verso l'Azerbaijan è una reminiscenza di questa storiella. In effetti, tutti gli abusi sopra indicati come pure il misconosciuto declino riguardo ai diritti umani sono avvenuti mentre la leadership azera cerca una parvenza di legittimità internazionale. In molti casi ci è riuscita grazie alla corruzione, alla avidità e alla lussuria dei suoi leader e ad un'azione di lobbying milionaria. La realtà però è desolante perché la meschina corruttibilità di alcuni diplomatici europei ed americani sta costando la libertà di molti azeri coraggiosi.

E poi ci sono i fallimenti istituzionali, come il Consiglio d'Europa, bastione per diritti umani e democrazia. Quest'ultima descrizione si rivela vera solo per certi casi. Per quanto riguarda l'Azerbaijan, nel 2013 l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa non è riuscita ad adottare una risoluzione sui prigionieri politici lasciando i difensori dei diritti umani di quel paese nello shock e nella disperazione. A seguito di questo fallimento, il governo azero ha semplicemente stretto il suo giro di vite attorno agli attivisti per i diritti umani ed ha recentemente rimandato pubblicamente al mittente la lista di 98 prigionieri politici nel paese. Inoltre, chi resta in carcere, subisce condizioni atroci e condanne a sentenze molto lunghe. Senza dubbio, questo è il frutto di successo della diplomazia al caviale dell'Azerbaijan.

Altri processi pendenti

Il 9 ottobre, la corte di Binagadi avvierà un processo a carico di Khadija Ismayil, la miglior giornalista investigativa del paese. Quest'ultima rischia l'arresto per un caso di diffamazione aperto nei suoi confronti. È ironico che una giornalista, il cui lavoro ha denunciato continuamente casi di corruzione

dei funzionari governativi e delle più note famiglie oligarchiche, sia accusata di diffamazione.

Chi sarà il prossimo nella lista nera del governo azero è difficile da dire. È ancora da vedere a chi sarà permesso di divulgare notizie sulla pessima situazione azera. Ma forse quando non sarà rimasto più nessuno, lo charme della diplomazia del caviale terminerà e si potrà scrivere una nuova pagina per l'Azerbaijan. Sicuramente anche successivamente il signor Hasanov avrà qualcosa da dire: che tutto questo era solo un test per mostrare alla gente come sia la vera democrazia sotto Aliyev...

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Paraguay, la Corte suprema conferma la restituzione delle terre ai popoli nativi 8 OTTOBRE 2014 | di Riccardo Noury

La lotta della comunità sawhoyamaxa per avere indietro le loro terre potrebbe essere finalmente

terminata giovedì 2 ottobre.

Quel giorno, la Corte suprema del Paraguay ha respinto all’unanimità il ricorso presentato da un

gruppo di imprese appartenenti a Heribert Roedel controla legge 5194/14 che, a giugno, aveva

espropriato 14.404 ettari di terra per restituirli alla comunità nativa.

La legge era stata sollecitata da una sentenza della Corte interamericana dei diritti umani, adottata

ben sei anni fa, che aveva condannato lo stato paraguayano per la violazione dei diritti umani dei

sawhoyamaxa.

La vicenda risale alla fine degli anni Ottanta, quando alcune imprese private si appropriarono

delle terre ancestrali sawhoyamaxa nella zona boschiva di una sponda del fiume Paraguay. La

comunità fu costretta a smembrarsi e le famiglie si misero a lavorare nelle fattorie limitrofe, dove in

molti casi vennero sottoposte a sfruttamento e maltrattamenti.

Con l’appoggio degli avvocati di Tierraviva, un’organizzazione non governativa paraguayana, nel

1991 i sawhoyamaxa avviarono l’azione legale. Le fattorie presso le quali lavoravano quegli

“indigeni” riottosi iniziarono a rendere la loro vita impossibile. Così, da uno sgombero a un

licenziamento, i sawhoyamaxa finirono per ritrovarsi accampati lungo un’autostrada, con

limitato accesso al cibo, senza istruzione e con scarse cure mediche. Ora, tutto questo si spera

appartenga definitivamente al passato.

Nel 2012, sempre a seguito di una sentenza della Corte interamericana dei diritti umani, un’altra

comunità nativa, gli yakye axa, aveva ottenuto il ripristino dei diritti sulle terre ancestrali. Per

quasi 20 anni, le 90 famiglie sgomberate avevano vissuto in condizioni disumane, anche loro

accampate ai margini di una strada a scorrimento veloce.

Sono giornate importanti per i popoli nativi dell’America meridionale. Il 30 settembre, dopo

decenni di lotta per il riconoscimento dei loro diritti, la comunità nativa Kichwa di Sarayaku ha

ricevuto le scuse ufficiali del governo dell’Ecuador per le violazioni dei diritti umani commesse ai

suoi danni.

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Timmermans a Gb: attenti a mettere in causa Corte diritti umani

07 Ottobre 2014 - 18:07

Vice presidente designato Commissione: sarebbe pretesto per altri (ASCA) - Bruxelles, 7 ott 2014 - Il vicepresidente designato della nuova Commissione europea, Frans Timmermans, ha lanciato un chiaro avvertimento al Regno Unito a "stare attento" nel suo proposito di rimettere in questione le prerogative della Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo e il potere che ha di imporre le sue sentenze agli Stati firmatari della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. Rispondendo ad un eurodeputato britannico, durante la sua audizione di conferma al Parlamento europeo, Timmermans ha riconosciuto che ci sono alcune questioni problematiche che vanno esaminate, nella controversia fra Londra e Strasburgo (il Regno Unito vorrebbe espellere dei residenti stranieri che considera rappresentino una minaccia alla sicurezza e all'ordine pubblico, ma la Corte europea lo vieta perche' nei loro Paesi d'origine non e' garantito il rispetto dei diritti fondamentali). Ma, ha sottolineato, il ruolo della Corte e' fondamentale. "E' stato un grande britannico, Winston Chrchill - ha ricordato Timmermans - che ispiro' l'idea che al di sopra delle leggi nazionali possa esserci per i cittadini la possibilita' di chiedere il rispetto dei propri diritti a livello europeo". Pur riconoscendo che ci sono alcune questioni problematiche che vanno esaminate, nei casi sollevati nel Regno Unito, Timmermans ha aggiunto: "Ma state attenti a quello che desiderate: se toglierte alla Corte di Strasburgo il primato nel controllo del rispetto dei diritti umani, che nel Regno Unito sono comunque rispettati, darete un pretesto ad altri, che faranno come il Regno Unito, ma non applicheranno mai quei diritti ai loro cittadini". Il vicepresidente designato della

Commissione ha anche fatto l'esempio della Russia, che fa parte del Consiglio d'Europa e "sta lavorando con la Corte" di Strasburgo, e questa, ha osservato Timmermans, e' una delle poche cose in cui accetta lo stato di diritto. "Percio', ha insistito rivolto ai britannici, "state attenti!".

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.iodonna.it/ LA CERIMONIA A ROMA

Premio Anima all'arte e alla cultura che hanno difeso i diritti umani Un film che affronta la disoccupazione giovanile, un maestro della fotografia che fa il suo personale "je accuse" alle grandi navi, uno scrittore che racconta il sogno infranto di una giovane somala. Ecco i premiati dell'edizione 2014 del prestigioso riconoscimento.

- 07 ottobre 2014

l'etica nell'arte e nella cultura per sensibilizzare le imprese e l'opinione pubblica su responsabilità sociale e sostenibilità. Questo lo spirito e il fine del Premio Anima, ideato da Anima per il sociale nei valori d'impresa (associazione no profit promossa da Unindustria). La consegna dei riconoscimenti per l'edizione 2014 è avvenuta lunedì 6 ottobre, a Roma, sulla terrazza Caffarelli in Campidglio. Filo conduttore, quest'anno, era l'affermazione dei diritti umani: diritto al lavoro, alla libertà di espressione e di pensiero, alla realizzazione personale. E i premiati 2014 sono stati infatti uomini e donne che con il loro lavoro hanno denunciato ingiustizie e si sono battuti per una libera affermazione di sé. Per il cinema, il film premiato è "Smetto quando voglio", diretto da Sydney Sibila, con Edoardo Leo (a sinistra), Valeria Solarino, Paolo Calabresi. Un film che fa riflettere, con ironia e leggerezza, sul problema dell'occupazione e della meritocrazia in un Paese come l'Italia. Il fotografo Gianni Berengo Gardin ha ritirato il premio per la sezione Fotografia. E nella motivazione si fa riferimento alla sua ultima mostra dedicata alla grandi navi da crociera che attraversano Venezia, mettendo a repentaglio il fragile equilibrio della Laguna. La corrispondente turca Yasemin Taskin è stato premiata per il giornalismo. Mentre per la letteratura il premio è andato al romanzo "Non dirmi che hai paura" di Giuseppe Catozzella, straordinaria e drammatica storia della giovane atleta somala Samia. L'opera teatrale premiata è stata "Orchidee" di Pippo Delbono. Un premio speciale, infine, è andato all'hotel Melià Roma Aurelia Antica per il progetto "Hotel 6 stelle" realizzato in collaborazione con l'associazione Persone down in cui è stata offerta una reale opportunità lavorativa. Sperando barriere culturali e sociali. «Dai vincitori del Premio Anima 2014 arriva un messaggio positivo di speranza e fiducia nel futuro" ha detto la presidente di Anima Sabrina Florio (a destra con Nicola Zingaretti). Alla cerimonia di premiazione sono intervenuti il Presidente del Premio Anima Luigi Abete, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il Presidente di Unindustria Maurizio Stirpe. La serata è stata presentata dalla giornalista Myrta Merlino.

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http://www.peacelink.it/

El Salvador: Parenti delle vittime della repressione esigono verità e giustizia Arcivescovato di San Salvador deve consegnare documentazione su più di 50 mila casi di violazione dei diritti umani 7 ottobre 2014 - Giorgio Trucchi

Manifestazione per la consegna degli archivi (Foto Archivio) Chiudi Rappresentanti delle vittime delle peggiori forme di violazione dei diritti umani della piccola e popolata nazione centroamericana, hanno manifestato davanti alla sede dell’arcivescovato di San Salvador per ottenere la consegna immediata degli archivi di oltre 50 mila casi di violazione, avvenuti durante le decadi degli anni 70 e 80.

La protesta avviene dopo che, un anno fa, il 3° settembre 2013, l’arcivescovo di San Salvador, il conservatore José Luis Escobar Alas, aveva deciso di chiudere le porte e cambiare le serrature degli uffici di Tutela Legale. I manifestanti avvertono che gli unici a poter decidere cosa fare e come utilizzare i documenti degli archivi sono i famigliari delle vittime della repressione.

L’ufficio di Tutela Legale fu creato da monsignor Óscar Arnuflo Romero nel 1977 con il nome di “Soccorso Giuridico” per garantire assistenza legale ai più poveri. Nel 1982, dopo l’assassinio di Romero da parte di settori dell’estrema destra politica, economica e militare salvadoregna, l’arcivescovo Arturo Rivera Damas lo trasformò in “Tutela Legale” e lo convertì in un vero e proprio organismo di protezione dei diritti umani.

Da quel momento cominciarono a fluire le denunce delle vittime della guerra civile, soprattutto quelle dei massacri brutali perpetrati contro la popolazione civile dagli squadroni della morte e dai battaglioni speciali.

Le testimonianze dei sopravvissuti dei massacri del río Sumpul e di El Mozote, dove persero la vita migliaia di uomini, donne, anziani, bambini e bambine, e quelle sull’assassinio di monsignor Romero fanno parte dei documenti che sono rimasti negli uffici di Tutela Legale.

Poco dopo la chiusura, il 18 ottobre 2013, i locali erano stati perquisiti dalla Procura della Repubblica. Il procuratore capo, Luis Martínez, aveva giustificato l’atto con l’esigenza della Procura di “preservare informazioni importanti sui massacri avvenuti durante il periodo della guerra civile e sulle denunce di violazione dei diritti umani”.

Wilfredo Medrano, vicedirettore di Tutela Legale, aveva criticato apertamente la decisione dell’arcivescovato, considerandolo un atto irresponsabile. “Tutela Legale è in possesso del più grande archivio storico sul conflitto armato interno. Ci sono più di 50 mila denunce di sparizioni, omicidi, massacri, torture. Tutta questa documentazione non è della Chiesa cattolica, bensí delle persone che, con dolore, hanno contribuito a crearla”, ha detto Medrano.

Sia le vittime che le organizzazioni per i diritti umani hanno convocato una conferenza stampa, durante la quale hanno ribadito che l’arcivescovato non ha mai chiarito i motivi della chiusura di Tutela Legale e che, dietro a questa decisione assurda, ci sarebbero interessi occulti che puntano a ostacolare la ricerca della verità.

Massacro gesuiti

Intanto, l’Università Centroamericana di El Salvador “José Simeón Cañas” (UCA), ha fatto sapere di ritenersi soddisfatta della decisione dei tribunali spagnoli di permettere al giudice Eloy Velasco, di continuare a indagare sul massacro dei sei sacerdoti gesuiti e di due loro collaboratrici, commesso da militari salvadoregni nel novembre 1989.

“È un delitto di lesa umanità e si deve arrivare alla verità. La UCA è disposta a perdonare gli assassini, ma per farlo dobbiamo conoscere la verità, dobbiamo sapere chi sono le persone da perdonare. La popolazione deve conoscere la verità”, ha detto Luis Monterrosa, direttore dell’Istituto dei diritti umani della UCA (IDEHUCA).

Secondo la decisione presa lo scorso sabato, lo Stato spagnolo potrà indagare, processare e giudicare tutti quei casi in cui le vittime siano cittadini spagnoli.

“Il Paese ha bisogno di sapere chi ha ordinato ai militari di assassinare i gesuiti, ma soprattutto, ha bisogno di avere la garanzia che episodi come questi non accadano più e che, né l’esercito né altre forze politico-militari, si arroghino il diritto di porsi al di sopra dello stato di diritto”, ha concluso Monterrosa.

© Articolo di Giorgio Trucchi per Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.asianews.it/ 09/10/2014 MYANMAR Il mondo finanziario esalta la crescita economica birmana. Silenzio sui diritti umani di Francis Khoo Thwe Per gli esperti nel biennio 2014-15 il dato relativo al Myanmar raggiungerà quota 8,5%, superiore a tutti i Paesi dell’Asia del est, Cina compresa. Per la Banca asiatica il dato arriverà al 9,5% entro il 2030. Da tenere sotto controllo l’inflazione, essenziale promuovere le infrastrutture. Ma dietro l’ottimismo di facciata vi è una situazione di violazioni alle libertà, abusi e sfruttamenti.

Yangon (AsiaNews) - Nel recente rapporto relativo all'Asia dell'est, gli esperti della Banca mondiale (Bm) hanno previsto un tasso di crescita nel biennio 2014-2015 per il Myanmar dell'8,5%;

di tratta di un dato di gran lunga superiore a tutte le nazioni dell'area, fra cui la Cina. Ad oggi l'ex Birmania ha un indice di crescita del 6,3%, sebbene diversi osservatori dei mercati internazionali ed esperti di economia avevano preannunciato un potenziale espansivo ancora maggiore, mostrando grande fiducia. A gennaio il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha annunciato un tasso di sviluppo del 7,5% per l'anno fiscale 2014, con un'inflazione sotto controllo; il mese scorso la Banca asiatica per lo sviluppo (Adb) ha previsto un potenziale ancora maggiore, spingendosi a formulare un tasso di crescita del 9,5% entro il 2030.

Queste previsioni improntate all'ottimismo nascondono però delle precise condizioni: il controllo dell'inflazione, investimenti nelle infrastrutture, che vanno rimodernate o realizzate ex novo; sviluppo del capitale umano; mantenere sotto controllo l'instabilità politica del Paese, teatro da tempo di violenze confessionali (buddisti Arakan e Rohingya nello Staot di Rakhine, nell'ovest) e conflitti etnici (con le minoranze Kachin, Karen, Mon, etc).

Il principale ostacolo alla crescita economica per gli esperti dell'Imf e dell'Adb resta il rischio inflazione, che potrebbe accelerare fino a quota 6,6% nel biennio 2014/15; con una grande maggioranza di persone che vivono tuttora in condizioni di povertà e un costo crescente della vita per l'aumento dei prezzi di edifici e generi di prima necessità, restano forti dubbi che la crescita si tramuti in un miglioramento reale delle condizioni di vita.

L'ex Birmania, fino al 2010 governata da una ferrea dittatura militare, ha aperto la propria economia l'anno successivo con la nomina a presidente dell'ex generale (riformista) Thein Sein, conquistando nel tempo la nomea di "economia con la maggior espansione nel Sud-est asiatico". La nazione vanta inoltre enormi potenzialità a livello di risorse naturali, con un dato relativo all'esportazione di gas naturali pari a 3,6 miliardi di dollari all'anno, pari al 40% del totale nell'export.

Tuttavia, dietro i dati positivi e le previsioni ottimiste di lungo periodo vi sono anche ombre e problemi irrisolti, destinati a emergere come spiegano diverse voci critiche soprattutto nel breve periodo.

Fra i settori trainanti della crescita vi è il turismo, oltre che il tessile e l'abbigliamento, uniti ai commerci potenziati con la Cina e la crescente attività nel comparto edilizio, in special modo a Yangon. Va comunque aggiunto, spiega un analista a Democratic Voice of Burma (Dvb), che i dati sono fin troppo ottimisti e vi sono elementi di ambiguità dietro l'obiettivo dell'8,5%. "Con il 75% dei cittadini dediti all'agricoltura - sottolinea Sean Turnell, economista alla Macquarie University, in Australia - la caduta dei prezzi delle materie prime, un rallentamento dell'economia globale [...] non si capisce da dove possa arrivare questa crescita massiccia".

Infine, attivisti e associazioni pro diritti umani invitano a guardare oltre il mero aspetto economico e verificare nel profondo le situazioni di violenze, abusi e sfruttamenti prima di investire nel Paese. Rispondendo alle previsioni ottimiste della Banca mondiale, gli esperti di Human Rights Watch (Hrw) invitano a prestare attenzione alle questioni (irrisolte) inerenti i diritti umani. Un allarme lanciato da tempo anche dalla Chiesa cattolica birmana, secondo cui "libertà religiosa e pace fra etnie", sono la vera pre-condizione per lo sviluppo economico e sociale del Myanmar.

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http://www.newtuscia.it/ UNITRE ORTE, ISTITUITO UN CORSO DI "PACE, DIRITTI UMANI, NONVIOLENZA E VOLONTARIATO"

09/10/2014 : 11:22

Stefano Stefanini

(NewTuscia) - ORTE - Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo il resoconto dell’iniziativa dedicata alla Non violenza dall’UNITRE di Orte e la presentazione del ciclo di lezioni Pace, diritti umani, nonviolenza e volontariato" per il 2014-2015. Per iniziativa dell'Auser e dell'UniTre di Orte nella cornice della Sala delle Bandiere del Palazzo Comunale si è svolta la celebrazione della Giornata internazionale della nonviolenza, istituita dall'Onu nel giorno dell'anniversario della nascita di Gandhi.

Il sindaco Moreno Polo ha recato il saluto dell'amministrazione comunale e con la sua presenza dall'inizio alla fine dell'incontro ha significato l'impegno profondamente sentito dell'istituzione e della cittadinanza a promuovere la pace, i diritti umani, la nonviolenza. Rita Squarcetti e Giovanna Cavarocchi dell'Auser hanno tenuto le relazioni introduttive all'incontro, ricostruendo anche le iniziative passate e le attività in corso e in programma.

La presidente dell'UniTre di Orte, Luisa Gentili, e la direttrice dei corsi, Paola Paolessi, hanno presentato le attività didattiche in corso e in programma e svolto rilevanti riflessioni. Il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, Peppe Sini, ed Enzo Zangrilli, già presidente della Consulta nazionale del volontariato della protezione civile e coordinatore degli interventi di volontariato presso i campi nei nove mesi seguenti il terremoto de L'Aquila del 2009, hanno tenuto i due interventi conclusivi. Erano presenti all'incontro molti rappresentanti della società civile ortana, dell'associazionismo e delle istituzioni, particolarmente del mondo della scuola.

Tutti gli intervenuti hanno espresso vivo apprezzamento per l'iniziativa che ha costituito altresì l'occasione per presentare il corso su "Pace, diritti umani, nonviolenza e volontariato" che si svolgerà a Orte nell'anno accademico 2014-2015. Intervenendo specificamente per illustrare il significato ed i fini della celebrazione della Giornata internazionale della nonviolenza, e le molteplici ed ineludibili implicazioni che la scelta di accostarsi alla nonviolenza comporta, il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani", Peppe Sini, ha articolato il suo intervento su alcuni temi fondamentali, accompagnando il ragionamento con puntuali esemplificazioni e precisi riferimenti a fonti ed esperienze teoretiche e pratiche.

La virtù dell'attenzione, il rispetto della dignità altrui e propria. Cosa è questa cosa che chiamiamo nonviolenza. Il relatore ha svolto una rigorosa disamina filologica sia del termine italiano "nonviolenza" sia dei termini sanscriti usati da Mohandas K. Gandhi per denominare la sua proposta di lotta contro la violenza, ovvero "ahimsa" e "satyagraha" (che il termine italiano "nonviolenza" coniato da Aldo Capitini traduce e unifica): nonviolenza significa opposizione alla violenza, forza della verità, amore attivo, rispetto per la vita, armonia, ricomposizione, scelta di contrastare il male facendo il bene.

Ha fatto seguito una riflessione sul concetto di nonviolenza e sulle esperienze storiche in cui la nonviolenza si è concretizzata e messa alla prova. I”ic et nunc, quid agendum”: Siamo di fronte a una situazione che da papa Francesco è stata definita "terza guerra mondiale" condotta "a pezzi" per occultarne la natura globale e totalitaria di aggressione all'intera umanità. Siamo di fronte allo scandalo dei 70 milioni al giorno di denaro pubblico sperperato dallo stato italiano per spese militari e riarmo, mentre la popolazione si trova in crescenti difficoltà e servizi pubblici primari subiscono tagli insensati e sciagurati la cui conseguenza è la

negazione del diritto alla salute, all'assistenza, alla casa, allo studio, al lavoro, a un ambiente vivibile.

Tra l’altro il relatore Sini ha dichiarato che: “Scegliere la nonviolenza significa opporsi al razzismo ed a tutte le persecuzioni: tutti gli esseri umani sono eguali in diritti, tutti hanno diritto all'aiuto altrui. Occorre abolire immediatamente le scellerate misure razziste europee e italiane responsabili delle innumerevoli morti nel mar Mediterraneo e di violenza abominevoli nei confronti dei migranti (i campi di concentramento, le deportazioni, la riduzione in schiavitù, l'imposizione infame e scellerata di un regime di apartheid).

Scegliere la nonviolenza significa opporsi a forme deteriori di maschilismo ed a tutte le oppressioni: la dominazione maschilista, di cui il femminicidio è la manifestazione estrema, è la prima radice di tutte le violenze; se non si sconfigge il maschilismo ogni impegno di pace, di giustizia e di solidarietà resterà vano. Scegliere la nonviolenza significa impegnarsi per i diritti di tutti gli esseri umani e per la difesa della biosfera, casa comune dell'umanità.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.trevisotoday.it/ Gli invisibili. Prima rassegna sui diritti umani allo Spazio Paraggi Eventi a Treviso

Gli invisibili. Prima rassegna sui diritti umani allo Spazio Paraggi

Redazione 9 ottobre 2014

"Purtroppo nella relazione della missione di monitoraggio ONU sui diritti umani in Ucraina, pubblicata l'8 ottobre, ancora non si vedono né un approccio oggettivo nè valutazioni imparziali.

Gli autori continuano ad usare ad hoc le informazioni e trarre conclusioni politicamente di parte", - ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri russo Alexander Lukashevich in una conferenza stampa oggi. Allo stesso tempo ha rilevato l'obbiettività e i contenuti dei rapporti della missione OSCE in Ucraina. Lukashevich ritiene che abbiano in questo contribuito la comunicazione diretta tra i membri della missione e i rappresentanti delle autorità separatiste di Donetsk e Lugansk. Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/news/2014_10_09/Mosca-ritiene-di-parte-il-rapporto-ONU-sui-diritti-umani-in-Ucraina-3522/

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I Radicali visitano le carceri: “Problemi sui diritti umani fondamentali” 09 ottobre 2014 19:15

Si è svolta questa mattina la conferenza stampa sull’iniziativa “8 ottobre in carcere” promossa dall’Associazione per l’iniziativa radicale fiorentina “Andrea Tamburi” che ha visto l’organizzazione di visite ispettive non programmate all’interno di alcuni istituti penitenziari della Toscana per commemorare l’anniversario del messaggio alle Camere del Presidente Napolitano.

I consiglieri regionali Boretti, Saccardi, Russo, Romanelli, Brogi, Lastri hanno visitato le carceri di Sollicciano, Pisa e Prato riscontrando non pochi problemi riguardanti i diritti umani fondamentali: assenza del diritto alla salute, acqua fredda, violazione delle norme igienico-sanitarie e la quasi inesistenza di programmi di rieducazione. Maurizio Buzzegoli, segretario dell’Associazione radicale “Andrea Tamburi”, ha dichiarato: <<Ad un anno dal messaggio di Napolitano, la politica non intende ammettere che gli unici provvedimenti in grado di risolvere l’annoso problema del sistema penitenziario siano i provvedimenti di amnistia e indulto: il piano carceri messo in campo da Renzi e Orlando viene sconfessato quotidianamente da notizie che confermano l’illegalità del Paese>>.

Buzzegoli rimarca sui provvedimenti presi dal Governo Renzi: <<Il problema delle carceri italiane non si limita al sovraffollamento ma ai trattamenti inumani e degradanti perpetuati ai danni dei detenuti e del personale del carcere. Una seria, civile, democratica e strutturale riforma della Giustizia è obbligata ad iniziare dai provvedimenti di clemenza auspicati da Napolitano>>. Infine l’esponente radicale lancia un invito al Presidente Rossi:<<Serve un consiglio regionale straordinario sul tema carceri>>.

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Nasce la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili Errore. Riferimento a collegamento

ipertestuale non valido.Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido. Tra le associazioni anche il Movimento a difesa del cittadino

Nasce la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili. Primo esperimento di contaminazione delle libertà la Cild nasce da un grandissimo numero di organizzazioni della società civile italiana che hanno deciso di dar vita a questa Coalizione, pur nella eterogeneità dei temi trattati e delle proprie storie. Il presidente è Patrizio Gonnella, attuale presidente dell’Associazione Antigone.

Le associazioni che aderiscono sono: A buon diritto, Antigone, Arci, Arcigay, Asgi, Associazione 21 Luglio, Associazione Luca Coscioni, Associazione Nazionale Stampa

Interculturale, Associazione Tefa Colombia – Cooperazione Internazionale Modena, Cie Piemonte, Certi Diritti, Cipsi, Cittadinanzattiva, Cittadini del mondo, Cospe, Diritto di sapere, Fondazione Leone Moressa, Forum Droghe, Lasciatecientrare, Lunaria, Movimento Difesa del Cittadino, Naga, Parsec, Progetto Diritti, Società della Ragione, Zabbara.

Le grandi questioni di cui ci occuperemo riguardano la lotta al razzismo e ogni forma di discriminazione, i diritti delle persone immigrate e di etnia rom e sinti, il contrasto a un sistema penale e penitenziario privo di garanzie e irrispettoso della dignità umana, la lotta alla corruzione e le battaglie per la trasparenza nella pubblica amministrazione, i diritti delle persone della comunità Lgbt, la questione droghe, i diritti dei minori, la violenza contro le donne.

Il 17 ottobre a Roma, a partire dalle ore 10 presso la sala Capranichetta (piazza Montecitorio), si terrà la prima Conferenza Nazionale che rappresenterà il primo momento pubblico della Coalizione.

In quell’occasione verranno pubblicizzate alla stampa tutte le raccomandazioni presentate a Ginevra dalla nostra organizzazione al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite che, a partire dal 27 ottobre, dovrà giudicare il nostro paese.

Il 17 ottobre è prevista la partecipazione di: Luigi Manconi (presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica); Aryeh Neier (già direttore dell’American Civil Liberties Union, di Human Rights Watch e presidente della Open Society Foundations); Ivan Scalfarotto (Sottosegretario di Stato al Ministero delle Riforme costituzionali e Rapporti con il Parlamento); Min. Plen Gian Ludovico de Martino (Presidente Comitato Interministeriale per i Diritti Umani); Silvio di Francia (delegato del Sindaco di Roma per i Diritti Fondamentali); Balazs Dénes (Open Society Foundations); Aldo Morrone (presidente Fondazione Ime); Eligio Resta (Università di Roma Tre, filosofo del diritto); Antonio Marchesi (Presidente di Amnesty International); Judith Sunderland (Human Rights Watch); Mauro Palma Consiglio d’Europa; Uno studente del liceo classico Virgilio di Roma; Stefano Anastasia (Società della Ragione); Guido Barbera (Cipsi); Paolo Beni (Deputato PD); Valentina Brinis (A Buon Diritto); Marco Cappato (Associazione Luca Coscioni); Francesca Chiavacci (Arci); Luca Cusani (Naga); Daniele Farina (Deputato Sel); Costanza Hermanin (Open Society Foundations); Pier Paolo Inserra (Parsec); Laura Liberto (Cittadinanzattiva); Antonio Longo (Movimento Difesa del Cittadino); Giulio Marcon (Deputato Sel); Susanna Marietti (Antigone); Gennaro Migliore (Deputato Led); Leonardo Monaco (Certi Diritti); Grazia Naletto (Lunaria); Enrica Rigo (Law Clinic Università Roma Tre); Guido Romeo (Diritto di Sapere); Arturo Salerni (Progetto Diritti); Gianfranco Schiavone (Asgi); Gianluca Solera (Cospe); Maria Stagnitta (Forum Droghe); Carlo Stasolla (Associazione 21 Luglio); Gabriella Stramaccioni (Gruppo Abele); Gabriella Guido (Vicepresidente della Cild); Andrea Menapace (Cild).

Inoltre, il giorno prima della conferenza, una delegazione della Cild, con alcuni degli ospiti internazionali, alcuni parlamentari e il vicesindaco di Roma, si recheranno in visita presso il Cie di Ponte Galeria e il carcere di Regina Coeli.

9/10/2014 | 23:02

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://news.leonardo.it/ Giornata contro la pena di morte 2014: per il rafforzamento e progressivo sviluppo dei diritti umani Oggi, 10 ottobre, si celebra la Giornata mondiale contro la pena di morte, ricorrenza istituita nel 2003 su iniziativa dalla Coalizione mondiale contro la pena di morte, che riunisce organizzazioni internazionali non governative (ONG), ordini degli avvocati, sindacati e governi locali di tutto il mondo. Fondata da organizzazioni che hanno partecipato al primo Congresso internazionale contro la pena di morte (Strasburgo, 2001), la Coalizione ha lo scopo di favorire la creazione di coalizioni nazionali, l’organizzazione di iniziative comuni e il coordinamento degli sforzi internazionale per sensibilizzare gli Stati che ancora mantengono la pena di morte. In particolare, la 12 ° Giornata mondiale contro la pena di morte si concentra sulla condizione di persone con problemi di salute mentale a rischio di condanna o esecuzione. Si sta discutendo quindi sugli attuali standard internazionali circa l’applicazione dei diritti umani fondamentali, tra cui il l’applicabilità o meno della pena di morte in caso di persone con malattie mentali o disabilità intellettuali conclamate. Il fatto stesso, inoltre, di trovarsi di fronte a tale possibilità, apre un’ulteriore spunto di riflessione circa il fallimento della società di fornire un’adeguata assistenza e sostegno alle persone con malattie mentali e disabilità intellettive, le quali, in generale, presentano un rischio più elevato di manifestare azioni/reazioni violente.

Ad oggi, sempre più Stati hanno riconosciuto la pena di morte come lesiva della dignità umana e concordano nel ritenere che la sua abolizione contribuisca al rafforzamento e progressivo sviluppo dei diritti umani. L’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani, coerentemente al mandato di promozione e protezione di tutti i diritti umani, sostiene l’abolizione universale della pena di morte, mentre l’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite sostiene questa posizione in ragione della natura fondamentale del diritto alla vita; l’inaccettabile rischio di esecuzioni a danno di persone innocenti e l’assenza di prova del fatto che la pena di morte serva come deterrente al crimine. In linea con le risoluzioni dell’Assemblea Generale si chiede quindi a gran voce di rispettare le norme internazionali che tutelano i diritti di coloro che rischiano la pena di morte, di limitarne progressivamente l’uso e la riduzione del numero dei reati punibili con essa.

Dal 2003, ogni 10 ottobre, la Coalizione mondiale contro la pena di morte invita le Ong, le reti, gli attivisti e le organizzazioni abolizioniste di tutto il mondo a mobilitarsi contro questa pratica “crudele e disumana”. La Giornata odierna diviene così fondamentale momento per riflette sui successi ottenuti e sui passi ancora da compiere.

Nel 2013, Amnesty International ritiene esser state eseguite condanne a morte in 22 paesi. La maggioranza delle esecuzioni, tuttavia, è avvenuta in soli sei paesi: Cina, Iran,

Iraq, Arabia Saudita, Stati Uniti d’America e Somalia. 57, invece, le sentenze capitali emesse, dato che fa registrare per il terzo anno consecutivo un significativo calo: nel 2010 furono 67; nel 2011, 63 e nel 2012, 58.

98 i paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti reati, molti di più degli 80 che si contavano nel 2003; mentre, in totale, 140 sono i paesi abolizionisti per legge o nella pratica (de facto). Alla tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte si dissocia però la Cina, dove la pena di morte è considerata segreto di stato e per la quale non si dispone quindi di dati affidabili (anche se la Corte suprema del popolo ha recentemente emesso nuove linee guida allo scopo di garantire una maggiore tutela delle procedure nei casi di pena capitale).

Nel 2013 nessuna condanna a morte è stata eseguita inoltre in Europa e Asia Centrale ed emendamenti alla costituzione e alle leggi nazionali in diversi paesi dell’Africa Occidentale hanno creato opportunità concrete per l’abolizione della pena di morte anche in queste zone. Per la prima volta da quando Amnesty International ha cominciato a registrare i dati sulla pena capitale, non si sono poi registrati prigionieri nel braccio della morte a Grenada, in Guatemala e a Saint Lucia.

Questi i numeri riportati dal rapporto sulla pena di morte 2014:

Esecuzioni nel 2013: Afghanistan (2), Autorità Palestinese 5 (3+, da Hamas, amministrazione de facto a Gaza), Arabia Saudita (79+), Bangladesh (2), Botswana (1), Cina (+), Corea del Nord (+), Giappone (8), India (1), Indonesia (5), Iran (369+), Iraq (169+), Kuwait (5), Malesia (2+), Nigeria (4), Somalia (34+; 15+ dal Governo federale di transizione e 19+ nel Puntland), Stati Uniti d’America (39), Sudan (21+), Sudan del Sud (4+), Taiwan (6), Vietnam (7+), Yemen (13+). Per un totale di almeno 778 esecuzioni.

Paesi mantenitori: 58

AFRICA SUBSAHARIANA 15 paesi: Botswana; Ciad; Comore; Etiopia; Gambia; Guinea; Guinea Equatoriale; Lesotho; Fucilazione; Nigeria; Repubblica Democratica del Congo; Somalia; Sudan; Sudan del Sud; Uganda; Zimbabwe;

AMERICHE 14 paesi: Antigua e Barbuda; Bahamas; Barbados; Belize; Cuba; Dominica; Giamaica; Guatemala; Guyana; Saint Kitts e Nevis; Saint Lucia; Saint Vincent e Grenadine; Stati Uniti d’America; Trinidad e Tobago;

ASIA E PACIFICO 13 paesi: Afghanistan; Bangladesh; Cina; Corea del Nord; Giappone; India; Indonesia; Malesia; Pakistan; Singapore; Taiwan; Thailandia; Vietnam;

EUROPA 1 paese: Bielorussia

MEDIO ORIENTE E AFRICA DEL NORD 15 paesi e territori: Arabia Saudita; Autorità Palestinese; Bahrain; Egitto; Emirati Arabi Uniti; Giordania; Iran; Iraq; Kuwait; Libano; Libia; Oman; Qatar; Siria; Yemen.

In vista di questi numeri, “Abolire la pena di morte nel mondo entro il 2015” è quindi l’appello lanciato dal presidente della Confederazione svizzera, Didier Burkhalter, durante la 69ma assemblea generale delle Nazioni Unite, tenutasi lo scorso settembre: “In molti

paesi, un centinaio, questo risultato è stato raggiunto – ha dichiarato Burkhalter – grazie al lavoro infaticabile di personalità fuori dal comune che si sono adoperate per la visione di un mondo migliore. Si tratta di politici, giudici, artisti capi religiosi e filosofi. Ora tocca a ciascuno di noi prendere in mano questa fiaccola per far avanzare il grande progetto dell’umanità che è l’abolizione universale della pena di morte.”

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Diritti umani e (ri)evoluzione Pedro Casaldáliga | 10 ottobre 2014

di Pedro Casaldáliga*

Può essere che quando l’homo – e la donna! – diventò sapiens iniziò a intuire questa Utopia, che

però non fu possibile per decine di millenni. Per troppo tempo non ci fu altro diritto che la legge

della giungla (o della savana africana da cui proveniamo), il diritto della forza, della società

piramidale e patriarcale, nella quale i poveri, gli schiavi… dovevano rassegnarsi alla cruda realtà di

essere nati «inferiori», senza diritti né cittadinanza. Per troppo tempo ci siamo trascinati come

umanità nella mancanza di coscienza della nostra dignità. Ma un dinamismo misterioso lavorava nel

profondo, quello stesso che ci portò fuori dalla savana e dalle bande di cacciatori raccoglitori, e

lasciò presentire la sua Utopia agli spiriti profetici e alle menti visionarie che contagiarono i cuori

dei poveri, dei militanti utopici, del popolo in lotta… Successive evoluzioni storiche

configurarono gradualmente una nuova coscienza di umanità. Costò millenni sradicare la schiavitù

– sulla quale si sono certamente basate molte religioni, contrariamente alla loro Utopia più

profonda. Meno di tre secoli fa, alcune rivoluzioni hanno ottenuto i diritti di “cittadinanza”: non

siamo più sudditi, ma esseri umani con piena dignità, con «diritto ad avere diritti» (secondo la

formula che Hanna Arendt coniò con sofferenza…), benché fosse un diritto molto limitato: tale

cittadinanza era solo per i maschi, i proprietari, i bianchi…

Percepita nel cuore dell’Umanità, è stata l’Utopia di una società appassionatamente umana quella

che è emersa, sollevandoci, conducendo l’evoluzione della nostra umanizzazione. Nuove

“generazioni di diritti umani” si fanno strada al ritmo storico della crescita della nostra

coscienza umana, e dobbiamo pensare che ne stiamo ancora per scoprire altri. Non siamo arrivati,

siamo in cammino e non smetteremo di avanzare.

Però oggi ciò che ci preoccupa maggiormente è la strategia di applicazione dei diritti già

riconosciuti. Sperando in altre concretizzazioni dell’Utopia – in termini di sistemi economico-

politico-alternativi – più di una volta abbiamo pensato in passato che i diritti umani sarebbero

qualcosa di superato, talvolta persino «borghese», come le rivoluzioni «liberal-borghesi» nelle quali

di fatto hanno visto la luce. Le utopie che dovrebbero reclamare il nostro impegno dovrebbero

essere più avanzate, più impegnate… Verso il futuro utopico possiamo procedere da molte strade.

Non ne esiste una sola. La teoria può tracciare un cammino, e talvolta la sua concezione è

geniale. Però la pratica è molto più capricciosa – persino contraddittoria e caotica – e

permette di avanzare solo dove lo permette, non dove i militanti si impegnano.

In questo momento storico non è alla nostra portata un qualsiasi tipo di rivoluzione sociale o

economica… Però abbiamo a nostra piena disposizione l’Utopia dei Diritti Umani, con tutte le

sue diverse «generazioni», quelle già in atto e quelle che giungeranno. È un’Utopia che non ha

nemici teorici, che stilla evidenza da qualunque lato la si guardi e che tutti accettano. E non è

un’Utopia «borghese». Borghesi furono i diritti che vennero proclamati nella prima generazione –

gli «abitanti dei borghi» ne furono i principali fautori – ma le diverse generazioni successive dei

diritti segnarono nuovi sviluppi dell’Utopia della dignità umana: tutti i diritti immaginabili si

possono far derivare da questa dignità fondamentale.

Una piena realizzazione di tutti i diritti umani equivarrebbe a una rivoluzione integrale:

democratica, socialista, femminista, popolare, ecologica… Sarebbe il tòpos dell’Utopia: la

realizzazione di tutti i nostri desideri. Questa è la ragione per cui una rinnovata presa di coscienza

sociale dei diritti umani e la loro attuazione nel corrispondente corpo giuridico sociale sarebbe

qualcosa di rivoluzionario e più efficace di tanti sforzi di militanza sociopolitica in altri campi.

È evidente, si tratta di includere tutti e tutte, tutto ciò che è umano e anche ciò che non è umano,

ma che possiede i propri diritti: i diritti degli animali, delle piante, della natura, dell’ambiente, della

Madre Terra. «Disantropocentrare» i diritti umani, eco-centrarli, svilupparli…

Una piena realizzazione di tutti i diritti umani equivarrebbe all’insieme delle utopie storiche per le

quali abbiamo sempre lottato. Questo dei diritti umani, in termini rivoluzionari, è un cammino

valido, forse la scorciatoia oggi più accessibile. Senza dimenticare né svalutare altre lotte – tutte

necessarie! – vogliamo richiamare l’attenzione sul fatto che la lotta per i diritti umani apre il passo a

tutte le altre e merita un’attenzione speciale. Le persone che scrivono gli articoli di questa edizione

dell’Agenda** presentano diversi aspetti di questa via, che sono vere rivoluzioni parziali,

praticabili e alla portata della nostra militanza.

«Tutti i diritti… per tutti» hanno detto gli zapatisti messicani, come una formula emblematica

della loro Utopia totale. Mentre ci sono persone i cui diritti umani sono disattesi, sentiremo, da

questo nuovo stadio evolutivo della coscienza dell’umanità, che siamo anche disattesi nei nostri

diritti, perché i «loro diritti» sono anche nostri, sono i «nostri loro diritti». Dobbiamo rivendicare

questi «loro diritti nostri» sia come un dovere che come un diritto.

C’è un’evoluzione in corso che dobbiamo accogliere e aiutare a compiersi. E da parte nostra è

anche una (ri)evoluzione, quella dei diritti umani. Non quelli del secolo XVIII, nemmeno quelli

della Dichiarazione del 1948, bensì quelli dell’Utopia senza fine, che trascende se stessa ed è

riscoperta, reinventata e (ri)evoluzionata da ogni generazione.

È la nostra ora e l’Agenda ce lo ricorda: l’ora di cambiare il mondo, l’ora rivoluzionaria di esigere e

di compiere tutti i diritti umani, per tutti e tutte! Oggi lo farebbe anche Gesù nella sua Nazareth

mondializzata.

.

* Vescovo di origine catalana e teologo della liberazione, è noto per le sue battaglie con le comunità di indigeni in Brasile. Leggi ancheFate fuori Pedro,

il vescovo ribelle

* L’articolo di questa pagina è l’“Introduzione fraterna” di Pedro Casaldáliga all’Agenda latinoamericana 2015 (dedicata quest’anno al tema dei

diritti umani), la cui edizione italiana è curata dal Gruppo America Latina della Comunità Sant’Angelo, da Adista, dall’Arci e dal Sal: l’Agenda può

essere richiesta ad Adista, tel. 06/6868692, e-mail: [email protected], oppure acquistata online sul sito www.adista.it

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Nobel per la Pace a Malala, attivista per i diritti umani

10 OTTOBRE 2014

Nobel per la Pace 2014 assegnato congiuntamente all’attivista indiano per i diritti dei

bambini Kailash Satyarthi e alla ragazza pachistanaMalala Yousafzay, che due anni fa

fu ferita gravemente dai talebani per la sua lotta a favore dell’istruzione femminile.

Il 60enne Satyarthi e la 17enne Malala sono stati premiati “per la lorobattaglia contro la

repressione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i

bambini all’educazione“.

Il Comitato del Nobel per la Pace, sottolineando come i bambini “debbano andare a scuola

e non essere sfruttati finanziariamente”, ha dato atto all’indiano Satyarthi di aver

dimostrato “grande coraggio personale, mantenendo la tradizione di Gandhi e guidando

varie forme di protesta e dimostrazione, tutte pacifiche, contro il grave sfruttamento dei

bambini”, contribuendo “allo sviluppo di importanti convenzioni internazionali sui diritti” dei

più piccoli.

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Apolidi, l'anomalia giuridica della gente senza patria In Italia sono circa 15 mila, nel mondo intorno ai 10 milioni, la metà sono bambini.Occorre che il governo "aderisca alla convenzione dell'Onu sulla riduzione dell'apolidia del 1961", "per consentire ai nati da genitori senza cittadinanza di acquisirla" e "si impegni nella stesura di una norma organica che disciplini le questioni connesse al fenomeno". E' quanto chiedono Unhcr e Consiglio italiano per i Rifugiati (Cir)

ROMA - In Italia sono circa 15 mila gli apolidi. Un dato comunque "sottostimato, vista l'assenza di cifre ufficiali". Si tratta di persone prive di documenti e che possono trovare ostacoli nei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza italiana o dello status di apolide. Occorre quindi che il governo "aderisca alla convenzione dell'Onu sulla riduzione dell'apolidia del 1961", "per consentire ai bambini nati da genitori apolidi di acquisire la cittadinanza italiana" ("in linea con quanto già prevede la legislazione"), e che "si impegni nella stesura di una norma organica che disciplini le questioni connesse al fenomeno dell'apolidia". E' quanto chiedono Unhcr e Consiglio italiano per i Rifugiati (Cir). Giuridicamente invisibili. "Apolide - ha sottolineato Helena Behr dell'Unhcr durante un incontro al Senato presso la Biblioteca "Giovanni Spadolini", mella Sala degli Atti Parlamentari, incontro promosso dalla Commissione Diritti Umani fi Palazzo Madama - è una persona che non esiste giuridicamente, è invisibile. Non ha accesso a diritti come cure mediche e istruzione, non può sposarsi, avere un conto in banca o la patente. Nel mondo ci sono almeno 10 milioni di apolidi, di cui 3-5 milioni di bambini. In Europa ce ne sono 600 mila". In Italia, ha aggiunto Daniela Di Rado del Cir, "la maggior parte degli apolidi sono persone Rom arrivate dalla ex Jugoslavia prima che quell'area si disgregasse o loro discendenti". Ogni anno in 230 mila chiedono la cittadinanza. Annualmente, ha spiegato il prefetto Angelo Di Caprio del Ministero dell'Interno, "sono circa 230 mila i procedimenti amministrativi per la richiesta di cittadinanza italiana, 30-40 le domande per lo status di apolide, mentre i procedimenti pendenti 358". Cir e Unhcr hanno ricordato che in Italia esistono due procedure per il riconoscimento dell'apolidia: amministrativa, ma "accessibile solo a chi è già in possesso di un regolare titolo di soggiorno", o giudiziaria, difficilmente accessibile. E a causa di "questi limiti" occorre, secondo Giulia Perin dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione, "una riforma organica sulla materia". Infine Unhcr e Cir chiedono "più tutele per gli apolidi privi di documenti" e che il Ministero dell'Interno elabori un manuale informativo sulla definizione di apolidia, sui procedimenti per il riconoscimento dello status di apolide e i diritti garantiti".

Manconi: "Entro l'anno un disegno di legge". "Il tema dell'apolidia va messo non solo nella politica, ma diffuso nell'opinione pubblica". Lo ha detto il senatore Luigi Manconi presidente della Commissione Diritti umani a margine della conferenza. "Per la fine dell'anno intendo presentare un disegno di legge in materia che riconosca lo status di apolide e abbia un suo passaggio fondamentale nel riconoscimento dello jus soli per i minori nati in Italia, nei fatti, apolidi". A Roma il primato del numero di apolidi. La Comunità di Sant'Egidio sin dai primi anni '90 ha iniziato ad approfondire i problemi relativi a persone presenti in Italia prive di qualsiasi status giuridico. Nel tempo sono stati seguiti in via giudiziale, a Roma, più di 45 casi che hanno ottenuto lo status di Apolide, si tenga presente che nel 2012 a Roma si registravano in tutto 90 apolidi. Roma è la città in Italia con il più alto numero di apolidi riconosciuti. Altre situazioni sono state seguite nelle città di Napoli e Milano. A partire dall'esperienza acquisita e dallo studio delle situazioni, al fine di garantire il diritto delle persone apolidi a veder riconosciuto il loro status e uscire dalla condizione di limbo giuridico. Le proposte della Comunità di Sant'Egidio. 1 - Semplificare e sburocratizzare le procedure per la richiesta di status di apolide in via amministrativa, superando il requisito della residenza anagrafica. Ad oggi per ottenere l'apolidia è richiesta la "residenza anagrafica". Andrebbe invece considerata a questi fini la "residenza di fatto" (continuità della dimora abituale, come previsto dal codice civile) essendo questo il concetto di residenza cui si riferisce la convenzione. Si potrebbe richiedere allo straniero che presenti l'istanza la prova della sua effettiva e non episodica presenza in Italia, senza dover pretendere l'iscrizione anagrafica. 2 - Ratificare la Convenzione internazionale (agosto 1961) sulla Riduzione dell'Apolidia, che consentirebbe agli apolidi di conseguire più rapidamente una cittadinanza più rapida. 3 - Sbloccare e calendarizzare i progetti di legge sulla cittadinanza, recanti nuove norme sulla cittadinanza. Introducendo uno Ius soli (più o meno temperato), molti degli apolidi de facto potrebbero ottenere la cittadinanza italiana senza dover prima essere riconosciuti apolidi.

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La Spia – A Most Wanted Man, l’ultima volta di Philip Seymour Hoffman Il nuovo film di Anton Corbijn, ispirato al romanzo dello scrittore britannico, uscirà il 30 ottobre e sarà tra gli eventi del Festival di Roma. Agenti segreti, organizzazioni benefiche

di copertura, l'infiltrato e un’avvocatessa di diritti umani coinvolta in qualcosa più grande di sé. Una serie di personaggi con i volti di Robin Wright, Willem Dafoe, Rachel McAdams e Daniel Brühl di Francesco Di Brigida | 12ottobre 2014

Sarà anche un po’ malinconico, ma Amburgo non può essere letta solo come l’ambientazione

principale de La Spia – A Most Wanted Man, il nuovo film di Anton Corbijn con l’ultima

interpretazione di Philip Seymour Hoffman. Ma come città fatale d’inizi e commiati. D’esordio per il

regista che vi girò nel 1983 il suo primo videoclip per la band Palais Shaumburg; come d’inizio carriera

da funzionario diplomatico britannico per John Cornwell, più noto con lo pseudonimo di John Le

Carré, scrittore di epocali spy story alcune diventate indimenticabili film di genere. Di commiato invece

per l’attore statunitense dagli occhi glaciali e il faccione bollente di energia che a sei mesi dalla sua

morte terrena veste per l’ultima volta i panni del protagonista.

Il suo Günther Bachmann, a capo di un’unità segreta di spionaggio tedesca, utilizza un giovane

musulmano come principale pedina di un piano intricatissimo e a lungo termine per arrivare a un ricco

banchiere sospettato di finanziare il terrorismo. Dallo sguardo di Corbijn, avvolta in una patina bluastra

come solo le fredde città d’inverno sanno essere, Amburgo si lascia attraversare nelle prime immagini

tradotte per l’Italia da una serie di tagli montati sugli intrighi orditi da un Hoffman calibrato e magnetico

burattinaio tra agenti segreti, organizzazioni benefiche di copertura, l’infiltrato e un’avvocatessa di

diritti umani coinvolta in qualcosa più grande di sé. Una serie di personaggi dai volti di Robin Wright,

Willem Dafoe, Rachel McAdams e Daniel Brühl.

Il trailer del film, che è previsto tra gli eventi del Festival di Roma, lascia intuire una scacchiera

avvincente che prende forma sul grande schermo. E il suo re Hoffman porta dentro quel gioco le

tensioni domate di un personaggio che si preannuncia dalle sfumature sottilissime. “Questo film

riguarda molti temi, compreso, ovviamente, come i paesi si confrontano col terrorismo”. Aveva

commentato l’attore in occasione della presentazione di gennaio al Sundance Film Festival. “Ma è

anche su un uomo che continua a fare la stessa cosa e ottenere lo stesso risultato. Ti arriva la

sensazione che non può smettere. Si sente davvero che sta cercando di fare la cosa giusta, e in realtà

credo che sia così. Ma il resto del mondo non condivide il suo modo di occuparsi dei cattivi del pianeta”.

Toni compassati, ma vibranti esposti alle geometrie più moderne e taglienti della città tedesca scivolano

in un crescendo tensivo costruito da Hoffman/Bachmann intorno a Yssa (con il volto di Grigoriy

Dobrygin). “Rendere il mondo più sicuro non è abbastanza”. È una delle battute del protagonista. Se

enigmatica o monolitica, salvifica o illusoria si saprà dal 30 ottobre, la data d’uscita. Intanto il suo ultimo

regista, già autore cult di Control, raffinato fotografo e filmaker di videoclip, lo aveva ricordato così

all’indomani della sua scomparsa: “Non saprei da che parte iniziare quando penso a ciò che ci ha

lasciato in eredità, che è immenso sia per portata che per profondità… Era il miglior caratterista che io

riesca a immaginare. La sua forza consisteva in un’immersione totale nel ruolo e in una completa

assenza di vanità. Al contempo odiava ciò che amava, che era la sua maledizione: si faceva a pezzi

per le sue interpretazioni”.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilsalvagente.it/ Diritti umani: 51 artisti da oggi in mostra a Milano

"I have a dream": dall'8 al 10 ottobre. L'iniziativa si conclude con un'asta benefica.

Adelaide Martinelli Da oggi, mercoledì 8 ottobre al 10 ottobre, le sale di Palazzo Reale a Milano, ospiteranno “I have a dream", la mostra curata da Melissa Proietti e Raffaella A. Caruso per il Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights Europe. La collettiva riunisce a Milano le opere di 51 artisti che, a 50 anni dall’assegnazione del Premio Nobel per la Pace all’attivista per i diritti civili Martin Luther King, hanno aderito all’iniziativa donando un’opera. “I have a dream” si concluderà con un’asta benefica a sostegno del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights Europe, battuta dalla più importante casa d’aste francese Artcurial, venerdì 10 ottobre alle ore 19.00, con la partecipazione della presidente onoraria Kerry Kennedy.

Il sogno della democrazia e dei diritti uguali

“I have a dream nasce - spiegano le curatrici Melissa Proietti e Raffaella A. Caruso - come breve ed intensa ricognizione su come il sogno della democrazia, la battaglia per uguaglianza e diritti condotta da John e Robert Kennedy e da Martin Luther King sia ancora viva nel ricordo ma anche nella attualità degli intenti ed abbia profondamente inciso su più generazioni di artisti. Si è inteso mettere a confronto gli artisti dell'immediato dopoguerra che hanno vissuto sulla loro pelle censure ed entusiasmi di rinnovamento e gli artisti che hanno negli occhi l'ennesimo oltraggio alla democrazia perpetrato con l'attentato alle Torri Gemelle”.

L'elenco degli artisti presenti nella mostra

Elenco degli artisti presenti per la mostra I have a dream, suddivisa in undici sezioni. Per “Il pop e l’icona etica”: Francesca Leone, Francesca Romana di Nunzio, Alessandro Sansoni, Fabio Ferrone Viola, Aidan. Per “Il pop e il sociale”: Paolo Baratella, Ernesto Tatafiore, Marcello Reboani, Michael Gambino, Marco Veronese. Per “Fiori e germinazioni”: Davide Benati, Giovanni Lombardini, Alessandro Twombly, Antonio Ciarallo, Claudio Palmieri”. Per “ I visionari”: Bruno Ceccobelli, Omar Galliani, Walter di Giusto, Jacopo Cascella. Per “Il gioco come libertà”: Lucio del Pezzo, Enzo Guaricci, Wal, Dario Brevi, Pablo Echaurren, Angelo Cortese. Per “La parola come libertà”: Marco Nereo Rotelli, Vittorio Messina, Giuliano Menegon, Umberto Mariani, Gola & Teso, Blue and Joy. Per “La sospensione del tempo e del giudizio”: Betty Bee, Pietro Iori, Arash Radpour, Reale F. Frangi. Per “Il viaggio come libertà”: Gabriella Benedini, Ferdinando Brachetti Peretti, Maurizio Gabbana, Stefano Esposito. Per “La pluralità della visione”: Chiara Dynys, Gian Marco Montesano, Cristiano Pintaldi, Patrizia Molinari. Per “La fotografia come possibilità di relazione”: Alessandro Pianca, Angelo Cricchi, Matteo Basilè, Franco Fontana. Per “La tradizione come educazione e monito”: Shinya Sakuray, Florencia Martinez, Matteo Peretti, Giorgio Tentolini.

Venerdì l'asta e la serata di gala

All'asta di venerdì 10 ottobre seguirà una serata di gala su invito nelle sale di Palazzo Reale, dove alle eccellenze dell'arte si uniranno quelle dell'alta cucina italiana, con la partecipazione di chef stellati- Andrea Aprea del VUN Park Hyatt di Milano, Andrea Berton del Ristorante Berton di Milano, Alfio Ghezzi della Locanda Margon di Trento, Luca Veritti del Met Metropole di Venezia, Fabio Pisani e Alessandro Negrini del Luogo di Aimo e Nadia di Milano - che presenteranno creazioni di alta cucina abbinate a vini pregiati del Comitato Grandi Cru d'Italia.

C'è un catalogo pubblicato da Mondadori

Per la mostra I have a dream è stato editato un catalogo, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore, con testi inediti del presidente Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights Kerry Kennedy, del direttore esecutivo Federico Moro (Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights Europe) e delle curatrici Raffaella A. Caruso e Melissa Proietti. Il catalogo sarà in vendita presso il bookshop di Palazzo Reale.

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