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7 Orientamenti Biblioteche oggi marzo 2010 Retoriche dello spazio Testo e paratesto della biblioteca tra sociologia, architettura, biblioteconomia 1. Premessa Non vi è dubbio che il tema della distribuzione nel- lo spazio dei servizi della biblioteca, e della bibliote- ca pubblica in particolare, sia di notevole rilievo, per le sue implicazioni sia teoriche che applicative, e non è dunque un caso che ad esso siano stati dedicati nu- merosi contributi di recente pubblicati; in questa se- de, in particolare, verranno proposte alcune conside- razioni sviluppate a partire da tre volumi dei quali – comunque si qualifichi il giudizio critico – molto si è parlato e discusso, soprattutto in ambiente professio- nale. Mi sto riferendo a Le piazze del sapere. Biblio- teche e libertà di Antonella Agnoli (Roma-Bari, Later- za, 2009), Biblioteche per la città. Nuove prospettive di un servizio pubblico (Roma, Carocci, 2009), Bibliote- che. Architettura e progetto di Marco Muscogiuri (Ri- mini, Maggioli, 2009). La diffusa attenzione all’argo- mento è confermata anche dalla attuazione a Torino, nello scorso mese di agosto, nel quadro complessivo delle proposte del World Library and Information Con- gress dell’IFLA, di una delle conferenze ad esso col- legate, dal titolo “Libraries as Place and Space”. 1 Un così evidente profilo di interesse è da ricondurre ad almeno tre linee di riflessione, tutte riferibili alle problematiche che riguardano l’identità della biblio- teca, e della biblioteca pubblica in particolare. L’opa- cizzazione del modello classico, sia della public library a matrice anglo-americana, sia delle filiazioni biblio- grafiche ad esso riconducibili, conduce infatti ad in- terrogarsi sulla forma degli spazi delle biblioteche, e ciò ha assunto una importanza che forse va al di là del suo effettivo rilievo; è come se alle specifiche mor- fologie spaziali empiricamente riscontrate si affidasse il compito di rendere visibile la struttura concettuale Mi diresti, per favore, che direzione dovrei prendere? Dipende più che altro da dove vuoi andare – disse il Gatto. Non mi interessa tanto dove... – disse Alice Allora non ha importanza che direzione prendi – disse il Gatto. ... Mi basta arrivare DA QUALCHE PARTE – soggiunse Alice per chiarire il suo pensiero. Oh ma questo lo farai senz’altro – disse il Gatto – basta che cammini abbastanza a lungo. (Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865) di una nuova configurazione del modello, o quanto- meno di qualificarsene come probante e percepibile indizio. Il primo, e più corposo ambito tematico è relativo al- la discussione, sopra accennata, sulla identità della biblioteca pubblica, sviluppatasi anche in seguito della pubblicazione dell’importante libro di Paolo Traniello Biblioteche e società (Bologna, Il Mulino, 2005). In quest’opera, come ho avuto modo di osservare in al- Maurizio Vivarelli Dipartimento di scienze letterarie e filologiche Università di Torino [email protected] Un dipinto di Jean Raoux (Montpellier, 1677 - Parigi, 1734)
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Orientamenti

Biblioteche oggi – marzo 2010

Retoriche dello spazioTesto e paratesto della biblioteca tra sociologia, architettura, biblioteconomia

1. Premessa

Non vi è dubbio che il tema della distribuzione nel-lo spazio dei servizi della biblioteca, e della bibliote-ca pubblica in particolare, sia di notevole rilievo, perle sue implicazioni sia teoriche che applicative, e nonè dunque un caso che ad esso siano stati dedicati nu-merosi contributi di recente pubblicati; in questa se-de, in particolare, verranno proposte alcune conside-razioni sviluppate a partire da tre volumi dei quali –comunque si qualifichi il giudizio critico – molto si èparlato e discusso, soprattutto in ambiente professio-nale. Mi sto riferendo a Le piazze del sapere. Biblio-teche e libertà di Antonella Agnoli (Roma-Bari, Later-za, 2009), Biblioteche per la città. Nuove prospettive diun servizio pubblico (Roma, Carocci, 2009), Bibliote-che. Architettura e progetto di Marco Muscogiuri (Ri-mini, Maggioli, 2009). La diffusa attenzione all’argo-mento è confermata anche dalla attuazione a Torino,nello scorso mese di agosto, nel quadro complessivodelle proposte del World Library and Information Con-gress dell’IFLA, di una delle conferenze ad esso col-legate, dal titolo “Libraries as Place and Space”.1

Un così evidente profilo di interesse è da ricondurread almeno tre linee di riflessione, tutte riferibili alleproblematiche che riguardano l’identità della biblio-teca, e della biblioteca pubblica in particolare. L’opa-cizzazione del modello classico, sia della public librarya matrice anglo-americana, sia delle filiazioni biblio-grafiche ad esso riconducibili, conduce infatti ad in-terrogarsi sulla forma degli spazi delle biblioteche, eciò ha assunto una importanza che forse va al di làdel suo effettivo rilievo; è come se alle specifiche mor-fologie spaziali empiricamente riscontrate si affidasseil compito di rendere visibile la struttura concettuale

Mi diresti, per favore, che direzione dovrei prendere?Dipende più che altro da dove vuoi andare – disse il Gatto.

Non mi interessa tanto dove... – disse AliceAllora non ha importanza che direzione prendi – disse il Gatto.

... Mi basta arrivare DA QUALCHE PARTE – soggiunse Alice per chiarire il suo pensiero.Oh ma questo lo farai senz’altro – disse il Gatto – basta che cammini abbastanza a lungo.

(Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865)

di una nuova configurazione del modello, o quanto-meno di qualificarsene come probante e percepibileindizio.Il primo, e più corposo ambito tematico è relativo al-la discussione, sopra accennata, sulla identità dellabiblioteca pubblica, sviluppatasi anche in seguito dellapubblicazione dell’importante libro di Paolo TranielloBiblioteche e società (Bologna, Il Mulino, 2005). Inquest’opera, come ho avuto modo di osservare in al-

Maurizio VivarelliDipartimento di scienze letterarie e filologiche

Università di [email protected]

Un dipinto di Jean Raoux (Montpellier, 1677 - Parigi, 1734)

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tra sede,2 vengono messi in evidenza i numerosi ele-menti di criticità, politici, culturali, giuridici, istituzio-nali, organizzativi, che, investendo il modello clas-sico della public library anglo-americana, ne stannopotentemente destrutturando la fisionomia, e fannoritenere necessari rimedi bibliografici della più diver-sa natura.3

Una seconda linea riguarda sostanzialmente il grandetema della ibridazione del modello della bibliotecapubblica, delle sue raccolte, dei suoi servizi, conse-guenti alla diffusione delle tecnologie dell’informa-zione.4

Una terza linea, strettamente collegata alle due pre-cedenti, e con esse intrecciata, riguarda sostanzial-mente il tentativo di conferire alla biblioteca una sor-ta di ubi consistam sociologico, che ne definisca equalifichi le caratteristiche sociali ed istituzionali. Lospazio perimetrato dalle pareti, fisiche e simboliche,della biblioteca può essere allora interpretato comeun luogo, altro e “terzo” rispetto a quelli della casa edel lavoro, in cui si attuano, o possono attuarsi, pra-tiche importanti per la vita civile e politica. Gli ele-menti che devono caratterizzarlo sono la gratuità diaccesso, la facile accessibilità, la piacevolezza del-l’ambiente; qualità, insomma, che possano favorire lacreazione di legami sociali gratificanti ed utili. In que-sto modo si cerca di comprendere la funzione socio-logica della biblioteca e, con questo stesso atto inter-pretativo, di conferirle rilievo, ed in ultima istanza, dilegittimarla.5

I contributi presi in esame, proprio per la eteroge-neità dei livelli di trattazione, permettono di effettua-re significative considerazioni. Il libro di Galluzzi sicaratterizza anzitutto per l’opzione metodologica, for-temente radicata nel campo delle scienze sociali;quello di Agnoli, con taglio meno specialistico, è de-cisamente orientato ad identificare tratti fondanti del-la biblioteca pubblica nella sua dimensione sociale epartecipativa; l’approccio di Muscogiuri agli aspettibiblioteconomici della progettazione riflette anch’es-so scelte, implicite od esplicite, che comunque evi-denziano l’opzione per uno specifico modello, alcu-ni aspetti del quale verranno discussi in seguito.6

Questa varietà di punti di vista fa ovvio riferimento,per quanto diversificati siano i presupposti e gli obiet-tivi, ad una idea di biblioteca; questa idea, a sua vol-ta, interagisce, talvolta anche negandone la rilevanzao la produttività, sia con tematismi che caratterizzanola riflessione biblioteconomica nella sua dimensionepiù teorica, sia con l’adozione di scelte organizzativee di procedure gestionali sul versante applicativo.7

Non vi è dubbio, dunque, che la crisi del modelloclassico di biblioteca pubblica, abbia provocato e stiaprovocando una destrutturazione delle modalità con

cui la biblioteca definisce, organizza e comunica, lapropria identità; ciò, naturalmente, produce effetti suilinguaggi attraverso i quali quella stessa identità vie-ne definita e comunicata.Questi elementi, qui molto sommariamente presenta-ti, fanno sì che nel dibattito corrente si intreccino op-zioni culturali, convinzioni disciplinari, stili, registriespressivi, modalità di esposizione, livelli di appro-fondimento, assai diversi, che danno origine a prati-che argomentative tra loro necessariamente difformi.Problema comune alle diverse modalità di produzio-ne del discorso è il tentativo, più o meno fondatoteoricamente, di definire nuove relazioni tra il terre-no disciplinare della biblioteconomia, per come sto-ricamente è andato determinandosi, e la pratiche di-sciplinari ad esso collegate o collegabili. Risuona per-ciò ancora molto attuale l’interrogativo che già moltianni fa Alfredo Serrai si poneva sulle relazioni traquelle che lui definiva “politiche culturali” ed il lin-guaggio proprio della biblioteconomia; ha dunquesenso, ancora, chiedersi se “la biblioteconomia va sal-vaguardata da contaminazioni e da coinvolgimenti chenon gioverebbero a nessuna delle due parti, né aquella ‘politica’ né a quella biblioteconomica”?8

Un ulteriore elemento degno di nota è costituito dalfatto che le pratiche argomentative sopra richiamate,in assenza di procedure cogenti di valutazione dota-te, in qualche misura, di validità scientifica, non pos-sono che fare riferimento ad un sistema di valori, diconvinzioni, di credenze; l’ambito del discorso divie-ne allora “ciò che dev’essere oggetto di preferenza edi scelta”.9 Di nuovo, richiamando ancora Serrai, sideve prendere atto del fatto che “il termine bibliote-conomia sta contemporaneamente per una terra dinessuno, perché nessuno l’ha delimitata piantandoviil cartello del riconoscimento e della legittimazionescientifica, e per una terra di tutti, perché tutti vi sco-razzano, mestieranti e arroganti”.10 Argomenti, questi,che già molti anni fa avevano condotto anche EnzoBottasso a cercare di delineare i tratti di una “scienzadella biblioteca”, capace di qualificarsi “come una di-sciplina sé stante, e vincolata, nei suoi pur modestis-simi limiti, a principi, a metodi, a fini sui [sic] proprie non confondibili con quelli di qualsiasi altra scien-za”;11 questa “scienza”, definitane le caratteristichefondanti, avrebbe appunto permesso “di lasciare daparte le proposizioni di carattere emotivo o pareneti-co, prescindenti da qualsiasi possibilità di dimostra-zione, del tipo ‘i libri sono per tutti’”.12

Posto che così non è, e che di questa “scienza” nonpare esservi traccia,13 diviene ragionevole almenochiedersi, in base a ciò che in precedenza è stato af-fermato, non quale discorso sia più vero dell’altro,ma almeno se esistano principi, procedure e tecniche

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che sappiano evitare, anche al discorso fondato solosui valori, una deriva interpretativa all’interno dellaquale a tutte le opinioni deve sostanzialmente essereattribuito un grado eguale di verità.L’esigenza di provare di individuare, e magari conso-lidare, un punto di vista argomentativo sovraordinatorispetto a quelli utilizzati nelle specifiche pratiche diproduzione di discorso mi ha convinto della profi-cuità della adozione della prospettiva di indagine uti-lizzata da Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tytecanel loro Trattato dell’argomentazione.14

Norberto Bobbio, nella Prefazione dell’opera, chiari-sce con grande lucidità che è necessario restituire spa-zio “al dominio della ragione, se pure di una ragionpratica distinta da una ragion pura”; questa “ragionpratica”, questa “nuova retorica”, dunque, ha per pro-prio oggetto “ogni forma di discorso persuasivo, dallapredica all’arringa, dall’orazione alla concione”, e perquesto può utilizzare tutti i “mezzi di prova non di-mostrativi” che hanno per oggetto “tanto il discorsodel filosofo che confuta gli errori altrui e difende lapropria teoria, quanto il discorso quotidiano di dueamici che discutono tra loro sul miglior modo di pas-sare le vacanze”. Questa nuova retorica serve dunquea far prevalere un argomento rispetto ad un altro, qua-lificandosi come “lo studio sistematico delle buone ra-gioni con cui gli uomini parlano e discutono di scelteche implicano il riferimento a valori”.15

Un approccio di questo tipo a me pare particolarmen-te produttivo per confrontarsi criticamente con moltitemi oggi di attualità, sia per il mondo della profes-sione che per quello della ricerca. Tra il rimpiantodelle grandi narrazioni sistematiche ed unificanti e laradicale destrutturazione che connota le caratteristi-che fondanti del pensiero post-moderno vi è forseancora spazio per una terra di mezzo in cui si situiuna teoria dell’argomentazione che, come rileva an-cora Bobbio sappia “delimitare il campo del ‘ragio-nevole’ distinto tanto dal razionale puro quanto dal-l’irrazionale, a illustrare e precisare il mondo della ra-gione nel mondo dei valori”.16

Alla luce di queste premesse si dovrebbero compren-dere meglio presupposti, svolgimento, metodi e risul-tati attesi da questo contributo, che si situa per cosìdire, per lo più, a monte e valle di un possibile ra-gionamento sui valori, in cui una certa bibliotecono-mia si riconosce,17 e punta invece a delineare formee modalità di pratiche argomentative consapevoli.

2. Tra persone e collezioni: la “biblioteca sociale”

Le piazze del sapere di Antonella Agnoli è un’operada considerare significativa per numerosi motivi, ed

in primo luogo perché ordina e sistematizza, in unquadro d’assieme, esperienze, competenze e riflessio-ni maturate in un lungo periodo, e che hanno con-tribuito non poco a far crescere i livelli di attenzionedella comunità professionale italiana alla complessitàdelle relazioni tra biblioteconomia ed architettura.Le tesi proposte sono state variamente recepite edelaborate. Vi è dunque chi ha accolto con piacere leforti sollecitazioni etiche ed assiologiche, prima an-cora che biblioteconomiche, che ne qualificano l’im-pianto, e chi invece ha valutato negativamente la ra-dicalità dell’approccio a certi temi della mediazionedocumentaria, ed in particolare a ciò che attiene allarappresentazione e al recupero delle informazioni ca-talografiche.18

Ma, al di là di questo, vorrei qui discutere brevemen-te alcune delle osservazioni proposte in conclusione,in cui si sostiene che il tema di fondo di tutto il vo-lume è “come fare della biblioteca pubblica un luo-go di libertà urbana”, in modo che possa essere tute-lata la qualità “incredibilmente preziosa” dei momen-ti passati a “vagare tra gli scaffali della biblioteca”.19

La metafora fondante di questo approccio è la piaz-za, in cui, in condizioni di gradevolezza, neutralità edeguaglianza si possono immaginare “luoghi di pas-saggio, di scoperta casuale, di incontro”.20 A questoesito si giunge dopo che l’autrice ha dichiarato, nel-le pagine introduttive, che a fronte della crisi struttu-rale e non reversibile del modello anglo-americanodella public library è necessario “costruire luoghi diincontro e di partecipazione dove conoscersi tra i li-bri (…). Luoghi che siano anche strumenti per la cre-scita, nel lungo periodo, della creatività e della intel-ligenza sociale”. Questa nuova “biblioteca sociale”deve posizionarsi in modo tale da avere “al suo cen-tro le persone, non le collezioni”.21

Non siamo molto distanti, per certi aspetti, da quan-to sostenevano, alcuni decenni fa, Filippo Maria DeSanctis e Paolo Federighi in Pubblico e biblioteca.22

Anche allora, come per certi versi oggi, due studiosidi formazione pedagogica, fortemente influenzati dalletesi esposte da Giulia Barone ed Armando Petrucci inPrimo: non leggere,23 si occupano di biblioteca sotto-lineando con convinzione la necessità di program-mare i servizi non prima di aver individuato il “sog-getto collettivo”, vale a dire il pubblico cui queglistessi servizi debbono rivolgersi. Una entità non chia-ra, quella costituita da questo fondamentale soggettocollettivo, riconoscono gli stessi autori, ma alla qualel’organizzazione ed i servizi della biblioteca debbonocomunque cercare di uniformarsi.24

Dicevamo dunque che al centro di questo modello cisono le persone, anziché le collezioni, ed i loro di-versi bisogni informativi, inseriti nel contesto di una

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ancor più complessa dimensione psicologica, indivi-duale e sociale. In questo modo, utilizzando una co-sì secca polarizzazione (persone o collezioni), so-stanzialmente si evita di dover discutere la costitutivacomplessità delle relazioni tra collezioni e persone,che trovano evidentemente la loro manifestazionenelle diverse fenomenologie d’uso dello spazio bi-bliografico della biblioteca.25 Questa esperienza del-lo spazio si colloca in quella che Ross Atkinson defi-nisce zona di controllo (control zone) della bibliote-ca,26 e dunque all’interno del perimetro concettuale,fisico o digitale, che la definisce; se si prende dunqueatto che l’essenza di questo spazio, ciò che lo fa es-sere ciò che è, è di natura bibliografica, è evidenteche, in ultima analisi, sarebbe improduttivo fornire, aquelle stesse persone che ne fanno uso, sollecitazio-ni che non convergano sulle specificità di quello spa-zio, e che contribuiscano a qualificare e rendere pro-duttiva questa così peculiare esperienza interpretati-va. Infine è da rilevare che a questa zona, bibliogra-ficamente controllata, non può che essere sottesa unacollezione, altrettanto storicamente configuratasi, chedella biblioteca evidenzia il nucleo, a partire dal qua-le si delineano prima l’identità e poi le procedure co-municative e di servizio.27

Se non si mette a fuoco con chiarezza la centrale ri-levanza di questi fatti si rischia di lasciarsi trascinareda un generico vitalismo biblioteconomico che, te-mo, non possa produrre che risultati di breve respi-ro. Nello spazio culturale, bibliografico, organizzati-vo, comunicativo della biblioteca, dunque, non esi-stono né collezioni né persone, ma relazioni inter-pretative tra collezioni e persone, in cui si sostanzial’esperienza dello spazio della biblioteca nella suamultiforme, variegata e fortunatamente non riducibi-le complessità.Una enfasi eccessiva sulla “socialità” della biblioteca,talora appiattita sulle dimensioni più inutilmente effi-mere della contemporaneità, può inoltre marginaliz-zare, e talora espungere dalla identità della bibliote-ca pubblica la trama di relazioni interpretative chetraggono origine dalla conoscenza delle raccolte sto-riche, dei fondi speciali, ed anche della documenta-zione in cui si oggettiva la memoria stessa della bi-blioteca e delle sue relazioni con l’ambito cui è cor-relata. È dunque improduttivo ed alla fine inutile in-terpretare alla luce di un secco aut aut le relazioni trai temi della conservazione e del servizio, per comeessi si esplicano sia nella riflessione teorica che nelleconcrete procedure di servizio.28 Un modello teoricoche non riesca a dar conto della produttiva comples-sità dei legami che si situano tra dinamiche della me-moria ed orizzonte della contemporaneità incorre nelrischio di una sterile opposizione che già molti anni

fa Emanuele Casamassima evidenziava con limpidalucidità, sostenendo che “la funzione della bibliotecava vista dialetticamente nei due termini inscindibili diservizio pubblico e di conservazione (ivi compresa latutela): il momento dinamico del servizio, della pro-mozione, del coordinamento, dell’accessione, della co-municazione (che costituisce l’essenza del servizio bi-bliotecario) non può essere scisso dal momento del-la conservazione”.29

Se il perseguimento della libertà, in una biblioteca, nonvuole limitarsi ad essere generica esortazione od aspi-razione deve necessariamente partire dal riconosci-mento delle relazioni interpretative che nello spaziobibliografico si situano. La libertà, da questo punto divista, è una sorta di promessa che lo spazio della bi-blioteca, avendola inscritta in sé, comunica ai proprifruitori, ed acquista vita e dinamismo solo attraversola condivisione di regole d’uso di quello stesso spa-zio, che lo qualificano come luogo entro il quale sisviluppano pratiche argomentative disciplinarmentestrutturate. E in questa prospettiva, di nuovo, nonpuò che emergere la funzione di mediazione cultura-le e documentaria della biblioteca, di fatto esplicita-bile solo attraverso la terminologia, la sintassi e la se-mantica dei linguaggi che ne permettono la costitu-zione, la decodifica e l’interpretazione.Le piazze del sapere, io credo, ha avuto e sta avendoil merito di proporre, con entusiasmo e significativatensione etico-politica, una idea fortemente inclusivadel servizio bibliotecario pubblico. Ciò che qui ho pro-vato a dire è che pensare le biblioteche alla luce diquesta tattica retorica, e di ciò che essa implica, rischiadi far perdere di vista la complessità, ed anche la pos-sibile produttività, degli specifici linguaggi, documen-tari e comunicativi, della biblioteca, in assenza deiquali non si attua quel dialogo tra persone, spazi e col-lezioni che è la condizione preliminare per produrreuna concreta tensione verso la libertà, da parte di chialla costruzione di quel dialogo sceglie di cooperare.

3. Progettare la biblioteca

Anche l’approccio di Marco Muscogiuri, in Bibliote-che. Architettura e progetto, si fonda sul preliminarerilievo delle criticità che investono il modello classi-co della biblioteca pubblica, quando rileva che “Oggile biblioteche sono a un bivio, soprattutto in Italia,dove vivono una situazione di arretratezza, tra la pos-sibilità di acquisire un ruolo importante di catalizza-tore sociale e il rischio di scomparire del tutto, sop-piantate da altri servizi ‘pubblici’, dalle finalità com-merciali più o meno palesi”.30

A partire da questi ragionamenti vengono descritte le

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tendenze in atto nell’architettura bibliote-caria, che portano l’autore ad individuarealcune “parole chiave”, sette per l’esattez-za, che dovrebbero risultare di rilevanzacentrale nella concreta progettazione del-le biblioteche.31

L’autore schematizza gli scenari bibliogra-fici e biblioteconomici facendo riferimentoad una cosiddetta “biblioteca del passato”,silenziosa, un po’ cupa, “centrata preva-lentemente sulla conservazione dei li-bri”;32 una “biblioteca del presente” che,pur rimanendo centrata essenzialmentesui libri si sforza di essere “per tutti”;33 edinfine una “biblioteca del futuro” che,estendendo il suo raggio d’azione ad og-getti documentari eterogenei, cerca di di-ventare, oltre che “per tutti”, “per ciascu-no”, e qualificarsi come “luogo di incon-tro e di socializzazione, all’insegna dellaserendipity culturale; spazio interdiscipli-nare di interazione tesa alla valorizzazione delle com-petenze individuali ed allo sviluppo dei propri talen-ti (skills); vedrà gli utenti non solo come consumato-ri di cultura, ma anche come produttori”.34

All’interno di questa prospettiva di fondo Muscogiurideclina i tratti identitari della biblioteca pubblica sot-tolineando fortemente, ancora, la funzione di aggre-gazione sociale che deve caratterizzarla, e che ne in-dividua la cifra simbolica essenzialmente nella piaz-za, intesa come “luogo aperto ed accessibile a tutti,[che] aveva la funzione di creare e consolidare il sen-so di appartenenza ad una comunità”.35 La bibliotecadunque “non può più permettersi di apparire arroc-cata su posizioni di chiusura e di difesa, ma deve ri-lanciare il suo ruolo e pretendere il posto di prota-gonista che le compete nella città contemporanea”;36

e per far ciò deve accogliere l’invito dei progettistidella nuova biblioteca di Seattle e dismettere il lin-guaggio che la connota, definito “moralistico”, e la cui“retorica proclama, più o meno esplicitamente, unsenso di superiorità rispetto ai propri compiti, respon-sabilità sociale, valore e così via”.37 È dunque neces-sario innovare, ed introdurre forti elementi di di-scontinuità, dal momento che “Le nuove bibliotechenon re-inventano né modernizzano l’istituto tradizio-nale, semplicemente lo confezionano in modo nuovo”.38

Ciò che mi pare meno convincente nelle argomenta-zioni di Muscogiuri è soprattutto la convinzione, trop-po labilmente motivata, con cui viene proposta l’e-voluzione dei modelli di biblioteca, finalsiticamenteorientati, non è precisato da chi o da che cosa, da unpassato di polvere e scartoffie ad un futuro fideisti-camente arricchito di seduzioni serendipiche.

Credo inoltre che non sia corretto inserire, al centrodel modello, la suggestione di quel “ciascuno” che difatto mitologizza la persona, nella sua individualitàpsicologica, emozionale, affettiva, e la ipostatizza co-me interlocutore privilegiato ed esclusivo di una al-trettanto mitologica biblioteca del futuro. Molto piùsobriamente, invece, la biblioteca può andare pocooltre la capacità di fornire segni da interpretare a per-sone che, come Umberto Eco ha suggerito, possonoessere pensate, nella loro idealità, come il “Lettoreimplicito”; che cosa faccia e pensi invece il “Lettoreempirico” è questione di ben altra portata.39 Non èpoco dunque se la biblioteca riesce a garantire unaadeguata qualità a quei segni che, più o meno con-sapevolmente, vengono resi disponibili per l’inter-pretazione, appunto, del “Lettore empirico”. Il rischio è dunque che la biblioteca, per raccontarese stessa ad un interlocutore che di fatto non c’è, fi-nisca in ultima analisi per negare del tutto le condi-zioni della propria stessa esistenza, per proiettarsi,con atteggiamento messianico, in un Eden partecipa-tivo che, alla fine, non può che essere governato dal-le procedure algoritmiche delle macchine.40

4. Linguaggi della città, linguaggi della biblioteca

La crisi della public library anglo-americana costitui-sce il punto di partenza anche del libro di Anna Gal-luzzi, che indaga i “modelli funzionali emergenti”,“con particolare riferimento al ruolo ed alla configu-razione specifica che la biblioteca pubblica assume

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Claude Monet, La liseuse, 1872

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nei grandi centri urbani”.41 Per questo motivo divie-ne necessario cercare di capire le trasformazioni chestanno investendo le grandi aree metropolitane, eche vedono diventare anche la biblioteca una varia-bile non priva di significato nel contesto delle com-plesse dinamiche in cui si sostanzia la vita della città.“Se dunque - argomenta Galluzzi – esiste un rappor-to così stretto tra biblioteca e città da poter parlaredella biblioteca, in particolare della biblioteca pub-blica, come ‘metafora della città’, è evidente che com-prendere meglio i tratti caratteristici della città e lasua evoluzione recente da un punto di vista urbani-stico, sociale ed economico è essenziale per megliocomprendere anche la biblioteca contemporanea”.42

La metodologia di indagine utilizzata, per quanto ditaglio interdisciplinare, fa riferimento principalmenteagli strumenti ed ai metodi della sociologia urbana;ed alla luce di questa prospettiva sono esaminati pro-getti di recente realizzazione stranieri43 ed italiani.44

L’esame comparato di questi progetti porta Galluzziad individuare cinque modelli, cui nel volume sonodedicate altrettante schede: la “biblioteca-spazio ur-bano e sociale” (Riquadro A, p. 40); la biblioteca “dinicchia” (Riquadro B, pp. 45); la biblioteca “espe-rienziale” (Riquadro C, p. 49); la “biblioteca-libreria”(Riquadro D, p. 65); la “reference library” (RiquadroE, p. 67).L’autrice rileva infine come i modelli individuati nondebbano essere visti in schematica contrapposizione,ma che, tutti, possono essere integrati in un meta-modello, ad essi sovraordinato, definito “multipurpo-se library”, vale a dire un modello di biblioteca pub-blica dotato di una pluralità di faccette comunicativeche, nel loro insieme, dovrebbero riuscire a garanti-re il radicamento, più pieno possibile, negli scenaridella contemporaneità.In questo modo è possibile provare ad “applicare ilprincipio della continuità nel cambiamento” (p. 169),e dunque far sì che la biblioteca riesca a far evolve-re la propria identità senza perdere il contatto con ilgrande tema del cambiamento, avendo ben chiaroche non esiste un modello, né concettuale, né dun-que architettonico valido in modo rigido ed univocoper i diversi contesti culturali ed urbani.45

La metodologia utilizzata da Galluzzi è indubbiamen-te interessante. Preso atto del fatto che le bibliotechesono luoghi significativi nel contesto delle dinamicheurbane, se riuscissimo a disporre di autorevoli stru-menti previsionali sugli scenari di sviluppo di quellestesse dinamiche, allora, forse, potrebbe divenire pos-sibile disporre di importanti elementi di conoscenzasulle tendenze di sviluppo secondo cui orientare ilfuturo delle biblioteche. Il problema di fondo – iocredo – è costituito non solo dalla estrema difficoltà

nell’individuare per così dire in itinere scenari e ten-denze connotati da uno straordinario livello di com-plessità, ma anche, e forse soprattutto, dal fatto che,in questo modo, si riesce in fondo solo a dislocare inmodo diverso l’ambito ed il punto di vista disciplina-re secondo il quale la domanda viene formulata. E ancora, al di là di questo, si intravede un ulterioreproblema. Se è vero, come sostiene GiandomenicoAmendola, che “L’architettura tende a riflettere sem-plicemente domanda e desideri del consumatore edel committente senza porsi nella maggior parte deicasi obiettivi di miglioramento della gente”; e se è vero che “La ricerca della felicità e la centralità deidesideri vengono presentati come linee guida dell’ar-chitettura pubblica della contemporaneità”, allora, ne-cessariamente si crea una sorta di circuito tautologi-co tra spazi percepiti e desiderio, e “il desiderio si au-toalimenta e si autolegittima”.46

È questa, insomma, la “mappa della battaglia” di cuiparla Alessandro Baricco nell’opera che costituisceper certi aspetti la chiave di volta dell’approccio diGalluzzi, che descrive il mutamento in atto nella so-cietà contemporanea come caratterizzato dalla diffu-sione di una potente “cultura barbarica” rispetto allaquale è opportuno che vi sia, se non assenso, alme-no realistica presa d’atto.47 La risposta, quasi omeo-patica, alla diffusione della “cultura barbarica” devedunque essere per Galluzzi una biblioteca anch’essa,per molti versi, “barbarica”, che sappia inserirsi, auspi-cabilmente in modo non marginale, nelle tensioni delcambiamento. La “multipurpose library” è dunque la struttura orga-nizzativa in grado di inseguire la realtà culturale edurbana nei luoghi, anzitutto simbolici, in cui si pro-ducono e si strutturano i desideri, non avendo altroobiettivo che quello di accogliere, e non è chiaroquanto elaborare, il mutamento.48

Sulla base dunque di una indispensabile adesione al-le dinamiche culturali di questa tarda modernità vie-ne enunciato il principio della “continuità nel cam-biamento”, il solo in grado di offrire “garanzie di co-erenza da un lato e di vitalità dall’altro”.49

Coerenza con che cosa e vitalità di che cosa, vienepurtroppo da chiedersi: ma questo vorrebbe dire sun-teggiare nuovamente il percorso argomentativo quischematicamente richiamato.

5. Tra pratiche e teoria, ovvero tra biblioteca e biblioteconomia

Le brevi considerazioni in precedenza proposte cre-do che siano sufficienti a fornire almeno un’idea, cer-tamente sommaria, di alcuni elementi del dibattito e

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di alcune delle sue implicazioni, variamente qualifi-cabili. Per tornare ai volumi che sono stati per certi versi og-getto, ma anche pretesto, dei contenuti di questo con-tributo, è da rilevare comunque che, anche grazie al-la loro efficacia comunicativa, vi sia una maggioreconsapevolezza delle problematiche che investono laprogettazione delle biblioteche, e che si ritenga or-mai indispensabile, salvo casi rari e residuali, che idiversi soggetti, personali ed istituzionali, che hannoresponsabilità connesse a questo ambito sviluppinotra loro le relazioni di collaborazione le più ampiepossibile. Di questi aspetti io stesso, nella mia recen-te e prolungata esperienza collegata alla realizzazio-ne della biblioteca San Giorgio di Pistoia, so ben va-lutare la fondamentale rilevanza.50

Positivo è anche il fatto che la disponibilità di nuovispazi bibliotecari, realizzati in base ad un più equili-brato ed integrato apporto di competenze disciplina-ri, comunque organizzati sotto il profilo bibliografico,produca un aumento dei principali indicatori quanti-tativi dei servizi classici, secondo modalità che meri-terebbero ulteriori approfondimenti. Non sono molti,infatti, i metodi di cui disponiamo per capire qualisiano le concrete modalità secondo cui le personepercepiscono ed utilizzano gli spazi bibliografici, equali siano gli strumenti di indagine in grado di an-dar oltre il confine dei canoni, peraltro già incerti, distretta osservanza biblioteconomica senza con questodisperdersi nel mare magnum di un generico, ed al-la fine inutile, brusio sociologizzante.51 Sappiamo,certo, che già la disponibilità di spazi nuovi, confor-tevoli e curati, la freschezza dell’offerta documenta-ria, la semplice curiosità suscitata da un nuovo edifi-cio ancora da conoscere e da esplorare costituisconoelementi importanti per far aumentare il numero del-le persone che nello spazio della biblioteca decidonodi muoversi. Ma, a questo punto, è forse ragionevole chiedersi an-che se gli spazi delle biblioteche, proprio quando ar-rivano, finalmente, ad essere luoghi pieni di gente,animati e movimentati da stili d’uso e da consumi in-formativi diversissimi, percorsi e attraversati da mol-te, e nuove, relazioni, percettive, emotive, documen-tarie, realizzino una idea di biblioteca pubblica versocui è ragionevole tendere. Divenendo se non per tut-ti almeno per tanti, la biblioteca, alla fine, ha ancoraqualcosa di significativo da dire, o deve limitarsi, prio-ritariamente se non esclusivamente, a qualificarsi co-me generico spazio sociale in cui si dà asilo ai bisogniinformativi e psicologici della più diversa natura?52

Per quanto mi riguarda non ho, naturalmente, solu-zioni definitive da proporre. Ciò che ritengo indi-spensabile è un punto di vista metodologico che sap-

pia muoversi in modo equilibrato tra presa d’atto chele biblioteche sono, anche, istituzioni che si colloca-no nello spazio sociale e consapevolezza che le ca-ratteristiche proprie degli spazi bibliografici non pos-sono non continuare a fondarsi sulle caratteristiche,storicamente determinatesi, qualunque sia la naturadel supporto, di un insieme di oggetti documentari,locali e remoti, a partire dai quali si attuano le più di-verse relazioni interpretative. Può essere allora non inutile, come si accennava inapertura, che si cerchino anzitutto di definire le ca-ratteristiche di un linguaggio in grado di dar contodelle diverse modalità e dei diversi punti di vista se-condo cui i fatti della biblioteca possono essere lettied interpretati, all’interno di un paradigma interpre-tativo unitario, entro il quale si muovano sia il mate-riale proveniente dall’analisi delle esperienze prati-che, sia i tentativi di ricavare da quelle evidenze em-piriche generalizzazioni dotate di una validità, che al-meno retoricamente sia fondata.Secondo questa linea si muove, per certi aspetti, uninteressante contributo di Olaf Eigenbrodt presentatoal già ricordato convegno torinese,53 che mette benein evidenza le tensioni e le relazioni tra ricerca scien-tifica, maturata principalmente in ambiente accade-mico, ed analisi di specifici progetti e di esempi dibuone pratiche, auspicando una integrazione graziealla quale provare a ridurre la varietà estrema di po-sizioni e punti di vista che animano il dibattito con-temporaneo.54 Ottima intenzione, quella di Eigenbrodt,che ci conduce in prossimità della mai risolta polari-tà tra una biblioteconomia applicativa, intesa come“coacervo dei principi e delle regole che consentonodi ordinare dei libri”,55 ed una biblioteconomia cheavverte come la nostalgia di un più saldo fondamen-to teoretico, che sappia dare certezza al modello teo-rico ed alle pratiche di servizio che ad esso fanno ri-ferimento.

6. Testo e paratesto della biblioteca

In assenza di una base teorica salda, da cui ricavaremodelli adeguati per la progettazione degli spazi bi-bliotecari, si fa strada come abbiamo visto la possibi-lità di delegare alle narrazioni sociologiche la funzio-ne di dare visibilità ad un modello del quale – que-sta almeno è la mia impressione – non si riesce a de-lineare che lo strato più esterno.Pensare dunque le biblioteche come third places, insé buoni, esercita senz’altro un effetto rassicurante, edà almeno l’impressione di sapere di che cosa stiamoparlando.Se invece proviamo ad andare oltre le seduzioni di

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questa prospettiva interpretativa, ed a rimanere radi-cati in una idea di biblioteconomia che sappia nonperdere di vista gli oggetti documentari, ed i lin-guaggi ad essi correlati, potrebbe essere utile, allora,disporre di una linea argomentativa capace di darconto della pluralità dei fatti, documentari e non do-cumentari, che nello spazio della biblioteca si attua-no, e che nel modello devono essere rappresentatied inclusi.Può essere allora utile, in tal senso, pensare l’insiemedei segni e dei codici in cui si oggettiva l’identità del-la biblioteca come un testo, e cercare di capire comesi attua e si configura l’uso, cioè la lettura, di tale te-sto.56 Per “testo” intendo l’insieme degli elementi chesi offrono alla decodifica di chi, leggendoli, li inter-preta; la lettura, dunque, diviene l’attività che con-nette, attraverso una pluralità di interpretazioni, glielementi – qualunque sia la natura del supporto cheveicola informazioni – che compongono lo spaziodella biblioteca, ed in particolare quella porzione dispazio in cui si qualifica la zona di controllo biblio-grafico della biblioteca; il lettore, cooperando inter-pretativamente alla lettura, tiene conto delle diversetipologie di istruzioni cognitive contenute nel testo, eda esse, proprio nel suo costituirsi come lettore em-pirico, può discostarsi.57

È necessario dunque in primo luogo tener conto delladefinizione di “testo” desunta dalla linguistica – se-condo cui “‘Testo’ è ogni unità linguistico-verbale (co-munque realizzata: orale, scritta, radiotrasmessa, vi-deoscritta ecc.) che, inserita in precise coordinate geo-sociali e di registro, realizzi compiutamente una fun-zione comunicativa”58 – ed applicare queste caratteri-stiche alle diverse forme di produzione culturale. Inquesto modo, allora, “la nozione di testo può esten-dersi a ogni oggetto della nostra esperienza che abbiarequisiti di riconoscibilità e (relativa) stabilità in un da-

to ambiente storico. Non solo la pubblicità ed il design(…) ma, ad esempio, un magazzino pieno di merci,con la sua sofisticata organizzazione di vendita, unparco di divertimenti, un’autostrada, le volute spirali-formi di un grande garage sotterraneo, potrebbero es-sere considerati testi e analizzati come tali”.59 Questiusi traslati del termine ben si collegano alla derivazio-ne del termine dal latino texere (‘tessere’), e si riferi-scono dunque alla pratica di intrecciare materiali, an-che di diversa origine. In queste modo, seguendoDonald McKenzie, possiamo affermare che “lo scrive-re parole è azione assimilata al tessere fili”;60 da qui al-la estensione della metafora dell’intrecciare a “fili” nonverbali il passo diviene allora davvero breve.La categoria della testualità permette di pensare la bi-blioteca come insieme di parti, tra loro interagenti,secondo modalità piuttosto diverse rispetto a quantoprevisto dai modelli del “sistema”, ed in particolaredel “sistema aperto”, e della “rete”. Utilizzando il con-cetto di “sistema” si rende evidente la finalizzazioneverso uno scopo delle diverse parti tra loro intera-genti; parlare di “sistema aperto” permette di porreattenzione alle dinamiche che correlano il sistema,nella sua configurazione, a ciò che se ne trova al difuori; con “rete” prevale invece la volontà di eviden-ziare la perdita della percezione, chiara e distinta, del-l’obiettivo, del fine.61

L’applicazione di questi modelli concettuali all’ambi-to bibliografico e biblioteconomico ha, evidentemen-te, valore solo metaforico, e si colloca dunque an-ch’essa nell’ambito della retorica. Concettualizzare labiblioteca come un sistema non implica il fatto che labiblioteca acquisisca, di fatto, le modalità di funzio-namento di un sistema biologico; si tratta di appli-care ad essa una metafora, che “è solo un mezzo perl’efficacia dell’espressione al fine di colpire e inte-ressare i suoi destinatari”.62

Pensare la biblioteca, in senso traslato, come un te-sto, a questo generalissimo livello, permette essen-zialmente di rendere maggiormente esplicita la fina-lizzazione, orientata alla interpretazione, degli ele-menti che la compongono: è banale, certo, ma nonvi è dubbio che un testo sia scritto e realizzato peressere letto.La metafora della biblioteca come testo facilita la in-scrizione, al suo interno, di tutte le forme secondocui la testualità si organizza, incluse quelle, iperte-stuali o ipermediali, in cui la produzione e la deco-difica sono mediate dalle tecnologie digitali. In talsenso potremmo magari parlare di “testo sincretico”,intendendo con questa espressione un testo che “or-ganizza linguaggi eterogenei in una strategia di co-municazione unitaria, cioè presenta marche sintatti-che, semantiche e pragmatiche di coesione e di co-

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Ferdinando Depero, Lettrice e ricamatrice, 1920

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erenza che rimanda alla stessa istanza di enunciazio-ne o, per dirla con Eco (1979), allo stesso autore em-pirico o a un insieme di autori empirici che abbianoseguito le stesse regole di produzione testuale”.63

Ciò premesso, un ulteriore problema è costituito dal-la individuazione dei limiti del testo, e cioè precisarela sua denotazione e la sua connotazione; fuor di me-tafora, questo equivale a chiedersi quali siano gli ele-menti costitutivi essenziali che permettono di utiliz-zare, dotandolo di senso, il termine “biblioteca”. Èevidente, io credo, che ad una domanda così postanon è possibile rispondere in questa sede; quella del-la biblioteca, proprio nel senso di Blumenberg soprarichiamata, è una metafora fondante della nostra tra-dizione culturale, e per sondarne l’ampiezza dovrem-mo andare ben al di là dei limiti di questo lavoro, esicuramente anche delle competenze di chi scrive.Certo è, ancora con Blumenberg, che si prospetta co-me una linea di ricerca di straordinario interesse quel-la di una “metaforologia” che “cerca di riattingere lasottostruttura del pensiero, lo strato primario, la solu-zione nutritizia delle cristallizzazioni sistematiche”.64

Preso atto comunque che l’obiettivo principale di que-sto contributo è quello di tracciare le condizioni persviluppare pratiche argomentative consapevoli, piùche parlare di norme, valori, convinzioni emotive, pa-re comunque difficile sganciare l’idea di biblioteca daquella di uno spazio entro il quale si collochino i prin-cipi e le procedure, storicamente determinate, cheportano un oggetto che reca in sé tracce di informa-zioni ad assumere prima la forma di “documento”,successivamente quella, anch’essa molto potente sottoil profilo metaforico, di “libro”, ed infine a cercare diindividuare, primariamente, adeguati principi di “par-tizione e di ordinamento”,65 elementi ed attività che,nel loro insieme, danno origine a quella zona di con-trollo bibliografico cui già abbiamo fatto riferimento.In linea teorica i confini del testo, così come quelli deldocumento, non possono che essere opachi,66 manon vi è dubbio che nelle concrete dinamiche stori-che, sociali e culturali, e nelle ancora più concretepratiche linguistiche si individuino le condizioni perdelimitarne, non apoditticamente, il profilo. Molto ef-ficacemente ancora Maurizio Ferraris ci ricorda infat-ti che “nella maggior parte dei casi questo costituisceun problema solo per la teoria, giacché intuitivamen-te la differenza tra un’iscrizione ed un documentobalza agli occhi, ed è difficile equivocare quando unagente ci dice ‘favorisca i documenti’”.67

È in relazione alla geografia ed alla storia di questiconfini che, intorno al testo, riprendendo la nota im-magine di Gérard Genette, si dispone ed organizza ilparatesto; per analogia intorno allo spazio della bi-blioteca, inteso come testo, si definisce e si struttura

quello che potremmo definire paratesto bibliotecario. Come il testo letterario, anche il testo metaforico del-la biblioteca raramente si presenta “nella sua nudità,senza il rinforzo e l’accompagnamento di un certonumero di produzioni, esse stesse verbali o non ver-bali (…) delle quali non è chiaro se debbano essereconsiderate o meno come appartenenti ad esso, mache comunque lo contornano e lo prolungano (…)per presentarlo (…) per renderlo presente, per assi-curare la sua presenza nel mondo, la sua “ricezione”ed il suo consumo”.68

Ma c’è di più. Seguiamo ancora Genette, quando af-ferma che “il principale ostacolo all’efficacia del para-testo in genere non dipende da un’incomprensionedei suoi fini, ma piuttosto da quell’effetto perversoche abbiamo incontrato varie volte con il nome fan-tasioso di effetto Jupien: come tutti gli intermediari, ilparatesto tende a volte a travalicare le sue funzioni ea diventare uno schema, e dunque a giocare la suapartita a scapito di quella del suo testo”, mentre èchiaro invece che “il paratesto non è altro che un au-siliario del testo”.69

Ciò mi pare molto convincente, e molto adattabile aquanto sta accadendo alla modellizzazione ed allacomunicazione della identità della biblioteca: il ri-schio, insomma, è quello di occuparsi più del para-testo che del testo, e far questo a partire da proce-dure argomentative che, in assenza di una configura-zione disciplinare di settore dotata di tratti assiomati-ci, scivolino, più o meno consapevolmente, lungouna china in cui sostanzialmente tutti i discorsi siequivalgono.Tornando all’impianto di fondo del ragionamento pro-posto, dunque, credo che sia necessario tornare adoccuparsi, con pratiche argomentative corrette, più deltesto della biblioteca, nel senso qui proposto, che delsuo paratesto, e dunque delle questioni che possonoqualificarsi come oggetto di una prassi bibliotecono-mica criticamente consapevole delle sue potenzialitàe dei suoi limiti. Deve inoltre rimanere ben chiaro ilconcetto che tra testo e paratesto bibliotecario, e traqueste entità ed i suoi fruitori, esiste certamente unapluralità vertiginosa di soglie, fisiche e concettuali, dacui trae origine un reticolo interpretativo molto com-plesso. Non vi è dubbio che queste soglie non pos-sono non essere attraversate; basta che si sappia, al-meno, di averlo fatto.

7. In chiusura

Con questo contributo ho proposto alcune considera-zioni che, partendo da sollecitazioni derivanti da re-centi pubblicazioni, hanno l’obiettivo di mettere a fuo-

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co alcune tematiche di più generale interesse biblio-teconomico.Il primo ambito preso in esame è, per così dire, di na-tura meta-disciplinare, e si sofferma sulla esigenza diun linguaggio che, nelle sue strategie e pratiche ar-gomentative, sappia dar conto criticamente delle tat-tiche utilizzate per descrivere i fatti di cui si occupa.Serve dunque una “ragion pratica” che sia consape-vole di muoversi in un campo costituito da opinioni,e che dunque, a partire da ciò, espliciti almeno la strut-tura delle tecniche persuasive utilizzate; per lo speci-fico tema qui preso in esame quali siano dunque leretoriche dello spazio bibliotecario che si intende co-municare. Secondo questa prospettiva diviene dun-que possibile condividere le conclusioni proposte daPerelman e Olbrechts-Tyteca:

Solo l’esistenza di un processo argomentativo che nonsia né cogente né arbitrario, dà un senso alla libertàumana, condizione per l’esercizio di una scelta ragione-vole. Se la libertà fosse solo adesione a un ordine natu-rale dato precedentemente, esso escluderebbe ognipossibilità di scelta: se l’esercizio della libertà non fossefondato su delle ragioni, ogni scelta sarebbe irrazionalee si ridurrebbe a una decisione arbitraria che agirebbein un vuoto intellettuale. Grazie alla possibilità di un’ar-gomentazione, che fornisce le ragioni, ma delle ragioninon cogenti, è possibile sfuggire al dilemma: adesionea una verità obiettivamente e universalmente valida, oricorso alla suggestione e alla violenza per far accettarele proprie opinioni e decisioni.70

All’interno di queste pratiche argomentative può ri-sultare utile pensare la biblioteca come un testo, va-le a dire come un insieme di elementi (segni e codi-ci), finalizzati a costituire l’oggetto di procedure in-terpretative da parte di chi al loro uso, attraverso unametaforica “lettura”, si accosta; ciò ha permesso an-che di discutere le problematiche derivanti dallacomplessa delimitazione del testo metaforico dellabiblioteca dagli elementi di natura paratestuale ad es-so connessi. Quale narrazione il testo della bibliote-ca scelga di proporre è argomento al quale, in que-sta sede, sono dedicate solo alcune rapide osserva-zioni proposte proprio in chiusura.Successivamente sono stati presi in esame alcuni a-spetti di opere, eterogenee per struttura, metodolo-gia, livello di profondità della trattazione, per discu-tere alcuni aspetti argomentativi delle tesi proposte, eche si incrociano con alcuni punti di fragilità della ri-flessione biblioteconomica contemporanea.Il modello di “biblioteca sociale”, sviluppato nel vo-lume di Agnoli, al di là del pathos etico che lo carat-terizza, rischia a mio giudizio di attenuare la consa-pevolezza della ineludibile, centrale necessità dei lin-

guaggi, in primo luogo documentari, grazie ai qualila biblioteca costruisce, afferma, mostra e comunicala propria identità. È solo attraverso questi linguaggi,certamente tessuti insieme a quelli utilizzati dallospazio architettonico, che la biblioteca può lasciarsileggere come un luogo in cui la pratica della della li-bertà possa essere, con fatica, coltivata. Si situa dun-que, proprio qui, un crinale argomentativo molto de-licato, che implica la necessità di assumere una posi-zione del tutto consapevole rispetto alle finalità edagli obiettivi della biblioteca pubblica, legittimata ov-viamente, a qualificarsi come luogo seduttivo, piace-vole ed inclusivo ma che non può, per così dire, li-mitarsi a far sostare le persone sulla propria ormaigradevolissima soglia.Biblioteche. Architettura e progetto di Muscogiuri hafornito il pretesto per discutere, brevemente, i rischiderivanti dall’adesione alla convinzione, blandamen-te elaborata, della necessità di una urgente dismissio-ne, quantomeno simbolica, della dimensione storicadella biblioteca pubblica. Se per rincorrere i tratti dicerta modernità diviene necessario appiattirsi su diun orizzonte costituito principalmente, se non esclu-sivamente, da flussi di informazioni letti secondo unorizzonte sincronico, non possiamo che smarrire la fi-nissima trama delle relazioni interpretative, produttri-ci di conoscenza, che si attuano a partire dalla anali-si critica della fisionomia diacronica delle collezioni.Solo se vi è, anzitutto, presa d’atto di queste caratte-ristiche specifiche e peculiari dello spazio bibliogra-fico della biblioteca, e se in seconda battuta si è ingrado di avvalersi degli strumenti adeguati per rap-presentarlo argomentativamente – e dunque cono-scerlo – può maturare la percezione di un qui ed orainterpretativo che non sia costretto a torcersi esclusi-vamente su se stesso. Allora anche il futuro, con que-ste cautele, diviene un campo di possibilità non me-ramente determinate, alla fine, da mitologie parteci-pative o da procedure di calcolo che, messianica-mente, diano consistenza all’ombra di una presuntaintelligenza collettiva.71

Più articolato, infine, il ragionamento che si intrecciaall’esame di Biblioteche per la città. Non sono cosìconvinto, intanto, della qualità dei benefici bibliogra-fici e biblioteconomici derivanti da una così estesaapertura al campo delle scienze sociali, e della so-ciologia urbana in questo caso particolare, e temoche non basti l’intenzione di voler utilizzare le bi-blioteche come “metafore della città”72 per capire real-mente come debba configurarsi, escludendo il merorispecchiamento, il modello di biblioteca pubblica diquesta tarda modernità. Credo piuttosto che le biblioteche dovrebbero esserenon solo luoghi capaci di adeguarsi, mimandole, alle

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dinamiche culturali che caratte-rizzano o sembrano caratte-rizzare tratti significativi della so-cietà contemporanea, ma anche,e forse soprattutto, ambienti dielaborazione consapevole in cuiquel movimento, senza cristalliz-zarsi, trovi un suo spazio di de-cantazione, ed offra dunque allepersone che si collocano dentrola spazio della biblioteca qualco-sa di più di una replica, biblio-graficamente strutturata, di ciòche c’è fuori. La biblioteca, allora, proprio inquanto capace di un corretto usodella “ragion pratica”, può risco-prire il desiderio di essere (o ma-gari divenire) uno dei “contro-spazi” la cui esistenza è ipotizza-ta da Michel Foucault, valoriz-zando le costitutive differenzeche ne precisano l’identità. Ogni luogo si distingue dagli altri;come sostiene Foucault “ci sonole regioni di passaggio, le strade,i treni, le metropolitane; ci sono le regioni aperte del-la sosta transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge, gli al-berghi, e poi ci sono le regioni chiuse del riposo edella casa”; ma esistono appunto anche “contro-spa-zi”, che sono “assolutamente” differenti dagli altri spa-zi, spesso rigidamente funzionalizzati. La biblioteca,se capace di dotarsi di questo sguardo, riconosce insé la “la volontà di rinchiudere in un luogo ogni tem-po, ogni epoca, ogni forma e ogni gusto”; giustap-ponendo, in un metaforico spazio testuale, altre tipo-logie di spazi, acquisisce i caratteri della “eterotopia”,ed in questo modo costituisce un territorio testuale incui anche il tempo “si accumula all’infinito”, confe-rendo a quello stesso spazio l’ulteriore carattere del-la “eterocronia”.73

In tal modo la biblioteca, fuor di metafora, pone lepremesse teoriche per la piena qualificazione dellapropria testualità bibliografica, ospitando una mise enespace del sapere, in cui il sapere si oggettiva nei li-bri, nella loro visibile organizzazione spaziale; ed i li-bri, a loro volta, conferiscono significato e valore al-la configurazione ed all’efficacia simbolica dello spa-zio della biblioteca. L’inscrizione del sapere nellospazio, la sua visibilità, ne garantisce contestualmen-te la intelligibilità; e ciò trova il suo fondamento nel-la unità della collezione, nel suo esserci, nella suacollocazione nello spazio, in cui si sedimentano, in fi-ligrana, le tracce dei percorsi offerti al lettore:

Il conviendra, indipéndammentd’une voie principale de circulationentre le différents niveaux, de mé-nager des cheminaments secondai-res ou parallèles, permettant d’éta-blir des courts-circuits (ou des cir-cuits courts), afin de faciliter toutemise en relation des différentsespaces, aussi bien sur le plan ver-tical que sur le plan horizontal.74

Non è poco, io credo. Su questabase diviene possibile immagina-re biblioteche che si pensino co-me territori di dialogo, in cui siagarantita la persistenza di percor-si interpretativi utili e produttivi,tra testo, paratesto e lettore, e ri-spetto ai quali si precisano, e sistrutturano disciplinarmente, lepratiche della bibliografia e dellabiblioteconomia; percorsi che,muovendosi con equilibrio e fi-nezza tra memoria ed oblio, traordine e disordine, possano inte-grare ed armonizzare i limiti diuna ricerca teorica, talvolta narci-

sisticamente ripiegata su se stessa, con la parzialità dimodellizzazioni che non riescono a dotarsi della me-todologia e dei linguaggi adeguati per indagare le la-bili ed incerte tracce della “documentalità” contempo-ranea, come la definisce in una recente pubblicazioneMaurizio Ferraris;75 documentalità le cui “tracce” pos-sono essere rinvenute in “oggetti sociali”, validati daspecifiche “iscrizioni” che ne garantiscono la rilevanzasociale e l’autenticità. La variabilità nello spazio e neltempo è elemento costitutivo di questo concetto di do-cumento che, prosegue Ferraris, “va concepito, piutto-sto che come qualcosa di dato una volta per tutte, ecostituente una classe di oggetti stabile, come la reifi-cazione di atti sociali, i quali, a loro volta, mutano nel-la storia e nella geografia”.76

È in questo complesso spazio, bibliografico e docu-mentario, dunque, che possono individuarsi le con-dizioni per cercare di effettuare, ancora secondoFoucault, pratiche di libertà, necessariamente fatico-se, e certamente non automatiche:

La liberté est une pratique. Il peut donc tojurs exister,en fait, un certain nombre de projects qui visent à mo-difier certains contraintes, à les rendre plus souples, oumême à les briser, mais aucun de ces projects ne peut,simplement par sa nature, garantir que les gens serontautomatiquement libres, la liberté des hommes n’est ja-mais assuréè par les institutions et les lois qui ont parfunction de la garantir.77

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Mark Tansey, Reader, 1990

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Per concludere vorrei infine affermare, ritornando nel-l’alveo della prospettiva disciplinare da cui ci siamomossi, che concordo pienamente con Giovanni DiDomenico quando sostiene che nella riflessione bi-blioteconomica coesistono due anime, una interpre-tativa ed una organizzativa.78 Senza una piena e ma-tura consapevolezza della indispensabilità dell’uno edell’altro aspetto, e senza l’ausilio di corrette praticheargomentative, si concretizza la possibilità che la ten-sione conoscitiva della ricerca si esaurisca proprio suuna delle tante soglie dello spazio bibliografico, eche ci si occupi del paratesto della biblioteca, anzi-ché del testo; oppure che, muovendosi costeggiandola superficie dei fatti, neppure ci si renda conto diquando le diverse metaforiche soglie vengono oltre-passate ed attraversate. Lo studio dell’agire organizzativo in biblioteca, e del-le relazioni di questo agire con il più vasto ambito dicui la biblioteca è parte ed espressione, non può di-sconoscere la centralità delle relazioni interpretativeche caratterizzano l’uso del testo della biblioteca daparte dei suoi lettori, così come è vero, peraltro, cheuna attenzione al testo che non disponga del lin-guaggio per esplicitarne le relazioni paratestuali ri-schia di naufragare entro i propri solipsistici limiti.Queste relazioni sono, in fondo, l’oggetto di una teo-ria e di una pratica biblioteconomica, metodologica-mente ed euristicamente consapevole, che voglia “per-dersi” solo quanto è necessario per ritrovarsi,79 muo-vendosi in tal modo – così almeno mi piace pensare– lungo la problematica ed affascinante direzione in-dicata dal Gatto ad Alice.Forse è questo il migliore modo per augurare allaidea di biblioteca pubblica, qualunque sia la morfo-logia dei suoi spazi, ed alla disciplina che se ne oc-cupa, un futuro che sia capace di intuire, elaborareed organizzare, con consapevole leggerezza, bisogniprofondamente radicati nella esistenza della società edelle persone che la compongono.

Note

1 Il programma ed il testo della maggior parte degli inter-venti sono consultabili alla URL <http://www.ifla2009.it/online/?p=309>. Per un sintetico resoconto cfr. ROSSANA

MORRIELLO, Libraries as Place and Space, “Biblioteche og-gi”, 27, 2009, 10, p. 42-43; EAD., Le biblioteche delle uni-versità come luogo e come spazio, ivi, p. 43-44; CECILIA

COGNIGNI, Le biblioteche pubbliche come luogo e come spa-zio, ivi, p. 44-47. Per un inquadramento, anche bibliogra-fico, su questi temi mi sia consentito di rimandare a MAU-RIZIO VIVARELLI, Costruire e abitare la biblioteca, “Bibliote-che oggi”, 27, 2009, 1, p. 34-63.2 M. VIVARELLI, Tra libri e informazioni. Immagini, metafo-re, narrazioni della biblioteca pubblica, in Piccoli scritti di

biblioteconomia per Luigi Crocetti (10 marzo 2007-10marzo 2008), a cura di Piero Innocenti e Cristina Caval-laro, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2008, p. 203-222. 3 Per una introduzione ai temi del dibattito internazionalesi rimanda a due numeri della rubrica “Osservatorio inter-nazionale” curata su “Biblioteche oggi” da Carlo Revelli: Labiblioteca pubblica e la sua missione. 1, 25, 2007, 8, p. 89-93; La biblioteca pubblica e la sua missione. 2, “Bibliotecheoggi”, 25, 2007, 9, p. 50-53.; per l’Italia da segnalare i se-guenti contributi, tutti comparsi sul “Bollettino AIB”: CLAU-DIO LEOMBRONI, La biblioteca pubblica: un progetto incom-piuto della modernità, 45, 2005, 3, p. 273-276; MARIA STELLA

RASETTI, La biblioteca è rock, anzi è fusion, 46, 2006, 1/2,p. 5-8; RICCARDO RIDI, Sulla natura e il futuro della biblio-teca pubblica: lettera aperta a Claudio Leombroni, ivi, p.87-90; GIUSEPPE VITIELLO, L’accesso alla informazione e lepolitiche bibliotecarie, ivi, p. 91-94; ANNA GALLUZZI, Il futu-ro della biblioteca pubblica, ivi, p. 95-104; SERGIO CONTI,Ha un futuro la biblioteca pubblica? Spunti e provocazio-ni (in funzione scaramantica), 46, 2006, 3, p. 263-269;ALBERTO PETRUCCIANI, Biblioteca pubblica senza identità?No, grazie, 46, 2006, 4, p. 377-382; ELENA BORETTI, Un gran-de servizio bibliotecario pubblico per tutti, ivi, p. 383-398;M. VIVARELLI, Interpretare la biblioteca pubblica; alcune os-servazioni metodologiche, 47, 2007, 1/2, p. 143-149; AIB.COMMISSIONE NAZIONALE BIBLIOTECHE PUBBLICHE, Ancora sull’i-dentità della biblioteca pubblica, ivi, p. 151-158; ROBERTO

VENTURA, La valutazione della biblioteca pubblica: proble-matiche e strumenti di misurazione dell’impatto culturale,sociale ed economico, 47, 2007, 3, p. 289-324. Da segnala-re anche il contributo di SERGIO DOGLIANI, La (mia) veritàsu Idea Store, “Bollettino AIB”, 49, 2009, 2, p. 259-268,commentato, nello stesso fascicolo da un interessante arti-colo di ALBERTO SALARELLI, Pubblica 2.0 (ivi, p. 247-258).Una riflessione ampia e articolata su questi temi è ora inC. LEOMBRONI, Sulla pubblicità della biblioteca pubblica, in:Pensare le biblioteche. Studi e interventi offerti a PaoloTraniello, a cura di Angela Nuovo, Alberto Petrucciani eGraziano Ruffini, Roma, Sinnos, 2008, p. 253-285.4 Per una introduzione alle linee generali del dibattito cfr.MICHELE SANTORO, Biblioteche e innovazione. Le sfide delnuovo millennio, Milano, Editrice Bibliografica, 2006; RIC-CARDO RIDI, La biblioteca come ipertesto. Verso l’integrazio-ne dei servizi e dei documenti, Milano, Editrice Bibliogra-fica, 2008; A. SALARELLI, Biblioteca e identità. Per una filo-sofia della biblioteconomia, Milano, Editrice Bibliografica,2008. Una ampia discussione dei contenuti del volume èin P. INNOCENTI, Questioni di identità in biblioteca. Leggen-do un libro di Alberto Salarelli, “Biblioteche oggi”, 27,2009, 5, p. 10-16. Le idee-forza principali che qualificanol’idea di biblioteca proposta da Salarelli sono, nel testo diInnocenti, individuate in “1) in primo luogo il patrimonio(la collezione); 2) in secondo luogo la coltivazione del sen-so della storia nella costruzione dell’identità; 3) in fine e interza posizione il necessario canone di analisi e di com-portamento per il trattamento delle fonti digitali” (p. 10).5 La teoria del third place è stata elaborata dal sociologostatunitense Ray Oldenburg, e descritta in particolare inThe great good place, New York, Marlowe & Company,

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1989 e Celebrating the third place, New York, Marlowe &Company, 2001. Per quanto riguarda la ricezione del mo-dello in ambito biblioteconomico cfr. A. AGNOLI, Librariesas Third Places, in: Libraries As Space and Place, cit., allaURL: <http://www.ifla2009.it/online/wp-content/uploads/2009/06/Final.Agnoli.pdf>, e, ivi, STEPHANIE A. CLEMONS, Uni-versity Libraries as Third Places, consultabile alla URL: <http://www.ifla2009.it/online/wp-content/uploads/2009/06/Final.Clemons.pdf>. Su questi aspetti è comunque ancorafondamentale PETER KARSTEDT, Studi di sociologia della bi-blioteca, Firenze, Giunta regionale toscana; Scandicci, Lanuova Italia, 1980.6 Le relazioni possibili tra aspetti teorici e pratici della bi-blioteconomia sono discusse in MAURO GUERRINI – R. VEN-TURA, Biblioteca e biblioteconomia, ovvero del rapporto trabibliotecario e docente di biblioteconomia, in: Una mentecolorata. Studi in onore di Attilio Mauro Caproni per i suoi65 anni, promossi, raccolti, ordinati da P. Innocenti, a cu-ra di Cristina Cavallaro, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2007,p. 513-524.7 Una sintetica ma esauriente presentazione di molti temifondanti della recente riflessione biblioteconomica è inGIOVANNI DI DOMENICO, Problemi e prospettive della biblio-teconomia in Italia, in: Il nomos della biblioteca. Ema-nuele Casamassina e trent’anni dopo, a cura di RobertoCardini e P. Innocenti, Firenze, Polistampa, 2008, p. 237-257, già pubblicato in “Culture del testo”, 2, 2001, 6, p. 83-100, e in “Bibliotime”, 4, 2001, 2, alla URL <http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iv-2/didomeni.htm>; sul-le relazioni tra biblioteconomia e scienze sociali, che stan-no connotando significativamente la discussione recente,cfr. GIUSEPPE VITIELLO, Questa biblioteconomia italiana:unica e plurima, “Biblioteche oggi”, 24, 2006, 8, p. 7-16;A. GALLUZZI, A proposito di biblioteconomia e scienze so-ciali, “Bollettino AIB”, 45, 2005, 2, p. 227-234; SEBASTIANO

MICCOLI, Questioni di epistemologia biblioteconomia, “Bol-lettino AIB”, 45, 2005, 4, p. 415-437; G. DI DOMENICO, Bi-blioteconomia, scienze sociali e discipline organizzati-ve: un rapporto da ripensare, in: Una mente colorata, cit.,p. 495-511.8 ALFREDO SERRAI, Guida alla biblioteconomia, Firenze, San-soni, 1981, p. 12. 9 NICOLA ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, seconda edi-zione riveduta e accresciuta, Torino, UTET, 1977, p. 908.10 A. SERRAI, Guida alla biblioteconomia, cit., p. 16.11 ENZO BOTTASSO, “La filosofia del bibliotecario” e altri scrit-ti, a cura di Attilio Mauro Caproni e Ugo Rozzo, Udine, Fo-rum, 2004, p. 175.12 Ivi, p. 178.13 O quantomeno al suo volersi qualificare come “nomo-tetica”, capace cioè di dotarsi di un corpus di leggi di va-lore generalizzabile, anziché “idiografica”, e dunque in gra-do di occuparsi solo di fenomeni non ripetibili, come op-portunamente suggerisce A. SALARELLI in: Biblioteconomiacome scienza? Considerazioni epistemologiche, in: Biblio-teca e identità, cit., p. 185-205. Le citazioni sono a p. 190.14 CHAÏM PERELMAN – LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato del-l’argomentazione. La nuova retorica. Prefazione di Nor-berto Bobbio, Torino, Einaudi, 1989.

15 Le citazioni sono tratte dalla Prefazione di NorbertoBobbio, p. XIII-XIV.16 Ivi, p. XIV.17 Penso, in particolare, a MICHAEL GORMAN, I nostri valori.La biblioteconomia nel XXI secolo, traduzione di AgneseGaleffi con la collaborazione di Carlo Ghilli, a cura e conla presentazione di M. Guerrini, postfazione di Alberto Pe-trucciani, Udine, Forum, 2002.18 Il volume è stato ampiamente discusso da C. REVELLI, Labiblioteca pubblica come luogo sociale, “Biblioteche oggi”,27, 2009, 7, p. 7-12 e recensito da MAURIZIO CAMINITO, “Bol-lettino AIB”, 49, 2009, 2, p. 275-276.19 A. AGNOLI, Le piazze del sapere, cit., p. 154-156 passim.20 Ivi, p. 81. Corsivo nel testo.21 Ivi, p. XII.22 FILIPPO M. DE SANCTIS – PAOLO FEDERIGHI, Pubblico e bi-blioteca. Nuove frontiere del lavoro educativo all’uso del li-bro, Roma, Bulzoni, 1981.23 GIULIA BARONE – ARMANDO PETRUCCI, Primo: non leggere.Biblioteche e pubblica lettura in Italia dal 1861 ai nostrigiorni, Milano, Mazzotta, 1976.24 Questa prospettiva di analisi ci porterebbe qui troppolontano dagli argomenti centrali di questo contributo. Perulteriori approfondimenti cfr. in primo luogo GIANNI LAZ-ZARI, Libri e popolo. Politica della biblioteca pubblica inItalia dal 1861 a oggi, Napoli, Liguori, 1985.25 Ovvio che queste rapidissime osservazioni, in questa se-de in linguaggio naturale, hanno il loro corrispettivo in ciòche costituisce (meglio, che potrebbe costituire) una ma-tura fenomenologia relativa all’uso dello spazio bibliogra-fico della biblioteca.26 La control zone è “a single, virtual, distributed, interna-tional digital library, a library that has (conceptual, virtual)boundaries, that defines its services operationally on thebasis of the opposition between what is inside and outsi-de those boundaries, and that bases that service on the tra-ditional social ethic that has motivated all library opera-tions in modern times”. Così ROSS ATKINSON in Libraryfunctions, scholarly communication, and the foundationof the digital library: laying claim to the control zone,“Library Quarterly”, 66, 1996, 3, p. 239-265).27 Un riferimento ormai classico per questi temi continuaad essere Le patrimoine. Histoires, pratiques et perspectives,sous la direction de Jean Paul Oddos, Paris, Éditions duCercle de la Libraire, 1997.28 M. VIVARELLI, Servizi, cooperazione, attività di tutela nelsistema delle biblioteche toscane, in: Il nomos della biblio-teca. Emanuele Casamassina e trent’anni dopo. Atti delconvegno svoltosi presso il Teatro dei Leggieri di San Gi-mignano, Siena, il 2 e 3 marzo 2001, a cura di RobertoCardini e P. Innocenti, Firenze, Polistampa, 2008, p. 223-234.29 TOSCANA. DIPARTIMENTO ISTRUZIONE E CULTURA, La legge to-scana per le biblioteche, a cura di Francesco Gravina, Fi-renze, Giunta regionale toscana, 1977, p. 41. La citazioneè tratta da un documento che reca il titolo Osservazionisullo schema di decreto delegato concernente il trasferi-mento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni am-ministrative statali in materia di “assistenza scolastica e

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musei e biblioteche di enti locali”. Biblioteche. A cura delDipartimento istruzione e cultura con la collaborazione delprof. Emanuele Casamassima. Firenze, agosto 1971.30 M. MUSCOGIURI, Biblioteche. Architettura e progetto, cit.,p. 12-13.31 Le parole chiave sono: accessibilità; visibilità; articola-zione; evoluzione; benessere; sostenibilità; molteplicità:cfr. M. MUSCOGIURI, ivi, p. 81; ID., Sette parole chiave per ilprogetto di una biblioteca pubblica, in: La biblioteca nellacittà. Architettura del servizio, architettura dell’edificio, acura di Giuliana Casartelli, M. Muscogiuri, Roma, AIB Lom-bardia, 2008. Evidente il richiamo al celebre decalogo ori-ginariamente redatto nel 1977 da Harry Faulkner Brown,secondo cui la biblioteca dovrebbe essere flessibile, com-patta, accessibile, ampliabile, variata, organizzata, confor-tevole, sicura, economica (HENRY FAULKNER BROWN, Pla-nung und Bau öffentlicher Bibliotheken: funktionale, ar-chitekton. u. finanzielle Aspekte ; [Rohübers. d. Referate d.3. Bibliotheksbau-Seminars (Öffentl. Bibliotheken) d. IFLA,12. – 16. September 1977, Bremen], Dt. Bibliotheksverb.;Arbeitsstelle für d. Bibliothekswesen, Berlin, Dt. Biblio-theksverb.; Berlin, Arbeitsstelle für d. Bibliothekswesen,1977). Su questi temi lo stesso autore è tornato con SomeThoughts on the Design of Major Library Buildings, inIntelligent Library Buildings. Proceedings of the Tenth Se-minar of the IFLA Section on Library Buildings and Equi-pment. The Hague, Netherlands, 24-29 August 1997, edi-ted by M.-F. Bisbrouck and Marc Chauveinc, München,Saur, 1999.32 M. MUSCOGIURI, Biblioteche. Architettura e progetto, cit.,p. 21.33 Ivi, p. 22.34 Ibidem.35 Ivi, p. 33.36 Ivi, p. 43.37 Ibidem.38 Ibidem.39 L’opera cui mi riferisco è UMBERTO ECO, Lector in fabu-la. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Mi-lano, Bompiani, 1994. Il contributo di chi scrive, cui faccioriferimento, è costituito dal già citato Costruire e abitare labiblioteca.40 Su questi aspetti, all’interno di una letteratura sconfina-ta, mi limito a segnalare DAVID HAREL, Computer a respon-sabilità limitata. Dove le macchine non riescono ad arri-vare, Torino, Einaudi, 2002; GIUSEPPE O. LONGO, Come ilcomputer cambia la nostra cultura, Roma-Bari, Laterza,2003; FRANCESCO ANTINUCCI, L’algoritmo al potere. Vita quo-tidiana ai tempi di Google, Roma-Bari, Laterza, 2009.41A. GALLUZZI, Biblioteche per la città, cit., p. 11.42 Ivi, p. 15.43 Queste le biblioteche prese in esame: Seattle Public Li-brary; Vancouver Public Library; Bibliothèque de l’Univer-sité Paris 8; Stadt- und Landesbibliothek di Dortmund; Bi-bliothèque Municipale di Marsiglia; Whitechapel Idea Sto-re di Londra; Biblioteca Jaume Fuster di Barcellona; Biblio-thèque publique d’information di Parigi.44 Biblioteca Sala Borsa di Bologna; Biblioteca San Giorgiodi Pistoia; Biblioteca San Giovanni di Pesaro. Inoltre, per

quanto ancora lontano dalla realizzazione, è stato esami-nato il progetto della Biblioteca Europea di Informazionee Cultura (BEIC) di Milano.45 A. GALLUZZI, Biblioteche per la città, cit., p. 24 e ss. (Lariflessione sugli spazi e sulle funzioni), e p. 70 e ss. (Cittàe architettura).46 Il progettista riflessivo. Scienze sociali e progettazione ar-chitettonica, a cura di Giandomenico Amendola. Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 21.47 A. GALLUZZI, Biblioteche per la città, cit., p. 159 e ss.L’opera di Alessandro Baricco è I barbari. Saggio sulla mu-tazione, Milano, Feltrinelli, 2008.48 Ivi, p. 166. In questo modo la biblioteca si qualifica co-me uno dei “sistemi passanti” che permettono ai “barbari”di trovare un habitat per loro gradevole, in quanto essi“Amano qualsiasi spazio che generi un’accelerazione. Nonsi muovono in direzione di una meta, perché la meta è ilmovimento”. Così A. BARICCO, I barbari, cit., p. 97.49 A. GALLUZZI, Biblioteche per la città, cit., p. 169.50 Per una descrizione sintetica dei criteri biblioteconomi-ci ed architettonici che ne hanno ispirato la progettazionesi rimanda al Dossier pubblicato in “Biblioteche oggi”, 25,2007, 8, p. 9-28, con contributi, oltre a chi scrive, di LeslieBurger, Bruno Corà, Giovanni Di Domenico, Alessandra Gio-vannini, Mauro Guerrini, Piero Innocenti, Massimo PicaCiamarra, Giovanni Solimine.51 Quasi inutile rilevare qui quanto sia complesso capirecome le persone utilizzino lo spazio ed i servizi della bi-blioteca, come già, classicamente, rileva FREDERICK WILFRID

LANCASTER in If you want to evaluate your library..., Lon-don, Library association Publishing, 1993. Per una attentaanalisi socio-etnografica, e dunque di taglio qualitativo, delpubblico della Bibliothèque publique d’information delCentre Georges Pompidou cfr. AGNÈS VIGUÉ-CAMUS – JEAN-MICHEL CRETIN – CHRISTOPHE EVANS, Les habitués. Le microco-sme d’une grande bibliothèque, Paris, Éditions de la Biblio-thèque publique d’information, 2000.52 Sul rapporto tra spazio e luogo si rimanda qui, almeno,a MARC AUGÉ, Nonluoghi. Introduzione a una antropologiadella surmodernità, Milano, Eléuthera, 1993; FRANCO LA CE-CLA, Mente locale. Per una antropologia dell’abitare, Mila-no, Elèuthera, 1993, e soprattutto a MICHEL DE CERTEAU, L’in-venzione del quotidiano. Traduzione di Mario Baccianini.Prefazione di Alberto Abruzzese. Postfazione di Davide Bor-relli, Roma, Edizioni Lavoro, 2001.53 OLAF EIGENBRODT, Physical Space in Theory and Beyond:Building Libraries for the Knowledge Societies, <http://www.ifla2009.it/online/wp-content/uploads/2009/06/Final.Eigenbrodt.pdf>. 54 “On the one hand librarians and LIS scholars are not ne-cessary ignoring each other; on the other hand they sharethe same challenges. Taking into account the research aboutthe social transformations it is not surprising, that the reac-tions to the development of knowledge societies are so si-milar. My goal was to bring both, scholarly deliberationsand best practice together in one paper and to link thisoverview with the context of knowledge societies”.55 A. SERRAI, Guida alla biblioteconomia, cit., p. 8. 56 Sono queste le tesi che ho sviluppato in: M. VIVARELLI,

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Costruire e abitare la biblioteca, cit., in particolare nel pa-ragrafo Lo spazio della biblioteca come testo.57 Su quanto sia consentito discostarsi dalle prescrizionidel testo il dibattito è, naturalmente, aperto. Per una intro-duzione alle linee generali di questi argomenti cfr. U. ECO,I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990, cheintende contrastare le più radicali tesi decostruzionistiche,e la “semiosi illimitata” che esse implicano (p. 36). Su que-sti aspetti si veda anche, dello stesso Eco, Interpretazionee sovrainterpretazione. Un dibattito con Richard Rorty,Jonathan Culler e Christine Brooke-Rose, Milano, Bompia-ni, 1995. 58 STEFANO GENSINI, Manuale di semiotica, Roma, Carocci,2004, p. 138. Questa apertura del concetto di testo è pre-sente anche in DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociolo-gia dei testi, Milano, Sylvestre Bonnard, 1998: “Con il ter-mine ‘testi’ intendo i dati verbali, orali, visivi, numerici, sot-to forma di carte geografiche, stampe e musica, di archividi suoni registrati, di film, di video, di informazioni me-morizzate nei computer; tutto, insomma, dall’epigrafia finoalle forme più moderne di discografia”.59 Ivi, p. 147.60 Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 21.61 Il concetto di “sistema” in ambito biologico, com’è noto,è stato approfonditamente sviluppato da LUDWIG VON BER-TALANFFY, in Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, svi-luppo, applicazioni, Milano, Mondadori, 1983. La ricezio-

ne del modello in ambito biblioteconomico, in Italia, è me-diata in primo luogo da A. SERRAI, Biblioteconomia comescienza. Introduzione ai problemi e alla metodologia, Fi-renze, Olschki, 1973 (cap. III: La biblioteca come sistema);ID., Biblioteca-Sistema aperto, in Ricerche di bibliotecono-mia e bibliografia, Firenze, Giunta regionale toscana;Scandicci, La nuova Italia, 1983; P. TRANIELLO, La bibliotecatra istituzione e sistema comunicativo, Milano, Editrice Bi-bliografica, 1986; GIAMBATTISTA TIRELLI, Il “sistema” bibliote-ca, Milano, Editrice Bibliografica, 1990. Sul concetto di re-te, in relazione alla diffusione di internet e del world wideweb, si rimanda a ALBERT-LÁSZLÓ BARABÁSI, Link. La scienzadelle reti, Torino, Einaudi, 2004. Su questi aspetti interes-santi considerazioni sono svolte da MADEL CRASTA in L’ani-ma dei luoghi. Le raccolte ed il contesto, in Una mente co-lorata, cit., p. 489-494.62 Un approfondito esame della funzione della metaforanella storia del pensiero filosofico è ora in HANS BLUMEN-BERG, Paradigmi per una metaforologia, Milano, RaffaelloCortina, 2009. La citazione è a p. 5.63 GIOVANNA COSENZA, Semiotica dei nuovi media, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 19.64 H. BLUMENBERG, Paradigmi per una metaforologia, cit., p. 6.65 I termini evidenziati rimandano, condividendole, alle op-zioni rese esplicite in A. SALARELLI, Biblioteconomia comescienza? Considerazioni epistemologiche, in: Biblioteca eidentità, cit., p. 187. Per quanto mi riguarda ho provato a

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discutere queste relazioni in M. VIVARELLI, Tra il dire e il fa-re, Riflessioni ed esperienze su informazione, documenta-zione, biblioteconomia, Viterbo, Dipartimento di storia eculture del testo e del documento, 2004, in particolare neicapitoli Informazione e Documento.66 Da un punto di vista logico ciò evidenzia il problemadella “sfocatezza”, che come segue potrebbe essere suc-cintamente introdotto: “Le parole in una lingua naturale disolito non possono essere categorizzate con giudizi decisicome sì o no; esistono certamente oggetti per i quali la de-scrizione “albero” è senz’altro vera ed altri per i quali taledescrizione è senz’altro falsa, ma ci sono anche moltissimicasi di confine, o, peggio ancora, in cui la linea di confinefra i casi chiari ed i casi di confine è essa stessa sfocata”.Così HILARY PUTNAM, The Meaning of “Meaning”, in: Lan-guage, Mind and Knowledge, edited by Keith Gundersonfor the Minnesota Center for the Philosophy of Science, Min-neapolis, University of Minnesota Press, 1975. Traduzione mia.67 M. FERRARIS, Sans papier, cit., p. 92.68 GÉRARD GENETTE, Soglie. I dintorni del testo, a cura di Ca-milla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1989, p. 3.69 Ivi, p. 403.70 C. PERELMAN – L. OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomen-tazione. La nuova retorica, cit., p. 538.71 Il concetto di intelligenza collettiva costituisce uno deicardini argomentativi su cui si fonda, fidesticamente, la fi-ducia nei benefici derivanti dalla diffusione delle tecno-logie digitali. Su questi aspetti cfr. PIERRE LÈVY, Il virtua-le, Milano, Raffello Cortina Editore, 1997, in particolare p. 142 e ss.72 A. GALLUZZI, Biblioteche per la città, cit., p. 15.73 MICHEL FOUCAULT, Utopie. Eterotopie, a cura di AntonellaMoscati, Napoli, Edizioni Cronopio, 2008, p. 12-14 passim.74 Così ANNE-MARIE BERTRAND in Ouvrages et volumes. Ar-chitecture et bibliothèques, par A.-M. Bertrand et Annie

Kupiec, avec la collaboration de Joseph Belmont, MichelMelot, Daniel Peyot, Paris, Paris, Éditions du Cercle de laLibrairie, 1997, p. 171. 75 Mi sto riferendo a MAURIZIO FERRARIS, Documentalità. Per-ché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari, Laterza, 2009.La struttura delle entità caratterizzate in base al possessodella “documentalità”, vale a dire i documenti, è definita inprimo luogo dalla natura del supporto fisico; poi dalla“iscrizione”, cioè “una registrazione visibile dall’esterno, daun’altra persona”, ed infine da “qualcosa” (in primo luogouna firma) che ne garantisca l’autenticità. Le “iscrizioni” so-no ordinate, gerarchicamente, in “gradi” che vanno dal li-vello più basso, quello della “traccia” a quello della “regi-strazione”, alle “iscrizioni in senso tecnico”, fino ai “docu-menti in senso stretto”. Così ancora M. Ferraris in Sans pa-pier. Ontologia dell’attualità, Roma, Castelvecchi, 2007, p.77-91 passim. Per un approccio alla questione da punti divista che si collocano nella nostra area disciplinare si ri-manda in primo luogo a due importanti contributi diMichael Buckland pubblicati sul “Journal of the AmericanSociety for Information Science”: Information as thing (42,1991, 5, p. 351-360) e What is a document? (48, 1997, 9, p.804-809). Cfr. inoltre il più recente BERND FROHMANN, Re-visiting “what is a document”, “Journal of Documentation”,65, 2009, 2, p. 291-303.76 M. FERRARIS, Documentalità, cit., p. 281.77 M. FOUCAULT, Espace, savoir et pouvoir, in Dits et écrits,t. IV, 1980-1988, Paris, Gallimard, 1994, citato da A.-M.BERTRAND, in Ouvrages et volumes, cit., p. 185.78 G. DI DOMENICO, Biblioteconomia, scienze sociali e disci-pline organizzative: un rapporto da ripensare, in Una mentecolorata, cit., p. 511.79 Il gioco di parole rimanda, evidentemente, a F. LA CECLA,Perdersi. L’uomo senza ambiente. Prefazione di Gianni Vat-timo, Roma-Bari, Laterza, 2005.

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The article originates from the critical discussion of three recent publications (Le piazze del sapere by Antonella Agnoli,Biblioteche per la città by Anna Galluzzi and Biblioteche. Architettura e progetto by Marco Muscogiuri) which, from va-rious points of view and different methodological options and levels of discussion, approach the subject of relationsbetween space and libraries. The recent debate on this topic is interwoven with that, even more complex, related toproblems concerning the identity of the library; these problems, in turn, produce models that also express choicesand options of cultural and librarianship nature. Since procedures of assessment and legitimation are lacking, the ar-gumentative practices used are based essentially on values and convinctions. Therefore, the article, in the light of thethesis stated in The new rhetoric. A treatise on argumentation by Chaïm Perelman and Lucie Olbrechts-Tyteca, and onthe needs, at least, of an updated “practical reason”, proposes to evaluate with care the rethorical strategies withwhich space and the models referred to it are treated. Moreover, the article proposes to conceptualize the distinctionbetween “text” and “paratext” of the library, in order to have a model of library which makes clear the finalization ofthe model itself, and of its implicit reader, to different metaphorical readings that its empiric readers make of it.

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