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170.000 euro del 2014). Se nei fumetti al posto di “radio ... · vivono le loro vacanze,...

Date post: 16-Feb-2019
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Francesco G. Manetti http://www.ereticamente.net/2014/06/19291945-la-percezione-del-mito.html Dopo esserci occupati nella prima parte di questo intervento (http://www.ereticamente.net/2014/05/19291945-la-percezione-del-mito.html)del maestro della Linea Chiara, il belga Hergé – cercando di capire come avesse inquadrato nelle sue opere del periodo prebellico (con l’arte della parodia e dello sberleffo) quelle che sarebbero diventate nei decenni a venire le due “superpotenze”, i due “gendarmi” del Mondo – andiamo adesso a scoprire (attraverso l’analisi di una selezione significativa, anche se per forza di cose non esaustiva, di storie e vignette) un altro immenso autore europeo, un autore che avrebbe segnato con la sua sessantennale carriera il fumetto, l’arte popolare e l’immaginario stesso italiano. 1. GLI ANNI DELLA GUERRA: “IL BRIVIDO” E “IL VITTORIOSO” Primi passi Benito Jacovitti nasce a Termoli, in Molise, il 9 marzo 1923; sette anni dopo la sua famiglia si trasferisce nelle Marche, a Macerata. In seguito a un periodo di “apprendistato autodidatta”, durante il quale disegna ogni dove, su ogni supporto materiale disponibile, ogni volta che può e al contempo divora e imita le strisce avventurose d’Oltreoceano e soprattutto le grandi firme del fumetto umoristico internazionale – dal Segar di Braccio di Ferro al nostro Walter Faccini – il giovanissimo Benito, dopo una sorta di prova con una barzelletta illustrata la settimana precedente, pubblica il 19 novembre 1939 quella che viene all’unanimità considerata la sua prima grande gag visiva sulle pagine del n. 47 di un settimanale umoristico fiorentino, “Il Brivido”. Si trattava di un piccolo e agile periodico, fondato dal disegnatore Alberto Manetti nel 1925, una smilza rivista che sarebbe andata avanti fino al 1952 e che oggi è estremamente rara da reperire sul mercato del collezionismo. Il titolo dell’opera del termolese è lunghissimo e in rima: In ogni stanza d’ogni casamento / la Radio è il gran discorso del momento! Il tratto è ancora acerbo ma dobbiamo sottolineare che l’artista, con questo suo “debutto ufficiale” sulla carta stampata, ha appena 16 anni! In un condominio – che appare “spaccato” come una di quelle case di bambole che si aprono su cerniera per rivelare i loro arredamenti in miniatura – gli inquilini, che parlano con accenti di vernacolo locale, discutono, si eccitano e litigano per un “referendum dell’E.I.A.R.”. Si trattava del Grande Referendum a Premi che fu indetto in quel mese dall’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche di Torino, un concorso al quale potevano partecipare tutti gli abbonati in regola; l’estrazione sarebbe avvenuta nel luglio dell’anno seguente, con ricchi compensi in Buoni del Tesoro (fino a 100.000 lire dell’epoca, corrispondenti a circa
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Francesco G. Manetti http://www.ereticamente.net/2014/06/19291945-la-percezione-del-mito.html

Dopo esserc i occupat i ne l l a p r ima par te d i ques to in te rvento(http://www.ereticamente.net/2014/05/19291945-la-percezione-del-mito.html)delmaestro della Linea Chiara, il belga Hergé – cercando di capire come avesseinquadrato nelle sue opere del periodo prebellico (con l’arte della parodia e dellosberleffo) quelle che sarebbero diventate nei decenni a venire le due “superpotenze”,i due “gendarmi” del Mondo – andiamo adesso a scoprire (attraverso l’analisi di unaselezione significativa, anche se per forza di cose non esaustiva, di storie e vignette)un altro immenso autore europeo, un autore che avrebbe segnato con la suasessantennale carriera il fumetto, l’arte popolare e l’immaginario stesso italiano.1. GLI ANNI DELLA GUERRA: “IL BRIVIDO” E “IL VITTORIOSO”Primi passi

Benito Jacovitti nasce a Termoli, in Molise, il 9 marzo 1923; sette anni dopo la suafamiglia si trasferisce nelle Marche, a Macerata. In seguito a un periodo di“apprendistato autodidatta”, durante il quale disegna ogni dove, su ogni supportomateriale disponibile, ogni volta che può e al contempo divora e imita le strisceavventurose d’Oltreoceano e soprattutto le grandi firme del fumetto umoristicointernazionale – dal Segar di Braccio di Ferro al nostro Walter Faccini – ilgiovanissimo Benito, dopo una sorta di prova con una barzelletta illustrata lasettimana precedente, pubblica il 19 novembre 1939 quella che viene all’unanimitàconsiderata la sua prima grande gag visiva sulle pagine del n. 47 di un settimanaleumoristico fiorentino, “Il Brivido”. Si trattava di un piccolo e agile periodico, fondatodal disegnatore Alberto Manetti nel 1925, una smilza rivista che sarebbe andataavanti fino al 1952 e che oggi è estremamente rara da reperire sul mercato delcollezionismo. Il titolo dell’opera del termolese è lunghissimo e in rima: In ognistanza d’ogni casamento / la Radio è il gran discorso del momento! Il tratto è ancoraacerbo ma dobbiamo sottolineare che l’artista, con questo suo “debutto ufficiale”sulla carta stampata, ha appena 16 anni! In un condominio – che appare “spaccato”come una di quelle case di bambole che si aprono su cerniera per rivelare i loroarredamenti in miniatura – gli inquilini, che parlano con accenti di vernacolo locale,discutono, si eccitano e litigano per un “referendum dell’E.I.A.R.”. Si trattava delGrande Referendum a Premi che fu indetto in quel mese dall’Ente Italiano AudizioniRadiofoniche di Torino, un concorso al quale potevano partecipare tutti gli abbonatiin regola; l’estrazione sarebbe avvenuta nel luglio dell’anno seguente, con ricchicompensi in Buoni del Tesoro (fino a 100.000 lire dell’epoca, corrispondenti a circa

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170.000 euro del 2014). Se nei fumetti al posto di “radio” mettiamo “tivù” o“Internet”, saltiamo d’un colpo 75 anni senza quasi nessun cambiamento! Satira dicostume, dunque, e non ancora “satira politica”…

Jacovitti davanti alla porta della suacasa di Forte dei Marmi nel 1992

(Foto: Manetti)

Il quadro è firmato “Jacov”, una delle sue prime sigle (insieme a “Jacovi”, “JB”, etc.).La storia della firma di Jacovitti è davvero aneddotica. In gioventù l’artista termolese,vista la sua notevole altezza e magrezza, era stato ribattezzato dagli amici Lisca diPesce. E, ricordando il buffo soprannome, iniziò ben presto a firmarsi con una lisca dipesce stilizzata abbinata al cognome troncato in “Jac” e all’anno di realizzazionedelle tavole. Nel dopoguerra la sua corporatura si irrobustì e – come ci raccontò aRoma – decise dunque di far “ingrassare” anche la sua firma, tanto che la lisca, dafine che era, divenne quella bella gommosa e soffice che tutti ben conosciamo!In quello stesso periodo, sempre all’ombra del Marzocco, già l’illustre Giove Toppidisegnava per il “420”, detto il Mortaio Satirico Italiano – un ebdomadario dicaricatura politico-sociale edito da Nerbini fin dal 1914 – divertenti “dioramiillustrati” destinati ad apparire in prima pagina, a mo’ di copertina; ben noto, ilcartellone Ferragosto al mare del 1938, dove i bagnanti – ovviamente in Versilia –vivono le loro vacanze, protagonisti e vittime di tic che rimarranno tali in eterno,tanto che quell’immagine potrebbe essere benissimo datata 1950, 1970… o 2000 eoltre!Jacovitti si abbevera sicuramente a questa e ad altre fonti, ma porterà tale idea alleestreme conseguenze, e la rivoluzionerà, generando un vero e proprio nuovolinguaggio. Se quella sua prima incursione a battute multiple pubblicata nel ’39 puòessere considerata solo come un prodromo a una delle più celebri “tecniche”jacovittesche di visualizzazione simultanea di molteplici gag in un unico “vignettone”,ecco che l’anno seguente arriva il capostipite certo della lunghissima serie di queicelebri e giganteschi quadri zeppi di folli personaggi e situazioni buffe, la vera madredi quelle indimenticabili e spassose “panoramiche” (come lui stesso le definiva) checaratterizzeranno la sua arte fino alla morte. Per “Il Brivido” Jacovitti avrebberealizzato circa 250 lavori, fino al 1942.Jacovitti e gli Inglesi: sul “Brivido”…Arriviamo dunque al 31 marzo del 1940, quando esce in edicola il n. 13 del “Brivido”,quella medesima testata stampata a Firenze, il capoluogo toscano dove in

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quell’epoca il fumettista vive. Il conflitto è ancora distante per l’Italia, ma è tuttaviaben presente nella mente e nei sensi di tutti. Come ha visto la guerra un ragazzo sulfronte occidentale – Le linee: Maginot / Sigfrido: ecco il lunghissimo titolo (con ladoverosa precisazione in sottotitolo: l’autore di questa composizione ha diciassetteanni) che introduce la prima “panoramica ufficiale” di Lisca di Pesce.La stampa francese coniò l’espressione celeberrima di drôle de guerre, la “stranaguerra”, per identificare il periodo compreso fra la fine della campagna di Polonia(settembre 1939) e l’inizio delle operazioni nei Paesi Bassi (maggio 1940).L’adolescente Jacovitti – informatissimo della situazione – mette in scena ben 200personaggi in arme, soprattutto francesi del RIF (Régiments d’Infanterie deForteresse), del RAP (Régiments d’Artillerie de Position) e del RAMF (Régimentsd’Artillerie Mobile de Forteresse); con tanto di elementi senegalesi addetti allesalmerie, tratteggiati secondo il gustoso stereotipo classico fumettistico (anche negliStati Uniti di allora!) per la raffigurazione del “negro”, con le evidenti esproporzionate labbra bianche (che deriva a sua volta dal cabaret americano, ilvaudeville). Il fatto che ci siano gli artiglieri francesi insieme agli Inglesi del BEF(British Expeditionary Force) di Lord Gort, fa supporre che la scena sia ambientata inun settore fortificato lungo il confine franco-belga, magari proprio il VI, quello diMontmédy. I Senegalesi potrebbero appartenere dunque alla 3e Division d’InfanterieColoniale di rinforzo al 155° RIF. Siccome gli Inglesi sono stati disegnati da Jac quasitutti in gonnellino a scacchi, fa pensare che si tratti di militari della 51st HighlandDivision (e forse sono in particolare gli Scozzesi del reggimento di fanteria Queen’sOwn Cameron Highlanders).

La “panoramica” di Jacovitti del 1940,sulla Maginot/Sigfrido

E’ proprio il kilttradizionale scozzese a dare la stura a tutta una serie di battutesalaci! Così come i Senegalesi erano estremamente caratterizzati, molti fantibritannici inalberano inglesissime orecchie a sventola – alla Principe Carlo, perintenderci. C’è poi il suddito della Corona, appassionato di moda, che dismette iltartan e sfoggia con movenze femminili una sottanina a fiori, mentre i suoicommilitoni, devastati dalla paura, indossano i rimedi antigas, suscitando l’ironia delgraduato: “Ma cosa fate? Aspettate che Billy abbia mangiato i fagiuoli, prima dimettervi la maschera”, dice indicando un pingue individuo che spolvera avido untegame di legumi! Ecco, le maschere, per l’appunto: equivocando fra maschereantigas, cammuffamenti mimetici e carnevalate varie, i simpatici “alleati” vagano perle casematte della Maginot vestiti da Pierrot e Pulcinella e addobbano i cannonicome fossero i carri di Viareggio! L’elmetto a bacinella, viene usato come… bacinellaper radersi la barba! E un “colpo di mano” troppo audace, non oltre il filo spinato

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ma… sul sedere di una crocerossina provoca la sdegnata reazione di lei.Intanto, oltre la zona neutra, e ben protetti dai cavalli di frisia del Westwall, iGermanici attendono anche loro il maggio 1940……e sul “Vittorioso”Quelli del “Brivido” furono però solo i primi fuochi d’artificio per Benito Jacovitti sulfronte della parodia geopolitica.Negli anni Trenta e fino al 1941, nonostante la vulgata dell’era “democratica”inaugurata con il 1945, il clima editoriale delle riviste rivolte ai giovani eravivacissimo e soggetto a scarsi controlli; il fumetto italiano (se escludiamo il periodobellico, con tutta la sua comprensibile e inevitabile eccezionalità sul piano sociale enormativo), e soprattutto il fumetto avventuroso e giallo, dovette maggiormente esistematicamente patire censure e autocensure, ostracismi, sequestri, riprovazionemorale e ogni altro genere di ostacoli nel dopoguerra – in particolar modo negli anniCinquanta e Sessanta! Tornando all’anteguerra, della battaglia senza esclusioni dicolpi combattuta nelle edicole sul fronte del giornalismo per ragazzi le testate, levincenti furono soprattutto quelle milanesi e fiorentine: “Il Corriere dei Piccoli”(detto “Corrierino”, il primo “giornalino” del Belpaese, risalente al 1908, ovvero auna decina di anni dopo la nascita stessa delle “strisce comiche” moderne),“Topolino” e “L’Avventuroso” sono solo alcuni dei nomi che richiamano alla mente ilprimo periodo d’oro del fumetto nostrano. Grande formato e periodicità settimanale(a partire dalla fine dell’800 lo standard per questo genere di pubblicazioni destinatea un bacino giovanile, ma gradite anche agli adulti, era infatti in tutto il globo quellodei supplementi domenicali a colori inseriti all’interno dei quotidiani statunitensi),tavole oltremodo ricche, tecnica di stampa in quadricromia raffinatissima (ma congradevoli esempi anche di tricromia e bicromia), illustratori stranieri (in traduzione)e italiani che – per l’impegno profuso – potevano essere considerati veri e propripittori…In questo fervente panorama culturale “Il Vittorioso” fu la risposta degli ambientiecclesiastici all’editoria “laica”, anche se non si trattò – come si legge da più partinegli interventi critici – di volere imporre una pubblicazione “confessionale”, masemplicemente della necessità vaticana (anche e soprattutto economica!) di inserirsiin un mercato in costante espansione. “Il Vittorioso”, dunque, fu tutto fuorché unfoglio “parrocchiale” o “beghino” (anche se si cercava di presentare al pubblicostorie dai contenuti il più possibile “edificanti”: per esempio, una battuta con un tonosimile a quella della crocerossina “palpata” sul “Vittorioso” non sarebbe maiapparsa) e lasciò il segno, ancor più di altre testate, nella storia della produzionefumettistica autoctona italiana. Il primo numero del nuovo periodico fu lanciato nel1937, puntando su numerose firme, tra cui il grande “pupazzettista” SebastianoCraveri. Immortale, nei primi tempi, l’avventura a puntate di Romano il legionario,realizzata da Kurt Caesar e ambientata con corpo e spirito nei luoghi, nelle azioni enei periodi del sostegno italiano a Franco, volto al respingere le manovreinternazionali di sovietizzazione della Spagna: con tutta probabilità ritorneremo suRomano e sul suo autore in un prossimo intervento, su queste colonne.

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La copertina dell’albo che nel 1942raccolse “Pippo e gli Inglesi” (1940)in una ristampa anastatica del 1972

Jacovitti iniziò a collaborare al “Vittorioso” alla fine del 1940, con una storia lunga apuntate, Pippo e gli Inglesi – la prima della sua carriera, distante ben 57 annidall’ultima, quel Cocco Bill Diquaedilà uscito nel maggio 1997 per i tipi della SergioBonelli Editore (serie “I Grandi Comici del Fumetto” n. 1), pochi mesi prima dellamorte dell’artista (avvenuta a Roma il 3 dicembre dello stesso anno). L’avventura inquestione si dipanò per 11 tavole, una alla settimana, dal n. 40 (5 ottobre 1940) al n.50 (14 dicembre 1940). Nella ristampa in volume del 1942 la storia fu modificatagraficamente, in ottemperanza alle nuove leggi, e i “fumetti” (nel senso letterale deltermine, ovvero le “nuvolette di fumo” tramite le quali i personaggi “parlano”)vennero eliminati per essere sostituiti da didascalie.I protagonisti erano tre ragazzi, i primi eroi ricorrenti della saga jacovittiana. Pippo,Pertica e Palla sono tre Italiani che – par d’intendere – vivono a Londra da tempo.Dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno vengono arrestati con l’accusa diappartenere alla fantomatica “quinta colonna” e spediti in un campo diconcentramento. Da qui riescono a evadere e a sgominare, grazie anche a uncacciatorpediniere dell’alleato germanico, un traffico marittimo messo in atto dacontrabbandieri inglesi che si mascheravano sotto la bandiera svedese.Satira antibritannica graffiante dietro a ogni angolo – una satira come la puòimmaginare un ragazzo di 17 anni, certo, senza ancora tante pretese di profondaanalisi geopolitica come base di una parodia più “seria”, come sarebbe stata, e comevedremo, quella che avrebbe colpito in certe storie di Lisca di Pesce gli Americani e iSovietici. Qui abbiamo Inglesi gottosi con la serva trattata male. Paranoia continua. Ilpresunto “nemico” scovato sotto ogni sasso – persino in un giovincello sfaccendatoappoggiato alla… “quinta colonna” da sinistra di un edificio pubblico! Le urla di unamatrona scambiate per l’allarme antiaereo e un bidone della spazzatura scelto comeprovvisorio rifugio contro le bombe degli Stukas fantasma…I sudditi di Buckingham Palace vengono sbeffeggiati anche nelle due storiesuccessive con i 3P, ambedue pubblicate sul “Vittorioso” nel corso del 1941: si trattadi Pippo e il mistero dei “Lupino” (dal 19 aprile al 19 luglio) e di Pippo e la boa (dal 2agosto all’8 novembre). L’antagonista del trio di ragazzi in questa coppia diavventure è una spia inglese, il furioso Bob Smith, amante dei travestimenti e semprea caccia di piani segreti; se il primo di questi due episodi è ambientato fra la GranBretagna e la Svizzera, il secondo è scherzosamente collocato da Jacovitti “aPoggibonsi, un tranquillo paesetto sulla costa tirrenica” (si tratta invece di unpopoloso comune nell’entroterra toscano, in provincia di Siena). I loschi propositi

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dell’Inglese – che non lesina di arrivare fino al tentato omicidio – vengonoprontamente sventati da Pippo, Pertica e Palla.Jacovitti e gli AmericaniDurante il periodo bellico Lisca di Pesce affinò il suo stile, ripulendo il disegno dalleacerbità giovanili e affilando nel contempo la lama della satira e della parodia. A“farne le spese” furono soprattutto gli Americani, identificati fin da subito comeesagerati, invadenti, pacchiani, superbi, grossolani, spacconi – beceri, insomma…tanto per usare un vocabolo caro all’ambiente fiorentino in cui gravitava Jac inquell’epoca. E questo soprattutto in tre avventure, che andiamo a osservare davicino.

La copertina dell’albodel Vittorioso che nel 1948

raccolse “Chicchirichì” (1943)

Cucù fu pubblicata dal consueto “Vittorioso” a cavallo di due anni, dal 19 settembre1942 al 20 febbraio 1943. Come si intuisce dalle date fu quello un periodo crucialeper l’Italia. Tanto era “delicata” la situazione che Jacovitti decise di spostarel’ambientazione dall’Europa a un immaginario percorso per cielo e per terra cheavrebbe portato i protagonisti (un ragazzo e suo zio inventore) fino in America.L’occasione è ghiotta per l’artista per mettere alla berlina i miti popolari dellacultura d’Oltreoceano. Infatti, un mondo “nuovo” com’è quello delle megalopoli edelle praterie statunitensi, non ha una gran storia da raccontare e tutto “fa brodo”: ilcinema con Tom Mix, gli accadimenti della Frontiera con Buffalo Bill, i gangster, glieroi della “letteratura di genere” con Tarzan, e così via. Ecco dunque su Cucùapparire il poliziotto di New York con i denti in fuori (all’anglosassone) e ilmanganello roteante; un toro seduto che è veramente il capo pellerossa Toro Seduto,Al Capone (che ha – ovviamente! – un capone grande come un’americanissima zuccadi Halloween), etc.Pete lo sceriffo (pubblicato sull’Albo Roma n. 28 del 1943 dalla stessa casa editricedel “Vittorioso”, la AVE) è invece una gustosissima parodia dell’epopea del Far West– l’inizio di una sorta di “marchio di fabbrica” di Jacovitti che nel 1957 avrebbecreato con il cow-boy e pistolero Cocco Bill il suo personaggio più celebre e duraturo.Il paese di Tripper Buk è la classica “città corrotta” del West – e il capo dei dediti almalaffare è addirittura il sindaco. Le attività commerciali del luogo sfoggiano cartellidel tutto assurdi, come “Bove”, “Gallina”, “Olé”, “Poco”, “Come”, “Ma sì” e“Insomma Filippo, la vuoi smettere?”. Stella di latta, pipa in bocca, gilet di pelle,cappellaccio, revolver al cinturone: tutto l’armamentario western è presente. Ma in

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che epoca siamo? Alla fine dell’800 o negli anni Quaranta? Sì, perché il tutore dellalegge Pete tutela la legge non a cavallo, ma in motorino!Infine Chicchirichì(apparsa sul “Vittorioso” dal 30 luglio al 17 dicembre del 1944 conil sottotitolo ironico di Roba dell’altro mondo di Jacovitti), ancora una volta di tenore“poliziesco”, con un giornalista di New York (che si chiama per l’appunto come ilverso della gallina e lavora per il quotidiano “Il Mappamondo”) eroe della situazione.L’America ci appare dominata dalla pubblicità (anche se siamo in una sorta diimmaginari, gangsteristici anni della Depressione), fatta però di slogan senza senso,dove l’inglese ha solo la sonorità dell’inglese, essendo invece una sorta di buffaneolingua del tutto inventata: “Papir the Rosbiffe e und cic up” (forse “Pappare ilRoast Beef e un cicchetto”) sul cartello di un uomo-sandwich; “Bak, Tabak e Krak”, incima a un paletto (“Bacco, tabacco e Venere”, anche perché il “crac”, inteso comedroga, sarebbe stato un po’ ucronistico nel ’44); “Out pu tipet cu papir” e “Out bobyeg strulzum bobbo to ug mitter gros cream vove” su un paio di poster; oppure, su uncartello, “Tago eo odi up jou buba dog love du es bog tove”; poi “Bek ukt opt”, “Upacall up”, “A-okei purcel”, “Plic du poster fabur!” e via vaneggiando. I negozi,parimenti, fanno morire dal ridere: Op-op, Barrr, Oil bub, Eclot, To roomy, Urrr,Eutong, Ubbad, Pippy, Epp, Upp, Om, Bobbi, Bobboo, Utah, Paper, Cubo, etc. Einfine la redazione del quotidiano, sulle pareti della quale campeggiano surrealiavvisi come: “Vietato introdurr bovi!”, “Verbo avere”, “Vietat fumer!”, “Pell au burr”e così via.La neolingua dà proprio al lettore l’idea di una gigantesca Torre di Babele, unasocietà che è cresciuta come una metastasi senza nemmeno più una parvenza diordine. Criminali che spadroneggiano, poliziotti incapaci, stampa imbavagliata ericattata, il piombo non è quello dell’impaginazione ma quello dei mitra Tommy-gun,file di gente per il lavoro e per il pane, traffico impazzito, filobus stracolmi. E in unadelle sue indimenticabili panoramiche c’è tutta la società metropolitana statunitensecome la poteva vedere un giovane italiano degli anni Quaranta. Innanzitutto il“calderone di fusione” delle razze: “negri” che suonano il banjo e cantano suimarciapiedi (intrattenendo ballerini dilettanti di tip-tap), oppure appoggiatinullafacenti alle cantonate, o anche inetti “sciuscià”. E poi ancora la frenesia urbana.Si vede persino un tizio che pare trainato dalla catenella della sua cipolla: è una delleceleberrime metafore visualizzate di Jacovitti, in questo caso “un orologio che vaavanti”! Il crimine (banditi e scassinatori in ogni dove, persino uno che tenta discalzare la saracinesca di un banca con un piede di porco… ancora attaccato a unvero maiale), la polizia, la galera.The American Nightmare!2. JACOVITTI, LA “LIBERAZIONE”, I “LIBERATORI” E I “VINCITORI”Il 1945 di “Intervallo” e oltreFra il 1945 re il 1946 Benito Jacovitti collaborò a uno smilzo foglio dell’AzioneCattolica, il periodico “Intervallo”. E’ qui che troviamo alcune delle sue storie più“politiche” – da lui stesso definite “reazionarie”, perché se da una parte sembranocelebrare il “ritorno alla democrazia” facendosi beffe dei passati regimi, dall’altra

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sono soprattutto un’occasione ghiottissima per sottolineare il caos totale della nuovaEuropa “liberata” dagli Alleati – un’Europa che faceva gola non solo al capitalismoatlantico ma pure al bolscevismo asiatico.

La confusione che seguela “liberazione” della Flittoniain “Pippo e il dittatore” (1945)

La confusione è ben illustrata sotto forma di satira pungente dal nostro autore nellastoria Pippo e il dittatore, apparsa su “Intervallo” dal n. 2 del 12 maggio 1945 al n.12 del 28 luglio 1945. Caduto il “flittismo” (una specie di nazionalsocialismo nelpaese pseudo-germanico di Flittonia – ma potrebbe benissimo essere Italonia), contanto di “macelleria messicana” dei gerarchi appesi per i piedi dai “rivoluzionari”, siinstaura un nuovo genere di Stato, partorito dalla mente di uno squinternato filosofoex-detenuto! Ma il filosofo stesso e i suoi compagni, scambiati per aderenti al“regime flittonico”, vengono ben presto rispediti nel campo di concentramento, dinuovo pieno. Così, per le strade del paese “liberato”, sfilano insieme fascisti,comunisti, anarchici, monarchici, proletari, capitalisti, marxisti, stalinisti, pensionati,poppanti e persino… vacche in ordinata mandria per reclamare tutti e ognuno unpartito per ognuno e tutti! Con il carboncino, intanto, un cittadino “liberato” declinascrivendola sul muro la parola democrazia: democrazio, democranonno,democracugino, democramamma, democrafratello…In quello stesso 1945 Jacovitti conobbe a Firenze il cantante Frank Sinatra, che si eraparecchio divertito a vedere alcune sue vignette che prendevano in giro gli Anglo-americani. La Voce incoraggiò dunque Lisca di Pesce ad andare a far vedere quelleimmagini presso la redazione di un giornale fiorentino che stampava materiale pergli Americani “liberatori”. Non lo avesse mai fatto: per poco non viene gettato fuoridagli uffici a calci nel sedere da un infuriato colonnello a stelle-e-strisce per quelleche considerò “blasfeme irrisioni”. Quei disegni furono allora stampati in proprio daJac in una serie di oggi rare cartoline, intitolata Alleati in Italia: il fatto divertente èche le battute di corredo agli sberleffi sono… in inglese!In una delle cartoline vediamo così un soldato scozzese degli Highlander con ilclassico kiltabbracciato a una soldatessa americana in pantaloni (“Qual’è l’uomo equal’è la donna?”, si chiede Jac nella didascalia); in un’altra osserviamo due militariche si sono ubriacati con un fiasco di Chianti trascinati via dalla MP.

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Una cartolina della serie“Alleati in Italia” (1945)

Un’altra ancora di questa serie di illustrazioni da spedire è maggiormentesignificativa, perché credo riassuma efficacemente tutta l’amarezza dell’epoca. Vi èritratto un immenso graduato “negro” della Quinta Armata che vuol farsi lucidare igiganteschi stivali da un piccolo lustrascarpe bianco inginocchiato che chiede aiuto(“aiuto” perché c’è troppo lavoro da fare, ma forse “aiuto” contro l’occupante). Il“negro”, raffigurato nello standard classico della parodia grafica – con le enormilabbra – sfoggia un vistoso orecchino, fuma un sigaro (forse un Toscano: intanto neha un mazzetto di scorta infilato nella spallina), al polso indossa una sveglia (come icannibali delle barzellette, che però le portano al collo) e nella tasca posteriore hainfilata una fiaschetta di liquore.Battista l’ingenuo fascista apparve su “Intervallo” dal n. 26 del 12 dicembre 1945 aln. 14 dell’8 giugno 1946. La storia inizia con una divertente scritta jacovittesca: “Ascanso di equivoci e per facilitare alla critica il suo compito tengo a dichiarare: 1.Questo è un cineromanzo reazionario offerto dalla F.O.D.R.I.A. – 2. L’autore di questocinereazionario è un fascista (dato che prima o poi l’accuseranno come tale è meglioche lo si dichiari subito)…” Il motivo? Una storia italiana! Battista è un cittadinoqualunque che attraversa tutto il periodo fascista, insieme a tutti gli Italiani.Essenzialmente Battista è un pavido, uno che non si vuol mostrare, un tiepido, unpusillanime, uno che segue la corrente. Nei “quarantacinque giorni” (25 luglio / 8settembre 1943) brucia la camicia nera, ma ogni tanto, salutando un conoscente perstrada gli scappa ancora un saluto romano e un “camerata” – subito trasformati inpugno chiuso e “compagno”. In quel periodo vediamo ladri (con tanto di mascherina)che sculacciano i Balilla con la scusa dell’oppressione. Quando nasce la RSI Battistatinge di nero le sue camicie. “Le montagne invece cominciarono a tingersi di rossoper via di baldi giovanotti datisi alla macchia”, scrive Jacovitti, allegando figura ditruce partigiano. Radio Londra, intanto, promette “dieci chili di farina e un etto dicaffè” per ogni nazifascista morto e i “liberatori” (che Jac nomina mettendo sempre iltermine tra virgolette) avanzano radendo tutto al suolo. Iniziano le epurazioni e lacaccia al fascista.

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Con la “democrazia” ritornanoanche i “democratici” esiliati!

Da “Battista l’ingenuo fascista”(1945/1946)

E nel frattempo, “dopo venti anni di esilio e di sofferenze”, tornano i fuoruscitiantifascisti, che Lisca di Pesce ci rappresenta ben pasciuti, ben vestiti e con ricchisigari in bocca! Mentre l’opportunismo la fa da padrone, Battista stringe sempre piùla cinghia. Osserva uno sciuscià pulire le scarpe a un soldato scozzese: lui, dice, nonsi abbasserà mai a tanto! Ma poco dopo lo vediamo lustrare gli stivali a un sergente“negro” dell’esercito americano… Lasciamo poi la parola all’autore: “Passò altrotempo! La pace tornò in Europa nella primavera del 1945 e trovò cambiate moltecose negli ultimi mesi di guerra. Successero in Italia ed altrove cose belle e dellecose brutte, bruttissime. Per rispetto non vi parlo delle cose belle e per educazionenon vi parlo delle brutte. E vergognose per l’umanità! Alcuni mesi dopo in EstremoOriente, il Sol Levante tramontava melanconicamente sul Giappone grazie ad un paiodi bombe atomiche Made in U.S.A.”.Gli Alleati continuano a “liberare” le città, finché incontrano una giovane vedova chetiene in braccio un bambino in fasce. Un Americano e un Inglese fanno capolino dadietro l’angolo di un muro e la donna: “Avanti… accomodatevi pure. I tedeschi se nesono andati prima del vostro bombardamento”. Monte Cassino docet.

Due strisce paradigmatiche di“Battista l’ingenuo fascista” (1945/1946).

La fame, i “liberatori”, le macerie.

Nel caos politico che segue la “liberazione”, l’ingenuo e sempre più affamato Battistaprova a iscriversi a ogni nuovo partito, ottenendo sempre delusioni e calci in bocca.Alla fine della storia dissotterra la vecchia camicia nera e si presenta a marciare instrada. Finirà in galera, naturalmente…Dello Jacovitti politico, alle prese con i disastri della “liberazione” e dell’invasorealleato, ricordiamo poi le due tavole di una storia incompleta, La rovina in commedia,pubblicate sul settimanale satirico “Belzebù” nell’aprile del 1947. L’idea era quella dimettere la Divina Commedia dantesca in chiave di satira politica e parodia sociale,rifacendosi al disastro italiano dell’immediato dopoguerra. Nella selva oscura unanonimo personaggio sperduto (l’Italiano medio) prova a imboccare il sentiero didestra, andando a finire nelle fauci della lonza americana; alla richiesta di un prestitola bestia con la tuba da Zio Sam risponde che lo farà, a patto che gli Italiani stiano

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fuori dal “mare vostrum”. La via di centro porta al feroce leone britannico, con ilquale è impossibile persino iniziare a discutere. La strada a sinistra conduce infineverso la lupa sovietica, che allatta due singolari Romolo & Remo chiamati Tito &Palmiro; questa lupa, infida, sbrana i pantaloni dell’incauto viaggiatore. Apparedunque Dante a far da guida e mostra al protagonista la personificazione dellaRovina, una sorta di orrida e laida prostituta cadente adagiata sulle macerie dellenostre città. Nella cornice illustrata che circonda la seconda e ultima tavola deldramma a fumetti si vede un piccolo personaggio che esibisce il pugno chiusoreggendo in spalla unn sacco con la scritta “Dongo”…

La Rovina adagiata sullemacerie dell’Italia “liberata”.

Da “La Rovina in Commedia” (1947)

Jacovitti in Paradiso: gran finale con vista sull’URSS (1947)Una delle storie meno conosciute di Jacovitti apparve a puntate sul periodico “Fra’Cristoforo” tra il febbraio e il marzo 1947. Poi fu interrotta e mai più ripresadall’artista. E non fu mai più ristampata fino addirittura al 1995, quando – in pienorevival jacovittiano, innescato nel 1992 da una mostra lucchese (che il sottoscrittocurò insieme all’amico Mario Bruni) e soprattutto dal libro “Jacovitti” di GranataPress (scritto da Bellacci, Boschi, Gori e Sani, che nel 2011 lo hanno rivisto eampliato per la NPE) – finalmente riapparve in un fascicolo amatoriale pubblicatodagli Amici del Vittorioso. Si tratta dell’episodio Il paradiso sosvastico, che presentadelle fortissime e insospettabili analogie proprio con Tintin nel Paese dei Sovieti dicui abbiamo parlato nella prima parte di questo intervento. L’ambientazione inizialeè quella dell’Italia nel caos del dopoguerra, una situazione identica a quella giàillustrata in Battista l’ingenuo fascista. Stavolta il protagonista è Mario il proletario,di simpatie comuniste; stufo dei disagi patiti fra le macerie e della cronica mancanzadi cibo decide di partire per l’Est, verso la patria del “socialismo reale”. Prima deveperò attraversare la terribile Giogoslavia, dove imperversa un nuovo Stato nel quale inemici del popolo vengono “democraticamente” sistemati in grotte salubri espaziose, le foibe, e dove la specialità del posto è il tiro alla nuca. Gli Italiani sonomalvisti e incarcerati o addirittura ammazzati. Del resto, come lo stesso Jacovittiaveva scritto in calce a una sua vignetta, sempre del ’47, “Tito ha sempre ragione:bisogna colpire l’Italia senza pietà, poiché essa, reazionaria e fascista, conservaancora l’aborrita forma d’uno stivale di staraciana memoria!”. Mario giungefinalmente nel paradiso del lavoratore, dove tutto è organizzato in funzione dellavoro, con meccanizzazione e disumanizzazione totale del cittadino (un po’ come inTempi moderni di Chaplin): città trasformate in macchine dove l’uomo vive, mangia e

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dorme in catena di montaggio.

Il titino illustra a Mario il proletariole meraviglie della Giogoslavia.

Da “Il paradiso sosvastico” (1947)

La futuristica “città macchina”.Da “Il paradiso sosvastico” (1947)

L’ultima inquadratura dell’ultima parte della storia è profetica: “All’alba la sveglia ècollettiva!”

Nel futuro Jacovitti ridurrà la attitudine politica – e questo in particolar modo dopo leelezioni del 1948, alle quali partecipò attivamente con sue cartoline, poster evignette contro il Fro.De.Pop. Solo nel 1973 e nel 1974 ci sarebbe stato un “ritorno difiamma”, quando Jacovitti collaborava a “Linus” e per alcune sue battute contro i“barricadieri” con le quali infarciva le storie – insieme ai consueti salami, ossi erocchetti – la redazione fu tempestata di indiavolate lettere che ne chiesero – eottennero l’epurazione.Ma questa, come si suol dire, è un’altra storiaccia.Francesco G. Manetti


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